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1. Le origini del cinema.

I trucchi e le prime attrazioni


del cinematografo.
I primi cinematografisti erano ambulanti, si muovevano per catturare le
immagini da tutto il mondo; da qui nasce il primo genere: la veduta (antenata
del documentario). L’inizio della diffusione delle immagini si ha con la
stampa nel mondo occidentale, già nel 600 iniziano ad apparire gli spettacoli
ottici, la preferita era la lanterna magica: una scatola con una candela dentro e
una lente anteriore che proiettava sulle pareti di una sala buia delle figure
disegnate su un vetro trasparente. Si diffuse con due principali usi:
• Fantastico: attrazioni
• Didattico: cultura, venivano fatti vedere luoghi, monumenti, o oggetti vari,
aveva un effetto molto più suggestivo delle stampe

In questa duplice applicazione vediamo le caratteristiche che definiscono il cinema in


tutta la sua storia, strumento di attrazione, ma anche canale d’informazione.
La lanterna ebbe anche successo come strumento di suggestione spiritica.
L’altra macchina ottica utilizzata era Il mondo nuovo, funzionava nel modo inverso
della lanterna.
Entrambe le macchine avevano bisogno di spiegazioni, da sole le figure erano
incomprensibili, quindi venivano accompagnate a voce da un imbonitore che spiegava
le scene mostrate, ancora la comunicazione tra persone era fondamentale.
Un forte aiuto all’invenzione del cinema proviene dalla fotografia, inventata nel 1825
da Niépce, introdusse per la prima volta la possibilità di fissare un oggetto in una
scena.
Parallelamente vengono compiuti degli studi sul movimento, si era scoperto che
l’illusione del movimento poteva essere riprodotta con la successione velocissima di
immagini fisse, Il Fenachistoscopio, un cerchio di carta che conteneva delle pose di
una persona, permetteva l’illusione del movimento della persona facendolo girare
velocemente davanti ad uno specchio, con il cinema il cerchio viene sostituito da una
pellicola che proietta delle diapositive che imitano un movimento fluido, all’inizio la
velocità era di 16 frame per secondo(fps).
Nel corso dell’800 la città ha cambiato rapidamente immagine; si è trasformata in una
Città Spettacolo, piena di immagini, diventa un luogo di sovra stimolazioni visive.
Si poteva assistere ad un numero sempre maggiore di eventi aperti a tutti, come le
esposizioni universali per esempio.
Parallelamente a questo nasce la figura del passante spettatore, l’osservatore distratto
e solitario.
Nel 1891 Edison inventa il Kinetoscopio, uno strumento con un meccanismo per
proiettare delle foto a 32 fps, le riprese venivano svolte in un luogo chiamato “black
maria”, sfruttava la luce solare, era una stanza attaccata a delle rotaie che giravano in
base alla posizione del sole. Il kinetoscopio si basava sulla visione individuale, lo
spettatore inseriva l’occhio in una fessura e con una manovella faceva girare la
pellicola. Più o meno la ripresa durava 30 secondi.
Nel 1895 Auguste e Louis Lumière inventano il Cinematografo, il 28/12/1895 è
l’inizio del cinema. I fratelli volevano dare movimento alla fotografia, questi film
avevano la durata di un minuto e riprendevano delle vedute esterne, l’inquadratura
era unica, c’era già profondità di campo, non c’era un soggetto unico, ma vi era una
molteplicità di centri e di soggetti.
L’operatore lasciava tracce all’interno delle immagini e durante la visione della
pellicola era necessario un narratore che raccontasse le immagini.
Riguardava un tipo di fotografia in movimento, questa macchina funzionava come una
lanterna magica che proiettava immagini in una parete, però permetteva una visione
pubblica, diverso quindi dal kinetoscopio di edison, e consentiva di eseguire sia riprese
che proiezioni.
Nacque subito una nuova professione: I Cinematografisti ambulanti.
Diverse vedute sono rimaste famose per la loro qualità, come per esempio: l’arrivo del
treno alla stazione della Ciotat (1896).
La posizione diagonale della cinepresa permette già di vedere in profondità di
campo la locomotiva.
I primi film erano composti da un solo quadro, col tempo si sono sviluppati anche in
più quadri, messi insieme ma proiettati separatamente come se ciascuno fosse un
piccolo film.
Le inquadrature avevano un carattere centrifugo, i personaggi entravano e uscivano
dallo schermo, c’era sempre movimento, nel film Repas de bébé (1903) l’attenzione
per esempio è data dal movimento dei rami a causa del vento nello sfondo.
Il cinematografo contribuisce in modo determinante a trasformare tutto il mondo in
uno spettacolo.
La fruizione collettiva ha permesso la costruzione di grandi sale dedicate alla
proiezione, soprattutto in America dal 1906.
Così diventa uno strumento disciplinare importante nell’età del consumo di massa,
uno scarico della tensione sociale, sarà un sistema per far rimanere tutti al loro posto
successivamente.
Le immagini in movimento erano le prime attrazioni, il montaggio la seconda.
Il primo tipo di montaggio fu inventato da Méliès, con lui inizia un tipo di racconto
costruito su lunghe inquadrature fisse rappresentanti ciascuna una scena intera,
anche questo sistema necessitava la presenza di un imbonitore.
Méliès era un prestigiatore, utilizzava il montaggio come magia di sparizione,
apparizione e trasformazione, quindi per lui era una Metamorfosi.
Utilizzava nelle riprese alcuni trucchi già esistenti, alcuni erano teatrali, o altri già
usati dalla fotografia, come le sovrimpressioni. Ne furono inventati anche un gran
numero, come il Mascherino-contromascherino (mcm) che permetteva di unificare
spazi diversi o di sdoppiare un personaggio, oppure l’arresto della ripresa, lo scatto
singolo, lo spostamento della cinepresa avanti o indietro (l’homme à la tête en
caoutchou, Méliès, (1901).
Molto spesso nei suoi film lui interpretava il ruolo di mago o prestigiatore, come nel
L’homme d’orchestre(1902) nel quale con un mcm moltiplica 10 immagini di se
stesso, ognuna delle quali suona uno strumento diverso
Il suo uso di montaggio come metamorfosi è l’apoteosi dell’ arte della meraviglia,
grazie alla qualità della fotografia i trucchi acquistano uno stupore inaudito e il
successo è immediato e immenso, è come se le leggi della natura venissero capovolte.
Appena si accorse che tutto era possibile iniziò a fare dei film a più inquadrature,
come Il viaggio sulla luna (1902), la parodia del racconto di Jules Verne Dalla terra
alla Luna, è un racconto a quadri fissi, Méliès non era come i fratelli Lumière, i suoi
racconti non volevano dare una verosimiglianza.
Nel 1903 gira La lanterna magica, un omaggio alla trasformazione della vecchia
lanterna in cinematografo.
Gran parte del cinema delle origini è basato sull’autonomia dell’inquadratura, il
montaggio serviva per collegare una scena ad un'altra o creare un effetto di magia,
ogni volta che cambiava inquadratura, l’episodio cambiava, e c’era sempre un salto
temporale.
Il cinema di Méliès ha sempre un aspetto giocoso, non è mai voluto essere
drammatico anche nei momenti più tristi, lo spettatore è sempre portato a divertirsi
senza mai immedesimarsi emotivamente in ciò che sta guardando.
Si distinguono due rami nel cinema guidati dai Lumière da una parte e Méliès
dall’altra:

• REALISMO
• CINEMA FANTASTICO

Questa divisione è molto imprecisa, ma tende a sintetizzare le due correnti principali


del cinema fino quel momento.
Attribuiamo a Méliès di aver scoperto che il cinema non riproduce la realtà, ma crea
sempre dei mondi diversi dalla realtà, i suoi viaggi ci immettono per la prima volta in
un mondo che non viene raccontato, ma mostrato.
Nello stesso periodo in Inghilterra si sperimentavano altre forme narrative e tecniche
per il cinema, fra cui una stessa azione che continuava da un’inquadratura all’altra.
Questi primi tentativi di montaggio mettono alla luce uno dei primi problemi del
cinema: la linearizzazione temporale.

