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Vita e Pensiero – Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore is collaborating with
JSTOR to digitize, preserve and extend access to Rivista di Filosofia Neo-Scolastica
Domenico Pesce *
* Università di Parma.
1 Bruxelles 1979.
piacere catastem
distinzione all'in
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tutta la sua teor
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tra loro in apert
tavoli » sia « riu
invocando i testi
e di asceta (fra l
tanto ascetismo)
come il difenso
acqua » 4.
Di questa « grave incoerenza » 5 già si erano accorti gli antichi e in
particolare Cicerone il cui discorso nel secondo libro del de finibus « è in
genere agile, convincente, tale che coglie il nucleo dei problemi e confuta le
tesi epicuree con chiarezza e profondità, mostrandone vividamente le incon-
gruenze talora grottesche » 6. Cicerone in definitiva già anticipa la conclu-
sione cui perviene il Bonelli, e cioè che « Epicuro con l'impiego del termine
di "piacere" perseguiva il superamento verbalistico di una contraddizione
che era viceversa nelle cose. A questo modo egli mistificava l'alterità dei
contrari, garantendo ad essi, come copertura, un'apparenza di unità » 7.
Questa soluzione puramente verbale era inoltre, secondo Cicerone, otte-
nuta facendo violenza all'uso linguistico corrente, perché il termine « piace-
re » ( voluptas ), con cui di solito si designa un movimento che agita grade-
volmente i sensi 8, e cioè il solo piacere cinetico, era piegato ad indicare
altresì una' cosa tutt'affatto diversa, com'è il piacere catastematico, la man-
canza di dolore. A questo modo Epicuro pretendeva di identificare due
posizioni storicamente del tutto diverse, quella cirenaica che pone il sommo
bene nel piacere e quella del peripatetico Ieronimo di Rodi che lo pone
invece nella mancanza del dolore, neìY indolentia, senza per questo ricono-
scere francamente che per lui il sommo bene consisteva non in una cosa
soltanto, ma in due nettamente distinte che debbono sommarsi tra loro9
(ma in realtà del tutto inconciliabili, perché tra loro opposte come opposti
sono il moto e la quiete). «Piacere» viene insomma paradossalmente a
designare per Epicuro due situazioni profondamente diverse tra loro come
sono quella di chi avendo sete sta bevendo e quella di chi invece ha già
estinta la sete e non beve più10.
Per Cicerone incoerenze e contraddizioni si riportavano al disprezzo
che Epicuro professava per la dialettica ed al suo conseguente rifiuto di
11 Ibid., 2.2.4-6.
12 Ecco alcune delle espressioni di cui si vale: « cavilli » (p. 47), « lambiccati proce-
dimenti del pensiero » (p. 50), « cavillosità gesuitica » (p. 55), « luce sinistra » (p. 59),
« fumisterie » (p. 60), « risposte grottesche » (p. 61).
13 E. Bignone, L'Aristotele perduto e la formazione filosofica di Epicuro , 2 voli., 2m
ed., Firenze 1973, vol. I, pp. 666 ss. Cfr. anche p. 356, ove si parla di « contraddizioni ».
14 Ibid., II, p. 94.
15 J.M. Rist, Epicurus. An Introduction, Cambridge 1972, p. 125.
16 V. Goldschmidt, La doctrine d'Ëpicure et le droit, Paris 1977, p. 257.
17 L'Aristotele perduto..., cit., I, pp. 108 e 124 ss.
scuola. Gli altri testi poi di Epicuro che trattano di etica sono scarsissimi,
ond'è che, per la ricostruzione della dottrina del piacere, siamo costretti a
ricorrere ai primi due libri del de finibus di Cicerone ed all'opuscolo di
Plutarco Non posse suaviter vivi secundum Epicurum, è cioè alle esposi-
zioni fortemente critiche (Cicerone per fortuna tiene distinte l'esposizione
dalla critica) di due dichiarati avversari di Epicuro.
Comunque, io mi sforzerò di mostrare come quegli stessi testi su cui si
fonda il Bonelli consentano lina ricostruzione della dottrina del piacere
tutťafřatto diversa, intrinsecamente coerente e molto profonda, in linea con
la tradizione interpretativa di gran lunga prevalente in questi ultimi anni 18,
ma che forse questa interpretazione conduce un poco più innanzi. Si tratta
soprattutto di individuare e di interpretare esattamente quelle che sono le
tesi fondamentali dell'etica epicurea e che perciò ritengo opportuno elen-
care fin dal principio:
1. Il pathos come canone del bene e del male.
2. La divisione del pathos nel piacere e nel dolore e la conseguente
negazione di un terzo stato che non sia né piacere né dolore.
