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CAPITOLO 19 PROFILI D’AUTORE

1. Le origini
1.1 I pre- sociologi
Montesquieu, non è un fondatore della sociologia ma è un precursore della disciplina. Egli è
un illuminista che si trova a vivere nel contesto storico-culturale nel quale la società è
suddivisa in clero, nobiltà e terzo stato, e si trova a scrivere opere osservando tradizioni e
abitudini dei popoli stranieri. Montesquieu ha scritto due opere importanti che sono Lettere
Persiane e Spirito delle leggi. Nella prima opera egli fa una satira dei costumi francesi
osservati dal punto di vista di due viaggiatori persiani: essendo stranieri i due viaggiatori
osservano la Francia in modo distaccato, criticandone la vita, i costumi, le istituzioni gli
uomini del tempo. Il romanzo è una critica alla società francese cattolica e assolutistica.
Nell'opera Siprito delle leggi il filosofo dedica attenzione alla società, alle forme di
convivenza fra gli uomini e alla struttura dello Stato, sostenendo che ''la legge è emanazione
della società'' e riconsce la varietà e la molteplicità culturali dei singoli paesi. Egli osserva le
forme di governo, che considera uno strumento per comprendere le società,
individuandone 3: forma democratica, monarchica e dispotica, per ognuna delle tre analizza
caratteristiche e forme di corruzione. Il principio su cui si basa la democrazia è la virtù, la
monarchia si fonda sul principio dell’onore e il dispotismo sul terrore. A Montesquieu si
deve anche la divisione dei poteri dello stato: legislativo, esecutivo e giudiziario, divisione
necessaria per un corretto equilibrio della forma di governo, inoltre questa divisione è
ancora oggi utile nella politica.
Saint-Simon nasce e si forma nel periodo storico della rivoluzione francese e delle guerre
napoleoniche. In questo periodo storico si sviluppa il Positivismo, pensiero basato
sull'importanta attribuita alla scienza e all'osservazione dei fatti. Nelle sue opere egli mette
in evidenza la sua fede nei confronti della scienza pur non disprezzando la religione che egli
vede come una scienza primitiva da dover sostituire con la nuova scienza. Saint-Simon
elabora il concetto di fisica sociale dal quale Comte trae il concetto di sociologia, come avere
propria scienza da applicare fenomeni sociali. La fisica sociale studia l'insieme del corpo
sociale come una macchina organizzativa nella quale gli individui sono parti che
contribuiscono al suo funzionamento. Nell'ultima fase della sua vita l'esaltazione della
società caratterizzata dall'organizzazione scientifica viene sostituita da un'ideale religioso, la
costante povertà e la miseria dei lavoratori inducono Sant Simon a considerare la tecnica e
l'industria come non sufficiente a garantire la felicità sociale. Si avvicina di più al pensiero
religioso, e fa fede in un nuovo cristianesimo capace di realizzare ovunque il messaggio
dell'amore verso il prossimo.
Alexis de Tocqueville è un pre-sociologo che si trova ad analizzare la realtà sociale degli
Stati Uniti, osservazione che servirà alla sua opera più importante “La democrazia in
America”. Per Tocqueville la democrazia è un tratto caratteristico della modernità (cosi come
per Marx è il capitalismo) ossia un processo storico che tende all' uguaglianza delle
opportunità degli individui, e va intesa non solo sotto l'aspetto politico ma anche sotto
l'aspetto sociale, ovvero come processo storico che permette l'uguaglianza delle condizioni
di opportunità. Nella democrazia ci sono 3 aspetti fondamentali:
- L'instaurazione dell'uguaglianza di diritto: la legge è uguale per tutti;
- Una mobilità sociale potenziale:gli individui sono liberi di scegliere il proprio destino;
- L'aspirazione degli individui all'uguaglianza: intesa come uguaglianza delle
opportunità che non esclude le disuguaglianze di natura economica e sociale;
Tocqueville mette in luce i pericoli della democrazia, la tendenza l'uguaglianza delle
condizioni, può portare ad un aumento dell’individualismo, lato contribuisce ad indebolire
la coesione sociale e dall'altro conduce l'individuo a sottoporsi alla maggioranza. Per evitare
questi pericoli è necessario il restauro dei corpi intermedi come le associazioni civili e le
corporazioni, in grado di porre un freno alla volontà della maggioranza e di creare un
rafforzamento dei legami sociali.
1.2 Auguste Comte
Auguste Comte nasce a Parigi durante il periodo della Restaurazione, movimento
reazionario che si sviluppa in Europa soprattutto sul piano politico e si diffonde
successivamente anche a livello culturale. Sul piano politico la restaurazione e il tentativo di
riportare al potere i sovrani assoluti In Europa dopo la sconfitta di Napoleone. La
Restaurazione ebbe carattere culturale in quanto rappresentava la possiblità di rivalutare le
antiche tradizioni, i costumi e le caratteristiche delle nazioni, e soprattutto la religione. Con
la restaurazione si esprime la volontà di ritornare al passato in tutte le sue forme, politiche
sociali e culturali, inteso come un periodo non più caratterizzato da crisi ma ad armonia. Per
Comte è necessaria una scienza della società che possa indagare i fenomeni sociali e le
istituzioni umane con lo stesso metodo delle altre scienze come la fisica e la biologia. La
nuova scienza della società è quindi la sociologia, termine coniato da Comte nel libro “Corso
di filosofia positiva” per distinguere da quello che Saint-Simon chiamava fisica sociale. La
sociologia al pari delle altre scienze è la disciplina in grado di spiegare sia l'ordine, sia le
diverse tappe evolutive della società umana. Essa si distingue in due branche: sociologia
statica e sociologia dinamica.
La sociologia statica studia l'ordine e le modalità di coordinamento delle diverse parti che
compongono il tutto. In pratica si occupa di individuare le leggi di coesistenza dei diversi
elementi che costituiscono una società e le costanti strutturali che caratterizzano ogni
società, queste ultime sono le istituzioni religiose, politiche, il lavoro, la famiglia e il
linguaggio. Ad ogni costante Comte affida un compito necessario per il funzionamento della
società. Tra queste costanti una delle più importanti è la politica, in quanto per Comte il
potere politico deve avere la funzione di controllo, cioè deve garantire una certa stabilità e
conservazione della società. La famiglia invece è una costante strutturale perchè nella
società essa è più importante dell'individuo singolo: l'individuo non è una realtà autonoma
ma un una realtà sociale perchè è sempre in relazione, quindi capace di esprimersi e
realizzarsi solo all'interno di unità sociali, come il lavoro e appunto la famiglia. Il linguaggio
infine è considerato l'istituzione umana più sociale delle altre perchè permette il
coordinamento tra gli uomini per la realizzazione della stabilità sociale.
La sociologia dinamica, permette di studiare l'ordine sociale, quando l'ordine sociale viene
meno e la società entra in una fase critica, la sociologia statica non è più in grado di
descrivere la società, in questo caso spetta alla sociologia dinamica comprendere il
progressivo mutamento della società e individuare le leggi che lo governano. Nella
sociologia dinamica Comte individua la legge dei tre stadi che regola la società umana.
Secondo tale legge l'evoluzione umana si sviluppa attraverso tre tappe fondamentali che si
susseguono:
1. Stadio teologico: l'uomo interpreta e cerca di dominare il mondo attraverso pratiche
magico-religiose. La società è basata sul lavoro degli schiavi e sulla guerra, il governo ha
carattere militare e prevalgono i sacerdoti.
2. Stadio metafisico: è uno stadio intermedio, poiché presenta ancora tracce dello stadio
precedente, ma non è ancora sviluppato definitivamente in quello successivo. Interpreta i
fenomeni in base al pensiero filosofico, cioè vengono formulati dei principi astratti e
generali capaci di orientare la società. nello stadio metafisico prevalgono i filosofi.
3. Stadio positivo o scientifico: basato sull'osservazione dei fatti, l'uomo osserva il mondo e da
questa osservazione trae leggi generali che permettono da un lato di governarlo e dall'altro
di prevedere il mondo. Prevalgono gli scienziati.
Comte sostiene che l'evoluzione condurrà la società verso forme armoniche senza conflitti,
la fiducia nella scienza si trasforma in una vera e propria religione dell'umanità sostituendo
l'idea di Dio.
1.3 Herbert spencer
Herbert Spencer è un sociologo che sviluppa il suo pensiero ispirandosi alle teorie
naturaliste, in particolare è influenzato da Darwin. Egli riprende il concetto di evoluzione
inteso come un processo in cui si passa da forme di vita molto semplici a forme di vita
complesse è sempre più diverse fra loro.Darwin parla invece, di evoluzioni in termini di
conflitto (lotta per la sopravvivenza). La teoria di Spencer è in continuità con quella di
Comte: per entrambi la società è una realtà caratterizzata da parti fra loro coordinate che
servono a mantenere e far funzionare la società nel suo complesso. I due sostengono che
una funzione fondamentale è attribuita al linguaggio, che è lo strumento che per la
comunicazione tra esseri umani.
Tuttavia tra Comte e Spencer vi sono delle differenze: per il primo la cellula primaria della
società è la famiglia, per Spencer invece l'unità sociale elementare è il singolo individuo
condizionato da fattori esterni come l'ambiente e da fattori interni come i caratteri fisici,
emotivi e intellettuali. La differenza maggiore però risiede nell'idea evoluzionista: per
Comte la legge dei 3 stadi è evoluzione delle idee, è evoluzione delle potenzialità umane; al
contrario per Spencer l'evoluzione riguarda l'intera realtà naturale e sociale. Spencer, infatti,
vede un processo evoluzionistico nel superamento della società militare, basata su una
scarsa divisione del lavoro, ovvero avevano tutti la stessa funzione, con l'affermarsi della
società industriale caratterizzata invece da un'elevata divisione e specializzazione dei
compiti e un alto grado di libertà del singolo individuo. Per Spencer, l'evoluzione è una
realtà autonoma, il risultato di un processo inevitabile e lo stato e il potere politico non
vengono visti come istituzioni in grado di garantire l'ordine sociale, ma come gli degli
ostacoli allo sviluppo armonico della società.
