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LAVORO SUBORDINATO

La collocazione del rapporto di lavoro nel libro V del codice civile


Il rapporto di lavoro è regolato dagli art. 2094 ss. c.c. (oltre dalle leggi speciali). Il codice non
prevede nominandolo direttamente il contratto di lavoro, ma disciplina le obbligazioni ce da esso
derivano non nel libro IV del codice civile dedicato alle obbligazioni (e quindi ai contratti) ma nel
titolo II capo I del libro V del codice civile intitolato “del lavoro” essenzialmente dedicato alla
disciplina dell’impresa. La ragione risiede nell’intento del legislatore del codice civile del 1942 di
realizzare un’unificazione del diritto civile e del diritto commerciale in modo tale che uno stesso
tipo di economico di negozio giuridico fosse disciplinato diversamente a seconda che lo stesso
fosse posto in essere da un’impresa o meno. Un'altra ragione risiede nella volontà di modellare il
rapporto di lavoro alle esigenze tipiche dell’impresa, indipendentemente dal fatto che tale
rapporto si sostanziasse o meno in un’attività commerciale.

Il codice civile del 1865: “la locazione delle opere”


Il codice civile del 1865 disciplinava in genere la “locazione delle opere” nella quale erano
ricompresi tanto il lavoro subordinato (locatio operarum) tanto il lavoro autonomo (locatio
operis).
L’art. 1570 c.c. definiva la locazione delle opere come il contratto attraverso il quale una delle parti
si obbliga a fare per l’altra una cosa mediante la pattuita mercede.
L’art. 1628 c.c. stabiliva che vi sono tre principali specie di locazione di opere e d’industria: quella
per cui le persone obbligano la propria opera all’altrui servizio (locatio operarum, lavoro
subordinato), quella dei vetturini per terra come per acqua (trasporto delle persone e cose, lavoro
autonomo), e quella degli imprenditori di opere ad appalto o cottimo (lavoro autonomo).
L’art. 1628 c.c. specificava che nessuno può obbligare la propria opera all’altrui servizio ce a tempo
determinato e per una determinata impresa, evitando la tendenziale perpetuità del contratto
anche se la prassi era quella di stipulare contratti sine die, giustificandoli come sempre e
comunque potenzialmente sottoponibili a disdetta e pertanto a termine .

Rischio dell’utilità del lavoro e quello dell’impossibilità del lavoro


Nella dottrina pandettistica la distinzione tra locatio operis e locatio operarum si basava sulla
ripartizione tra le parti dei rischi inerenti alla realizzazione della prestazione lavorativa.
Il primo di tali rischi è detto anche rischio del lavoro, ed è quello incidente sull’ utilità prodotta
dalla prestazione di lavoro. E cioè l’alea che incide per sua natura sul risultato produttivo
dell’erogazione delle energie di lavoro ed è dipendente dalla difficoltà tecnico-ecnomica del
risultato medesimo. Esempi: Come rischio incidente sull’utilità della prestazione, possono essere
richiamati i vari fattori ostativi della produttività del lavoro tali da influenzare il rendimento della
prestazione: si va dai fatti naturali (fulmine che distrugge il prodotto finito dal lavoratore prima che
il creditore possa disporne) ai fattori di natura tecnica ed economica, quali gli imprevisti difetti del
materiale da lavorare che allunghino i tempi di lavorazione ecc
Il secondo rischio è quello dell’impossibilità o mancanza di lavoro, sopravvenuta per effetto del
caso fortuito o della forza maggiore eventualmente ostativi dell’esecuzione della prestazione
(periculum): si tratta dell’alea incidente sulla perdita totale o parziale del corrispettivo da parte del
lavoratore. Esempi: ipotesi di fortuito impedimento del lavoratore a prestare le proprie energie,
sia per cause soggettive (gravidanza, malattia, infortunio, invalidità) che per cause oggettive (si
pensi ai classici casi d’interruzione dell’attività produttiva per eventi artificiali o naturali che
possono andare dalla mancanza della forza motrice oppure della materia prima nelle lavorazioni
industriali, fino alle inondazioni o anche soltanto alla pioggia che impedisca l’esecuzione dei lavori
agricoli).
.Il rischio dell’impossibilità o c.d. mancanza di lavoro è sempre sopportato dal lavoratore, sia nella
locatio operis che nella locatio operarum,: in virtù di tale principio il debitore è esonerato
dall’obbligo di eseguire la prestazione divenuta impossibile, ma perde il diritto alla
controprestazione. A tutela del lavoratore, per altro, l’ordinamento interviene per evitare tale
perdita nelle ipotesi protette previste dalla legge.
Il rischio dell’utilità del lavoro è invece collegato concretamente alla variabilità economica del
rendimento delle energie di lavoro prestate dal locatore ( sia delle opere che dell’opera) e perciò
all’incertezza del valore del risultato produttivo delle energie stesse. Questo rischio della difficoltà
della prestazione o del risultato del lavoro è ripartito tra i contraenti in modo diverso nella
locazione d’opera e nella locazione delle opere: nella prima è integralmente a carico del locatore o
lavoratore autonomo, il quale si obbliga appunto a prestare l’opus perfectum (opera finita),
qualunque sia il costo sopportato è a carico dell’imprenditore, poiché il lavoratore subordinato si
obbliga a prestare le proprie energie di lavoro limitandosi a sopportare soltanto il periculum
(rischio) della mancanza di lavoro.