Con il film “Mary Jane’s Mishap (1903) si ha uno dei primissimi esempi di raccordo
sull’asse e di uso del primo piano, oppure Williamson sperimenta la tecnica del
primissimo piano nel film The big swallow (1901).
Gli inglesi scoprono che possono passare da un’inquadratura ad un'altra per far sapere
allo spettatore cose che i personaggi non sanno, si forma un rapporto gerarchico tra
spettatore e personaggio.
Il cinema britannico è molto diverso da quello francese, non è così anarchico, ha una
sostanziale impronta educativa o moralista, vi è un importante principio che
arriverà fino al cinema dei giorni nostri: la lotta del bene contro il male nella quale
il bene trionferà sempre, avevano una necessità di lieto fine. Un esempio è Rescued
by rover (1905).
Il cinema inglese è sostanzialmente legato alla morale vittoriana, che è alla base del
futuro cinema narrativo, la storia si sviluppa in 3 fasi:

• L’ordine
• La trasgressione
• Il ripristino dell’ordine

Questo modello arriva direttamente dalla struttura della fiaba.


Da qui nasce il primo genere di film: La Chase.
Anche in America nello stesso momento si sviluppa il cinema con intento moralista,
Porter fece film che mostravano fatti di cronaca, ma anche film alla Méliès.
Nel 1903 gira “The great robbery”, uno dei primi racconti lineari completi, composto
da 14 episodi ciascuno di una sola inquadratura. Si possono contare un gran numero
di effetti speciali tra cui il mcm, oppure nell’ultima inquadratura lo sparo del capo dei
banditi verso il pubblico, si tratta di un’immagine che sta al di fuori della storia che
serve a stupire.
Questo tipo di spettacolo ha la stessa funzione principale di mostrare le immagini della
lanterna magica, quindi viene definito cinema delle attrazioni, il quale al suo
interno è stato diviso in due periodi:

• Sistema delle attrazioni mostrative(SAM): Singole vedute, ciascuna vale per sé


stessa, 1895-1906
• Sistema dell’integrazione narrativa(SIN): le inquadrature sono ancora lunghe e
autonome, ma si comincia a montarle una dopo l’altra in una specie di
successione narrativa, dura fino al 1915.

In entrambi i casi lo scopo principale dello spettacolo era di mostrare scene in


movimento, accompagnate da un imbonitore che colmava a voce i vuoti.
Caratteristiche del cinema delle attrazioni:

• Mostrare più che raccontare


• Inquadrature lunghe e fisse
• Imbonitore che presentava la scena.

Un’altra grande attrazione era il colore, esistevano vari tipi di colorazione per la
pellicola in bianco e nero: viraggi, imbibizioni o colorazione a mano.
Con i viraggi si immergeva la pellicola in liquido che colorava secondo l’atmosfera,
però con questa tecnica una separazione semantica dei colori era impossibile;
combinando il viraggio con l’imbibizione si potevano ottenere colori diversi nella stessa
pellicola.
La colorazione a mano era un processo artigianale, non industriale, quindi più
affascinante, ogni copia era un’opera singola, questo lavoro era affidato alle donne.
Il cinema delle attrazioni era uno spettacolo ambulante fino al 1905-1906, non vi
erano sale destinate esclusivamente alla proiezione di film, quindi non era ancora il
soggetto rappresentato che attirava la gente, ma il cinematografo stesso, la magia
delle immagini in movimento.
Le pellicole ancora non si noleggiavano, ma si comperavano, quindi il film era ancora
più simile ad un progetto artigianale che industriale.
Solo in seguito si è cominciato ad affittare locali per aprire sale di proiezione.
Dopo il 1907 il cinema diventa un’istituzione, gli spettacoli diventano attraenti e
accattivanti, prima le vedute erano scollegate fra loro, gli spettatori andavano al
cinema attratti dalla novità, ora le modalità di coinvolgimento erano più avanzate, non
vengono usate più attrazioni scollegate l’una con l’altra, gli spettacoli raccontano
storie, e diventano più lunghe.
Nascono i Nickelodeon, sale che proiettavano ad un prezzo ridotto frequentate da un
ceto basso.
2. La nascita del cinema narrativo in Europa e in USA
Fra 1906 e 1915 avviene una trasformazione: dal cinematografo al cinema, nasce il
cinema narrativo.
Prima il cinematografo illustrava solo storie raccontate da altri, ora il cinema le
racconta da solo. La voce del presentatore però rimarrà nelle didascalie (anche se
astratta e impersonale), perché ancora non tutti erano in grado di leggere, avevano
diverse funzioni: anticipano le immagini, commentano le azioni, dicono quello che non
si vede tra le varie immagini, vengono scritti i dialoghi tra i personaggi.
Dal 1906 il cinematografo entra in crisi, con la nascita di una nuova classe di
lavoratori e l’arrivo di un’età di benessere generale il cinema deve cambiare per
adattarsi alle trasformazioni sociali, dovevano essere inventate storie nuove, ma
soprattutto lo stile doveva rinnovarsi. A questo pensò Griffith con l’invenzione del
montaggio narrativo e analitico, la vecchia inquadratura con scene lunghe e fisse
veniva abbandonata e scomposta in tante inquadrature più piccole, ognuna
corrispondeva ad un punto di vista differente, bisognava trascinare lo spettatore
dentro la storia.
l montaggio analitico si basa sul raccordo, per chi esegue il montaggio si tratta di
un’unione fisica di 2 inquadrature, per chi lo guarda invece assiste ad un cambiamento
di inquadratura, ma affinché lo spettatore capisca quello che succede ci deve essere
fluidità, sarà il codice per le narrazioni intense e appassionate.
Il montaggio narrativo nasce grazie al montaggio analitico, verrà usato come modello
per chi vorrà portare lo spettatore a riflettere, consisteva nella scomposizione di una
singola scena in tante inquadrature frammentarie, veniva eseguito attraverso i
raccordi:

• Raccordo di movimento/direzione: l’inquadratura segue il movimento del


personaggio
• Raccordo sull’asse: la macchina da presa deve avanzare o indietreggiare
senza cambiare l’asse
• Raccordo di sguardo: l’attore non guarda mai direttamente in camera per
mantenere la diegesi, le inquadrature seguono lo sguardo del personaggio,
come se fosse il vissuto interiore del personaggio
• Raccordo di posizione: un personaggio occupa uno spazio preciso
nell’inquadratura, occuperà lo stesso spazio anche nell’inquadratura successiva

