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• REALISMO
• CINEMA FANTASTICO
Con il film “Mary Jane’s Mishap (1903) si ha uno dei primissimi esempi di raccordo
sull’asse e di uso del primo piano, oppure Williamson sperimenta la tecnica del
primissimo piano nel film The big swallow (1901).
Gli inglesi scoprono che possono passare da un’inquadratura ad un'altra per far sapere
allo spettatore cose che i personaggi non sanno, si forma un rapporto gerarchico tra
spettatore e personaggio.
Il cinema britannico è molto diverso da quello francese, non è così anarchico, ha una
sostanziale impronta educativa o moralista, vi è un importante principio che
arriverà fino al cinema dei giorni nostri: la lotta del bene contro il male nella quale
il bene trionferà sempre, avevano una necessità di lieto fine. Un esempio è Rescued
by rover (1905).
Il cinema inglese è sostanzialmente legato alla morale vittoriana, che è alla base del
futuro cinema narrativo, la storia si sviluppa in 3 fasi:
• L’ordine
• La trasgressione
• Il ripristino dell’ordine
Un’altra grande attrazione era il colore, esistevano vari tipi di colorazione per la
pellicola in bianco e nero: viraggi, imbibizioni o colorazione a mano.
Con i viraggi si immergeva la pellicola in liquido che colorava secondo l’atmosfera,
però con questa tecnica una separazione semantica dei colori era impossibile;
combinando il viraggio con l’imbibizione si potevano ottenere colori diversi nella stessa
pellicola.
La colorazione a mano era un processo artigianale, non industriale, quindi più
affascinante, ogni copia era un’opera singola, questo lavoro era affidato alle donne.
Il cinema delle attrazioni era uno spettacolo ambulante fino al 1905-1906, non vi
erano sale destinate esclusivamente alla proiezione di film, quindi non era ancora il
soggetto rappresentato che attirava la gente, ma il cinematografo stesso, la magia
delle immagini in movimento.
Le pellicole ancora non si noleggiavano, ma si comperavano, quindi il film era ancora
più simile ad un progetto artigianale che industriale.
Solo in seguito si è cominciato ad affittare locali per aprire sale di proiezione.
Dopo il 1907 il cinema diventa un’istituzione, gli spettacoli diventano attraenti e
accattivanti, prima le vedute erano scollegate fra loro, gli spettatori andavano al
cinema attratti dalla novità, ora le modalità di coinvolgimento erano più avanzate, non
vengono usate più attrazioni scollegate l’una con l’altra, gli spettacoli raccontano
storie, e diventano più lunghe.
Nascono i Nickelodeon, sale che proiettavano ad un prezzo ridotto frequentate da un
ceto basso.
2. La nascita del cinema narrativo in Europa e in USA
Fra 1906 e 1915 avviene una trasformazione: dal cinematografo al cinema, nasce il
cinema narrativo.
Prima il cinematografo illustrava solo storie raccontate da altri, ora il cinema le
racconta da solo. La voce del presentatore però rimarrà nelle didascalie (anche se
astratta e impersonale), perché ancora non tutti erano in grado di leggere, avevano
diverse funzioni: anticipano le immagini, commentano le azioni, dicono quello che non
si vede tra le varie immagini, vengono scritti i dialoghi tra i personaggi.
Dal 1906 il cinematografo entra in crisi, con la nascita di una nuova classe di
lavoratori e l’arrivo di un’età di benessere generale il cinema deve cambiare per
adattarsi alle trasformazioni sociali, dovevano essere inventate storie nuove, ma
soprattutto lo stile doveva rinnovarsi. A questo pensò Griffith con l’invenzione del
montaggio narrativo e analitico, la vecchia inquadratura con scene lunghe e fisse
veniva abbandonata e scomposta in tante inquadrature più piccole, ognuna
corrispondeva ad un punto di vista differente, bisognava trascinare lo spettatore
dentro la storia.
l montaggio analitico si basa sul raccordo, per chi esegue il montaggio si tratta di
un’unione fisica di 2 inquadrature, per chi lo guarda invece assiste ad un cambiamento
di inquadratura, ma affinché lo spettatore capisca quello che succede ci deve essere
fluidità, sarà il codice per le narrazioni intense e appassionate.
Il montaggio narrativo nasce grazie al montaggio analitico, verrà usato come modello
per chi vorrà portare lo spettatore a riflettere, consisteva nella scomposizione di una
singola scena in tante inquadrature frammentarie, veniva eseguito attraverso i
raccordi:
L’unione del raccordo di sguardo con quello di posizione crea una figura di campo
contro campo.
L’obiettivo era favorire la costruzione di una diegesi coerente, ovvero il mondo
parallelo doveva essere coerente con le leggi fisiche vigenti nella mente dello
spettatore.
Una sequenza nasce dalla somma di un certo numero di inquadrature, diventa
un’unità di narrazione, la scena autarchica viene scomposta in più inquadrature e lo
spazio viene diviso in più punti di vista.
Dagli anni ‘10 si comincia ad usare il montaggio alternato, mostra alternativamente 2
eventi simultanei collegati. Con Griffith poi nasce la narrazione.
Il montaggio parallelo invece consiste nel mostrare alternativamente 2 scene.
Dal 1906 in poi si passa al noleggio delle pellicole, sono loro che cominciano a
viaggiare da un paese all’altro facendo diventare il cinema una sorta di istituzione
sociale.
Il genere comico è stata la prima varietà di cinema inventata, seguito poi da quello
poliziesco; all’inizio venivano girate delle serie di film che avevano in comune
personaggi, antenate delle moderne serie cinematografiche e di televisione.
In Italia Torino Milano Roma e Napoli erano le città principali in cui si giravano film, a
Roma è stato inventato il genere di film storico o in costume, un genere che diventerà
di grande importanza, il cinema italiano ha inventato uno spettacolo visionario teatrale
e musicale.
Giovanni Pastrone ha il merito della diffusione di questo tipo di cinema, con Cabiria
(1914), un film veramente innovativo per quel periodo, sia per la durata che per le
scenografie e il linguaggio usato, in più è il primo film girato con una cinepresa dotata
di carrelli, quindi poteva muoversi nello spazio.
La trama viene usata come pretesto per mettere in scena un grandioso spettacolo di
teatro, musica e immagini. Rientra ancora nel cinema con una dominante attrazione
visiva e una debole struttura narrativa, anche se lo stile è diverso dal cinema delle
attrazioni.
Il film tenta di collegare teatro, cinema, musica e pittura, creando un altro genere che
arriverà fino i giorni nostri: il film colossale-catastrofico.