2. Qualche sociologo “classico”
2.2 Karl Marx
Karl Marx sviluppa il suo pensiero nella seconda metà dell'800, nel periodo in cui c'è la
decadenza dei valori tradizionali, la nascita della borghesia e lo sfruttamento della classe
operaia. Marx non è un sociologo in senso stretto ma la sociologia si è servita dei suoi studi.
Egli parla del materialismo storico, che consiste in un'analisi del modo di produzione
capitalistico, il mondo ha natura materiale. Marx parla di struttura economica della società
ossia la base reale sulla quale si fonda una sovrastruttura culturale, per esempio giuridica e
politica(cap6), e affronta la questione del rovesciamento della società capitalistica
rivedendo il concetto hegeliano di alienazione. Per Hegel l'alienazione è l'oggettivazione di
sè stessi, per Marx invece l'uomo alienato è espropriato: il lavoro umano è alienato in certe
condizioni, quando vi è sfruttamento dell'uomo sull'uomo, cioè quando il soggetto che
produce non possiede il frutto del proprio lavoro. Nel mondo il cambiamento è frutto di un
processo dialettico: la dialettica è un movimento di pensiero che attraverso la negazione di
una precedente affermazione conduce a una sintesi che è il superamento di entrambe,
quando Marx parla di superamento della società capitalistica, intende che essa allargandosi
produce al suo interno delle contraddizioni che conducono ad un livello superiore. Il
comunismo per Marx rappresenta il superamento del capitalismo. Nell'opera il Capitale
Marx traccia la differenza tra borghesia, ovvero i capitalisti che hanno a disposizione i mezzi
di produzione e il capitale, e proletariato che dispone solo della forza lavoro. La loro
relazione è mediata dal denaro, i salariati sono uomini liberi dal punto di vista giuridico ma il
rapporto con i datori di lavoro è mediato dal denaro e ciò li rende schiavi.
Egli dice che i beni economici prodotti sono merci, cioè la loro produzione è finalizzata alla
vendita sul mercato. Una merce è un bene che possiede un carattere duplice: il valore d'uso,
differente per ogni tipo di merce, e il valore di scambio, che si esprime nel prezzo, a
prescindere dalle qualità e dalle differenze delle merci, rendendole tutte comparabili in base
ai rapporti che esistono tra i loro prezzi. Tali rapporti tra cose in realtà esprimono rapporti
tra produttori: Marx chiama questo gioco tra apparenza e realtà il feticismo delle merci che
trasforma i rapporti tra uomini in rapporti tra cose. Un altro aspetto è il rapporto tra
proletariato e capitalisti: l'operaio produce un valore superiore al capitale impiegato dal
capitalista per pagare le materie prime, i macchinari e i costi d'assunzione dell'operio, in
questo senso produce il plusvalore. Tale plusvalore si traduce nel profitto che è di proprietà
del capitalista. Da questa appropriazione del plusvalore nasce lo sfruttamento. Ad esempio,
in una giornata lavorativa l'operaio in prima parte produce merci che una volta vendute
coprono i costi che il capitalista ha sostenuto nell'investire sul processo produttivo, nella
seconda parte tutto il lavoro svolto dall'operaio è plus lavoro ovvero produce in più rispetto
a ciò che serve per il processo produttivo, ovvero produce il profitto per il capitalista. Per
Marx la classe è un insieme di persone che si trovano nella stessa posizione in un
determinato modo di produzione, nel capitalismo si verifica il passaggio da uno stato in cui
la classe operaia è incapace di riconoscere il proprio sfruttamento ad uno stato in cui la
classe operaia riconosce il proprio sfruttamento e si organizza in azioni collettive, questo
viene definito il passaggio dalla ''classe da sé'' alla ''classe per sé''.
Per Marx ciò che genera il mutamento sociale è il modo di produzione capitalistico, il
motore di questo processo di sviluppo è il capitale, esso infatti incrementa il lavoro, i mezzi
di produzione, il mercato e cambia il mondo a sua immagine. Da questo cambiamento però
nasce una contraddizione: ci sono sempre più persone povere e sfruttate. Queste persone
secondo Marx devono prendere coscienza della propria forza lavoro e del proprio ruolo
produttivo, con tale coscienza la classe operaia può organizzarsi per rivoluzionare i rapporti
sociali esistenti. Il fine ultimo di Marx e edificare una società comunista in cui siano abolite
le differenze di classe, una società di liberi produttori associati nella quale non sia possibile
schiavizzare il lavoro di un uomo. Engels dice che per indicare la società dello sfruttamento
si possono usare due termini: socialismo e comunismo. Al socialismo è associata l'idea di un
movimento di riforme graduali ideate dalla borghesia, al comunismo è associata l'idea di
rivoluzione radicale promossa dagli operai.
2.2 Emile Durkheim
Gli studi di Durkheim vedono la società come un organismo, come un sistema dotato di vita
propria, le cui parti non possono essere studiate indipendentemente dalle altre. Nella
sociologia di Durkheim è importante definire due concetti chiave: integrazione e
regolamentazione. L'integrazione è la densità di relazioni sociali dentro alla quale
l'individuo è coinvolto. La regolamentazione è la capacità del contesto di riferimento di fare
interiorizzare all'individuo le proprie regole sociali. Esistono società che lasciano poco spazio
alla coscienza individuale o società che lasciano molto spazio alla coscienza individuale.
Attraverso il concetto di Homo duplex egli sostiene che l'uomo ha due componenti:
individuale (cosa pensa, l'individualità) e sociale (il mio essere nel mondo) per questo
Durkheim distingue tra rappresentazione inividuale e rappresentazione collettiva.
Egli analizza la natura della società, che distingue in società semplice e società complessa. La
società semplice è caratterizzata da una divisione del lavoro minima e dall'uguaglianza
morale e intellettuale degli individui. Nella società semplice vi è una forza, che unisce la
società, che Durkheim chiama solidarietà meccanica. Questa forza stabilisce dei vincoli tra
individui che svolgono attività simili, in una collettività caratterizzata dal prevalere di una
coscienza collettiva e dalla presenza di norme punitive. Integrazione e regolamentazione
sono meccanici, il nostro comportamento è orientato dalla collettività, poco spazio per la
coscienza individuale. Con i progressi della divisione del lavoro e una maggiore densità della
popolazione si sviluppa la società complessa, in essa ai membri svolgono attività diverse e
c'è una maggiore differenziazione delle coscienze. Anche nella società complessa agisce la
solidarietà, definita da Durkheim solidarietà organica, la quale fa sì che le varie parti
contribuiscano tutte all'unità dell'insieme. L'integrazione è più debole perchè l'ambiente è
vasto e ci si relaziona a troppe persone, la coscienza individuale ha più spazio per emergere.
Per Durkheim Una delle patologie della divisione del lavoro delle società complesse è
l'anomia, essa emerge tra capitale e lavoro, nei momenti di crisi economica, quando il
sistema di regole condivise non si adegua alla velocità dello sviluppo industriale e il
lavoratore viene costretto all'isolamento, e all'allontanamento dalla famiglia e dalla realtà
che lo circonda. L’anomia è La mancanza di norme chiare e condivise. Per porre fine all'
anomia occorre secondo Durkheim un gruppo capace di conoscere e seguire il problema
che si è generato, e costruire quindi il sistema di regole che ancora non si è sviluppato. Per
Durkheim non può esserci una società se non c'è un fondamento morale, ovvero un insieme
di valori e credenze che esprimono norme per tutti, chi le infrange viene punito. Durkheim
cerca di definire il metodo della ricerca empirica in sociologia. Egli dice che per spiegare un
fenomeno sociale bisogna ricercare le cause sempre nei fatti sociali e mai nelle coscienze
individuali. Per ''fatti sociali'' egli intende i modi di agire e di pensare esterne agli individui
ma dotate di un potere costrittivo che si impone agli individui. Le norme ad esempio sono
fatti sociali perchè si impongono all’individuo. La società per Durkheim è quindi una realtà
sui generis, un organismo superiore che si esprime nei fatti sociali, e dunque la sociologia è
la scienza che studia l’insieme dei fatti sociali. Nello studio sul suicidio Durkheim Fornisce
alla sociologia il primo esempio di ricerca sociologica basata sul metodo empirico e sulla
strategia di comprensione per contrasto e per confronto: bisogna cioè cercare le condizioni
in cui si verifica un fenomeno (come ad esempio il suicidio) e confrontarle con le condizioni
in cui non si verifica. Infatti, Durkheim non studia il suicidio individuale bensì i tassi di suidici
in una società, e contraddice gli studiosi che collegano il suicidio alla pazzia, all'alcolismo e
ad altre forme di dipendenza. Egli studia il legame tra suicidio e fenomeni come la religione,
l'economia e gli ideali politici evidenziando 3 tipi di suicidio:
 Analizza il protestantesimo che è una religione senza una dottrina specifica che lascia i suoi
membri davanti alla propria coscienza, senza integrazione sociale e in maggiore solitudine.
In questo caso parla di suicidio egoistico, quando l'individuo ha poca integrazione sociale.
 Analizza fattori economici che portano ad un rapido cambiamento dello status e del modo
di vivere degli uomini, la rovina o l’impoverimento, questo può produrre anomia e indurre
al suicidio che Durkheim chiama anomico.
