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•Per Kant, la sensibilità è sia passiva che attiva; passiva perché le sensazioni visive, tattili,
uditive, olfattive, gustative noi le riceviamo dall’esterno (parte «materiale»); attiva perché
queste sensazioni sono automaticamente ordinate da due forme a priori che sono lo
spazio e il tempo (parte «formale»);
•È attraverso lo spazio che percepiamo una certa disposizione degli oggetti (riguarda
soltanto l'esperienza esterna);
•E’ attraverso il tempo che percepiamo una successione di eventi (il tempo si riferisce
direttamente all’esperienza interna e indirettamente - in quanto è un'esperienza
comunque vissuta dal soggetto- a quella esterna);
•Kant afferma quindi che già a livello della sensazione interviene nella conoscenza una
componente «soggettiva», cioè propria del soggetto conoscente, che è costituita dalle
forme a priori «spazio» e «tempo»;
•La sensibilità così concepita (passiva e attiva insieme) Kant la chiama «intuizione
sensibile».
L'ANALITICA TRASCENDENTALE
•Nella logica trascendentale Kant analizza le
strutture conoscitive a priori mediante le quali il
soggetto rielabora e collega i dati della sensibilità.
•La logica trascendentale si divide in due sezioni
principali:
1. L'analitica trascendentale: riguarda l'uso
legittimo dell'intelletto che, mediante i concetti
a priori, ordina i dati dell'esperienza;
2. La dialettica trascendentale: prende invece in
considerazione la ragione, cioè l'intelletto nel
momento in cui pretende di andare oltre i limiti
dell'esperienza.
L'ANALITICA TRASCENDENTALE
•L'analitica, scrive Kant, è la parte della logica
trascendentale «che espone gli elementi della
conoscenza pura dell'intelletto» cioè le categorie. Esse
sono definite da Kant «concetti puri»
Egli non si chiede come funziona la mente umana, ma come è possibile la conoscenza,
cioè che cosa è necessario presupporre se vogliamo ammettere la possibilità della
conoscenza scientifica.
Dato che il sapere è costituito da giudizi (da affermazioni sulla realtà), è sufficiente, secondo
Kant, partire dalla tavola dei giudizi, sulla quale ormai si era stabilita una larga convergenza, e far
corrispondere a ogni giudizio una categoria.
Infatti, dal momento che ogni giudizio è unificazione di soggetto e predicato, deve esistere un
concetto a priori come forma di tale unificazione.
Sviluppando questo presupposto, Kant definisce la seguente:
• Tale pretesa, però, deve essere giustificata o, come dice Kant usando un termine giuridico,
«dedotta». In tribunale, la deduzione consiste nel dimostrare la legittimità di una questione di
fatto ( ad esempio di essere i proprietari dell'auto che stavamo guidando, che potremmo anche
aver rubato).
•Allo stesso modo, occorre giustificare l'uso delle categorie per organizzare i dati
dell'esperienza, dato che esse sono indipendenti dall'esperienza stessa, o, con le parole di Kant,
«per la legittimità di un tal uso non sono sufficienti le prove ricavate dall'esperienza; ma è
necessario sapere altresì come questi concetti possano riferirsi ad oggetti, mentre non traggono
punto la loro legittimità dall'esperienza» (Critica della ragion pura).
•La condizione necessaria perché ciò possa avvenire, afferma Kant, è l'esistenza di uno spazio
unitario in cui le categorie convergono.
•In altri termini, è necessario presupporre che la conoscenza sia conoscenza di qualcuno, di un
soggetto che ha presenti contemporaneamente tutte le categorie e sintetizza i dati che esse
forniscono.
•Kant definisce questo soggetto che unifica l'esperienza «Io penso», intendendo riferirsi
con questa espressione non a singoli individui, ma al soggetto in generale
•L'Io penso è coscienza di conoscere cioè autocoscienza. (Approfondimento pag. 170)
•Vi è l’esistenza dunque un io, che opera la sintesi della conoscenza e ne costituisce il
fondamento stabile, che mi fa dire: «io conosco». (Approfondimento pag. 171)
•In quanto funzione dell'intelletto, l'Io penso non è una sostanza. Esiste, per così dire, solo
nel processo conoscitivo. «Questa è la mia conoscenza» lo posso dire quando conosco
qualcosa, non posso dirlo se non conosco nulla.
•l'Io penso non deve essere inteso neppure come la coscienza individuale, ma come la
condizione generale della conoscenza, presente nello stesso modo in tutti gli uomini e per
questo impersonale e universale.
L'ESPERIENZA E IL PENSIERO