Ormai, ad oltre un secolo e mezzo di distanza, abbiamo la consapevolezza, basata sull’esperienza
storica, che tra Alessandro Manzoni e Graziadio Isaia Ascoli la giusta norma stia nel “mezzo”, in quanto anche se non si può imporre un modello vincolante di lingua, poiché l’uso ne rappresenta una componente importante dell’evoluzione, resta ferma la necessità di una qualche misura onde evitare una situazione incontrollata in cui dominino il gergo e il turpiloquio, come oggi alcuni “cattivi maestri”, soprattutto in campo musicale, stanno imponendo. Ma chi è che fa cadere le parole nel dimenticatoio o le introduce nell’uso comune? Con un vocabolo recentemente sdoganato dall’inglese, potremmo dire, gli influencer, cioè coloro che sono in grado di influenzare gli altri. In riferimento alla lingua sono molti: scrittori, giornalisti, artisti, politici, ovvero tutti quelli che hanno un uditorio, ampliatosi in misura esponenziale, potendo usufruire non più solo del contatto diretto, ma progressivamente della radio e della televisione, fino all’attuale “rete” che con i social dà voce a chiunque sappia conquistarsi uno spazio. Così, attraverso il parlare di chi ha visibilità, parole ed espressioni escono ed entrano dal nostro lessico. Per quanto riguarda le parole cadute in disuso, esistono specifici dizionari, come Il libro delle parole altrimenti smarrite di Sabrina D’Alessandro (Rizzoli 2011) e Il dimenticatoio. Dizionario delle parole perdute (Franco Cesati Editore 2016), in cui ne troviamo molte probabilmente mai sentite. Così “fannonnola”, persona che non ha voglia di far nulla, “soppiattone”, individuo che agisce nascostamente, “sinforosa”, donna attempata che si atteggia a giovinetta, “sagittabondo”, chi lancia sguardi che fanno innamorare, “sgargigliona”, fanciulla prosperosa. Questi sono casi estremi, di cui potremmo ipotizzare la caduta nell’eccessiva lunghezza e nel suono improntato a comicità, nonostante si tratti di vocaboli che permettono di cogliere sfumature sottili. Ma ci sono tante altre parole, ancora registrate in dizionari moderni, andate perse, moltissime in quanto legate a mestieri non più praticati, altre poiché sentite come patinate di grigiore. Quest’ultimi sono vocaboli che potremmo definire “gozzaniani”, tra cui emergono “signorina” e “giovanotto”, sostituiti da “ragazza” e “ragazzo” per i quali l’autorevolezza dei cronisti di quotidiani e TV ha posposto il limite con sconfinamenti oltre i quarant’anni. Altri sono caduti forse perché contraddistinti da un’eccessiva sonorità, come “smargiasso”, che andava così bene per rendere in italiano il titolo della commedia di Plauto Miles gloriosus, per il cui aggettivo Pasolini aveva coniato un italico “vantone” (dal dialetto romanesco) che, però, non ebbe vita né d’uso, né letteraria. Maggior fortuna trovò in tempi moderni come “onomaturgo”, ovvero “inventore di parole” (vocabolo questo mai sdoganato), Gabriele D’Annunzio alla cui fertile fantasia linguistica si devono “scudetto”, “tramezzino” (per italianizzare l’inglese sandwich, popolarmente storpiato in sanguis), “velivolo” e “fusoliera”, nonché Vigili del Fuoco, che ha soppiantato il “pompieri” (calco dal francese), la Rinascente e qualche altra, mentre il suo “arzente” (ovvero “acqua ardente”, per “bevanda fortemente alcolica”) non è mai entrato al posto del francese cognac. Ci sono state anche parole cadute e poi ritornate prepotentemente in auge. Un esempio è “calcio”, vocabolo storico per definire un gioco praticato a Firenze nel ‘500, il “calcio fiorentino”, appunto, recuperato poi per sostituire l’inglese football che ai suoi inizi venne definito “una specie di quello che in Italia si chiamava giuoco del calcio […] in uso […] fin dall’epoca del Rinascimento”, come spiega nel 1894 il volumetto L’educazione fisica della gioventù. Altri vocaboli sono stati