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L’ARBITRO BANCARIO FINANZIARIO FRA TRASPARENZA BANCARIA E

GIURISDIZIONE*.

1. L’ABF fra giurisdizione e trasparenza bancaria. 2. Natura giuridica dell’Arbitro, tipologie di tutela, profili
procedimentali. 2.1. Le “limitazioni funzionali” dell’attività decisoria: risoluzione delle controversie e
(evoluzione della) trasparenza bancaria. 2.2. Le “limitazioni strutturali” dell’attività decisoria. Limiti
dell’istruttoria dinanzi all’Arbitro. 2.3. Riscontri applicativi: i finanziamenti mediante cessione del quinto –
“prova mancante” e “prova incompleta” – l’integrazione documentale. 2.4. le operazioni di pagamento non
autorizzate. 2.5. Il reclamo e le sue funzioni. 3. l’Arbitro e l’Autorità giudiziaria: usura sopravvenuta,
interessi di mora e “nomofilachìa” nel dialogo fra ABF e giurisprudenza.

1. Il contributo è suddiviso in due parti, dedicate, rispettivamente, all’esame di alcuni profili del
procedimento dinanzi all’Arbitro e alla dialettica fra Arbitro e Autorità giudiziaria, con particolare
attenzione al tema dell’usura, ancora di recente oggetto di importanti pronunce arbitrali e
giurisprudenziali, non sempre del tutto consonanti.
Il motivo conduttore e il fil rouge, che lega le due parti, può essere ravvisato nelle peculiarità
dell’Arbitro Bancario Finanziario, nell’ambito dei sistemi alternativi di risoluzione delle
controversie bancarie e finanziarie, soprattutto sul piano funzionale, in termini di risoluzione di
controversie concrete, secondo diritto e nel rispetto di un procedimento, e, al contempo, di
attuazione e completamento della trasparenza bancaria. Peculiarità che, in effetti, giustificano il
richiamo di princìpi e regole del diritto processuale civile, nonché la previsione di adattamenti e
deroghe, in un procedimento, per sua natura, “flessibile”, “rapido” ed “effettivo”, in termini di
tutela accordata1.
Il richiamo alla flessibilità deve, peraltro, essere circoscritto ai profili procedimentali, dovendosi,
per contro, escludere che l’Arbitro possa, in sede di decisione, applicare una soluzione ritenuta
maggiormente “equa”, rispetto allo strictum ius, magari richiamando l’obiettivo di migliorare (o
non compromettere) i rapporti fra intermediari e clienti2.
La “flessibilità procedimentale”, d’altronde, deve essere pur sempre ricondotta e circoscritta
all’obiettivo di assicurare una tutela “rapida” ed “effettiva”, senza con ciò legittimare uno


* Il contributo costituisce una rielaborazione dell’intervento al Convegno “L’Arbitro Bancario Finanziario. Sviluppi
normativi e attività decisoria. Esperienze a confronto”, organizzato dalla Sede di Bari della Banca d’Italia, in
collaborazione con il Collegio di Bari dell’Arbitro Bancario Finanziario, Bari, 27 novembre 2018. L’Autore è
componente del Collegio di Bari dell’Arbitro Bancario Finanziario. Le opinioni espresse riflettono esclusivamente il
pensiero dell’Autore. Il contributo è destinato agli Scritti in onore del Professor Guido Alpa.
1 Cfr. il quarto considerando della Direttiva 2013/11/UE, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei
consumatori. Questo aspetto è ben colto da Coll. Coord., dec. n. 7716 del 29 giugno 2017, in particolare, per
l’affermazione secondo cui “il procedimento ABF, quale strumento alternativo alla giustizia ordinaria, deve essere
capace di offrire anche allo sprovveduto consumatore, non tenuto all’onere di munirsi dell’assistenza legale, una tutela
sostanziale rapida ed efficace dei suoi diritti”.
2 Condivisibili, sul punto, le considerazioni di E. MINERVINI, Gli strumenti di risoluzione stragiudiziale delle
controversie in materia bancaria e finanziaria, in I contratti bancari, a cura di Capobianco, Torino, 2016, p. 715 ss.

1
stravolgimento dei princìpi e delle regole fondamentali del processo civile. Il punto, come subito si
vedrà, è stato ben chiarito dal Collegio di Coordinamento, a proposito del dovere di collaborazione
dell’intermediario al funzionamento della procedura, la cui violazione può sì essere qualificata
come “inadempimento”, ma non certo legittimare un superamento del principio dell’onere della
prova e, dunque, determinare la soccombenza in giudizio.
Proprio l’obiettivo di assicurare una tutela effettiva dei clienti rende ineludibile il confronto e il
raccordo con l’autorità giudiziaria e con i suoi precedenti, soprattutto di legittimità, non potendo
l’Arbitro “isolarsi” dal sistema della tutela giurisdizionale dei diritti, se non rinunciando alla sua
funzione (anche “prognostica”) e alla sua autorevolezza3.
Quest’ultimo aspetto, d’altronde, si apprezza, inevitabilmente, nella dialettica con l’autorità
giudiziaria, in termini di consonanza degli orientamenti e, auspicabilmente, di reciproca interazione.
La composizione dei Collegi, sotto questo profilo, dovrebbe assicurare una particolare competenza
tecnica – poi, specifica nel settore lato sensu bancario –, che, a sua volta, dovrebbe essere adeguato
presidio di indipendenza e di autonomia, anche rispetto alle posizioni assunte dalla giurisprudenza
di legittimità. L’esperienza e la professionalità dei componenti dei Collegi, a loro volta, dovrebbero
legittimare la prospettiva di un dialogo, anche rispetto a posizioni della Corte di Cassazione,
suscettibili di ripensamento, eventualmente in vista di una pronuncia delle Sezioni Unite, come,
proprio di recente, è accaduto, nel settore bancario e dell’intermediazione finanziaria, con la
vicenda del c.d. contratto monofirma4.
È, questo, un punto delicato, dovendo l’Arbitro – e, poi, i singoli componenti dei Collegi, ciascuno
portatore di una sua “visione”, al di là della fonte della designazione – contemperare la legittima e
doverosa aspirazione all’autonomia di giudizio, con la funzione, per così dire, istituzionale, di
“tutela prognostica” del cliente, in vista di un eventuale contenzioso dinanzi all’autorità giudiziaria
e, dunque, anche nell’auspicabile prospettiva di una prevenzione e “dissuasione”, in ragione della
corretta individuazione della soluzione conforme al diritto5.
Il rapporto fra ABF e giurisdizione, dunque, si rivela quanto mai complesso e difficilmente

3 E cfr., infatti, da ultimo – proprio in tema di usura – , la pronuncia del Coll. Coordinamento, n. 7440/2018, pubblicata
in questa Rivista, 2018, II, 791, con nota di AULETTA, … il sole e l’altre stelle: è la giurisdizione quella del «sistema»
dell’ABF? . Sul punto cfr. infra, § 3.
4 Il riferimento è alla nota pronuncia di Cass., Sez. Un., 18 gennaio 2018, n. 898 (in Riv. dir. comm., 2018, II, 327, con
nota di A. TUCCI, La forma dimidiata nei contratti bancari e di investimento), che ha “ribaltato” l’orientamento
consolidato della Prima Sezione, in merito al problema della validità dei contratti di investimento (art. 23 T.U.F.) e dei
contratti bancari (art. 117 T.U.B.) sottoscritti dal solo cliente. Per la tesi della nullità si erano pronunciate, di recente,
Cass., 24 marzo 2016, n. 5919; Cass., 11 aprile 2016, n. 7068; Cass., 27 aprile 2016, n. 8395, in Corr. giur., 2016,
1110, con nota di A. TUCCI, Conclusione del contratto e formalismo di protezione nei servizi di investimento. Alle
medesime conclusioni erano pervenute le pronunce di Cass., 16 maggio 2016, n. 10331, e di Cass., 3 gennaio 2017, n.
36.
5 Significativa e di notevole utilità, anche pratica, sul punto, è la Relazione sull’attività dell’Arbitro Bancario e
Finanziario (anno 2017), la cui parte seconda dedica ampio spazio al confronto fra le decisioni dell’Arbitro e quelle
della giurisprudenza, sulle principali questioni di diritto bancario affrontate dall’Arbitro.

2
inquadrabile in termini del tutto appaganti, sol che si consideri l’interazione e la problematica
conciliazione fra la funzione prognostica e la necessaria autonomia di giudizio dei componenti dei
collegi. La prima dovrebbe indurre a un atteggiamento tendenzialmente ossequioso, rispetto a
orientamenti consolidati della giurisprudenza. La (legittima e doverosa) rivendicazione di una
autonomia di giudizio, d’altronde, potrebbe suggerire prese di posizione, se non proprio “eversive”,
quanto meno “dialoganti”, allorché orientamenti giurisprudenziali (apparentemente) consolidati
appaiano non conformi alla disciplina positiva, evidentemente così come ricostruita e interpretata
dai componenti dell’Arbitro. Quest’ultimo, pertanto, concorre alla formazione delle regole di
settore, non in virtù di un’investitura formale, bensì per effetto di quell’insopprimibile
“concorrenza” fra diversi attori dell’esperienza giuridica, secondo un approccio “pluralistico”
dell’ordinamento e delle fonti del diritto.
Non sembra fuori luogo, al riguardo, l’evocazione della teoria dei “formanti dell’ordinamento” –
cara alla riflessione comparatistica – per sintetizzare la difficoltà, se non proprio l’impossibilità, di
individuare con certezza e in termini netti la regola vigente, in un dato contesto giuridico, sulla base
della considerazione esclusiva delle fonti di produzione formalmente riconosciute. L’ABF si
aggiungerebbe, dunque, al novero dei formanti tradizionali del diritto bancario; il che, per vero, non
dovrebbe destare scandalo, proprio alla luce dell’insegnamento dell’Autore cui si deve questa
suggestiva e, per certi aspetti, illuminante visione dell’ordinamento giuridico, volta a dimostrare
l’inesistenza di un “principio di unicità della regola di diritto”6.
2. Nei primi due lustri di attività, la natura giuridica dell’ABF e il suo inquadramento nella
“amministrazione della giustizia” hanno formato oggetto di approfondite – e, talora, finanche
polemiche – discussioni fra gli studiosi del diritto sostanziale e del processo civile, oltre che di
significative prese di posizione dello stesso Arbitro, peraltro non sempre, poi, condivise (oltre che
dalla dottrina) dalla giurisprudenza7.
La questione evocata non ha rilevanza meramente teorica, riverberando i suoi effetti anche


