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STUDIO TEOLOGICO INTERDIOCESANO

TREVISO-VITTORIO VENETO

La Chiesa «Popolo di Dio»


a partire dal Concilio Vaticano II
Oblio e riscoperta di una controversa nozione
ecclesiologica

Baccalaureato in Teologia

Studente: Marco GALLO


Relatore: prof. Marino ROSSI

Treviso, anno accademico 2015-2016

1
2
SOMMARIO

SOMMARIO......................................................................................................................... 3

ABBREVIAZIONI ................................................................................................................. 7

INTRODUZIONE
Status quaestionis della tesi .............................................................................................. 8
1. Obiettivi e limiti di questa ricerca ............................................................................ 8
2. Metodo e percorso di questa ricerca ......................................................................... 9

CAPITOLO PRIMO
Popolo di Dio nella Lumen Gentium .............................................................................. 12
1. Dalla gerarchia al Popolo ........................................................................................ 12
1.1 Dall’epoca dei Padri alla Riforma ..................................................................... 12
1.2 Dalla Riforma fino alla vigilia del Concilio ...................................................... 14
1.3 La “riscoperta” del Popolo di Dio ..................................................................... 15
2. L’iter redazionale del “De Populo Dei” .................................................................. 16
2.1 I limiti della teologia del “Corpo mistico” ........................................................ 17
2.2 Novità e difficoltà nello schema “De Ecclesia” ................................................ 18
2.3 Una fortunosa convergenza ............................................................................... 19
2.4 L’arrivo del “De Populo Dei” ........................................................................... 20
3. Il nuovo capitolo sul Popolo di Dio ........................................................................ 22
3.1 Nuova Alleanza e nuovo popolo ....................................................................... 22
3.2 Popolo sacerdotale, profetico e regale ............................................................... 24
3.3 Il senso della fede e i carismi ............................................................................ 26
3.4 Universalità dell’unico Popolo di Dio ............................................................... 27
3.5 Natura missionaria del Popolo di Dio ............................................................... 29

3
SOMMARIO

4. Il capitolo II nella costituzione sulla Chiesa ............................................................ 30


5. Conclusione ............................................................................................................. 32

CAPITOLO SECONDO
La prima recezione postconciliare (1965-1985) ............................................................. 34
1. La recezione della Lumen Gentium e i suoi problemi ............................................. 35
1.1 Il sacerdozio comune: origine di una controversia ............................................ 36
1.2 Il sensus fidei o fidelium alternativo al magistero.............................................. 37
1.3 Il dibattito tra carisma ed istituzione.................................................................. 38
2. Letture indebite: l’interpretazione della Teologia della Liberazione ...................... 39
2.1 Adozione di Popolo di Dio a categoria sociologica ........................................... 40
2.2 Controversie sul termine “Popolo” .................................................................... 41
2.3 Dalla Chiesa per il popolo a Chiesa di popolo................................................... 41
2.4 Popolo di Dio come popolo oppresso in L. Boff ............................................... 42
3. La risposta del Magistero: Libertatis nuntius .......................................................... 44
4. La discussione sull’ecclesiologia del Concilio ........................................................ 45
5. Il documento della Commissione teologica internazionale ..................................... 47

CAPITOLO TERZO
Popolo di Dio dal Sinodo del 1985 al pontificato di papa Francesco ............................ 48
1. Il Sinodo straordinario del 1985 .............................................................................. 50
1.1 Origini e finalità del Sinodo............................................................................... 50
1.2 La Relatio finalis: il modello della Chiesa comunione ...................................... 52
2. Lettura critica del Sinodo......................................................................................... 53
2.1 L’oscuramento del “Popolo di Dio” .................................................................. 54
2.2 Limiti dell’ecclesiologia di “Communio” .......................................................... 56
2.3 Popolo di Dio e Communio: retta ermeneutica del Concilio ............................. 60
2.4 Ripartire dal Popolo di Dio secondo J. Comblin ............................................... 61
3. Il ritorno dell’ecclesiologia del Popolo di Dio ........................................................ 62
3.1 La teologia del popolo in papa Francesco ......................................................... 64

4
SOMMARIO

3.2 Popolo di Dio nell’Evangelii Gaudium ............................................................. 65


3.3 La chiarificazione del sensus fidei..................................................................... 66

CAPITOLO QUARTO
La ricchezza teologica della nozione .............................................................................. 68
1. Il problema del significato dell’espressione ............................................................ 68
1.1 Vantaggi della categoria teologica .................................................................... 69
1.2 Limiti ................................................................................................................. 71
1.3 Cosa significa essere Popolo di Dio? ................................................................ 72
2. Importanza storico-salvifica .................................................................................... 73
2.1 Popolo di Dio, categoria biblica ........................................................................ 73
2.2 Popolo di Dio ed Israele: superamento del sostituzionismo.............................. 74
3. Il cammino di un’idea: designa l’essenza stessa della Chiesa ? .............................. 75
4. “Popolo di Dio” in relazione a Mistero, Corpo di Cristo e Comunione.................. 76
4.1 Chiesa Popolo di Dio e Mistero ........................................................................ 76
4.2 Popolo di Dio e Corpo di Cristo ........................................................................ 78
4.3 Il Popolo di Dio ed ecclesiologia di comunione................................................ 80
5. Il Popolo di Dio è “soggetto storico” ...................................................................... 81
5.1 Popolo di Dio è “soggetto” ................................................................................ 81
5.2 Popolo di Dio, soggetto storico ......................................................................... 83
5.3 Correlazione tra Mistero e soggetto storico ...................................................... 84
5.4 La storia, luogo di salvezza ............................................................................... 84
5.5 Escatologia e impegno nella storia .................................................................... 85

CONCLUSIONE.................................................................................................................. 89

BIBLIOGRAFIA.................................................................................................................. 93

5
6
ABBREVIAZIONI

a) opere del Magistero

LG Lumen Gentium, Costituzione dogmatica sulla Chiesa

EG Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica post-sinodale

b) sussidi

EnchVat Enchiridium Vaticanum,EDB, Bologna, 1993 ss.

EnchEnc Enchiridium Enciclicum, EDB, Bologna 1995 ss.

7
INTRODUZIONE

La presentazione e l’interpretazione sistematica della Chiesa a partire da “Popolo di


Dio” è uno dei frutti più preziosi della riflessione ecclesiologica, poiché costituisce una
valida via di accesso per sondare la ricchezza del suo mistero e una possibilità per
poterlo descrivere in maniera più articolata. Sebbene esistano testimoni della Tradizione
patristica che hanno conosciuto ed utilizzato tale concetto, il suo impiego come nozione
sistematica è un fenomeno recente, a partire dal Vaticano II.

1. OBIETTIVI E LIMITI DI QUESTA RICERCA


L’ingresso della categoria “Popolo di Dio” è stato sancito nella Costituzione
dogmatica Lumen Gentium che rappresenta, per cultori e detrattori del Concilio uno dei
punti di maggior discontinuità del Concilio rispetto all’ecclesiologia preconciliare.
L’interesse di questo componimento vuole approfondire, a partire dal testo
conciliare, la ricchezza teologica di “Popolo di Dio”, ed esplicitare le modalità e le
motivazioni del cambio del paradigma della Chiesa. L’obiettivo è riconoscere il
“Popolo di Dio” categoria privilegiata per la descrizione dell’identità della Chiesa,
chiave interpretativa che i Padri conciliari hanno faticosamente ma coraggiosamente
elaborato. Si intende riscontrare la possibilità che questo modello possa costituire un
fondamento alla costruzione d’una sintesi ecclesiologica capace di offrire risposte
credibili sull’identità della Chiesa contemporanea. La trattazione del tema, rinnovando
l’interesse per la vitalità della Chiesa, punta a soffermarsi, nel percorso storico,
sull’attuazione piena del programma conciliare, che prevedeva il contributo di tutti i
battezzati, che formano la totalità del popolo cristiano. Nel post-concilio il concetto di
“Popolo di Dio”, con tutti i suoi significati, è posto seriamente in questione, vuoi per
interpretazioni ideologiche, vuoi per prudenza magisteriale. Punto determinante delle
scelte conciliari, salutato come un avvenimento straordinario, esso non ha avuto la
recezione e lo sviluppo che meritava.

9
INTRODUZIONE

A cinquant’anni dalla conclusione del Concilio ed a trenta dal Sinodo straordinario


dei vescovi, il clima teologico più sereno, permette una riflessione sul tema più pacata.
Lontano dall’atmosfera di polemica e di rivendicazione che aveva caratterizzato il
recente passato, è ora possibile una valutazione più obiettiva non solo delle
contrapposizioni e delle scelte operate, ma anche della “storia degli effetti” che
entrambe hanno originato nel dibattito teologico.
Affondando le sue radici direttamente nel cuore dell’ecclesiologia del Vaticano II,
l’analisi, infatti, vuole leggere il tema della Chiesa Populo Dei non in contrapposizione
con le altre categorie (specie con il principio della Communio), bensì ricercando, a
partire da questa espressione sintetica ed essenziale, la mutua complementarietà nel loro
sforzo di descrivere il mysterium della Chiesa, a scanso di prese di posizioni parziali,
teologicamente riduttive e deficitarie.

2. METODO E PERCORSO DI QUESTA RICERCA

Il metodo di questa ricerca adotterà lo sviluppo diacronico, polarizzando l’attenzione


nel continuo rimando tra i documenti del Magistero e i contributi degli studi teologici di
questi ultimi decenni. L’apparato critico di questo lavoro è così costituito dai testi
ufficiali della Chiesa in dialogo con le opere significative di alcuni autori, scelti per la
sistematicità e originalità della loro riflessione. L’impegno, in particolare, di seguire la
ricerca ecclesiologica nel periodo post-conciliare, identificando le posizioni di maggior
rilievo, è consapevole di avere per suo limite quello di non poter analizzare la totalità
delle prese di posizioni sul tema. Il lavoro cercherà di dare una possibile linea di lettura
unitaria di una trattazione ecclesiologica che si presenta, sul piano generale, frantumata
e senz’ordine, con varie opinioni e considerazioni spesso unilaterali.
La sollecitudine di questa ricerca, da una parte si pone su un piano di indagine più
propriamente bibliografico, analizzando le questioni ecclesiologiche; dall’altra mira ad
appurare quale impatto concreto abbia avuto la concezione di Chiesa “Popolo di Dio”
nel vissuto ecclesiale, esplicitandone la recezione. L’esposizione di questo elaborato si
muoverà dunque su questi due piani di comprensione, tra l’ermeneutica che impegna

10
l’ecclesiologia e la recezione nella vita ecclesiale. Entrambi i piani nella loro unità
descrivono la vitalità della Chiesa che cerca di capire se stessa nel suo pellegrinare.
Il lavoro aprirà con la novità, del concetto teologico di Popolo di Dio all’interno della
redazione della Costituzione dogmatica Lumen Gentium1: l’analisi del capitolo II del
documento magisteriale delineerà nel contenuto gli elementi di continuità nel solco
della Tradizione, e nel contempo il superamento definitivo dell’impostazione
ecclesiologica precedente, dominato dal modello di Chiesa come societas perfecta.
L’esposizione dei limiti del precedente modello, porta all’affermazione del “Popolo di
Dio”2 che riscontra particolare successo, divenendo, attraverso un laborioso lavoro
redazionale, quadro di riferimento della Chiesa come «soggetto storico, popolo in
cammino verso il compimento del Regno».3
Il capitolo secondo tratterà del primo ventennio di recezione postconciliare: un tempo
segnato dall’immediata accoglienza del termine e della sua pregnanza teologica e, nel
contempo, dall’emergere delle prime letture critiche. L’elaborazione teologica post-
conciliare, non ha rappresentato un «sufficiente sforzo per leggere teologicamente la
Chiesa stessa»4, bensì ha visto il tema del Popolo di Dio oggetto di arbitrari
riduzionismi. Questo periodo è segnato dalla diatriba tra carisma/istituzione e dallo
sviluppo della Teologia della Liberazione. Quest’ultima, nella varietà delle sue correnti,
ha costretto il “Popolo di Dio” ad elemento dialettico nell’ermeneutica marxista di lotta
di classe. La strumentalizzazione ha generato gravi fraintendimenti che hanno causato,
alla fine, la marginalizzazione della teologia della Chiesa-Popolo di Dio. In maniera
inaspettata infatti, sia da ambienti tradizionalisti che da molti teologi difensori del
Concilio, è emerso un forte disagio verso questo tema, accusato, su fronti diversi, di
costituire fonte di discussione polemica più che modello di autocomprensione
ecclesiale. Tali manifestazioni di dissenso teologico, al limite della contestazione, hanno
necessitato il progressivo intervento del magistero in funzione dirimente ed esplicativa,

1
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione dogmatica Lumen Gentium, 21 novembre 1964, in
EnchVat 1/284-456. Da ora tutte le citazioni del documento conciliare verranno prese da quest’opera.
2
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 69.
3
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p.141.
4
E. CASTELLUCCI, La famiglia di Dio nel mondo, Cittadella Editrice, Assisi 2012, p. 385.

11
INTRODUZIONE

in nome della fedeltà al Concilio: in modo particolare con i Themata selecta de


ecclesiologia della Commissione Teologica Internazionale e la Libertatis nuntius della
Congregazione per la Dottrina della fede.
Il punto di svolta nella comprensione del tema “Popolo di Dio” è avvenuto con il
pronunciamento magisteriale del Sinodo straordinario dei vescovi del 19855: la criticità
del tema, ritenuto eccessivamente compromesso, ha segnato un cambio di passo e
“Popolo di Dio” ha lasciato posto a Chiesa-comunione. Questo passaggio è avvenuto,
non senza qualche resistenza, e tale scelta «ha inciso fortemente sul quadro
ecclesiologico disegnato dal Vaticano II, introducendo un principio euristico che nei
documenti conciliari non ha tutta l’importanza attribuita dal Sinodo».6 Il conseguente
eclissamento, dalla produzione magisteriale e teologica, di Popolo di Dio si è spinto fino
al pontificato di Francesco. Il possibile recupero, riprendendo la riflessione argentina di
“teologia del popolo”, è avvenuta a partire dall’Evangelii gaudium7: il documento tratta
del Popolo di Dio in un’ottica di rilancio pastorale. Il tema -da questione ecclesiologica-
diviene luogo teologico dove riscoprire la Chiesa come la totalità del Popolo di Dio che
evangelizza, ovvero che annuncia con gioia e pazienza la salvezza in Gesù Cristo.
L’ultimo capitolo sarà lo spazio per sintesi teologica del percorso storico che la
categoria teologica di “Popolo di Dio” ha sostenuto in questi ultimi decenni. In questo
tempo, nonostante le traversie incontrate, il tema è stato sviluppato, manifestando la
consapevolezza dei suoi limiti e le ambiguità con il passato che ne hanno segnato
l’eclissi ed il superamento a favore di altre fondazioni ecclesiologiche. Per altri aspetti,
questa nozione evidenzia la forte pregnanza teologica, la fedeltà alla storia e l’essenziale
riferimento biblico: si tratta di potenzialità capaci di sottrarre il tema alle secche della
strumentalizzazione e dell’ideologia per una lettura più completa del mistero della
Chiesa.

5
SINODO DEI VESCOVI, Relatio finalis «Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute
mundi», 7 dicembre 1985, in EnchVat 9/1779-1818.
6
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p. 151.
7
FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2013.

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CAPITOLO PRIMO

Popolo di Dio nella Lumen Gentium

Il Concilio Vaticano II è il concilio del Popolo di Dio. Quando i padri conciliari


decisero di parlare della Chiesa come “Popolo di Dio” e di intitolare con tale
espressione il secondo capitolo della Lumen Gentium, ratificarono ed accolsero, come
suprema forma d’autorità del Magistero, questa nozione ecclesiologica, incorporandola
nella dottrina conciliare. Il Concilio ha recuperato una radice biblica della Chiesa, che
specialmente a partire dalla polemica antiluterana sembrava messa in ombra ad opera
del linguaggio giuridico e sociologico della societas perfecta.

1. DALLA GERARCHIA AL POPOLO

1.1 Dall’epoca dei Padri alla Riforma

L’idea di “Popolo di Dio” che giunge al Vaticano II si caratterizza come dato


teologico che solo di recente aveva ridestato interesse nella teologia cattolica. Presente
nella Sacra Scrittura senza una ben chiara determinazione del suo valore teologico1, il
tema fu utilizzato nel periodo patristico, legato ai temi del sacerdozio comune e del
laicato. L’epoca dei Padri della chiesa è caratterizzata dalla variazione e
dall’approfondimento che interpreta le immagini bibliche. La determinazione della
natura della chiesa subì un progressivo ma radicale cambiamento di prospettive: già a

1
Il sottofondo biblico è tutt’altro che imponente: mentre nell’AT e nel NT l’espressione compare
ripetutamente ad indicare il popolo ebraico, si trova in un solo passo dedicato ai cristiani, e precisamente
1 Pt 2.9-10. Lo stesso Paolo, intende Israele quando parla del Popolo di Dio. Se però la nozione la si
considera implicitamente presente nel termine ἐκκλεσία, che nei LXX e nel NT contiene l’idea di popolo,
il termine ricorre un centinaio di volte in riferimento alla comunità neotestamentaria. Esiste un implicito
riconoscimento del carattere popolare della comunità cristiana in continuità storica e teologica con quella
ebraica. Cf. A. BERLEJUNG, C. FREVEL, I concetti teologici fondamentali dell’Antico e del nuovo
Testamento, Queriniana, Brescia 2009, p. 544-548.

13
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

partire da Tertulliano2 si era insinuata la concezione della Chiesa in accezioni sempre


più giuridico-legali, del resto più consona all’animo latino, producendo un
declassamento del significato originario di λαός τ͠ου ϑε͠ου a plebs o turba fidelium, una
sempre più specifica denominazione di coloro che non fossero insigniti di un ordo vero
e proprio. Il servizio nella chiesa viene organizzato in una scala gerarchica che si
trasforma presto in cursus honorum, sempre più svincolato dalla comunità cristiana.
Tale divisione frontale, recepita sul piano liturgico tra ministri aventi l’ordo e la plebs,
era passata ben presto a sancire in misura negativa la vita pastorale e la stessa riflessione
teologica. La svolta costantiniana rende di fatto la natura della chiesa un imperium, che
successivamente si consolida sotto questo aspetto, nell’età medioevale, in pieno regime
di cristianità, anche dal punto di vista giuridico. Emblematico il testo di Graziano:

Duo sunt genera Christianorum. Est autem genus unum, quod mancipatum divino officio, et
deditum contemplationi et orationi, ab omni strepitu temporalium cessare convenit, ut sunt
clerici, et Deo devoti, videlicet conversi.(Graece) Klêros enim grece latine sors. Inde
huiusmodi homines vocantur clerici, id est sorte electi. Omnes enim Deus in suos elegit. Hi
namque sunt reges, id est se et alios regentes in virtutibus, et ita in Deo regnum habent. Et
hoc designat corona in capite. Hanc coronam habent ab institutione Romanæ ecclesiæ in
signo regni, quod in Christo expectatur. Rasio vero capitis est temporalium omnium
depositio. Illi enim victu et vestitu contenti nullam inter se proprietatem habentes, debent
habere omnia communia. Aliud vero est genus Christianorum, ut sunt laici. LAOS enim est
populus. His licet temporalia possidere, sed non nisi ad usum. Nichil enim miserius est quam
propter nummum Deum contemnere. His concessum est uxorem ducere, terram colere, inter
virum et virum iudicare, causas agere, oblationes super altaria ponere, decimas reddere, et ita
salvari poterunt, si vitia tamen benefaciendo evitaverint.3

L’articolazione del corpo ecclesiale in due blocchi così radicalmente distinti quanto a
funzione e stato di vita contribuì ad ampliare lo iato tra chierici e laici, «i primi che si

2
TERTULLIANO, Liber de Exhortatione castitatis, 7 (PL 2,922). In questo passo si evidenzia come una
cosa è l’ordine conferito ad alcuni nella Chiesa, un’altra è la plebs. Da questo autore in poi il popolus Dei
sarà più frequentemente indicato come plebs o turba fidelium.
3
“Esistono due ordini di cristiani: un primo ordine è quello dei chierici, messo a parte per l’ufficio
divino, dedito alla contemplazione e alla preghiera, per la quale è conveniente la lontananza dal rumore
delle cose del mondo; essi sono votati a Dio, cioè conversi, secondo quanto intendono il termine greco
kleros e quello latino sors. Perciò questi uomini sono chiamati clerici, vale a dire eletti per loro stessa
sorte. D’altronde, è Dio ad eleggere tra quanti gli appartengono. L’altro ordine è quello dei laici. Laos
infatti significa popolo. A costoro è concesso di avere moglie, di coltivare la terra, di intentare cause e
risolverle, di porre offerte sopra l’altare, di versare le decime e in questo modo potranno salvarsi, se,
facendo il bene, eviteranno i vizi”. Citazione da DECRETUM GRATIANI, secunda pars, causa XII, quaestio
I, c, VII in CORPUS IURIS CANONICI, Decretum magistri Gratiani, Ed. Tauchnitz, Lipsia 1879, p. 678.

14
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

occupano a tempo pieno delle cose di Dio, gli altri che possono al massimo pretendere
di salvarsi l’anima».4 Con questo tipo di impostazione la Chiesa esce dall’età
medioevale ed entra nell’età moderna.

1.2 Dalla Riforma fino alla vigilia del Concilio

Il movimento conciliarista nel secolo precedente, e tanto più la contestazione della


Riforma nel XVI secolo imposero alla Chiesa di pensarsi non solo sul piano giuridico,
ma anche su quello teologico. La critica radicale dei riformati alla gerarchia e alla
tradizione ecclesiastica e la rimozione della mediazione umana riportarono ad
enfatizzare alcune proprietà del Popolo di Dio, luogo teologico in cui esercitare, ad
esempio il sacerdozio universale dei fedeli. Gli sviluppi della controversistica cattolica
si mossero ad una difesa d’ufficio della gerarchia: caratteristica di tale epoca e
particolarmente significativa per la sua incisività è la nota definizione essenziale di
Chiesa del Bellarmino:

Ecclesia est coetus hominum eiusdem christianae fidei professione et eorumdem


sacramentorum communione colligatus, sub regimine legitimorum pastorum ac praecipue
unius Christi vicarii, Romani pontificis.5

La chiesa risulta quindi definita dalla sua costituzione giuridica e dal suo essere
romana, forme della manifestazione visibile della Chiesa che appartengono così
fortemente che «Ecclesia est coetus hominum ita visibilis et palpabilis ut est coetus
populi Romani vel regnum Galliae aut res publica Venetorum».6
Pur nella polemica della Controriforma, la teologia cattolica crebbe oltre le
definizioni bellarminiane: nella Scuola di Tubinga, nel corso del XIX secolo, prese
piede con J.A. Möhler il pensiero di una chiesa intesa come organismo vivente, nella
quale l’incarnazione del Verbo, in un certo modo, prosegue nella storia. Erano i
prodromi della teologia del Corpo mistico che avrà la sua consacrazione magisteriale
con Pio XII nella Mysticis Corporis:
4
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 99.
5
R. BELLARMINO, Disputationes de controversiis Christianae fidei adversus huius temporis
haereticos lib. III, cap. 2: Controversia I: De conciliis et ecclesia militante, in Opera Omnia, Tomo II,
Napoli 1857 p. 75.
6
R. BELLARMINO, ibidem.

15
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

La dottrina del corpo mistico che è la Chiesa (cf. Col 1,24), dottrina attinta originariamente
dal labbro stesso del Redentore e che pone nella sua vera luce il gran bene (mai abbastanza
esaltato) della nostra strettissima unione con sì eccelso Capo, è tale senza dubbio che, per la
sua eccellenza e dignità, invita tutti gli uomini che sono mossi dal divino Spirito a studiarla
[…].7

La dottrina del corpo mistico si prestò ad argomentare teologicamente l’importanza


della gerarchia nella Chiesa, nella differenza delle funzioni nell’unico corpo: una lettura
organicista che permise di ribadire il modello verticistico dove

l’elemento istituzionale della chiesa divenne un apparato più di quanto era richiesto dalla sua
essenza. La gerarchia venne a trovarsi di fronte alla comunità; e per di più, nella coscienza di
molti, non nell’atteggiamento di servizio, che vede nella comunità stessa quella realtà, alla
cui salvezza e santificazione l’ufficio gerarchico deve servire, ma in quella falsa concezione
che vede l’ufficio gerarchico la vera chiesa, la cui intensa forma di realizzazione spinge i
laici ai margini dell’esistenza ecclesiale.8

1.3 La “riscoperta” del Popolo di Dio

Negli stessi anni della pubblicazione della Mysticis Corporis si sviluppò


«un’interessante riflessione sul Popolo di Dio, per certi versi in alternativa con gli studi
sulla Chiesa come corpo di Cristo»9. I contributi di A. Vonier10, M.D. Koster, L.
Cerfaux e di R. Schnackenburg si collocano nel campo della teologia sistematica,
dell’esegesi e del diritto canonico. A. Vonier, nel 1937, sosteneva che “Popolo di Dio”
fosse il titolo migliore e più efficace per superare le ricorrenti concezioni spiritualistiche
della Chiesa, ridotta in tal modo a società invisibile e costituita solo da santi ed eletti.
Mise in luce altre qualità del concetto, quali il carattere comunitario della fede cristiana,
l’apertura universale, il suo carattere storico che non le consente di astrarsi dalle
vicende della società in cui è destinata a vivere. M.D. Koster pubblicò un’opera11 nella
quale contestava, un po’ troppo veementemente, l’eccessiva enfasi sulla Chiesa corpo di

7
PIO XII, enc. Mystici corporis, 29 giugno1943, in Acta Apostolicae Sedis 39 (1943), p. 193.
8
O. SEMMELROTH, «La Chiesa, nuovo Popolo di Dio», in G. BARAÚNA, La Chiesa del Vaticano II.
Studi e commenti intorno alla costituzione dommatica “Lumen Gentium”, Vallecchi Editore, Firenze
1965, p. 447.
9
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 112.
10
A. VONIER, The People of God, Burns Oates & Washbourne, Londra 1937.
11
M.D. KOSTER, Ekklesiologie im Werden, Paderborn 1940; e Volk Gottes im Wachstum des
Glaubens. Himmelfahrt Mariens und Glaubenssinn, Heidelberg 1950.