 Inoltre, ci possono essere tendenze suicide anche quando vi è un eccesso di integrazione di
un individuo nella società, ad un'elevata adesione alle norme, come nel caso di un militare
che si uccide per la patria, abbiamo quindi il suicidio altruistico.
L'ultimo studio di Durkheim riguarda le religioni. Egli sostiene che le idee, lo spazio, Dio,
sono creazioni della società. Le religioni per Durkheim hanno in comune un elemento: gli
oggetti sacri (totem, rosari ,bibbia) verso i quali gli uomini hanno un comportamento
rituale. Il totem ad esempio serve a tenere unita la tribù creando un ordine morale e
sociale, così come fanno le messe, le processioni e i vari riti, da questo si crea un profondo
senso di solidarietà e sentimento di appartenenza. E' cosi anche per il tempo e lo spazio,
non c'è alcuna ragione necessaria per dividere il tempo in settimane, mesi e ore, dividiamo
il tempo perché serve a coordinarci con gli altri. Ordine che è possibile solo quando ogni
individuo assimila le regole e i comportamenti della società in cui vive.
2.3 Georg Simmel
Georg Simmel, si occupa di filosofia, di estetica, di psicologia e di sociologia. Oggetto
Principale della sua sociologia sono le forme di socializzazione, ossia le forme che
assumono le relazioni sociali e che restano stabili nonostante i cambiamenti storici, per
questo motivo la sociologia di Simmel è detta sociologia formale. Egli si occupa di studiare il
rapporto individuo-società, definendolo un rapporto complesso: da una parte la collettività
tende a imporsi sull'individuo limitandone la libertà, dall'altra l'individuo vuole realizzarsi
personalmente. Questa tensione per lui è ineliminabile anche se muta nel corso della storia.
Riguardo al mutamento Simmel scrive l'opera “Filosofia del denaro”, dove prendendo ad in
considerazione il denaro parte da una critica a Marx, secondo il quale il valore di una merce
è determinato dal tempo medio di lavoro necessario a produrla. Per Simmel invece il valore
si crea solamente nello scambio, nella relazione, e non è interno agli oggetti. Per Simmel il
denaro è il mezzo che permette questi scambi: è un 'equivalente universale' a prescindere
dalla merce. Osservando la società Simmel dice che il mutamento è un elemento
caratteristico della società stessa, in particolare egli studia le metropoli, dicendo che nelle
piccole comunità le relazioni sono basate sulle emozioni e gli affetti, mentre nelle città
metropolitane i rapporti sono regolati dall'intelletto non inteso come ragione ma come
facoltà logico-combinatoria. La vita metropolitana porta un eccesso di stimoli, quindi un
intensificazione della ''vita nervosa'' che fa emergere un individuo nuovo, caratterizzato
dall'atteggiamento blasé: un comportamento di distacco e disincanto dal mondo dovuto
all'indifferenza verso l'aspetto qualitativo delle cose.
Un altro punto fondamentale per Simmel è il rapporto tra differenziazione sociale e
aumento di libertà individuale. Secondo il sociologo quanto più si allargano e si
differenziano le cerchie sociali tanto più ogni individuo ha la possibilità di far emergere la
propria autonomia e individualità. Al contrario, nelle cerchie sociali più strette l'individuo è
meno individualizzato, la metropoli infatti è il luogo di autonomia per eccellenza, perché è
un luogo di massima differenziazione sociale. Riguardo questo tema Simmel fa la distinzione
tra spirito soggettivo e oggettivo, indicando il primo come la cultura oggettivata nei prodotti
dell'uomo e con il secondo la cultura del singolo individuo. Nella modernità c'è una tensione
tra spirito oggettivo e soggettivo visto che lo spirito oggettivo aumenta e sovrasta il
soggettivo.
Nell'analisi della modernità Simmel si occupa di un fenomeno importante cioè la moda, che
indica come costraddistinta da due spinte opposte: distinzione e imitazione. La prima indica
la tendenza a differenziarsi e avere la propria individualità rispetto al gruppo, la seconda
indica il bisogno di ogni individuo di riconoscersi in una cerchia sociale. L'imitazione dei ceti
sociali più alti darà l'impressione a chi è più in basso nella scala sociale di poter appartenere
ad essi, ma la diffusione della moda stessa rende inutile questo tentativo: è un processo
all'infinito. Simmel propone una riflessione della sociologia come disciplina autonoma,
definendo come oggetto di studio della sociologia la società. Per Simmel alla società non è
semplicemente un insieme di individui ma è unita. Affinché questa sia percepita in quanto
tale, deve essere osservata al di fuori. Inoltre, ciò che la sociologia osserva non sono i singoli
individui ma le relazioni reciproche che si stabiliscono tra loro. Un concetto fondamentale
della sociologia di Simmel e dunque quello dell'effetto di reciprocità che indica la realtà
come un insieme di relazioni e influenze reciproche tra vari elementi, e la società emerge
solo nel momento in cui più individui entrano in relazione reciproca.
2.4 Vilfredo Pareto
Vilfredo Pareto è un sociologo che si mantiene nel quadro positivista, tuttavia critica il
positivismo di Comte, considerato poco scientifico e troppo vicino alla religione. Egli
chiarisce i presupposti metodologici della sua teoria: la sociologia non deve essere orientata
alla ricerca della verità assoluta nè deve esseere orientata da motivi politici, religiosi o
morali. La sociologia deve basarsi sull'esperienza e sull'osservazione diretta dei fatti, deve
formulare teorie di tipo descrittivo e individuare leggi che valgono fino a prova contraria.
Inoltre la sociologia deve basarsi sul metodo quantitativo e statistico, e non qualitativo al
fine di garantire una maggiore obiettività. Infine, la sociologia deve distinguere tra
fenomeno oggettivo e momento soggettivo, in quanto anche l'osservatore è condizionato,
così come gli altri esseri umani, dall'ignoranza, dalle idee e dalle passioni.
Pareto distingue le azioni logiche e le azioni non logiche: l'azione umana è considerata
come una sintesi di elementi soggettivi, cioè dalla percezione del fenomeno, e da elementi
oggettivi cioè dalle caratteristiche del fenomeno in sè. Le azioni logiche sono tutte quelle
azioni in cui c'è una corrispondenza perfetta tra percezione soggettiva e realtà oggettiva. Le
azioni logiche sono un tipo di agire orientato al raggiungimento di un fine utilizzando i mezzi
più appropriati. Le azioni che possono soggettivamente sembrare logiche a volte sono non
logiche dal punto di vista oggettivo. Le azioni non logiche invece sono di 4 tipi:
1. Azioni in cui non c'è un fine soggettivo nè oggettivo (es. Abitudini)
2. Azioni che hanno un fine soggettivo ma non hanno corrispondenza con l'oggettivo (la
magia)
3. Azioni che hanno fine oggettivo, ma non c’è il fine soggettivamente percepito (es. Istinto)
4. Azioni che hanno un fine oggettivo e un fine soggettivo ma i due non sono collegati: è il
caso in cui chi compie un'azione per migliorare una situazione e invece si trova a realizzare
qualcosa di totalmente contrario.
Per Pareto le azioni umane sono per lo più azioni non logiche, cioè sono azioni percepite
soggettivamente come logiche ma in realtà non lo sono. Secondo Pareto l'uomo tende a
giustificare attraverso il linguaggio le proprie azioni come logiche, queste giustificazioni sono
dette derivazioni: esse sono una sorta di giustificazione a qualcosa che persiste nel tempo,
una giustificazione a una struttura invariante che permette di realizzare molte azioni, questa
struttura è detta residuo. I residui sono considerati come istinti, ricoperti da ragionamenti,
sono modi di fare consolidati culturalmente anche se radicati in una base istintuale-
naturale. Per Pareto non sono importanti le derivazioni, perchè manifestano ciò che è
evidente, bensì sono importanti i residui che agiscono sull'equilibrio sociale.
2.5 Max Weber
Max Weber è un sociologo che si concentra sul dibattito metodologico delle scienze sociali
distaccandosi dal pensiero di Durkheim di paragonare le scienze sociali alle scienze naturali.
Il principio metodologico di Weber è quello dell'avalutatività, cioè la linea che separa
l'accertamento dei fatti empirici riferiti alla scienza, dai giudizi di valore che costituiscono
degli atti di fede. L’avalutatività è il momento in cui il ricercatore accantona le ipotesi che
vengono formulate e passa al momento della verifica di queste ipotesi. Per Weber la
sociologia, a differenza delle scienze naturali, non spiega causalmente i fenomeni sociali,
bensì cerca di comprendere il senso dell'agire umano. Dal punto di vista metodologico è
importante il momento del comprendere un determinato agire sociale, cioè interpretare il
significato che quell'azione ha per chi la compie. Tuttavia per Weber la spiegazione causale
non è possibile in sociologia perchè nel mondo umano e sociale entrano in gioco molti
fattori che il sociologo non può comprendere totalmente, non è possibile individuare ogni
singolo agire sociale ed è per questo che si ricorre ad alcuni tipi ideali dell’agire. Il tipo ideale
è un costrutto del pensiero, uno schema mentale in grado di cogliere aspetti simili in una
molteplicità di agire. Weber individua 4 tipi ideali di agire sociale:
1. L'agire razionale rispetto allo scopo, cioè l'agire di un soggetto che in virtù di un risultato da
raggiungere valuta i mezzi più adeguati che ha a disposizione per raggiungere uno scopo;
2. L'agire razionale rispetto al valore, cioè un agire razionale che non è orientato al
raggiungimento di uno scopo, ma orientato a seguire uno valore ritenuto importante; ( un
esempio è il comportamento religioso)
3. L'agire affettivo, cioè l'agire di un soggetto il cui senso è legato a un sentimento, un tipo di
agire fortemente caratterizzato dai sentimenti e non guidato da un fine o valori;
4. L'agire tradizionale, in cui il soggetto che agisce lo fa per abitudine o tradizione. ''si è
sempre fatto''.