Pastrone usa anche un montaggio che non ha la funzione di metamorfosi, ma ha
un’intenzione narrativa, cambia il punto di vista anche durante una singola scena
abbandonando l’inquadratura autarchica.
Possiamo definire Cabiria come uno spettacolo visionario, non un film narrativo.
Grazie all’uso di inquadrature non fisse (chiamate inserti) la storia era di
comprensione più facile, questa tecnica viene usata da Griffith nei suoi primi film, con
Birth of a nation (1915) vedremo pienamente all’opera il nuovo modo di raccontare, al
contrario di Cabiria questo è un’opera completamente narrativa; il dinamismo dei
personaggi, la sorprendente velocità nello svolgimento dell’azione segnano un grande
cambiamento rispetto ai film contemporanei, lenti e statici.
Con Griffith nasce il Sistema retorico narrativo, che comprende tutte le tecniche
inventate dallo stesso (raccordo sull’asse, dissolvenza e primo piano).
Soprattutto il primo piano diventa importante perché contribuisce alla costruzione
psicologica del personaggio, lui lo usa per descrivere i volti dei personaggi.
Birth of a nation è un grande discorso politico, il film sostiene una tesi politicamente
reazionaria, i neri sono considerati una razza inferiore e solo i bianchi possono
esercitare e difendere la giustizia.
Con questo film nasce anche la poetica dell’eccesso cinematografico, in cui il bene e il
male si contrappongono come valori assoluti e senza mediazioni.
In questo film si ha per la prima volta un uso sistematico delle nuove figure
cinematografiche, e della loro integrazione dentro un grande corpo narrativo.
Con Griffith nasce un nuovo ruolo, il regista, da adesso è lui che prende in mano il
destino del film.
La scomparsa dell’imbonitore invece è subito sostituita dalle didascalie, utilizzate per
presentare la scena, è come la voce simbolica del regista, diventa lui il narratore.
Un anno dopo Birth of a nation gira un film per riscattarsi dalle accuse di razzismo
causate dal primo film, con Intolerance (1916) elabora forme narrative nuovissime,
per denunciare i mali causati dall’intolleranza ha deciso di raccontare 4 storie che
scorrono alternativamente sullo schermo,
il film diventa una sintesi della violenza del mondo; le 4 storie sono: la caduta di
babilonia, la passione di cristo, lo sterminio degli ugonotti, una storia di gangster
contemporanei.
Gira questo film per riscattarsi dalle accuse di razzismo del film precedente, con
questo vuole mostrare con intento critico che l’intolleranza ha sempre la meglio, solo
nell’episodio contemporaneo traspare una visione positivistica.
È presente la figura del narratore onnisciente, una figura astratta che organizza le
immagini e le didascalie.
Le storie corrispondo ai 4 generi maggiormente usati fino a quel periodo, il film
colossale, quello storico, quello religioso, e il dramma a sfondo sociale.
Segna la nascita del film didattico e filosofico, anche l’uso del primo piano in questo
film serve come strumento poetico, che crea tante piccole liriche all’interno di una
serie narrativa di per sé giù molto complessa.
Poco dopo anche il cinema europeo si mette in moto, dai quadri fissi si passa al
montaggio dinamico e drammatico, però il montaggio resterà sempre ancorato alla
profondità di campo, invece il cinema americano si sforzerà di eliminarlo perché rende
l’inquadratura troppo difficile da comprendere.
Da questo nasce anche una diversa concezione del racconto cinematografico fra
Europa e America, quello americano sarà un film di azione e veloce, mentre quello
europeo manterrà la sua vocazione per i tempi lunghi e le inquadrature complesse.
3. Il cinema di avanguardia in Russia
Nel 1925 si sviluppa la teoria del cine-occhio, secondo cui ogni cosa se viene
osservata con gli occhi quotidiani appare banale, ma se viene osservata con gli occhi
del cinema e del montaggio appare straniera e nuova.
Vertov, il creatore di questa teoria, crea un montaggio definito poetico, straniante e
straniato, per scoprire gli aspetti sconosciuti del mondo. Nel suo film “L’uomo con la
macchina da presa (1929) esalta la macchina della città accostandola a quella del
cinema, mostra il suo linguaggio con un’ironia atroce e improduttiva, in quanto i giochi
di montaggio deludono sempre gli spettatori che cercano un significato definito e
definitivo, lui usa il mondo per mostrare il cinema.
Kulešov ha individuato per primo il montaggio come base di produzione di senso.
Viene definito effetto Kulešov uno dei suoi esperimenti più famosi, ha accostato la
stessa inquadratura della faccia di un uomo a 3 immagini diverse: un piatto di
minestra, un cadavere e un bambino; anche se l’immagine era sempre la stessa gli
spettatori attribuivano sempre sentimenti diversi al suo volto, quindi si accorse che il
senso dell’immagine cambia a seconda dell’immagine che le sta vicino, quindi il senso
è generato non dalle inquadrature, ma dal montaggio. Con questo esperimento
dimostra il ruolo attivo dello spettatore. Quindi si inizia ad usare il montaggio in modo
metaforico. Colui che porta a compimento la piena
maturità del montaggio è Ėjzenštejn, lui riteneva che teatro e cinema dovessero
scuotere lo spettatore dal letargo tradizionale della sala buia. Il concetto di attrazione
diventa fondamentale, il montaggio delle attrazioni quindi diventa una tecnica
finalizzata a suscitare nello spettatore associazione di nuove idee, questa teoria trova
la prima manifestazione nel film “Sciopero” (1924), il montaggio di pezzi brevissimi ci
porta direttamente dentro il caos della rivoluzione e della lotta.
Ėjzenštejn parte dalla lezione di Griffith, ma cerca di superarlo, il suo montaggio è
molto diverso dal montaggio parallelo o alternato americano, il montaggio delle
attrazioni è disordinato, è finalizzato a dare allo spettatore un senso del caos che
domina la vita reale.
È stato formato dal regista Mejerchol'd, quindi venne influenzato dalle sue teorie, il
maestro sosteneva che l’attore è un corpo biologico, la sua abilità fisica è molto
importante, lo spettacolo deve lavorare sulla sensibilità dello spettatore ignorando la
sua componente conscia.
Ėjzenštejn è anche contrario all’inquadratura autarchica, se il film mostra tutto, lo
spettatore non fa niente e non ha niente da immaginare.
Quindi formula la teoria degli stimoli, il montaggio deve stimolare l’immaginazione
e il lavoro intellettuale, tutto deve essere incompleto e frammentario, le azioni parziali
devono essere completate dallo spettatore. È anche contrario alla linearità temporale,
il montaggio deve ribaltare tutto, invertire l’ordine degli eventi, inseguito parlerà
anche di cine-pugno, il film deve colpire lo spettatore con un effetto shock.