16
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

Cristo: si trattava, a suo parere, di un’ecclesiologia non sufficientemente capace di


rispettare la duplice natura –umana e divina– della Chiesa, «sbilanciandosi
unilateralmente sull’aspetto divino a scapito di quello umano e finendo per dimenticare
l’aspetto giuridico e sociale in nome della sua natura “mistica”»12. La sua proposta
supporta una mutua complementarietà tra la Chiesa come società (Gesellschaft) e
Chiesa comunità (Gemeinschaft) utilizzando la categoria di Popolo di Dio, intesa come
«il complesso delle persone del Dio trinitario, unito dalla fede e dai sacramenti, e dotato
per ciò di un’indole quale non ve n’è, né ve ne può essere sulla terra»13. Il saggio di
Cerfaux14, con una riflessione più equilibrata e organica, parte dall’analisi della teologia
della Chiesa secondo san Paolo per evidenziare la continuità teologica dei cristiani
“Popolo di Dio” in continuità con Israele; popolo che possiede i privilegi del popolo
antico ma anche “nuovo” poiché votato al culto spirituale, popolo che è Chiesa di Dio,
nel Cristo, e nel cielo. Da ultimo Schnackenburg15, a ridosso del Concilio, «descrive il
mistero della Chiesa, elencando, tra le altre, la figura del Popolo di Dio, prima di quella
di Tempio dello Spirito e di Corpo di Cristo»16. Questi contributi, insieme ad altri,
sviluppatisi tra gli anni Trenta ed la fine degli anni Cinquanta, porteranno a formulare in
campo cattolico una teologia del Popolo di Dio che godrà di particolare attenzione al
Concilio.

2. L’ITER REDAZIONALE DEL “DE POPULO DEI”

Il documento sulla natura della Chiesa, nel suo complesso, ha avuto un iter redazionale
particolarmente laborioso. L’approvazione della costituzione sulla Chiesa costituì un
forte momento di discussione tra i Padri conciliari, tra coloro che intendevano, in poche
sedute, sanzionare, a livello di magistero universale, l’identità della Chiesa, quale
“corpo mistico” e coloro che intendevano superare il giuridicismo semplicemente

12
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 114.
13
M.D. KOSTER, «La Chiesa come Popolo di Dio», in Renovatio 3 (1968), p. 515.
14
L. CERFAUX, La teologia delle Chiesa secondo san Paolo, Ed. A.V.E., Roma 1968. [orig. La
théologie de l’Église suivant Saint Paul, Ed. du Cerf, Paris 1951.]
15
R. SCHNACKENBURG, Die Kirche im Neuen Testament, Basel 1961 [traduzione italiana: La Chiesa
del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1966].
16
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 114.

17
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

determinando la natura della Chiesa come “mistero”. Il confronto in aula sanzionò la


scelta di redigere un documento che partisse dal mysterium della Chiesa e,
contrariamente alle aspettative, superando l’impostazione ecclesiologica del “corpo
mistico”, a favore d’un altro paradigma interpretativo. Con la scelta di “Popolo di Dio”
il Concilio riconobbe implicitamente le ambiguità teologiche sollevate da più parti verso
l’ecclesiologia adottata dal Magistero e sancita nella Mystici corporis.

2.1 I limiti della teologia del “Corpo mistico”

La predestinazione dell’ecclesiologia del “corpo mistico” a diventare la dottrina del concilio


era iscritta, non solo nell’attesa più diffusa […] ma anche nelle direttive stesse di Giovanni
XXIII alla Commissione Teologica Preparatoria.17

La previsione di un’approvazione inesorabile della Chiesa come Corpo mistico di


Cristo incontrò una certa, quanto puntuale, critica teologica. In modo particolare Joseph
Ratzinger, all’interno dell’opera Il nuovo popolo di Dio, evidenzia la problematica
teologica insita nel concetto di “Corpo mistico” inteso nelle posizioni preconciliari.
L’enciclica Mystici corporis del 1943 e poi la Humani generis18 del 1950 «operarono
una piena equivalenza tra ecclesia Romana catholica e corpus Christi mysticum»19, che
pare riprendere l’equazione patristica ecclesia catholica = corpus Christi, ma lascia
spazio alla critica. Nei documenti del magistero di Pio XII con

la precisazione dell’elemento “romano” nel senso del primato pontificio di giurisdizione,


l’elemento cattolico ha subito un’estremizzazione interna, che non permette una semplice
equivalenza con l’elemento cattolico della teologia dei padri, nemmeno nel caso che si creda
implicitamente presente nella chiesa dei padri l’idea del primato.20

L’analisi di Ratzinger prosegue con la disamina del secondo termine dell’equazione,


corpus Christi. Analizzando l’evoluzione di questo concetto patristico, l’autore nota
come questo sintagma si è arricchito, in età medioevale, dell’aggettivo mysticum, che ne
ha modificato il suo senso complessivo, in misura maggiore con la teologia che da esso

17
C. COLOMBO, «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 98.
18
PIO XII, enc. Humani generis, 12 agosto1950, in Acta Apostolicae Sedis 42 (1950), pp. 561-578.
19
J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971, p. 253.
20
Idem, p.254.

18
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

si è sviluppato nel corso dell’800. La conclusione per l’autore riscontra che nelle
encicliche

sono di fatto equiparate due ecclesiologie totalmente diverse e neppure semplicemente


conciliabili tra loro: la concezione primaziale-gerarcologica della chiesa del 1870 e
l’ecclesiologia del periodo tra le due guerre, fondata sul romanticismo tedesco. L’aver voluto
costringere in questo modo all’identità due concezioni cresciute da radici completamente
diverse, fu senza dubbio un procedimento storicamente inadeguato.21

Per Ratzinger la ripresa del tema, per evitare una soluzione troppo semplicistica,
deve considerare le modificazioni subite nel corso della storia, in una forma per la quale
«è messa in questione la possibilità dell’equazione stessa e si deve esaminare in modo
nuovo che cosa ne continui ad essere valido»22. Da una tale constatazione risulta
pertanto che «l’organismo misterioso della grazia di Cristo non si può circoscrivere alla
sfera dell’unità visibile della Chiesa cattolica romana»23 Dall’analisi emerge
un’impostazione ecclesiologica storicamente significativa, per il suo impiego
magisteriale, ma tuttavia non abbastanza incline, a causa di numerose aporie, a
riassumere bene l’enorme ricchezza del mistero della Chiesa. Questo non comporta
l’eliminazione dal dibattito ecclesiologico dell’immagine del Corpo di Cristo: questa
nozione, infatti, non sarebbe mai potuta essere oscurata. La teologia del “Corpo di
Cristo” fonda il suo valore nella dottrina ecclesiologica neotestamentaria, e costituisce
una lettura integrativa, complementare e non alternativa, alla comprensione del mistero
della Chiesa.

2.2 Novità e difficoltà nello schema “De Ecclesia”

Criticato in sede di prima presentazione, tra il 23 novembre e il 7 dicembre 1962, per


essere troppo astratto, giuridico, scolastico24; il “de Ecclesia” (o schema Tromp, da
colui che ne aveva curato la stesura) non cita mai la nozione “Popolo di Dio”, che
21
Idem, p. 255.
22
Idem, p. 256.
23
Idem, p. 257.
24
Y. Congar ebbe modo di definire lo schema “molto scolastico, addirittura libresco. Sembra un
insieme di capitoli di un buon manuale[…] è un riassunto di documenti pontifici dell’ultimo secolo, una
specie di syllabus di questi documenti […] soprattutto la FONTE non è la Parola di Dio: è la Chiesa
stessa, anzi la Chiesa ridotta al papa, cosa MOLTO grave.” In Y. CONGAR, Diario del Concilio, I, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2005, p. 105.

19
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

risulta praticamente assente da questo I schema. Tuttavia, all’interno dello schema, che
presentava vistosi margini di miglioramento, «anche sul piano della sistematicità
espositiva»25, al capitolo sesto26, si tratta in maniera esplicita dei laici, articolando la
presentazione in otto27 paragrafi. Un’ulteriore novità è che si mettono esplicitamente a
tema, dopo quattro secoli, di questioni quali la definizione propria per i laici; il loro
spazio d’azione nel mondo e il sacerdozio comune, detto “universale”. Di quest’ultimo
se ne sottolinea il carattere metaforico, in contrasto con quello caratteristico dell’Ordine
Sacro. «Si colgono qui tutti progressi portati dalla teologia prima del concilio»28, ma
rimane sullo sfondo il tema identitario della Chiesa del “Popolo di Dio”. Solamente con
il rinvio del “de Ecclesia” alla Commissione dottrinale per modifiche e la
contemporanea approvazione da parte della stessa, nel Febbraio 1963, dello schema
“Philips”, venne introdotto al dibattito conciliare un testo, il cui terzo capitolo tratta del
“de Populo Dei”. Le aspettative di una risoluzione veloce del lavoro conciliare erano
dunque totalmente venute meno.

2.3 Una fortunosa convergenza

“Concilium lovaniense Romae paratum”: con un certo ironico acume l’espressione


allude al dibattito conciliare. nel corso dell’autunno del 1963, su di un testo, il
cosiddetto “schema belga” introdotto da G. Philips su invito e sostegno del cardinale
Suenens, vescovo di Malines - Bruxelles. Riscoperta e rivalutata, per rispondere alle
nuove esigenze, sotto la spinta di mozioni insieme teologiche e culturali, la nozione di
“Popolo di Dio” ha goduto di una convergenza di vedute tra i diversi membri influenti

25
O.H. PESCH, Il Concilio Vaticano II. Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare,
Queriniana, Brescia 2005, p. 136. Una presentazione ragionevolmente sintetica delle criticità del
documento è data alle pp. 135-140.
26
Capitoli dello Schema de Ecclesia: I. Natura della Chiesa militante; II. Membri della Chiesa
militante e sua necessità per la salvezza; III. Episcopato come supremo grado del sacramento dell’ordine
e del sacerdozio; IV. I vescovi residenziali; V. Gli stati di perfezione evangelica; VI. I laici; VII. Il
magistero della Chiesa; VIII. Autorità e obbedienza nella Chiesa; IX. Relazioni tra Chiesa e stato; X.
Necessità della Chiesa di annunziare il Vangelo a tutte le genti in ogni luogo; XI. L’ecumenismo.
27
Titoli dei paragrafi: n. 20 Principium; n. 21 De sacerdotio universali; n. 22 Quinam nomen
laicorum veniant; n. 23 De iuribus et de officiis laicorum; n. 24 De vita salutifera Ecclesiae a laicis active
partecipata; n. 25 De collaborationis laicorum principalibus formis; n. 26 De sana autonomia civitatis
terrenae; n. 27 Adhortatio.
28
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 124.

20
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

degli episcopati tedesco e francese, che ha permesso a questa categoria di affermarsi


all’assise conciliare. Osserva, non senza una considerazione polemica, G. Colombo che
il tema del “Popolo di Dio”:

sia stato favorito, non solo dalla volontà determinatasi di superare l’ecclesiologia del “Corpo
mistico”, ma, più in generale, da un relativo “disinteresse” dei Padri conciliari, più impegnati
sul problema particolare sul problema dell’episcopato e della sua sacramentalità e
correlativamente della collegialità, che non sula questione generale dell’ecclesiologia. Di
fatto, l’attenzione indiscutibilmente maggiore venne riservata ai Padri conciliari al capitolo
III della Lumen Gentium.29

L’ingresso, più consapevole o meno, del tema “Popolo di Dio” assumeva carattere di
possibile alternativa all’ecclesiologia del Corpo mistico, che per alcuni suoi tratti,
«sembrava non priva di alcune ambiguità, sia a livello teologico generale, che nella
formulazione stessa con cui viene espressa nelle encicliche di Pio XII».30

2.4 L’arrivo del “De Populo Dei”

Quando dunque nell’autunno del 1963 tornò a riunirsi l’assemblea conciliare, era
disponibile uno schema del tutto nuovo31 e anche due opuscoli di proposte di
emendamenti. Tra le proposte emerse come decisive c’erano quelle attribuite al cardinal
Frings e al cardinal Suenens. Si richiedeva di prendere tutte le espressioni del capitolo
terzo riguardanti tutti i membri della Chiesa e di farne un capitolo apposito sul “Popolo
di Dio”: quest’ultimo sarebbe stato collocato tra il capitolo primo e il capitolo secondo
dello schema fino a quel momento previsto. Ulteriore giustificazione del nuovo capitolo
è la considerazione dello stesso G. Philips:

Come descrivere la posizione delle diverse categorie in seno alla comunità, e i loro compiti,
senza prima considerare la totalità della Chiesa nella sua missione essenziale? In questa
totalità tutte le parti, tutti i membri e i gruppi devono far convergere i loro sforzi, perché tutti

29
C. COLOMBO, «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 100.
30
J. RATZINGER, Il nuovo popolo di Dio. Questioni ecclesiologiche, Queriniana, Brescia 1971, pp.
253-258.
31
Il nuovo schema aveva solo quattro capitoli: 1. Il mistero della Chiesa; 2. La struttura gerarchica
della Chiesa e in particolare l’episcopato; 3. Il Popolo di Dio e in particolare i laici; 4. La vocazione alla
santità nella Chiesa. Cf. S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai documenti del Vaticano II. Lumen
Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, pp. 36 – 47.

21
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

appartengono all’unico corpo di Cristo. L’immagine del popolo evoca quella di una società
organizzata. Ma i diversi organi acquistano il loro significato solo grazie alla loro funzione
nel mistero totale della salvezza, mistero che è per così dire “incorporato” nella Chiesa.32

Suenens, dal canto suo, legittimava l’introduzione del capitolo come l’occasione,
dopo aver preso in esame il mistero della Chiesa, di esaminare in maniera serrata la
condizione del Popolo di Dio che, «arricchito dai benefici del Redentore, da Lui
costituito in una comunità di carità e di verità, è anche Lui assunto come strumento di
redenzione e di salvezza e inviato a tutto il mondo come luce del mondo e sale della
terra (cf. Mt 5,13)».33 Le conseguenze della divisione, accettata immediatamente alla
quasi unanimità dei voti, del capitolo “De populo Dei et speciatim de laicis” furono
tutt’altro che asettiche e prive di importanza:

Questa era tutt’altro che una proposta meramente redazionale, bensì -sotto l’innocente veste
di un piccolo mutamento redazionale- comportava il definitivo superamento, in concilio,
dell’immagine clericale della Chiesa.34

Il documento, che nella nuova serie dei capitoli avrebbe spiegato la nascita del
Popolo di Dio e la sua indole unitaria e universale, costituisce l’elemento di novità, in
forza della sua collocazione tra le affermazioni sul mistero della Chiesa e la sua natura
gerarchica, «dopo secoli di insistenza sui duo genera christianorum, sulla societas
inequalium, sull’Ecclesia docens e discens »35 L’assemblea conciliare dunque

partita per canonizzare l’ecclesiologia del “corpo mistico”, da un lato ha sentito l’esigenza di
mettere in risalto il carattere di “mistero” proprio della Chiesa; e dall’altro è inaspettatamente
sfociata nell’ecclesiologia del “Popolo di Dio”.36

Si concluse l’iter redazionale con la votazione sul singolo capitolo, il 16 settembre


1964. Il 19 novembre si votò sull’intero testo e il 21 la costituzione dogmatica Lumen
Gentium venne promulgata nella quinta sessione pubblica del Vaticano II.

32
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 38.
33
ACTA SYNODALIA SACROSANTI CONCILII OEUMENICI VATICANI II, II vol./I tomo, p.789.
34
O.H. PESCH, Il Concilio Vaticano II. Preistoria, svolgimento, risultati, storia post-conciliare,
Queriniana, Brescia 2005, p. 143.
35
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 129.
36
C. COLOMBO, «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 98.

22
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

3. IL NUOVO CAPITOLO SUL POPOLO DI DIO

Il capitolo II si articola in nove paragrafi e permette una visione integrale della


Chiesa, incentrata su alcuni aspetti fondamentali: il rapporto fra il nuovo Popolo di Dio
e Israele; la dottrina del sacerdozio comune; il ruolo dello Spirito Santo nella vita della
Chiesa con doni e carismi che Egli distribuisce all’insieme dei membri; l’indefettibilità
della Chiesa in credendo appartenente all’insieme del Popolo di Dio; sensus fidei dei
fedeli; vari gradi di appartenenza alla Chiesa; natura missionaria della Chiesa. In tal
modo nel capitolo vengono gettati i presupposti dottrinali necessari per un’adeguata
trattazione delle questioni affrontate nei capitoli successivi della Costituzione, dedicati
alla Gerarchia, ai Laici e ai Religiosi. L’esposizione che segue non ha la pretesa di
essere esauriente, perché vuole esporre in modo essenziale le linee di rinnovamento
ecclesiologico che sorgono con l’adozione del concetto di Popolo, a partire dal legame
che questo termine intreccia con la volontà salvifica di Dio.

3.1 Nuova Alleanza e nuovo popolo

La nozione di “Popolo di Dio” rinvia alla natura stessa della Chiesa, che trae la sua
origine non dalla libera volontà degli uomini, ma dall’iniziativa del Padre. Egli nel suo
progetto di santificare e salvare gli uomini, non li chiamò ad uno ad uno (singulatim) e
senza alcun legame fra loro: non c’è l’individuo, bensì la chiamata di Dio che precede
ogni iniziativa,

non il singolo in quanto tale, ma il singolo in quanto chiamato, diventa ed è membro della
Chiesa, la quale è essenzialmente di più della somma dei singoli, di più anche del risultato di
un istinto religioso comunitario […] la Chiesa non è semplicemente un’istituzione, ma
rimane l’istituzione di Dio.37

Gli uomini dunque, perché potessero entrare in relazione con Lui, come in LG 21

ha voluto costituirli in un popolo che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità.
Scelse perciò la stirpe di Israele perché fosse il popolo che gli appartiene; con esso ha stretto
alleanza, lo ha progressivamente istruito, lungo la sua storia, gli ha rivelato se stesso e il
disegno della sua volontà, e lo ha consacrato per sé. Tutto questo però non era che

37
H. KÜNG, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969, pp. 142-143.

23
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

preparazione e figura di quella alleanza nuova e perfetta che avrebbe concluso in Cristo, e di
quella rivelazione piena che sarebbe stata trasmessa dal Verbo stesso di Dio fattosi uomo.38

Il “Popolo di Dio” nasce innanzitutto dalla volontà di Dio e successivamente indica


la continuità tra Israele e la Chiesa, secondo uno schema di promessa che ha il suo
adempimento in Cristo, nella sua opera redentiva, nell’alleanza nuova e definitiva
vaticinata dai profeti39. Coloro che credono in Cristo dunque costituiscono «la stirpe
eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato…quelli
che un tempo erano non popolo, ora sono il Popolo di Dio (1Pt 2,9-10).
Una volta delineato la genesi del Popolo di Dio, il testo prosegue con la descrizione
degli elementi più peculiari: la Chiesa è riconosciuta come “popolo messianico”. In
questa accezione D. Vitali riconosce come si usi una certa cautela linguistica quando il
testo parla di “nuovo Popolo di Dio” definendolo “popolo messianico”:

in effetti, il Popolo di Dio è Israele, perché le promesse di Dio sono irrevocabili (cf. Rm
11,28); per cui la Chiesa non può che essere il “nuovo Israele”, il popolo nuovo, nel doppio
significato del termine: quello che viene dopo non può cancellare ciò che sta prima, e però ne
costituisce la pienezza e il compimento; rispetto all’Alleanza mosaica è la “nuova ed eterna
Alleanza” che compie le attese dei profeti.40

Nel solco dunque della nuova Alleanza il Popolo di Dio si riconosce e ritrova il suo
capo in Cristo nella sua passione, morte e risurrezione. Il testo proseguendo dichiara che

lo statuto di questo popolo è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali, come
in un tempio, inabita lo Spirito di Dio. La sua legge è il nuovo comandamento di amare come
ci ha amati Cristo (cf. Gv13;34). Il suo fine è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio
stesso, ma destinato a dilatarsi sempre più, per essere portato a compimento alla fine dei
secoli.41

Il Popolo di Dio, che spesso ha la parvenza di un piccolo gregge compie la sua


missione nel mondo ed è «per l’intera umanità germe sicurissimo di unità, di speranza e
di salvezza»42, assurgendo a strumento di redenzione per tutti. Rifacendosi agli
insegnamenti di S. Cipriano, la Chiesa, assemblea di coloro che credono e guardano a

38
Lumen Gentium 9, in EnchVat 1/308.
39
Cf. Ger31; 31-34.
40
D. VITALI, Lumen Gentium. Storia, commento, recezione, Edizioni Studium, Roma 2014, p.60.
41
Lumen Gentium 9, in EnchVat 1/309.
42
Idem.

24
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

Gesù, diviene «sacramento visibile di questa unità salvifica»43 e può essere compresa
come continuazione dell’opera messianica di Cristo in mezzo agli uomini, a condizione
di lasciarsi compaginare nell’unità del corpo di Cristo. A partire da questa unità il
Popolo di Dio è in cammino verso una pienezza che non è di questo mondo: solo nella
tensione verso il Regno sta la garanzia che la Chiesa, sposa del suo signore si rinnovi
continuamente, finché non concluda il suo peregrinare nella comunione piena e
definitiva con Dio. Questa rilettura del cammino nella storia, sotto la categoria della
sacramentalità, da una parte diviene un richiamo agli articoli in apertura della
Costituzione, dall’altra sancisce l’unità dei diversi registri, teologico e storico dei due
capitoli della Lumen Gentium.

3.2 Popolo sacerdotale, profetico e regale

Il tema del sacerdozio comune diviene l’elemento caratterizzante dell’identità del


Popolo di Dio poiché «Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cf. Eb
5,1-5), fece del nuovo Popolo di Dio “un regno e sacerdoti per il Dio suo Padre” (Ap
1,6; cfr. 5,9-10)».44 La descrizione trasferisce al Popolo di Dio, acquistato mediante il
sangue di Cristo, il titolo e la proprietà di “popolo sacerdotale” che Es 19,6 attribuiva ad
Israele, e Lumen Gentium per spiegarlo adotta lo schema dalla triplice partecipazione al
sacerdozio di Cristo, Sacerdote, Re e profeta. Dopo quattro secoli, avviene dunque la
ripresa del sacerdozio dei fedeli, definito non più “interiore”45, ma “comune” per tutti i
fedeli, i quali «vengono consacrati mediante la rigenerazione e l’unzione dello Spirito
Santo per essere un’abitazione spirituale e un sacerdozio santo».46 Esso si manifesta in
modo peculiare nella celebrazione eucaristica, dove è il «corpo mistico di Cristo cioè il

43
Lumen Gentium 9 in EnchVat 1/310. La citazione “inseparabile unitatis sacramentum” è tratta da S.
CIPRIANO, Lettere, 69,6 (PL 3,1142B).
44
Lumen Gentium 10, in EnchVat 1/311.
45
L’accezione “sacerdozio interiore” è ripresa dal paragrafo 284 del Catechismo romano, che afferma:
“Il sacerdozio interiore spetta a tutti i fedeli, in forza del loro battesimo, specialmente ai giusti che
possiedono lo Spirito Santo di Dio e sono divenuti, in virtù della grazia, membra vive di Gesù, sommo
sacerdote” Cf. CATECHISMUS ROMANUS SEU CATECHISMUS EX DECRETO CONCILII TRIDENTINI AD
PAROCHOS PII V PONT. MAX. IUSSU EDITUS, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1989.
46
Lumen Gentium 10, in EnchVat 1/311.

25
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

suo il capo con le membra ad esercitare il culto pubblico integrale»47. Il Popolo di Dio
diviene soggetto attivo nell’offerta dell’Eucarestia, in virtù del suo regale sacerdozio.
Un primo elemento innovativo consiste nel recupero della Chiesa quale congregatio
fidelium, soggetto della fede e non somma dei suoi membri, unica Chiesa di cui tutti
sono parte. Segue come novità la trattazione del sacerdozio comune prima del
sacerdozio ministeriale, che sancisce la radicale uguaglianza tra i figli di Dio, poiché in
questo modo tutti sono «insigniti di una realtà insuperabile che precede ogni differenza
di funzioni, segnando la fine del rapporto asimmetrico Ecclesia docens ed Ecclesia
discens»48. Questo comporta come il tema delle funzioni e dei servizi venga dopo la
condizione battesimale che per la Lumen Gentium costituisce il titolo più alto di identità
cristiana e di appartenenza alla chiesa. Tale uguaglianza ha il vantaggio di «sottrarre il
tema al gioco delle rivendicazioni, opponendo polemicamente sacerdozio comune e
sacerdozio ministeriale, fedeli e gerarchia: tutti sono christifideles».49
Un’ulteriore pregnanza teologica deriva dal rapporto che sussiste tra il sacerdozio
comune e il sacerdozio ministeriale, che, «quantunque differiscano in essenza e non
soltanto di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a
suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo».50 Questo rapporto
distingue le due forme di partecipazione: sacerdotium commune è il sacerdozio nella
forma di partecipazione al sacerdozio di Cristo; sacerdotium ministeriale seu
hierarchicum è la funzione svolta in persona Christi.
Il Popolo di Dio costituisce una «comunità sacerdotale»51: tale munus è esercitato
con la partecipazione ai sacramenti, come preghiera e rendimento di grazie che si
traducono in una vita santa, fatta di impegno e di carità operosa. L’esercizio del
sacerdozio comune dunque è un’opera collettiva e non individuale, pubblica e non

47
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, costituzione sulla sacra liturgia. Sacrosanctum Concilium, 4
dicembre 1963, in EnchVat 1/11.
48
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p.163.
49
D. VITALI, Lumen Gentium. Storia, commento, recezione, Edizioni Studium, Roma 2014, p.62.
50
Lumen Gentium 10, in EnchVat 1/312.
51
Lumen Gentium 11, in EnchVat 1/313.

26
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

interiore, proprio di «un organismo vivo, capace di compiere gli atti che rendono gloria
a Dio e ottengono la salvezza per l’umanità»52.

