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Fedro

Fedro è il principale rappresentante latino di un genere minore,la favola, che


egli introdusse per primo nella letteratura romana.

Fedro nasce a Macedonia, venne a Roma da bambino come schiavo, è


liberto di Augusto (libertus Augusti). Molto probabilmente, come molti liberti
di madrelingua greca, grazie alla sua cultura si dedicò all’insegnamento e si
può supporre che la sua produzione poetica sia nata dall’esercizio della
professione infatti, le favole erano comunemente usate come libri di testo
nelle scuole per l’apprendimento della lingua latina in quanto brevi e semplici
nello stile. Fedro sperava con i suoi componimenti di raggiungere la fama,
ma così non fu infatti venne anche perseguitato da Seiano, ministro di
Tiberio, che urtato dal carattere satirico di alcuni componimenti lo fece
processare e condannare. di Fedro ci sono pervenuti cinque libri di favole
inversi per un totale di un centinaio di componimenti.

Il modello a cui Fedro s’ispira è Esopo, uno scrittore greco che gli antichi
considerarono l’iniziatore della favola letteraria: egli per primo avrebbe
raccolto il materiale favolistico greco dando forma letteraria ad una materia
che viveva soprattutto a livello popolare, rimanendo a data alla tradizione
orale. La favola divenne così un vero e proprio genere, costituito da brevi
racconti di fantasia, dotati di un signi cato pedagogico e morale: essi
proponevano modelli di comportamenti positivi o negativi, esprimevano una
visione della vita ispirata a una saggezza tipicamente popolare, con spunti di
critica sociale e di protesta degli umili e dei deboli contro i potenti e
prepotenti. I protagonisti della favola esopica sono molto spesso animali
parlanti, simboli di atteggiamenti umani; ma la tradizione esopica
comprendeva anche una serie di storielle con aneddoti e battute relativi allo
stesso Esopo (l’umile schiavo molto più intelligente e saggio del suo
padrone). Esopo scrive in prosa. Per quanto riguarda la stesura di favole in
poesia Fedro s’ispira agli autori Romani Ennio, Lucilio e Orazio che avevano
inserito il genere delle favole nelle loro raccolte di satire.

Lo scopo dichiarato nel prologo del I libro è duplice: il poeta intende divertire
ma anche monēre (ammonire, consigliare). Questo duplice intento viene
riproposto anche nel prologo del II libro: in esso Fedro ribadisce la sua stima
verso Esopo, e chiede al lettore che gli sia concesso di inserire qualcosa di
suo oltre a ciò che trova nel modello per garantire la varietas, in cambio di
benevolenza egli assicura che continuerà ad attenersi al criterio della
brevitas. La varietas e la brevitas risultano infatti i capisaldi della poetica
fedriana. La varietà s’muove dall’intento di superare gli schemi ripetitivi è un
po’ angusti della favola animalesca, e si manifesta chiaramente nel
passaggio dal primo libro, dominato dai animali parlanti, ai successivi, in cui
compaiono spesso altri personaggi come divinità dell’Olimpo, personaggi
mitologici, aneddoti su Esopo e Socrate; e troviamo inoltre alcune storielle e
raccontini non fantastici ma realistici. Dunque la varietas è il criterio a cui
Fedro si appella per rinnovare in parte il genere tradizionale attuando
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l’aemulatio del modello. L’emulazione non si esercita però soltanto
nell’ampliamento dei contenuti, ma anche nel campo delle scelte stilistiche;
Fedro infatti, pur adottando uno stile semplice, non rinuncia alla cura e
all’elaborazione stilistica e si attiene al criterio della brevitas. Quest’ultima si
manifesta specialmente nei dialoghi, essenziali e pregnanti, scritti in un
linguaggio colloquiale che assume movenze realistiche; ma si può
riconoscere pienamente anche nell’uso dei proverbi.

In quanto il genere favolistico è di derivazione popolare la visione della vita


coincide con il punto di vista degli umili, dei poveri, degli esclusi dal potere.
Fedro consapevole della carica di protesta sociale insita nel genere
favolistico nel prologo del III libro egli precisa di non aver mai avuto
l’intenzione di attaccare personalmente qualcuno, ma semplicemente di
“mostrare la vita i comportamenti degli uomini“: infatti nelle favole
conservate non troviamo mai un atteggiamento satirico (aspro, aggressivo e
pungente); ma l’intento moralistico e pedagogico sembra rivolto
genericamente contro i difetti e gli errori umani.