Ėjzenštejn pubblica anche degli scritti su teorie cinematografiche, come quella sul
suono che deve essere completamente autonomo e porsi in conflitto con le immagini.
Nel 1929 propone la teoria del montaggio intellettuale, nella quale spiega che per lui il
cinema può esprimere concetti astratti, quindi può diventare strumento di riflessione
filosofica. Gira i suoi ultimi film tutti incentrati sulla figura di Stalin paragonandolo a
Ivan il terribile nell’omonimo film (1944).
Le avanguardie francesi vedono il cinema come una grande potenzialità come i russi,
ma in un altro senso, con un’accezione meno ideologico-sociale e più filosofica,
interessata alla connessione fra il reale e il fantastico, soggettivo-oggettivo, il
cinema doveva essere una poesia visiva.
Le vecchie attrazioni dei tempi di Méliès vengono rilanciate come strumenti di nuovo
linguaggio nel quale l’osservazione della realtà si intreccia con il gioco degli effetti
speciali, si inaugurerà un filone che avrà il suo culmine nella nouvelle vague.
La Francia in questo periodo vive una fase di benessere, una sorta di proseguimento
della Belle Époque. La Parigi di quel tempo era il cuore della cultura europea, e tutti
parlavano di cinema creando nuove tecniche e teorie; Leopold Survage per esempio
propone l’idea di un cinema puro, cioè composto solo da forme geometriche, senza
figure o contenuto. Anche se all’inizio ebbe buon seguito si estinse molto presto per la
ripetitività delle pellicole, anche se la forma era essenziale il contenuto rimaneva
sempre indispensabile.
A livello industriale la Francia era diversa dall’America, le case produttrici favorivano i
piccoli autori liberi dalle necessità commerciali, l’industria francese rimaneva più
aperta, legata alla piccola e media borghesia. Quindi il cinema riesce a svilupparsi in
modo più indipendente da quello americano.
Il cinema francese di quegli anni girava intorno un concetto chiave: la fotogenia.
Un teorico ungherese, Béla Balàzs sviluppa questo concetto con un paragone: il volto
umano ingrandito diventa un autentico paesaggio naturale, cambia con il passare delle
ore e dei sentimenti, come la natura che cambia aspetto secondo il tempo e la luce.
Lui coglie per primo una straordinaria tecnica: con il primo piano l’anima umana
diventa visibile. D’ora in avanti questa tecnica diventa uno strumento per fondare
un’arte del tutto nuova, un’immagine visibile per mostrarne una invisibile; un volto
per un sentimento o un pensiero.
La fotogenia quindi rappresenta una rivoluzione intellettuale e poetica che da una
grande spinta allo sviluppo del cinema documentaristico e antropologico, ma sempre
con una forte dimensione poetica. Tutte le avanguardie europee faranno del primo
piano il loro cavallo di battaglia, al contrario il cinema americano continuerà a farne un
uso narrativo, il cinema europeo si orienta verso un uso simbolico, diventa
essenziale per esprimere il dolore, la crudeltà, la perfidia o la malinconia.
Il danese Dreyer sarà colui che darà massima espressività a questa tecnica con il suo
film Giovanna d’Arco (1928), raggiunge un’espressività che il cinema non aveva mai
conosciuto fino ad allora. Questo grande film poema si incentra del tutto sulla
sofferenza e sul volto umano. Non ha né tempo né luogo, il dolore sovrasta ogni cosa
mostrato in mille forme diverse che però sono sempre la stessa.
Con i primi piani a Giovanna d’Arco e ai suoi accusatori il regista esprime tutto il
dolore possibile in un animo umano.
L’importanza del dettaglio genera quella riflessa del fuori campo, l’insieme non viene
mai mostrato, ma suggerito, quindi ciò che non viene mostrato rimane invisibile,
quindi altrettanto pauroso rispetto al visibile.
Tutta la sua opera è un monumento alla solitudine della donna.
Con l’arrivo del cubismo il cinema subisce uno scossone, il movimento artistico
tendeva a scomporre lo spazio e gli oggetti per farli diventare forme geometriche
ponendosi il problema di restituire la tridimensionalità; questo ideale viene trasmesso
precocemente al cinema.
Ora si cercava di abbandonare la narrazione per diventare una danza di oggetti
assolutamente liberi.
Léger riteneva che l’errore del cinema fosse il soggetto, senza di esso poneva il
“gigantesco microscopio delle cose mai sentite”, il cinema doveva diventare lo
strumento delle cose mai viste, l’intento era di rovesciare il cinema narrativo.
Il dadaismo influenza molto il cinema, è una corrente artistica nata nel 1918, si
proponeva di liberare la parola dall’obbligo di significare. Un esempio è il film Entr’acte
(1924) di René Clair, così chiamato perché era un intervallo cinematografico fra due
parti di un balletto. La parola intervallo indica anche la poetica del dadaismo, il cinema
non ha un posto preciso, è libero da qualunque struttura. All’interno dello
spettacolo inserisce il cartello con la scritta “Relache”, messa di solito davanti ai teatri
chiusi per ferie, l’intento era di rovesciare le abitudini che lo spettatore aveva.
In questo film le immagini non hanno altro fine che se stesse, nessuno recita, non ci
sono personaggi, né storie, solo persone e figure. Entr’acte è solo un intermezzo
giocoso, solamente cinema.
Quello dadaista infatti è un cinema che vuole farci divertire e sovvertire tutte le
aspettative dello spettatore.
Anche il surrealismo ha influenzato il cinema, si ritiene però che solo due siano dei
veri e propri film surrealisti; Un Chien andalou (1929) e l’Âge d’or (1930), realizzati da
Buñuel.
In un Chien andalou, Buñuel pone uno sguardo diritto e crudele nelle parti più
profonde della psiche.
La prima scena del film, il taglio dell’occhio rappresenta la penetrazione al di là di
tutte le frontiere, anche all’interno dell’anima.
Tutta la sceneggiatura si svolge in uno “spazio senza tempo e in un tempo senza
spazio”.
Gli studi surrealistici di quel tempo si incentravano sull’abolizione del confine tra sonno
e veglia, vennero intrapresi molti studi sulla psiche umana, iniziati da Freud pochi anni
prima con la pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni, si voleva esprimere i moti
dell’inconscio, liberare l’uomo dalle imposizioni sociali.
Il cinema per i surrealisti ha un grandissimo potenziale, l’intento era usare le immagini
e le associazioni visive per scavare al di sotto della realtà visibile e librare
l’immaginario umano. I film sono caratterizzati da indicazioni spazio temporali
incoerenti, hanno un intento di provocazione verso il pubblico, c’è sempre un’allusione
all’esperienza della città moderna come una frammentazione dell’anima con tutte le
esperienze che vengono vissute.