L’unione del raccordo di sguardo con quello di posizione crea una figura di campo
contro campo.
L’obiettivo era favorire la costruzione di una diegesi coerente, ovvero il mondo
parallelo doveva essere coerente con le leggi fisiche vigenti nella mente dello
spettatore.
Una sequenza nasce dalla somma di un certo numero di inquadrature, diventa
un’unità di narrazione, la scena autarchica viene scomposta in più inquadrature e lo
spazio viene diviso in più punti di vista.
Dagli anni ‘10 si comincia ad usare il montaggio alternato, mostra alternativamente 2
eventi simultanei collegati. Con Griffith poi nasce la narrazione.
Il montaggio parallelo invece consiste nel mostrare alternativamente 2 scene.
Dal 1906 in poi si passa al noleggio delle pellicole, sono loro che cominciano a
viaggiare da un paese all’altro facendo diventare il cinema una sorta di istituzione
sociale.
Il genere comico è stata la prima varietà di cinema inventata, seguito poi da quello
poliziesco; all’inizio venivano girate delle serie di film che avevano in comune
personaggi, antenate delle moderne serie cinematografiche e di televisione.
In Italia Torino Milano Roma e Napoli erano le città principali in cui si giravano film, a
Roma è stato inventato il genere di film storico o in costume, un genere che diventerà
di grande importanza, il cinema italiano ha inventato uno spettacolo visionario teatrale
e musicale.
Giovanni Pastrone ha il merito della diffusione di questo tipo di cinema, con Cabiria
(1914), un film veramente innovativo per quel periodo, sia per la durata che per le
scenografie e il linguaggio usato, in più è il primo film girato con una cinepresa dotata
di carrelli, quindi poteva muoversi nello spazio.
La trama viene usata come pretesto per mettere in scena un grandioso spettacolo di
teatro, musica e immagini. Rientra ancora nel cinema con una dominante attrazione
visiva e una debole struttura narrativa, anche se lo stile è diverso dal cinema delle
attrazioni.
Il film tenta di collegare teatro, cinema, musica e pittura, creando un altro genere che
arriverà fino i giorni nostri: il film colossale-catastrofico.
Pastrone usa anche un montaggio che non ha la funzione di metamorfosi, ma ha
un’intenzione narrativa, cambia il punto di vista anche durante una singola scena
abbandonando l’inquadratura autarchica.
Possiamo definire Cabiria come uno spettacolo visionario, non un film narrativo.
Grazie all’uso di inquadrature non fisse (chiamate inserti) la storia era di
comprensione più facile, questa tecnica viene usata da Griffith nei suoi primi film, con
Birth of a nation (1915) vedremo pienamente all’opera il nuovo modo di raccontare, al
contrario di Cabiria questo è un’opera completamente narrativa; il dinamismo dei
personaggi, la sorprendente velocità nello svolgimento dell’azione segnano un grande
cambiamento rispetto ai film contemporanei, lenti e statici.
Con Griffith nasce il Sistema retorico narrativo, che comprende tutte le tecniche
inventate dallo stesso (raccordo sull’asse, dissolvenza e primo piano).
Soprattutto il primo piano diventa importante perché contribuisce alla costruzione
psicologica del personaggio, lui lo usa per descrivere i volti dei personaggi.
Birth of a nation è un grande discorso politico, il film sostiene una tesi politicamente
reazionaria, i neri sono considerati una razza inferiore e solo i bianchi possono
esercitare e difendere la giustizia.
Con questo film nasce anche la poetica dell’eccesso cinematografico, in cui il bene e il
male si contrappongono come valori assoluti e senza mediazioni.
In questo film si ha per la prima volta un uso sistematico delle nuove figure
cinematografiche, e della loro integrazione dentro un grande corpo narrativo.
Con Griffith nasce un nuovo ruolo, il regista, da adesso è lui che prende in mano il
destino del film.
La scomparsa dell’imbonitore invece è subito sostituita dalle didascalie, utilizzate per
presentare la scena, è come la voce simbolica del regista, diventa lui il narratore.
Un anno dopo Birth of a nation gira un film per riscattarsi dalle accuse di razzismo
causate dal primo film, con Intolerance (1916) elabora forme narrative nuovissime,
per denunciare i mali causati dall’intolleranza ha deciso di raccontare 4 storie che
scorrono alternativamente sullo schermo,
il film diventa una sintesi della violenza del mondo; le 4 storie sono: la caduta di
babilonia, la passione di cristo, lo sterminio degli ugonotti, una storia di gangster
contemporanei.
Gira questo film per riscattarsi dalle accuse di razzismo del film precedente, con
questo vuole mostrare con intento critico che l’intolleranza ha sempre la meglio, solo
nell’episodio contemporaneo traspare una visione positivistica.
È presente la figura del narratore onnisciente, una figura astratta che organizza le
immagini e le didascalie.
Le storie corrispondo ai 4 generi maggiormente usati fino a quel periodo, il film
colossale, quello storico, quello religioso, e il dramma a sfondo sociale.
Segna la nascita del film didattico e filosofico, anche l’uso del primo piano in questo
film serve come strumento poetico, che crea tante piccole liriche all’interno di una
serie narrativa di per sé giù molto complessa.
Poco dopo anche il cinema europeo si mette in moto, dai quadri fissi si passa al
montaggio dinamico e drammatico, però il montaggio resterà sempre ancorato alla
profondità di campo, invece il cinema americano si sforzerà di eliminarlo perché rende
l’inquadratura troppo difficile da comprendere.
Da questo nasce anche una diversa concezione del racconto cinematografico fra
Europa e America, quello americano sarà un film di azione e veloce, mentre quello
europeo manterrà la sua vocazione per i tempi lunghi e le inquadrature complesse.
3. Il cinema di avanguardia in Russia