6 Cfr. SACCO, Introduzione al diritto comparato, Torino, 1991; ID., Formante, in Dig. priv., Torino, 1992, VIII, p. 438;
SACCO (– GAMBARO), Sistemi giuridici comparati, Torino, 2002, p. 4 ss. Di “nuovo ‘formante’ settoriale del diritto
dell’intermediazione bancaria” discorrono CONSOLO – STELLA, Il ruolo prognostico-deflattivo, irriducibile a quello
dell’arbitro, del nuovo ABF, “scrutatore” di torti e ragioni nelle liti in materia bancaria, in Corr. giur., 2011, p. 1654.
7 Il riferimento è, innanzi tutto, alla nota ordinanza della Corte Costituzionale del 21 luglio 2011, n. 218, in Corr. giur.,
2011, p. 1653 ss., che ha escluso la natura propriamente giurisdizionale dell’Arbitro. In dottrina, cfr., tra gli altri,
CONSOLO – STELLA, L’«arbitro bancario finanziario» e la sua «giurisprudenza precognitrice», in Società, 2013, p. 185
ss.; GUIZZI, Chi ha paura dell'Abf? (Una breve risposta a «La giustizia nei rapporti bancari finanziari - La prospettiva
dell'Adr»), in questa Rivista, 2010, I, p. 665; ID., Il valore delle decisioni dell’ABF (e dell’ACF) in un libro recente, in
ODCC, 2016, p. 567 ss.; AMOROSINO, La regolazione pubblica delle banche, Milano, 2016, p. 191 ss.; AULETTA, Art.
128 bis, in Commento al t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia - D.leg. 1º settembre 1993 n. 385 e successive
modificazioni, a cura di Costa, Torino, 2012; CAPRIGLIONE, La giustizia nei rapporti bancari e finanziari - La
prospettiva dell'Adr, in questa Rivista, 2010, I, p. 261 ss.; DE CAROLIS, L’ABF: profili istituzionali e attività dei collegi,
in CAPRIGLIONE - PELLEGRINI, ABF e supervisione bancaria, Padova, 2011, p. 75 ss.; PELLEGRINI, Art. 128 bis, in
Commentario al testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, a cura di Capriglione, Milano, 2018.

3
sull’attività dell’Arbitro, sotto diversi profili e, in particolare, per quanto concerne:
(i) i limiti della tutela (accertamento, condanna, costitutiva);
(ii) l’applicazione di princìpi e regole che governano il processo civile (in particolare: diritti,
obblighi e oneri delle parti nel procedimento).
Il primo aspetto evidenziato – che, per vero, ricorre talora nelle discussioni dei singoli Collegi – è,
forse, un falso problema (recte: un problema, formalmente, male impostato), ove si consideri che –
come sottolineato anche dalla Corte Costituzionale – le “decisioni” dell’ABF non sono (di per sé)
idonee a incidere, immediatamente, sulle situazioni giuridiche delle parti. Il che, evidentemente,
rende del tutto teorica la distinzione fra le diverse tipologie di tutela, appunto, giurisdizionale, al
fine di riconoscere ovvero escludere l’ammissibilità di decisioni di natura costitutiva ovvero recanti
la condanna a un facere. In altri termini, un’eventuale pronuncia dell’Arbitro, recante la “condanna”
dell’intermediario a porre in essere una determinata condotta, sarà pur sempre una (mera)
“prognosi” del futuro esito di una possibile controversia giudiziaria. L’inidoneità delle decisioni
dell’Arbitro a modificare le situazioni soggettive delle parti 8 , d’altronde, rende “inutile” una
pronuncia costitutiva, anch’essa destinata a rivestire un valore puramente prognostico, rispetto a
una futura ed eventuale controversia giudiziaria.
In questa sede, può rivelarsi, piuttosto, di qualche interesse affrontare gli ulteriori profili, lato sensu,
procedimentali, prendendo le mosse dai provvedimenti dell’Arbitro, nella sua composizione più
“autorevole”, ossia il Collegio di Coordinamento, la cui istituzione, peraltro, è già, di per sé,
sintomatica di una naturale vocazione dell’Arbitro a un inquadramento istituzionale della propria
attività decisoria, ad instar di quanto previsto dall’ordinamento giudiziario, anche in termini di
interessi protetti (prevedibilità delle decisioni e, conseguente, “orientamento” dei destinatari delle
decisioni medesime).
Le Disposizioni emanate dalla Banca d’Italia enfatizzano, al riguardo, la tendenziale vincolatività
delle decisioni del Collegio di Coordinamento per i singoli collegi territoriali, precisando che questi,
ove intendano discostarsi da una decisione del Collegio di Coordinamento, siano tenuti a esplicitare,
in sede di motivazione della decisione, “le ragioni per le quali ritengono che le specificità del caso
concreto rendono necessaria una soluzione diversa da quella a suo tempo adottata dal Collegio di


8 Appare, per vero, più corretto il riferimento alla modificazione, evocativo del potere dell’autorità giudiziaria di
costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, nei casi previsti dalle legge (art. 2908 c.c.). Una forma di
“incidenza” sulle situazioni soggettive delle parti, in effetti, sembra pur sempre ascrivibile alle decisioni dell’Arbitro,
soprattutto rispetto alla condotta futura dell’intermediario, in ragione della pubblicità dell’inadempimento e della
funzione “informativa” delle decisioni, rispetto all’esercizio della vigilanza. Per una lettura più “forte” degli effetti
giuridici delle decisioni, cfr. GUIZZI (nt. 7), p. 571, ove l’equiparazione al lodo irrituale, in contrapposizione alla tesi
della natura non vincolante e meramente “prognostica”, sostenuta da STELLA, Lineamenti degli Arbitri Bancari e
Finanziari (in Italia e in Europa), Padova, 2016, spec. p. 120 ss.

4
coordinamento” 9 . Il margine di autonomia del singolo Collegio territoriale, dunque, parrebbe
confinato alla possibilità di una decisione difforme, in ragione delle specificità del caso concreto,
non anche per la non condivisione del principio enunciato. Per questo aspetto, il procedimento ABF
parrebbe evidenziare un maggior “rigore”, rispetto a quanto previsto nel processo civile dall’art.
374, 3° co., c.p.c., non contemplando “l’obbligo alternativo” di ossequio al precedente ovvero di
rimessione al Collegio di Coordinamento10. In sede di applicazione, peraltro, non sono mancati casi
di nuova rimessione al Collegio di Coordinamento, da parte di collegi territoriali, che non
condividevano il principio di diritto enunciato; il che parrebbe smussare le differenze nelle regole
operative11.
Da ultimo, l’istituzione dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie comincia a far emergere
problemi di possibili “conflitti negativi” di giurisdizione, rispetto a fattispecie di confine, fra i
servizi bancari/finanziari e i servizi di investimento (e.g., il servizio di custodia titoli e
amministrazione ex art. 1838 c.c.)12.
2.1. Si è avuto modo di osservare che l’Arbitro sconta, per così dire, ab origine, la duplicità di
funzioni cui è preposto.
Oltre a risolvere, in concreto e secondo diritto, controversie fra clienti e intermediari finanziari, in
effetti, l’Arbitro è chiamato a completare, integrare e, per così dire, “attuare” la trasparenza
bancaria, anche in termini di raccordo con la Autorità di vigilanza, per quanto riguarda, in
particolare, l’accertamento della corretta applicazione della disciplina di tutela del cliente e il
miglioramento delle relazioni con gli intermediari, in ossequio alle finalità indicate nell’art. 127
T.U.B. L’ABF, dunque, è anche un’istituzione della trasparenza bancaria, nel duplice senso di
trasparenza delle condizioni contrattuali e di trasparenza e correttezza dei rapporti fra intermediari e
clienti, la cui attività è destinata a coprire tutti i contratti bancari e finanziari (diversi dai servizi di

9 Cfr. Disposizioni, cit., Sez. III, § 5. Nella bozza delle nuove Disposizioni – sottoposta a consultazione pubblica – è
prevista, inoltre, l’istituzione (rectius: la “formalizzazione”) della Conferenza dei Collegi, con funzioni di confronto e
approfondimento delle principali questioni emerse nell’attività decisoria dei singoli collegi.
10 Sul “vincolo del precedente”, nel rapporto fra sezioni semplici e sezioni unite della Corte di Cassazione –
successivamente alla novella del 2006 – cfr. BRIGUGLIO, Appunti sulle sezioni unite civili, in Riv. dir. proc., 2015, p. 33
(ove la locuzione riportata fra virgolette nel testo); AMOROSO, La Corte di cassazione ed il precedente, in La
Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, a cura di Acierno – Curzio – Giusti, Bari, 2015,
p. 56, il quale si esprime in termini di “vincolo negativo” e di “forma debole della regola dello stare decisis”.
11 Si veda la vicenda decisa da Coll. Coordinamento, dec. 8 giugno 2018, n. 12832, relativa alla questione dei rimedi
applicabili in caso di mancato inserimento di una voce di costo all’interno del TAEG, in operazioni di credito ai
consumatori. Il Collegio di Roma aveva rimesso nuovamente la questione già decisa da Coll. Coordinamento, dec. 18
febbraio 2016, n. 1430, non condividendo la statuizione relativa all’applicazione congiunta dei commi 6 e 7 dell’art.
125 bis, T.U.B., nel caso di mancato inserimento nel TAEG dei costi di una polizza di assicurazione “obbligatoria”. Il
Collegio di Coordinamento ha ribadito la soluzione già accolta, in merito all’applicazione congiunta dei commi 6 e 7 e
conseguente integrazione legale del contratto e applicazione del tasso sostitutivo.
12 Significativo, al riguardo, è il disposto dell’art. 4, co. 4, del Regolamento di attuazione dell’articolo 2, commi 5-bis e
5-ter, del decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, concernente l’Arbitro per le Controversie Finanziarie (ACF):
“L’Arbitro promuove forme di collaborazione con gli altri organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie,
anche al fine di risolvere questioni relative alla delimitazione delle reciproche competenze”.