accantonati per ragioni di alone politico. Il caso più significativo è quello di “patria”, completamente eclissatosi nel dopoguerra, in sostituzione del quale è stato introdotto “paese”, con un’accelerazione significativa da parte di Massimo D’Alema, quando era Presidente del Consiglio, al quale va ascritto anche il demerito di aver espunto dal “politichese” l’uso del congiuntivo, che penso conoscesse bene, perché (ad onor del vero!) negli anni del liceo classico al D’Oria era bravo, ma, evidentemente, da sinistra riteneva meglio democratizzare il parlato sdoganando il più proletario indicativo anche dove la buona grammatica prescriveva il congiuntivo. E (purtroppo!) ha fatto una certa scuola… “Patria” è stato nuovamente recuperato in tempi recenti nell’ambito dei “sovranisti”, in un’accezione meno idealista e più protezionista rispetto a quella risorgimentale. Tra le parole cadute in disuso ci sono molti improperi e insulti, al cui riguardo sono stati introdotti termini molto più volgari, per cui, riprendendo vocaboli del passato, si potrebbe svillaneggiare qualcuno senza che neppure se ne renda conto. È probabile, infatti che molti non conoscano più il significato di “lazzarone”, “sciamannato”, “gaglioffo”, “filibustiere”, “malandrino”, “lestofante”, “fedifrago” che un tempo avevano un valore fortemente offensivo. Purtroppo, ormai, gli insulti, le bestemmie e le parolacce sono state sdoganate in massa, soprattutto nel gergo giovanilistico, nella presunzione che aver raggiunto una libertà espressiva di quel tipo possa rappresentare un valore. Al vertice troneggiava qualche anno fa il “vaffa…”, addirittura assurto a slogan politico, soppiantando il “celodurismo” bossiano, dismesso come vanto dei padani. E il “vaffa…” con il suo seguito è diventato una linea di abbigliamento intimo per uomo, donna e bambini (così imparano subito come si parla!). C’è stato, però, anche qualche tentativo di raffinatezza, mi pare in ambito berlusconiano (forse per non declassare troppo il cavaliere!), con il prelievo dall’inglese di escort al posto dell’italiano “prostituta” con tutte le sue varianti regionali. Così per transessuale è stato introdotto “travestito”, con parallelismo con quanto già avvenuto per “omossessuale”, utilizzato prevalentemente nelle sue varianti regionali e popolari, sostituito ormai universalmente da gay, anche se Roberto Calderoli aveva tentato di sdoganare “culattone”. Per tutto quello che riguarda il corpo e la sessualità il via libera a vocaboli realistici, in sostituzione della terminologia metaforica e allusiva, è da ascrivere in larga misura al movimento femminista con la sua produzione letteraria di genere a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, momento in cui è avvenuto nella narrativa italiana, a seguito del generale permissivismo libertario, lo sdoganamento delle scene di vita sessuale, narrate con precisione lessicale, con un crescendo che oggi sembra aver raggiunto livelli di inutile banalità nel sempre più vistoso dilagare. Ad entrare nell’uso comune sono poi molte espressioni di origine dialettale, che, seguendo la fortuna del veneto “ciao” (legato al giovanilistico dominare del “tu”), stanno rapidamente affermandosi, come il romanesco “ci fai o ci sei?”, il “non t’allargare”, il “parla come mangi” e il “non esiste”, che stanno soppiantando ormai definitivamente i tanto deprecati “cioè” e “attimino”, rimpiazzati dall’inutile asseverativo di rinforzo “assolutamente”, soprattutto con il “sì”, per l’effetto rafforzativo dell’allitterazione della “s”. Ci sono poi parole usate con indebito ampliamento di significato. Forse la più rilevante è fidanzato/a. Il vocabolo, derivando da “fidanza” (fiducia, garanzia, impegno giuridico), implica qualcosa di solenne, un impegno serio, anche se non formalmente vincolato, che tradizionalmente consisteva