In America il cinema s’impone sul piano commerciale, in Europa invece si cerca


innovazione e ci si spinge verso un mondo nuovo.
Le vecchie attrazioni di Méliès diventano gli strumenti delle nuove avanguardie, o per i
futuristi russi il cinema incarna i nuovi valori della rivoluzione: libertà, modernità,
rinnovamento.
Le avanguardie europee si costruiscono tutte intorno al tema del grande sogno della
macchina, la città diventa una macchina vivente. Primi fra tutti i futuristi italiani
lanciano il sogno di rivoluzionare la vita attraverso la macchina, seguiti poi dai russi, il
cubismo e il dadaismo.
Tutti questi movimenti avevano in comune l’interesse per il cinema, completamente
diverso da quello narrativo, le avanguardie promuovono un cinema che frantuma i
modelli conosciuti, che fa saltare in aria tutte le convenzioni.
La modernità si annuncia con la distruzione di ogni forma e modello tradizionale.
Con il futurismo italiano incontriamo il primo balzo verso la modernità, si riteneva che
il cinema fosse da considerare un’arte futurista per natura, poiché era privo di passato
e libero dalle tradizioni; i futuristi proponevano un cinema anti grazioso, deformatore
e impressionista, doveva essere la ricerca di un linguaggio nuovo rispetto a quello
vecchio e pesante del passato, loro volevano liberare il cinematografo come mezzo di
espressione per farne lo strumento ideale di una nuova arte.
La caratteristica fondamentale del cinema per loro era il montaggio, i futuristi
colgono immediatamente l’identità di cinema e movimento.
Il genere da loro prediletto era quello comico, perché celebrava il movimento e il
montaggio allo stato puro.
Gli italiani furono gli ispiratori delle avanguardie europee successive, soprattutto
quelle francesi, russe e tedesche.
Prima del futurismo il cinema era solo un’attrazione di fiera, in seguito i trucchi
diventano poesia, strumenti di un nuovo linguaggio creativo e sovversivo.
Il futurismo è la prima corrente artistica che si interessa al cinema come linguaggio e
come movimento del linguaggio.
Tra il 1915-1921 si sviluppa in Italia un nuovo genere: il diva-film, un dramma
aristocratico elegante raccontato per lunghe inquadrature con rari e lunghissimi primi
piani delle protagoniste femminili.
I primi piani sono molto diversi da quelli del cinema americano.
Con il futurismo russo invece si propone di trasformare realmente sia l’arte che la vita,
si doveva costruire un’arte nuova per un mondo nuovo.
In questo cambiamento la rivoluzione russa ha giocato un ruolo fondamentale, in
quanto è stata un’esplosione artistica e culturale, oltre che popolare, essa fu un
grande evento distruttivo, di liberazione sociale, ma anche costruttivo, di
rinnovamento artistico e di creazione di nuovi modelli espressivi.
Nel caso della Russia la rivoluzione nel giro di pochi anni iniziò a cristallizzarsi, divenne
una formula rigida, quasi uno stereotipo.
Ma nel periodo d’oro dei moti rivoluzionari vi fu un’intensa produzione artistica e di
riflessione, l’interesse per la macchina creava una nuova estetica anti-tradizionale.
Il cinema russo parte da un rifiuto dello spettacolo tradizionale in cui lo spettatore
s’immerge passivamente, si pone contro la diegesi e distrugge il cinema narrativo,
vengono proposte forme di cinema-festa, nel quale lo spettatore è sempre attivo e
stimolato a nuove invenzioni e continui cambiamenti.

Il cinema russo parte da 3 concetti chiave:

• Formalismo: l’importanza di un’opera sta nella forma, non nel contenuto,


l’attenzione si sposta verso la forma
• Straniamento: i fenomeni devono essere osservati da un punto di vista nuovo e
inedito, si va contro la trasparenza, la forma deve diventare visibile allo
spettatore
• Montaggio: deve creare una lotta fra le immagini e suscitare emozioni nello
spettatore (effetto Kulešov)

Nel 1925 si sviluppa la teoria del cine-occhio, secondo cui ogni cosa se viene
osservata con gli occhi quotidiani appare banale, ma se viene osservata con gli occhi
del cinema e del montaggio appare straniera e nuova.
Vertov, il creatore di questa teoria, crea un montaggio definito poetico, straniante e
straniato, per scoprire gli aspetti sconosciuti del mondo. Nel suo film “L’uomo con la
macchina da presa (1929) esalta la macchina della città accostandola a quella del
cinema, mostra il suo linguaggio con un’ironia atroce e improduttiva, in quanto i giochi
di montaggio deludono sempre gli spettatori che cercano un significato definito e
definitivo, lui usa il mondo per mostrare il cinema.
Kulešov ha individuato per primo il montaggio come base di produzione di senso.
Viene definito effetto Kulešov uno dei suoi esperimenti più famosi, ha accostato la
stessa inquadratura della faccia di un uomo a 3 immagini diverse: un piatto di
minestra, un cadavere e un bambino; anche se l’immagine era sempre la stessa gli
spettatori attribuivano sempre sentimenti diversi al suo volto, quindi si accorse che il
senso dell’immagine cambia a seconda dell’immagine che le sta vicino, quindi il senso
è generato non dalle inquadrature, ma dal montaggio. Con questo esperimento
dimostra il ruolo attivo dello spettatore. Quindi si inizia ad usare il montaggio in modo
metaforico. Colui che porta a compimento la piena
maturità del montaggio è Ėjzenštejn, lui riteneva che teatro e cinema dovessero
scuotere lo spettatore dal letargo tradizionale della sala buia. Il concetto di attrazione
diventa fondamentale, il montaggio delle attrazioni quindi diventa una tecnica
finalizzata a suscitare nello spettatore associazione di nuove idee, questa teoria trova
la prima manifestazione nel film “Sciopero” (1924), il montaggio di pezzi brevissimi ci
porta direttamente dentro il caos della rivoluzione e della lotta.
Ėjzenštejn parte dalla lezione di Griffith, ma cerca di superarlo, il suo montaggio è
molto diverso dal montaggio parallelo o alternato americano, il montaggio delle
attrazioni è disordinato, è finalizzato a dare allo spettatore un senso del caos che
domina la vita reale.
È stato formato dal regista Mejerchol'd, quindi venne influenzato dalle sue teorie, il
maestro sosteneva che l’attore è un corpo biologico, la sua abilità fisica è molto
importante, lo spettacolo deve lavorare sulla sensibilità dello spettatore ignorando la
sua componente conscia.
Ėjzenštejn è anche contrario all’inquadratura autarchica, se il film mostra tutto, lo
spettatore non fa niente e non ha niente da immaginare.
Quindi formula la teoria degli stimoli, il montaggio deve stimolare l’immaginazione
e il lavoro intellettuale, tutto deve essere incompleto e frammentario, le azioni parziali
devono essere completate dallo spettatore. È anche contrario alla linearità temporale,
il montaggio deve ribaltare tutto, invertire l’ordine degli eventi, inseguito parlerà
anche di cine-pugno, il film deve colpire lo spettatore con un effetto shock.
Ėjzenštejn pubblica anche degli scritti su teorie cinematografiche, come quella sul
suono che deve essere completamente autonomo e porsi in conflitto con le immagini.
Nel 1929 propone la teoria del montaggio intellettuale, nella quale spiega che per lui il
cinema può esprimere concetti astratti, quindi può diventare strumento di riflessione
filosofica. Gira i suoi ultimi film tutti incentrati sulla figura di Stalin paragonandolo a
Ivan il terribile nell’omonimo film (1944).

1. La corazzata Potemkin (Bronenosec Potemkin, Sergej M.


Ejzenstejn, 1925)
La Corazzata Potëmkin è l’attuazione delle sue teorie del montaggio delle attrazioni,
il film tratta di un cine-poema che canta di una tragedia dell’umanità, lo sfruttamento
e la ribellione, unisce in modo unico la narrazione alla poesia.
Non vi è un protagonista unico, ma è la folla che assume il ruolo di personaggio
principale.
Le scene più drammatiche vengono enfatizzate tramite il montaggio con la ripetizione
della stessa inquadratura, la donna che cade dalla scalinata ci viene mostrata cadere
due volte. Il regista non porta mai a termine una scena, accumula una violenza con
l’altra senza lasciare mai allo spettatore il tempo per capire, arriva allo scontro tra le
inquadrature oltre a quello tra le persone.
Il montaggio alternato viene intervallato dal montaggio intellettuale, come nella scena
in cui vengono riprese delle statue raffiguranti dei leoni, simbolo del popolo che deve
risvegliarsi.
4. Il cinema di avanguardia in Francia