5
investimento), informando i rapporti di questa “chiave di lettura”.
Non può dirsi casuale, d’altronde, la collocazione delle disposizioni di rango primario che
contemplano l’Arbitro (recte: i “sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la
clientela”) nel contesto delle “Regole generali e controlli”, nel Capo III del Titolo VI del Testo
Unico Bancario, in un articolo, il 128 bis, che segue quello dedicato ai “Controlli” della Banca
d’Italia, volti a “verificare il rispetto delle disposizioni” contenute nel medesimo titolo VI, e
precede l’importante disciplina delle “Misure inibitorie”, nel caso di accertate irregolarità
nell’esercizio dei controlli (art. 128 ter).
In tal senso depongono anche le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle
controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari, emanate dalla Banca d’Italia13.
Secondo parte della dottrina, l’ABF sarebbe finanche “fattore interno e fisiologico di produzione di
‘norme bancarie’, dovendo, al contempo, risolvere le controversie propostegli (livello micro) e
produrre “indirizzi di comportamento all’operatività (livello macro)”, specificando clausole
generali, volte a indirizzare la condotta degli intermediari nell’alveo della correttezza dei rapporti
con i clienti. Al tempo stesso, l’attività dell’Arbitro svolgerebbe una funzione strumentale
all’attività di vigilanza della Banca d’Italia, fornendo una sorta di “preistruttoria”14.
Significativa di queste ulteriori funzioni del procedimento ABF è anche la previsione, nelle citate
Disposizioni, secondo cui la decisione dell’Arbitro “può contenere indicazioni volte a favore le
relazione tra intermediari e clienti”. Queste possibili “raccomandazioni non vincolanti”, rivolte agli
intermediari, enfatizzano la funzione dell’ABF di “promotore di best practices”, al di là della
risoluzione stragiudiziale delle controversie15. Il che non legittima l’assunzione di decisioni che
sacrifichino la corretta e rigorosa applicazione del diritto sostanziale, al fine di preservare le
relazioni fra intermediari e clienti; a ciò ostando la regola fondamentale, in virtù della quale le
decisioni dell’Arbitro devono essere assunte secondo diritto. Non a caso, raccomandazioni e
finanche “censure” all’operato dell’intermediario sono riscontrabili anche in provvedimenti di non

13 In particolare, giova richiamare il passaggio delle Premesse, nel quale, testualmente, si legge che “l’attività
dell’ABF, quale sistema alternativo di risoluzione delle controversie, assume rilievo per il conseguimento di obiettivi di
efficienza e competitività del sistema finanziario: meccanismi efficaci di definizione delle liti incentivano il rispetto dei
princìpi di trasparenza e correttezza nelle relazioni con la clientela: migliorano la fiducia del pubblico nei prestatori dei
servizi bancari e finanziari; costituiscono un utile presidio dei rischi legali e reputazionali a beneficio della stabilità
degli intermediari e del sistema finanziario nel suo complesso. Le decisioni dell’ABF sono pubbliche: esse integrano il
più ampio quadro informativo di cui la Banca d’Italia dispone nello svolgimento della propria funzione regolatrice e di
controllo”. Sul “raccordo” con l’Autorità di vigilanza, cfr. la Relazione sull’attività ABF 2017, p. 21: “gli esiti dei
ricorsi contribuiscono all’attività di supervisione sul sistema bancario e finanziario”. In argomento, oltre ai contributi
citati supra, nt. 7, cfr. lo spunto che si legge in SANTONI, I costi organizzativi ed economici delle discipline di
trasparenza, in La trasparenza bancaria venticinque anni dopo, a cura di Barenghi, Napoli, 2018, p. 84.
14 Cfr. DOLMETTA, Trasparenza dei prodotti bancari. Regole, Bologna, 2013, pp. 25-27. In senso analogo, cfr., da
ultimo, CAGGIANO, L’arbitro bancario finanziario, esempio virtuoso di degiurisdizionalizzazione, in Nuova giur. civ.
comm., 2017, p. 452.
15 Cfr. E. MINERVINI (nt. 2), pp. 712-713.

6
accoglimento del ricorso, con conseguente “scissione” fra attività propriamente decisoria e attività
di indirizzo.
Per questo aspetto, l’ABF incide (pur se indirettamente) sulla tutela giurisdizionale dei diritti, in
termini di “prevenzione” e “completamento”. Sotto il primo profilo, la funzione di orientamento
degli intermediari e degli stessi clienti dovrebbe manifestarsi anche indirettamente, in termini di
prognosi attendibile dell’esito di una futura controversia, con effetto dissuasivo di condotte
illegittime e di instaurazione di controversie dall’esito verisimilmente infausto.
L’Arbitro, tuttavia, non può essere ridotto a una mera istituzione deflattiva del carico giudiziario,
ove si consideri l’ulteriore funzione, tutt’altro che secondaria, di intercettare e soddisfare un
bisogno di giustizia, rispetto a conflitti di interessi che difficilmente approderebbero nelle aule di
giustizia, in ragione dello squilibrio nel rapporto costi/benefici attesi, che scoraggia il cliente
dall’intraprendere un’azione giudiziaria, pur in presenza di condotte illecite degli intermediari (si
pensi alle controversie relative a consegna di documenti, oneri commissionali, finanziamenti contro
cessioni del quinto dello stipendio o della pensione; queste ultime pressoché ignote al giudice
ordinario) 16 . Emerge, così, la fondamentale funzione di riequilibrio o, meglio, attenuazione
dell’insopprimibile squilibrio nei rapporti fra intermediari e clienti, anch’essa riconducibile ai
princìpi informatori della trasparenza bancaria, soprattutto in quella di “seconda generazione”,
successiva alla crisi finanziaria di inizio millennio. Questo aspetto è, per così dire, immanente al
sistema ABF, che si caratterizza per la diversa posizione delle parti, rispetto all’impulso e alla
partecipazione al procedimento e anche alle spese dello stesso. Il che non significa, ovviamente,
parzialità dell’Arbitro, che decide secondo diritto, assicurando pari opportunità alle parti. Una tutela
sbilanciata a favore del cliente, d’altronde, non sarebbe effettiva, se non altro perché non
prognostica dell’esito di un eventuale contenzioso dinanzi all’autorità giudiziaria.
2.2. Un ulteriore fattore da tenere in considerazione per cogliere le peculiarità del procedimento
ABF attiene ai limiti della fase istruttoria e, in particolare, all’inammissibilità di prove costituende e
del ricorso a CTU. Queste limitazioni e “contrazioni” del contraddittorio – giustificabili nel
contesto di un procedimento volto a fornire una tutela “effettiva”, ma (o, forse, anche in quanto)
“rapida” ed “economica” (art. 128 bis, co. 2, T.U.B.) – rendono inevitabile una applicazione
“flessibile” di princìpi e regole del processo civile (si pensi, ad esempio, ai problemi in tema di
disconoscimento della sottoscrizione di documenti ovvero alla produzione e valutazione di perizie

16 Coglie bene questo aspetto GUIZZI, Il valore delle decisioni dell’ABF (e dell’ACF) in un libro recente, in Orizzonti
dir. civ. comm., 2016, p. 567, riprendendo una riflessione di ASCARELLI, Economia di massa e statistica giudiziaria, in
questa Rivista, 1954, I, p. 84. Sui limiti dell’intervento dell’Arbitro in materia, cfr., peraltro, le considerazioni di
BARENGHI, Note sulla trasparenza bancaria, venticinque anni dopo, in questa Rivista, 2018, I, p. 143 ss. In generale,
sull’evoluzione della trasparenza nel mercato bancario e finanziario, cfr. ALPA, La trasparenza dei contratti bancari,
Bari, 2003, p. 17 ss.; DE POLI, La contrattazione bancaria, Padova, 2012, p. 76 ss.; ID., Contrattazione bancaria e
«dorsale informativa», in Riv. dir. comm., 2016, II, p. 363 ss.

7
di parte, nelle controversie in tema di inadempimento del fornitore nei contratti di credito collegati,
ex art. 125 quater T.U.B.).
Le considerazioni sin qui svolte trovano riscontro nelle pronunce dell’Arbitro, sia a livello di
enunciazione di princìpi e regole generali, sia in sede di loro applicazione, nella soluzione di
controversie concrete.
In particolare, emblematiche di questa dialettica fra princìpi/regole generali e “adattamenti”, alla
luce delle peculiarità del procedimento sono le decisioni del Collegio di Coordinamento n. 10929
del 15.12.2016 e n. 7716 del 29.6.2017, nelle quali l’Arbitro ha ribadito la natura decisoria e
secondo diritto del sistema ABF e l’applicazione al relativo procedimento dei princìpi fondamentali
sulla tutela giurisdizionale dei diritti (artt. 2907, cod. civ., 112 cod. proc. civ.), chiamati a integrare
le scarne e, inevitabilmente, lacunose disposizioni che regolano il procedimento dinanzi all’Arbitro.
L’applicazione dei predetti princìpi, peraltro, deve avvenire “nei limiti della compatibilità”.
In questa prospettiva, le statuizioni di portata generale, relative all’applicazione dei princìpi
dell’onere della prova e della disponibilità della prova, coesistono con il possibile ricorso, da parte
dei Collegi, a forme di integrazione delle prove, mediante richiesta di chiarimenti e, in particolare,
di ulteriore documentazione, anche per supplire a riscontrate lacune nella produzione documentale.
[cfr. art. 7, co. 3, del Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF].
Il rigore dei princìpi di cui agli artt. 117 c.p.c. e 2697 c.c. risulta attenuato, nel procedimento
dinanzi all’ABF, anche in ossequio all’esigenza di flessibilità, che costituisce il pregio degli
strumenti alternativi di risoluzione delle controversie, nonché all’obiettivo di riequilibrio delle
asimmetrie delle posizioni delle parti, che contraddistingue la procedura ABF, in vista della
realizzazione di una giustizia sostanziale17.
Coerente con quest’ultima finalità, ma senz’altro “dissonante”, rispetto a una rigorosa applicazione
del codice di rito, è la previsione, in virtù della quale la condotta dell’intermediario, che non
fornisca la documentazione richiesta dall’Arbitro, costituisce inadempimento, ai sensi e per gli
effetti di cui alle menzionate Disposizioni, Sez. VI.4 (“Pubblicità dell’inadempimento”) 18.
Sul punto, il Collegio di Coordinamento non ha mancato di cogliere e sottolineare “questo singolare
dovere collaborativo attribuito all’intermediario (ben eccedente il limite del dovere di lealtà
sancito nell’art. 88 c.p.c., e) il cui mancato assolvimento è sanzionato nelle citate Disposizioni”19.
Al riguardo, il Collegio ha, peraltro, chiarito che l’obbligo di cooperazione dell’intermediario,

17 Aspetto, questo, ben colto da E. MINERVINI (nt. 2), p. 711.
18 Ai sensi delle richiamate Disposizioni, “viene resa pubblica, altresì, la mancata cooperazione al funzionamento della
procedura da parte dell’intermediario. Tra i casi di mancata cooperazione rientrano, ad esempio, l’omissione o il ritardo
nell’invio della documentazione richiesta che abbiano reso impossibile una pronuncia sul merito della controversia, o il
mancato versamento dei contributi previsti”.
19 Cfr. Coll. Coord., dec. n. 7716/2017, nonché, da ultimo, ABF Bologna dec. n. 10551/2018.