Desnos inventa la scrittura automatica, e sul piano della pittura troviamo le immagini
ipnagogiche di Dalì. Il surrealismo vuole sempre muoversi al confine fra i due mondi:
veglia-sonno, realtà-immaginazione, giorno-notte.
Un altro importante tema è quello del folle amore, un amore spinto fino la follia, il
tema centrale dei film surrealisti.
Ma soprattutto è l’occhio che sta al centro di tutta la poetica cinematografica del
surrealismo.
5. Il cinema di avanguardia in Germania
• L’Espressionismo
• Il Kammerspiel
• La Nuova Oggettività
Il cinema espressionista per realizzare queste distorsioni adotta i vecchi trucchi usati
come strumenti per creare allucinazioni. Spazi immaginari si fondono con gli spazi
reali potenziando a dismisura il mondo fantastico.
Un nuovo trucco, l’effetto Schüftan permetteva di creare luoghi immaginari. Tramite
un gioco di specchi si poteva ricreare un ambiente immaginario, come per esempio
nella scena dello stadio nel film Metropolis.
È il perfezionamento dei trucchi di Méliès, oppure l’antenato del green screen
contemporaneo.
Anche il primo piano assume aspetti demoniaci e persecutori, oppure sofferenti e
vittimistici fino allo spasimo, nel cinema tedesco il volto assume un grande valore
espressivo.
Il cinema tedesco trascura il montaggio e predilige su tutto gli effetti, ogni
inquadratura diventa un mondo completo su sé stesso.
Secondo Albin Gau il mondo rappresentato rimane racchiuso dentro i limiti
dell’inquadratura, al di fuori del quale non c’è assolutamente niente, quello del film
deve essere uno spazio a due dimensioni.
Il Kammerspielfilm è all’opposto del cinema espressionista, questo genere nasce
come tipo di teatro per pochissimi spettatori , che poi si diffonde anche nel cinema;
è caratterizzato da una straordinaria mobilità della cinepresa che segue da vicino i
personaggi fino quasi alla persecuzione, quindi la recitazione deve essere diversa in
quanto la mimica doveva essere portata al minimo.
Il nuovo rapporto che si stabilisce tra la cinepresa e l’attore anticipa quello che sarà il
cinema moderno.
La cinepresa acquisterà la sua massima mobilità con Murnau, arriverà quasi a
diventare un “occhio che scivola nello spazio”. La soggettiva diventa la chiave di volta,
tutto il suo cinema è una soggettiva dal punto di vista della cinepresa.
È da qui che nasce il cinema come sguardo, grazie a lui la cinepresa diventa un vero
e proprio essere vivente.
Questo nuovo genere, chiamato La nuova oggettività è stato soprattutto un genere
documentaristico che serviva a descrivere le condizioni della Germania degli anni 20.
Al di fuori delle 3 correnti del cinema tedesco si posiziona uno dei più importanti
registi tedeschi di quel tempo: Fritz Lang, descrive la Germania del suo tempo come
il fosco regno della criminalità organizzata in Il dottor Mabuse (1922), ma il suo
capolavoro sarà Metropolis (1926) un film che diventerà un cult per molte
generazioni, grande fonte di ispirazione per molti registi.
Introduce l’idea di un mondo dispotico, nella città in cui viene ambientato si nota una
mescolanza tra passato e futuro, la vediamo come una gigantesca macchina che
lavora senza sosta, al di sotto di essa troviamo una città speculare che ospita le
famiglie degli operai-schiavi, gli uomini si recano a lavorare come fossero degli automi
senza volto; all’opposto in superficie i ricchi si godono il loro paradiso in terra, questa
ristretta massa domina il popolo, è una prefigurazione del nazismo.
Viene ambientato nel 2026, quello che appare è un mondo assolutamente negativo.
La trama di questo film è un vero e proprio apologo sulla necessità di obbedienza
sociale, la visione di Lang è considerata quasi come una profezia della società futura e
dei problemi che ancora interessano il nostro mondo.
Il regista dava grande interesse alla composizione dell’inquadratura, e al contrario
delle avanguardie lui non rifiutava il cinema narrativo, ma faceva in modo che la
narrazione fosse sempre parallela alla creazione di immagini travolgenti e simboliche.
Quindi nella sua opera troviamo la piena fusione delle due grandi massime del
cinema: mostrare e raccontare.
2. Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr.
Caligari, Robert Wiene, 1919)
Questi risultati si ottengono grazie al montaggio narrativo che crea una realtà illusoria
con una continuità temporale e spaziale.
Nel cinema classico vedere e sapere sono ugualmente importanti, recupera la fiducia
di acquistare una coscienza attraverso la visione.
Il cinema con queste regole diventa un linguaggio, elabora un sistema prospettico
spazio temporale in cui lo spettatore è al centro, si deve sentire inconsciamente al
posto di Dio, poiché è onnipresente, onnisciente e invisibile.
In Accade una notte (1934) per esempio in una scena i due personaggi dividono una
camera d’albergo, viene separata in 2 parti da un telo, la macchina da presa si sposta
da una parte all’altra per far vedere allo spettatore le azioni di entrambi.
Il cinema classico è caratterizzato da un continuo gioco stilistico tra norme e
trasgressioni, gli effetti speciali per esempio erano trasgressioni che acquistavano
forza grazie alla loro rarità.
Anche nelle trame e nelle storie raccontate vigeva un rapporto tra legge e
trasgressione, come nella durata del film (90 min.), e nella divisione dei generi, in
quanto si poteva distinguere 3 momenti in ogni storia: ordine, trasgressione e
ripristino dell’ordine.
L’happy ending era una fondamentale, però anche se il film hollywoodiano era
ottimista conteneva sempre una dialettica fra legge e trasgressione anche sul piano
del contenuto.
Il cinema americano classico può essere visto come un lungo sogno in cui lo
spettatore sogna sempre lo stesso problema, che sempre viene risolto e sempre
ricomincia con un’enorme serie di variazioni.
I generi rappresentano un orizzonte di attese che guida la produzione, il regista e lo
spettatore nelle sue scelte, dagli anni 50 cominciano a rinnovarsi e a mescolarsi.
Anche le Majors tendono a specializzarsi in certi generi.
La commedia rappresenta il genere principale del periodo classico, il cinema
americano raccoglie i modelli della commedia che risalgono ad Aristotele e li porta a
nuova vita, tutto viene usato per evidenziare e criticare le abitudini e i difetti umani.