Per Weber l'agire tipico della società moderna è quello razionale rispetto allo scopo, egli
utilizza i tipi ideali per studiare alcuni fenomeni come il potere. Il potere è una relazione tra
chi comanda e chi subisce, per Weber però va distinto potenza e potere: la potenza è la
possibilità di far valere la propria volontà anche davanti ad un opposizione, il potere è la
possibilità che un comando trovi obbedienza in un gruppo di persone. Egli dice che non è
necessario che un comando trovi obbedienza, infatti si può esercitare la violenza per
ottenerla, però affinche non ci sia violenza è necessario che il comando abbia una base
legittima, ovvero il gruppo di persone sottoposte al comando trovi legittimo il comando.
Weber individua i 3 tipi di potere legittimo: carismatico, tradizionale e razionale.
1. Il potere carismatico ha carattere sacro, riguarda la forza eroica e il valore di una persona e
degli ordinamenti emanati da essa;
2. Il potere tradizionale basa la sua legittimità sulla credenza quotidiana nel carattere sacro e
nella tradizione;
3. Il potere razionale si basa sulla credenza nella legalità degli ordinamenti e nel diritto di
comando di coloro che sono chiamati a esercitare il potere. Quest'ultimo è quello
prevalente nella società moderna.
Weber critica Marx sul concetto di classe sociale (per Marx l'unico importante), in quanto
secondo Weber non basta il concetto di classe sociale per determinare la complessità della
società, oltre alla classe intesa come un insieme di individui capace di procurarsi beni
economici sul mercato, c'è bisogno del concetto di ceto sociale: il proprio ''ceto'' sociale è
un privilegio che si acquista nella società in base alla propria educazione e sulle capacità
professionali. Nell'etica protestante Weber trova una predisposizione ad una condotta di
vita che gente possibile lo svilupparsi e l’accumularsi del capitale. L’etica protestante, infatti
accentua l’attenzione sulla vita mondana. Per il protestantesimo ogni individuo è solo
davanti a Dio e niente può salvarlo qui che all'atto della nascita è già predestinato alla
salvezza o alla dannazione. Se ogni individuo è predestinato allora ogni azione non può che
essere orientata allo svolgimento di compiti ai quali ognuno è stato assegnato, e lo
svolgimento di questi compiti diventi il suo come un segno della propria salvezza. E seguire il
proprio compito vuol dire riconoscere i segni della propria salvezza e realizzare la propria
vocazione. Così facendo il protestante investe tutto nella sua attività lavorativa, ma non
potendo godere dei frutti del proprio lavoro poiché cadrebbe nel peccato e quindi reinveste
incessantemente tutto ciò che ha guadagnato. Weber, Riprende il tema della religione
analizzando il processo di disincanto del mondo, cioè il venir meno nella società di qualsiasi
riferimento agli aspetti religiosi. La società moderna è una gabbia d'acciaio, dove tutto
viene riposto nella scienza come espressione di dominio tecnico sul mondo e dove valori
non hanno sede.
3. La Scuola di Chicago e i sociologi della vita quotidiana
3.1 La scuola di Chicago
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento la società americana è in forte mutamento
sia dal punto di vista economico sia sociale. Il periodo a cavallo tra i due secoli e
caratterizzato da una forte immigrazione, le forti differenze tra i gruppi di migranti portano
ad una difficile integrazione sociale, dal punto di vista economico però in questo periodo il
capitalismo americano è in crescita. Dal punto di vista sociale, le disuguaglianze prodotte dal
capitalismo non sfociano in conflitti di classe, l'assenza di conflitti non indica però l'armonia
sociale, sono presenti conflitti tra le varie etnie e fenomeni di devianza. La sociologia
americana di quel periodo, anche se ancora legata a quel europea inizia a occuparsi di
questi problemi.
Tra i primi sociologi americani possiamo individuare: William Sumner, è l’autore che
maggiormente risente dell’influenza dell’evoluzionismo. nella sua opera principale “Costumi
di gruppo”, elabora una serie di dati riguardanti i modi in cui gli individui si organizzano in
società.
Veblen, con la sua opera più famosa “Teoria della classe agiata”, espone il concetto di
consumo vistoso, ovvero quell’attitudine, nelle moderne società dei consumi, di mostrare le
proprie possibilità economiche quasi fosse una qualità personale.
Charles Cooley, tra le sue opere ricordiamo “L’organizzazione sociale” e “Natura umana e
ordine sociale”, in cui espone la sua idea dell'inseparabilità tra l'io e la società.
George Herbert Mead, la sua opera più famosa, “Mente, sé e società” in cui l’autore
analizza la formazione del sé inteso come un qualcosa che emerge nel corso dell’interazione
sociale. Questi sociologi americani risentono soprattutto dell'influenza di Spencer e
dell'evoluzionismo. Il primo dipartimento americano di sociologia viene fondato a Chicago
nel 1982, e qui si sviluppa la prima grande scuola di sociologia americana: la Scuola di
Chicago. Ciò che accomuna gli studiosi appartenenti a questa scuola è una preferenza per la
ricerca empirica e l’utilizzo di metodo qualitativi, in particolare il metodo etnografico.I
ricercatori per la prima volta si calano tramite la tecnica dell'osservazione partecipante nella
realtà che è oggetto di studio. Uno dei primi laureati del dipartimento è William Thomas.
Thomas studia gli immigrati polacchi, che in quel momento erano la componente straniera
più numerosa e più problematica della città di Chicago. La ricerca più famosa di Thomas è Il
contadino polacco in Europa e in America (1920), in cui affronta il problema della difficile
integrazione dei migranti nelle aree urbane, in particolare a Chicago. Thomas focalizza la sua
attenzione sul mutamento sociale, sia all’interno della società polacca sia tra i polacchi
immigrati in America, con una particolare attenzione all’integrazione sociale e ai fenomeni
di criminalità. Il metodo usato per condurre la ricerca è quello delle storie di vita, che
consiste nel raccogliere qualsiasi documento, sia diretto come ad esempio biografie fatte
scrivere appositamente, sia indiretto ad esempio la corrispondenza degli immigrati polacchi
a Chicago, al fine di ricostruire i significati che gli autori attribuiscono alle proprie azioni e
alla situazione in cui si trovano. Un concetto chiave della ricerca è quello di “definizione
della situazione”: gli individui, per poter agire nella realtà, devono orientarsi a essa e lo
fanno selezionando alcuni aspetti e attribuendo loro un significato, dandone
un’interpretazione che sia coerente. A questo principio è legato il teorema di Thomas,
secondo il quale “se gli uomini definiscono reale una situazione, essa sarà reale nelle sue
conseguenze”. Inoltre, la tensione tra la definizione della situazione che viene data da un
singolo individuo o da un gruppo e le aspettative sociali, che generalmente non
corrispondono determinano il mutamento sociale. Tra le conclusioni a cui arriva Thomas, c’è
l’idea che la criminalità sia prodotta dalla mancanza di istituzioni intermedie che abbiano la
funzione di mediatrici tra l’individuo e la società. Dopo Thomas la direzione del
dipartimento passa a Robert Park, il quale rende la città un laboratorio sociale. Attratto
dalla situazione razziale americana, Park diviene consigliere del leader politico nero Booker
T. Washington, però vuole occuparsi tutto soprattutto dello sviluppo e del cambiamento
della città, ritenendola la grande questione del momento. La raccolta di saggi dal titolo “La
città” è probabilmente l’opera più matura prodotta dalla scuola. L’approccio utilizzato per lo
studio della città è detto approccio ecologico (o ecologia sociale urbana), poiché studia e
concepisce il comportamento degli individui all’interno dello spazio urbano seguendo un
modello naturalistico, ovvero come un ambiente naturale in cui convivono e cooperano
specie diverse. Un concetto fondamentale utilizzato dagli studiosi della scuola di Chicago
per osservare la città è quello di mobilità, che per Park è qualcosa che va oltre la distinzione
tra mobilità geografica, ovvero gli spostamenti degli individui nello spazio come flussi
migratori e il pendolarismo, e mobilità sociale, ovvero la maggiore o minore possibilità di
ascesa o di discesa sociale degli individui, poiché ha a che fare con la possibilità di entrare in
contatto con altri individui, con la maggiore o minore apertura agli stimoli e quindi con la
maggiore o minore inclinazione al mutamento. Altro concetto è quello di distanza sociale,
ovvero quel sentimento di distanza o vicinanza che un gruppo manifesta nei confronti di un
altro gruppo. Legata a questa idea di distanza sociale è la suddivisione della città in aree
naturali, cioè la divisione degli spazi urbani in aree differenti, ognuna delle quali con
funzioni diverse. Il principale difetto della Scuola di Chicago è che gli studiosi di questa
scuola si preoccupano troppo dei metodi statistici e delle descrizioni, senza però avere una
teoria illustrata.

3.2 Alfred Schutz


Alfred Schutz si trasferisce prima a Parigi e poi negli Stati Uniti. Il periodo americano è
caratterizzato dall’influenza del pragmatismo e dell’interazionismo simbolico di Mead.