8
rispetto alla documentazione rilevante per la decisione, è finalizzato esclusivamente a consentire di
pervenire celermente a una decisione nel merito e non può condurre a una inversione della
distribuzione dell’onere della prova, rendendo non controversi i fatti allegati dal ricorrente, in
spregio ai princìpi cardine del processo civile e, in particolare, alla regola enunciata dall’art. 115,
c.p.c., in merito alla non contestazione specifica dei fatti dalla parte costituita. Se, d’altronde, la
contumacia dell’intermediario non costituisce, di per sé, condotta rilevante, rispetto alla decisione
della controversia, l’atteggiamento non collaborativo o, peggio, ostruzionistico, anche nella fase del
reclamo, può fornire al Collegio “argomenti di prova”, ex art. 116 c.p.c.
Diverso è il caso in cui alla mancata costituzione consegua la mancata prova di un elemento
costitutivo di una possibile eccezione non rilevabile d’ufficio20.
2.3. Le considerazioni di carattere generale sin qui svolte trovano un significativo riscontro
applicativo nel contenzioso in materia di finanziamenti mediante cessione del quinto dello stipendio
o della pensione, che impegna, per vero, in misura preponderante l’Arbitro (almeno in termini
puramente quantitativi).
Al riguardo, il Collegio di Coordinamento – nella ricordata decisione n. 7716/2017 – ha avuto
occasione di fornire importanti precisazioni in merito alla distribuzione dell’onere della prova, in
sede di domanda di riduzione del costo del credito, nel caso di estinzione anticipata, ex art. 125
sexies T.U.B. Il rigore delle statuizioni di portata più generale è, per così dire, temperato, dalla
distinzione fra “prova mancante” e “prova incompleta”, che si traduce in un’apertura a forme di
integrazione documentale, anziché – in ossequio a una rigorosa applicazione del principio
dell’onere della prova – nel rigetto del ricorso.
In applicazione di questi princìpi, il Collegio di Coordinamento ha escluso che dal dovere di
cooperazione, in capo all’intermediario, possa desumersi un obbligo di mettere a disposizione
dell’Arbitro la documentazione rilevante, a supporto dei fatti affermati dal ricorrente, il quale non si
sia avvalso dei pur incisivi strumenti all’uopo offerti dal Testo Unico bancario (artt. 117 e 119). Il
ricorrente che non abbia fornito la prova dei fatti costitutivi della pretesa – l’avvenuta conclusione
di un contratto di finanziamento, la sua estinzione anticipata e la presenza di voci di costo
rimborsabili, in quanto riferibili all’intero svolgimento del rapporto (c.d. costi recurring) – è
destinato a soccombere, nel giudizio, ove alla carenza probatoria non abbia sopperito
l’intermediario e al di fuori dei casi in cui sia applicabile il criterio della “vicinanza della prova”.
L’apparente rigore di questa statuizione di portata generale – peraltro destinata a una applicazione
in concreto, da parte dei singoli Collegi – è, tuttavia, mitigata dalle precisazioni in merito alla
“prova documentale non sufficiente (meglio: incompleta) del diritto affermato”.


20 Cfr. Coll. Coord., dec. n. 10929 del 15 dicembre 2016.

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È, questo, un caso particolarmente evidente di “adattamento” dei princìpi e delle regole del diritto
processuale alle peculiarità del procedimento ABF. Ne è consapevole il Collegio di Coordinamento,
allorché osserva che “in linea concettuale una prova insufficiente equivale a una prova mancante,
ma tale enunciato va coordinato nel procedimento ABF con la non trascurabile regola sancita
nell’art. 8 del Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF, il quale
stabilisce al comma 3 che “ove il Collegio ritenga necessaria una integrazione dell’istruttoria,
dispone la sospensione del procedimento”.
Nel valutare l’opportunità di una integrazione documentale, il Collegio deve tenere conto di alcune
peculiarità del procedimento, che attengono, principalmente, alla inammissibilità dei c.d.
procedimenti istruttori di integrazione, propri del giudizio civile ordinario (come la c.t.u. o
l’interrogatorio libero delle parti), pur essendo ammesso il ricorso a presunzioni. Anche per questa
ragione, non sarebbe, invece, inammissibile la richiesta alle parti di chiarimenti scritti ovvero la
produzione di documenti su specifici fatti, ove ritenuto necessario per la migliore comprensione o
interpretazione di un atto o di un documento già prodotto. È quanto talora avviene, ad esempio,
allorché l’intermediario produca documentazione interna di non immediata intelligibilità e, dunque,
bisognosa di una legenda (es., la registrazione delle singole operazioni di pagamento disconosciute
dal cliente, onde fornire la prova della regolarità formale)21.
In questi e negli altri casi in cui il Collegio ritenga che la parte gravata dell’onere probatorio abbia
fornito una prova documentale “incompleta” del fatto affermato (i.e., un principio di prova) è
considerata ammissibile la sospensione del procedimento per disporre l’integrazione istruttoria.
Siffatto “potere officioso di disporre la esibizione documentale”, pur se estraneo alle regole del
codice di rito, non altera il principio di parità delle parti nel procedimento e realizza una funzione
analoga ad altre forme di integrazione della prova (es., il giuramento suppletorio).
2.4. Un ulteriore e utile banco di prova dei princìpi generali relativi al procedimento è offerto dal
contenzioso relativo alle operazioni di pagamento non autorizzate.
La disciplina sostanziale applicabile (art. 10, d. lgs. n. 11/2010) grava l’intermediario dell’onere di
fornire, innanzi tutto, la prova della corretta autenticazione e della regolarità formale delle
operazioni contestate, onde consentirne l’imputabilità al ricorrente (che le abbia contestate).
Soltanto una volta assolto questo onere probatorio, il Collegio è chiamato a valutare la condotta
delle parti, ex art. 12.


21 Non ammissibile, per contro, sarebbe un intervento “suppletivo” della Segreteria Tecnica, non risultando
condivisibile la tesi secondo cui questa sarebbe titolare di “autonomi poteri istruttori veri e propri” (in questi termini:
MARINARI, La disciplina dell’onere della prova nel procedimento ABF, in Società, 2018, p. 490). La Segreteria
Tecnica, infatti, svolge un ruolo di mero supporto tecnico, senza alcuna influenza sulla decisione. Il Collegio, ove non
messo in grado dalle parti di accertare e valutare i fatti, non potrà demandare alla ST questo compito, così supplendo
alla prova mancante.

10
Ebbene, rispetto a questo genere di controversie, la mancata costituzione può tradursi nella
soccombenza dell’intermediario, ove dalle allegazioni e dalla produzione documentale del
ricorrente non risultino i menzionati requisiti di regolarità delle operazioni. Non si tratta, in questo
caso, di desumere dalla contumacia dell’intermediario argomenti di prova a suo sfavore, bensì di
fare corretta applicazione dei princìpi della disponibilità e dell’onere della prova in materia di
inadempimento delle obbligazioni, ex art. 1218 c.c.22.
Più problematiche le ipotesi – anche queste ricorrenti, nell’ambito delle controversie in materia di
sistemi di pagamento – di non contestazione, da parte dell’intermediario, di circostanze, allegate dal
ricorrente, che non potrebbero, altrimenti, essere provate per testimoni, come, ad es., la condotta dei
funzionari dell’intermediario, in sede di interlocuzione con il ricorrente. Rispetto a questo genere di
problemi, peraltro, la posizione dell’intermediario nel procedimento (costituito ovvero contumace)
potrebbe essere diversamente apprezzata, in virtù del disposto dell’art. 115 c.p.c.; il che potrebbe
attenuare la sensazione che ricorra un’ipotesi di applicazione “flessibile” della regole e dei princìpi
del diritto processuale civile.
Analogamente, può essere di qualche interesse interrogarsi circa l’applicabilità, anche nel
procedimento ABF della regola – di matrice giurisprudenziale –, secondo la quale non sussiste
l'onere di contestare circostanze di fatto che non siano state, a loro volta, specificamente dedotte
dall'altra parte23. Anche in questo caso, potrebbe sorgere il problema dei “limiti di compatibilità” fra
l’applicazione rigorosa di una regola – la non contestazione – indubbiamente “severa”, per la parte
onerata della specifica contestazione 24 , e i margini di “flessibilità” accordati al Collegio,
nell’accertamento dei fatti e nell’applicazione delle regole di diritto sostanziali; queste ultime,
peraltro, di particolare rigore, nei confronti dell’intermediario.
Così, ad esempio, ci si potrebbe chiedere se, nel caso di mera contestazione di specifiche operazioni
di pagamento (i.e., il ricorrente, semplicemente nega di averle autorizzate) l’intermediario sia,
comunque, onerato della prova della regolarità formale delle operazioni medesime – e
l’orientamento dell’Arbitro è, tendenzialmente, in tal senso25 – e se questa regola possa trovare
applicazione – e, dunque, con quali conseguenze – anche nel caso di contumacia dell’intermediario.

22 Cfr. ABF Bologna dec. n. 10551/2018; ABF Bari, dec. n. 27315/2018. L’orientamento dell’Arbitro ha trovato
riscontro nella sentenza della Corte di Cassazione, 3 febbraio 2017, n. 2950, in Giur. it., 2017, 2069, la quale ha statuito
che la disciplina speciale, in tema di strumenti di pagamento, ha esplicitato il principio generale, in tema di onere
probatorio a carico del debitore professionale, nelle azioni di risoluzione contrattuale, risarcimento del danno o
adempimento.
23 Cfr. Cass., 15/10/2014, n. 21847.
24 Come noto, il principio di non contestazione opera, indifferentemente, nei confronti del convenuto, come dell'attore
(cfr. Cass., 3 maggio 2016, n. 8647).
25 Nel caso in cui la prova della regolarità formale delle operazioni sia assolta dall’intermediario, l’assenza, nel ricorso,
di puntuali e circostanziate allegazioni, rispetto alla mera contestazione dell’avvenuta autorizzazione dell’operazione,
può, evidentemente, condurre alla soccombenza del ricorrente. Cfr., ad es., ABF Bari, dec. n. 5213/18 (fattispecie
relativa a un asserito furto dello strumento di pagamento).

11
L’interrogativo, a ben vedere, non attiene esclusivamente alla disciplina del procedimento,
dovendo, probabilmente, essere affrontato alla luce delle regole sostanziali, che distribuiscono fra le
parti l’onere di provare determinate circostanze di fatto (art. 10, co. 1, d. lgs. n. 11/2010).
2.5. Il ricorso all’Arbitro deve essere preceduto da un reclamo preventivo all’intermediario e “deve
avere ad oggetto la stessa questione esposta nel reclamo”26.
Il reclamo, dunque, condiziona non soltanto l’an della decisione nel merito – nel senso che, in sua
assenza, l’Arbitro si arresta a auna pronuncia di inammissibilità del ricorso –, ma incide anche sul
merito della decisione, circoscrivendone l’oggetto e fornendo un importante strumento di
interpretazione della domanda. Al contempo, il reclamo dovrebbe consentire all’intermediario di
avere compiuta contezza delle contestazioni, anche al fine di agevolare una definizione bonaria
della controversia.
La previsione di questa condizione di procedibilità del ricorso non costituisce una inutile
complicazione del procedimento, giustificata da mere finalità deflattive del contenzioso. Al
contrario, le pluralità di funzioni sopra delineate lasciano emergere la riconducibilità anche di
questo elemento alla migliore attuazione della trasparenza bancaria, segnatamente, sotto il profilo
dell’instaurazione di corretti rapporti fra intermediari e clienti.
Le funzioni sopra richiamate presentano margini di sovrapposizione, come emerge dalla casistica,
in tema di rapporti fra reclamo e ricorso, e dalle statuizioni del Collegio di Coordinamento e dei
Collegi territoriali, anche in questo caso, volte a realizzare un accettabile compromesso fra la
rigorosa e “prevedibile” applicazione delle regole procedimentali e la tutela effettiva e “rapida”
delle situazioni giuridiche sostanziali, procedendo a un’interpretazione “funzionale” del requisito in
esame, soprattutto per quanto riguarda il profilo della identità di questioni evocate, ammettendosi
una non perfetta coincidenza, ove, comunque, risulti che l’intermediario abbia avuto piena contezza
delle doglianze del cliente e sempre che le domande formulate nel ricorso non modifichino la
questione articolata nel reclamo27.
La funzione di ausilio nell’interpretazione della domanda si coglie anche rispetto a ricorsi non
recanti una puntuale articolazione della domanda e finanche privi di una vera a propria domanda,
ove, dall’esame congiunto del reclamo e del ricorso, sia comunque possibile desumere la doglianza
e la pretesa del cliente28.
3. Si è avuto modo di evocare il problema della “autorità/autorevolezza” delle decisioni
dell’Arbitro, sottolineando l’importanza del confronto con la giurisprudenza di merito e di


26 Cfr. art. 4 della del. Cicr del 29 luglio 2008, n. 275, nonché Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale
delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari di Banca d’Italia, Sez. IV, par. 1
27 Cfr. Coll. Coord., dec. n. 1896 del 26.2.2016; Coll. Bari, dec. 25.9.2018, ric. n. 37086/18.
28 Cfr., ad es., Collegio di Milano, n. 7228 del 05/04/2018; Collegio di Milano, decisione n. 8050/14 del 05/12/2014.