Caratteristica della favola è la presenza della “morale”. La morale che si


ricava dal complesso delle favole è piuttosto amara e pessimistica, ma
anche rassegnata, basata sulla constatazione che la legge del più forte
domina sovrana nel mondo. Si tratta di una morale statica e rinunciatoria,
che deplora il male ma lo ritiene inevitabile e non s’illude di potervi porre
rimedio. Il povero e il debole, se vogliono sopravvivere, evitando guai
peggiori, devono saper stare al loro posto, accettando le regole del gioco e
cercando nella prudenza e nell’astuzia i mezzi per difendersi dall’ingiustizia e
dalla prepotenza. All’interno di questa visione del mondo, che egli eredita
dalla tradizione esopica e a cui aderisce pienamente, inserisce talora spunti
di derivazione diatribica: tra di essi spicca l’a ermazione del valore
incalcolabile della libertà, che è presentata come il bene più prezioso, da
anteporre ogni vantaggio materiale.

Il lupo e l’agnello
Un lupo e un agnello erano giunti allo stesso ruscello, spinti dalla sete. Più in
alto stava il lupo, molto più in basso l'agnello. Allora, spinto da una fame
ingorda, quel brigante cominciò la rissa; "Perché -disse-mi hai intorbidito
l'acqua mentre bevevo?" Ma l'agnello tremante:"Come posso, di

grazia, oh lupo, fare ciò di cui ti lamenti?" Dai tuoi sorsi ai miei scorre
l'acqua". Quello, messo alle corde dalla forza della verità,"Sei mesi fa -dice-
hai parlato male di me". Risponde l'agnello: "Veramente non ero ancora
nato" "Allora tuo padre, per Ercole, ha parlato male di me".

E cosi a erratolo lo sbranò con un'ingiusta morte. Questa favola è scritta per
quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.

Analisi: È una tipica favola animalesca a due personaggi, narrata con


e cace brevitas ; il dialogo è vivo e naturale; la morale è proposta negli
ultimi due versi. Il lupo è un predatore e l'agnello una preda, avrebbe potuto
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mangiarsi il tenero animale senza nemmeno rivolgergli la parola ed invece ha
cercato un pretesto, credendo di avere la meglio anche verbalmente oltre
che sul piano sico. In realtà l'agnello si è saputo difendere bene, anche
perché non poteva essere accusato di nulla, ma questo non gli è mica
servito a salvarsi la pelle. La favola dimostra che contro chi ha deciso di fare
un torto non c'è giusta difesa che valga. la favola di massa esemplarmente la
dura e spietata legge del più forte che domina nei rapporti umani.

Morale:  I prepotenti calpestano i deboli con falsi pretesti. Chi è dalla parte
del giusto talvolta non può nulla contro chi è più forte.

La parte del leone


non si può stringere alleanza con il più potente questo è dimostrato nella
favola che segue: la mucca, la capretta e la pecora rassegnata al male si
alleano con il leone. tutti collaborano alla cattura di un cervo, il leone fece le
parti dicendo: “la prima è mia perché mi chiamo leone, la seconda è mia
perché sono il più forte, la terza è mia perché sono il più potente e la quarta
guai a chi la tocca”. Così quel furfante del leone si portò a casa l’intera
preda.

Analisi: Fedro denuncia la società del tempo che si basa sulla legge del più
forte. Infatti nonostante tutti e quattro gli animali abbiano collaborato per
catturare il cervo l’unico che ha mangiato la preda è il leone perché più
forte.

La morale – La favola vuole dimostrare che l’alleanza con i potenti non è mai
conveniente, visto che si è immancabilmente sopra atti da loro.

La volpe e la cicogna
non fare del male; ma se uno ti o ende, ripagano della stessa moneta: è la
morale della favola.