3.3 Il senso della fede e i carismi

Il Popolo di Dio è anche soggetto del sensus fidei, poiché nel suo insieme avendo
l'unzione che viene dallo Spirito Santo «non può sbagliarsi nel credere, e manifesta
questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo,
quando “dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici” mostra l'universale suo consenso in
cose di fede e di morale.»53. Lo Spirito fornisce costantemente al Popolo di Dio una
sapienza profonda, un discernimento illuminato dalla fede che, per quanto sia dato ad
una persona, le è dato per il bene di tutti. Il senso della fede dunque, suscitato e sorretto
dallo Spirito Santo, è

tutt’altro dal significato di senso religioso che correva per le bocche dei modernisti del
principio del secolo. Secondo la loro teoria il sentimento religioso sarebbe generato dalle
profondità del subconscio per immanenza vitale e costituirebbe il germe di tutta la religione
Partendo da un’esperienza cieca come questa è impossibile aprire la coscienza umana alla
luce del Dio vivo.54

Al contrario il vero senso della fede del Popolo di Dio è aperto alla manifestazione di
Dio, e alla sua manifestazione proposta dal magistero e accettata dai fedeli quale Parola
di Dio, espressa con la parola umana, che è realtà che resta attiva in loro. Il senso della
fede non si riduce ad un ascolto passivo delle definizioni infallibili dei vescovi,
seguendo la preconciliare infallibilitas passiva ma è l’istinto mediante il quale tutti e
ciascuno pensano con la Chiesa, condividendo un’unica fede e uno stesso disegno. È ciò
che unisce i pastori e il popolo e che rende il loro dialogo, fondato sui doni e sulle
vocazioni di ciascuno, insieme essenziale e fecondo per la Chiesa. Qui, il sensus fidei è
presentato come un dono di Cristo ai fedeli, e ancora una volta è descritto come una
capacità attiva mediante la quale «i fedeli sono resi capaci di comprendere, vivere e

52
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p.171.
53
Lumen Gentium 12, in EnchVat 1/316.
54
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 157.

27
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

annunciare le verità della rivelazione divina. È la base della loro opera di


evangelizzazione»55
Un passo ulteriore, nella partecipazione ai munera Christi, è la trattazione dei
carismi, mettendo «fine a un silenzio di secoli, e liberandoli dalla configurazione di
fenomeno straordinario confinato nel mondo della mistica»56. Infatti

lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il Popolo di Dio per mezzo dei
sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma “distribuendo a ciascuno i propri doni
come piace a lui” (1 Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali57

Il Popolo di Dio è arricchito da doni ulteriori dello Spirito: «nella Chiesa vi saranno
sempre carismi anche se a ritmo regolarmente irregolare; e sono abbastanza evidenti per
indurci a riflettere e a convertirci». 58 Tale condizione è un impegno per il
discernimento, che «appartiene a chi nella Chiesa ha il compito di presiederei»59: per
questo delicato compito
la Chiesa si ispira a due regole fondamentali: non spegnete lo Spirito per pusillanimità,
ansietà o preferenza di un calcolo umano; quanto ai doni profetici esaminate tutto quello che
è buono tenetelo (1Ts 5,19-21), perché si danno anche i surrogati.60

3.4 Universalità dell’unico Popolo di Dio

«Tutti gli uomini sono chiamati a far parte del nuovo popolo di Dio»61: si allarga con
le sezioni 13-16 l’orizzonte dell’ecclesiologia, dalla stretta identificazione tra cattolicità
e romanità, all’universalità come tratto peculiare del popolo di Dio. Questa
affermazione di principio nasce dal desiderio di Dio di radunare i suoi figli dispersi, al
cui scopo ha inviato prima il Figlio suo, e poi il suo Spirito perché fosse principio di
associazione e di unità per la Chiesa. La chiamata a una sola fede e all’unico Popolo di
Dio è universale in tutto il mondo, e l’unità cattolica, per quanto imperfetta, già esiste in

55
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Il sensus fidei nella vita della Chiesa, n. 45, 20 giugno
2014, in Il Regno- Documenti 19 (2014), p. 641.
56
D. VITALI, Lumen Gentium. Storia, commento, recezione, Edizioni Studium, Roma 2014, p.68.
57
Lumen Gentium 12, in EnchVat 1/317.
58
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 163.
59
Lumen Gentium 12, in EnchVat 1/317.
60
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 162.
61
Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/318.

28
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

terra sebbene a tale unione gli uomini appartengano o siano ordinati in modi diversi.
L’unità del Popolo di Dio «si inserisce dunque in tutte le nazioni della terra, di mezzo
alle quali prende i suoi cittadini, per un regno che non è terreno, ma celeste»62. Si
afferma la comunione tra i popoli non nell’ordine della carne ma nello Spirito come
chiarisce la citazione di Crisostomo «Tutti i fedeli sparsi per i mondo sono in
comunione con gli altri nello Spirito Santo, per cui chi sta a Roma sa che gli Indi sono
sue membra»63. Per accedere al Popolo di Dio non si impone un processo di uniformità,
perché «non sottrae nulla al bene temporale dei popoli, ma al contrario favorisce e
assume tutte le capacità»64. Questa nuova prospettiva pone fine, nel testo conciliare, alla
“romanizzazione” dei popoli di missione, a favore di un’inculturazione della Chiesa,
nell’universale chiamata all’unità del Popolo di Dio.
La varietà dei doni, delle vocazioni, delle funzioni non costituiscono un fattore
disgregante, ma la manifestazione evidente della cattolicità della Chiesa: «il Popolo di
Dio non soltanto si raccoglie da popoli diversi, ma al suo stesso interno si compone di
ordini diversi.»65 In questo contesto

tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del Popolo di Dio, che prefigura
e promuove la pace universale; ad essa in vari modi appartengono, oppure ad essa sono
ordinati sia i fedeli cattolici, sa gli altri credenti in Cristo, e sia infine tutti gli uomini, che la
grazia di Dio chiama alla salvezza.66

La chiamata a prendere parte non risuona più come un compellere intrare: non
sussiste alcun obbligo esteriore ad entrare nel Popolo di Dio, ma si tratta di una scelta
assolutamente libera che si configura come risposta all’offerta gratuita della salvezza da
parte di Dio. Ciascuno nella realtà in cui si trova. Alla luce del principio della cattolicità
infatti esistono modi differenti per l’universale chiamata alla salvezza.
Per i cattolici che si dice che essi «sono pienamente incorporati nella società della
Chiesa. […] avendo lo Spirito di Cristo, accettano l’intero ordinamento e tutti i mezzi di

62
Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/319.
63
GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Giovani, Om. 65,1 (PG 59,361).
64
Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/319.
65
Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/320.
66
Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/321.

29
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

salvezza in essa istituiti».67 L’incorporazione nel Popolo di Dio dei fedeli cattolici non
deriva da un privilegio proprio, ma dalla grazia del Cristo, che va custodita e alimentata.
Non conta infatti la mera appartenenza esteriore ma anche quella di cuore che passa solo
attraverso una continua corrispondenza alla Grazia della vita, in pensieri parole e opere.
Nei riguardi dei non cattolici si nota l’abbandono del linguaggio dell’appartenenza e
la sua sostituzione con quello della comunione piena al Popolo di Dio, per «tendere
all’unione pacifica di tutti i cristiani in un solo gregge, sotto un solo pastore, nel modo
voluto da Cristo».68
Per coloro che ancora non hanno ricevuto il Vangelo, si parla di “ordinazione al
Popolo di Dio”, fondando l’articolo sulla riflessione tomista:

San Tommaso insegna ripetutamente benché gli infedeli non appartengano di fatto (actu) alla
Chiesa, tuttavia ne fanno parte potenzialmente (in potentia). Questa disposizione poggia su
due elementi: in primo luogo e fondamentalmente sulla forza di Cristo, che basta da sé sola
alla salvezza del genere umano; secondariamente, sulla libera adesione dell’uomo.69

3.5 Natura missionaria del Popolo di Dio

L’ultimo articolo del capitolo tratta di come il Popolo di Dio abbia un’indole
missionaria. Fedele al comando del suo Signore di andare e fare suoi discepoli tutte le
genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, il Popolo di
Dio è stato incaricato del munus dilatandi Evangelii. Il compito della fede incombe su
ogni discepolo di Cristo, in conseguenza del sacerdozio comune, e quindi dalla
partecipazione di tutti i battezzati alla missione della Chiesa: ogni membro può
propagare la fede ma in quanto membro del Popolo di Dio è tenuto a cooperare in
questa funzione. La missione è descritta come la realizzazione del piano di Dio e del
primato di Cristo: la Chiesa «è sospinta a cooperare [dallo Spirito Santo] per la piena
realizzazione del disegno di Dio, il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il
mondo intero».70 L’istanza missionaria «non nega la possibilità di salvezza presente

67
Lumen Gentium 14, in EnchVat 1/323.
68
Lumen Gentium 15, in EnchVat 1/325.
69
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book96, Milano 1975, p. 187. Cf. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 8, a. 3, ad 1.
70
Lumen Gentium 17, in EnchVat 1/327.

30
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

nelle altre religioni, ma riconosce la diversità delle due vie»71: tacere tuttavia la verità
della salvezza in Cristo unico mediatore tra Dio e gli uomini sarebbe contraddire il
Vangelo stesso.

4. IL CAPITOLO II NELLA COSTITUZIONE SULLA CHIESA

La categoria portante della Lumen Gentium è la nozione di “Popolo di Dio”, in funzione


della quale sono comprese (nella costituzione) e quindi devono essere comprese (nella
corretta lettura) tutte le altre nozioni.72

Il giudizio dato da G. Colombo è molto lusinghiero verso questo tema, e ha i suoi


giustificati motivi. Con l’inserimento di un capitolo sul Popolo di Dio, il Concilio ha
inteso collocare in primo piano i valori primari e comuni dell’esistenza cristiana. Questi
valori sono la dignità di appellarsi cristiano e potersi riconoscere discepolo di Cristo.
Avvertire che tale condizione è una comune fratellanza tra persone, che si riconoscono,
non per decisione personale, membri di un popolo, il Popolo di Dio. Appartenenza, in
ragione della quale la Chiesa è prima di tutto e sopra di tutto una “comunione di fratelli
in Cristo”, una comunione creata dall’amore fraterno suscitato in tutti i membri del
popolo della nuova alleanza dall’Amore sussistente del Padre e del Figlio: lo Spirito
Santo. Si è evitato di trattare tutto quello che può distinguere i componenti dell’unico
Popolo di Dio, facendo riferimento all’intera comunità cristiana composta da fedeli e da
pastori, che insieme formano l’unica Chiesa di Cristo.
Nel piano divino infatti, l’appartenere al Popolo di Dio rappresenta una grandezza
dell’ordine dei fini, destinata a perdurare eternamente; l’ufficio e il potere gerarchico
invece sono una grandezza dell’ordine dei mezzi, per cui essi sono essenzialmente in
funzione della salvezza dell’intero Popolo di Dio e come tali destinati a scomparire con
l’avvento del suo Regno finale. Il capitolo secondo della Costituzione, secondo lo stesso
pensiero dei Padri conciliari, è ancora inerente alla trattazione del mistero della Chiesa,
di cui intende, in modo ulteriore, esplicitare l’intima natura e le diverse finalità. Pertanto
va intimamente collegato col capitolo primo, del quale vuole essere una logica

71
D. VITALI, Lumen Gentium. Storia, commento, recezione, Edizioni Studium, Roma 2014, p. 74.
72
COLOMBO, G., «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 98.

31
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

continuazione e un necessario complemento, in una visione d’insieme in cui si possono


riscontrare due prospettive differenti, ma non per questo contrastanti. Sono da leggersi
insieme, quali due tavole di un dittico: il secondo è complemento del primo e viceversa.
Il “De Ecclesiae mysterio” è la presentazione dello stesso in tutta la sua ampiezza,
dalla sua progettazione eterna nella mente di Dio, alla sua progressiva, talvolta nascosta,
ma graduale realizzazione lungo tutta la storia della salvezza, fino al suo
perfezionamento totale alla fine dei secoli. Il mistero di per sé impalpabile e nascosto,
che si distende nel tempo e nello spazio, trova la sua concretizzazione storica nella
realtà fisica e visibile di un popolo.
Nel “De Populo Dei” invece lo stesso Mistero della Chiesa viene considerato in una
prospettiva più ristretta, il tempo della peregrinazione terrena della Chiesa fino alla
venuta gloriosa del suo Signore. Una trattazione, per esprimersi in termini riduttivi, del
“tempo intermedio” della Chiesa: gli elementi dottrinali esposti ne descrivono la sua
vita cultuale, la prassi sacramentaria, la testimonianza di fede, la tensione missionaria ed
escatologica verso l’incontro con Dio.
In stretto rapporto, si trova il capitolo secondo con il capitolo quarto, dedicato ai
laici. Emerge nel capitolo una certa difficoltà a riconoscere qualità proprie del laicato,
se non la mera ripresa di quanto già descritto nel capitolo “Il Popolo di Dio”. Il rischio
non è tanto la ripetizione di affermazioni già fatte quanto la corretta distinzione del tema
dei laici da quel Popolo di Dio, a cui appartengono insieme a ministri ordinati e ai
religiosi. Il Popolo di Dio non può coincidere con i soli laici, pena la perdita
dell’uguaglianza essenziale dei cristiani: un’asimmetria di natura che rischierebbe di
riproporre una gerarchia di funzioni, e una rivendicazione di potere nella Chiesa. La
stessa definizione del laicato in LG 31, pur non formulata via negationis, manifesta una
qualche incertezza espositiva:

Col nome di laici si intendono tutti i fedeli cristiani, ad esclusione dei membri dell’ordine
sacro e dello stato religioso riconosciuto dalla Chiesa: i fedeli cristiani cioè che, incorporati a
Cristo con il battesimo e costituiti Popolo di Dio, resi a loro modo partecipi della funzione

32
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

sacerdotale, profetica e regale di Cristo, esercitano nella Chiesa e nel mondo, per la parte che
li riguarda, la missione di tutto il popolo cristiano.73

L’elemento che caratterizza i laici è il loro compito di cercare il Regno di Dio


trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio: compito di carattere secolare,
che nelle ordinarie condizioni della vita familiare e sociale contribuisce alla
santificazione del mondo. Una definizione che pur positiva, non tratta dell’essenza
stessa del laicato. D. Vitali s’interroga se tale compito non risulti superato dalla scoperta
della Chiesa come Popolo di Dio.74 Una posizione che si ritiene risolvibile in un
approfondimento della teologia del laicato, che, partendo dalla novità conciliare della
comune appartenenza al Popolo di Dio, espliciti teologicamente prima la natura e
l’identità stessa dei laici, e poi ampli le funzioni e i compiti all’interno della Chiesa
come universitas fidelium.

5. CONCLUSIONE

Opportune e pertinenti, risultarono le espressioni con cui Paolo VI, nel discorso di
chiusura della Terza Sessione, manifestava ciò che suscitava nel suo animo la dottrina
del presente capitolo:

E ci diremo ancora soddisfatti per l’onore che questa Costituzione tributa al Popolo di Dio:
nulla ci può maggiormente allietare che vedere proclamata la dignità di tutti i nostri fratelli e
figli che compongono il popolo santo, alla cui vocazione, alla cui santificazione, alla cui guida,
alla cui salvezza è rivolto, come al suo fine, tutto il ministero gerarchico.75

Nella Lumen Gentium l’espressione “Popolo di Dio” non è solo ricorrente, ma


esercita un ruolo strutturante e architettonico, nel delineare la natura stessa della Chiesa.
Permette di condurre un discorso ecclesiologico sistematico che altre figure o immagini
di Chiesa non permetterebbero. La Chiesa è colta nel suo insieme, nella sua totalità di
soggetto ecclesiale, non mera riduzione ad uno dei suoi membri. In questo le diversità

73
Lumen Gentium 31, in EnchVat 1/362.
74
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, pp. 146-149.
75
PAOLO VI, all. Post duos menses a chiusura del terzo periodo del concilio (Sessione V), 21
novembre 1964, in EnchVat 1/284*.

33
CAPITOLO PRIMO – Popolo di Dio nella Lumen Gentium

dei carismi, ministeri, mandati e funzioni sono secondarie rispetto alla comune
appartenenza al Popolo di Dio; secondo l’interpretazione felice di Hans Kung:

Che uno abbia questo o quel particolare incarico, per lui è decisivo l’essere o no accettato da
Dio, presso il quale non c’è eccezione di persona o privilegio di sangue, di razza, di
posizione sociale, di carica: è decisivo essere o no nella fede, nell’ubbidienza, nella speranza,
nell’amore. In definitiva non è importante se uno ha nella Chiesa una carica o quale carica,
ma se egli è schiettamente e semplicemente, anche nel suo ufficio, un “fedele” e ciò significa
una persona che crede, ubbidisce, ama, spera.76

“Popolo di Dio” nella sua articolazione teologica permette una visione più concreta e
più completa del dato biblico, nella continuità fra la prima alleanza e la Chiesa.
Valorizza, nel sacerdozio comune, la componente cristologica con la partecipazione di
tutti alle tre funzioni di Cristo, fondate sul diritto sacramentale conferito col battesimo.
Amplia la componente pneumatologica, valorizzando i doni dello Spirito, distribuiti
all’insieme dei fedeli. Un’impostazione che non tralascia di affermare per la Chiesa il
suo carattere di realtà visibile nel mondo riconoscendo nuovamente la sua essenza
storica: questa riappropriazione del suo esistere nella storia, senza riduzioni alla
condizione societaria, rinnova l’indole missionaria e ravviva la tensione escatologica.
Una nozione che legata alla Parola di Dio, apre alle istanze ecumeniche77, di dialogo
con i non cattolici, con i non cristiani e con i non credenti in genere. Popolo di Dio
infatti risultava molto più biblico, meno sospetto ai protestanti e sembrava offrire
migliori possibilità per il rinnovamento richiesto di tutta la Chiesa e per il dialogo
sperato fra la Chiesa e il mondo d’oggi.

76
H. KÜNG, La Chiesa, Queriniana, Brescia 1969, pp. 140.
77
Con J. Ratzinger si potrebbe addirittura «sostenere che il concetto “Popolo di Dio” venne introdotto
dal concilio anzitutto come ponte ecumenico» con le Chiesa della Riforma, ribadendo la fondamentale
uguaglianza di tutti i membri. Cf. J. RATZINGER, Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline,
Cinisello Balsamo (MI) 1987, p. 21.

34
CAPITOLO SECONDO

Popolo di Dio nella prima ricezione postconciliare

Il periodo immediatamente successivo al concilio Vaticano II è stato caratterizzato da


un vero e proprio sommovimento dello status quo ecclesiastico. Al clima ecclesiale
diffuso di fiducioso ottimismo che aveva contrassegnato gli anni dell’elaborazione dei
testi conciliari, seguì un periodo inquieto, contrassegnato da profonde modificazioni
nella cultura e nella società. Le vicende storiche e sociali della seconda metà degli anni
Sessanta, innescarono una serie di tensioni che si sarebbero palesate nella cosiddetta
“rivoluzione” culturale del ’68. Quel che abitudinariamente viene detta rivolta
studentesca fu effettivamente una specie di rivoluzione culturale, che provocò un
cambiamento sociale di mentalità e che in fatto di valori andò ben al di là del campo
accademico studentesco. Essa fu lo spartiacque tra il periodo post-bellico e una nuova
fase storica, che fu caratterizzata

dalla secolarizzazione e dall’emancipazione da valori e modi comportamentali


universalmente umani e cristianamente tramandati. A ciò si accompagnò una concezione
estremamente individualistica, emancipata e antiautoritaria della libertà, influenzata da
un’ideologia neomarxista della socializzazione, di una democratizzazione radicale e di una
proletarizzazione di tutti i campi della vita, anche della Chiesa.1

Questo clima di forte irrequietezza, innescatasi a tre anni dalla conclusione del
Concilio, ne condizionò profondamente la sua recezione con letture teologiche
profondamente diverse tra loro, spesso contrastanti. Il clima ecclesiale che derivò da
queste diatribe andò a tutto scapito dell’effettiva promozione del Popolo di Dio. I vari
tentativi di leggere questa categoria teologica attraverso le categorie del sistema
democratico ha comportato l’irrigidimento delle posizioni, e pregiudicando un uso
concorde. Divenne così urgentemente necessario opporsi ad una simile riduzione

1
W. KASPER, Chiesa cattolica. Essenza-Realtà-Missione, Queriniana, Brescia 2012, p. 35.

35
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

ideologica e sociologica e ad una simile funzionalizzazione politica della Chiesa,


nonché ad una sua democratizzazione, il più delle volte concepita in maniera fuorviante.
All’interno della travagliata stagione postconciliare il dibattito si infiammò
particolarmente sulla recezione della Costituzione sulla Chiesa: molti aspetti del Popolo
di Dio esposti nella Lumen Gentium finirono per alimentare interpretazioni non sempre
fedeli all’intenzione originaria dei Padri conciliari.

1. LA RECEZIONE DELLA LUMEN GENTIUM E I SUOI PROBLEMI


La recezione della Lumen Gentium ebbe grande risonanza nel mondo cristiano, in
modo particolare per le novità contenute nel capitolo II sul Popolo di Dio. Questa parte,
infatti, fin dai primi commenti2, emerse come novità importante, e qualche volta come
centrale del Concilio Vaticano II. Grande impatto ebbe tra i fedeli laici l’essere
riconosciuti membri e soggetti attivi nella Chiesa, chiamati, in forza del loro battesimo,
a partecipare al triplex munus Christi insieme ai ministri ordinati e ai religiosi. Il Popolo
di Dio venne riconosciuto come forza viva nella struttura storica della Chiesa.
Da questi fatti sono state dedotte, nel successivo periodo post-conciliare,
conseguenze che rispondevano più ad opinioni teologiche previe dei singoli autori che
non al pensiero dei Padri conciliari e al testo del documento approvato. In modo
particolare l’acquisizione di Popolo di Dio quale categoria teologica per esplicitare la
natura della Chiesa comportò la fondazione di un’ecclesiologia sintetica e
comprensibile per l’insieme dei battezzati, fatto che rende ragione del suo rapido
diffondersi. Al contempo la persistenza su di un solo modello, senza il riferimento ad
altre immagini di chiesa complementari, produssero sintesi ecclesiologiche
teologicamente troppo semplici, ermeneuticamente povere, progressivamente inclini ad
individuare al di fuori del contesto ecclesiale, nell’ambito secolare, le ragioni della loro
sussistenza. Il lavoro di recezione della novità di “Popolo di Dio” nella Lumen Gentium
(e più generalmente dello stesso concilio) procedette, in qualche caso, da un punto di
vista riduttivo o da scorciatoie ideologiche troppo evidenti, in modo particolare la
2
Si distinsero per particolare importanza nell’immediato post-concilio A. FAVALE, La Costituzione
Dogmatica sulla Chiesa, Elle Di Ci, Torino 1965 e G. BARAÚNA, La Chiesa del Vaticano II. Studi e
commenti intorno alla costituzione dommatica “Lumen Gentium”, Vallecchi Editore, Firenze 1965.

36
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

lettura teologica dei temi del sacerdozio comune, i gradi dell’appartenenza alla Chiesa
ed i carismi.

1.1 Il sacerdozio comune: origine di una controversia

Tra gli elementi caratterizzanti del “Popolo di Dio”, nella fase post-conciliare fu data
particolare attenzione al tema del sacerdozio comune, elemento significativo, che
esplicita il Popolo di Dio quale comunità sacerdotale, soggetto per mezzo dei
sacramenti e delle virtù, «opera collettiva e non individuale, pubblica e non interiore». 3
Questa forte pregnanza non fu esente da letture critiche: nell’esposizione del sacerdozio
comune manca un richiamo esplicito al sacerdozio regale, in linea con 1Pt 2,9.4
Questa omissione fu travisata, da alcune posizioni teologiche, quale limitazione del
sacerdozio gerarchico a discapito del sacerdozio comune. Il ragionamento, portato
all’esasperazione, comprometteva il rapporto di circolarità ad invicem tra il sacerdozio
comune, fondato nel battesimo e del sacerdozio ministeriale, fondato nel sacramento
dell’Ordine, entrambi partecipazione sui peculiari modo al sacerdozio di Cristo. La
lettura ideologica del sacerdozio comune del Popolo di Dio fu così il principio
giustificativo per una visione dal basso del ministero, abrogando, di fatto, la distinzione
conciliare tra i tipi di sacerdozio, «non licet essentia sed gradu».5 Dalla minore fedeltà
alla correlazione costitutiva tra le due realtà di sacerdozio, emerse il rischio concreto di
assolutizzazione di una parte sull’altra. Il principio fu occasione di scontro tra una
visione del ministero ancorata all’agere in persona Christi e una visione di
rappresentanza della comunità, che sembra compromettere la costituzione gerarchica
della Chiesa affermata al capitolo III di Lumen Gentium.
Le interpretazioni eteronome del dato conciliare posero così il reale rischio, sul piano
della prassi ecclesiale, di compromettere l’effettiva recezione del sacerdozio comune
come elemento strutturante l’intero Popolo di Dio. Le conseguenze di questa deriva, dal

3
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p.171.
4
La questione non è fuori luogo poiché il documento conciliare applica lo schema dei tria munera ai
vescovi (LG 25-27), ai presbiteri (LG 28) e ai laici (LG 34-36).
5
Cf. Lumen Gentium 10 in EnchVat 1/312.

37
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

punto di vista ecclesiologico fu la distorsione della stessa dottrina conciliare, per


l’incapacità di attribuire il sacerdozio comune non ai singoli battezzati ma alla comunità
sacerdotale, quale soggetto attivo, partecipe del munus sacerdotale di Cristo. Una tale
riflessione ingenerò una rilettura generale della teologia dell’ordine e mise in questione
il dato conciliare sul sensus fidei.