12
legittimità, anche in funzione dell’auspicabile effetto di “orientamento” della futura condotta degli
intermediari, con possibili ricadute positive, fra l’altro, in tema di effetti deflattivi del contenzioso
giudiziario.
Una interessante prospettiva di indagine, in questa direzione, è offerta dal contenzioso in materia di
usura, che ha registrato recenti e importanti prese di posizione della Corte di Cassazione, anche a
Sezioni Unite, e dell’Arbitro.
A quest’ultimo riguardo, si segnala la recente pronuncia del Coll. Coordinamento, n. 7440/2018,
nella quale il Collegio prende atto delle statuizioni delle Sezioni Unite (sent. n. 24675/17), in merito
alla “non configurabilità” dell’usura sopravvenuta e, dunque, alla “non sanzionabilità” (neanche in
sede civile) della condotta della banca, che pretenda il pagamento di interessi successivamente
divenuti superiore al tasso soglia.
Nella precedente pronuncia n. 77/2014, per contro, il Collegio aveva ritenuto di poter ravvisare
nella regola della buona fede in senso oggettivo – letta alla luce del dovere costituzionale di
solidarietà – la “sanzione civilistica” della predetta condotta dell’intermediario, ritenendo, appunto,
contraria alla regola di correttezza la pretesa di percepire interessi attualmente superiori alla soglia
rilevante, pur se originariamente convenuti nei limiti consentiti dalla legge. Una posizione, dunque,
che non si pone nella prospettiva della in/validità del patto (e della “nullità punitiva”, ex art. 1815,
2° co., c.c.), bensì in quella della esigibilità della prestazione in esso dedotta, divenuta
(eccessivamente) “fuori mercato”, secondo una valutazione oggettiva, che si impone alle volontà
delle parti, consacrata nel vincolo contrattuale29. A fondamento di questa soluzione, il Collegio
aveva posto, tra l’altro, il convincimento, secondo cui “la repressione dell’usura ha svolto un ruolo


29 Cfr. ABF, Coll. Coord., dec. 10 gennaio 2014, n. 77, in Riv. dir. comm., 2014, II, p. 284 ss., con nota di GUIZZI,
L’Abf, il problema della «usura sopravvenuta» e il sistema dei rimedi: in cauda venenum. In dottrina, uno spunto nel
senso della inesigibilità della prestazione, alla luce della regola di buona fede, si legge in GAZZONI, Usura sopravvenuta
e tutela del debitore, in Riv. not., 2000, p. 1447 ss. Più di recente, cfr. DOLMETTA (nt. 14), p. 166. In una prospettiva di
portata più generale, cfr. G. PERLINGIERI, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, p. 91
ss. La locuzione “inesigibilità della prestazione” ricorre – nella solco della dottrina tedesca – in MENGONI, Obbligazioni
«di risultato» e obbligazioni «di mezzi» (Studio critico), in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 283 ss. Del medesimo A. cfr.
anche la sintesi della riflessione in Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., Milano, 1988, XXXIX, pp. 1089-
1090, ove il richiamo – non senza qualche riserva, anche di carattere terminologico – all’inesigibilità, quale limite
dell’obbligazione, “distinto da quello previsto dagli artt. 1218 e 1256, e derivante dal divieto di abuso del diritto
implicito nella direttiva di correttezza impartita (anche) al creditore dall’art. 1175, il quale funge qui da autonoma causa
esimente del debitore”. In questa (diversa) prospettiva, l’inesigibilità giustifica l’inadempimento di un’obbligazione, per
cause riconducibili a interessi personali o patrimoniali del debitore, di cui il creditore non può non tenere conto, appunto
in base alla regola di correttezza. In una logica, apparentemente, non troppo dissimile si muove il ragionamento
dell’Arbitro, che evoca pur sempre un interesse del debitore alla “condivisione” dei risultati imputabili al mutamento
del mercato. Quest’ultimo approccio, peraltro, può destare perplessità, sotto il profilo di un’eccessiva “dilatazione”
delle regole applicative desunte dalla direttiva della buona fede, in una dimensione (forse troppo) solidaristica (cfr.
anche infra, nota 30), che non si limita a restringere la posizione debitoria, escludendo comportamenti, rispetto ai quali
la pretesa del creditore contrasterebbe col disposto dell’art. 1175 c.c. (cfr. MENGONI, Obbligazioni «di risultato» e
obbligazioni «di mezzi», cit., che si esprime in termini di “restrizione dell’obbligo primario” del debitore).

13
di calmiere rispetto alla erogazione del credito” 30. Conclusione, questa, decisamente disattesa dalla
pronuncia delle Sezioni Unite, che ha, per contro, enfatizzato la centralità sistematica della
disciplina penalistica di contrasto al fenomeno dell’usura, anche nella ricostruzione della disciplina
civilistica, pur sempre incentrata sulla fattispecie delineata dall’art. 644 cod. pen. Il che renderebbe
inconcepibile – appunto per la rilevanza esclusiva, in sede penale, del momento della pattuizione –
“qualificare scorretta la pretesa in sé di quegli interessi, corrispondente a un diritto validamente
riconosciuto dal contratto”31.
Al di là delle pur rilevanti questioni evocate, in questa sede sembra meritevole di segnalazione il
passaggio nel quale il Collegio di Coordinamento disattende le censure mosse dal Collegio
rimettente alla sentenza delle Sezioni Unite, osservando che “una questione di carattere
pregiudiziale inibisce l’esame nel merito delle argomentazioni addotte dal Collegio rimettente:
L’ABF è tenuto a decidere secondo diritto; al vertice della giurisdizione in Italia è posta la Suprema
Corte di Cassazione, cui la legge fondamentale sull’ordinamento giudiziario del 30 gennaio 1941 n.

30 Il Collegio di Coordinamento enfatizza la componente “solidaristica” della regola di buona fede, giungendo ad
affermare che “il ricorso al principio di buona fede appare il rimedio più congruo al fine di trasferire all’interno di una
rapporto di durata poliennale i vantaggi economici derivanti da una discesa dei tassi di mercato senza alterare in modo
eccessivo l’equilibrio contrattuale, ma armonizzandolo con la funzione equilibratrice propria di un sistema giuridico
assiologicamente orientato”. Sotto questo profilo, peraltro, l’inesigibilità della prestazione (divenuta) ultra-soglia trova
un suo fondamento nel riequilibrio delle posizioni dei soggetti del rapporto, anziché – come si osserva nel testo – nella
valutazione oggettiva dell’ineseguibilità di un rapporto a condizioni che, attualmente, ripugnano all’ordinamento
giuridico. Il richiamo a una non eseguibilità della prestazione – lessicalmente improprio (e, sul punto, cfr., ancora,
MENGONI, Responsabilità contrattuale, cit., p. 1089) –, in quanto contrastante con la valutazione dell’ordinamento
giuridico e, dunque, in una dimensione del tutto oggettiva, si rivela, tutto sommato, non troppo distante dalla logica
sottesa all’art. 1256 c.c., sub specie di impossibilità giuridica e potrebbe, dunque, risultare meno dirompente e, nel
complesso, più appagante, sul piano concettuale e sistematico. Cfr., sul punto, NATOLI, L’attuazione del rapporto
obbligatorio, Milano, 1967, p. 93. In giurisprudenza, con specifico riferimento al tema dell’usura, cfr. l’obiter dictum di
Cass., 22.4.2000, n. 5286, in Foro it., 2000, I, 2180. Su queste problematiche cfr. SEMERARO, Usura bancaria e regole
del mercato del credito, in questa Rivista, 2017, p. 214 ss., la quale critica questa costruzione, tra l’altro, richiamando il
dibattito sul pagamento di interessi divenuti usurari, prima della l. n. 24/2001. In precedenza, cfr., tra gli altri, VETTORI,
Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 33; GENTILI, I contratti usurari: tipologie e rimedi, in
Riv. dir. civ., 2001, I, p. 353.; GUIZZI, Congruità dello scambio e contratti di credito (ancora una breve riflessione sui
rapporti tra mercato e teoria del contratto), in VETTORI (cur.), Squilibrio e usura nei contratti, Padova, 2002, p. 449 ss.
Per un richiamo alla “funzione calmierante nella determinazione del costo del denaro” cfr., da ultimo, DONATO,
Sull’usura nei contratti bancari, in Giust. civ., 2018, p. 994, nonché p. 1020, per la riconduzione delle problematiche
relative alla c.d. usura sopravvenuta nell’alveo della eterointegrazione del regolamento contrattuale, ex artt. 1339 e/o
1374. Questo approccio si muove nel solco delle riflessioni sul “concorso di fonti nella costruzione del regolamento
contrattuale”. Cfr., per tutti, G.B. FERRI, Volontà del privato e volontà della legge nella nullità del negozio giuridico, in
Riv. dir. comm., 1963, II, 284; RODOTÀ, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1970, p. 53 ss.
31 Cfr. Cass., Sez. Un., 19 ottobre 2017, n. 24675, in Foro it., 2017, I, 3274. La statuizione riportata nel testo è
preceduta dall’affermazione, secondo cui “la violazione del canone di buona fede non è riscontrabile nell'esercizio in sé
considerato dei diritti scaturenti dal contratto, bensì nelle particolari modalità di tale esercizio in concreto, che siano
appunto scorrette in relazione alle circostanze del caso. In questo senso può allora affermarsi che, in presenza di
particolari modalità o circostanze, anche la pretesa di interessi divenuti superiori al tasso soglia in epoca successiva alla
loro pattuizione potrebbe dirsi scorretta ai sensi dell'art. 1375 cod. civ.”. Questo passaggio è stato particolarmente
enfatizzato dai sostenitori della rilevanza civilistica della c.d. usura sopravvenuta. Cfr., sul punto, le opposte posizioni
di PAGLIANTINI, L’usurarietà sopravvenuta ed il canone delle ss.uu.: ultimo atto?, in Corr. giur., 2017, p. 1487 ss., e di
GUIZZI, Le Sezioni Unite e il de profundis per l'usura sopravvenuta, ivi, p. 1495 ss., nonché le riflessioni critiche di
ROBUSTELLA, L’usura sopravvenuta al vaglio delle sezioni unite: una radicale soluzione, in Riv. trim. dir. econ., 2018,
II, p. 53 ss. In argomento cfr., da ultimo, BARTOLOMUCCI, Usura sopravvenuta e principio di proporzionalità, Napoli,
2018, spec. p. 79 ss.