Le avanguardie francesi vedono il cinema come una grande potenzialità come i russi,
ma in un altro senso, con un’accezione meno ideologico-sociale e più filosofica,
interessata alla connessione fra il reale e il fantastico, soggettivo-oggettivo, il
cinema doveva essere una poesia visiva.
Le vecchie attrazioni dei tempi di Méliès vengono rilanciate come strumenti di nuovo
linguaggio nel quale l’osservazione della realtà si intreccia con il gioco degli effetti
speciali, si inaugurerà un filone che avrà il suo culmine nella nouvelle vague.
La Francia in questo periodo vive una fase di benessere, una sorta di proseguimento
della Belle Époque. La Parigi di quel tempo era il cuore della cultura europea, e tutti
parlavano di cinema creando nuove tecniche e teorie; Leopold Survage per esempio
propone l’idea di un cinema puro, cioè composto solo da forme geometriche, senza
figure o contenuto. Anche se all’inizio ebbe buon seguito si estinse molto presto per la
ripetitività delle pellicole, anche se la forma era essenziale il contenuto rimaneva
sempre indispensabile.
A livello industriale la Francia era diversa dall’America, le case produttrici favorivano i
piccoli autori liberi dalle necessità commerciali, l’industria francese rimaneva più
aperta, legata alla piccola e media borghesia. Quindi il cinema riesce a svilupparsi in
modo più indipendente da quello americano.
Il cinema francese di quegli anni girava intorno un concetto chiave: la fotogenia.
Un teorico ungherese, Béla Balàzs sviluppa questo concetto con un paragone: il volto
umano ingrandito diventa un autentico paesaggio naturale, cambia con il passare delle
ore e dei sentimenti, come la natura che cambia aspetto secondo il tempo e la luce.
Lui coglie per primo una straordinaria tecnica: con il primo piano l’anima umana
diventa visibile. D’ora in avanti questa tecnica diventa uno strumento per fondare
un’arte del tutto nuova, un’immagine visibile per mostrarne una invisibile; un volto
per un sentimento o un pensiero.
La fotogenia quindi rappresenta una rivoluzione intellettuale e poetica che da una
grande spinta allo sviluppo del cinema documentaristico e antropologico, ma sempre
con una forte dimensione poetica. Tutte le avanguardie europee faranno del primo
piano il loro cavallo di battaglia, al contrario il cinema americano continuerà a farne un
uso narrativo, il cinema europeo si orienta verso un uso simbolico, diventa
essenziale per esprimere il dolore, la crudeltà, la perfidia o la malinconia.
Il danese Dreyer sarà colui che darà massima espressività a questa tecnica con il suo
film Giovanna d’Arco (1928), raggiunge un’espressività che il cinema non aveva mai
conosciuto fino ad allora. Questo grande film poema si incentra del tutto sulla
sofferenza e sul volto umano. Non ha né tempo né luogo, il dolore sovrasta ogni cosa
mostrato in mille forme diverse che però sono sempre la stessa.
Con i primi piani a Giovanna d’Arco e ai suoi accusatori il regista esprime tutto il
dolore possibile in un animo umano.
L’importanza del dettaglio genera quella riflessa del fuori campo, l’insieme non viene
mai mostrato, ma suggerito, quindi ciò che non viene mostrato rimane invisibile,
quindi altrettanto pauroso rispetto al visibile.
Tutta la sua opera è un monumento alla solitudine della donna.
Con l’arrivo del cubismo il cinema subisce uno scossone, il movimento artistico
tendeva a scomporre lo spazio e gli oggetti per farli diventare forme geometriche
ponendosi il problema di restituire la tridimensionalità; questo ideale viene trasmesso
precocemente al cinema.
Ora si cercava di abbandonare la narrazione per diventare una danza di oggetti
assolutamente liberi.
Léger riteneva che l’errore del cinema fosse il soggetto, senza di esso poneva il
“gigantesco microscopio delle cose mai sentite”, il cinema doveva diventare lo
strumento delle cose mai viste, l’intento era di rovesciare il cinema narrativo.
Il dadaismo influenza molto il cinema, è una corrente artistica nata nel 1918, si
proponeva di liberare la parola dall’obbligo di significare. Un esempio è il film Entr’acte
(1924) di René Clair, così chiamato perché era un intervallo cinematografico fra due
parti di un balletto. La parola intervallo indica anche la poetica del dadaismo, il cinema
non ha un posto preciso, è libero da qualunque struttura. All’interno dello
spettacolo inserisce il cartello con la scritta “Relache”, messa di solito davanti ai teatri
chiusi per ferie, l’intento era di rovesciare le abitudini che lo spettatore aveva.
In questo film le immagini non hanno altro fine che se stesse, nessuno recita, non ci
sono personaggi, né storie, solo persone e figure. Entr’acte è solo un intermezzo
giocoso, solamente cinema.
Quello dadaista infatti è un cinema che vuole farci divertire e sovvertire tutte le
aspettative dello spettatore.
Anche il surrealismo ha influenzato il cinema, si ritiene però che solo due siano dei
veri e propri film surrealisti; Un Chien andalou (1929) e l’Âge d’or (1930), realizzati da
Buñuel.
In un Chien andalou, Buñuel pone uno sguardo diritto e crudele nelle parti più
profonde della psiche.
La prima scena del film, il taglio dell’occhio rappresenta la penetrazione al di là di
tutte le frontiere, anche all’interno dell’anima.
Tutta la sceneggiatura si svolge in uno “spazio senza tempo e in un tempo senza
spazio”.
Gli studi surrealistici di quel tempo si incentravano sull’abolizione del confine tra sonno
e veglia, vennero intrapresi molti studi sulla psiche umana, iniziati da Freud pochi anni
prima con la pubblicazione dell’Interpretazione dei sogni, si voleva esprimere i moti
dell’inconscio, liberare l’uomo dalle imposizioni sociali.
Il cinema per i surrealisti ha un grandissimo potenziale, l’intento era usare le immagini
e le associazioni visive per scavare al di sotto della realtà visibile e librare
l’immaginario umano. I film sono caratterizzati da indicazioni spazio temporali
incoerenti, hanno un intento di provocazione verso il pubblico, c’è sempre un’allusione
all’esperienza della città moderna come una frammentazione dell’anima con tutte le
esperienze che vengono vissute.
Desnos inventa la scrittura automatica, e sul piano della pittura troviamo le immagini
ipnagogiche di Dalì. Il surrealismo vuole sempre muoversi al confine fra i due mondi:
veglia-sonno, realtà-immaginazione, giorno-notte.
Un altro importante tema è quello del folle amore, un amore spinto fino la follia, il
tema centrale dei film surrealisti.
Ma soprattutto è l’occhio che sta al centro di tutta la poetica cinematografica del
surrealismo.
5. Il cinema di avanguardia in Germania