Uno dei più importanti registi che trattarono la commedia fu Capra, la sua era una
commedia ottimista solo in parte, in quanto i suoi film avevano una serie di finali
improvvisi e posticci, lo spettatore può scegliere se accettare l’inganno piacevole
oppure ragionare in modo realistico.
In Accadde una notte per esempio il finale è molto ottimista, e lo spettatore è libero di
pensare che nella realtà le cose non vadano così bene come nel film.
Lo spettatore è portato a pensare che prima o poi le cose sono destinate a cambiare.
7. Il cinema classico hollywoodiano: lo stile classico e
l'immagine dell'autore
Ad Hollywood lo studio system era basato su una stretta divisione del lavoro e sul
sistema della sceneggiatura di ferro, il suo compito era limitare l’autonomia del
regista ed impedirgli di abbandonarsi a improvvisi estri creativi.
In questa sceneggiatura vi era già scritto tutto, fino alle singole inquadrature; una
volta completata la sceneggiatura veniva consegnata al regista e lui aveva il
compito di realizzare il film così com’era scritta, senza quasi nessun margine di
variazione.
I registi inserivano in ogni film più o meno consapevolmente dei tratti stilistici
costanti: le marche d’autore.
Il cinema western per esempio era il tratto distintivo per Ford, interpretato da lui
come il momento di conferma e definizione dell’identità nazionale.
Nei suoi film non sempre esalta la cultura americana, spesso avanza dubbi e
critiche, si permetteva sempre di gettare dubbi ed ombre sulla storia ufficiale dove
quasi mai i buoni sono veramente buoni. In ogni film riesce sempre a inserire la
sua visione complessa del mondo e della vita.
Con Orson Welles si raggiunge il primo grande caso di rottura dell’illusione della
realtà e dell’unità spazio temporale, le sue storie sono quasi sempre pretesti per
mostrare immagini di straordinaria violenza, in cui è visibile l’influenza dello stile
espressionista tedesco.
Divenne famoso grazie ad un programma radiofonico in cui raccontava l’arrivo dei
marziani come se fosse un fatto di cronaca. Questa sua idea gli fruttò un contratto
per un film con assoluta libertà e budget illimitato.
Realizzò così Citizen Kane (1941) il suo capolavoro, una profonda riflessione
sull’identità dell’uomo moderno, basata su potere e ricchezza.
Gli altri suoi film sono stati realizzati con un budget più limitato ma innovazioni
stilistiche ancora più ardite come la profondità di campo sonora, che rende
addirittura alcune scene difficili da comprendere. Dopo poco però venne
abbandonato dall’RKO, perché ritenuto troppo radicale e pericoloso per il cinema
americano.
Realizzerà altri film autonomamente e degli adattamenti da Shakespeare e Kafka.
Tutta la sua opera racconta sempre in modo diverso sogni che si dissolvono alla
luce del giorno; lui vedeva nel cinema la più grande macchina per illusioni che il
mondo abbia mai avuto. Vedeva il ruolo del regista come quello di un mago
illusionista, cercava di rilanciare la potenza delle attrazioni. Con Welles si ritorna al
cinema delle attrazioni rivisitato ed enfatizzato poeticamente. Capovolge il sistema
del cinema classico secondo cui l’autore deve essere invisibile dietro le sue storie, e
anzi vuole prima di tutto far vedere sé stesso e il suo lavoro.
Al contrario Hitchcock ha dimostrato come si possa stare dentro il sistema e
dentro un genere solo, il giallo.
Nella sua poetica la paura sta al centro, secondo lui la cultura occidentale è
impostata nel senso di colpa e sulla repressione degli impulsi aggressivi; la paura
quindi in primo luogo è paura dell’autorità, del suo incontrollato potere. Il suo stile
è incredibilmente legato alla psicanalisi di Freud, l’inquadratura ha una marca
profondamente onirica, ha spesso una luce espressionista nella quale lo spazio
oscilla tra una piattezza senza spessore e una profondità di campo molto forte.
Tutto questo forma una dimensione irreale, sospesa fra la veglia e il sonno, il suo
cinema presenta influenze dell’avanguardia tedesca.
I dettagli hanno un’importanza fondamentale, possono diventare segnali di morte o
dei segnali ambigui. Anche lo scambio tra visibile e invisibile gioca un ruolo
determinante.
La sua tecnica della suspense viene elaborata nel film Sabotaggio (1936), mentre
in L’uomo che sapeva troppo (1935) elabora il sistema della sorpresa.
I suoi film spesso hanno un doppio livello di lettura, le storie gialle sono spesso
riflessioni sull’atto di guardare, troviamo la sua massima espressione in
La finestra sul cortile (1954). Il suo stile consiste nella simulazione dello stile di
Hollywood, dietro un finto predominio della narrazione, i movimenti di macchina
costruiscono situazioni di incertezza continua che smentiscono la leggibilità del
racconto classico e abbassano la priorità dell’azione rispetto all’importanza dello
sguardo, si rompe la differenza tra vedere e sapere, ora domina l’incertezza.
In questo film la soggettiva acquista un’importanza fondamentale, Jeff è costretto a
guardare degli oggetti lontani e parziali, si costruisce un’idea sui personaggi che
appaiono e scompaiono dalla scena.
In Vertigo (1958) la scena dell’incubo viene ripresa dal cinema d’avanguardia, il
protagonista vive un’esperienza extrasensoriale, con il risveglio si ritorna alla vita
normale.
In Psyco (1960) si spinge al di là del codice Hays, anche se in questo momento i
parametri erano meno severi, il film fa trasparire la nostalgia delle attrazioni di
Ėjzenštejn.
3. Quarto potere (Citizen Kane, Orson Welles, 1941)
Durante tutto il film un giornalista cerca disperatamente di scoprire il significato delle
ultime parole di Kane: “Rosebud”, è un simbolo che rappresenta la frustrazione del
desiderio di sapere.
La conclusione del film è emblematica, la macchina da presa compie un lunghissimo
dolly al termine del quale si scopre una slitta appartenuta al protagonista da bambino
con scritto Rosebud, quello che Welles intendeva era una profonda nostalgia
dell’infanzia, una mancanza che è alla base della sua vita. Nel film sono presenti molte
innovazioni stilistiche, come la narrazione della storia da diversi punti di vista, il long
take e l’uso del piano sequenza, si registra tutto l’episodio, l’inquadratura quindi si
protrae per tutta la scena senza interruzioni.
Le sue inquadrature sfidano le convenzioni, il punto di vista era quello dell’occhio
umano e compie volutamente degli errori, come riprendere un soffitto durante una
scena.