Una volpe e una cicogna – si racconta – si invitarono a cena


vicendevolmente. La volpe, prima a invitare, preparò in un vassoio una
brodaglia dal profumo molto appetitoso. La cicogna, pur essendo a amata,
in nessun modo riuscì a mangiare, a causa del suo lungo becco, e si mangiò
tutto la volpe. Questa, avendo ricambiato l’invito, mise davanti alla volpe una
bottiglia piena di cibo sminuzzato, di cui si saziò dopo avervi ccato il becco
facendo so rire la fame all’invitata. E mentre questa cercava invano di in lare
la sua bocca nel lungo collo della bottiglia, sappiamo che l’uccello migratore
le abbia detto: « Deve ognuno subire di buon grado quello di cui egli stesso
ha dato esempio >

Analisi: La volpe vorrebbe far prevalere la sua astuzia sulla cicogna


prendendosi gioco di lei: la invita a pranzo ma poi le serve il cibo in un
recipiente non adatto a un animale con le sue caratteristiche siche. La
cicogna che non è riuscita a toccare cibo, anziché abbattersi o arrabbiarsi,
se ne va senza mostrarsi scon tta, ma non prima di aver invitato a sua volta
la volpe a pranzo. Questa volta sarà lei ad usare la stessa tattica della volpe,
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lasciandola con lo stomaco vuoto... ma quello della cicogna è più di una
banale vendetta, è un insegnamento di vita: non bisogna mai fare dei torti
agli altri se non vogliamo che gli stessi torti vengano fatti anche a noi.

Morale: Non far del male, ma punisci chi ne fa a te con la stessa sua legge.

La volpe e l’uva
Spinta dalla fame una volpe tenta di raggiungere un grappolo d'uva posto sin
alto sulla vite, saltando con tutte le sue forze. Non potendo raggiungerla,
esclama: "Non è ancora matura; non voglio coglierla acerba!". Coloro che
sminuiscono a parole ciò che non riescono a fare, devono applicare a se
stessi questo esempio.

Analisi: Al contrario di altre favole o racconti, la volpe non è astuta, bensì


incapace di raggiungere un obiettivo che si era pre ssata: arrivare all'uva
con un salto per sfamarsi. Ancora a amata e frustrata per non essere riuscita
ad arrivare all'uva, si allontana dicendo che "non è ancora matura". Con tale
espressione,  la volpe vuol far credere che è inutile fare tanti sforzi per un
grappolo d’uva acerba; l'unica che probabilmente è riuscita a ingannare è
solo se stessa.

Morale: La morale del racconto è che non bisogna disprezzare ciò che non
si può ottenere. Questo comportamento della volpe è una tipica abitudine di
quelle persone che non riescono ad ammettere di non essere portati per fare
un determinato lavoro e, per nascondere le proprie lacune, mentono
sapendo di mentire: cambiando discorso, dando la colpa ad altro,
spregiandolo. possono sopravvivere solo con astuzia e prudenza, in questa
favola Fedro denuncia l’uso sbagliato dell’astuzia. infatti, la volpe che nella
tipologia convenzionale è simbolo di astuzia, qui applica il suo ingegno per
ingannare se stessa.

I difetti degli uomini


Giove ci mise addosso due bisacce: una piena dei nostri difetti e ce la mise
sulle spalle, l’altra pesante dei difetti degli altri sospesa ssò davanti al
nostro petto. Per queste ragioni non possiamo vedere i nostri difetti; non
appena gli altri commettono uno sbaglio siamo giudici in essibili.

Analisi e Morale: in pochi versi Fedro descrive una modalità di


comportamento frequente tra gli uomini: severità nel giudicare difetti degli
altri e incapacità di vedere i propri.

La novella della vedova e del soldato (Fedro)(Appendix


Perottina)
una donna dopo aver perso l’amato marito non faceva altro che passare le
giornate piangendo nel sepolcro di quest’ultimo. Nel frattempo dei ladri
avevano spogliato il tempio di Giove e vennero croci ssi, perché nessuno
potesse portar via le loro spoglie venne posto sul luogo un soldato, proprio
accanto al sepolcro in cui la donna era chiusa. Il soldato rimase a ascinato
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dalla bellezza della donna e questa conquistata dalle attenzioni dell’uomo
cedette alla tentazione e si abbandonò alla passione. una notte quando i due
erano insieme uno dei cadaveri dei ladri venne rubato, il soldato preoccupato
per il suo lavoro raccontò tutto alla donna che mossa dal sentimento che
provava per lui decise di cedergli il corpo del marito per camu are il
misfatto.

Morale: la novella è preceduta dal sottotitolo “la grande volubilità e


sensualità femminile“ in cui è condensata la morale. Fedro denuncia
l’incoerenza e la volubilità della donna e denota che anche le persone più
virtuose e nobili cedono di fronte alla sessualità, tanto da annullare persino
onore e fedeltà.

La stessa storia, narrata più distesamente e arricchita di particolari, troverà


spazio nel Satyricon di Petronio, nella novella della matrona di Efeso.

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