La subordinazione come sottoposizione del lavoratore alla direzione e al controllo


del datore
Secondo le leggi sociali dell’epoca (fine ‘800), il fenomeno della subordinazione (dipendenza) del
lavoratore da un padrone o sorvegliante, veniva individuato in chiave prevalentemente descrittiva
sulla base del collegamento tra le prestazione e l’azienda industriale. Nella legislazione del periodo
era assente una definizione positiva della subordinazione. Piuttosto è stata la giurisprudenza, in
particolare quella dei probiviri, ad utilizzare la nozione del rapporto di servizio come criterio
distintivo dell’obbligazione del lavoratore a sottoporsi alle determinazione dell’imprenditore per
ciò che concerne sia l’organizzazione del lavoro ( in specie l’assegnazione e la variazione delle
mansioni) sia la disciplina aziendale (multe, orario di lavoro). In questi termini la subordinazione (o
dipendenza) tendeva ad identificarsi con il comportamento dovuto dal lavoratore in attuazione
della propria obbligazione.

Legge sull’impiego privato del 1924 e il codice civile del 1942: Collaborazione come
connotato specifico della subordinazione
Sin dalle origini , l’elaborazione di subordinazione si presenta ambivalente: alla tradizionale
distinzione tra attività e risultato del lavoro si sovrappone la dipendenza dall’organizzazione del
lavoro, caratteristica della nuova figura sociale e professionale dell’operaio o lavoratore salariato.
In una prospettiva analoga si colloca il legislatore del c.c. del 1942 e, prima ancore la legge sul
contratto di impiego privato del 1924 identificato con il lavoro non prevalentemente manuale.
Questo, infatti, ha ravvisato nell’attività professionale e nell’esercizio di mansioni di collaborazione
(intesa come svolgimento di funzioni continuative di amministrazione e di fiducia nell’azienda) il
connotato specifico della subordinazione dell’impiegato. Nel codice civile, il legislatore ha ripreso il
concetto della collaborazione per precisare, a sua volta, quello della subordinazione: l’art 2094 c.c.
identifica la collaborazione con lo scopo o, meglio, con il risultato tecnico-funzionale della
prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, resa dal lavoratore in
cambio della retribuzione.