1.2 Il sensus fidei o fidelium alternativo al magistero

Ulteriore motivo di discussione teologica fu infatti il richiamo al sensus fidei del


Popolo di Dio: la prima parte di LG 12 traccia le caratteristiche proprie di questa
partecipazione alla funzione profetica di Cristo. Certa letteratura teologica
postconciliare enfatizzò oltremodo la capacità dell’universitas fidelium di «in credendo,
falli nequit».6 Esasperando la precedenza dell’indefettibilità del Popolo di Dio quale sua
propria caratteristica, «dai vescovi agli ultimi fedeli laici»7, sulla necessità della sua
guida per mezzo del sacro magistero, si introdusse una contrapposizione deleteria. Il
sensus fidei fu assunto a proprietà dei soli laici, non di tutti i membri della Chiesa. La
deduzione diede legittimazione al sensus fidelium in opposizione alle prevaricazioni del
magistero. La proposta più chiara fu quella formulata nella rivista “Concilium”8: si
insinua l’esistenza di due autorità dottrinali. Al magistero della Chiesa si oppone il
sensus fidelium, descritto, non come magistero (Lehramt) ma autorità dottrinale
(Lehrautorität) dei fedeli. Il Popolo Dio come soggetto credente, per gli autori, rende
pleonastica la funzione assistenziale della Chiesa, attraverso il suo Magistero. In tale
contesto «l’autorità magisteriale del ministero ecclesiastico poggia sulla testimonianza
di fede della Chiesa intera».9 La contrapposizione si volge nell’unità del sensus fidelium
dove il ruolo del Magistero scade a sola ratifica formale dell’infallibilitas in credendo.
L’accentuazione dell’autonomia del sensus fidei condusse il dibattito teologico a
posizioni radicali: la negazione del Magistero e della sua infallibilità10, con insistente

6
Lumen Gentium 12 in EnchVat 1/316.
7
Idem. La citazione è tratta da S. AGOSTINO, De praedestinatione sanctorum, 14,27, (PL 44,980).
8
J.B. METZ – E. SCHILLEBEECKX (a cura di), «L’autorità dottrinale dei fedeli», in Concilium 21 (1985)
4, pp. 11-24.
9
Idem, p. 12.
10
Cf. H. KÜNG, Infallibile? Una domanda, Anteo, Bologna 1970.

38
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

domanda di un processo di democratizzazione della comunità ecclesiale. Il dibattito sul


sensus fidei fu avvertito come ulteriore elemento di contestazione nel quadro più
generale del dissenso postconciliare che «fa appello anche talvolta all’argomentazione
sociologica, secondo la quale l’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe
un’espressione corretta e adeguata del senso soprannaturale della fede». 11
Il sospetto del Magistero e della gerarchia al tema dell’indefettibilità dei fedeli
contribuì indirettamente, al declino storico-teologico del concetto di Popolo di Dio, che
sulla questione, in Lumen Gentium 12, aveva trattato con rigore e fedeltà alla
Tradizione, collegandola al dono dei carismi.

1.3 Il dibattito tra carisma e istituzione

Correlato alla polemica sul sensus fidei si acuì il dibattito che opponeva, nel Popolo
di Dio, carisma e istituzione. Partendo dall’affermazione conciliare di Lumen Gentium
12, i carismi sono utilizzati strumentalmente contro la chiesa gerarchica, in una
contrapposizione ideologica che vuole ratificare una chiesa dal basso, pensata sulla
falsariga del sistema democratico nella società civile. Lungi dall’essere grazie speciali,
volte al rinnovamento e al maggior sviluppo della Chiesa, i carismi sottendono «la
richiesta di libertà contro ogni pretesa limitante e oppressiva della gerarchia»12. Si
ignora così il ruolo di giudizio sulla genuinità e sul loro ordinato esercizio, onere che
compete alla gerarchia stessa. In nome della libertà nella Chiesa dunque, i doni dello
Spirito sono bandiera di contestazione, e vanno a superare il dato conciliare,
«diventando il passepartout di qualsiasi realtà che si voglia nuova e originale, con un
rimando tanto insistente quanto vago al dettato conciliare»13. La discussione è stata
avviata da Hans Küng in un breve articolo14 che teorizza l’affermarsi di una chiesa
carismatica, libera dalle costrizioni della gerarchia, che a suo avviso è rea di soffocare lo
Spirito e di negare la libertà della Chiesa. Küng fonda la sua tesi nella radicalizzazione

11
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, istr. Donum veritatis sulla vocazione ecclesiale del
teologo, 24 maggio 1992, in Ench.Vat 12/291.
12
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 161.
13
D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p. 184.
14
H. KÜNG, «La struttura carismatica della Chiesa», in Concilium 1 (1965) 2, pp. 15-37.

39
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

del dato neotestamentario di 1Cor12, unito alla fondazione di un modello carismatico di


Chiesa riscoperto dal Concilio, in Lumen Gentium 12. L’autore riconosce già nelle
lettere pastorali la deriva autoritaria che conduce, nei secoli a seguire, al
misconoscimento della struttura carismatica della Chiesa. L’ecclesiologia dei manuali
cattolici, mutuata dall’ecclesiologia delle lettere pastorali (e dagli atti degli Apostoli),
hanno represso notevolmente l’ecclesiologia specificatamente paolina.

Si è sorvolata così la varietà e la tensione che si riscontra all’interno del Nuovo Testamento,
oppure si è cercato di armonizzarla in maniera insufficiente. In tal modo non si è riusciti a
farsi una visione d’insieme delle molteplici differenze concernenti la Chiesa, lo Spirito, i
carismi.15

Per l’autore non è più pensabile una distinzione dal corpo ecclesiale che attribuisca
tutte le capacità e le funzioni attive alla gerarchia, consegnando il Popolo di Dio ad una
condizione di subordinazione e passività: «la struttura carismatica della Chiesa è stata
ampiamente misconosciuta, la ragione sta anzitutto in quel clericalismo e giuridicismo
che sono stati tanto spesso criticati dai Padri conciliari».16
La consistenza della tesi, del tutto ideologica, ha avuto forte visibilità con il testo,
dello stesso Küng, sull’infallibilità del papa17 e contribuì ad ulteriori letture indebite.

2. L’INTERPRETAZIONE DELLA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE


Ad una lettura attenta del Concilio, emerse ben presto come una certa enfasi nella
ripresa dell’idea del “Popolo di Dio” fosse, tutto sommato, eccessiva. Alcune posizioni
entusiaste, all’interno del rinnovamento dell’ecclesiologia, furono ben presto additate
quali esagerazioni. Infatti «il pathos della scoperta andava ben oltre quanto le basi
bibliche potessero sostenere. I testi stessi del Concilio non si sono lasciati, grazie a Dio,
investire da nessun sentimento patetico.»18 La recezione nel tempo post-conciliare, si
organizzò in due tendenze fondamentali: da una parte «un riduzionismo, che mantenne

15
Idem, p. 22.
16
Idem, p. 23.
17
H. KÜNG, Unfehlbar? Eine Anfrage, Benziger, Einsiedel-Zürich 1970. Le implicazioni di questa
posizione si possono vedere in G. HASENHUTTL, Charisma, Ordungsprinzip der Kirche, Herder, Freiburg
1973 e L. BOFF, Igreja carisma e poder, Vozes, Petropolis 1981.
18
J. RATZINGER, Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, pp.
25-26.

40
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

dell’ecclesiologia conciliare ormai solo la parola di “Popolo di Dio”»19; dall’altra una


progressiva «metamorfosi e una amplificazione»20 del significato di “popolo” nel senso
di una lettura sociologizzante dell’idea di Chiesa.
Questa seconda tendenza, in particolare, promosse letture interpretative della
Costituzione sulla Chiesa che ipostatizzava l’(improbabile) antinomia tra il primi due
capitoli della Lumen Gentium, tra la chiesa-corpo di Cristo e la chiesa-Popolo di Dio.
Queste opere assunsero come paradigma interpretativo la dialettica della
contrapposizione, misconoscendo la logica di continuità presente nella struttura della
costituzione e nella mens dei Padri conciliari. Conseguenza di questo processo e
ulteriore deriva fu l’accentuazione di singole affermazioni ecclesiologiche, che
risposero a motivi estranei al Concilio. L’istanza di partecipazione e di uguaglianza nel
Popolo di Dio, teologicamente fondate, furono assunte a fini pregiudiziali per la riforma
radicale del sistema tradizionale in favore del presunto modello originato dal concilio.

2.1 Adozione di Popolo di Dio a categoria sociologica

Passaggio determinante in questo contesto fu l’elaborazione semantica di “popolo”,


che nel suo valore teologico, derivante dal contesto storico-salvifico fu trasposto alla
lettura sociologica. L’imperante clima culturale, sedotto dalle striscianti concezioni
marxiste, caricò ulteriormente di significati politici il termine. L’essenza di “Popolo di
Dio”, subì un processo di “secolarizzazione” semantica. La lettura socio-politica del
termine fu assunta ad ipostasi di una successiva lettura teologica. Nel contempo la
formula “Popolo di Dio” veicolò «un’idea antigerarchica e antisacrale, anzi una
categoria rivoluzionaria di cui ci si appropria per concepire una nuova Chiesa»21.
Fu sancito con questa inopportuna lettura il passaggio, in qualche autore, del tema
conciliare dalla teologia all’ideologia, a scapito dell’unitarietà della visione conciliare,
«identificando nei potenti la gerarchia e nei poveri un Popolo di Dio, per il quale

19
Idem, p. 26.
20
Idem, pp. 25-26.
21
Idem, p. 26.

41
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

svolgeva una funzione di supplenza quella teologia di punta che vestiva volentieri i
panni di un nuovo magistero, tanto inappellabile quanto autoreferenziale».22

2.2 Controversie sul termine “Popolo”

In questo contesto il termine popolo è stato implicato nei movimenti scatenati dalle
grandi ideologie che hanno reso inquieto il XIX e il XX secolo. Questo sconvolgimento
ha caricato semanticamente il termine, dandogli la capacità di veicolare, insieme con
l’idea, contenuti di carattere opposto, ma sempre tali da suscitare profonde diffidenze
nella coscienza della fede.23 La lettura postconciliare si orientò ad una lettura di
“sinistra” del concetto di popolo, quale grande massa dei poveri, «il proletariato
sfruttato che aspirava alla sua redenzione e che l’avrebbe realizzata attraverso la
rivoluzione».24 La reazione della Chiesa non tardò ad arrivare.

Essendo stata l’aggregazione ecclesiale per un intero millennio uno dei pilastri, per non dire
il pilastro centrale, della vita sociale, come poteva l’autocoscienza ecclesiale non restare
coinvolta e sconvolta dalla nuova situazione e non trasferire i propri disagi sullo sviluppo del
pensiero teologico?25

Il processo di rigetto del socialismo coinvolse anche il vocabolario: popolo e


popolare iniziarono ad essere avvertiti come termini pericolosi, compromessi con
teologie il cui impianto fondamentale era pesantemente condizionato dall’assunzione di
paradigmi estranei, quando non ostili, alla Tradizione di fede cristiana.

2.3 Dalla Chiesa per il popolo a Chiesa di popolo

Un autorevole esempio di interpretazione di Popolo di Dio è l’opera di J.B. Metz, La


fede, nella storia e nella società. Studi per una teologia fondamentale pratica. L’autore

22
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 154.
23
Una prima comprensione del termine “popolo” era avvenuta sull’onda del nazionalismo
ottocentesco, vincolata all’idea di nazione, all’esaltazione della particolarità della stirpe. In tale contesto
l’idea di popolo non apparì affatto adeguata ad esprimere l’autocoscienza della chiesa, che preferì il
modello di societas e corpus.
24
S. DIANICH, «Popolo di Dio (II). Problematica pastorale di un’idea», in Rivista del Clero italiano 71
(1990), pp. 248-249.
25
S. DIANICH, Ecclesiologia. Questioni di metodo e una proposta, Edizioni Paoline, Cinisello
Balsamo (MI) 1993, pp. 215-216.

42
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

delineò l’esistenza di due modelli di chiesa, profondamente differenti, ma accumunati


dalla relazione con “il popolo”. La prima è una Chiesa organizzata dal clero per il
popolo (Kirche für das Volk), per un popolo che non è ancora divenuto soggetto dei
processi ecclesiali, “con-soggetto”. I soggetti protagonisti qui sono sempre e solo i
consacrati, resi conformi a Cristo sacerdote in forza dell’ordinazione e al “carattere”:
solo loro possono agire nella persona del capo che è Cristo. La Chiesa qui «soggioga,
assiste e definisce unicamente dall’alto ciò che è utile per il suo servizio»26.
Contrapposta al primo modello Metz presenta la Chiesa del popolo (Kirche des
Volkes o Volkskirche): l’intero popolo di Dio può essere per il mondo soggetto di Gesù
Cristo, nella sua opera di salvezza, e trova la sua identità nel cercare in persona Christi,
seguendo le sue orme, la via nel futuro di Dio.
La lettura oppone una forte dicotomia tra le due parti, che espongono
un’ecclesiologia fortemente polarizzata, in cui il concetto conciliare di Popolo di Dio è
speso in funzione dell’opposizione dialettica, ridotto a semplice etimo di scontri sociali.
Questo modello, fu adottato, in forme diverse, dalla teologia della liberazione latino-
americana, la quale rivendicò questo essere (con-) soggetto del popolo, cercando di
viverlo nelle comunità di base.

2.4 Popolo di Dio come popolo oppresso in L. Boff

In Leonardo Boff il concetto di Popolo di Dio emerge in filigrana, come orizzonte su


cui si staglia il protagonismo delle comunità di base. Queste sono la sotto-struttura
indispensabile per l’esperienza e la realtà della vita, «senza la quale la sovrastruttura
teologica o gerarchica sarebbe destinata a cadere».27 La teologia del popolo di Dio è
associata ad una logica di contestazione se non di vera eversione, e, ad un atteggiamento
di opposizione sistematica alla gerarchia, difficile da ammettere anche
nell’interpretazione più aperta dei testi e dello spirito del Concilio. Le linee generali del
suo pensiero ecclesiologico sono esposte in Chiesa: carisma e potere: la teologia del

26
J.B. METZ, La fede, nella storia e nella società. Studi per una teologia fondamentale pratica,
Queriniana, Brescia 1978, p. 148.
27
W. KASPER, La Chiesa di Gesù Cristo. Scritti di ecclesiologia, Queriniana, Brescia 2011, p.442.

43
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

Popolo di Dio è la teologia della liberazione, nella quale il popolo semplice dei poveri e
di quanti sono oppressi dai ricchi trova una voce adeguata per le proprie esperienze.28
Con insistenza ribadisce che la vocazione della Chiesa è l’assunzione di
consapevolezza di essere popolo. Ne consegue la massima ecclesiologica che

a misura che la Chiesa si apre al popolo, si fa sempre più essa stessa popolo di Dio; a misura
che il popolo e specialmente i poveri e gli oppressi della società, si riuniscono in nome di
Cristo e nell’ascolto della sua parola di salvezza e di liberazione, essi costituiscono nel
concreto della storia la Chiesa di Gesù Cristo.29

Il concetto di “popolo” è nella doppia accezione di “popolo” inteso come plebs,


ovvero del proletariato, di chi non possiede nulla, e “popolo” nel senso di populus che è
cittadinanza nel Regno di Dio. La giustapposizione semantica rende la Chiesa, dal punto
di vista teologico, immagine della società in cui è inserita, una società ecclesiale divisa
per classi, retta da rapporti asimmetrici di dominio e di paternalismo. In questo contesto
«la Chiesa, inevitabilmente, si trova attraversata dai conflitti di classe, e può tanto
assumere una funzione rivoluzionaria, quanto una funzione di rinforzo del blocco
egemonico»30. La Chiesa per Boff può scegliere: l’opzione preferenziale per i poveri,
oppure l’identificazione con i potenti: in tal modo applicherà alla realtà del Popolo di
Dio anche le ideologie di dominio e la prassi di potere delle classi con la quale è collusa
e inevitabilmente compromessa.
Nella Chiesa classista, che Boff critica, l’unità è uniformità della vita ecclesiale
«come comunione del popolo con la gerarchia, mentre l’inverso cioè la comunione della
gerarchia col popolo, non viene quasi mai pronunciato»31. L’unità è rinuncia ai propri
interessi, la santità della Chiesa di classe impone alla totalità del Popolo di Dio
«obbedienza, sottomissione ecclesiastica, umiltà e riferimento totale alla Chiesa, ovvero
quella dimenticanza di sé che non lascia del tutto emergere l’esigenza dell’essere

28
Boff rimprovera alla teologia europea e allo stesso Concilio Vaticano II di aver adoperato i grandi
concetti biblici di Popolo senza dare loro dimensione concreta. I testi del Concilio non accennano come
Popolo di Dio il riferimento all’Esodo, che è prototipo di ogni futura salvezza. La sua è una teologia che
pone al centro i poveri, una riflessione di fede che muove dalla prospettiva di chi è umiliato e derubato.
29
L. BOFF, Chiesa: carisma e potere, Borla, Roma 1984, p. 213.
30
Idem, pp. 190-191.
31
Idem, p. 194.

44
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

soggetto nella fede e nel popolo di Dio».32 L’apostolicità risulta attributo di un’unica
classe, quella dei vescovi, successori degli apostoli, e non contrassegno della Chiesa
intera, del Popolo di Dio, che cerca il proprio cammino nella sequela di Gesù Cristo, il
crocifisso. La cattolicità è romanitas, cioè il popolo «radunato dalle varie nazioni
rinuncia alla propria radicazione nelle diverse culture nazionali e si sottomette ad una
cultura religiosa unitaria e centralista».33
Di fronte alle caratteristiche della Chiesa classista, Boff opera una riqualificazione
semantica degli attributi essenziali della vera Chiesa, intesi ora come caratteristiche del
Popolo di Dio svantaggiato. L’unità trova nella Chiesa di popolo nella comunità,
unanimità di quanti si radunano per seguire Cristo, nella coscienza della propria identità
di soggetto ecclesiale in lotta per la giustizia. Il Popolo di Dio si organizza nella
comunità di base dalla cui interazione dei diversi doni dello Spirito, vincolata alla
tradizione della fede cristiana, si costituisce la comunione cattolica tra le comunità.
Cattolicità è identificazione con i bisogni dell’umanità intera, condivisione con i
diseredati. L’apostolicità recupera, per Boff, la missione universale della Chiesa ad
essere «portatrice della dottrina ortodossa della fede, e dei vari servizi che lo Spirito
suscita in essa, vivendo nella sequela di Gesù, del suo comportamento, del suo
messaggio, della speranza del Regno, depositata nel cuore dei fedeli». 34 Santa è la
chiesa che «si lascia coinvolgere nell’avvento della salvezza e della giustizia divina, in
un impegno combattivo in favore di quanti sono defraudati dei loro diritti vitali».35

3. LA RISPOSTA DEL MAGISTERO DELLA CHIESA: LIBERTATIS NUNTIUS

La teorizzazione di Boff e più complessivamente la teologia della liberazione ha


incontrato la dura critica della Chiesa che temeva la collusione tra la concezione
ecclesiale classista e la politica rivoluzionaria e violenta del marxismo. L’Istruzione
“Libertatis nuntius”36 del 1984, su alcuni aspetti della “teologia della liberazione”

32
Idem, p. 195.
33
Idem, p. 196.
34
Idem, p. 208.
35
Idem, p. 209.
36
SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, istr. Libertatis nuntius de quibusdam
rationibus “theologiae liberationis”, 6 agosto 1984, in EnchVat 9/866-987.

45
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

rifiuta l’applicazione dell’idea marxista di classe alla Chiesa, e del rapporto conflittuale
che da essa ne deriva, dove la Chiesa è «realtà interna alla storia, che obbedisce
anch’essa alle leggi ritenute determinanti per il divenire storico della sua immanenza». 37
Si stigmatizza il «capovolgimento del significato del testo conciliare sulla sussistenza
della Chiesa»38 a favore di un relativismo ecclesiologico «nel quale si sviluppa e si
esplicita un profondo fraintendimento della fede cattolica circa la Chiesa di Dio nel
mondo»39. Il documento interviene nel combattere le implicazioni storico-
materialistiche del concetto di lotta di classe che erano assurte ad interpretazione
teologica della realtà ecclesiale. La posizione del Magistero coglie nel concetto di
Chiesa del popolo e nella Chiesa dei poveri «la pericolosa amalgama tra il povero della
Scrittura e il proletariato di Marx»40: l’adozione dell’istanza marxista all’interno del
“Popolo di Dio” sovverte il significato cristiano di “povero” e la lotta per i diritti si
trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta tra classi. Lo stesso
“Popolo di Dio” passa così ad intendere una Chiesa “di classe” «che occorre
“coscientizzare” in vista della lotta liberatrice organizzata». 41 La severa lettura pone
come erronea la nuova ermeneutica proposta, poiché strumentale all’ideologia,
politicizzata e lesiva dell’integralità del messaggio della salvezza e della verità sulla
Chiesa. La teologia del Popolo di Dio non deve così cedere alle ideologie del mondo,
alla presunta necessità della lotta di classe, alla prassi rivoluzionaria e violenta, ma
tornare a radicarsi nel magistero, dono di Cristo alla sua Chiesa. Questo richiede
l’abbandono delle illusioni fallaci di pensare, etsi Deus non daretur, la Chiesa a mero
soggetto storico, che finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del
popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.
In conclusione la presa di posizione del Magistero è netta ed inappellabile nei
confronti della lettura riduttiva che certa Teologia della Liberazione imputa al concetto
di Popolo di Dio. La dura critica vuole comunque preservare l’istanza profetica di

37
Idem, 9/947.
38
SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, notificazione Il 12 febbraio 1982 in merito
allo scritto di p. Leonardo Boff: Chiesa, carisma e potere, 11 marzo 1985, in EnchVat 9/1426.
39
Idem.
40
Libertatis nuntius, in EnchVat 9/949.
41
Libertatis nuntius, in EnchVat 9/951.

46
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

denuncia che la Teologia della Liberazione opera, ma non i suoi metodi di risoluzione:
la Chiesa universale riconosce l’indebito travisamento della categoria teologica, se posta
sub condicione di implicazioni estranee con la natura della Chiesa stessa.

3. LA DISCUSSIONE SULL’ECCLESIOLOGIA DEL CONCILIO

La riflessione teologica postconciliare manca totalmente di unità, sviluppandosi in


modo arbitrario e frammentario, in genere per rispondere a sollecitazioni di carattere
pratico o per esporre convinzioni personali. La recezione di “Popolo di Dio” è stata
utilizzata a pretesto per l’affermazione delle proprie tesi alternative. L’impiego del
concetto ecclesiologico risulta strumentale, piegato ai fini di una visione ideologica, con
proposte di una Chiesa dal basso, con strappi veri e propri alla struttura gerarchica della
Chiesa. Il clima di scontro acuì la polarizzazione dei modelli: da una parte la Chiesa
descritta nel primo capitolo di Lumen Gentium con le categorie di comunione, di
mistero e di sacramento, di corpo di Cristo e sua Sposa; dall’altra la Chiesa-Popolo di
Dio. L’indebita contrapposizione comportò una recezione ermeneutica dei capitoli nella
logica della discontinuità e quasi di antitesi: si volle affermare la mal combinazione
nella costituzione sulla Chiesa, di due ecclesiologie divergenti, una misterico-
sacramentale e l’altra giuridica, riflesso delle contrapposizioni successive di
maggioranza e minoranza. Le conseguenze delle contrapposizioni furono il sospetto
verso tutto ciò che riguardava l’argomento “Popolo di Dio”. Alla rivendicazione di una
libertà di parola e d’azione nella Chiesa si rispondeva con accanita resistenza alla
teologia del Popolo di Dio: ciò ingenerò un processo di disaffezione, che fondò il
pregiudizio che il capitolo II della Lumen Gentium avesse introdotto un principio troppo
destabilizzante per l’istituzione ecclesiastica. La dura contrapposizione che oppose le
diverse letture interpretative comportò un vero e proprio conflitto. Come afferma Dario
Vitali:

L’insistenza su una comprensione del Popolo di Dio in chiave sociologica, come base in lotta
con un vertice rappresentato dall’istituzione gerarchica, ha impedito il radicamento dell’idea
stessa di Chiesa-Popolo di Dio. La contrapposizione ha ingenerato infatti un sottile ma
pericoloso fraintendimento sull’identità stessa di questo popolo: non la universitas fidelium,

47
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

comprensiva di tutti i battezzati, nessuno escluso, ma i credenti che non appartengono alla
gerarchia.42

L’esito per l’autore ha la caratteristica della paradossalità: la dicotomia in due


soggetti e la riedizione di una societas inequalium, segnata dalla contrapposizione tra
clerici e laici, che ripropone «il vecchio modello, semplicemente rovesciato e
ulteriormente ideologizzato: il potere non starebbe più nel vertice, ma nella base, o
meglio in chi la base la manovra».43

4. IL DOCUMENTO DELLA COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE


La recezione della teologia del Popolo di Dio, oggetto di strumentalizzazioni indebite
e di pesanti compromissioni ideologiche, ha richiesto una lettura più attenta della
questione da parte dello stesso magistero. Intorno alla metà degli anni ’80 si sentì
l’esigenza di una riflessione sistematica su “Popolo di Dio”, all’interno di una generale
ricomprensione dell’ecclesiologia della Lumen Gentium. Si intendeva trattare
ampiamente la dottrina conciliare alla luce del suo successivo dibattito. L’esigenza di un
documento organico avrebbe supplito il lavoro di retroguardia svolto dai precedenti
interventi del magistero di replica, di chiarimento dei dubbi, di condanna degli errori.
I «Themata selecta de ecclesiologia»44, pubblicati dalla Commissione Teologica
Internazionale hanno l’intento di «rileggere e ripensare il testo fondamentale del
Concilio -la costituzione sulla Chiesa- dall’angolo visuale dell’ampio tempo
trascorso»45. In modo particolare si presta particolare attenzione alla categoria teologica
di “Popolo di Dio”, tema tra quelli che «nel dibattito postconciliare hanno provocato
nuove questioni e richiedono chiarimenti o anche complementi e approfondimenti».46
La Commissione non nasconde le difficoltà e le esasperazioni che si sono venute a
creare, in particolare, attorno a “Popolo di Dio”. Infatti si afferma che

42
D. VITALI, «Che fine ha fatto il Popolo di Dio?», in Presbyteri 43(2009) 5, pp. 348-349.
43
Idem, p. 349.
44
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1668-1765.
45
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1668.
46
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1669.

