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Impercettibili questioni di coscienza

di Silvia Cazzato
Pubblicato sulla pagina fb di Matasse – Luogo del sentire e del pensare – di Emanuele Augieri,
Silvia Cazzato, Serena Gatto

Orbene. Vado in un negozio di commercianti cinesi e compro alcuni “susarielli”, come


direbbero a Napoli. Un gruppetto di piccoli oggetti relativamente utili.
La signora alla cassa, che intuisco essere la proprietaria insieme al marito (dal modo che ha di
porsi con la clientela e soprattutto con un giovane impiegato che comanda a bacchetta), batte i
prezzi su una piccola calcolatrice per produrre un totale da riportare poi, in maniera globale,
sul calcolatore di cassa.
Ricopia le cifre dei singoli oggetti con estrema rapidità, malgrado il negozio sia vuoto. Lo fa
perché (io ero là e seguivo l’operazione) vuole battere un euro in più.

Io me ne accorgo nettamente. Ha battuto un euro in più.


In pratica, mi sta rubando un euro.

In quel frammento di secondo penso diverse cose, simultaneamente.


Innanzitutto, penso che mi dispiace molto per lei. La signora sta rubando.

Che cosa triste rubare. Essere un ladro secondo me è mortificante. Ma come sta, un ladro, di
dentro? Come si sente? Si sente furbo? Sente di riparare ad un’ingiustizia sociale, perché
magari pensa che quell’euro intascato arbitrariamente sarebbe spettato a lui e non all’altra
persona che magari vede più ricca? Come mai sente la necessità di fare un gesto così
avvilente?

Sollevo dunque lo sguardo e resto impassibile, senza cambiare espressione del volto. I nostri
sguardi si incrociano, ma io non voglio mettere la signora in imbarazzo. Non voglio
mortificarla facendola sentire una ladra.

Io aborro le gogne. Trovo che trasformino chi giudica nel peggiore dei carnefici. Chi addita il
malfattore per me diventa, se non peggiore di lui, almeno come lui.
Per me.

Secondo me la signora, in un fulmineo frangente, coglie che io ho visto la manovra. Pensa che
potrei aver visto il furto, che lei d’altronde era già pronta a giustificare, ove io gliel’avessi fatto
notare, come un errore di battitura. D’altronde, figuriamoci, si trattava solamente di un euro…

Ma io decido di tacere. Di donare un euro alla causa.

La signora sta per battere la cifra sul registratore di cassa e forse, io credo sia successo questo,
ha contattato in quel secondo la sua coscienza. Secondo me, ma solo lei lo sa, la coscienza le ha
detto di non rubare. Mi piace pensare che sia accaduto esattamente questo.

La signora, a quel punto, mi fa “uno sconto” di 50 centesimi. Non aveva mai fatto uno sconto
prima d’allora, è sempre stata visibilmente venale. Batte allora 50 centesimi in meno
riducendo il furto a soli 50 centesimi.

Forse, dico forse, per sentirsi un po’ meno in colpa. Chi lo sa.
Quando ho raccontato l’episodio a diversi amici, mi hanno tutti risposto che sono un’illusa, che
la signora è una bieca venditrice che non ha avuto certamente un rimorso di coscienza, ma,
semplicemente, avendo percepito che io forse avevo percepito il ladrocinio, ha voluto
attenuare la gravità della ruberia nel caso in cui io glielo avessi fatto notare.

Può darsi, non dico di no. Può darsi.

Ma io, lasciata libera di disegnare un finale, preferisco pensare che abbia colto un barlume
dentro di sé, sfuggito da una porta inaspettatamente socchiusa. E che non abbia potuto
ignorarlo.

E così sono uscita dal negozio, riservandole il miglior sguardo d’intesa di cui io disponessi.
“Alla prossima, signora”.

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