La distinzione tra il contratto di lavoro subordinato ed il contratto di lavoro


autonomo
Il concetto di subordinazione si ricava direttamente e testualmente dall’art. 2094 c.c. Questo
fornisce la definizione di prestatore di lavoro subordinato, qualificando come tale colui che si
obbliga a collaborare all’impresa prestando il proprio lavoro manuale o intellettuale alle
dipendenze e, perciò sotto la direzione dell'imprenditore. Da tale definizione è desumibile la
nozione tecnico-funzionale della subordinazione quale dipendenza del prestatore nell’esecuzione
dell’attività di lavoro rispetto alla direzione del datore. E questo concetto della subordinazione
tecnico-funzionale è riaffermato in negativo anche dalla norma dell’art. 2222 c.c. (nella definizione
del contratto d’opera il legislatore ha infatti messo in rilievo l’assenza nel rapporto di lavoro
autonomo che ne scaturisce, del vincolo della subordinazione).
Da qui il concetto di subordinazione si presenta ambiguo sul piano empirico e sociologo. Da qui
l’esigenza di precisare il ruolo e quindi la rilevanza della subordinazione del prestatore nel
rapporto di lavoro. In questa prospettiva la subordinazione è stata identificata con la
sottoposizione del debitore al potere del credito del lavoro e, in particolare, all’autorità
dell’imprenditore: ed infatti il prestatore è vincolato all’osservanza delle direttive e delle altre
disposizioni per la disciplina e l’esecuzione del lavoro impartite dal datore nella sua qualità titolare
del potere direttivo e disciplinare. In questo modo, però, la subordinazione si identifica con il
contenuto tipico dell’obbligazione di lavoro: si tratta, infatti, della definizione del comportamento
solutorio del debitore di fronte al creditore del lavoro e si configura perciò come un elemento
esterno all’oggetto della prestazone e quindi alla struttura dell’obbligazione di lavoro.
Al riguardo non sembra possibile ritenere la struttura dell’obbligazione di lavoro autonomo diversa
da quella di lavoro subordinato: in entrambi i casi, infatti, oggetto dell’obbligazione è il lavoro
come prestazione di facere e quindi come attività personale economicamente utile. Tale
connotato è comune tanto all’obbligazione del lavoratore subordinato quanto all’obbligazione del
lavoratore autonomo, mentre l’elemento differenziale è dato proprio dall’assenza del vincolo di
subordinazione, per cui sarà diverso il contenuto finale o scopo della prestazione. Questo
contratto d’opera è un facere finalizzato al compimento di un’opera o di un servizio con l’attività
prevalentemente personale del lavoratore; viceversa nel lavoro subordinato il facere è finalizzato
alla collaborazione e cioè all’utilizzazione dell’attività del debitore, il quale è obbligato a mettere le
proprie energie od opere a disposizione del creditore e della sua organizzazione.

I contratti di lavoro autonomi; il contratto d’opera


Proprio la finalizzazione al risultato dell’opera finita (opus perfectum) è il connotato tipico che
contraddistingue la categoria dei contratti di lavoro autonomo, nella misura in cui ne accomuna i
diversi tipi. Nel sistema del codice tale categoria comprende in primo luogo il contratto d’opera
previsto dall’art. 2222 c.c. nel quale si ha la prestazione di un’opera o un servizio mediante il
lavoro personale del debitore ma a suo rischio e quindi senza vincolo di subordinazione. Accanto a
questa fattispecie minimale si collocano quattro figure specifiche,a venti ciascuna un diverso
elemento di tipicità sociale: 1) l’appalta nel quale si ha prestazione di un’opera o un servizio da
eseguirsi con organizzazione di mezzi e gestione a rischio dell’appaltatore; 2) il trasporto, che
assolve alla funzione di trasferire persone o cose da un luogo ad un altro, 3) il deposito generico
che assolve alla funzione di custodia di beni, 4) il mandato e le sue sottospecie che hanno come
elemento tipico comune la gestione di affari nell’altrui interesse mediante la conclusione di
contratti.