Questo film è una sorta di spartitura fra il cinema classico e il cinema moderno.
È il primo film nel quale la figura del protagonista viene demolita e ridotta a fantasma.
Anche il tempo cessa di scorrere in maniera lineare, si procede sempre avanti e
indietro seguendo i 5 narratori, non esiste più niente di oggettivo, tutto diventa
arbitrario, la cinepresa diventa una sorta di protagonista, un’incarnazione che sarà alla
base del cinema moderno, si parla di cinema dello sguardo e non più cinema
dell’azione.
Gli altri suoi film sono stati realizzati con un budget più limitato ma innovazioni
stilistiche ancora più ardite come la profondità di campo sonora, che rende addirittura
alcune scene difficili da comprendere. Dopo poco però venne abbandonato dall’RKO,
perché ritenuto troppo radicale e pericoloso per il cinema americano.
8. Alle origini del cinema moderno: il neorealismo
Il Neorealismo rappresenta uno sconvolgimento visivo nella storia del cinema, dopo la
guerra nasce una nuova percezione del mondo, gli errori tecnici aumentano sempre di
più, ci sono troppe cose da dire allo spettatore, quindi non si tiene più conto degli
errori che si commettono. Questo disordine diventa la base di un nuovo cinema, più
espressivo e meno raffinato, pieno di sentimento ed idee nuove, la narrazione non
verrà però abbandonata, ma trasformata e rielaborata.
Il neorealismo è considerato il punto riferimento di molti registi contemporanei,
dovunque accada qualcosa nel cinema il neorealismo è presente.
Si hanno però delle interpretazioni discordanti su questo movimento, alcuni autori si
soffermano sulla narrazione dei problemi sociali e della vita autentica dei poveri, altri
si concentrano sulle riprese di esterni reali con attori non professionisti.
In generale possiamo considerare il neorealismo come uno sconvolgimento visivo.
Gran parte di questa rivoluzione era stata preparata in Italia già prima della guerra, la
cinematografia fascista era già piena di storie realistiche, il regime aveva fatto inoltre
grandi investimenti nella cinematografia e cinecittà era uno degli studi più avanzati
tecnologicamente d’Europa; in più la mostra del cinema di Venezia era una delle
vetrine più importanti del mondo. Alcuni futuri registi come de Santis discutevano già
intorno al concetto di realismo, invece altri come Antonioni volevano seguire i maestri
francesi Carné o Renoir.
È stato però il cinema di guerra la vera svolta, nel cinema americano si proponeva la
figura del soldato eroe che si ricopre di gloria con grandi azioni, al contrario nei film
italiani si parla di guerra dura e ingrata, non si voleva criticare il regime, ma i soldati
italiani sono uomini che hanno come unica speranza quella di tornare a casa in vita.
Questa idea di realismo però era ostacolata dall’ideologia del regime che non
permetteva di mostrare la realtà sociale fino in fondo, il cinema era uno strumento
troppo importante per poter essere lasciato libero di guardarsi intorno realmente.
La parola neorealismo indica un punto di riferimento per tutti quelli che in quel periodo
volevano guardarsi intorno, nel cinema italiano nasce dopo la guerra una nuova
maniera di guardare. Ritroviamo al suo interno molti stereotipi del cinema narrativo
classico, la sua novità sta nella maniera di filmare, nel cambiamento nella forma di
enunciazione, che era il modo di raccontare le storie.
I film appartenenti alla stagione del neorealismo (1945-1948) contengono tutti
qualcosa di nuovo, i codici del cinema classico vendono abbandonati, il montaggio
tradizionale, l’inquadratura e la recitazione classica e pulita diventano assurde difronte
la necessità di esprimere le nuove condizioni del mondo; André Bazin dirà che l’unità
base del racconto cinematografico da ora in poi sarà il fatto, l’evento bruto ancora
confuso.
La novità del neorealismo sta nel caos della realtà quotidiana, non c’è più tempo per le
belle immagini, è più importante vedere quello che accade e farlo vedere allo
spettatore, con il quale nasce un nuovo rapporto, ci si indirizza verso di lui spesso con
la voce fuori campo o lo sguardo in macchina.
Questa sovversione dei codici crea il rovesciamento nella forma narrativa,
realismo significa quindi la rinuncia ai vecchi modelli e ricerca di nuove forme e idee
per interpretare il nuovo mondo terribilmente diverso.
La soggettività della ripresa è una nuova tecnica del neorealismo, può essere definita
come una caratteristica del reportage cinematografico più che del cinema narrativo.
• La commedia all’italiana
• Il nuovo cinema d’autore
La storia adesso viene scomposta secondo vari punti di vista scoprendo che esistono
molte verità, il protagonista non è più un eroe, ma un osservatore, viene definito
personaggio guida, spesso non è neanche un uomo d’azione, ma come accade con
Antonioni, una donna che si guarda intorno.
Spazio e tempo diventano essenziali, spesso sono loro i protagonisti, nei film di
Bergman per esempio si avverte questa caratteristica.
Gli autori moderni quindi abbandonano le vecchie forme narrative per riflettere sul
cinema come strumento di conoscenza del mondo e dell’uomo.
Dreyer appartiene a questo gruppo di maestri dello sguardo, la sua cinepresa riusciva
a catturare tutte le ipocrisie o le ambiguità più sottili nei volti dei suoi personaggi, in
Gertrud(1964) il regista riflette sulla sensibilità della donna, ma sul piano dello stile è
un grande monumento alla sensibilità della cinepresa, la protagonista può essere
considerata il simbolo della donna moderna, un’incarnazione del personaggio moderno
chiuso nel suo silenzio misterioso.
Ozu invece ha sempre mantenuto uno stile povero per il suo cinema, riprende dal
cinema americano le comiche slapstick, le usa per descrivere con sarcasmo molti
aspetti della vita comune. I suoi primi film terminano con dei panni stesi ad asciugare,
una metafora per indicare che alla banalità del quotidiano non sfugge nessuno.
I suoi personaggi sono la gente più comune, veniamo a conoscenza delle loro storie
tramite le conversazioni che fanno tra di loro, usa questo modo indiretto poiché
l’azione è sempre lasciata fuori dal film. Il suo montaggio è ridotto al minimo, in
quanto la sua arte si fa “per levare”.
Viaggio a Tokyo (1953) è un cine-poema sulla vita e sulla morte, rispetto alla storia è
la poesia delle figure immobili che trionfa, il film è anche riempito di vere e proprie
anafore poetiche.
Ozu trascurava la continuità narrativa, cambiava il tempo e la scena anche durante un
dialogo.