Schutz, riprendendo Weber e criticandone alcuni aspetti, si interroga circa il senso
dell’azione sociale e se questo sia lo stesso per il soggetto agente, per l’interlocutore e per il
soggetto esterno. In particolare, la riflessione di Schutz si focalizza su come le scienze sociali
possono fornire interpretazioni adeguate del significato delle azioni degli individui, e lo fa
partendo dalle interazioni ordinarie nella vita quotidina. Il progetto teorico di Schutz
riprende la fenomenologia di Husserl. Il termine fenomenologia deriva dal greco, e significa
apparire, mostrarsi, e indica dunque lo studio di ciò che appare. La fenomenologia
concepisce la realtà come un fenomeno, ovvero come un qualcosa di soggettivamente
percepito ed esperito in quanto tale. Partendo da questo presupposto, la realtà non è unica
ma possono esistere diverse realtà, tante quante sono le possibili percezioni ed esperienze
soggettive. Nella “Fenomenologia del mondo sociale” e nella raccolta di saggi da lui
pubblicati, Schutz utilizza la fenomenologia di Husserl per discutere di alcuni problemi
fondamentali della sociologia: il senso, l’azione e la comprensione. Se la comprensione del
senso dell'azione da parte dello stesso soggetto che agisce può avvenire solo
successivamente, nei confronti delle azioni degli altri non è così è possibile comprenderle
nel loro scorrere. La comprensione dell'altro però non è una comprensione totale, ma solo
frammentata e limitata alla possibilità di comprendere alcune sue azioni poiché ne facciamo
noi stessi esperienza. La modalità con cui l'individuo comprende l'azione di un altro e quella
della tipizzazione. Per Schutz tipizzare significa procedere per tipi ideale, cioè collocare ciò
che si comprende entro un tipo, una tipologia. Tipizzare significa astrarre e ridurre la
complessità del reale in un insieme di tipi, cioè un insieme di rappresentazioni della realtà.
Per quanto riguarda il mondo della vita quotidiana, la tipizzazione a che fare con le
condotte: l’individuo agisce in base a un orientamento che dà per scontato gli altri
considerino tipico della sua condotta. Nel senso comune può essere definito il senso del
l'ovvio. Anche per quel che riguarda la sociologia, il metodo consiste nella costruzione di tipi
che sono però di ordine diverso rispetto alle tipizzazioni della vita quotidiana.
Schutz si occupa inoltre del concetto di “realtà multiple”, riprendendo il lavoro dello
psicologo sociale William James e il suo concetto di “sottouniverso”. L'idea di base è che
l'individuo partecipi a una molteplicità di mondi che Schutz chiama “province finite di
significato”, Descrizione che sta a indicare il fatto che la realtà è una costruzione data dal
significato delle esperienze degli individui e non una struttura ontologica. Quella che Schutz
considera la realtà per eccellenza è la vita quotidiana. La vita quotidiana è costruita su
significati oggettivamente attribuiti ma, a differenza di altre province, è anche una realtà
intersoggettiva poiché è condivisa con altri e si basa sul fatto che anche altri la considerino
“reale”. Caratteristica della vita quotidiana è che all’interno di questa l’individuo sospende il
dubbio che le cose possano essere diverse da come appaiono. Ciò significa che si agisce
dando per scontato tutto ciò in cui si è immersi. L’atteggiamento del dare per scontato, la
caratteristica dell’ovvietà, è centrale nel pensiero di Schutz e se ne possono dare almeno tre
significati. In primo luogo, l'ovvietà sta nel modo in cui l'individuo utilizza le tipizzazioni del
senso comune ai fini dello svolgimento delle attività della vita quotidiana. In secondo luogo,
ciò che si dà per scontato è l'idea che il senso comune sia condiviso da tutti coloro che
appartengono alla stessa comunità, e infine che il senso comune sia sempre un sapere
adeguato e che non esista un altro più adeguato di questo. Per Schutz il senso comune è
anche un sapere pragmatico che permette agli individui di svolgere una serie di attività
all’interno della vita quotidiana. Ma i modi di vivere che ci propone il senso comune non
sono sempre sufficienti; infatti, ci sono delle esperienze traumatiche che possono
interrompere il vissuto quotidiano e rivelare d'inadeguatezza del senso comune. Le due
figure tipiche con cui Schutz esemplifica il trauma sono lo straniero e il reduce di guerra. Lo
straniero è colui il quale, arrivando in un contesto sconosciuto, non sa condividere i principi
del senso comune che sono invece scontati per la comunità dove arriva. Per il reduce il
trauma consiste nel fatto che, ritornando nel suo contesto di origine dopo un periodo di
assenza, non riesce più a identificarsi con le routine della proprie comunità, Questo avviene
sia perché il senso comune è cambiato in sua assenza e sia perché è cambiato il suo sguardo
dopo aver conosciuto altri orizzonti di vita quotidiana.
3.3 Erving Goffman
La figura intellettuale di Goffman appare durante gli anni 60 del 900, un periodo di grandi
trasformazioni politiche e sociali, segnate dalle lotte studentesche nei campus universitari,
dalla critica nei confronti di un sistema politico non più in grado di rispondere alle esigenze
della popolazione, e da un'esigenza di libertà che si esprime nello sviluppo di molteplici stili
di vita differenti. Il pensiero di Goffman non si focalizza più sulla grande teoria in grado di
spiegare e comprendere l'ordine sociale, ma si focalizza sulle dinamiche relazionali degli
individui nell’ambito della vita quotidiana. Per Goffman è il tessuto sociale che dà forma alle
relazioni. Per comprendere le relazioni sociali, egli attinge a due grandi tradizioni della
sociologia: la Scuola di Chicago, dove ha iniziato il dottorato,e la riflessione di Durkheim.
Nella riflessione di Goffman prevale la componente antipsicologica, tipica del pensiero di
Durkheim, del Sé, ovvero un Sé inteso come prodotto sociale e non come sostrato di natura
psicologica. Se però per Durkheim e centrale l'idea che la società viene prima dell'individuo,
in Goffman invece è focale il livello microsociologico delle relazioni interpersonali che si
svolgono nella vita quotidiana. Per Goffmanan nelle relazioni più elementari o di base
esistono i rituali, che tendono all’affermazione del Sé, ovvero al culto dell’individuo, che si
presenta come elemento caratterizzante della società moderna. Nel testo “La vita
quotidiana come rappresentazione”, Goffman delinea la sua idea di sociale. Per Goffman
non esiste alcuna istanza psicologica del Sé: il Sé è semplicemente il risultato di una
situazione sociale o meglio di una messa in scena del soggetto le cui regole sono
determinate dalle caratteristiche strutturali del contesto sociale. Il soggetto è una maschera,
un attore che recita le diverse parti di un copione già scritto. Goffman distingue l'attore dal
personaggio, all'attore non attribuisce alcun carattere centrale, egli è semplicemente colui
che ha la capacità di imparare una parte e di recitare un ruolo muovendosi all'interno di un
quadro di riferimento già noto che Goffman chiama frame. L’attore è portatore sia di
istanze come sentimenti ed emozioni, ma che però prendono forma solo e soltanto
attraverso la rappresentazione, o messa in scena. In virtù di questo rapporto stretto fra
mondo sociale e teatro, la sociologia di Goffman viene definita drammaturgica. È in questa
prospettiva che secondo Goffman emergono, così come a teatro, i due aspetti che
caratterizzano la dimensione sociale: la scena e il retroscena, ovvero ciò che viene mostrato
o portato in pubblico, e ciò che sta dietro, in quella zona in cui si prepara e organizza la
scena. In una sua prima opera, il Sé di Goffman, mantiene una componente di continuità
attraverso il contesto istituzionalizzato, nelle opere successive, Goffman focalizza
l’attenzione sulla totale perdita di identità e sull’annientamento della personalità provocati
dall’essere reclusi in particolari strutture, definite istituzioni totali. L’individuo che entra
nelle istituzioni totali viene privato di qualsiasi rapporto con il mondo esterno e la sua
identità viene definita a partire dall’identità che la struttura gli assegna. Come, ad esempio,
far indossare una divisa, o sostituire il proprio nome con un numero in queste istituzioni
hanno la funzione di annullare la soggettività del singolo individuo. Nella sua oprea
“Distanza dal ruolo”, Goffman riprende il tema del Sé e mette in luce una sorta di distanza
fra l’individuo e il ruolo svolto: ogni individuo tende a non identificarsi totalmente con il
proprio ruolo, per conservare nel rapporto con gli altri un certo grado di imprevedibilità e
quindi in un certo senso di potere.
4. I sociologi struttural-funzionalisti e funzionalisti
4.1 Talcott Parsons
Parsons è uno dei sociologi più importanti degli anni 50 negli stati uniti. La sua riflessione
teorica si intrecciava gli avvenimenti chi caratterizzano l'Europa e gli Stati Uniti subito dopo
l'esperienza traumatica della guerra. Centrale in questo periodo diviene il diffondersi delle
forme di assistenza pubblica il welfare state Che cerca di attenuare i conflitti sociali e mira a
creare maggiori aspettative nei confronti delle istituzioni. È possibile individuare tre periodi
di riflessione di Parsons: il primo dove elabora la teoria volontaristica dell'azione, nel
secondo periodo dove formula la teoria dell'azione e del sistema sociale (periodo in cui
elabora il modello agil e le variabili strutturali) e l'ultimo periodo dove applica il modello
teorico a vari ambiti sociali. Parsons si dedica al rapporto tra teoria e ricerca empirica, è
convinto che la raccolta dei dati non basti senza un quadro di riferimento in grado di dargli
agli stessi dati un valore, sottolineando come il dato senza riferimenti teorici è impossibile
da interpretare, e dargli un significato, ogni dato raccolto è significativo nella misura in cui è
rilevante all'interno della sua teoria.