48
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

il concetto di Popolo di Dio dal Concilio fatto risaltare così nuovamente, ma fermamente
inserito nell’intera immagine della Chiesa del nuovo Testamento e dei Padri è diventato nel
frattempo una di quelle parole ad effetto, che vanno in giro con un contenuto sovente molto
esagerato: un concetto, quindi, che aveva bisogno di essere chiarito.47

Il documento riconosce l’importanza che il Concilio ha attribuito a “Popolo di Dio”,


«per il fatto che esso dà il titolo al capitolo II della stessa costituzione. Anzi,
l’espressione ha finito per designare l’ecclesiologia conciliare».48 L’affermazione della
Commissione sancisce una valutazione estremamente lusinghiera riconoscendo che tale
concetto teologico «si è preferito […] alle altre espressioni, cui il Concilio ricorre per
esprimere il medesimo mistero, quali “corpo di Cristo” e “tempio dello Spirito
santo”».49 L’adozione di Popolo di Dio diviene così l’immagine migliore che, pur nella
radicale inadeguatezza del linguaggio umano, suggerisce la trascendenza del “mistero”
della Chiesa, rispetto ad ogni riduzione concettuale o simbolica. Emerge come risultato
che il Concilio non ha proposto una definizione di Chiesa, ma, in linea con il NT, ha
offerto un ventaglio di immagini che rimandando al mistero come categoria che
abbraccia ed esprime “la presenza nella Chiesa di una realtà divina e trascendente e
l’espressione storica che la manifesta.50 La scelta di questa categoria, motivata da
ragioni sia teologiche sia pastorali, ha il vantaggio

di meglio significare la realtà sacramentale comune, condivisa da tutti i battezzati, sia come
dignità nella Chiesa, sia come responsabilità nel mondo; inoltre, con la stessa formula si
evidenziavano insieme la natura comunitaria e la dimensione storica della Chiesa, secondo il
disegno di molti padri conciliari.51

Il documento enumera così i vantaggi della scelta del concetto di popolo: essi
consistono nell’identica dignità di base, nella natura comunitaria e dimensione storica
della Chiesa. Il forte significato biblico del termine, rafforzato dal genitivo “di Dio”
esclude l’interpretazione in senso meramente razziale, culturale, politico o ideologico
del termine popolo, e ponendo chiarezza alla precedente stagione postconciliare.

47
Ibidem.
48
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1683.
49
Ibidem.
50
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1681.
51
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1684.

49
CAPITOLO SECONDO – Il postconcilio (1965-1985)

Alla chiarificazione della scelta e della validità biblica dell’espressione, la


Commissione delinea l’essenziale relazione che sussiste tra “Popolo di Dio” e il
carattere di mistero e di soggetto storico, che in ogni circostanza la Chiesa attua.

Il carattere di “mistero” designa la Chiesa in quanto procede dalla Trinità, mentre quello di
“soggetto storico” le si addice in quanto essa agisce nella storia e contribuisce ad orientarla.
È il carattere di mistero che determina per la Chiesa il suo carattere di soggetto storico. Ma
correlativamente, è il soggetto storico che da parte sua esprime la natura del “mistero”.52

La trattazione di Popolo di Dio nel documento della Commissione Teologica


Internazionale giunge ad un giudizio assai importante. L’esplicitazione delle
caratteristiche e delle proprietà della categoria teologica pongono le basi per
un’adozione effettiva e universale dell’ecclesiologia conciliare. La mancata recezione
del documento, fu causata dal perdurare della polemica e dalla contrapposizione tra due
ecclesiologie irriducibili: la gerarchia è stata vista come freno al rinnovamento della
Chiesa, forza di conservazione, oppressiva dell’istanza di libertà del Popolo di Dio53.
In conclusione questo primo periodo è stato segnato dal laborioso processo di
recezione, che ha rischiato di compromettere il valore di tale proposta ecclesiologica. Il
Popolo di Dio è divenuto in questo tempo il vessillo di uno scontro ideologico più
generale tra una Chiesa democratica contro la Chiesa gerarchica. La contrapposizione
così radicale sul tema ha prodotto un movimento uguale e contrario, producendo una
vera e propria disaffezione al Concilio, tradottasi in disaffezione nei suoi confronti,
esplicite richieste di restaurazione ad uno status quo ante: nello specifico il rifiuto della
categoria di Popolo di Dio, troppo carico di valenza ideologica e di parte, a favore di un
altro concetto teologico, l’immagine della Chiesa “communio”. Questo cambio di
paradigma avvenne in un momento preciso, nel corso del Sinodo straordinario dei
vescovi del 1985.

52
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1688.
53
Se poi non si trattasse di Popolo ma di un élite di teologi che si arrogavano un magistero alternativo,
facendosi interpreti del sensus fidelium, identificato con l’opinione pubblica poco importa: l’importante
era affermare l’alternativa, rivendicando una libertà di parola nella Chiesa che si traduceva in aperto
dissenso.

50
CAPITOLO TERZO

Popolo di Dio dal Sinodo del 1985 al pontificato di papa


Francesco

1. IL SINODO STRAORDINARIO DEL 1985

1.1 Origini e finalità del Sinodo

Lo spartiacque del periodo postconciliare può essere indicato nel Sinodo


straordinario dei vescovi, convocato da Giovanni Paolo II, a vent’anni dalla chiusura del
Concilio e celebrato dal 24 novembre all’8 dicembre 1985. Questo incontro ecclesiale
suscitò attese e speranze, per le tematiche che vi furono trattate, ed è rilevante per i
risultati conseguiti, ma molto di più per i segnali della mutata situazione in ambito sia
ecclesiale che teologico. La consapevolezza delle difficoltà del post-concilio era nota ai
padri sinodali: la continua polemica non solo aveva portato ad una disaffezione verso il
Concilio, ma tracciava sempre più nettamente, lo stagliarsi di due schieramenti.1
La contrapposizione aveva forti ripercussioni sul clima ecclesiale: Kasper afferma
che «ovunque il disgusto diffuso nella Chiesa trovava sfogo in sentimenti antiromani.
Molti credevano che il Sinodo sarebbe stato lo strumento della definitiva restaurazione e
s’attendevano aspri conflitti».2
In questo contesto la finalità principale del Sinodo «non era quello di festeggiare
solennemente il ventesimo anniversario della conclusione del Vaticano II, ma piuttosto

1
Il primo era identificabile con il fronte dei progressisti, difensori del Concilio, spesso però usandolo
come scudo, se non come pretesto per far passare la loro idea di Chiesa. Il secondo fronte, in
rafforzamento, era rappresentato dai tradizionalisti, accusatori del Vaticano II e non della sua cattiva
recezione per ogni male nella Chiesa, gettata in una situazione drammatica per essersi aperta alla
modernità, spezzando il filo ininterrotto della Tradizione.
2
W. KASPER, Il futuro dalla forza del Concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985, Queriniana,
Brescia 1986, p.49.

51
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

fare un bilancio complessivo dell’ultimo ventennio».3 Ne seguì che «tale sinodo smorzò
l’entusiasmo postconciliare e respinse nello stesso tempo predizioni funeree e stati
d’animo catastrofici».4 Il Sinodo, infatti, non nasconde che nell’accettazione del
Concilio non siano mancate luci e ombre, ma «in nessun modo tuttavia si può affermare
che tutto quanto è avvenuto dopo il concilio è stato causato dal concilio».5
In modo particolare il Sinodo individua tra le cause interne della mancata recezione

una lettura parziale e selettiva del concilio come anche un’interpretazione superficiale della
sua dottrina, in un senso o nell’altro. Da una parte ci sono state delusioni perché siamo stati
troppo esitanti nell’applicazione della vera dottrina del concilio. Dall’altra, a causa di una
lettura parziale del concilio, è stata fatta una presentazione unilaterale della Chiesa come
struttura puramente istituzionale, privata del suo mistero. Probabilmente non siamo immuni
da ogni responsabilità del fatto che, soprattutto i giovani, considerino criticamente la
Chiesa.6

Al fine di una più profonda accettazione del Concilio il primo obiettivo era la
possibilità di individuare una categoria unificante dell’ecclesiologia conciliare. Il
secondo era la volontà, espressa dalla suprema autorità della Chiesa, di risolvere le
questioni più intricate dell’ermeneutica conciliare. Se precedentemente era stata la CTI
ad esprimere un parere autorevole, toccava ora al Sinodo prender posizione, con
documenti dal valore vincolante per tutta la Chiesa.
Sul piano ecclesiologico la direzione intrapresa è complementare a quella della
Lumen Gentium. La costituzione conciliare aveva descritto la Chiesa nella sua identità:
tale scelta aveva permesso di superare i rigidi schemi della manualistica, limitati al solo
aspetto visibile e istituzione di societas. L’esito era stata una visione di ampio respiro,
che tuttavia a molti sembrava mancare di uno schema unificante. Questo era la causa
delle estenuanti diatribe nell’immediato postconcilio su quale fosse l’ecclesiologia del
Vaticano II. Il Sinodo coglie dunque la necessità urgente di dare all’ecclesiologia
conciliare un principio ermeneutico che permetta una convergenza nel campo
dell’ecclesiologia.
3
W. KASPER, Il futuro dalla forza del Concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985, Queriniana,
Brescia 1986, p. 5.
4
W. KASPER, Chiesa cattolica. Essenza-Realtà-Missione, Queriniana, Brescia 2012, p. 29.
5
SINODO DEI VESCOVI, Relatio finalis «Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute
mundi», 7 dicembre 1985, in EnchVat 9/1781.
6
Relatio finalis, in EnchVat 9/1784.

52
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

1.2 La Relatio finalis: il modello della Chiesa comunione

Fin dall’apertura dei lavori sinodali7 la ricerca di un principio ermeneutico porta alla
consapevolezza che «la comprensione della Chiesa non dipende più dallo scavo di una
categoria e dalle sue implicazioni, ma dalla convergenza delle diverse prospettive
presenti nelle quattro costituzioni conciliari, articolate con sequenza logica».8 Partendo
da queste premesse e analizzando gli scritti del Vaticano II il Sinodo stabilisce che

l’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale dei documenti del concilio. La


koinonia/comunione, fondata sulla Sacra Scrittura, è tenuta in grande onore nella Chiesa
antica e nelle Chiese orientali fino ai nostri giorni. Perciò molto è stato fatto dal Concilio
Vaticano II perché la chiesa come comunione fosse più chiaramente intesa e concretamente
tradotta nella vita.9

Il Sinodo introduce un nuovo paradigma ecclesiologico, “communio”: il termine


significa la comunione con Dio attraverso Gesù Cristo nello Spirito Santo, che avviene
nella Parola di Dio e nei sacramenti, innanzitutto nell’Eucarestia. Da essa si edifica la
comunione dei fedeli nel corpo di Cristo, la Chiesa. In seguito il Sinodo evidenzia che
l’ecclesiologia di comunione «non può essere ridotta a pure questioni organizzative o a
problemi che riguardino semplicemente i poteri. L’ecclesiologia di comunione è anche
fondamento per l’ordine nella Chiesa e soprattutto per una corretta relazione tra l’unità e
pluriformità della Chiesa»10, per la collegialità11 e per le diverse forme di partecipazione
e di corresponsabilità di tutti i fedeli12. La nuova rilettura permette di riconoscere la
Chiesa «più chiaramente come una comunione. Ieri si considerava soltanto il papa, oggi
si è in presenza del vescovo unito al papa. Ieri si considerava il vescovo solo: oggi i
vescovi insieme. Ieri la teologia affermava il valore della gerarchia; oggi si scopre il
Popolo di Dio. Ieri si metteva davanti ciò che separa; oggi ciò che unisce». 13

7
G.M. GARRONE, «Nulla di nuovo, ma tutto nuovo: questo è il segno della fede», in L’Osservatore
Romano, 28 novembre 1985, p.7.
8
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 174.
9
Relatio finalis in EnchVat 9/1800.
10
Ibidem.
11
Cf. Relatio finalis in EnchVat 9/1803-1804.
12
Cf. Relatio finalis in EnchVat 9/1806-1807.
13
Citazione di mons. Elchinger in G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica,
Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 110.

53
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

Il termine communio, a differenza del concetto chiave conciliare Popolo di Dio,


«ancora immune da divergenze interpretative, sembrava il più adatto a collegare gli
indirizzi»14 che ne avevano segnato la fortuna15 al Sinodo. Questo passaggio è
avvenuto, non senza qualche resistenza: alcuni teologi hanno dato una lettura critica sia
della scelta di un nuovo principio euristico, che delle stesse finalità con cui il Sinodo è
giunto ad individuarlo ed adottarlo.

2. LETTURA CRITICA DEL SINODO


Il cambiamento di paradigma ecclesiologico portò una chiarificazione generale, in un
dibattito teologico ancora segnato dalle polemiche. Alcune critiche sono state mosse a
segnalare l’inconsueta presa di posizione del Sinodo, che pone a giudizio su questioni
dibattute in sede conciliare. G. Frosini, con un’argomentazione molto critica a volte
aspra, contesta il cambiamento del paradigma dalla triade “Mistero-Popolo di Dio-
Missione” a “Mistero-Comunione-Missione”, già dall’affermazione iniziale:

unanimemente e con gioia abbiamo verificato anche che il concilio è una legittima e valida
espressione e interpretazione del deposito della fede, come si trova nella sacra scrittura e
nella viva tradizione della Chiesa. Per questo motivo abbiamo determinato di progredire
ulteriormente nella via indicataci dal concilio.16

Per l’autore dietro queste parole «meravigliano alquanto e mal si addicono ad un


organismo inferiore nei riguardi della massima espressione del magistero solenne della
Chiesa, come è appunto, un concilio ecumenico».17 Emerge per Frosini un «mal

14
H. POTTMEYER, «Dal Sinodo 1985 al grande Giubileo dell’anno 2000», in R. FISICHELLA, Il
concilio Vaticano II. Recezione ed attualità alla luce del Giubileo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 2000, p. 18.
15
La fortuna teologica di questo concetto era stata la convergenza dei gruppi di opinione presenti ai
lavori sinodali. Un gruppo, costituito dai vescovi del centro Europa, allarmati dalle istanze di adattamento
della Chiesa alla società democratica attendevano una riflessione sulla Chiesa a partire dalla categoria di
mysterium. Un gruppo, formato da vescovi anglosassoni chiedevano un ulteriore sviluppo delle strutture
collegiali e sinodali in nome della collegialità nella Chiesa. Il terzo gruppo, l’episcopato dal Terzo
mondo, pur influenzati dalla teologia della liberazione, chiedevano una solida affermazione dell’unità del
corpo ecclesiale a favore della missione. Queste istanze trovarono il loro punto di sintesi nell’assunzione
della categoria di communio, che le riassumeva e le sottintendeva.
16
SINODO DEI VESCOVI, Relatio finalis «Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute
mundi», 7 dicembre 1985, in EnchVat 9/1780.
17
G. FROSINI, La Chiesa siete voi. Per una teologia conciliare del Popolo di Dio, Editrice Esperienze,
Fossano (CN) 2009, p. 18.

54
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

nascosto atteggiamento di indipendenza per non dire di superiorità che permise di


glissare l’immagine di Popolo in favore di un’altra categoria, quella di comunione».18
Al di là della forma aspra con cui si esprime, l’autore segnala l’effettiva discontinuità
del Sinodo col dato ermeneutico conciliare. La preoccupazione verte non tanto
sull’adozione o meno di un modello, quanto la necessità di tenere le due proprietà,
Popolo e communio, per l’autore difficilmente compatibili, gelosamente congiunte
insieme. L’epoca post sinodale per Frosini ha consacrato unilateralmente la categoria di
communio e ha operato un «livellamento nella trattazione delle immagini della
Chiesa»19, specialmente di “Popolo di Dio”.

2.1 L’oscuramento del “Popolo di Dio”

L’adozione della categoria di communio sanciva formalmente che il cuore della crisi
postconciliare era stato individuato nel modo di intender la Chiesa.
Il cambio della linea interpretativa è palese nella Relatio finalis, con il contributo di
W. Kasper20. Il prezzo del cambio di paradigma ha significato l’eclissi del concetto di
Popolo di Dio: la categoria è “degradata” a semplice immagine della Chiesa21, a favore
di un ripensamento del corpo ecclesiale nella categoria della communio con Dio e anche
di comunione con gli uomini fra loro.22 Si censurava in tal modo ogni lettura ideologica,
ogni assolutizzazione di “Popolo”, avvenuta fino a quel momento. Il concetto teologico,
allontanato dalla relazione essenziale della Chiesa mistero, isolato dal contesto storico-
salvifico della Scrittura, spiegato a partire dal senso naturale o politico, aveva
alimentato, fino ad allora, una polemica divisiva del tessuto e dell’unità ecclesiale. In un
clima ecclesiologico in cui è forte la concorrenza di modelli interpretativi meno
compromessi da polemiche sull’istituzione della Chiesa

18
Ibidem.
19
G. ROUTHIER, «Introduzione alla costituzione dogmatica Lumen Gentium», in S. NOCETI, R.
REPOLE, Commentario ai documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna,
Bologna 2015, p. 70.
20
W. KASPER, Il futuro dalla forza del Concilio. Sinodo straordinario dei vescovi 1985. Testi e
commento, Queriniana, Brescia 1986.
21
Nella Relatio finalis il riferimento a “Popolo di Dio” compare solo nell’elenco delle immagini della
Chiesa in EnchVat 9/1790.
22
SINODO DEI VESCOVI, Relatio finalis «Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute
mundi», 7 dicembre 1985, in EnchVat 9/1789.

55
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

l’idea di Popolo di Dio tende a soccombere, come sommersa, sotto la tematica più immediata
della communio; e in questo contesto sembra persino subire l’emarginazione da parte della
tematica, in qualche modo concorrenziale della Chiesa-Sacramento. Almeno ad una prima
rilevazione si può infatti affermare che il tema della communio e il tema della Chiesa
“Sacramento” più che non il tema del Popolo di Dio hanno attratto l’interesse del Post-
concilio.23

La teologia del Popolo di Dio, che aveva «segnato l’incontrastata ecclesiologia post-
conciliare del primo decennio»24, è rimossa, ed è «difficile sottrarsi all’impressione che
la nozione di Popolo di Dio abbia subito un processo di disaffezione, che l’ha sacrificata
ad altre nozioni ecclesiologiche»25. Essa è esclusa, nell’intenzione del Sinodo, dal
dibattito ecclesiologico senza aver prodotto opere significative che riformulassero il
discorso ecclesiologico a partire da questa categoria. Tale scelta intende delegittimare
da una parte l’opposizione strumentale alla Chiesa gerarchica e i rischi di una lettura in
chiave sociologica, estranea alla volontà dei Padri conciliari; dall’altra le proposte di
“Chiesa popolare” della teologia della liberazione.
Quanto stabilito al Sinodo provocò perplessità in sede di lettura teologica. Numerosi,
quanto autorevoli, studiosi biasimarono che determinati malintesi e abusi giustificassero
la collocazione a riposo o persino «la sostituzione di Popolo di Dio con un altro
concetto»26: è tuttavia da riconoscere che la categoria, facile preda del degrado
sociologico, esigeva una tutela e un emendamento. Invece di una correzione si è
provveduto in modo radicale con la cancellazione, contro la quale ha preso posizione
anche G. Colombo, per il quale «sarebbe stato preferibile mantenere la nozione
originaria del Concilio, con la sua pregnanza storica, denunciandone e rifiutandone tutte
le interpretazioni scorrette e quindi precisandola nel suo significato autentico».27

23
Ibidem, p. 107.
24
G. COLOMBO, «Vaticano II e postconcilio: uno sguardo retrospettivo», in Scuola Cattolica 133
(2005), p. 4.
25
G. COLOMBO, «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 107.
26
H. POTTMEYER, «Dal Sinodo 1985 al grande Giubileo dell’anno 2000», in R. FISICHELLA, Il
concilio Vaticano II. Recezione ed attualità alla luce del Giubileo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 2000, p. 21.
27
G. COLOMBO, «Vaticano II e postconcilio: uno sguardo retrospettivo», in La Scuola Cattolica 133
(2005), p. 9.

56
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

La presa di distanza dai contenuti polemici con cui era stato declinato il Popolo di
Dio aveva comportato «maggior facilità ad istruire un discorso, attraverso categorie di
pensiero ormai consolidate, senza rimettere in questioni o ruoli intatti da secoli».28 La
decisione non fu asettica e priva di conseguenze: si poneva il problema se la speranza di
chiudere con certe interpretazioni ecclesiologiche valesse l’abbandono di
un’espressione (Popolo di Dio), scelta dai padri conciliari, che «aveva il vantaggio di
meglio significare la realtà sacramentale comune, condivisa da tutti i battezzati, sia
come dignità nella Chiesa, sia come responsabilità nel mondo».29
La lettura della Relatio finalis pone la difficoltà, per J. Komonchak, di pensare che il
Popolo di Dio sia stato il titolo di un capitolo intero della LG, che aveva costituito uno
dei temi architettonici dell’ecclesiologia del Concilio, che «era stato introdotto proprio
come un elemento strutturante dell’autentico mistero della Chiesa nel passare del tempo
che separa l’ascensione dalla parusia».30
Al Sinodo viene imputato da questi autori di cancellare silenziosamente e
impietosamente Popolo di Dio, non riconoscendo a sufficienza che fu il postconcilio, e
non il Concilio a valorizzare la scelta di comunione spingendola fino a mettere in ombra
il concetto originario di Popolo di Dio. Il Vaticano II fu fermo nell’adozione di Popolo
di Dio, ma il concetto di comunione, posto indebitamente in alternativa, annullò la
sofferta scelta conciliare. Il passaggio tra i due tipi di ecclesiologia si può tuttavia
certamente accettare, a condizione che un modello teologico non escluda l’altro.
Occorre analizzare i pregi ed i limiti della categoria di communio e porla in dialogo con
la categoria di “Popolo”.

2.2 Limiti dell’ecclesiologia di “Communio”

L’introduzione della teologia della communio costituisce il tentativo di dare un


principio ermeneutico fondativo dell’ecclesiologia conciliare, che permetta una
convergenza nella lettura ecclesiologica della Chiesa: l’insistenza su questa categoria è

28
D. VITALI, Popolo di Dio, Cittadella Editrice, Assisi 2013, p. 181.
29
Themata selecta de ecclesiologia, in EnchVat 9/1684.
30
J. KOMONCHAK, «L’ecclesiologia di comunione» in G. ALBERIGO, Storia del Vaticano II, vol. IV,
Peeters-Il Mulino, Bologna 1995, p. 32.

57
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

la conseguenza di un mancato consenso, negli anni precedenti, su quale fosse l’idea


conciliare di Chiesa. L’ampiezza polivalente del concetto guida di communio, che
divenne espressione della comune e positiva valorizzazione del Vaticano II attraverso i
padri sinodali è innegabile: tuttavia quella stessa ricchezza espressiva e l’essere investita
di numerosi, e in parte contrastanti, oneri hanno finito per esporre l’ecclesiologia
comunionale a critiche non dissimili a quelle imputate a “Popolo di Dio”.
La communio nei suoi due sviluppi ecclesiali ed ecclesiologici di comunione dal
basso (es. le comunità di base del Sudamerica) e di comunione istituzionale, dall’alto
(sulla linea della Mysticis corporis) non costituisce fondamentalmente la novità
conciliare: è piuttosto un arricchimento notevole, ma pur sempre un arricchimento,
dell’ecclesiologia del corpo mistico. Ciò non intende sminuirne il valore: la comunione
«è essenziale per la Chiesa, purché non venga scambiata per un’operazione ad intra, ma
che venga intesa come un momento di missione, che comprende inscindibilmente
dialogo e annuncio».31 La communio non può dunque limitarsi a proprietà in funzione
della collegialità tra il papa e i vescovi, e in senso lato, tra i membri del Popolo di Dio.
Come ogni categoria inclusiva, anche quella di communio è esposta al rischio di
letture parziali e unilaterali: la debolezza della proposta non dipende tanto dal principio
in sé, bensì, dalla sua interpretazione, se non equivoca, almeno plurale, a seconda della
prospettiva ecclesiologica di partenza. Pur trattandosi di una costruzione teologica
posteriore e relativamente tardiva al Concilio, la Chiesa comunione non è senza
fondamento nei testi conciliari stessi. La nozione di Popolo di Dio è stata il quadro nel
quale si è sviluppata l’ecclesiologia di comunione. Occorre evitare dunque di isolare
l’ecclesiologia di comunione dal suo luogo di sviluppo, cancellando l’acquisizione
conciliare sul Popolo di Dio. La Chiesa, considerata nella sua totalità, la communio, è il
Popolo di Dio radunato, luogo della diversità, dell’espressione dei carismi e dell’azione
dello Spirito. Recepire come principale acquisizione del concilio la comprensione della
Chiesa come comunione rischia di mantenere una prospettiva «ancora attratta
nell’orbita preconciliare e in un’ottica astratta, in quanto privilegia una definizione di

31
E. CASTELLUCCI, «La catechesi dal Popolo di Dio», in Il Regno- Supplementi 8 (2014), p. 295.

58
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

Chiesa e della sua identità, piuttosto che il suo farsi effettivo»32; ovvero di
«sopravvalutarla teologizzandola -nella sua identificazione immediata di comunione- ad
un livello ulteriore alla sua effettualità storico-determinata».33
Il concetto di communio non si sottrae a diverse ambiguità: Routhier ne parla come
«aspetto invisibile della Chiesa con il pericolo connesso di una spiritualizzazione della
stessa, non ha una storia, non può spiegare i conflitti, finisce facilmente con identificarsi
con l’obbedienza ai superiori, in ultima analisi al papa». 34 D’opinione non molto diversa
è lo stesso G. Colombo

La differenza non è solo una questione di nomi perché la prospettiva storica legata alla
qualifica di popolo di Dio si spegne nella qualifica di comunione. È infatti evidente che
mentre la Chiesa popolo di Dio si dichiara aperta in costante attenzione alla storia, la Chiesa
comunione sembra raccogliersi in se stessa nei suoi problemi di assestamento interno.35

In Frosini la nozione di comunione porta con sé limiti evidenti, non diversamente


dalla categoria teologica di Popolo che intendeva sostituire, perché si riferisce
all’aspetto «invisibile e divino della Chiesa, dimenticando la sua natura umana e
favorendo una sua concezione disincarnata e distante dal mondo».36 In merito occorre
riferirsi alle precisazioni che la Congregazione per la dottrina della fede ha apportato nel
1992 su Alcuni aspetti della chiesa intesa come comunione.37 Pur riproponendo la piena
adeguatezza del concetto di comunione per esprimere, nell’ottica del Vaticano II il
nucleo profondo del mistero della chiesa, si mette in evidenza che

alcune visioni ecclesiologiche palesano un’insufficiente comprensione della chiesa in quanto


mistero di comunione, specialmente per la mancanza di un’adeguata integrazione del
concetto di comunione con quelli di “popolo di Dio” e di corpo di Cristo, e anche per un

32
Cf. G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 107.
33
Idem, p. 135.
34
G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007, p.
111.
35
G. COLOMBO, «Vaticano II e postconcilio: uno sguardo retrospettivo», in La Scuola Cattolica 133
(2005), p. 8.
36
G. FROSINI, La Chiesa siete voi. Per una teologia conciliare del popolo di Dio, Editrice Esperienze,
Fossano (CN) 2009, p. 30.
37
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, lett. Communionis notio ad Catholicae Ecclesiae
Episcopos de aliquibus aspectibus Ecclesiae prout est communio, 28 maggio 1992, in Ench.Vat 13/1774-
1807.