Ophulus è un altro grande padre della modernità, ha costruito tutta la sua poetica sui
movimenti della macchina da presa, quasi tutti i suoi film sono monumenti a donne
sole.
Bresson al contrario di tutti gli altri prediligeva le inquadrature brevi, il suo cinema
lavora continuamente sulla divisione fra parola e immagine, la sua cinepresa
preferisce i dettagli, i frammenti d’azione, non si alza mai a guardare lontano, il
particolare acquista un’importanza cruciale. Il montaggio è protagonista assoluto, la
sineddoche è la sua figura stilistica principale, il fuori campo è la figura dominante del
suo cinema, l’essenziale rimane sempre fuori dallo schermo.
I suoi attori non erano professionisti, voleva che i loro corpi si adattassero alle
caratteristiche fisiche del personaggio, in più secondo lui gli attori dovevano recitare le
battute come se stessero leggendo l’elenco del telefono.
In Mouchette (1967) racconta la storia di una bambina povera che subisce dei soprusi,
alla fine si suicida, la cinepresa rappresenta i fatti con neutralità, lo spettatore si
chiede se la bambina abbia fatto apposta o solo per gioco. Rimane un’incertezza
totale.
Con Resnais siamo davanti ad una scomposizione del rapporto fra suoni e immagini,
va continuamente avanti e indietro tra presente e passato mostrando che i ricordi
sono spesso falsi, al centro della sua poetica c’è l’incertezza dell’evento reale, in
quanto ogni evento può cambiare.
Hiroshima mon amour (1959) viene collegato alla nv anche se non vi appartiene di
fatto, ma è un magnifico esempio di cinema poetico.
In Muriel (1963) l’inganno della memoria diventa ancora più doloroso, il montaggio
stravolge la narrazione dando l’impressione di un mondo governato dal caos, e dalla
paura della verità.
In Buñuel l’inquadratura è intenzionalmente brutta e banale, risponde al principio del
surrealismo secondo cui l’orrore sta nella normalità. I suoi film principali sono tre,
raggruppati in una trilogia: Il fascino discreto della borghesia (1972) una critica
della società borghese, Il fantasma della libertà (1974) nel quale vuole mettere in
ridicolo i capricci della borghesia, e Quell'oscuro oggetto del desiderio (1977) nel
quale un personaggio femminile viene interpretato da due attrici diverse che si
alternano, evidenzia il fatto che il desiderio del protagonista si sposta continuamente.
Con Bergman invece assistiamo ad una complessa opera di riflessione sull’uomo
moderno e sulla perdita di fede nel mondo moderno. I suoi intensi contrasti di luce, la
cinepresa molto vicina ai personaggi sono gli elementi principali del suo stile.
Il regista realizza una poetica e uno stile straordinariamente compatti, la poetica
riguarda la solitudine, mentre lo stile è osservazione dei volti e dei corpi.
Nel film Il posto delle fragole (1957) è un viaggio che il protagonista compie che lo
porta al passaggio da essere un uomo scostante e duro, ad uno più addolcito, disposto
ad una relazione più dolce ed affettuosa con il mondo. Il viaggio che il Dr. Borg
compie è un’occasione per ripercorrere il suo passato, alla fine riesce a comprendere
che la sua vita è stata arida dal punto di vista delle relazioni umane.
I primi piani scandiscono questo cambiamento, che può essere visto come un percorso
di maturazione e comprensione, rappresentano la crisi d’identità che l’uomo del ‘900
incarna.
Assistiamo ad una celebrazione dell’essenza del cinema, che permette di unificare
diverse dimensioni; il posto delle fragole, la sua vecchia casa diventa uno schermo
cinematografico su cui si proiettano i ricordi, il cinema viene usato come uno schermo
della memoria.
Ne Il settimo sigillo (1957) un cavaliere medievale gioca a scacchi con la morte per
salvare due anime, rappresenta una metafora della lotta contro il destino.
Tati può essere considerato l’unico degno erede di Keaton, con lui la comicità diventa
un esercizio di interpretazione del mondo attraverso lo sguardo, nei suoi film tutto
dipende dagli sguardi. Il suo può essere considerato l’unico cinema puro dal punto di
vista delle avanguardie, poiché recupera la parte migliore dell’esperienza surrealista e
dadaista con uno stile del tutto nuovo e moderno.
Kubrick rappresenta un caso particolare, nasce in America ma emigra in Europa per
esilio volontario per marcare la sua estraneità rispetto a tutto il mondo, il quale
appare nei suoi film come un gruppo di folli che si fanno del male a vicenda.
Tutti i suoi personaggi hanno un doppio, i suoi movimenti di macchina rimandano a
quelli di Orphus.
Molti dei suoi film riprendono i generi del cinema classico e li smontano freddamente:
Lolita (1962) smonta la commedia; Orizzonti di gloria (1957) e Full metal jacket
(1987) i film di guerra; 2001 Odissea nello spazio (1968) la fantascienza; Arancia
Meccanica (1971) e Shining (1979) l’horror.
Kubrick non racconta, ma osserva i suoi personaggi e le storie a distanza.
5. 2001 odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey,
Stanley Kubrick, 1968)
2001 Odissea nello spazio rappresenta un manifesto per un nuovo modo di
guardare e un nuovo tipo di spettatore, che trova la sua identità nell’atto di guardare,
il film nasce da un giornalino.
Rappresenta una continuazione tra il film di genere e il cinema moderno, è un
tentativo di far convergere le due categorie.
La storia che ci racconta il film non è solo una missione di fantascienza, ma apre un
orizzonte temporale molto più ampio, in quanto parte dagli ominidi.
Lo spettatore però è anche guardato, nei dialoghi tra Hal 9000 e David assistiamo a
una serie di raccordi di 180°, Kubrick fa in modo che entrambi guardino verso la
cinepresa, quindi verso lo spettatore. Questo è un film basato su una lunga serie di
manovre dell’astronave; durante queste inquadrature non succede niente, la riduzione
al minimo della narrazione colloca questo film nell’età moderna, quello che Kubrick
voleva mostrare era il fatto che in una missione spaziale non accade niente di eroico,
in quanto nello spazio non succede niente. Nelle scene all’interno dell’astronave si
vedono i personaggi compiere le attività quotidiane.
La grandezza del film sta anche negli effetti speciali, ne viene usato un numero
molto alto, ma sono stati prodotti analogicamente in studio, in quanto ancora non era
possibile farli in digitale.
Il monolito usato nel film allude con la sua forma alla capacità di produrre un pensiero
astratto.
Il film è diviso in 4 parti: la prima è nella preistoria, nel corso della sequenza vengono
introdotti vari cambiamenti, come la scoperta di poter usare un osso come un’arma.