La causa del contratto: la collaborazione e la relazione con la retribuzione


Si deve premettere che la causa è l’elemento del contratto che ne individua la funzione
economica e quindi l’interesse meritevole di tutela concretamente perseguito dalla volontà delle
parti. Nel contratto di lavoro subordinato la causa o funzione è individuata in astratto dal
legislatore che la identifica nello scambio tra le obbligazioni , rispettivamente , del prestatore e del
datore e dunque tra la collaborazione e la retribuzione. La subordinazione può essere definita
come l’effetto giuridico essenziale del contratto: essa identifica con la prestazione di lavoro alle
dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore ed insieme si presenta come il contenuto del
vincolo obbligatorio, strumentale alla realizzazione del risultato della prestazione che l’art. 2094
configura come la collaborazione nell’impresa.
Nella struttura dell’obbligazione di lavoro, l’elemento oggettivo è rappresentato non dalla
subordinazione , ma dalla collaborazione. Questo sottolinea l’importanza dell’aspettativa del
creditore al risultato della prestazione e, perciò, del suo interesse al coordinamento e quindi
all’organizzazione dell’attività lavorativa del debitore. In tal senso , nella collaborazione è da
ravvisare lo scopo della prestazione e quindi il criterio per la tipicizzazione della subordinazione e
nello stesso tempo il riflesso del fenomeno dell’organizzazione sull’obbligazione di lavoro e,
perciò, anche della sopportazione, a carico del creditore, dell’alea tecnico-economico della
prestazione e quindi dell’rganizzazione del lavoro. Perciò essa funge da criterio di valutazione del
comportamenteo che il prestatore ed il datore devono tenere in osservanza del generale dovere di
correttezza che vincola creditore e debitore nell’attuazione di qualsiasi rapporto obbligatorio.
Da un lato si può quindi parlare di collaborazione del creditore come cooperazione
all’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore del lavoro; dall’altro, sipuò parlare di
collaborazione del debitore per indicare l’obbligo di confermare l’esecuzione della prestazione alle
concrete e variabili esigenze dell’impresa. La collaborazione nell’impresa si identifica quindicon lo
scopo tipico della prestazione e quindi con la stessa causa individuatrice del tipo negoziale del
contratto di lavoro subordinato.

La continuità o disponibilità nel tempo della prestazione


L’identificazione almeno tendenziale della subordinazione, finalizzata al risultato della
collaborazione con l’inserzione del prestatore nell’impresa e in definitiva con la continuità o
disponibilità nel tempo della prestazione di lavoro verso il datore è da ravvisare l’assenza del
vincolo della subordinazione tecnico-funzionale . In effetti la continuità caratterizza l’attività
promessa dal lavoratore in relazione allo scambio tra retribuzione e svolgimento nel tempo della
prestazione. Ma la continuità quale specifico modo di essere dell’intervento del datore sull’attività
del lvoratore, caratterizza la prestazione anche in relazione alla collaborazione e quindi
all’adempimento dell’obbligazione. Da questo punto di vista la subordinazione si presenta in
forme variabili e anche molto diverse secondo i differenti contesti organizzativi e produttivi: si va
dall’eterodirezione o controllo gerarchico al coordinamento soltanto funzionale sull’attività del
prestatore di lavoro. In sintesi la figura del lavoratore eterodiretto all’interno della fabbrica
taylorista- fordista non è più l’unico referente per l’interpretazione sell’art. 2094 ma lascia spazio
ad una pluralità di figure sociali nuove e professionali.
In conclusione, intesa come disponibilità al coordinamento della prestazione nello spazio e nel
tempo, la continuità qualifica la subordinazione come dipendenza dal controllo dell’imprenditore
(eterodirezione) e si colloca su un piano teleologico e non temporale differente rispetto
all’esecuzione continuata (o periodica) della prestazione e cioè al semplice distribuirsi nel tempo
dell’adempimento dell’obbligazione. La durata attiene alla struttura della prestazione ed incide sul
modo di esecuzione e silla determinazione quali-quantitativa della stessa: essa attiene
essenzialmente la profilo programmatico o della causa del contratto e si deve intendere in senso
non materiale m aideale, come dipendenza o disponibilità funzionale del prestatore all’impresa
altrui.