nella promessa di matrimonio. Nelle fasi anteriori e in situazioni più informali ci possono essere “morosi” (Lombardia e Veneto), “ganzi” (Toscana), uomini e ragazzi (secondo l'età), “filarini” (ormai un po’ rétro), partner (soprattutto negli oroscopi o nei dépliant), boy-friend (scherzoso) coi naturali corrispettivi femminili, senza però un nome per il relativo rapporto. Quando la relazione sia più avanzata, pur senza vincolo formale, troviamo anche “compagni” (nel senso di conviventi, con spostamento semantico) e “amanti” (con connotazione erotica). Oggi, però, fidanzato/a viene comunemente usato, specie nelle notizie di cronaca (con un certo stridore quando si parla di femminicidi!), per indicare “chi ha uno stabile rapporto affettivo con qualcuno”, con eliminazione della congiunta “promessa di matrimonio”. Questo significato è ormai ufficialmente ammesso, in quanto riportato nel vocabolario Sabatini-Coletti, mentre nei precedenti, ad esempio nel Devoto-Oli, compariva solo quello tradizionale. I politici recenti non hanno dato contributi rilevanti allo sdoganamento lessicale, al di là del termine “badante”, introdotto da Umberto Bossi, e stabilizzatosi nella normativa pubblica, e “bamboccioni”, inventato da Renato Brunetta e imposto da Tommaso Padoa-Schioppa nel 2007, e del tentativo di Gianfranco Fini, nello stesso anno, di sdoganare “cazzata”, senza far scuola... per fortuna! Ora c’è da sperare che non diventi influencer chi usa espressioni che fanno riemergere parole e toni che ci ricordano un passato che credevamo storicamente concluso. Quell’«ora dovrà marcire in galera», pronunciato da Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, a proposito di Cesare Battisti, neppure nella foga di un comizio, ma in un’occasione a cui lui stesso aveva voluto imprimere ufficialità istituzionale, ci fa temere il risorgere di un linguaggio spia di una mentalità giustizialista e forcaiola, che fa ombra alla giustizia vera. Diverse nuove espressioni sono entrate tra le formule di saluto, in cui, ad imitazione dell’inglese, il tradizionale “buongiorno” è stato sorpassato nell’uso da “buona giornata”, mentre sta dilagando un per noi inedito “buon pomeriggio”, soprattutto in TV, e “buona serata” eclissa “buonasera”, in questo caso con uno spostamento semantico, in quanto “sera” ha un significato generico come parte della giornata che prelude alla notte, mentre “serata” si connota più specificamente in riferimento allo stato del cielo, all’aria e alla temperatura ed è da tempo usato nel linguaggio televisivo per indicare una specifica fascia di programmazione. A queste novità si può aggiungere il “buon pranzo” di papa Francesco, al posto del consueto “buon appetito”, che si sta rapidamente diffondendo. Non basta, però, che un vocabolo venga utilizzato occasionalmente per entrare davvero nel lessico. Deve consolidarsi nell’uso, fino a ricevere una sorta di accettazione ufficiale quando viene inserito tra le Nuove parole italiane del dizionario Zingarelli (Zanichelli). L’ultimo del 2017 accoglie soprattutto parole inglesi, tra cui spiccano cosplayer per indicare coloro che vanno a feste e raduni a tema degli anime, cioè dei personaggi dei cartoni animati giapponesi, cantando e ballando le loro sigle e indossando i loro panni, e Donut, la ciambellina fritta coperta di glassa e codette di cui Homer Simpson (della serie tv The Simpson) è goloso. Questi sdoganamenti potrebbero essere imprudenti, in quanto, questi vocaboli, legati come sono ad una moda momentanea, non è detto che durino e si consolidino nell’uso, che resta il vero dominatore del linguaggio al quale, però, bisognerebbe guardare con un atteggiamento di maggior attenzione e consapevolezza critica, in quanto è lo specchio del pensiero. Infatti il conte de Buffon, al tempo dell’Illuminismo, diceva che «lo stile è l’uomo».