Il sociologo, concentra l'attenzione sull'ordine sociale come problema centrale della
sociologia, ovvero sul coordinamento fra due attori sociali che sono ego e alter indica come
il problema della doppia contingenza: doppia contingenza significa che il modo di agire di
alter può essere diverso da quello di ego e questo può essere risolto solo se le azioni di
entrambi sono orientate normativamente, ovvero se una norma garantisce il grado di
prevedibilità delle rispettive azioni. La teoria di Parsons afferma che l’ordine della società
può avvenire solo se gli individui hanno acquisito e interiorizzato, attraverso i processi di
socializzazione, i valori propri di una società. Un’azione è l’insieme di diversi elementi:
1. il soggetto o l’attore sociale, che può essere un individuo, un gruppo o una collettività;
2. la finalità dell’azione o il fine da raggiungere;
3. la situazione, ovvero le condizioni oggettive entro cui si sviluppa l’azione;
4.l’ordine simbolico-normativo, ovvero i modelli culturali e normativi che orientano l’agire.
Il problema dell'ordine sociale è cruciale nella sociologia di Parsons.
Per Parsons ogni sistema svolge una funzione che vale per la sua totalità. Per Parsons è
possibile spiegare la nascita dei sistemi sociali a partire da ogni semplice sistema di azione.
Ogni azione contribuisce a creare l'intero sistema. Parsons collega ogni singola azione,
intesa come parte, al sistema sociale complessivo, cioè al tutto. Ogni sistema deve
rispondere a 4 imperativi, modello AGIL:
1. Adattamento: (adaptation) riguarda la capacità del sistema di trarre dall'ambiente esterno
le risorse per sopravvivere e allo stesso tempo garantire prestazioni da offrire all’esterno.
(Funzione svolta dalle istituzioni economiche)
2. Raggiungimento delle mete: (goals attainment) ovvero quella funzione che ha il compito di
definire e indirizzare il sistema verso scopi specifici selezionandoli tra i molti possibili.
Rientrano in questo imperativo attività di gestione e attività di controllo e di
amministrazione del generalmente si tratta di organi di governo;
3. Integrazione: (integration) ossia quella funzione che garantisce il coordinamento di tutte le
altre funzioni controllando ciò che ostacola l'armonia e la stabilità del sistema, anche
attraverso sanzioni (istituzioni giuridiche);
4. Mantenimento delle strutture latenti: (latent patterns maintenace o latency) funzione che
garantisce i valori, i significati e le motivazioni necessarie per orientare l'azione verso le
esigenze del sistema. Essa garantisce la stabilità dei valori attraverso norme e modelli
comportamentali, la funzione è svolta dalla scuola e dalle altre istituzioni culturali.
Gli imperativi funzionali costituiscono uno schema che è definito come sistema AGIL, che
consente di analizzare qualsiasi ambito della vita sociale mettendo in evidenza di volta in
volta le caratteristiche di un determinato sottosistema e i suoi eventuali difetti.
L'integrazione dell'individuo nel sistema avviene attraverso la capacità che l'individuo ha di
svolgere il prorpio ruolo. Dato che ogni individuo non ha un solo ruolo, Parsons parla di
posizione o status degli attori sociali. Proprio quest’ultima possibilità consente a Parsons di
sviluppare le diverse modalità che possono orientare l’azione sociale. In questo caso egli
individua cinque modelli che chiama variabili strutturali che possono caratterizzare
l’orientamento dell’azione di un attore:
 Affettività/Neutralità affettiva, cioè il soggetto può agire in base ai sentimenti o ad esempio
nel caso dell'attività professionale vi è una neutralità di sentimenti;
 Orientamento verso di sé e verso della collettività: in certi ruoli ci sono interessi privati e in
altri interessi collettivi;
 Universalità/Particolarismo, cioè si può essere valutati in base a criteri universali oppure in
base a criteri particolari;
 Realizzazione/Attribuzione, cioè il soggetto può essere valutato in base ai risultati ottenuti,
o al contrario per le loro qualità come la bellezza;
 Specificità/diffusione: esistono ruoli che coinvolgono tutti gli aspetti di una persona, altri
che si soffermano sulla specifica mansione;
L’ultima parte del pensiero di Parsons è rivolta alla possibilità di individuare degli universali
evolutivi in grado di spiegare lo sviluppo delle singole società. Il tentativo è di trovare delle
risposte alla crescente differenziazione strutturale della società e osservare le capacità
adattive della società ai cambiamenti.
4.2 Robert K. Merton
Robert K. Merton nasce negli Stati Uniti, a Filadelfia. È influenzato dalle teorie di Sorokin e
Lazarsfeld, che lo conducono a una parziale critica nei confronti del funzionalismo
rivolgendo l’attenzione non verso la “grande teoria”, così come è definita quella di Parsons,
ma verso le teorie a medio raggio. La riflessione sociologica di Merton si situa in
opposizione, sia alla grande teoria, poiché Merton è convinto di poter formulare teorie
meno ampie ma allo stesso tempo più precise, sia al funzionalismo. Nella sua opera più
importante, “Teoria e struttura sociale”, Merton propone una critica nei confronti dei tre
postulati dell’impostazione funzionalista.

Il primo postulato è quello dell’unità funzionale del sistema sociale, che presuppone la
società come un tutto, e stabilisce che ogni singola attività standardizzata svolga un
particolare compito sia per la società sia per l’individuo. Secondo Merton il postulato
dell’unità funzionale è messo in discussione dal fatto che non tutte le società umane
presentano lo stesso grado di integrazione. Ad esempio, la religione può essere intesa come
un fattore di integrazione, oppure può essere causa di enormi conflitti.
Il secondo postulato criticato da Merton è quello del funzionalismo universale. Secondo
questo postulato, quando incontriamo una forma culturale standardizzata essa deve
necessariamente avere una qualche funzione positiva all’interno dell’intero sistema sociale.
Questo postulato è smentito dal fatto che in alcune situazioni, certi elementi, pur evidenti,
sono al contrario dei residui per l’intero ordinamento sociale, cioè non volgono più alcuna
funzione.
Il terzo postulato criticato da Merton è quello dell’indispensabilità. Secondo questo
postulato ogni funzione è vitale e indispensabile per il funzionamento e il mantenimento o
la sopravvivenza del sistema stesso. Anche in questo caso è possibile evidenziare come uno
stesso elemento può svolgere una molteplicità di funzioni, così come elementi diversi
possono svolgere la stessa funzione. Si parla dunque di equivalenti funzionali perché si
attiene alla possibilità che strutture diverse possano svolgere la medesima funzione o aver
svolto la stessa funzione (pensiamo alla religione e alla scienza).
La critica ai postulati del funzionalismo porta Merton a operare una distinzione centrale tra
funzioni manifeste e funzioni latenti. Egli mette in luce il divario che può generarsi tra le
motivazioni coscienti del comportamento sociale e le conseguenze oggettive di esso.
Occorre distinguere quindi fra ciò che un'istituzione dice ufficialmente di essere quindi
funzione manifesta, e ciò che fa davvero, quindi le conseguenze non riconosciute ma
oggettivamente funzionali (funzione latente). Merton critica la teoria dell’ordine sociale di
Parsons e dei diversi elementi considerati funzionali al mantenimento del sistema. Egli
riconosce l’ambivalenza di alcuni elementi che oltre a essere funzionali possono anche
essere disfunzionali, come ad esempio nel caso della devianza, quando si registra un
eccessivo divario fra le mete ideali che il sistema sociale propone e i mezzi necessari che
quest’ultimo è in grado di fornire per raggiungerli. Merton promuove una ricerca scientifica
meno ampia, parziale, circoscritta ma anche più precisa su alcuni aspetti della vita sociale,
chiamandole teorie a medio raggio, cioè appunto contenute. Ciò non toglie che le teorie
possano essere modificate, ampliate o riviste e corrette. L’idea di accumulo delle
conoscenze e dei modelli teorici è inscritta nel programma scientifico di Merton. Egli si
interroga sulle condizioni di possibilità dello sviluppo scientifico nelle società democratiche
e in quelle totalitarie, giunge a formulare i 4 imperativi fumzionali caratteristici della scienza:
universalismo, comunismo, dubbio sistematico e disinteresse.
4.3 Niklas Luhmann
Niklas Luhmann è considerato uno dei maggiori filosofi e sociologi della seconda metà del
20° secolo, è considerato uno struttural-funzionalista. Nell’opera “Illuminismo sociologico”,
Luhmann delinea il quadro epistemologico della sociologia in senso funzionalista. Per
Luhmann se la sociologia resta ancorata a una spiegazione causale dei fenomeni sociali, si
espone all’impossibilità di tenere sotto controllo una molteplicità di variabili, quindi
l’impossibilità di una qualsiasi formulazione teorica che abbia valore di scientificità. La
sociologia per Luhmann può formulare teorie scientifiche utilizzando il metodo dell'analisi
funzionale, con issa infatti non si stabiliscono più collegamenti tra cause ed effetti, ma
vengono messi a confronto fenomeni in riferimento a un aspetto problematico, per trovare
le relative soluzioni. Con l’analisi del tipo funzionale, Luhmann si distacca dalla spiegazione
causale e accoglie l’idea di funzione come concetto chiave per l’indagine dei sistemi.
Inizialmente Luhmann accoglie le teorie di Parsons ma il suo quadro teorico è molto più
complesso: la teoria dei sistemi elaborata da Luhmann è un tentativo di creare forme di
interdisciplinarità, in modo tale da trasferire concetti e teorie da un ambito a un altro pur
mantenendo, per ogni singolo ambito, una propria autonomia. Parsons dava centralità alla
struttura e al suo mantenimento, Luhmann invece trasferisce l'importanza alla funzione di
essa, per questo la sua sociologia è funzionalista. Secondo Luhmann, ciò che differenzia un
sistema da un altro è la funzione che svolge quel determinato sistema per l’intera società.