3. Il limite posto dalla natura.
Di particolare importanza è la seconda tesi con la quale Epicuro si
distacca radicalmente dal modo consueto, ai suoi tempi come ora, di pro-
spettare le cose. Chi non avrà afferrato questo punto, chi cioè non abbia
compreso la singolare psicologia di Epicuro, si sarà preclusa ogni possibi-
lità di accesso al suo pensiero, il quale riuscirà certamente discutibile, come
quello di ogni filosofo, ma straordinariamente coerente, come quello di ogni
filosofo serio.
designano dei ge
se di piaceri e di dolori, diversi ad esempio per il corpo e per l'anima,
usando talora vocaboli distinti 24, ma sempre tutti riportando gli stati d'ani-
mo alla distinzione fondamentale del sentire immediato nel positivo e nel
negativo.
Il rifiuto pertanto di definire il piacere, che Cicerone fa risalire al-
l'avversione che Epicuro manifestava per la dialettica e ad una conseguente
supposta scarsa familiarità con quest'arte, nasceva invece dalla convinzione
che il piacere fosse un fatto ultimo e semplice non ulteriormente analizza-
bile. Spiegare il piacere, dimostrare che il piacere vada ricercato (sia cioè il
bene) sarebbe altrettanto impossibile ed inutile quanto pretendere di spie-
gare il caldo o il bianco e dimostrare che il fuoco è caldo e la neve bianca 25 .
In tutti questi casi non c'è bisogno di ricercare ragionamenti, ma basta un
semplice appello all'attenzione perché si rivolga all'esperienza immediata
(Cicerone dice admonere).
e cioè quelli non accompagnati o preceduti dal dolore, come sono, nel
campo del sensibile, il piacere dell'odorato e alcuni piaceri della vista e
dell'udito, e, nel campo dello spirituale, le gioie che si accompagnano alla
conoscenza.
Della negazione di
zione, una fisica e
quella divisione del pathos nel piacere e nel dolore, di cui ho già parlato:
un pathos che non fosse né positivo né negativo sarebbe per Epicuro
inconcepibile, giacché « quisquís... sentit, quem ad modum sit affectus, eum
necesse est aut in voluptate esse aut in dolore » 36 š
Quanto alla giustificazione fisica, essa è desunta dal fatto, di cui pure ho
parlato, che piacere e dolore non sono altro che il rispecchiarsi nella co-
scienza della struttura effettiva dell'organismo vivente nella sua tensione tra
salute e malattia; e si ricordi che nel concetto di malattia rientravano tanto
il patologico quanto il fisiologico, tanto la malattia vera e propria quanto il
bisogno, come è confermato del resto dal fatto che di fame, di sete e di
freddo si può morire. Ora salute e malattia costituivano già per Aristotele
una coppia di contrari che non ammettono termine intermedio: o si è sani o
si è malati, tertium non datur e, se non si è sani, si è malati e, se non si è
malati, si è sani: « quanti dei contrari sono tali che è necessario che l'uno o
l'altro di essi sia nelle cose in cui naturalmente si generano o di cui si
predicano, di questi non c'è termine intermedio ( méson ). Per esempio la
malattia e la salute si generano naturalmente nel corpo dell'animale ed è
necessario che nel corpo dell'animale ci sia l'una o l'altra, o la malattia o la
salute » 37 (l'esempio invece di contrari senza termine intermedio che si
« predicano » anziché « generarsi » sono il pari e il dispari riferiti al
numero).
La relazione di esclusione assoluta tra i due termini tanto più doveva
essere sentita in quanto salute e malattia si riportano rispettivamente alla
vita ed alla morte e, per l'eleatismo di fondo di Epicuro, all'essere e al
non-essere.
39 2.963 ss.
52 ad Men., 128.
53 de fin ., 2.10.32. « Nec enim haec movere potest appetitimi animi, nec ullum habet
ictum, quo pellai animum, status hic non dolendi ».
54 S.V., 33.
55 de fin., 1.11.37 e 2.3.9.
56 Ancora, ad es., dal Long ( Hellenistic Philosophy, cit., p. 65).
57 Che sono stati raccolti m Scritti epicurei, cit.
58 Esse sono state accolte, per es., dal Rist (Epicurus..., cit., Appendix D) e dal no-
stro Barigazzi ( Epicuro , in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra, vol. IV, Milano
1975, p.. 53).