14
12 (art. 65) attribuisce la funzione di assicurare ‘l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione
della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni’;
questa funzione è espletata in modo precipuo dalle Sezioni Unite. A ciò consegue che sarebbe
davvero singolare che il Collegio di Coordinamento sostanzialmente ‘riformasse’ una decisione di
tale organismo enunciando principi di diritto in contrasto; ove ciò avvenisse, l’ABF si
collocherebbe automaticamente fuori dal sistema, con inevitabili ricadute sulla sua autorevolezza e
sulla credibilità delle sue decisioni. Per questa ragione determinante questo Collegio ritiene
necessario recepire il dictum delle Sezioni Unite”.
Al di là della (forse troppo) enfatica esaltazione della funzione nomofilattica svolta dalle Sezioni
Unite – che non trova riscontro nell’ambito della giurisdizione ordinaria, rispetto al giudice di
merito, che non sia quello di rinvio, ex art. 384 c.p.c.32 – e delle statuizioni (in parte opinabili) in
merito all’inquadramento dell’ABF nel “sistema” della giurisdizione33, il passaggio cruciale nel
ragionamento del Collegio è ravvisabile nel richiamo alla autorevolezza e alla credibilità delle
decisioni, in termini di attendibile “prognosi” dell’esito di una controversia (che dovesse essere)
devoluta all’autorità giudiziaria. Non è, dunque, il formale inquadramento dell’Arbitro nella
giurisdizione a giustificare la conformazione delle sue decisioni ai dicta delle Sezioni Unite, quanto,
piuttosto, la sua funzione predittiva di una futura ed eventuale azione giudiziaria, che, per questo
aspetto, ne condiziona – anche soltanto in termini di “opportunità” – l’autonomia di giudizio,
nell’individuazione del diritto applicabile34.
Non mancano, d’altronde, prese di posizione dell’Arbitro, che si pongono apertamente in una
posizione dialettica con quelle della giurisprudenza di legittimità, a conferma della rilevata
difficoltà di un inquadramento sistematico dei rapporti fra ABF e giurisdizione del tutto immune da
censure, in ragione della pure riscontrata “polifunzionalità” dell’Istituzione.


32 Cfr., sul punto, le precisazioni di AMOROSO (nt. 10), p. 50 ss.; MANDRIOLI – CARRATTA, Diritto processuale civile,
Torino, 2014, II, p. 631, i quali – con riferimento alla cassazione ex art. 360, 1° co., n. 3 – si esprimono in termini di
“legge del caso concreto”. In giurisprudenza, cfr. Cass., 19 luglio 2002, n. 10622. Resta ferma, ovviamente, la diversa
“funzione di orientamento” delle pronunce, anche alla luce del principio di ragionevolezza di eventuali decisioni
difformi (in questi termini: MANDRIOLI – CARRATTA, Diritto processuale civile, cit., 546, anche con riferimento alla
fattispecie contemplata dall’art. 363 c.p.c.). In giurisprudenza, cfr. Cass., 17 marzo 2014, n. 6086, anche per importanti
precisazioni in merito alla prevalenza del vincolo finanche rispetto a mutamenti intervenuti nella giurisprudenza di
legittimità e per la stessa Cassazione, ove nuovamente investita del ricorso avverso la pronuncia del giudice di rinvio.
33 Su entrambi questi aspetti, si vedano i rilievi critici di AULETTA (n. 3), p. 797, pur se nel contesto di una visione che
riconduce l’ABF al procedimento amministrativo e alla funzione di vigilanza bancaria, svalutando il profilo della
“autorevolezza privata”, a vantaggio della “autorità pubblica” (i.e., la Banca d’Italia). Su quest’ultimo aspetto, cfr. ID.,
La giustizia interna al sistema di vigilanza: funzioni e forme dell’Arbitro, in La trasparenza bancaria venticinque anni
dopo (nt. 13), p. 418.
34 Per certi aspetti, non estranea a questa logica è la regola che inibisce all’Arbitro di pronunciarsi su controversie già
devolute all’Autorità giudiziaria. Non è tanto la formale relazione sussistente fra le due “autorità” a risultare di
impedimento, quanto, piuttosto, l’impossibilità, per l’Arbitro, di svolgere appieno la funzione prognostica e di
orientamento.

15
A quest’ultimo riguardo, merita almeno un cenno la persistente “dissonanza” fra la posizione
dell’Arbitro e quella della Suprema Corte, in merito alla rilevanza degli interessi di mora, rispetto
all’accertamento del superamento del tasso soglia.
L’Arbitro, con due provvedimenti coevi, assunti dal Collegio di Coordinamento nel 2014 (decisioni
n. 3412/14 e n. 3955/14), ha affermato, in termini perentori, l’irrilevanza degli interessi di mora
nell’accertamento del superamento del tasso soglia, salvo il caso di accertamento di una frode alla
legge, desumibile, ad esempio, dalla previsione di termini per l’adempimento eccessivamente
ravvicinati e, pertanto, poco credibili, in una dimensione di fisiologica attuazione del rapporto
contrattuale.
L’orientamento dell’ABF è incentrato, sul piano formale, sulla constatazione tranchante
dell’omessa inclusione degli interessi di mora nella base di calcolo del TEGM e, dunque,
sull’applicazione del c.d. principio di omogeneità nella rilevazione e nella valutazione delle voci di
costo nel TEGM e nel TEG del singolo contratto35. Sul piano sostanziale, l’ABF ritiene decisiva la
diversità di funzione degli interessi moratori (recte: della convenzione sugli interessi moratori),
rispetto agli interessi corrispettivi, ravvisando nei primi la funzione di “liquidazione preventiva e
forfetaria del danno risarcibile in caso di inadempimento di obbligazione pecuniaria”, con
conseguente assimilazione della relativa clausola contrattuale alla penale. Il che renderebbe congrua
l’eventuale applicazione dell’art. 1384 c.c., ad esclusione dei “rimedi” previsti dalla disciplina di
contrasto all’usura, fra i quali, sul versante civilistico, il disposto dell’art. 1815, 2° co., cod. civ. 36.
La giurisprudenza di legittimità è, per contro, costantemente orientata a favore della rilevanza anche
degli interessi moratori, rispetto al superamento del tasso soglia.


35
Cfr. Coll. Coord., dec. n. 3955/14 “«Come [...] sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi convenuti per
una specifica operazione di credito con i “tassi soglia” relativi ad una diversa tipologia di operazione creditizia,
altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito – ai fini della valutazione in chiave di usurarietà – i tassi
moratori che non sono presi in considerazione per la determinazione dei “tassi soglia”, perché in tutti e due i casi si
tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria»”.

36
Nel caso di contratti conclusi con consumatori, la clausola dal contenuto “manifestamente eccessivo” sarebbe
soggetta alla qualificazione in termini di vessatorietà (art. 33, co. 2, lett. f, cod. cons.) e, dunque di nullità (art. 36, co. 1,
cod. cons.). Cfr. Coll. Coord., dec. n. 3955/2014. Nella decisione n. 3412/2014, il Collegio di coordinamento ha
precisato che, al fine di valutare se l’importo della clausola sia manifestamente eccessivo, occorre effettuare una
«valutazione complessiva degli interessi delle parti in chiave di correttezza e buona fede»”. In dottrina, cfr., tra gli altri,
SCOZZAFAVA, Gli interessi monetari, Napoli, 1984, p. 211; OPPO, Lo «squilibrio» contrattuale tra diritto civile e diritto
penale, in Riv. dir. civ., 1999, I, 534; REALMONTE, Stato di bisogno e condizioni ambientali: nuove disposizioni in tema
di usura e tutela civilistica della vittima del reato, in Riv. dir. comm., 1997, I, p. 778, invocando l’art. 1469-quinquies,
cod. civ. (allora in vigore), nei rapporti con i consumatori, e l’art. 1384, cod. civ., in tutti gli altri casi, ferma restando la
possibilità di invocare la frode alla legge (ex art. 1344 cod. civ.), sussistendone i presupposti, con riferimento alla
specifica fattispecie concreta. Non è forse inutile ricordare che, nella Relazione al codice civile (§ 632), la disciplina
contenuta nell’art. 1384 è giustificata proprio con l’intento di “contenere l’autonomia dei contraenti, in modo da
impedire che il risultato dell’accordo sia usurario”. Per una diversa impostazione, cfr. FAUSTI, Il mutuo, in Trattato di
diritto civile del Consiglio nazionale del Notariato, diretto da Perlingieri, Napoli, 2004.

16
A supporto di questa conclusione, la Cassazione adduce, innanzi tutto, un argomento di carattere
letterale, incentrato sul richiamo alla locuzione “a qualunque titolo”, presente nella norma di
interpretazione autentica, introdotta dal D.L. n. 394/2000, e riferita, appunto, agli “interessi”
convenuti dalle parti, al momento della conclusione del contratto.
Sul piano sostanziale (e sistematico), la giurisprudenza svaluta l’asserita diversità funzionale fra
interessi corrispettivi e interessi moratori, a fronte di una omogeneità di “trattamento normativo”,
nel codice civile (art. 1224). Al riguardo, la Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare che la l.
n. 108/96 ha individuato un criterio unitario per l’individuazione del tasso soglia. Anche prima della
novella, d’altronde, il sistema consegnato dal codice civile avrebbe evidenziato un “principio di
omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione”, come emergerebbe
dall’art. 1224, comma 1, c.c., nella parte in cui prevede che, se prima della mora erano dovuti
interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura”.
In questo contesto, il D.L. n. 394/2000 avrebbe definitivamente “risolto la problematica”, appunto
in virtù della precisazione secondo cui gli interessi, “a qualunque titolo”, pattuiti, sono usurari, se
superano il tasso soglia, al momento della convenzione 37.
Le statuizioni relative all’inclusione degli interessi moratori nella verifica del superamento del tasso
soglia hanno avuto un seguito – pur se non unanime – nella giurisprudenza di merito38, e trovano
conforto anche in un obiter dictum della Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla
ipotizzata illegittimità costituzionale del D.L. n. 394 del 200039.
Di recente, la Corte di Cassazione ha, finalmente, affrontato ex professo la questione (ord. 30
ottobre 2018, n. 27442), fornendo una argomentata adesione all’orientamento consolidato e
tentando di farsi carico delle principali obiezioni sollevate dalla dottrina, in parte accolte anche
negli orientamenti dell’ABF.
A questa conclusione la Corte perviene all’esito di una densa analisi storica e sistematica, volta a
dimostrare l’insussistenza di una differenza funzionale fra interessi corrispettivi e interessi