Il cinema d’avanguardia tedesco si indirizza nella direzione opposta di quello francese,


i trucchi vengono usati per creare un mondo dominato dalla logica del sogno e
dell’incubo. L’elemento fondamentale del cinema tedesco non è il più il montaggio ma
l’inquadratura, adesso strutturata come un quadro, chiuso su sé stesso fino
all’angoscia, usavano il cinema come un mezzo per esprimere emozioni, l’espressività
è al centro della loro ricerca.
Tutto parte dalla situazione della Germania degli anni 20, devastata dalla sconfitta
della guerra, dai debiti, è un periodo di smarrimento, fallimento e disoccupazione, il
mercato nero controllava ogni commercio di generi alimentari o indumenti; il quadro
sociale non poteva non riflettersi nel contesto artistico culturale, già da prima della
guerra si erano sviluppato delle correnti artistiche che tendevano a scomporre la
realtà, l’astrattismo e l’espressionismo acquistano molto velocemente grande
popolarità in tutta la società, quindi anche il cinema ne subisce l’influenza.
Die Brücke (il ponte) è uno dei più importanti movimenti artistici sviluppatisi in
Germania in questo periodo, il senso di insicurezza regna sovrano nelle opere di
questa corrente, si voleva esteriorizzare l’inconscio del soggetto.
Quindi si sviluppa un cinema astratto che va alla ricerca dei ritmi visivi senza
immagini, la realtà rappresentata risulta distorta, espressione diretta degli stati
emotivi delle persone, la luce e l’ombra vengono usate con scopo simbolico, servono
ad esprimere gli aspetti interiori o esteriori del soggetto. Si facevano anche molti
riferimenti al teatro con l’artificialità della messa in scena.
Le forme astratte del cinema non significano niente, perché il cinema è prima di tutto
fotografia in movimento e non pittura astratta, non basta quindi solo la forma, ma
anche il contenuto.
Il cinema astratto avrà una grande influenza in futuro anche nel cinema narratore e
molti registi ne prenderanno spunto per creare delle sequenze.
Si possono definire 3 momenti principali all’interno del cinema tedesco:

• L’Espressionismo
• Il Kammerspiel
• La Nuova Oggettività

Il concetto espressionismo possiamo definirlo come il concetto stesso di arte, poiché


ogni arte è espressiva per natura, secondo alcuni storici esiste solo un film puramente
espressionista: Il gabinetto del signor Caligari (Robert Wiene, 1919).
Un altro film appartenente a questo stile è Nosferatu (1922) di Murnau, riprende il
racconto Dracula di Stoker, non avendo i diritti per rappresentarlo sono stati cambiati
nomi ed eventi. Le luci e le ombre assumono dei ruoli importanti.
Può essere interpretato come una metafora della prima guerra mondiale.
Se l’espressionismo viene inteso come movimento artistico, possiamo dire che una
delle sue caratteristiche principali è una forte distorsione del segno.

Il cinema espressionista per realizzare queste distorsioni adotta i vecchi trucchi usati
come strumenti per creare allucinazioni. Spazi immaginari si fondono con gli spazi
reali potenziando a dismisura il mondo fantastico.
Un nuovo trucco, l’effetto Schüftan permetteva di creare luoghi immaginari. Tramite
un gioco di specchi si poteva ricreare un ambiente immaginario, come per esempio
nella scena dello stadio nel film Metropolis.
È il perfezionamento dei trucchi di Méliès, oppure l’antenato del green screen
contemporaneo.
Anche il primo piano assume aspetti demoniaci e persecutori, oppure sofferenti e
vittimistici fino allo spasimo, nel cinema tedesco il volto assume un grande valore
espressivo.
Il cinema tedesco trascura il montaggio e predilige su tutto gli effetti, ogni
inquadratura diventa un mondo completo su sé stesso.
Secondo Albin Gau il mondo rappresentato rimane racchiuso dentro i limiti
dell’inquadratura, al di fuori del quale non c’è assolutamente niente, quello del film
deve essere uno spazio a due dimensioni.
Il Kammerspielfilm è all’opposto del cinema espressionista, questo genere nasce
come tipo di teatro per pochissimi spettatori , che poi si diffonde anche nel cinema;
è caratterizzato da una straordinaria mobilità della cinepresa che segue da vicino i
personaggi fino quasi alla persecuzione, quindi la recitazione deve essere diversa in
quanto la mimica doveva essere portata al minimo.
Il nuovo rapporto che si stabilisce tra la cinepresa e l’attore anticipa quello che sarà il
cinema moderno.
La cinepresa acquisterà la sua massima mobilità con Murnau, arriverà quasi a
diventare un “occhio che scivola nello spazio”. La soggettiva diventa la chiave di volta,
tutto il suo cinema è una soggettiva dal punto di vista della cinepresa.
È da qui che nasce il cinema come sguardo, grazie a lui la cinepresa diventa un vero
e proprio essere vivente.
Questo nuovo genere, chiamato La nuova oggettività è stato soprattutto un genere
documentaristico che serviva a descrivere le condizioni della Germania degli anni 20.
Al di fuori delle 3 correnti del cinema tedesco si posiziona uno dei più importanti
registi tedeschi di quel tempo: Fritz Lang, descrive la Germania del suo tempo come
il fosco regno della criminalità organizzata in Il dottor Mabuse (1922), ma il suo
capolavoro sarà Metropolis (1926) un film che diventerà un cult per molte
generazioni, grande fonte di ispirazione per molti registi.
Introduce l’idea di un mondo dispotico, nella città in cui viene ambientato si nota una
mescolanza tra passato e futuro, la vediamo come una gigantesca macchina che
lavora senza sosta, al di sotto di essa troviamo una città speculare che ospita le
famiglie degli operai-schiavi, gli uomini si recano a lavorare come fossero degli automi
senza volto; all’opposto in superficie i ricchi si godono il loro paradiso in terra, questa
ristretta massa domina il popolo, è una prefigurazione del nazismo.
Viene ambientato nel 2026, quello che appare è un mondo assolutamente negativo.
La trama di questo film è un vero e proprio apologo sulla necessità di obbedienza
sociale, la visione di Lang è considerata quasi come una profezia della società futura e
dei problemi che ancora interessano il nostro mondo.
Il regista dava grande interesse alla composizione dell’inquadratura, e al contrario
delle avanguardie lui non rifiutava il cinema narrativo, ma faceva in modo che la
narrazione fosse sempre parallela alla creazione di immagini travolgenti e simboliche.
Quindi nella sua opera troviamo la piena fusione delle due grandi massime del
cinema: mostrare e raccontare.
2. Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr.
Caligari, Robert Wiene, 1919)