Luhmann chiama questo processo differenziazione funzionale. La prospettiva funzionalista,
quindi, cambia radicalmente la prospettiva per interpretare la realtà, ora al centro
dell'attenzione non c'è più l'equilibrio del sistema, poiché si considera che se i sistemi
esistono sono già di per sé in equilibrio e adattati alla società. Il sistema opera una riduzione
di complessità dell'ambiente selezionando e scegliendo le opportunità da realizzare in base
alla funzione: attraverso questa svolta i sistemi sociali non devono più mantenere in
equilibrio la società ma devono svolgere adeguatamente la funzione. Questo proietta
Luhmann verso la teoria dei sistemi autopoietici-autoreferenziali elaborata da Maturana e
Varela. I sistemi sociali sono autoreferenziali perché si aprono all’ambiente solo nella misura
in cui possono rendere funzionali gli elementi esterni all’interno del sistema, sono
autopoietici perché possono sopravvivere e si riproducono ugualmente anche senza
contatto con l'ambiente. I sistemi sociali sono in grado di creare territori inediti a partire
dalle condizioni che il sistema stesso si è creato. Se nella teoria di Luhmann la funzione è ciò
che differenzia un sistema, da un altro, la comunicazione è ciò che permette la costituzione
dei sistemi sociali. Nella sociologia di Luhmann è centrale l'aspetto della comunicazione,
che permette di segnare un distacco radicale dal passato: i sistemi sociali non sono costituiti
da uomini ma da comunicazioni. La comunicazione non è solo trasferire informazioni ma è
l'orientamento di ego e alter all'interno di una relazione, ed ogni comunicazione non si lega
ad un soggetto ma ad una persona. Con il concetto di persona Luhmann intende il
condensato di aspettative che un sistema ha nei confronti di un individuo. In questo caso la
comunicazione è sbloccata dall'individuo, che è portatore di esigenze, valori e acquista vita
autonoma. Egli pone ora l'individuo come esterno ai sistemi sociali, ovvero come ambiente
in grado di sollecitare i sistemi sociali e provocare contemporaneamente apertura e
chiusura. L’individuo, quindi, non è parte del sistema, ma è posto al di fuori da esso, la sua
funzione è quella di sollecitare il sistema ma le sue sollecitazioni trovano risposta solo se
sono funzionali al sistema. Luhmann fa una distinzione tra sistemi psichici e sistemi sociali,
entrambi sono sistemi autopoietici – autoreferenziali, ma sono contemporaneamente
distinti nel senso che ogni sistema mantiene una propria autonomia. Mentre i sistemi
psichici elaborano pensieri, i sistemi sociali producono comunicazioni.

5. La scuola di Francoforte e la teoria critica


5.1 La scuola di Francoforte
Nasce a Francoforte l’Istituto per la ricerca sociale, intorno al quale si sviluppa la Scuola di
Francoforte, che dà impulso a una delle teorie sulla vita sociale, economica e politica più
importanti del XX secolo: la teoria critica della società. L’istituto viene fondato nel 1923.
Max Horkheimer nasce a Stoccarda ed è il direttore Dell'istituto di ricerca sociale a
Francoforte e docente universitario, inoltre fonda la rivista per la ricerca sociale.
Theodor Wiesengrund Adorno nasce a Francoforte. Il padre è un commerciante ebreo,
mentre la madre genovese e per questo gli trasferisce il cognome Adorno. Entra
giovanissimo nella Scuola di Francoforte al fianco di Horkheimer suo maestro. È costretto a
lasciare la Germania a causa del nazismo ma continua a Parigi l'attività dell'istituto sociale.
Nel 1947 scrive con Horkheimer la “Dialettica dell’illuminismo” e nel 1950 dà un importante
contributo ad un’altra opera “Personalità autoritaria”. Nel 1950 diventa codirettore
dell'istituto di Francoforte insieme ad Horkheimer, e poi di direttore quando quest'ultimo si
ritirerà. Muore in Svizzera nel 1969.
Herbert Marcuse nasce a Berlino, da una famiglia ebrea. Nel 1927 si unisce alla scuola di
Francoforte. Con l'avvento del nazismo è costretto a trasferirsi In Svizzera e poi negli Stati
Uniti dove resterà per tutta la vita. Nel 1936 contribuisce con gli altri studiosi dell’istituto
alla pubblicazione degli “Studi sull’autorità e la famiglia”. Nel 1969 in occasione di un viaggio
in Italia dichiara pubblicamente la sua adesione al movimento operaio europeo, soprattutto
quello italiano nel 1972 pubblica “Controrivoluzione e rivolta”. Muore nel 1979.
Walter Benjamin nasce a Berlino. Nel 1933 diventa membro della scuola di Francoforte e
pubblica “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” sempre sulla stessa
rivista vorrebbe pubblicare una ricerca su Baudelaire, ma Adorno lo impedisce questo
episodio segna il suo distacco dalla scuola di Francoforte e l'avvicinamento all'avanguardia
rivoluzionaria europea. Allo scoppio della guerra viene internato e non riuscendo a
raggiungere gli Stati Uniti si uccide alla frontiera spagnola nel 1940.
Horkheimer, Adorno, Marcuse e Benjamin, con Fromm, studioso neofreudiano, Lowenthal,
sociologo della letteratura, Pollock, l’economista, danno vita alla Scuola di Francoforte, che
per motivi storici e per vari anni ha poi avuto sede a Parigi e negli Stati Uniti. La teoria
critica è caratterizzata da un forte intreccio di filosofia, storia, psicoanalisi e ricerca sociale, e
ha tratti fortemente originali. Con il suo peculiare pensiero e attraverso l’osservazione della
realtà, mira a ricostruire la genesi storica dei fenomeni sociali e le possibilità di
emancipazione che essi recano in sé. Nel “Minima moralia”, Adorno evidenzia un aspetto
centrale per la Scuola di Francoforte: la vita degli uomini si è ridotta al semplice consumo, è
diventata un’appendice della produzione e non ha più autonomia né sostanza propria. Il
marxismo è il tratto comune dei francofortesi, che però lo rielaborano ampiamente grazie
alle influenze che ricevono da altri approcci. L’obiettivo dei membri della Scuola di
Francoforte è rendere chiare le possibilità di rivoluzione che si aprono nella relazione tra
sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali, dunque nel capitalismo, ma queste restano
latenti. Per capire come mai le tensioni che la società industriale porta con sé restino latenti,
la Scuola di Francoforte ricorre alla psicoanalisi. La necessità di integrare marxismo e
psicoanalisi era stata dichiarata da Horkheimer fin dal primo numero della sua rivista. Si
tratta di investigare i meccanismi inconsci che si celano nelle relazioni sociali. Fromm
riprendendo la categoria freudiana del Super-Io, mostra come nella famiglia, attraverso la
mediazione del padre, il singolo individuo interiorizza, una struttura gerarchica, che è poi
quella della società di cui è parte, e vi si lega in senso libidico. La personalità che si forma è
masochista, ovvero incline alla sottomissione e gode di questi rapporti in cui è vittima, e una
personalità autoritaria ossia scarica le sue frustrazioni solo sul più debole. Quando gli autori
arrivano negli Stati Uniti, mirano a capire come i pregiudizi razziali si radichino e
riproducano nella società americana. Il nucleo di tali ricerche è costituito da interviste in
profondità, interpretate con teorie psicoanalitiche, e da questionari, costruiti per classificare
i diversi tratti della personalità, i pregiudizi e le tendenze antidemocratiche. gli studiosi della
scuola di Francoforte, dai loro studi riescono a sostenere che la sindrome autoritaria va a
compensare le frustrazioni che sono radicate nei meccanismi psichici profondi. Gli studi
della Scuola di Francoforte sono influenzati dall’idea weberiana che la modernità sia
caratterizzata dallo sviluppo della razionalità strumentale, ovvero dalla sempre maggiore
capacità di calcolare razionalmente i costi e i benefici del proprio agire. In “Eclisse della
ragione”, Horkheimer sottolinea che tale processo si colloca nel passaggio dall’Illuminismo
al Positivismo. Attraverso il richiamo alla ragione, gli illuministi contrapponevano i principi di
libertà, uguaglianza e tolleranza, ai privilegi e alle superstizioni feudali. Il pensiero positivista
invece fa della ragione uno strumento di spiegazione dei fatti e si serve della ricerca
scientifica. In “Dialettica dell’illuminismo”, Horkheimer e Adorno sono ancora più radicali.
Nella loro critica compiono una certa rivalutazione del pensiero magico e religioso, come a
sottolineare che non tutto, nella vita, può essere controllato razionalmente. L'illuminismo
aveva avuto lo scopo di liberare l'uomo dal mito, lo ha però allontanato dalla natura e
sottomesso all'organizzazione capitalistica. Anziché uomo libero, l'uomo moderno è un
uomo estraniato. In “Eros e civiltà” Marcuse sottolinea che all’Illuminismo va contrapposta
un tipo di critica razionale consapevole della possibilità di una ricaduta nella barbarie. Per i
teorici di Francoforte il problema è che a questa aspirazione alla felicità si rivolge l’industria
culturale, che diventa pertanto un altro loro ambito di riflessione. Il capitalismo moderno
chiede all'uomo di adattarsi al mondo, per questo l'industria culturale ha un ruolo centrale
in quanto cerca di fornire lavoratori una compensazione per i loro sacrifici attraverso lo
svago. Apparentemente l'industria culturale apre alla massa le porte della cultura, ma in
realtà ha il fine della produzione. La cultura stessa diviene una merce, con un valore di
scambio, in prodotto standardizzato e una fonte di profitto, E tutto tende ad assomigliarsi
come i programmi televisivi, i film e i giornali. Inoltre, l'industria culturale ha una logica di
manipolazione che si realizza con i mass media, una comunicazione unidirezionale dove i
cittadini non possono obiettare. La pubblicità è il nucleo della comunicazione moderna ed è
sempre un invito all'acquisto. In questo senso, le opere d'arte si svalutano e secondo
Adorno la cultura viene ridotta in semi cultura poiché non è più veicolo di aspirazioni a
ideali.
Lazarsfeld mette in discussione l’idea che l’industria culturale abbia un potere così assoluto.
La problematica centrale della scuola di Francoforte, viene espressa da Adorno nella
“Dialettica negativa”, è che Fra la burocrazia dei paesi dell'est e il capitalismo avanzato in
occidente, non si può più parlare di classe rivoluzionaria, il proletariato è stato integrato e
con esso e scomparsa la sua ideologia rivoluzionaria. La scuola di Francoforte, nella sua
diversità e complessità, non pensa ad una scienza sociale che miri ad osservare e registrare
la realtà, duplicandola, ma che sia orientata a spiegarla.
5.2 Jurgen Habermas
Jurgen Habermas, ultimo erede della scuola di Francoforte, è uno dei maggiori esponenti
della teoria critica contemporanea. Habermas nasce nel 1929 a Düsseldorf, sotto il nazismo.
La prospettiva teorica di Habermas si annuncia fin dalla prima opera, “Storia e critica
dell’opinione pubblica”, Habermas rivela il suo interesse per la dimensione comunicativa
della democrazia e per i potenziali critici della società. La sfera pubblica è lo spazio in cui si
formano le opinioni pubbliche. Nasce tra il 600 e il 700 nei luoghi di ritrovo della borghesia
come i caffè, i salotti e i circoli Dove gli uomini possono incontrarsi, informarsi e discutere.
La sfera pubblica non è però uno spazio pubblico in senso istituzionale, ma uno spazio
generato dal dibattito tra privati cittadini, che si riuniscono in privato per discutere di ciò che
gli riguarda collettivamente. Essa è dunque uno spazio aperto a tutti. Habermas in linea con
la scuola di Francoforte fa una critica ai meccanismi di omologazione delle coscienze che
viene creata dei processi di comunicazione moderni. Per Habermas il processo non è
inarrestabile. Egli spera nei movimenti sociali, che si interessano dei problemi sociali e delle
qualità della vita. Ma soprattutto, per lui la sfera pubblica non è solo un fenomeno storico di
cui registrare il tramonto, è un fenomeno sociale elementare che vive sempre e ovunque. In
“Storia e critica dell’opinione pubblica” Habermas affronta questioni che sviluppa nei suoi
lavori successivi come l’idea, messa in luce nel “Discorso filosofico della modernità”, che la
modernità sia un progetto incompiuto. Per Habermas l’agire, oltre che strumentale, ossia
orientato a raggiungere scopi in una logica di dominio e manipolazione tecnica, può essere
comunicativo, ovvero atto a generare l’intesa attraverso lo scambio linguistico. Un agire è
comunicativo se si fonda su una discussione libera tra soggetti che si confrontano in modo
razionale sulle scelte che informano il loro mondo di vita. La modernità per Habermas è un
progetto incompiuto. Habermas sottolinea che i valori ultimi hanno perso la forza di guida
per l’azione politica, orientata ormai solo a evitare i problemi che possono minacciare il
funzionamento della società e dell’economia. Habermas si pone il problema di una nuova
prospettiva sociale emancipativa. Ma, optando per una concezione dialogica della ragione,
egli evidenzia che, se la dimensione tipica dell’uomo è la ricerca di una comprensione
reciproca attraverso il linguaggio, la società non può essere analizzata solo attraverso i
rapporti di produzione. Il concetto di lavoro, che implica la razionalità strumentale, va
integrato con quello di interazione, che contempla la razionalità comunicativa e, rispetto al
quale un’azione è razionale se può essere giustificata da un dibattito aperto con la
partecipazione paritaria degli individui interessati. Questione centrale nella teoria dell'agire
comunicativo è la comprensione che in ogni conversazione si può garantire attraverso
quattro punti: attraverso l'intelligibilità si presuppone che quando qualcosa viene detto
abbia un senso e non venga confuso, verità ciò che si dice deve essere vero, correttezza
morale chi parla ha il diritto di farlo, sincerità quando si dice qualcosa non si deve ingannare
nessuno. Per Habermas la razionalità comunicativa è una meta da raggiungere, il criterio
universale di riferimento della situazione discorsiva ideale. La politica viene ridotta ad
essere una risolutrice di problemi, perdendo legittimità, e la sfera pubblica viene invasa da
interessi di parte e forme di dominio. Obiettivo complessivo di Habermas è trovare nuovi
fondamenti filosofici per una teoria sociale critica che, ruotando attorno al concetto
comunicativo di ragione, tenti di ridefinire il progetto della modernità.
6. Teorie recenti: tra individuo, soggetto e struttura
A partire dalla fine degli anni 60, la situazione politica e sociale dei paesi occidentali cambia
mettendo in discussione la prospettiva sociologica di stampo struttural-funzionalista.
Avvengono avvenimenti sociali e politici come la crisi della grande industria e le battaglie
per i diritti civili. La sociologia di quegli anni è fortemente dominata dal paradigma
struttural-funzionalista di Parsons. La nuova società che emerge verso la fine degli anni 60
richiede uno sguardo nuovo capace di tenere insieme la dimensione della struttura e la
dimensione individuale dell'agire. Sociologi come Touraine, Boudon e Bourdieu offrono alla
sociologia un nuovo sguardo. La riflessione sociologica di Touraine si inserisce appieno nel
clima politico, sociale e culturale della fine degli anni Sessanta. È infatti del 1969 l’opera
ritenuta più importante, “La società postindustriale”, dove l’autore introduce nel campo
sociologico il termine “postindustriale” per indicare la fine della società industriale,
caratterizzata dal conflitto fra capitale e lavoro, e l’emergere di una società caratterizzata da
nuove forme di conflittualità. Secondo Touraine centrale è la nozione di lavoro: è attraverso
il lavoro, inteso come azione nel mondo non sociale, che il soggetto proietta i propri valori e
i propri orientamenti normativi. Questa posizione teorica di Touraine indica che da un lato i
valori non sono esterni all'individuo, ma si manifestano nell'azione del lavoro. Ogni soggetto
porta con sé questi valori che sono espressione dello proprio gruppo di appartenenza. Per
Touraine è centrale l’idea di conflitto come opposizione non solo di soggetti diversi
all’interno di uno stesso contesto culturale, ma di soggetti in grado di produrre e riprodurre
la società in quanto tale. Per Touraine quindi il superamento avviene all’interno di un
contesto sociale conflittuale che si presenta nella forma di soggetti collettivi capaci di porre
all’attenzione nuovi modelli di società.
Boudon nasce a Parigi nel 1934. La riflessione di Boudon si situa in quel filone di studi che
prende il nome di teoria della scelta razionale. Ispirandosi ai presupposti metodologici
dell’individualismo metodologico, Boudon cerca di estendere alla sociologia i modelli
economici, andando oltre l’agire intenzionale degli individui e l’agire condizionato delle
strutture. Centrale è per Boudon il concetto di razionalità dell’agire umano che nei testi più
importanti, come “Effetti e teorie dell’azione”, “Il posto del disordine” e “Il saggio
Razionalità e teorie dell’azione”, intende non soltanto come capacità di adeguare i mezzi a
disposizione con i fini da perseguire, ma anche come capacità cognitiva che si determina in
base a norme e valori che possono anche essere basati su presupposti o su false credenze.
Boudon introduce il concetto di buone ragioni proprio per evidenziare come nell’agire
umano sia presente una forte componente valoriale di tipo etico e religioso. Boudon fa una
distinzione fra la razionalità di posizione, ovvero quella razionalità legata all’esperienza
immediata ad esempio le diverse buone ragioni dell'operaio nel ritenere l'automazione
causa della disoccupazione, e quelle dell'imprenditore che sostiene il contrario, e la
razionalità di disposizione, ovvero quella razionalità legata alla formazione dell’individuo ad
esempio due individui appartenenti a due culture differenti. Queste due indicano che la
razionalità va intesa solo e soltanto come “situata”, ossia strettamente legata alle condizioni
materiali, sociali e culturali.
Bourdieu nasce nel 1930 a Deguin. La produzione di Bourdieu è vastissima. Non ha mai
scritto una vera e propria opera sistematica. La sua teoria e i suoi concetti vanno ricercati
nelle diverse opere sociologiche. Bourdieu si inserisce criticamente nella grande tradizione
francese che si muove tra un soggettivismo di Sartre e lo strutturalismo dell’antropologo
Lévi-Strauss. Per Bourdieu si tratta di superare sia il soggettivismo che vuole è una coscienza
libera da qualsiasi condizionamento sociale, sia l’oggettivismo che vuole l’uomo
determinato dalla struttura, cioè un’espressione della struttura, per Bourdieu, soggettivismo
e oggettivismo costituiscono un’antinomia (un contrasto) che blocca il discorso scientifico. Il
tentativo di tenere insieme sociale e individuale è per Bourdieu espresso dal concetto di
habitus, inteso come quella disposizione del soggetto di orientarsi nella complessità del
mondo. L’habitus non è innato, ma acquisito. Bourdieu si rende conto che non basta il solo
concetto di habitus, per questo egli introduce il concetto di campo, utile ad analizzare la
molteplicità degli ambiti presenti nella vita sociale moderna. Il campo è uno spazio
delimitato dove agiscono agenti in lotta fra loro per acquisire posizioni di dominio.
All’interno del campo, gli agenti hanno una posizione che possono migliorare in virtù delle
risorse che hanno a disposizione perché ereditate dalla famiglia o perché acquisite nel corso
del tempo come, ad esempio, il video di d’istruzione e che Bourdieu chiama capitale. A
partire da questi tre concetti è possibile, secondo Bourdieu, comprendere qualsiasi
fenomeno sociale e qualsiasi realtà sociale, poiché essi sono concetti universalmente validi.

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