59
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

insufficiente rilievo accordato al rapporto tra la chiesa come comunione e la chiesa come
sacramento.38

In J. Comblin l’ecclesiologia insistente sulla comunione infatti «non risolve alcuni


problemi collegati nella concretezza storia dell’agire salvifico di Dio e di conseguenza,
nell’agire del suo popolo»39, «non ha una storia, che pure appartiene alla Chiesa, perché
non può spiegare diversità e conflitti che essa si porta da sempre dietro; soprattutto
sembra di capire perché è in se stessa ambigua e genera sospetti e diffidenze nella
base».40 L’indole storica della Chiesa è stata profondamente messa in risalto dalla
costituzione conciliare: essa ha impresso una svolta alla riflessione ecclesiologica
preconciliare. G. Colombo critica non tanto il tema della communio in sé, ma

la fondamentale incoerenza, e impertinenza o almeno l’inadeguatezza dell’interpretazione


della Lumen Gentium in termini di ecclesiologia di comunione. Polarizzata sul superamento
dell’ecclesiologia societaria essa blocca la costituzione sulla problematica preconciliare
invece di seguirla nella sua svolta e quindi di coglierla nella sua novità.41

Per l’autore la riflessione ecclesiologica postconciliare sul carattere storico della


Chiesa, è partita pregiudicata non tanto per il fraintendimento del concetto di “Popolo di
Dio”, chiaramente proposto nella categoria fondamentale della Lumen Gentium; quanto
perché la riflessione non ha «potuto raccogliere tutta l’attenzione dovuta, perché [la
riflessione teologica]e si è trattenuta indebitamente sulla nozione di comunione».42
Per una vera comunione è necessario superare la dimensione verticale, quella
dall’alto verso il basso, per arrivare alla dimensione orizzontale. Infatti un’autentica
comunione orizzontale «non nasce dall’alto verso il basso, ma nasce tra uguali,
attraverso relazioni di reciprocità». 43 Questo non impedisce l’istituzione, ma questa in
funzione dell’accordo tra persone. «Se non esiste tale accordo, qualsiasi impostazione

38
Communionis notio, n.1, in Ench.Vat 13/1774.
39
G. MAZZILLO, «“Popolo di Dio”: categoria teologica o metafora?», in Rassegna di Teologia 36
(1995), p. 573.
40
J. COMBLIN, O povo de Deus, Edizioni S. Paolo, S. Paolo del Brasile 2002, p. 132. Nella stessa
opera l’autore perviene a conclusioni decisamente molto critiche: l’adozione di communio rientra nella
«tendenza della gerarchia di spiritualizzare la chiesa, di mettere a tacere la sua realtà umana, oppure di
esaltarla in una realtà di comunione, di pace, di verità di felicità il che è equivalente» (Ibidem, p. 132).
41
G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 110.
42
Ibidem.
43
J. COMBLIN, O povo de Deus, Edizioni S. Paolo, S. Paolo del Brasile 2002, p. 129.

60
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

rimane superficiale e non crea una comunione veramente umana». 44 Il rischio secondo
Comblin è intendere la comunione come unione attraverso la subordinazione al clero:
da tale assioma la partecipazione alla comunione è ordinata alla funzione di
sottomissione al clero, esautorando il contributo del Popolo di Dio che ha diritto di farne
parte o perlomeno di esserne tenuto presente nella composizione della sinesi finale.
In conclusione l’adozione della categoria di communio richiede una formulazione
teologica a partire dalla dottrina conciliare, in particolare da Lumen Gentium:
l’esplicitazione del legame con il Popolo di Dio costituirebbe una possibilità per
appianare i conflitti interpretativi, permettendo al contempo alla nozione di communio
di palesare, nel dettato delle Costituzione dogmatica, il riferimento vincolante che ne
precisi le caratteristiche e i limiti; e al Popolo di Dio di coniugare l’indole storica della
Chiesa con la descrizione delle sue costitutive dinamiche interne.

2.3 Popolo di Dio e Communio: retta ermeneutica del Concilio

Il Sinodo del 1985 ha segnato l’eclissi della categoria “Popolo di Dio”, e nel
contempo, l’affermazione del tema della comunione. I diversi aspetti non vanno isolati,
ma uniti insieme in una convergenza complementare.
Il concetto di communio non dovrebbe sopprimere il concetto di Popolo di Dio, vista
la sua funzione storica e sociale: quest’ultimo non consente discriminazioni di sorta,
indica la comunione anche di beni materiali, è partecipazione, è aperto a tutte le povertà
e a tutti i popoli della terra. Communio di contro, se confrontato con Popolo di Dio non
sembra del tutto soddisfacente, sebbene suggerisca la socialità propria nella Chiesa di
Dio, non ne sottolinea né la realtà liturgica, tanto marcata per esempio nel messale
romano (populum tuum Domine) né l’aspetto storico, le vicissitudini, l’inculturazione,
tutti dati così presenti nel testo della Lumen Gentium, al capitolo II. Si potrebbe dire che
lasciato a sé solo, il termine communio presenta un aspetto un po’ troppo spirituale per
non destare qualche sospetto.45 Per contro, il concetto di communio è meno polemico e

44
J. COMBLIN, O povo de Deus, Edizioni S. Paolo, S. Paolo del Brasile 2002, p. 129.
45
Communio «può evocare le ecclesiologie antiistituzionali di un tempo, fondate sulla sola santità
della Bibbia; può soprattutto nutrire il timore che, dopo aver dichiarato che la chiesa è comunione, si
diventi tanto più liberi di sviluppare una struttura giuridica molto costrittiva e tanto più pesante in quanto

61
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

pericoloso di Popolo di Dio: nonostante il suo eventuale abuso nell’interesse del


centralismo e dell’integrismo non dovrebbe essere sostituito con Popolo di Dio.

Il tema della comunione non esclude il Popolo di Dio né deve prendergli il posto. Il concetto
di comunione è più ristretto di popolo. Il popolo è una forma di comunione, ma include più
elementi del concetto di comunione. Comunione porta su di sé limiti evidenti, perché si
riferisce all’aspetto divino della chiesa dimenticando la sua natura umana e favorendone la
46
concezione disincarnata e distante dal mondo.

Popolo di Dio è fondamentale nel Concilio ma deve essere equilibrato con


communio: le due metafore sono collegate l’una all’altra e la communio/koinonia offre
complementi importanti per la struttura ecclesiale. La chiesa è anche una forma storica,
ma «non è un partito un’associazione, un club: la sua struttura profonda e ineliminabile
non è democratica ma sacramentale, dunque gerarchica». 47 La communio lega
essenzialmente la Chiesa al suo fondatore e Signore e in conseguenza e nella stessa
maniera tutti i suoi membri componenti tra loro. La Chiesa è la comunione del Popolo
di Dio nella storia: una sintesi teologica tra i modelli «è la risposta adeguata o l’uscita
da quegli sviluppi erronei che a torto si richiamano al pensiero di Popolo di Dio oppure
di communio».48 Ciò permette il superamento della dicotomia tra il primo e il secondo
capitolo della LG: l’integrazione mantiene la fedeltà all’ecclesiologia conciliare ed evita
di cadere in teologie spiritualiste, intimiste e inclini all’individualismo.

2.4 Ripartire dal Popolo di Dio secondo J. Comblin

Josè Comblin con il suo lavoro teologico rappresenta una delle espressioni più
penetranti e attente della teologia della liberazione latinoamericana. Nel saggio “Il
Popolo di Dio”, ripropone centro dell’ecclesiologia cattolica la categoria Popolo di Dio,
fondamentale nel Concilio Vaticano II e poi progressivamente abbandonata.

la sua teoria è stata verificata nel quadro dell’idea di comunione.» in G. LAFONT, Immaginare la Chiesa
cattolica. Linee e approfondimenti per un nuovo dire e un nuovo fare della comunità cristiana, San
Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998, p. 96.
46
J. COMBLIN, O povo de Deus, Edizioni S, Paolo, S. Paolo del Brasile 2002, p. 123.
47
V. MESSORI, Rapporto sulla fede. Vittorio Messori a colloquio con il cardinale Joseph Ratzinger,
Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1985, p. 49.
48
H. POTTMEYER, «Dal Sinodo 1985 al grande Giubileo dell’anno 2000», in R. FISICHELLA, Il
concilio Vaticano II. Recezione ed attualità alla luce del Giubileo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 2000, p. 24.

62
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

Per Comblin il Concilio Vaticano II, tornando alle fonti, operò una svolta epocale
quando dedicò uno specifico capitolo della Lumen Gentium, il II, al Popolo di Dio.
L’autore conduce un’analisi lusinghiera del tema: esso rimanda alla missione umana,
materiale e storica della Chiesa in cui vive e si realizza il mistero della comunione con il
Padre, il Figlio e lo Spirito. Popolo di Dio significa convivenza, interscambio e
comunicazione tra le persone libere che camminano insieme costantemente alla ricerca
del Regno di Dio dietro Gesù di Nazareth e diventano così un soggetto storico
impegnato nella trasformazione del mondo. Per l’autore questa ecclesiologia ha
raggiunto la sua realizzazione più piena solo in America latina, dove si è legata alla
realtà delle masse di poveri oppressi da una dominazione secolare e da sempre legata
all’ambito cristiano. Tale linea teologica, per l’autore, è sempre stata osteggiata dalla
Curia romana perché mette radicalmente in crisi il sistema-Chiesa attuale che essa
sostiene. Comblin, in maniera palesemente ideologica, colloca i documenti Istruzione su
alcuni aspetti riguardanti la teologia della liberazione (1984) e “Istruzione sulla libertà
cristiana e la liberazione” (1986) nella più vasta opera di restaurazione promossa dal
pontificato di Giovanni Paolo II nei confronti delle chiese latinoamericane. Il Sinodo
dell’85, per Comblin, v non costituisce che il prosieguo della demolizione della
categoria Popolo di Dio ponendo in sua vece, l’ambiguo concetto di comunione, per il
quale non nasconde una decisa ostilità.49
La sua sintesi ecclesiologica di J. Comblin rimarca positivamente la necessità di un
ritorno al Popolo di Dio: allo stesso tempo purtroppo i toni esasperati e politicizzati con
cui descrive la Chiesa inficiano severamente ogni spazio di dialogo e mina, suo
malgrado, l’istanza sudamericana di un recupero effettivo della categoria teologica.

3. IL RITORNO DELL’ECCLESIOLOGIA DEL POPOLO DI DIO


Con l’inizio del pontificato di Francesco ricompare l’utilizzo e un rinnovato interesse
per la teologia del Popolo di Dio che recupera la centralità data dal Vaticano II e che si è
offuscata a partire dal 1985 nei molti documenti del magistero. A pochi mesi dalla sua
49
Per l’autore la communio conduce alla spiritualizzazione della Chiesa e ad un’accentuata della
dimensione verticale gestita dalla gerarchia, con un’enfatizzazione del ministero petrino e una riduzione
della collegialità episcopale.

63
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

elezione a pontefice e vescovo di Roma, il papa ha proposto, nell’intervista50 rilasciata


al direttore de La Civiltà Cattolica, una personale riflessione ecclesiologica, del suo
“sentire con la Chiesa”, con il recupero della categoria teologica del Popolo di Dio.

L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. È la
definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen Gentium al numero 12.
L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha
salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza a un popolo […] Il popolo è
soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori”.51

Il Popolo di Dio per il papa è la realizzazione socio-storica del mistero della Chiesa e
il soggetto dell’evangelizzazione nella storia, in cammino nella storia, con gioie e
dolori, soggetto fatto di pastori e popolo insieme. Il Popolo di Dio “è un mistero che
affonda le sue radici nella Trinità, ma ha la sua concretezza storica in un popolo
pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria espressione
istituzionale” (EG 111).52 Ed è proprio in ragione di questi aspetti che la Costituzione
Lumen Gentium scelse di trattare de populo Dei, nel capitolo secondo, quasi seconda
tavola di un dittico dove il mysterium Ecclesiae era il primo.
Con Francesco avviene un duplice ritorno del Popolo di Dio53. Per C. Galli da una
parte, il popolo cristiano “irrompe in modo nuovo” sulla scena, come si osserva a Piazza
San Pietro e nei viaggi apostolici, dall’altra il pontificato, a partire dal popolo credente,
esprime una nuova coscienza ecclesiologica, recuperando anche il lessico della Lumen
Gentium nel Concilio Vaticano II. Il papa ha manifestato la sua preferenza per la
categoria di “Popolo”, come ha confermato nell’Evangelii gaudium (EG 115). La
ripresa di questo modello per descrivere la Chiesa non è una scelta legata ad eventi
contingenti: si tratta di una sistemazione serrata della materia, alla luce della
comprensione teologica fatta dal papa in Argentina.

50
A. SPADARO, «Intervista a papa Francesco», in La Civiltà Cattolica 164 (2013/III), q. 3918., pp.
449-477.
51
Idem, p. 459.
52
FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii Gaudium, Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 2013, p. 88.
53
C.M. GALLI, «Il ritorno del popolo di Dio. Ecclesiologia argentina e riforma della Chiesa», in Il
Regno- Attualità 5 (2015), pp. 294-300.

64
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

3.1 La teologia del popolo in papa Francesco

Il magistero del papa condivide diversi contributi maturati nella comunità teologica
argentina a partire dal Concilio. Francesco assume, arricchisce e universalizza la
teologia argentina del popolo di Dio. La “teologia del popolo” è un contributo originale,
che mostra «due significati simili di popolo, uno ecclesiale e l’altro civile, che si
assomigliano quanto sono diversi tra loro».54 Entrambi i significati sono presenti nella
definizione che Francesco da alla Chiesa come popolo di Dio in cammino: si tratta «di
un mistero che affonda le sue radici nella Trinità, ma ha la sua concretezza storica in un
popolo pellegrino ed evangelizzatore, che trascende sempre ogni pur necessaria
espressione istituzionale».55 L’ecclesiologia di Francesco è inserita nella riflessione
ecclesiologica argentina, che nella fedeltà al Concilio ha saputo affrontare la teologia
della liberazione.
La teologia del popolo integra infatti in se stessa, fin dal Documento di Puebla, la
categoria teologica di Popolo di Dio. La riflessione, lungo i decenni non ha trascurato di
trattare i conflitti sociali che l’America latina vive, anche se nella sua interpretazione di
popolo ha privilegiato l’unità oltre il conflitto. Questo ha comportato la scelta di non
assumere la lotta di classe come «principio ermeneutico determinante della
comprensione di società e di storia»56, ma di conferirle comunque un posto storico. Il
conflitto, anche di classe, è subordinato all’unità previa del popolo, il quale, ha per suo
luogo ermeneutico «la prassi sapienziale dei popoli latinoamericani».57 Per questo
aspetto la teologia del popolo può intendersi come “teologia della liberazione” 58, con
«la presa di distanza critica del metodo marxista di analisi sociale e dalle categorie di
comprensione e strategie di azione che gli corrispondono». 59 Occorre ricordare

54
Idem, p. 295.
55
FRANCESCO, esortazione apostolica Evangelii Gaudium, n. 111, Libreria editrice vaticana, Città del
Vaticano 2013, p. 88.
56
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, istr. Libertatis nuntius de quibusdam rationibus
“theologiae liberationis”, 6 agosto 1984, in EnchVat 9/954.
57
C.M. GALLI, «Il ritorno del popolo di Dio. Ecclesiologia argentina e riforma della Chiesa», in Il
Regno- Attualità 5 (2015), p. 297.
58
Cf. J. SCANNONE, «Papa Francesco e la teologia del popolo», in La civiltà cattolica 164 (2014/I), q.
3930, pp. 571-590.
59
J. SCANNONE, «Papa Francesco e la teologia del popolo», in La Civiltà Cattolica 164 (2014/I), q.
3930, p. 577.

65
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

comunque che è anzitutto un movimento, al suo interno notevolmente frastagliato,


perciò ogni rigida catalogazione rischia di imbrigliare prospettive tra loro diverse e di
non tener conto dello sviluppo che hanno conosciuto. In particolare l’ecclesiologia
argentina è debitrice all’opera dei teologi, tra cui L. Gera, all’interno del più vasto
gruppo di teologi che fanno capo alla Facoltà di teologia di Buenos Aires; e anche delle
pratiche pastorali delle comunità cristiane, che sono nel contempo terreno di coltura ed
effetto della riflessione teologica.
La teologia argentina del Popolo di Dio, è la convergenza tra il popolo e la pastorale
popolare, perché comprende un’ecclesiologia, una teologia della storia e una teologia
pastorale, «ha pensato al popolo come un soggetto storico collettivo e come un luogo
ermeneutico per leggere i segni dei tempi».60 Il pontificato di Francesco include la
novità di una conoscenza di questa teologia all’interno della rivalorizzazione della
teologia del Popolo di Dio: vademecum di questo nuovo corso è l’esortazione post
sinodale Evangelii gaudium, che in molti tratti ricorda la teologia del Popolo argentina.

3.2 Popolo di Dio nell’Evangelii Gaudium

Nell’esortazione il Popolo di Dio è presente in tutte le genti 61 e «si incarna nei popoli
della terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura»62. La Chiesa è mistero di
comunione del popolo di Dio nella storia. Ciò permette ai diversi popoli di sperimentare
la bellezza del volto pluriforme della Chiesa, e a quest’ultima di esprimere la sua
autentica cattolicità nei diversi popoli che sperimentano il dono di Dio secondo la
propria cultura. In questo modo «la Chiesa cresce per i diversi popoli nei quali si é
inculturato il Vangelo».63 Francesco riconosce per il Popolo di Dio la sua missione nel
mondo: deve annunciare il Vangelo64 perché tutti i cristiani sono discepoli missionari”.
Il popolo di Dio è, nell’Evangelii gaudium, peregrinante per la missione e nella

60
C.M. GALLI, «Il “ritorno” del Popolo di Dio missionario in Francesco» ne L’Osservatore Romano,
20 ottobre 2015, p. 6.
61
Cf. Lumen Gentium 13, in EnchVat 1/318.
62
Evangelii Gaudium n.115.
63
Evangelii Gaudium n.122.
64
Cf. Evangelii Gaudium nn.111-134.

66
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

«riforma della Chiesa in uscita missionaria»65, si innesta il progetto riformatore di


Francesco: la Chiesa si riforma per la conversione missionaria, Ecclesia semper
reformanda in statu conversionis perennis. Il popolo di Dio è un soggetto collettivo e un
luogo ermeneutico da cui leggere i segni dei tempi e discernerli. Questa dinamica dovrà
impregnare la forma storica della Chiesa. Ma egli non vuole «esportare un modello
latinoamericano ma vuole che ogni Chiesa assuma la missione in modo inculturato nel
proprio tempo e nel proprio luogo».66
Il ritorno del Popolo di Dio e la riforma in capite et in membris comporta una
rinnovata lettura delle varie questioni ecclesiali conciliari ad esso connesso: in modo
particolarmente interessante è la trattazione, nell’esortazione del sensus fidei di tutti i
credenti.

3.3 La chiarificazione del sensus fidei

La trattazione all’interno dell’Evangelii gaudium del senso della fede nel Popolo di
Dio rappresenta la ripresa di una categoria che è stata dimenticata nella teologia
postconciliare e nel contempo strumentalizzata all’interno del corpo ecclesiale. Tutti i
cristiani, ad opera del battesimo, ricevono la forza santificatrice dello Spirito. «Il Popolo
di Dio è santo in ragione di questa unzione, che lo rende infallibile in credendo».67 Il
riconoscimento della soggettività credente e orante del popolo riprende la dottrina
conciliare di Lumen Gentium 12 ed è arricchito con l’accostamento dell’ulteriore dono
della «connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette di coglierle
intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con
precisione».68 La ricchezza che deriva da tale proprietà non porta ad una sterile
autonomia nella Chiesa, ma necessita della collaborazione di chi nella Chiesa ha il
compito di presiedere.

65
Evangelii Gaudium n.17.
66
C.M. GALLI, «Il “ritorno” del Popolo di Dio missionario in Francesco» ne L’Osservatore Romano,
20 ottobre 2015, p. 6.
67
Evangelii Gaudium n.119.
68
Ibidem.

67
CAPITOLO TERZO – Dal sinodo del 1985 al pontificato di Francesco

Collegato al sensus fidei è la rivalutazione teologica e pastorale della religione del


popolo: la teologia argentina ha collaborato a rivalutare la pietà popolare come
espressione di una fede cattolica inculturata. Su questo piano si muove Evangelii
gaudium che citando il Documento di Aparecida69 definisce “mistica popolare” la
spiritualità incarnata della fede dei semplici, «una vera esperienza dell’amore
teologale».70 Essa accoglie a suo modo il Vangelo intero e «lo incarna in espressioni di
preghiera, di giustizia, di lotta, di festa».71 Non è tuttavia una forma priva di contenuti
perché «li esprime più mediante la via simbolica che con l’uso della ragione
strumentale».72 Se il magistero e la teologia insegnano ciò che crediamo, la pietà
popolare mostra come è, ad esempio, l’amore per la Vergine. «Le espressioni della pietà
popolare hanno molto da insegnarci e, per chi è in grado di leggerle, sono un luogo
teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, particolarmente nel momento in cui
pensiamo alla nuova evangelizzazione».73
Il papa chiede di accentuare maggiormente «il credere in Deum che il credere
Deum»74 (EG 124). Secondo la teologia agostiniana e tomista dell’atto della fede (ST II-
II, 2, 2) il credere in Deum, cioè l’orientamento verso Dio come il fine ultimo e felice
della vita, ha priorità sul credere Deum o conoscenza credente della rivelazione di Dio e
del suo piano salvifico. «La fede per la quale ci abbandoniamo a Dio (fides qua)
sostiene la comprensione riflessa dei suoi contenuti (fides quae)».75 Il credere in Deum
si perfeziona nell’amare Deum, nella carità che unisce a Dio e al prossimo in Dio.
Questa chiarificazione teologica ha risvolto positivo nell’attenzione pastorale, la quale
si deve concentrare maggiormente sul fatto che la fede divenga pietà filiale e amore
fraterno senza lasciare il suo valore a causa della circolarità tra l’intelligenza e la
volontà.

69
V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano e dei Caraibi, Documento di Aparecida,
29 giugno 2007, n. 263.
70
Evangelii Gaudium n.124.
71
Evangelii Gaudium n. 237.
72
Evangelii Gaudium n.124.
73
Evangelii Gaudium n.126.
74
Evangelii Gaudium n.124.
75
C.M. GALLI, «Il “ritorno” del Popolo di Dio missionario in Francesco» ne L’Osservatore Romano,
20 ottobre 2015, p. 6.

68
CAPITOLO QUARTO

La ricchezza teologica della nozione

Rileggere teologicamente l’espressione “Popolo di Dio” comporta il porsi di fronte


ad un termine che ha manifestato già dal Vaticano II tutta la sua ricchezza dottrinale. In
seguito si è arricchito di diversi significati, chiari nel contesto, ma che non possono
essere confusi per trarre letture teologiche non corrispondenti al testo della Lumen
Gentium e al pensiero dei Padri conciliari che hanno approvato il testo nella sua
redazione definitiva. Le vicende ecclesiali postconciliari testimoniano che tali
controversie hanno generato un’innegabile disaffezione dell’ecclesiologia successiva al
Vaticano II sulla locuzione e sulla teologia del “Popolo di Dio”. Occorre porre rimedio
alla situazione con un ritorno convinto alle impostazioni conciliari: non si tratta di uno
sterile ripiego sul passato, bensì un ritorno alla fonte. Tale ressourcement si deve
arricchire con i contributi di quella ricerca teologica che allo spirito della Lumen
Gentium è rimasta fedele. L’indagine svolta, ponendo un argine ben netto contro ogni
eventuale slittamento mitologico o sociologico del termine, ha inteso chiarificare il
concetto di popolo a partire dal dato biblico. Il “Popolo di Dio” è inserito nella storia di
salvezza, agisce in quanto soggetto in relazione con Dio: muovendosi nella storia è
soggetto storico, congiungendo insieme la storia e la concretezza del popolo di Dio.

1. IL PROBLEMA DEL SIGNIFICATO DELL’ESPRESSIONE

Enunciare un principio teologico costituisce, nella maggior parte dei casi, una
questione delicata: il valore intrinseco da esplicitare deve trovare nella formulazione di
un enunciato il luogo dove sinteticamente possa esprimersi. Nella definizione di
“Popolo di Dio” la questione diviene più complessa. L’espressione, per un certo verso,
si presenta come metafora del termine “Chiesa”. Nell’attribuzione di tale qualifica
occorre riconoscere una doppia referenza: da una parte la chiesa può essere detta

69
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

“Popolo di Dio”, dall’altra non si può ritenere questo la sua unica qualità peculiare. Di
questo soggetto «si deve sempre dire che è qualcosa da un punto di vista, mentre non lo
è da un altro»1. L’espressione “Popolo di Dio” obbliga a parlare della Chiesa tenendo
sempre presente la finale indefinibilità dei suoi confini2: pur riconoscendo di non poter
possedere in proprio la capacità di autodeterminarsi e di definire in se stessa il mistero
della Chiesa, in questa categoria comunque è possibile esplicitarne i vantaggi di un suo
utilizzo in ecclesiologia.