Kubrick individua il primo salto di qualità con un montaggio concettuale, esegue un
raccordo tra l’osso che rotea in aria e un’astronave. Si tratta del raccordo temporale
più lungo della storia del cinema.
L’evoluzione avviene con il contatto con il Monolito, nella seconda parte gli trovano
sulla luna il Monolito, con il contatto avviene un altro salto di qualità e si passa
dall’intelligenza umana a quella artificiale incarnata da Hal 9000, con un altro salto
cognitivo si entra nella ultima parte del film, assistiamo ad una successione di luci e
colori simili alle esperienze allucinatorie e psichedeliche, una sorta di viaggio oltre le 3
dimensioni, l’inquadratura si ritrova in una stanza con arredi settecenteschi, il
protagonista si trova nel letto di morte e ricompare il Monolito, la scena termina
sull’immagine di una pupilla dilatata e con la comparsa dello star child, che punta i
suoi occhi verso di noi, rimette allo spettatore la sfida di questo percorso invitandoci a
riflettere sul concetto: io guardo dunque io sono.
I vari salti di qualità simboleggiano la visione dell’evoluzione di Kubrick, il regista vede
nel progresso ella società una evoluzione verso la violenza.
12. Il cinema contemporaneo
Dalla terza Hollywood in poi si tona alle favole più tradizionali, ora lo stile punta a
suscitare attrazione con effetti speciali sempre più esasperati, si afferma il potere delle
immagini.
Nella nuova Hollywood era necessario rilanciare le produzioni di massa, gli eccessi di
alcuni autori avevano causato grosse perdite, questi problemi furono usati per togliere
libertà ai nuovi autori più giovani.
Con il rilancio della favola si afferma il genere fantasy, è un evento di duplice
significato: si ha da una parte una regressione verso i miti, e dall’altra un totale
disimpegno nei confronti del mondo reale. Lucas e Spielberg sono considerati i
maggiori responsabili di questo ritorno indietro, sono i principali fautori di un totale
asservimento dell’autore al potere commerciale, la nuova Hollywood avrà bisogno di
autori sottomessi al potere commerciale per far accrescere incassi, e unificare di
nuovo il pubblico che il cinema europeo aveva diviso e articolato.
Lo spettatore diventa puro e semplice consumatore, ora Hollywood propone una totale
indifferenza nei confronti del mondo reale, un distacco totale fra realtà quotidiana e
cinema. Chi andrà al cinema ora lo farà per ignorare il più possibile la propria vita e
per pensare il meno possibile, questo cinema esalta la parte infantile dello spettatore,
quindi siamo all’opposto del cinema moderno. Il pubblico è portato ad essere coinvolto
sul piano dei sensi.
Il film diventa oggetto di consumo come programmi tv, giocattoli o libri, le case
produttrici si rafforzano molto, anche grazie alla pratica del merchandising, ovvero
vendere oggetti o gadget legati al film. Hollywood però ha saputo far tesoro delle
conquiste formali dei movimenti europei, la regressione infantile sul piano narrativo è
accompagnata da uno stile vivace e brillante, che coltiva le trasgressioni alla
modernità, nasce così un’estetica esclusivamente ludica, registi come Spielberg e
Lucas collegano un cinema colto e trasgressivo con un totale disimpegno sul piano
culturale e sociale, tanto che Spielberg nel suo Schindler’s List (1993) racconta la
guerra e lo sterminio degli ebrei come una favola.
La modernità di stile però è molto fittizia, è una maschera per le vecchie favole, come
per esempio il nuovo uso della citazione, che da strumento critico e riflessivo diventa
un semplice gioco, un omaggio di cui non c’è bisogno. Si arriva così al postmoderno,
in cui le strategie riflessive della modernità sono spinte all’eccesso, questo stile nasce
con l’unione di alcune caratteristiche del cinema classico e moderno.
Questo cinema inizia con l’estetica del remake degli anni 80, nonostante ci siano
sempre stati, adesso si presenta come un frutto della cinefilia più spinta, occorre
conoscere la storia d’origine per cogliere le citazioni disseminate ovunque.
Il cinema comincia a rimandare solo a sé stesso invece che al mondo reale, il remake
infatti si riferisce a un altro film, non al mondo reale.
Con l’eccessivo uso della citazione si giunge ad un “pastiche” ovvero alla mancanza
di un messaggio.
Nasce un neo conformismo nel quale usare la citazione vuol dire sapere.
Blade Runner(1982) è il capolavoro di questo uso della citazione, è un film di confine
tra lo stile pensoso e malinconico e quello citazionista. È moderno per l’uso della
citazione come strumento riflessivo per ricordare il passato, ma postmoderno per la
citazione come nostalgia e come concezione del mondo, sono molto evidenti le
inquadrature che rimandano a Metropolis e a 2001 Odissea nello spazio.
Diventa subito un cult, grazie anche al sapiente uso di effetti speciali e delle citazioni
che vanno dal cinema espressionista tedesco al noir del cinema americano classico.
Questo film fa della citazione il proprio stile, inaugura anche un uso degli effetti
speciali che diventerà fondamentale nel cinema postmoderno, dove tutto è imitazione
di modelli precedenti.
Con il postmoderno la storia viene abbandonata, non c’è più distinzione fra passato
presente o futuro, lo spettatore smette di credere nelle immagini, sa che sono tutte
false.
Non è più importante la storia, tutto quello che conta è la quantità di citazioni che il
film contiene, da una parte troviamo il cinema che si nutre solo di cinema, come in
Tarantino, dall’altra invece un cinema che parla di un mondo che però non può fare a
meno di cinema, Tim Burton è un esempio.
Tarantino rappresenta il citazionismo in America, il senso dei suoi film sta nel
riconoscere le citazioni.
Le caratteristiche del cinema postmoderno:
Tra tutti questi autori qualcuno mantiene un proprio spazio muovendosi in equilibrio
fra il film commerciale e lo stile personale, David Lynch e Alba Ferrara sono gli
esempi principali, contrastano il citazionismo, i loro film raccontano storie in modo
sconnesso e tenebroso, mantengono il loro senso sospeso. Il loro obiettivo principale è
sollevare dei problemi, conservano l’idea di una storia, ma tolgono allo spettatore
l’illusione di comprenderla. Per tutti e due l’immagine è il contrario di quello che è per
gli altri, è un mistero, un enigma che va indagato senza sosta.
Questo stile si chiama postmoderno pessimista, il cinema è considerato come una
forma di suono nell’interiorità degli individui, Lynch per esempio eredita il surrealismo
e lo porta nel postmoderno.
Possiamo distinguere nella storia della nostra cultura 3 tipi di immagini: