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SULLE TRACCE DEL SACRO E DEL SUO OBLIO

di Roberto Caracci

(su Oblio e memoria del Sacro, di V. Vitiello. Moretti&Vitali 2008)

Cosa ne è del sacro nell'uomo moderno? Vi è un rapporto, un


contatto, una forma di 'adesione', se già nella radice indoeuropea
sak/sag permane quel senso originario dell'attaccare, aderire,
avvincere? L'adesione suppone un legame e l'avvincere un vincolo,
un giogo. Nulla di tutto questo, secondo Vitiello, sulle orme della
Zambrano. Il rapporto dell'uomo moderno al sacro è 'temporale',
passa attraverso le dimensioni del dimenticare e del ricordare,
dell'oblio e della memoria. Ma un sacro ricordato è già di per se
stesso un sacro 'conservato'? E' lo stesso sacro originario? Per niente.
Un oggetto come il sacro comincia a tramontare, ad allontanarsi,
proprio nel momento in cui comincia ad essere 'oggetto' di ricordo.
Da lì parte la secolarizzazione del sacro, dal suo uscire dalla
dimensione 'confusa', indistinta, terrificante (deinotatos), notturna
(anzi notturno-diurna) per entrare nel tempo del ricordo, del ricordo
come inalveato nel tempo, nella storia, nella narrazione e infine nella
scrittura.

Il sacro ricordato, trasformato in memoria, narrazione, storia della


sacralità, non è più il sacro. L'oblio del sacro nei nostri tempi nasce
paradossalmente da lì, dalla memoria, dalla secolarizzazione, dal suo
affacciarsi nell'alveo del tempo e della storia. La memoria prelude
all'oblio, senza soluzione di continuità, anche se in una forma- per
fortuna- non irreversibile. Non irreversibile perché l'originalità del
sacro, che non si dice, non si narra, non si ricorda, non si storicizza,
sta anche nel suo essere fuori del tempo e della storia, oltre la parola,
la rappresentazione come icona e figura. Icone e figure del sacro
sono già gli dei dell'antica Grecia, calati nella tragedia, che stanno fra
il sacro e l'uomo, ma non sono più il sacro. Il divino, dice Vitello,
non è il sacro, ne è solo figura, icona. E se pur il sacro si cala nella
figura del divino, del dio come rappresentazione, il percorso questa
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volta non è reversibile: la figura religiosa, pur scaturendo dal sacro,
non ne è la rappresentazione fedele. Linguaggio e immagine sono
infatti strumenti della memoria del sacro, ma solo nel loro
annientarsi- in fondo- sanno 'dire' e 'dipingere' qualcosa del vero
sacro.

Alla figura come raffigurazione è legato il limite, per cui ogni


determinazione è negazione di ciò che è oltre la determinazione:
l'oltranza del sacro può essere attinta solo attraverso una negazione
della negazione, ossia il riassorbimento della figura che lo dice o lo
rappresenta. Non si tratta si puro misticismo, o di teologia negativa
tout court, anche se Vitiello accenna a Plotino e alla dialettica
hegeliana in campo della filosofia della religione. Qui il sacro gode
di una sua inattingibile in-seità, pre-logica, pre-linguistica, pre-
morale, e ovviamente pre-religiosa, oltre che pre-valoriale.

Certo il Mito vi va molto vicino, ma anche il mito nella sua


semplicità iconografica è già figura, è già racconto: con il mito
comincia l'allontanamento dagli abissi del sacro, una memoria che
però non è ancora oblio. Sulle tracce della Zambrano, Vitiello parla
più di oblio della memoria del Sacro, che di semplice oblio del sacro:
anche perché l'oblio non può aver a che fare con la sacralità se non
passando appunto attraverso la memoria, che ne è un presupposto.

Come narrano le Baccanti di Euripide a proposito del dio-uomo


Dioniso, la comparsa degli dei coincide con l'inizio del tramonto del
sacro. Dioniso ha una natura duplice, che risente ancora della sacrale
unità di uomo e dio, di notte e giorno, di caos e ordine, di bene e
male, di demoniaco e divino. Egli sembra grondare ancora, nella sua
figura duplice, di quell'Indistinto da cui provengono gli Dei,
contrapponenti al caos un principio religioso e dunque re-ligante, di
ordine, di forma, figura e Distinzione. E questo è anche la Memoria
del Sacro: distinzione, limite, e figura, de-cisione e taglio,
separazione dal fondo indistinto, molteplicità a fronte dell'unità da
cui deriva senza intaccarla.

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La potenza del sacro, quella che indirettamente si rivela anche in un
dio pioniere come Dioniso, demone-dio, viene trasformata e
neutralizzata da Aristotele attraverso l'equivalenza
potenza=possibilità (dynamis). Quella dynamis che salvaguarda il
principio di non contraddizione e tutto il sistema epistemico
aristotelico in quanto sottintende l'Atto prima di sé, l'entelechia, e
dunque prevede uno sviluppo circolare, organico, dove la fine (l'atto)
è già nell'inizio (la potenza). Proteron energheia dynameos: l'atto
prima della potenza, che risulta dunque non forza distruttiva ma
potenzialità, germe, possibilità di uno sviluppo della meta annunciata
nell'entelechia. Ma così, commenta Vitiello, in Aristotele la filosofia
-neutralizzando la potenza- si è già liberata dal sacro. L'indistinzione
del Sacro, nella Potenza, è già Distinto: il caos è salvo nella forma e
nelle figure dello sviluppo.

Il Dio che san Paolo predicava agli Ateniesi, scettici e quasi


increduli, era un Dio che si avvicinava a loro sotto forma di
linguaggio, comunicazione, profezia. Ma questa era già memoria del
sacro: era il modo attraverso il quale il Sacro, nominandosi come Dio
unico e salvatore, si faceva contattare, narrare e già storicizzare.
Rimosso dunque il carattere imprevedibile del Sacro, il bene-male, la
luce-ombra, il giorno notte, nel Dio buono e previdente: figura che
lasciava fuori ogni traccia di deinon, di terrificante, di pre-logico, di
eventuale, mostruoso, imprevedibile e pre-umano.

Se l'iter della secolarizzazione del sacro e del suo tramonto prevede


dunque il passaggio dalla memoria del sacro al suo oblio, anzi
all'oblio della memoria stessa del sacro, Vitiello fa rientrare due
grandi pensatori come Hegel e Nietzsche -da lui a lungo studiati-
nell'ambito del pensiero della memoria 'obliante' del sacro. Mentre
Junger, Heidegger e la stessa Zambrano fanno parte dei pensatori del
'risveglio' di questa memoria, in quanto per dir così 'ermeneuti' di
quelle tracce che comunque e per fortuna il sacro dissemina e può
disseminare tutt'ora, nel tempo dell'oblio, sotto forma di lampo,
rottura, evento. E in questo caso la parola dei poeti, come già
dimostrava Heidegger, può molto, nell'epoca della penuria e del
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maggior pericolo; nell'epoca degli dei tramontati e non più rimpianti.

Il risveglio della memoria del sacro ha bisogno di tracce. Il sacro


accade, non è. Il sacro è evento, e anche la nascita e la morte degli
enti- pur accennando al sacro, ne sono solo figura. Rimandano a.
Accennano. Così ad esempio le Rovine, una figura della fine che
'accenna' all'inizio. Le Rovine, come quelle del tempio di Selinunte,
evocano -non descrivono- il sacro come evento, e come vento che
spazza e 'purifica', legato al nascere e al morire delle cose. E l'evento
del sacro, come 'vento' di fuori, irrompe nelle 'figure' della mente,
nello spazio 'iconico' della mente, per decidere appunto della vita e
della morte. E' solo in questo senso che nascita e morte sono solo
figure, in cui il sacro viene colto, pur non essendoci identicità fra
sacro e sua figura. E se il Divino è la figura del sacro, nemmeno in
questo caso il sacro ne viene rappresentato nell'abisso della sua in-
seità, della sua unità, perfezione e immensa semplicità.

Nella secolarizzazione avviene proprio che il sacro sia non solo


rappresentato da, ma anche identificato con il Divino: il passo per
l'asservimento del sacro all'uomo è consequenziale. Anche il profeta
della bibbia trasforma la sacralità di un futuro esclusivamente
consegnato al futuro -all'evento-, in una attesa colma di speranza, di
presagi, come la folla che segue Mosè nel deserto in vista
dell'incontro con il Messia.
Nelle Rovine l'uomo può solo intravvedere l'orma del sacro, mentre
può 'vedere' chiaramente il limite del proprio' vedere', l'orizzonte
ultimo dello sguardo. Il sacro resta al di là, alluso e non chiarito,
evocato e non detto, esperito e non raccontato. Certo vi sono i poeti,
Rilke o Hoelderlin, che ci donano le parole, ess stesse doni di
un'oltranza inattingibile altrimenti.

Traccia della sacralità del divino, e insieme degli sviluppi della


secolarizzazione, è anche nella Trinità cristiana, dove il Padre
rimane uno, incommensurabile, misterioso, inattingibile e indistinto
rispetto al Figlio- figura umano-divina, icona, immagine e corpo.
Laddove il Padre resta in-figurale, irrelato e ulteriore. Cristo, come
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dio incarnato, 'doveva' morire per mostrare il proprio limite e insieme
la radicale oltranza del Sacro. Con Cristo muore sulla croce la stessa
Verità, de-cisa e separata dal Padre, espressione non figurale del
sacro. Infatti nessuna Verità, neanche quella universale predicata da
Cristo, può avere contatto con il Sacro, che è altro dal Vero e dalla
visione che il Vero ce ha.

L'uomo non può aspirare, oggi meno che mai, ad una visione
sistemica e 'panoramica' del mondo, in quanto esserci storico e
situato. Rimane un abitatore del Tempo e del mondo. Eppure,
nell'epoca dell'oblio della memoria del Sacro, egli non è nel tempo
come una cosa del tempo e non è nel mondo come una cosa del
mondo: egli, dice, Vitiello è nel tempo e nel mondo, ma non del
tempo e del mondo. Egli è differente, in senso radicale: e la sua
differenza va abitata. Abitare la differenza come un estraneo, tra
l'oblio e memoria del sacro, vuol dire rispettare quel tu, e
quell'alterità che è nel proprio io, se è vero che dall'io come terza
persona di Aristotele e l'io come prima persona di Cartesio, occorre
sostituire la seconda persona di un io come tu, come altro da me.
Abitare la differenza, fenomenologicamente, è anche un essere-fra,
un trovarsi accanto. Partecipazione, inter-esse, responsabilità, sono
tutti abiti etici correlati a questo corrispondere all'attimo, a ciò che
dell'attimo è accadimento ed evento.

Nel risveglio della memoria del sacro si insedia, ci fa intuire Vitiello,


anche un abito etico, una predisposizione all'ascolto: degli altri, del
mondo, della storia, e di ciò che sotto forma di traccia, o di parole
dei poeti, rinvia a ciò che ci costituisce originariamente, e che non
abbiamo mai davvero saputo, né mai forse sapremo.

RC

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