59 de fin., 1.11.38.
60 Ibid., 2.3.10.
61 Nuove ricerche..., cit., p. 16.
risce Lucrezio 62 ,
dalle fauci, non si sente più piacere. Egli non vuol dire, come crede il
Diano 63 , che il mangiare e il bere non producono piacere in moto, ma vuol
dire semplicemente che allora cessa il piacere del gusto il quale è localiz-
zato nella bocca; giacché qui Lucrezio sta appunto parlando del gusto, e
soltanto del gusto, in un'indagine che prende in esame uno per uno i sensi.
In quei passi dunque che ho citati, credo che Epicuro voglia dire che,
quando si sia provveduto al soddisfacimento del bisogno naturale con il
minimo dei mezzi, non c'è modo di aumentare il piacere che ne risulta,
arricchendo la qualità di questi mezzi, perché questo piacere deriva soltan-
to dalla soddisfazione del bisogno. La qualità viene sì anch'essa avvertita,
ma come un'aggiunta non necessaria, registrata dai sensi che ne sono solle-
ticati; nel caso del mangiare e del bere, da quel senso particolare che è il
gusto. Si tratta di una distinzione, interna al piacere, tra l'essenziale e l'acci-
dentale: la variado provoca anch'essa piacere, ma piacere appunto acciden-
tale, non essenziale.
Sul bisogno insomma in quanto tale incide la quantità e non la qualità
e perciò in ogni momento del processo la misura del piacere è data dalla
quantità del dolore eliminato, fino a pervenire a quel massimo che corri-
sponde all'eliminazione di tutto il dolore. Più in là non c'è modo di spin-
gersi, allo stesso modo, dice Seneca64, che non può esserci maggior sereno
di quello di un cielo perfettamente sgombro da nuvole. Nel caso del piacere
« si qua extra blandimenta contingunt, non augent summum bonům, sed, ut
ita dicam, condiunt et oblectant »; « extra », e cioè estranei al processo di
soddisfazione del bisogno e, come tali, capaci di « condire piacevolmente » il
sommo bene, ma non di influire sulla sostanza.
La variado riguarda propriamente il piacere cinetico, ma retrospetti-
vamente esso incide anche sul piacere catastematico, per quel persistere dei
ricordi cui tanta importanza attribuisce Epicuro.
dall'edonismo all'ascetismo
« Non vi può essere vita piacevole senza che essa sia saggia bella e
giusta » 65; l'affermazione è veramente sconcertante e, per il Bonelli 66 , addi-
rittura contraddittoria, perché l'edonismo dovrebbe di necessità condurre
all'immoralismo, di modo che questa svolta si deve soltanto al sopravvenire
di una nuova e diversa motivazione, al desiderio cioè di Epicuro di far
concorrenza al platonismo sul suo stesso terreno. Ma, ancora una volta,
queste incomprensioni nascono dal non aver tenuto conto della rivoluzione
che Epicuro opera in fatto di psicologia e del conseguente carattere tutto
particolare che ha la sua concezione del piacere. Chi afferri questo punto
fondamentale, si renderà conto invece della rigorosa coerenza della dottrina
epicurea e si avvedrà che il contenimento dei desideri non risponde già a
62 4.628 ss.
63 Scritti epicurei, cit., pp. 42 s.
64 Ep., 66, 45 = fr. 434 Us.
65 ad Men., 132.
66 Aporie etiche..., cit., pp. 45 ss., 56, 72.
67 Lucr. 1.76 s.
68 2.500 ss.
69 Giustamente il Konstan ( Some Aspects of Epicurean Psychology, Leiden 1973, p.
19) osserva: « la psicologia epicurea rigetta la premessa che certi desideri siano illimitati
per natura ».
70 Cic. de fin., 1.13.44.
71 « Optime vero Epicurus quod exiguam dixit fortunám intervenire sapienti » (ibid.,
1.19.63).
72 ad Men., 130.
73 1.10.32.
74 S.V., 33.
75 de Un., 2.4.13.
76 Studies..., cit., pp. 1, 13 ss.
77 D.L., 10.136 = fr. 2 Us. 7 Arr.
78 Scritti epicurei, cit., pp. 199 ss.
79 Epicuro, Opere, Introduzione, trad, e note di G. Arrighetti, Torino 1967, p. XL.
LA GIUSTIZIA E L'AMICIZIA
82 A.M. Festxjgière, Epicuro e i suoi dei, trad, it., Brescia 1952, p. 77.