1.1 Vantaggi della categoria teologica

“Popolo di Dio” costituisce uno strumento ermeneutico irrinunciabile in


ecclesiologia, a motivo nel suo carattere anti-elitario e anti-corporativistico. Non sono
da supporre, dunque, intenzioni recondite nella mente dei Padri, «né se ne possono
dedurre altre conseguenze che questa: tutta la Chiesa sta sopra ai singoli membri, anche
i più altolocati».3
In un contesto ecclesiale che sta conoscendo una pluralità di forme di aggregazione,
dai movimenti alle associazioni, la categoria teologica di Popolo di Dio riesce a
preservare la comune e fondamentale appartenenza, varcando le possibili, quanto sterili,
forme discriminanti e concorrenziali dell’essere Chiesa. Nel contempo, la comune
appartenenza alla Chiesa, fondata sugli elementi essenziali del battesimo e della fede,
porta a superare i rischi dell’intimismo e del comunitarismo. Si accentua infatti l’aspetto
comunitario, senza contrapporre però la componente irriducibile del singolo soggetto.
La categoria di Popolo di Dio trascende da ogni altra determinazione personale,
quale potrebbe essere la nazione, la razza, la lingua e va ben oltre il peccato dell’uomo:
nemmeno la scomunica può cancellare il carattere battesimale che inserisce la persona

1
S. DIANICH, «Popolo di Dio (I). Un nome impegnativo per la Chiesa», in Rivista del Clero italiano
71 (1990), p. 171.
2
L’intima natura della Chiesa si fa conoscere attraverso immagini varie, la cui complementarietà offre
un’idea del suo mistero: le molte immagini bibliche hanno valore di similitudine per definire la Chiesa.
Altre espressioni, che assurgono a veri concetti (lo stesso concetto di Popolo di Dio) si differenziano dai
primi per l’ampio lettura che fanno della Chiesa. Si tratta dell’unico oggetto visto da prospettive diverse:
la prima particolare e specifica, l’altra generale e potenzialmente onnicomprensiva della realtà ecclesiale
che intende porre in esame.
3
C. COLOMBO, «La Chiesa “nuovo popolo di Dio” nella Costituzione Lumen Gentium», in Teologia 8
(1983), p. 142.

70
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

nel Popolo di Dio. Questo popolo dunque è comunità di persone che, sul fondamento
dell’elezione divina, cresce per la libera adesione di ciascuno. L’alto valore
antropologico emerge con vigore nella categoria di Popolo di Dio: la Chiesa è «un
personale “io credo”, proclamato ad una sola voce e con un solo cuore e l’ecclesiologia
è il polo comunitario dell’antropologia teologica. La Chiesa è l’uomo nuovo in Cristo
Gesù e l’uomo nuovo in Cristo è persona ecclesiale».4
Il valore antropologico di questa prospettiva permette di superare ed evitare indebite
ipostatizzazioni della Chiesa, «quasi fosse un’entità che vive al di fuori degli uomini e
delle donne che la compongono».5 Popolo di Dio esprime il dinamismo comunitario e
sociale che deve animare la Chiesa inserita nel mondo, avvicinando il linguaggio alla
realtà che il cristiano laico vive e per cui Communio difficilmente si presterebbe.
Questa proprietà si accompagna alla qualità specificatamente teologica di Popolo di
Dio nel senso costitutivo ed elevante del termine: rappresenta il fondamento essenziale
che ne indica la caratteristica trascendente, l’appartenenza, la proprietà di Dio. Allo
stesso modo essa costituisce un deterrente per evitare la riduzione della categoria stessa
in senso prevalentemente, quando non esclusivamente, democratico e sociologico.
Nel suo valore teologico e antropologico la Chiesa è l’incontro tra l’appello di Dio
che la convoca, e la presenza di persone che gli rispondono in obbedienza d’amore. Il
Popolo di Dio gode di duplici natali, un’idea già presente nei Padri: «Ecclesia quotidie
gignit Ecclesiam»6 poiché «Presi separatamente, voi siete figli della Chiesa ma presi
quale corpo voi siete suoi generatori».7 Il Popolo di Dio coglie non un aspetto della
Chiesa, ma la sua stessa vita, che convoca a sé tutti i cristiani, «che unisce tutti i suoi
membri prima di ciò che li distingue, ponendo come primo valore la qualità del
discepolo».8 Il valore della relazione con Dio pone la Chiesa stessa come soggetto che
agisce nella storia: nella fedeltà alla Scrittura Popolo di Dio è soggetto universale e

4
M. SEMERARO, Mistero, Comunione e missione. Manuale di ecclesiologia, Edizioni Dehoniane
Bologna, Bologna 1997, p. 58.
5
Idem, p. 58.
6
BEDA IL VENERABILE, Explanatio Apocalypsis, 2, (PL 93,166).
7
«Vos enim mihi estis parentes, qui sacerdotium detulistis: vos, inquam, filii, vel parentes,: filii
singuli, universes parentes»in AMBROGIO, Expositio in Lucam, VIII, 73, (PL 15, 1879).
8
E. CASTELLUCI, La famiglia di Dio nel mondo. Manuale di ecclesiologia, Cittadella Editrice, Assisi
2012, p. 394.

71
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

collettivo. Il forte radicamento nella storia della salvezza permette di «conoscere la


continuità della vocazione di Israele», ed «esprime lo stato storico-salvifico della Chiesa
nel suo essere in cammino verso il compimento del Regno»9. Il Popolo di Dio, “λαός ἐξ
ἐϑνῶν” (At 15,14), sottolinea la priorità dell’azione delle grazia di Dio, nella libertà di
risposta dell’uomo.

1.2 Limiti

La sottolineatura dei vantaggi che hanno portato all’adozione di questa categoria in


sede teologica e conciliare non dimentica gli inequivocabili svantaggi di questo concetto
teologico. Esso non esprime le relazioni interne e strutturali della Chiesa, come invece
avviene con il modello di “Communio”. Il concetto di “Popolo di Dio” in questo caso
non sarebbe sufficientemente chiaro e univoco, stretto com’è due polarità
ecclesiologiche: tra l’ecclesiologia giuridica e dell’ecclesiologia di comunione.
Il limite della categoria si è manifestato nelle vicende ecclesiali post-conciliari che
hanno generato in seguito il suo eclissamento, e già trattate nel secondo capitolo. Le
contestazioni hanno rivelano una strumentalizzazione nel quadro della cultura marxista,
ed è divenuta una parola ad effetto e talvolta di dissenso dalla posizione del Magistero
universale. L’abuso perpetrato derivava dall’errata lettura dell’indole stessa di “popolo”,
che vicina alle realtà terrestri, comporta la comprensione del carattere di eccessiva
materialità del modello. Non si era compreso che “Popolo” prima di qualsiasi
sovrastruttura culturale o ideologica è senza dubbio un complesso di persone
«fortemente indifferenziato, al quale si appartiene in forza di una radice nativa e
profonda»10 e dal quale non è facile essere esclusi o escludersi. Le altre figure bibliche
che le erano state preferite (Corpo di Cristo, sposa di Cristo, casa o tempio di Dio e

9
Cf. H. POTTMEYER, «Dal Sinodo 1985 al grande Giubileo dell’anno 2000», in R. FISICHELLA, Il
concilio Vaticano II. Recezione ed attualità alla luce del Giubileo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo
(MI) 2000, p. 22.
10
S. DIANICH, «Popolo di Dio (II). Problematica pastorale di un’idea», in Rivista del Clero italiano 71
(1990), p. 251.

72
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

simili)11 «erano sembrate più idonee a salvaguardare i carattere trascendente della


Chiesa stessa».12 La definizione di Popolo di Dio risulta alquanto problematica se
avulsa dal contesto storico-salvifico che l’ha generata.

1.3 Cosa significa essere Popolo di Dio?

A livello puramente empirico nessun popolo è popolo di Dio. Porre Dio come marchio di
una discendenza o come un contrassegno sociologico potrebbe essere sempre solo
un’insopportabile presunzione, anzi ultimamente una bestemmia. […] Cosa significa ciò
concretamente? Significa che i cristiani non sono semplicemente popolo di Dio. Da un punto
di vista empirico essi sono un non-popolo come ogni analisi sociologica può velocemente
dimostrare. E Dio non è proprietà di nessuno; nessuno può appropriarsene.13

L’affermazione di Ratzinger vuole ricomprendere la nozione ecclesiologica


conciliare nella relazione cristologica. L’incorporazione, per mezzo del battesimo, a
Cristo, Figlio di Dio e Figlio di Abramo, è fonte originaria, necessaria e aggregante per i
cristiani. Occorre rimanere dentro le coordinate dell’ecclesiologia conciliare solamente
con la lettura in sinossi delle categorie centrali del Vaticano II: “Popolo di Dio” e
“Sacramento”. Una lettura unilaterale del concetto di popolo non esprimerebbe la
“novità” rispetto ad Israele vale a dire riconoscere che questo popolo si raduna attorno
alla fede in Cristo come Dio fatto uomo. Sotto la nuova alleanza, quelle delle promesse
realizzate dall’Incarnazione del Figlio e al dono dello Spirito il popolo di Dio riceve uno
statuto nuovo, dove «i rapporti interni tra i membri dipendono dalle funzioni esercitate
dai singoli e dal loro rapporto con Gesù Cristo e con lo Spirito Santo».14 L’identità del
Popolo di Dio richiede la sua fondazione nella storia della salvezza e dalla Scrittura.

11
Cf. H. FRIES, «Mutamenti dell’immagine della Chiesa ed evoluzione storico dogmatica» in J.
FEINER e M. LÖHRER, Mysterium Salutis 7. L’evento salvifico nella comunità di Gesù Cristo, Queriniana,
Brescia 1981, pp. 267-346.
12
O. SEMMELROTH, «La Chiesa, nuovo popolo di Dio», in G. BARAÚNA, La Chiesa del Vaticano II.
Studi e commenti intorno alla costituzione dommatica “Lumen Gentium”, Vallecchi Editore, Firenze
1965, p. 441.
13
J. RATZINGER, Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p.
24.
14
C. COLOMBO, «La Chiesa “nuovo popolo di Dio” nella Costituzione Lumen Gentium», in Teologia
8 (1983), p. 142.

73
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

2. IMPORTANZA STORICO - SALVIFICA

2.1 Popolo di Dio, categoria biblica

Il Popolo di Dio ha un retroterra biblico, che fa riferimento all’alleanza di Dio con


Israele e identifica la Chiesa come il nuovo Israele. La Bibbia non parla della Chiesa
semplicemente come di un popolo, essa parla del Popolo di Dio. La LXX non adopera
per questo il termine sociologico-etnico δῆμος, che si ritrova anche quando si parla di
democrazia, ma adopera il termine salvifico λαός, nel senso di popolo eletto da Dio, che
si distingue dai popoli pagani (ἔϑνοι). Il concetto va definito, a partire dalla Scrittura, in
senso salvifico e la Chiesa va concepita come il popolo di Dio da Lui convocata. La
storia tra Dio e il suo popolo si svolge con grande drammaticità: l’infedeltà d’Israele
mina di continuo la relazione. È una storia di promesse, di continue oscillazioni tra
fedeltà e infedeltà, di disubbidienze e pentimenti, tra momenti di pienezza spirituale e
altri di apostasie complete. Su tutto, brilla il disegno salvifico di Dio che supera le gravi
crisi e le profonde rotture, nella sua misericordia e fedeltà incrollabile.
Il messaggio veterotestamentario del Popolo di Dio è quindi la storia dell’elezione,
della misericordia e della sua guida, aperta ad un adempimento più grande e completo
che si realizza in Gesù, e nella rifondazione in Cristo di un popolo che sarà la Chiesa.
In Gesù Cristo, la sua volontà di alleanza appare chiara, estendendosi a tutta
l’umanità e alla Chiesa. Tutte le genti sono orientate ad essere Popolo di Dio, ma tocca
alla Chiesa render visibile e attuare questa realtà, in maniera sacramentale, a livello di
mistero e di grazia. Tutta la Chiesa è popolo di Dio: di qui un’uguaglianza
fondamentale; solo in un secondo momento, in vista di tutti i fedeli, si ha la distinzione
tra gerarchia e semplici fedeli.
Con questo concetto biblico il Concilio ha superato le perplessità antiprotestanti: ha
fondato la Chiesa non su un unico e puntuale atto storico, ma nel contesto della storia
della salvezza. In tal modo il “Popolo di Dio” coniuga la chiamata di tutti gli uomini ad
essere ciò che Israele già è nella sua elezione e vocazione, cioè stirpe eletta sacerdozio
regale nazione santa, popolo che Dio s’è acquistato (1Pt 2,9). Nel contempo manifesta
la novità neotestamentaria dell’alleanza, non fondata da un’appartenenza storica, ma dal

74
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

legame in Gesù Cristo, scritto nei cuori dallo Spirito di Dio. Nel Figlio di Dio il popolo
non si definisce più per separazione, le differenze tra popoli non contano più e si
compie la comunione universale: ora non c’è più giudeo, né greco (cf. Gal 3,28).
Il popolo neotestamentario è ancora in cammino, «avanza nel suo pellegrinaggio tra
le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunciando la croce e la morte del
signore finché egli venga» (LG 8)15. Il popolo di Dio manifesta il suo carattere storico
della Chiesa, in cammino nella storia, accompagnato da Dio.

2.2 Popolo di Dio e Israele: superamento del sostituzionismo

L’ecclesiologia del popolo di Dio non assorbe né soppianta il popolo ebraico, ma lo


affianca e lo integra con la propria originalità. Si tratta di un percorso complesso, nel
quale la Chiesa è in continuità reale e storica e teologica con Israele, “radice santa”, e
nel contempo in discontinuità. Questo aspetto “paradossale” in realtà contesta
intrinsecamente le teorie della sostituzione che hanno segnato il Cristianesimo,
portandolo a qualificarsi come “vero Israele”, “nuovo Israele”, “nuovo popolo di Dio”.
La modalità di intendere la discontinuità parte per il Popolo di Dio dal
riconoscimento conciliare di avere nella sua stessa natura un «vincolo con cui il popolo
del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo»16. Questa
consapevolezza della Chiesa, che si riconosce Popolo di Dio, pone la stessa in
continuità con la storia alla quale Dio dà inizio con Israele, una continuità rispettosa
della comprensione che ancora oggi Israele ha di se stesso. Il Popolo di Dio in Cristo
non soppianta Israele, ma vi si innesta. Il carattere di singolarità non può alimentare né
la tentazione esclusivista, né l’esaltazione del proprio privilegio. Il Popolo di Dio è
diviso nel riconoscimento della messianicità di Gesù, ma accomunato nella
responsabilità della missione, «di testimoniare al mondo che la salvezza viene da Dio,
attraverso il Messia».17 Questo conferma alla Chiesa di essere un popolo messianico

15
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, in EnchVat
1/307.
16
Nostra Aetate n. 4, in CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, dich. Nostra aetate, 28 ottobre 1965, in
EnchVat 1/861.
17
E. CASTELLUCI, La famiglia di Dio nel mondo. Manuale di ecclesiologia, Cittadella Editrice, Assisi
2012, p. 401.

75
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

(LG 9), in tensione escatologica verso un messianismo compiuto e realizzato in Gesù


Cristo, ma la cui realizzazione universale, attraverso l’appartenenza ad un regno di
sacerdoti e nazione santa (Es19,6), avverrà solo alla fine dei tempi.

3. IL CAMMINO DI UN’IDEA: DESIGNA L’ESSENZA STESSA DELLA CHIESA ?

La categoria teologica è molto più complessa di quanto non appaia. Il suo


radicamento veterotestamentario (nel popolo messianico) situa dapprima la Chiesa
come dono di Dio nel mondo per il mondo, come nuovo Israele in mezzo alle nazioni.
La categoria non suggerisce quindi, anzitutto o solamente una forma particolare della
realtà ecclesiale, ma il rapporto col mondo e un’appartenenza a Dio. Questo rapporto è
dato sotto la forma sociale di un popolo (cf. LG9) che comporta immediatamente
l’assunzione della caratteristica di soggetto di azione e di diritto, vero beneficiario del
triplex munus Christi, funzioni esercitate in seguito diversamente e in modo
differenziato da tutti i membri del Popolo di Dio. La figura del popolo di Dio costituisce

l’orizzonte sul quale devono essere situate diverse questioni particolari in ecclesiologia, che,
qualora non beneficiando di questo orizzonte sono deformate nelle loro comprensione e nella
loro trattazione. Esempio la teologia dei ministeri. Non deve originare diffidenza per
l’istanza di compartecipazione e democratizzazione della chiesa18

La categoria popolo di Dio spinge la riflessione ecclesiologica conciliare


sostanzialmente nelle due linee che corrispondono alle due costituzioni Lumen Gentium
e Gaudium et Spes, e che riflettono inseparabilmente sulla Chiesa e come comunità e
sulla Chiesa in rapporto al mondo. Se le due questioni rimangono divaricate, come
spesso nel post-concilio, o quando si separano o si contrappongono identità e missione,
si perde, con il rilievo della categoria popolo di Dio, anche le specificità della Chiesa.
La questione verte sull’identità della Chiesa e la comprende articolando
inseparabilmente i tre momenti che la identificano come mistero, come soggetto e come
soggetto storico: la Chiesa come mistero designa la realtà; la Chiesa come soggetto
storico indica la sua finitezza singolare e il suo rapporto all’universalità dell’esperienza

18
G. ROUTHIER, Il Concilio Vaticano II. Recezione ed ermeneutica, Vita e Pensiero, Milano 2007, p.
107.

76
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

di ogni uomo.19 Nella prospettiva precedente al concilio queste tre dimensioni si


escludevano reciprocamente o si rapportavano solo estrinsecamente.
Nei paragrafi che seguono si cercherà di recuperare il valore insito in Popolo di Dio
all’interno di una lettura complessiva che raccolga insieme le diverse iterazioni tra
questo e singolarmente le categorie di Mistero, Communio e Corpo di Cristo. Gli aspetti
positivi emersi nel percorso storico contribuiranno a porre una prima (quanto generale)
sintesi tra le diverse categorie ecclesiologiche.

4. “POPOLO DI DIO”, IN RELAZIONE A MISTERO, CORPO DI CRISTO E

COMUNIONE

4.1 Chiesa Popolo di Dio e Mistero

Nella Costituzione conciliare Lumen Gentium fu descritta, all’articolo 5, la proprietà


della Chiesa quale “mistero”, nella derivazione immediata dalla Trinità. Il compito
dottrinale innovatore del Concilio è stato di approfondire e promuovere
un’ecclesiologia, partendo dal «mistero della santa Chiesa [che]si manifesta»20, «in
popolo radunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»21. Da questo
concetto fondamentale del Popolo di Dio deriva la concezione ecclesiologica del
Vaticano II: l’unità di questo popolo è “mistero sacro” che trae il suo fondamento nel
mistero di Dio Trinità e ha in esso il suo modello. Il riferimento all’evento storico della
Chiesa portò i Padri ad esigere una precisazione di senso per il termine mistero:

[Il termine] mistero non indica qualcosa di inconoscibile o assurdo, ma, attualmente è
riconosciuto essere usato già da molti, e identifica la realtà divina trascendente e salvifica,
che in un certo modo visibile si è rivelata e manifestata. Quindi il vocabolo, che è
assolutamente biblico, appare come totalmente adatto per descrivere la Chiesa.22

19
Cf. C. COLOMBO, «Il Popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 135-136.
20
Cf. LG 5 in CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964,
in EnchVat 1/289.
21
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, in EnchVat
1/288. La citazione è CIPRIANO, La preghiera del Signore, 23 (PL 4,553).
22
Traduzione personale del testo originale degli Acta synodalia citato in G. GHIRLANDA, Hierarchia
Communio, Pontificia Università Gregoriana, Roma 1980, p. 202.

77
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

La Chiesa è dunque “mistero”, cioè «realtà imbevuta di divina presenza e perciò


sempre capace di nuove e di più profonde esplorazioni».23 La comprensione “misterica”
della Chiesa ha lo scopo di correggere ogni tipo di ecclesiologia funzionale, «senza
risolvere la questione del soggetto che è la chiesa nella sua funzione, e tuttavia
ponendola come questione della sua identità». 24 Il Popolo di Dio apre sul mistero della
Chiesa, indicandone l’insondabile profondità: l’uso di questa categoria teologica si pone
come soluzione umana come le altre (comunione, corpo) «semplici illustrazioni
pedagogiche per rivendicare ad esse il carattere di allusione ad una realtà che resterà
sempre indiscernibile nel suo punto focale, all’intelligenza naturale»25.
Pur condividendo la considerazione dell’inconoscibilità di fondo della Chiesa, la
categoria teologica di Popolo di Dio si discosta dagli altri modelli per il suo legame con
la realtà della storia della salvezza, opera storica dell’agire inconoscibile di Dio, spazio
teologico e celebrazione della salvezza di Dio. Tale realtà “trascendente” costituisce una
realtà essenziale del popolo di Dio e rende ragione di una continuità storico-salvifica,
che va dal popolo d’Israele all’Ecclesia de Trinitate. Il Popolo di Dio si addentra nel
mistero perché si riferisce al disegno di Dio sull’umanità, ne designa il fine, ne connota
i mezzi di realizzazione, e si risolve in Gesù Cristo, secondo il detto agostiniano “Non
est aliquid Dei mysterium, nisi Christus”.
L’espressione Popolo di Dio coniuga l’elemento trascendente-misterico e quello
storico-sociale della Chiesa. Questo permette di sottrarsi alle letture indebite, di
dimettere «qualsiasi nozione di carattere mitico per riferirsi direttamente, da un lato alla
vicenda storica di Gesù di Nazareth e dall’altro alla vicenda storica dei cristiani (At
11,27)».26 Il carattere di mistero designa il Popolo di Dio in quanto procede dalla Trinità
e nel contempo ne determina la sua natura di soggetto storico. In maniera correlata è il
soggetto storico che, da parte sua, esprime la natura del mistero; in altre parole,

23
PAOLO VI, all. Salvete fratres in apertura del secondo periodo del concilio (Sessione II), 29
settembre 1963, in EnchVat 1/150*.
24
C. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 151.
25
H. DE LUBAC, Paradosso e mistero della Chiesa, Jaka Book, Milano 1997, p. 82.
26
C. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 160.

78
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

il popolo di Dio è simultaneamente mistero e soggetto storico; cosicché il mistero costituisce


il soggetto storico e il soggetto storico rivela il mistero. Sarebbe dunque puro nominalismo
scindere nella «Chiesa-popolo di Dio » l’aspetto di mistero e l’aspetto di soggetto storico.27

La Commissione teologica Internazionale indica che la relazione con il mistero della


Chiesa porta ad arricchire tra il Popolo di Dio della qualità di soggetto e di soggetto
storico: agisce nella storia e sussiste anche grazie alle persone che lo costituiscono,
ribadendo, nella categoria di Popolo, l’unione tra l’elemento storico-sociale e quello
trascendente-misterico. La realtà salvifica del mistero della Trinità fonda l’alleanza
salvifica che trova il suo compimento, nel dato di fede, nell’alleanza stipulata in Cristo.
Radicato nel mistero il Popolo di Dio procede dall’alto dal disegno di Dio, cioè
dall’elezione, dall’alleanza e dalla missione, ricevendo il suo specifico significato dal
riferimento costitutivo al mistero trinitario rivelato da Gesù Cristo nello Spirito Santo.

4.2 Popolo di Dio e Corpo di Cristo

Nel “Popolo di Dio” si coglie la realtà sacramentale (e dunque “misterica”, in forza


del profondo legame a Cristo) della Chiesa, ma anche ciò che costituisce l’elemento
caratterizzante del popolo di Dio: la sua storia e infine la natura della sua missione:
l’annuncio e la diffusione della salvezza. Tali premesse tuttavia non sanciscono
l’affermazione a tutti i livelli, da quello più strettamente teologico a quello pastorale,
della categoria teologica di “Popolo di Dio”, ma la più stretta relazione con il modello
ecclesiologico di “corpo di Cristo”, più tipica della chiesa neotestamentaria.
Se storicamente la realtà del Popolo di Dio precede quella del corpo di Cristo, così
come Israele precede la Chiesa, assiologicamente però, al livello dei valori
fondamentali, per il cristiano è il Corpo di Cristo che dà senso al Popolo di Dio. La
chiesa come Popolo di Dio non vive autonomamente da Cristo, ma sussiste solo se
legata a Lui. Non c’è battesimo senza incorporazione a Cristo, né esiste Eucaristia senza
effettivo e reale riferimento al corpo di Cristo, né di missione salvifica, e di liberazione
come missione del Popolo di Dio, se Cristo non avesse liberato tutti gli uomini.

27
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1688.

79
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

Essere soltanto popolo può mantenere fuori da Cristo, se non si riconosce la necessità
di una lettura comprensiva dei due modelli. La realtà del Popolo di Dio include
necessariamente e indispensabilmente la realtà della Chiesa come corpo di Cristo a
condizione di evidenziare la differenza cristologica che soggiace come condizione
previa l’accettazione di un dialogo con questo modello.
La partenza dal Popolo di Dio, per integrare l’ecclesiologia del corpo permette di
evitare i limiti già segnalati dalla critica teologica. Ammettendo solo i cattolici come
membra vere della Chiesa «le immagini di corpo/membra infatti impostano la questione
in termini alternativi: membri o lo si è o non lo si è, non ci sono mezzi termini».28
Inoltre l’identificazione Chiesa (cattolica)/Cristo rende difficile il dialogo ecumenico
e tralasciava l’elemento umano, fin troppo umano della Chiesa.
Il Popolo di Dio, sotto questo punto di vista, marca la differenza cristologica: la
Chiesa non è identica con Cristo, ma gli sta di fronte, quale popolo pellegrinante nella
storia. La categoria teologica di Popolo di Dio descrive la realtà di relazione a Cristo e
manifesta i diversi gradi intermedi d’appartenenza: gli articoli 13-16 della Lumen
Gentium compongono livelli di adesione e partecipazione alla Chiesa meno esclusivisti
se raffrontati al modello di Chiesa-Corpo di Cristo.
La priorità, accordata dal Concilio, del concetto di Popolo rispetto all’immagine del
corpo sottolinea l’affermazione dell’uguaglianza sostanziale fra tutti i membri della
chiesa. Il concetto di corpo invece, pone l’attenzione sulla diversità delle membra, della
quale si parla nella Lumen Gentium soltanto dopo aver assicurato la sostanziale
uguaglianza tra tutti battezzati. «La diversità dei carismi e dei ministeri non deve
ostacolare quel concetto che il n.32 della LG esprime con icastica solennità»29:

unico quindi il popolo eletto di Dio: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo
(Ef4,5); comune è la dignità dei membri in forza della loro rigenerazione in Cristo, comune è
la grazia di essere figli, […] Anche se per volontà divina di Cristo sono costituiti dottori,
dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti vige però vera uguaglianza

28
J. RATZINGER, Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p.
21.
29
G. FROSINI, «La Chiesa-Popolo di Dio secondo il concilio», in Settimana 5 (2013), p. 9.