Collaborazione e subordinazione nella giurisprudenza


La ricostruzione per cui la continuità si configura come attributo essenziale della subordinazione,
trova riscontro nell’insegnamento della giurisprudenza, secondo cui la subordinazione si
concretizza nell’eterodirezione e cioè nella sottoposizione del prestatore al potere di direzione del
datore di lavoro, mentre la collaborazione si concretzza essenzialmente nella disponibilità delle
energie lavorative messe al servizio dell’imprenditore e re se in modo tale da inserire la relativa
prestazione nell’organizzazione aziendale.
Tradizionalmente la giurisprudenza individua ne i quattro requisiti dell’ onerosità, della
collaborazione, della continuità e della subordinazione, gli elementi costitutivi della fattispecie
tipica del rapporto di lavoro subordinato; e neprecisa altresì il contenuto facendo riferimento ad
una pluralità di elementi non tutti esplicitamente indicati dal legislatore per l’individuazione in
concreto della natra subordinata del rapporto: l’oggetto della prestazione identificato non con il
risultato prodotto dal lavoratore ma con l’applicazione delle energie lavorative e quindi con
l’attività stessa da lui messa a disposizione del creditore; la colaborazione intesa come inserzione
del lavoratore nell’organizzazione produttiva dell’impresa; la continuità ideale e cioè come durata
nel tempo del vincolo di disponibilità funzionale del lavoratore all’impresa; l’incidenza del rischio
dell’attività lavorativa e quindi dell’organizzazione, sul datore di lavoro.
Questi criteri di qualificazione non sono tuttavia sufficienti. La loro applicazione infatti viene
integrata dalla stessa giurisprudenza mediante l’utilizzazione di una molteplicità di criteri o c.d.
indici empirici per la distinzione sul piano concreto tra fattispecie di lavoro autonomo e fattispecie
di lavoro subordinato. In particolare, secondo la giurisprudenza più recente della Corte di
Cassazione, ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro subordimento ed autonomo rimane
fondamentale l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del
datore di lavoro, che si estrinseca nell’amanazione di ordini specifici, nell’esercizio di assidua
attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione e che deve essere concretamente
apprezzato con riferimento alla specificità all’incarico conferito di lavoratore.

La collaborazione come inserzione del lavoratore subordinato nell’azienda e come


connotato del lavoro autonomo coordinato e continuativo (c.d. parasubordinazione)
L’inserzione del prestatore nell’organizzazione aziendale è un sicuro indice presuntivo della
sussistenza della collaborazione, così come, d’altronde, l’osservanza dell’orario di lavoro (art. 2107
c.c.) e l’obbedienza alle direttive impartite dall’imprenditore per l’esecuzione e la disciplina del
lavoro lo sono della subordinazione. Altrimenti, ogni prestazione di lavoro resa as un’impresa o ad
un’organizzazione di lavoroassimilabile, sarebbe necessariamente di natura subordinata: il che,
oltre ad irrigidire enormemente il mercato del lavoro, sarebbe in contrasto con l’esplicita
previsione legislativa dei rapporti di collaborazione continuativa, ma non subordinata. In
particolare si pensi al contratto di agenzia nel quale l’agente assume stabilmente l’incarico di
promuove la conclusione di contratti. L’art. 409 n. 3 c.p.c. ha previsto l’equiparazione al rapporto
di lavoro di talune categorie di rapporti di lavoro autonomo nonché in genere degli altri rapporti di
collaborazione i quali si concretino in una prestazione d’opera prevalentemente personale
continuativa e coordinata ma senza vincolo di subordinazione . In questo modo il legislatore ha
riconosciuti che la collaborazione e quindi l’inserzione del lavoratore nell’impresa è un elemento
tipico ma non esclusivo del lavoro subordinato ed ha implicitamente confermato e precisato i
connotati della collaborazione nel suo significato oggettivo di attività lavorativa continuativa e
coordinata prestata nell’interesse di un creditore.
La possibilità che la prestazione di un’attività continuativa e coordinata verso un committente
possa conferire anche al contratto di lavoro autonomo una fuunzione di collaborazione analoga a
quella prevista dall’art. 2091 per il lavoro suborinato è stata riconosciuta dal legislatore proprio
come elemento di atipicità e di assimilazione al rapporto di lavoro subordinato. L’assimilazione è
tuttavia solo parziale perché il lavoro autonomo resta al di fuori della disciplina e delle tutele
tipiche del lavoro subordinato.
La parabola delle collaborazione coordinate e continuative: dal lavoro a progetto alla
riconduzione al rapporto di lavoro subordinato
I tratti caratteristici delle collaborazioni coordinate e continuative, sempre più d

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