Dipingendo le luci e le ombre direttamente sulla scena e scegliendo un’atmosfera


molto tetra riesce a scatenare in noi il sentimento del perturbante, ovvero uno stato
di confine tra ciò che ci appare familiare e non. Caligari rappresenta stati che non
sono a noi familiari, quindi l’ipnotismo e il sonnambulismo. La trama è ispirata ad un
fatto veramente accaduto allo sceneggiatore, Janowitz.
Il delirio viene espresso tramite le inquadrature, gli alberi disegnati sullo sfondo, i
lampioni storti, tutto è falso.
Girato a lunghe inquadrature fisse il film è un incubo a due dimensioni, questa
caratteristica è centrale in tutto il cinema espressionista insieme alla chiusura
dell’inquadratura su sé stessa.
6. Il cinema classico hollywoodiano: studio system e star
system
Dagli anni 30 Hollywood riesce a sviluppare un’industria cinematografica nella quale lo
spettatore si sente al centro del mondo, questa illusione di realtà è dovuta alla
continuità narrativa costruita attraverso il montaggio.
La forma narrativa classica prevede che le attrazioni siano presenti raramente dentro
il film, subordinate al racconto di una storia, prende le sue basi dal cinema moralista
inglese.
Si intende cinema classico quello apparente al periodo 1927-1960. Dagli anni 30
Hollywood diventa il centro del cinema mondiale.
Lo stile narrativo del cinema classico non è da ricondurre alla volontà dei singoli
autori, ma da un sistema di produzione che tracciava modelli standard, il modo di
produzione quindi rappresentava anche lo stile del film. Nascono da qui i mestieri che
ancora oggi sono presenti dentro l’industria cinematografica, e soprattutto spicca una
figura che domina tutte le fasi di produzione di un film: il produttore.
La crisi del 29 causò un’ondata di malessere e malumore in tutti gli stati uniti e in
tutto il mondo, solo grazie al New Deal di Roosevelt si ricominciò a ricostruire quello
che la crisi aveva distrutto, il cinema contribuì a rilanciare la fiducia nelle istituzioni
sociali. Per far ciò però c’era bisogno di un cinema chiaro e accessibile a tutti, il
modello fu trovato nel romanzo dell’800, in più occorreva un apparato produttivo
molto solido, venne quindi ideato lo studio system, un sistema di produzione in cui
tutte le fasi di produzione del film sono sotto il controllo di una sola casa produttrice, è
basato sul fordismo e sulla parcellizzazione del lavoro.
In questo tipo di cinema la nozione di stile cambia profondamente, non è più una
caratteristica individuale come prima, ma una marca collettiva.
Negli anni 20 le grandi case produttrici non consideravano ancora il sonoro un
investimento necessario, solo la Warner Bros, una casa minore che rischiava il
fallimento decise accettare il rischio, nel 1927 così uscì Il cantante Jazz, un film
musicale che ancora aveva il suono solo nella parte del cantato.
In breve tempo tutte le case produttrici si adeguarono dato il tale successo che ebbe il
film. Grazie al sonoro la storia raccontata ebbe un grande impulso, non erano più le
attrazioni o gli effetti speciali l’elemento che attirava di più, ma i fatti narrati, in più
viene rotta la discontinuità causata dalle didascalie.
Il sonoro però estromise tutti quegli attori che lavoravano con il proprio corpo.
La nuova priorità nell’azione divenne la leggibilità, ora la chiarezza drammatica del
contenuto era di primaria importanza.
Una seconda regola è la gerarchizzazione, in una scena ci deve essere sempre una
netta differenza tra ciò che sta in primo piano e ciò che è nello sfondo, in più deve
essere sempre chiaro chi è il protagonista.
Terzo imperativo è la drammatizzazione, i contrasti di luce, di piani o di azione
devono tutti fornire parametri di valutazione chiari.
Il film classico è sempre caratterizzato da due aspetti principali: la norma e la
trasgressione. C’era il bisogno di regole e l’opposto, di varianti e deviazioni personali.
Le Major, le case produttrici principali erano 5: la mcm, la Paramount, la fox, la
Warner Bros e l’RKO; le case minori formarono un cartello, la MPPDA, insieme
divennero padrone del mercato grazie anche all’appoggio di Roosevelt in cambio
dell’aiuto per il rilancio del New Deal.
Il cinema hollywoodiano si struttura su due grandi assi portanti guidati dalla pressione
delle case produttrici:

• L’asse orizzontale: riguarda la catena produttiva, preproduzione, produzione,


postproduzione
• L’asse verticale: distribuzione e produzione in sala

La MPPDA sviluppò il codice Hays, un codice di autocensura, le produzioni usavano


questo codice per avere una censura preventiva, in modo da non dover sprecare soldi
nella produzione di un film che dovrà essere poi tagliato perché va al di là del buono
costume americano del tempo.
In questo periodo nasce anche lo star system, ovvero quel processo di sottrazione
dell’attore al mondo dei comuni mortali, le pratiche d’informazione e di pubblicità
contribuirono alla nascita di questo fenomeno. Col tempo però ogni attore era
soggetto al crollo della sua immagine, l’etichetta di divo però riusciva a far mantenere
a galla la fama del personaggio, Sunset Boulevard(1950) di Wilder è uno dei primi
film che tratta di questo argomento, un film che racconta la vita di una famosa attrice
degli anni 30, Norma Desmond, che mostra gli orrori del divismo e allo stesso tempo
la sua grandezza.
Era importante che lo spettatore si identificasse con il divo nello schermo, quindi
Hollywood elabora dei modelli narrativi basati su alcuni principi fondamentali:

• Continuità narrativa: il film non deve indugiare su argomenti marginali,


inquadrature e aspetti visivi devono essere sacrificati alla funzione narrativa.
in parallelo vige il principio dell’inquadratura necessaria, il film deve contenere
le inquadrature necessarie alla drammatizzazione, lo spettatore deve arrivare
alla conclusione trascinato dalla curiosità di sapere, in più alla fine ogni
equivoco deve essere sciolto, non devono rimanere ambiguità aperte;
• Trasparenza del linguaggio cinematografico: tutto ciò che rimanda alle
attrazioni o agli effetti speciali deve essere controllato, il montaggio è
controllato dai movimenti degli sguardi e di movimento, il cosiddetto montaggio
invisibile, basato sui raccordi di movimento e dialogo. Tutta la storia è costruita
secondo lo scontro fra uomo e donna inteso come recupero del piacere di
giocare che caratterizza l’infanzia. la luce e la fotografia devono rifarsi agli
interni reali, gli obbiettivi devono dare un’immagine chiara della scena. La
profondità di campo e i movimenti della macchina vengono ridotti al minimo
perché distraggono lo spettatore;
La recitazione viene contenuta entro tipologie fisse i primi piani sono rarissimi e
la psicologia è subordinata all’azione.
• Spazio continuo e prospettico: lo spettatore è al centro, l’illusione della
continuità spaziale deve essere mantenuta, o scavalcamento di campo deve
essere evitato;
• Tempo lineare e perfettamente comprensibile: temporale è chiara e
perfettamente comprensibile, il tempo del racconto va solo avanti, i racconti al
passato sono possibili solo attraverso il flashback.

Questi risultati si ottengono grazie al montaggio narrativo che crea una realtà illusoria
con una continuità temporale e spaziale.
Nel cinema classico vedere e sapere sono ugualmente importanti, recupera la fiducia
di acquistare una coscienza attraverso la visione.
Il cinema con queste regole diventa un linguaggio, elabora un sistema prospettico
spazio temporale in cui lo spettatore è al centro, si deve sentire inconsciamente al
posto di Dio, poiché è onnipresente, onnisciente e invisibile.