37 Cfr. Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in questa Rivista, 2000, II, 620; Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, in Riv. trim dir.
econ., 2014, II, p. 7 ss., con nota di A. TUCCI. In dottrina, per l’applicabilità della disciplina degli interessi usurari (di
cui all’art. 1815, 2° co., previgente) “a qualunque specie di interessi” cfr. già le considerazioni di LIBERTINI, Interessi,
in Enc. dir., Milano, 1972, XXII, 126, 130, anche per la precisazione – in relazione al disposto dell’art. 1282 cod. civ. –
secondo cui “ben può darsi un patto usurario attinente agli interessi moratori”. Più di recente, cfr. RIZZO, Gli interessi
moratori usurari nella teoria delle obbligazioni pecuniarie, in questa Rivista, 2018, I, pp. 365 ss. e 383 ss.
38 Cfr. Trib. Bari, 17 marzo 2018 (G.U.: Simone), Trib. Bari, 11 gennaio 2018 (G.U.: De Palma); Trib. Bari, 27
settembre 2016 (G.U.: Lenoci). I provvedimenti si leggono in questa Rivista, 2018, II, p. 428 ss.
39 Cfr. Corte Cost., 25 febbraio 2002, n. 29, in Giur. it., 2002, 997. Pur ritenendo irrilevante, nel caso di specie, la
questione, la Corte ha osservato – appunto, incidentalmente – che “ il riferimento, contenuto nell'art. 1, comma 1, del
decreto-legge n. 394 del 2000, agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile - senza necessità di
specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia
riguarderebbe anche gli interessi moratori”.

17
moratori 40 ; tesi, questa, già sostenuta in dottrina, sulla base di una ricostruzione storica del
passaggio all’unificazione dei codici nel 1942, con recepimento delle soluzioni accolte dal codice di
commercio41.
La Corte affronta anche il problema delle modalità di accertamento, in concreto, del superamento
del tasso soglia, per effetto della pattuizione di interessi di mora, affermando che il riscontro
dell’usurarietà degli interessi convenzionali moratori debba essere condotto ponendo a confronto il
saggio degli interessi (di mora) pattuito nel contratto con il tasso soglia calcolato con riferimento
alla tipologia di contratto, senza alcuna maggiorazione o incremento (c.d. mora soglia), non avendo


40 Cfr. Cass., 30 ottobre 2018, n. 27442, in questa Rivista, 2018, II, p. 5: “la corresponsione degli interessi di mora per
il nostro ordinamento ha la funzione di tenere indenne il creditore della perduta possibilità di impiegare proficuamente
il denaro dovutogli. Gli interessi corrispettivi ex art. 1282 c.c. remunerano dunque un capitale di cui il creditore si è
privato volontariamente; quelli moratori ex art. 1224 c.c. remunerano invece un capitale di cui il creditore è rimasto
privo involontariamente: ma tanto gli uni, quanto gli altri, rappresentano - secondo la celebre espressione paretiana -
"il fitto del capitale. Anche gli interessi moratori, pertanto, costituiscono la remunerazione di un capitale, e rientrano
nella previsione degli interessi "promessi o dovuti in corrispettivo di una prestazione in denaro".
41 Cfr. Cass., n. 27442/18 (nt. 40), p. 8 ss. In altri termini, quella che i cultori del diritto positivo sovente rappresentano
in termini di contrapposizione di funzioni di istituti diversi è, storicamente, il risultato del noto fenomeno della
commercializzazione del diritto privato, nella codificazione del 1942. Espressione di questo fenomeno è la disciplina
contenuta negli artt. 1224 e 1282 cod. civ., che costituisce, come noto, l’esito della “fusione” di due discipline –
contenute, rispettivamente, nell’art. 1231 cod. civ. abrogato e 41 cod. comm. del 1882 – all’epoca giustamente
considerate “inconciliabili”, perché frutto di un diverso approccio al problema della “usura pecuniae”. L’art. 1224 c.c.
ha il suo antecedente storico nell’art. 1231 c.c. del 1865 (a sua volta mutuato dall’art. 1153 code civil francese), e
riprende la visione classica civilistica, secondo la quale l’obbligazione legale di pagare gli interessi è conseguenza della
mora. L’art. 1282 c.c. trova il suo referente storico nell’art. 41 cod. comm. e riflette la regola di diritto commerciale,
secondo la quale sui crediti pecuniari liquidi ed esigibili decorrono gli interessi, indipendentemente dalla costituzione in
mora. Cfr., soprattutto, ASCARELLI, Limiti di applicabilità dell’art. 1231 cod. civ., in Riv. dir. comm., 1930, I, 390, per il
rilievo che “l’art. 41 [cod. comm.] offre un fondamento testuale al noto principio generale di diritto commerciale
della presunzione di onerosità delle obbligazioni. / Il fondamento dell’art. 41 non può difatti riporsi solamente nella
normale fruttuosità del danaro, ma deve riporsi anche nella impossibilità pel debitore di goderne gratuitamente; in
una presunzione pertanto di onerosità nelle obbligazioni di danaro”. Sulla base di queste premesse, l’A. sosteneva
la inconciliabilità fra le due discipline e il rifiuto di una liquidazione legale a forfait del danno, nell’ambito di
applicazione dell’art. 41 cod. comm., dovendosi, per contro, estendere alla mora l’eventuale pattuizione
dell’interesse ultralegale convenzionalmente stabilito dalle parti (soluzione poi accolta dal codice civile del
1942). Non di meno, la dottrina commercialistica formatasi nel vigore del codice di commercio del 1882 sottolineò la
diversità di funzione fra gli “interessi moratori”, previsti dal codice civile, e gli “interessi corrispettivi”, contemplati dal
codice di commercio. Secondo la nota definizione di Bolaffio, l’interesse corrispettivo è “l’equivalente dell’utilità che il
debitore ritrae […] dall’uso protratto del capitale monetario di cui il creditore ha diritto di chiedere anche
giudizialmente il pagamento”; l’interesse moratorio è “il risarcimento che il debitore deve al creditore per il ritardo
ingiusto a pagare il proprio debito” (BOLAFFIO, Delle obbligazioni commerciali in generale, in Codice di commercio
commentato, a cura di Bolaffio, Rocco e Vivante, Torino, 1921, 254 ss.). Nel vigore del codice civile del 1942, la
tradizionale distinzione è stata sovente ribadita, pur se con talune significative voci dissenzienti, che opportunamente
hanno rilevato che il profilo del “danno” per il creditore (interessi moratori) e quello del “vantaggio” per il debitore
(interessi corrispettivi) “non si escludono fra loro, sicché sorge l’impressione che l’asserita differenza di funzione si
risolva in una differenza di prospettiva nella considerazione del fenomeno”. Cfr. LIBERTINI, Interessi, loc. cit.;
INZITARI, Obbligazioni pecuniarie, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma 2011, p. 277 ss. Più di recente: U.
SALANITRO, Usura e interessi moratori: ratio legis e disapplicazione del tasso soglia, in questa Rivista, 2015, I, p. 740
ss.; D’AMICO (cur.), Gli interessi usurari. Quattro voci su un tema controverso, Torino, 2016; SEMERARO, Gli interessi
monetari. Utilitas temporis, capitale e scelte di sistema, Napoli, 2013, pp. 97 ss. e 268 ss. Per la tesi della diversità di
funzioni, cfr., tra gli altri, MORERA, Interessi pattuiti, interessi corrisposti, tasso «soglia» e … usuraio sopravvenuto, in
questa Rivista, 1998, II, p. 519 ove il rilievo che la dazione degli interessi moratori, lungi dall’essere data in
corrispettivo di un’altrui prestazione “è in (melius: il) corrispettivo della propria non prestazione (fattispecie dunque
estranea, opposta potrei ben dire, a quella contemplata e sanzionata dalla l. n. 108 del 1996)”.

18
quest’ultima metodologia alcun fondamento positivo, nella disciplina contenuta dall'art. 2 I. 108/96
(nel caso di specie, peraltro, il tasso di mora era, di per sé, superiore al tasso soglia).
Le statuizioni sopra riportate pongono all’interprete qualche problema di coordinamento con la
recente sentenza delle Sezioni Unite, in materia di rilevanza usuraria della commissione di massimo
scoperto, nella quale la Corte ha ribadito l’esistenza, nella disciplina speciale dell’usura, di un
principio di “simmetria” o “omogeneità” fra le entità (“commissioni”, “remunerazioni” e spese”, ex
art. 644, 4° co., cod. pen.) rilevate dai decreti ministeriali e poste a fondamento della
determinazione del TEGM e quelle utilizzate per calcolare il TEG del singolo rapporto, onde
accertare l’eventuale superamento del tasso soglia42. Si noti, peraltro, che le Sezioni Unite non
hanno ritenuto decisivo il richiamo – di per sé ritenuto corretto – al principio di simmetria per
escludere la rilevanza della CMS ai fini anti-usura, anche per i contratti che abbiano esaurito il loro
effetti nel vigore della disciplina antecedente il D.L. n. 185/2008 (art. 2 bis), per di più movendo
dalla condivisione della tesi che esclude la natura interpretativa del menzionato decreto. Al
riguardo, la Corte ha osservato che un’eventuale difformità fra gli elementi presi in considerazione
dalla legge per la rilevazione del TEGM e quelli presenti nei decreti ministeriali si tradurrebbe
nell’illegittimità e nella disapplicazione di questi ultimi43. In questo contesto, la Corte ha, tuttavia,
precisato che la riscontrata difformità e la conseguente disapplicazione dei decreti ministeriali
comporterebbero “problemi quanto alla stessa configurabilità dell'usura presunta, basata sulla
determinazione del tasso soglia sulla scorta delle rilevazioni dei tassi medi mediante un atto
amministrativo di carattere generale”.
La regola giurisprudenziale, che parrebbe emergere dalle riportate statuizioni delle Sezioni Unite è
che l’omessa rilevazione, nei decreti ministeriali, di un elemento che, a norma di legge, deve essere
incluso nel calcolo del TEGM non consente di pervenire, in concreto, a un giudizio di usurarietà,
non potendo l’interprete procedere a una comparazione di dati disomogenei e dovendo, dunque,
arrestarsi dinanzi alla constatazione dell’illegittimità del decreto ministeriale.
Non sembra questa, tuttavia, la posizione della recente ordinanza di Cass., n. 27442/18, che, per
contro, ritiene possibile ipotizzare un superamento del tasso soglia, per effetto della considerazione

42 Cfr. Cass., Sez. Un., 20 giugno 2018, n. 16303, in Corr. giur., 2018, p. 1339 ss. Per una decisa critica di questo
principio, cfr. D’AMICO, “Principio di simmetria” e legge anti-usura, in Contr., 2017, p. 507, ove si argomenta la tesi
della “illogicità” del “preteso” principio. Sulle problematiche evocate nel testo cfr. la riflessione di M. CIAN, Il costo del
credito bancario alla luce dell’art. 2 bis l. 2/2009 e della l. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione
di affidamento, usura, in questa Rivista, 2010, I, p. 182 ss. Più di recente, cfr. ROBUSTELLA, Usura bancaria e
determinazione del «tasso soglia», Bari, 2017, p. 136 ss.
43 Nel caso concreto, la Corte ha escluso che i decreti ministeriali fossero viziati da siffatta “lacuna invalidante” –
avendo, comunque, fornito evidenza separata della commissione –, suggerendo, poi, un metodo “alternativo” e, per certi
aspetti, “originale” di accertamento del superamento del tasso soglia, in conseguenza dell’applicazione della CMS, che
non sembra, peraltro, assimilabile – sul piano metodologico – a quello ipotizzato da Cass., n. 27442/18, come si osserva
infra, nel testo. Le statuizioni delle Sezioni Unite sulle conseguenze dell’omessa rilevazione di una voce di costo
rilevante nei decreti ministeriali costituiscono, dunque, a rigore, un obiter dictum.