80
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo, che è comune a tutti quanti i
fedeli.30

La teologia del popolo di Dio integra quella di corpo di Cristo, pena un’ecclesiologia
orizzontalista e una definizione sociologica di chiesa Popolo di Dio, la cui novità è
l’essere Corpo di Cristo. Si confuta la possibilità che l’ecclesiologia del popolo di Dio
escluda l’ecclesiologia del corpo di Cristo; al contrario essa la presuppone: in nessun
punto, «né il Concilio né i seguaci del Vaticano II hanno voluto sopprimere, ridurre,
svalutare il titolo di corpo di Cristo».31 Corpo di Cristo descrive come per istituzione
divina il Popolo di Dio è organizzato e retto con mirabile varietà, «come in un unico
corpo abbiamo molte membra, e nessun membro ha la stessa funzione degli altri, così
tutti insieme formiamo un solo corpo in Cristo, dove ognuno è membro degli altri
(Rm12,4-5)».32 La diversità delle funzioni è posta nell’ottica della partecipazione e della
comunione dell’unico Popolo.

4.3 Il Popolo di Dio ed ecclesiologia di comunione

Popolo di Dio è una concetto fondamentale che deve essere equilibrato con
Communio: le due categorie sono collegate e ciascuna reca all’altra complementi
importanti per la descrizione della realtà ecclesiale. La scelta unilaterale, più volte
compiuta nel post-concilio, di polarizzare la natura della Chiesa su uno solo dei due
modelli, ha inciso sul generale dibattito ecclesiologico. La concentrazione
nell’individuare i limiti delle contrapposte posizioni teologiche ha rallentato la lettura di
sintesi teologica tra i modelli, vera risposta adeguata agli sviluppi erronei che a torto si
richiamano a Popolo di Dio oppure di Communio. La convergenza complementare non
sopprime la ricchezza teologica che ciascun concetto porta con sé: la Chiesa è la
comunione del Popolo di Dio. Partire da questa correlazione preserva la sua funzione
storica e sociale di Popolo e lega la Chiesa al suo fondatore e Signore e, in conseguenza
e nella stessa maniera, tutti i suoi membri componenti tra loro. Infatti l’ecclesiologia

30
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, in EnchVat
1/365-366.
31
J. COMBLIN, O povo de Deus, Edizioni S, Paolo, S. Paolo del Brasile 2002, p. 115.
32
LG 32 in CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, cost. dogm. Lumen Gentium, 21 novembre 1964, in
EnchVat 1/364.

81
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

della comunione del Popolo di Dio riconosce come fondamentale la realtà comune di
tutti i battezzati, nella quale rientrano i laici e i ministri sacri. 33 Si afferma in tal modo il
primato, sulla realtà sociale ed istituzionale, della realtà misterica e sacramentale della
Chiesa, che forma tutti, nel lavacro battesimale, al nuovo Popolo di Dio.
Con “Popolo di Dio” inteso come realtà di comunione di tutti i fedeli, matura la
consapevolezza teologica che tale nozione ambisce ad uscire dal ristretto ambito
semantico, per affermare invece una pregnanza di senso che la rende capace di
abbandonare il ruolo di “semplice immagine” di Chiesa e di ambire ad essere “soggetto”
abile ad esprimere la realtà della Chiesa stessa.

5. IL POPOLO DI DIO È “SOGGETTO STORICO”

5.1 Popolo di Dio, è soggetto

La Chiesa è un Popolo tra i popoli: la Chiesa vive nel mondo, partecipa dei doni di
Dio fatti a Israele, e procede nelle strade degli uomini. Questa sua caratteristica rende
questa categoria “soggetto” teologico, «portatore del mistero di salvezza e della
missione messianica in maniera più radicale e più ampia di come lo indichi il termine
Chiesa».34 L’espressione, mutuata da Dianich, non è pretenziosa: qui non si intende il
soggetto grammaticale, ossia chi fa o subisce l’azione espressa dal verbo, ma «il
soggetto logico proprio, che porta in sé le qualità di cui si predica qualche cosa»35. Delle
molte categorie e immagini attribuibili alla Chiesa solo “Popolo di Dio” è l’espressione
capace di far da soggetto: le altre immagini vengono usate piuttosto «in funzione di
predicato, in quanto rispondono piuttosto all’interrogativo sul modo di essere della
Chiesa»36: dal punto di vista ecclesiologico non ha senso dire “il corpo di Cristo che è in

33
Il ministero gerarchico viene istituito «affinché tutti coloro che fanno parte del Popolo di Dio, e
perciò godono della vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e
giungano alla salvezza». Lumen Gentium, n. 18 , in EnchVat 1/328.
34
S. DIANICH, «Popolo di Dio (I). Un nome impegnativo per la Chiesa», in Rivista del Clero italiano
71 (1990), p. 170.
35
E. CASTELLUCCI, La famiglia di Dio nel mondo, Cittadella Editrice, Assisi 2012, p. 390.
36
S. DIANICH, «Popolo di Dio (I). Un nome impegnativo per la Chiesa», in Rivista del Clero italiano
71 (1990), p. 166.

82
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

Treviso” o “la vigna che è in Pordenone”, mentre è possibile dire indifferentemente “la
Chiesa che è in Treviso” o “il popolo di Dio che è in Pordenone”.
La Chiesa è connotata da categorie ma non è intercambiabile con nessuna di queste:
alla domanda “chi è la Chiesa?”, la risposta più completa è “la Chiesa è popolo di Dio”.
Tutte le altre immagini e categorie «o esigono un’attenuazione (la Chiesa è come un
sacramento; è “anche” istituzione) o dicono un solo aspetto della Chiesa».37 Quella di
“Popolo di Dio” non è un’immagine simbolica, né si tratta di un modo di esprimere una
sua certa caratteristica o di un modello sul quale la Chiesa debba venir misurata:
«esprime realmente la Chiesa, precisamente in quanto essa è esprimibile storicamente,
fermo restando che l’espressione […] non esaurisce la realtà della Chiesa».38
Il Popolo di Dio può essere dunque compreso come soggetto, con caratteristiche
universali, cui tutti gli uomini sono chiamati a farne parte senza per questo dover
rinnegare nessuna delle particolarità etniche. La stessa comprensione teologica
conciliare infatti si mostra «attenta a salvaguardare tanto l’elemento comunitario […]
quanto quello personale della salvezza».39 La teologia del Popolo di Dio non sancisce
tuttavia l’affermarsi di un soggetto collettivo, somma di più identità, poiché non
potrebbe «avere in sé la ragione del proprio essere Chiesa». “Popolo di Dio” è soggetto
la cui ipostasi fondativa sussiste nella coscienza di possedere un «principio elevante
[…] nello Spirito Santo» e una caratterizzazione «dall’unione/conformazione alla
coscienza di Gesù Cristo, che è proprio la coscienza figliale».40 La costituzione del
popolo di Dio come testimonianza di Gesù Cristo e fedeltà all’evento cristologico è lo
scopo della Chiesa nella sua missione che, da questo punto di vista, si accompagna «con
la sua strutturazione istituzionale e con suo rendersi storico».41

37
E. CASTELLUCCI, La famiglia di Dio nel mondo, Cittadella Editrice, Assisi 2012, p. 391.
38
G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 102.
39
G. MAZZILLO, «“Popolo di Dio”: categoria teologica o metafora?», in Rassegna di Teologia 36
(1995), p. 566.
40
G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 158.
41
Cf. G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 159.

83
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

5.2 Popolo di Dio, soggetto storico

Il Popolo di Dio figura della Chiesa “mistero”, in quanto creata nello Spirito Santo
come compimento del mistero di Gesù Cristo capo, è propriamente un soggetto storico.
Questo implica che la Chiesa non esista solo nella forma di mistero, ma anche in quella
della Storia. Le due forme sono essenziali e necessarie alla corretta lettura
ecclesiologica e la Chiesa le attualizza e “realizza” in modo indissociabile. Il carattere di
“mistero” designa la Chiesa che procede dalla Trinità, mentre quello di “soggetto
storico” le si addice in quanto essa agisce nella storia e contribuisce a orientarla. Ogni
prospettiva unilaterale, dualismo o giustapposizione, genera gravi distorsioni nella
descrizione della natura della Chiesa. La stessa ecclesiologia di comunione infatti non
risolve alcuni problemi collegati alla concretezza storica dell’agire salvifico di Dio e, di
conseguenza, dell’agire del suo popolo, due aspetti di un'unica proposta teologica.
Privilegiando la storia, a scapito del mistero si raggiunge un’ecclesiologia
puramente orizzontale, di tipo societario. Quando invece si sottovaluta la storia, a «puro
nominalismo»42 si giunge ad un’ecclesiologia dell’“iperuranio”, costruita su dimensioni
poco attinenti alle concrete situazioni e problematiche umane. L’ecclesiologia del
Popolo di Dio rende manifesta l’intrinseca appartenenza della Chiesa alla storia e al
mistero, poiché da una parte un popolo vive nelle coordinante spazio temporali, e
dall’altro il fatto che è “di Dio” lo rende un popolo speciale, affidato a dinamiche non
puramente immanenti. Il Popolo di Dio in quanto tale, mantenendo la tensione tra le due
istanze, è refrattario a qualsiasi riduzione banalizzante. Le interpretazioni post-
conciliari, che hanno umiliato la categoria teologica a mero concetto storico-
sociologico, non sono state in grado di mantenere la pregnanza del Popolo di Dio, «non
semplicemente logica ma teologica, vale a dire conformemente ad un progetto che non
viene dalla pura immanenza storica, ma si coglie come dato di fede».43 La fede dunque
e non la storia è generatrice dell’idea stessa di Popolo di Dio, come dato assolutamente
non derivato, né dedotto, ma piuttosto come mistero che vive nella storia e per la storia,

42
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1688.
43
G. MAZZILLO, «“Popolo di Dio”: categoria teologica o metafora?», in Rassegna di Teologia 36
(1995), p. 573.

84
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

dunque vero soggetto storico. Occorre perciò approfondire la correlazione, esistente


nella Chiesa come Popolo di Dio, tra l’aspetto del “mistero” e del “soggetto storico”.

5.3 Correlazione tra Mistero e soggetto storico

All’interno della teologia del Popolo di Dio il carattere di mistero determina la sua
natura di soggetto storico. Parimenti è il soggetto storico ad esprimere la natura del
mistero: il popolo di Dio dunque è simultaneamente mistero e soggetto storico, cosicché
«il mistero costituisce il soggetto storico e il soggetto storico rivela il mistero».44 La
reale iterazione tra i termini ribadisce che effettivamente Popolo di Dio non è
un’immagine simbolica, né si tratta di un modo di esprimere una certa caratteristica
della Chiesa o di un modello sul quale la stessa debba venir misurata. Secondo G.
Philips, La Lumen Gentium afferma che «Popolo di Dio non è altro, in realtà che la
manifestazione terrestre del mistero della Chiesa»45, che deve essere riconosciuta
«sovrastorica nella sua essenza».46 La Costituzione attribuisce a Popolo di Dio la
capacità di palesare realmente la Chiesa, perché essa è esprimibile storicamente, con la
precisazione comunque che «l’espressione storica della Chiesa non esaurisce la realtà
della Chiesa, la quale coerentemente vive “oltre la storia».47 Ne consegue che in sede di
dibattito teologico, riferire qualcosa alla Chiesa implichi riferirsi anche al Popolo di
Dio, «soggetto storico esistente nella storia e portato nella storia dal mistero
salvifico».48

5.4 La storia, luogo di salvezza

Il recupero della soggettività storica del Popolo di Dio costituisce una delle maggiori
innovazione nell’ecclesiologia del Vaticano II. Il popolo è soggetto attivo, testimone e

44
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1688.
45
G. PHILIPS, La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della ”Lumen Gentium”, Jaka
Book, Milano 1975, p. 120.
46
Idem, p. 128.
47
G. COLOMBO, «Il popolo di Dio e il mistero della Chiesa nell’ecclesiologia post-conciliare», in
Teologia 10 (1985), p. 102-103.
48
Idem,, p. 102.

85
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

responsabile della testimonianza e delle sue scelte. La Chiesa è soggetto storico in


quanto rivelativo dell’evento della manifestazione di Dio e non sostitutivo ad esso: il
Popolo di Dio ha lo scopo di favorirlo, non di sostituirlo o di adeguarlo. Questo tuttavia
non esclude, in linea di principio, parziali realizzazioni, resistenze, infedeltà: la storia è
e rimane lo spazio della concreta attuazione e illustrazione del disegno eterno di Dio.49
Israele, è il primo autorevole testimone di quanto detto: nella sua storia ha
beneficiato della scelta e dell’elezione di Dio, che ha rivelato se stesso e il mistero della
sua volontà (Ef 1,9). Il Popolo di Dio porta in sé un fermento che spiega e che salva la
stessa storia. Dio stesso ha così storicizzato la Rivelazione e la salvezza. Tale
caratteristica viene confermata nel compimento neotestamentario, dove il Popolo di Dio
vive «la memoria e insieme l’attesa di Gesù Cristo»50, e testimone delle mirabilia Dei51
è chiamato alla responsabilità della missione messianica e ad un’appartenenza alla
Chiesa sentita e vissuta come partecipazione da soggetto storico. Memoria, attesa e
partecipazione caratterizzano il Popolo di Dio nel suo essere soggetto storico,
conducono a trovare la sua identità, nella dipendenza totale a Gesù Cristo, impedendo di
ripiegarsi su se stesso.
Per la Chiesa Popolo di Dio, il riferimento a Cristo è il suo carattere definitivo e
storico, la sua indole escatologica (Cf. LG 48-51). Questo spiega il valore di “Popolo di
Dio” nel senso soggettivo e oggettivo del genitivo per cui il riferimento teologico ha
carattere costitutivo ed elevante: la Chiesa è oggetto dell’azione di Dio e
contemporaneamente è soggetto pellegrinante nella storia verso il compimento in Dio.

5.5 Escatologia e impegno nella storia

L’istanza soteriologica del Popolo di Dio, quale soggetto storico è collegata


all’aspetto escatologico della Chiesa: essa è intesa come comunità pellegrinante. Con
l’introduzione del concetto popolo di Dio in Concilio «l’elemento escatologico del

49
Cf. D. VITALI, «Capitolo secondo. Il Popolo di Dio» in S. NOCETI, R. REPOLE, Commentario ai
documenti del Vaticano II. Lumen Gentium, Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2015, p.156.
50
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1692.
51
S. DIANICH, «Popolo di Dio (I). Un nome impegnativo per la Chiesa», in Rivista del Clero italiano
71 (1990), p. 169.

86
CAPITOLO QUARTO – La ricchezza teologica della nozione

concetto di Chiesa diventò chiaro. Si poté in questa maniera, esprimere l’unità della
storia della salvezza che comprende insieme Israele e la Chiesa».52
Questo cammino richiede l’impegno e la partecipazione fattiva nella storia: il fatto di
essere membri del popolo di Dio assegna ai cristiani una specifica responsabilità nei
confronti del mondo: «Ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani»
(LG, n. 38; cf. Lettera a Diogneto, 6). La memoria e l’attesa del compimento
«costituiscono come l’elemento “formale” (nel senso scolastico del termine) che
struttura l’esistenza concreta degli uomini».53 Il Popolo di Dio, tra gli uomini per
costituire il Regno di Dio è chiamato a «favorire e accogliere tutte le ricchezze, le
consuetudini»54: l’attesa escatologica necessita della piena partecipazione alla missione
evangelizzatrice. Il Popolo di Dio, soggetto storico, è chiamato alla fedeltà nella storia,
in attesa del futuro compimento.

52
J. RATZINGER, Chiesa, Ecumenismo e politica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (MI) 1987, p.
22.
53
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1697.
54
Cf. Lumen Gentium n. 13, in EnchVat 1/319.

87
CONCLUSIONE

Al termine di questo percorso tentiamo di formulare alcune osservazioni conclusive


sul percorso svolto, riprendendo i punti salienti dell’ecclesiologia a partire dal “Popolo
di Dio”, così come emergono nelle posizioni prese in esame lungo il testo.

La prima considerazione riguarda la categoria teologica di Popolo di Dio nel


Concilio. In sé non è «immediatamente chiara al primo esame e, come ogni altra
espressione teologica esige riflessione, approfondimento e chiarimento per evitare false
interpretazioni».1 I padri conciliari lo avevano proposto, a partire dalla Lumen Gentium,
come orizzonte interpretativo globale: la categoria teologica di “Popolo di Dio” era
destinata a diventare l’idea del rinnovamento ecclesiologico conciliare e postconciliare.
Il valore di popolo di Dio è l’affermazione del primato della grazia sui mezzi che la
comunicano: il titolo più grande nella Chiesa è esser figli di Dio, appartenenti ad un
solo popolo, generato dalla vita in Cristo, formato alla libertà dei figli di Dio, capace di
testimoniare nel mondo la gioia del Vangelo2.
La lettura globale del Popolo di Dio, a partire dal capitolo II della Costituzione sulla
Chiesa, non pone l’accento sulla funzione o sulla differenziazione dei ruoli, ma
sull’uguaglianza dei membri di un popolo che è riconosciuto sacerdotale. Non si tratta
perciò di rovesciare un rapporto asimmetrico, trasferendo ai laici un qualche ruolo o
competenza prima riservata alla gerarchia, ma di affermare il valore intrinseco di
“Popolo di Dio”. La scelta del Concilio di questa categoria ecclesiologica, quando l’idea
era forse già contaminata da fattori ideologici, si pone nell’alveo della Tradizione,

1
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Themata selecta de ecclesiologia, 7 ottobre 1985, in
EnchVat 9/1685.
2
«Lo statuto di questo popolo è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali, come in un
tempio, inabita lo Spirito di Dio. La sua legge è il nuovo comandamento di amare come ci ha amati Cristo
(cf. Gv13;34). Il suo fine è il regno di Dio, iniziato sulla terra da Dio stesso, ma destinato a dilatarsi
sempre più, per essere portato a compimento alla fine dei secoli.», Lumen Gentium 9, in EnchVat 1/309.

89
CONCLUSIONE

sostenuta dalla sua origine biblica e confermata anche dall’antico linguaggio liturgico
della Chiesa.
In secondo luogo, si è evidenziato come il post-concilio si sia sviluppato con una
marginalizzazione di questa figura, con le sole eccezioni della teologia e del magistero
latino-americano. Se fu così lo si deve certamente alla complessità di fattori
contraddittori che si erano intrecciati lungo il cammino delle idee e che rendevano
difficile la comprensione della portata di tale lettura. Una causa importante va ricercata
nel contesto culturale, sociale e politico nel quale la vicenda si è svolta: il termine
popolo è stato coinvolto nei movimenti scatenati dalle grandi ideologie che hanno
agitato nel secolo scorso e alle quali certa teologia non ha avuto il coraggio di sottrarsi.
Partire dal Popolo di Dio non significa partire dal basso, sviluppando una Chiesa
democratica contro una Chiesa gerarchica e monarchica: va sgomberato il campo
dall’equivoco ingenerato dalla teologia della liberazione. Non si può sostituire una falsa
visione unilaterale della Chiesa puramente gerarchica con una nuova concezione
sociologica, anch’essa unilaterale: error non corrigitur per errorem. Le diverse letture
massimaliste su aspetti specifici (sensus fidei, carismi) hanno voluto consapevolmente
prescindere dal dato conciliare e dalla mutua interiorità delle due forme di
partecipazione al sacerdozio (ministeriale e comune) che Lumen Gentium esponeva.
L’ecclesiologia del Popolo di Dio, nelle sue forme di radicalizzazione unilaterale ha
scisso l’unità e «la realtà fondamentale della Chiesa [che] è l’uguaglianza nella stessa
fede, nello stesso battesimo, nella stessa vita sacramentale di questo Popolo di Dio, in
maniera visibile».3
Il terzo capitolo ha evidenziato come la reazione di difesa sia dipesa non solo dagli
abusi causati dal suo utilizzo, ma anche dalle potenzialità di rinnovamento e di revisione
dell’ecclesiologia che la categoria reca in sé e che si sono volute limitare e frenare a
causa della paura che suscitava. A partire dal sinodo del 1985, che sancisce un
precauzionale cambio di modello, il lemma non compare più nei titoli o sottotitoli di
studi ecclesiologici condotti sul piano della riflessione teologica fondamentale, oppure

3
Intervento di Mons. Aloisio Lorscheider in G. CAPRILE, Il Sinodo dei Vescovi. Interventi e
documentazione, Ed. Studium, Roma 1992, p. 318.

90
CONCLUSIONE

di pubblicazioni che perseguono come obiettivo principale una chiarificazione


dottrinale. Non solo la prospettiva, ma persino quella menzione si è di fatto eclissata. È
stato messo in disparte e sostituito con un altro termine, quello di Comunione, che però
non riesce a rendere tutta la ricchezza racchiusa in Popolo di Dio.
A tutt’oggi non esiste una sintesi ecclesiologica di rilievo che metta a fondamento
tale nozione ecclesiologica. Se nel primo periodo postconciliare ci sono state
unilateralità che hanno portato una teologia del Popolo di Dio di carattere specialmente
sociologico o partendo da considerazioni che annullano la sua complessità e la
pluridimensionalità del suo mistero; sono comparse, con l’adozione della teologia della
Communio, altre prospettive, alcune anche unilaterali, che propendono a parlare del
mistero della chiesa in forma stratta e isolazionista senza sviluppare la prospettiva dl
Popolo di Dio.
La rilettura teologica nel quarto capitolo esplicita come la risonanza e l’eco che
questa nozione ha avuto durante la prima recezione della costituzione, ne mostrano tutta
la forza e le potenzialità. Non ha la stessa incisività il concetto di Corpo mistico,
volutamente messo da parte per un complesso di motivi, non quello di Comunione,
chiuso nella sua dimensione spirituale e a-storica, non quello di comunità per la sua
facilmente riconoscibile genericità. I modelli, intesi separatamente, non possono
sostituire da soli un linguaggio significativo il termine di Chiesa, perché chiedono
vicendevole complementarietà gli uni gli altri. La Chiesa dunque è il nuovo Popolo di
Dio, con l’implicita attenzione di non avallare teorie di sostituzione: l’antico patto
conserva sempre la sua validità, ma occorre che la riflessione teologica precisi e per
quanto possibile determini gli spazi operativi e i limiti. Il Popolo di Dio deve essere
letto nell’orizzonte dell’autocomprensione della Chiesa neotestamentaria, a partire dalla
chiamata da parte di Gesù, simbolo della raccolta escatologica del popolo. Il Popolo di
Dio porta in sé la menzione di storicità e socialità che permette di cogliere e interpretare
le dinamiche del processo di istituzionalizzazione ecclesiale nel suo insieme, non come
semplici luoghi o occasioni contingenti, ma come dimensioni discendenti e
teologicamente dipendenti dalla realtà umana e divina della Chiesa, nel suo essere
“mistero” in relazione con Dio. Questo punto di partenza giustifica la dimensione

91
CONCLUSIONE

politico-sociale della salvezza, a partire dalla dipendenza da Cristo, dalla relazione con
Lui. Conseguenza immediata della storicità è quella della soggettualità. Popolo di Dio è
veramente “un soggetto” e non semplicemente un “predicato” della chiesa come
succede con altre nozioni ecclesiologiche, ne designa l’essenza e non è una similitudine,
come accade per le altre immagini. Il popolo è soggetto attivo, consapevole di se stesso,
che è determinato, nel suo agire, dalla partecipazione e dalla responsabilità di tutti i suoi
componenti. La compartecipazione e la corresponsabilità sono caratteristiche della sua
natura e insieme progressive conquiste del suo avanzamento nella storia.
Sintetizzare l’intera Costituzione conciliare nella forma lapidaria “Chiesa è Popolo di
Dio” significa fondare un’ecclesiologia troppo unilaterale. I diversi modelli per
descrivere la Chiesa (Corpo, Communio, Popolo) non sono in contrasto tra di loro.
Benché irriducibili gli uni agli altri, le varie categorie teologiche possono ricostruire,
insieme, i caratteri essenziali della Chiesa, oggetto estremamente ricco che sorpassa la
comprensione umana e necessita di variegate prospettive che ne colgano le diverse
dimensioni.
La Chiesa Popolo di Dio è comunione instaurata con Dio Padre da e con Cristo e
animata dallo Spirito Santo: è l’umanità redenta che fattivamente prende parte
all’economia della salvezza nella comunione totale di Cristo Gesù al volere del Padre.
Chi volesse costruire una teoria della Chiesa, partendo da una sola categoria,
applicherebbe attributi che non converrebbero, e dall’altra trascurerebbe alcuni dati
essenziali della sua realtà. Popolo di Dio, dunque, non è una categoria esaustiva,
bastevole a se stessa: ciò non è sinonimo di debolezza teologica, perché la correlazione
con altri modelli previene le arbitrarietà del passato, e nel contempo amplia la
possibilità di descrivere la verità della Chiesa di Cristo. L’auspicio è che con la
riscoperta di Popolo di Dio da parte di papa Francesco possa proseguire questo
cammino in fieri di consapevolezza della stessa Chiesa, e ciò le doni la forza di
perseverare nella missione affidatagli da Cristo, suo Signore.

92
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