19
del “peso” degli interessi di mora, pur in mancanza di una loro “formale”44 rilevazione nei decreti
ministeriali e di una loro inclusione nel TEGM45.
La Corte, infine, in un obiter dictum – posto che, nel caso di specie, la statuizione del giudice di
merito circa la non applicabilità dell’art. 1815, 2° co., non aveva formato oggetto di impugnazione
–, precisa che “nonostante l'identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli
moratori, l'applicazione dell'art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non
sembra sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che
la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa: il che rende ragionevole, in presenza di interessi
convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire secondo le norme
generali al danneggiato gli interessi al tasso legale”.
Quest’ultima affermazione potrebbe essere destinata a suscitare qualche perplessità, ove si consideri
che la Corte sembra dare per scontato che l’art. 1815 c.c. si riferisca esclusivamente agli interessi
corrispettivi – aspetto, questo, tutt’altro che pacifico –, apparentemente rilegittimando, mediante il
richiamo alla diversità di causa, proprio quella contrapposizione funzionale fra i due “tipi” di
interessi, che la Corte stessa ha inteso negare.
Sempre in materia di usura, profili di “dissonanza” fra orientamenti dell’ABF e della Corte di
Cassazione sono riscontrabili anche rispetto al problema della valutazione delle polizze collegate a
finanziamenti, ai fini del superamento del tasso soglia. A fronte di un “allineamento”, sul profilo
della rilevanza anche delle polizze contestuali al finanziamento – per le quali il collegamento è,
semplicemente, presunto –, un elemento di persistente discordanza è ravvisabile nella valutazione
dell’incidenza dei mutamenti intervenuti nelle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, che
soltanto a partire dal 2009 hanno riconosciuto la rilevanza anche delle polizze contestuali, oltre che
di quelle, stricto sensu, obbligatorie. La posizione dell’Arbitro, sul punto, è nel senso che il
carattere innovativo delle Disposizioni “implica necessariamente che, per i contratti stipulati
antecedentemente al 1° gennaio 2010 (data di entrata in vigore delle istruzioni del 2009), occorre


44 Diversa è la “rilevazione a campione” condotta dalla Banca d’Italia, menzionata nei più recenti decreti ministeriali
21 dicembre 2017 e 27 giugno 2018 (nonché nei precedenti, ma soltanto a far data dal 25 marzo 2003). Ma cfr. quanto
si legge in INZITARI (nt. 41), sulla base della “rilevazione separata” degli interessi di mora, a far data dal d.m. 25 marzo
2003, sulla base dell’indagine condotta dalla Banca d’Italia a fini statistici. Ad avviso dell’A., a decorrere da questa
data, per accertare la sussistenza di interessi moratori usurari occorre aumentare della percentuale indicata nei decreti “il
criterio stabilito per la rilevazione degli interessi corrispettivi usurari”. Questa soluzione è, ora, disattesa da Cass., n.
27442/18 (nt. 40, p. 15), come si osserva nel testo. In dottrina, nel senso qui sostenuto, cfr. COLOMBO, Commissione di
massimo scoperto e disciplina antiusura: le Sezioni Unite avallano il principio di simmetria ed impongono la
comparazione separata, in Corr. giur., 2018, p. 1347.
45 La Corte, per vero, riscontra la mancata rilevazione, ai fini del calcolo del TEGM, ma ritiene le circostanza del tutto
fisiologica, poiché gli interessi di mora non sarebbero una “operazione” ovvero un tipo contrattuale, potendo accedere a
qualsiasi tipologia di contratto (cfr. § 1.8.3: il saggio di mora "medio" non deve essere rilevato non perché agli interessi
moratori non s’applichi la legge antiusura, ma semplicemente perché la legge, fondata sul criterio della rilevazione dei
tassi medi per tipo di contratto, è concettualmente incompatibile la rilevazione dei tassi medi "per tipo di titolo
giuridico").

20
applicare la disciplina previgente”. A supporto di questa conclusione, il Collegio osserva che
“l’ABF, deputato a risolvere le controversie insorte tra clienti e intermediari, deve necessariamente
valutare i comportamenti di quest’ultimi e il parametro di riferimento per valutarne correttezza o
meno non può che essere costituito dalle istruzioni della Banca d’Italia in vigore nel momento in
cui essi vengono tenuti”.
Per contro, la Suprema Corte ha ritenuto che le Istruzioni di Vigilanza del 2006, nella parte in cui
escludono la rilevanza delle polizze nelle CQS “contrasta[no] con il principio di onnicomprensività
fissato dall'art. 644 c.p., comma 3, e valevole sia sotto il profilo penale che sotto quello civile,
secondo cui "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni,
remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla
erogazione del credito". Il giudizio di illegittimità si riverbera sui decreti ministeriali recanti i tassi
soglia, sulla base delle rilevazioni della Banca d’Italia46.
Non è questa la sede per approfondire le intricate e controverse questioni evocate. Quel che,
piuttosto, preme evidenziare è la presenza di ampi margini di confronto e, auspicabilmente, di
reciproca “interferenza” fra le posizioni dell’Arbitro e quelle delle giurisprudenza, di merito e di
legittimità.
Sul piano metodologico, ad esempio, l’impostazione seguita dal Collegio di Coordinamento
nell’affrontare il problema della rilevanza degli interessi moratori appare, paradossalmente,
maggiormente “allineata”, rispetto alle recenti statuizioni delle Sezioni Unite sulla commissione di
massimo scoperto, di quanto possa predicarsi per l’ordinanza di Cass., n. 27442/18, che, pure,
perviene a conclusioni conformi all’orientamento (almeno per il momento) consolidato della
giurisprudenza di legittimità.
La vicenda del contratto (bancario o di investimento) privo di sottoscrizione della banca testimonia
la possibilità di un ripensamento anche di posizioni recenti, in virtù della rimessione alle Sezioni
Unite di questioni di particolare importanza, pur in presenza di orientamenti apparentemente
consolidati delle sezioni semplici. Più di recente, la tormentata vicenda della clausola claims made,
nei contratti di assicurazione, ha condotto a due pronunce ravvicinate delle Sezioni Unite, con
statuizioni non del tutto consonanti47.

46 Si vedano, rispettivamente, Coll. Coordinamento, dec. 26 luglio 2018, n. 16291, e Cass., 6 marzo 2018, n. 5160. Sui
rapporti fra contestualià e collegamento fra polizza e finanziamento, ai fini della verifica dell’usurarietà del tasso di
interesse pattuito, cfr. Cass., 5 aprile 2017, n. 8806, in Foro it., 2018, I, 299, le cui statuizioni trovano riscontro nella
decisione di Coll. Coordinamento, 9 gennaio 2018, n. 250.
47 Cfr. Cass., S.U., 6 maggio 2016, n. 9140, in questa Rivista, 2016, II, p. 643, con nota di CORRIAS; Cass., S.U., 24
settembre 2018, n. 22437, in Foro it., 2018, I, 3015, con nota di DE LUCA. Le due pronunce recano statuizioni non del
tutto consonanti, in merito allo spazio applicativo del giudizio di meritevolezza, ex art. 1322, 2° co., c.c., soltanto in
parte ascrivibili al mutamento legislativo medio tempore intervenuto (l. 8 marzo 2017, n. 24). Il possibile contrasto di
precedenti è, peraltro, attenuato dalle statuizioni di Cass., S.U., n. 22437/18 sullo scrutinio delle clausole, anche in base
alla dottrina della “causa concreta”, ricondotta – in termini, per vero, non del tutto convincenti – al disposto del primo

21
In questo contesto di estrema fluidità della “dottrina delle corti”48, la “giurisprudenza dottrinale”
dell’Arbitro potrebbe svolgere un ruolo apprezzabile, anche soltanto nel segnalare eventuali
contraddizioni negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, pur se nel difficile equilibrio
fra le diverse funzioni istituzionali, che si è tentato di fare emergere.


comma dell’art. 1322 c.c. e riletta anche alla luce della disciplina di settore, in termini di adeguatezza (cfr. §§ 16-17).
Su questi aspetti cfr. M. CAMPOBASSO, Evoluzioni e rivoluzioni nella giurisprudenza in tema di assicurazioni claims
made, in corso di pubblicazione in questa Rivista e consultato grazie alla cortesia dell’Autore (spec. § 8); CORRIAS, La
sentenza a sezioni unite del 24 settembre 2018 n. 22437. Più luci che ombre, ivi, spec. §§ 3 e 4.1, il quale segnala anche
l’approccio non del tutto coincidente sul problema del binomio sinistro/rischio.
48 Il rilievo trova riscontro nell’applicazione, da parte della giurisprudenza di legittimità, di tecniche argomentative
tipiche dell’esperienza di common law, al fine di preservare l’affidamento riposto dai consociati anche sul diritto
giurisprudenziale, rispetto a mutamenti “imprevedibili” (“inopinati” e “repentini”, rispetto a un orientamento
consolidato), pur se limitatamente al diritto processuale. Cfr. Cass., S.U., 11 luglio 2011, n. 15144, nonché, da ultimo,
Cass., S.U., 12 febbraio 2019, n. 4135, sull’istituto del prospective overruling, in relazione al problema
dell’impugnabilità del lodo per violazione di regole di diritto, ex art. 829, 3° co., c.p.c., nel caso di convenzione di
arbitrato conclusa prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 40/2006. Sull’argomento evocato nel testo, cfr. BERRUTI, La
dottrina delle corti, in Foro it., 2013, V, 181. Si veda anche lo spunto che si legge in CARPI, Osservazioni sulle sentenze
"additive" delle sezioni unite della Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, p. 587 ss., nonché quanto osservato
supra, nt. 10 e testo corrispondente. In generale, sul problema della tutela dell’affidamento, rispetto al mutamento di
giurisprudenza, nei sistemi di common law, cfr. MATTEI, Stare decisis, Milano, 1988, p. 315 ss.

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