In Accade una notte (1934) per esempio in una scena i due personaggi dividono una
camera d’albergo, viene separata in 2 parti da un telo, la macchina da presa si sposta
da una parte all’altra per far vedere allo spettatore le azioni di entrambi.
Il cinema classico è caratterizzato da un continuo gioco stilistico tra norme e
trasgressioni, gli effetti speciali per esempio erano trasgressioni che acquistavano
forza grazie alla loro rarità.
Anche nelle trame e nelle storie raccontate vigeva un rapporto tra legge e
trasgressione, come nella durata del film (90 min.), e nella divisione dei generi, in
quanto si poteva distinguere 3 momenti in ogni storia: ordine, trasgressione e
ripristino dell’ordine.
L’happy ending era una fondamentale, però anche se il film hollywoodiano era
ottimista conteneva sempre una dialettica fra legge e trasgressione anche sul piano
del contenuto.
Il cinema americano classico può essere visto come un lungo sogno in cui lo
spettatore sogna sempre lo stesso problema, che sempre viene risolto e sempre
ricomincia con un’enorme serie di variazioni.
I generi rappresentano un orizzonte di attese che guida la produzione, il regista e lo
spettatore nelle sue scelte, dagli anni 50 cominciano a rinnovarsi e a mescolarsi.
Anche le Majors tendono a specializzarsi in certi generi.
La commedia rappresenta il genere principale del periodo classico, il cinema
americano raccoglie i modelli della commedia che risalgono ad Aristotele e li porta a
nuova vita, tutto viene usato per evidenziare e criticare le abitudini e i difetti umani.
Uno dei più importanti registi che trattarono la commedia fu Capra, la sua era una
commedia ottimista solo in parte, in quanto i suoi film avevano una serie di finali
improvvisi e posticci, lo spettatore può scegliere se accettare l’inganno piacevole
oppure ragionare in modo realistico.
In Accadde una notte per esempio il finale è molto ottimista, e lo spettatore è libero di
pensare che nella realtà le cose non vadano così bene come nel film.
Lo spettatore è portato a pensare che prima o poi le cose sono destinate a cambiare.
7. Il cinema classico hollywoodiano: lo stile classico e
l'immagine dell'autore

Il cinema è diverso dalla letteratura o dalla pittura, non è un’opera individuale,


richiede la partecipazione di molte persone e un rapporto intenso con il pubblico.
Questo rapporto è strettamente legato al rapporto fra tradizione e innovazione.
In America l’idea di regista era molto diversa da quella che abbiamo ora, a quel tempo
c’era una grande lotta tra il regista e lo sceneggiatore o il produttore per rivendicarsi
la proprietà del film.
La figura dell’autore nel cinema hollywoodiano può essere collocata fra due esigenze
fondamentali:

• Il bisogno di regole: assicurano la trasmissione del messaggio.


• Il bisogno di novità: si basa sulle vecchie attrazioni.

Il regista ha il compito di trovare un equilibrio tra le due sponde.


I generi in questo caso rappresentano la tradizione, mentre la novità è costituita dalla
loro evoluzione e trasformazione con l’introduzione di personaggi nuovi o diversi.
L’autore deve essere in grado di accettare le regole, ma anche riuscire a modificarle
dall’interno. Spesso però l’autore può affermare la sua individualità trasformando la
tradizione per far nascere nuove regole.

Il regista poteva esprimere la sua autonomia in soli due modi:

• La poetica: l’insieme dei temi, delle storie e dei personaggi costruiti


dall’autore, rappresenta la sua visione del mondo.
• Lo stile: la somma delle scelte espressive di ciascun regista, riguarda le
inquadrature e le forme di recitazione o montaggio più o meno trasgressive e
intense.

Ad Hollywood lo studio system era basato su una stretta divisione del lavoro e sul
sistema della sceneggiatura di ferro, il suo compito era limitare l’autonomia del
regista ed impedirgli di abbandonarsi a improvvisi estri creativi.
In questa sceneggiatura vi era già scritto tutto, fino alle singole inquadrature; una
volta completata la sceneggiatura veniva consegnata al regista e lui aveva il
compito di realizzare il film così com’era scritta, senza quasi nessun margine di
variazione.
I registi inserivano in ogni film più o meno consapevolmente dei tratti stilistici
costanti: le marche d’autore.
Il cinema western per esempio era il tratto distintivo per Ford, interpretato da lui
come il momento di conferma e definizione dell’identità nazionale.
Nei suoi film non sempre esalta la cultura americana, spesso avanza dubbi e
critiche, si permetteva sempre di gettare dubbi ed ombre sulla storia ufficiale dove
quasi mai i buoni sono veramente buoni. In ogni film riesce sempre a inserire la
sua visione complessa del mondo e della vita.
Con Orson Welles si raggiunge il primo grande caso di rottura dell’illusione della
realtà e dell’unità spazio temporale, le sue storie sono quasi sempre pretesti per
mostrare immagini di straordinaria violenza, in cui è visibile l’influenza dello stile
espressionista tedesco.
Divenne famoso grazie ad un programma radiofonico in cui raccontava l’arrivo dei
marziani come se fosse un fatto di cronaca. Questa sua idea gli fruttò un contratto
per un film con assoluta libertà e budget illimitato.
Realizzò così Citizen Kane (1941) il suo capolavoro, una profonda riflessione
sull’identità dell’uomo moderno, basata su potere e ricchezza.
Gli altri suoi film sono stati realizzati con un budget più limitato ma innovazioni
stilistiche ancora più ardite come la profondità di campo sonora, che rende
addirittura alcune scene difficili da comprendere. Dopo poco però venne
abbandonato dall’RKO, perché ritenuto troppo radicale e pericoloso per il cinema
americano.
Realizzerà altri film autonomamente e degli adattamenti da Shakespeare e Kafka.
Tutta la sua opera racconta sempre in modo diverso sogni che si dissolvono alla
luce del giorno; lui vedeva nel cinema la più grande macchina per illusioni che il
mondo abbia mai avuto. Vedeva il ruolo del regista come quello di un mago
illusionista, cercava di rilanciare la potenza delle attrazioni. Con Welles si ritorna al
cinema delle attrazioni rivisitato ed enfatizzato poeticamente. Capovolge il sistema
del cinema classico secondo cui l’autore deve essere invisibile dietro le sue storie, e
anzi vuole prima di tutto far vedere sé stesso e il suo lavoro.
Al contrario Hitchcock ha dimostrato come si possa stare dentro il sistema e
dentro un genere solo, il giallo.
Nella sua poetica la paura sta al centro, secondo lui la cultura occidentale è
impostata nel senso di colpa e sulla repressione degli impulsi aggressivi; la paura
quindi in primo luogo è paura dell’autorità, del suo incontrollato potere. Il suo stile
è incredibilmente legato alla psicanalisi di Freud, l’inquadratura ha una marca
profondamente onirica, ha spesso una luce espressionista nella quale lo spazio
oscilla tra una piattezza senza spessore e una profondità di campo molto forte.
Tutto questo forma una dimensione irreale, sospesa fra la veglia e il sonno, il suo
cinema presenta influenze dell’avanguardia tedesca.
I dettagli hanno un’importanza fondamentale, possono diventare segnali di morte o
dei segnali ambigui. Anche lo scambio tra visibile e invisibile gioca un ruolo
determinante.
La sua tecnica della suspense viene elaborata nel film Sabotaggio (1936), mentre
in L’uomo che sapeva troppo (1935) elabora il sistema della sorpresa.

I suoi film spesso hanno un doppio livello di lettura, le storie gialle sono spesso
riflessioni sull’atto di guardare, troviamo la sua massima espressione in
La finestra sul cortile (1954). Il suo stile consiste nella simulazione dello stile di
Hollywood, dietro un finto predominio della narrazione, i movimenti di macchina
costruiscono situazioni di incertezza continua che smentiscono la leggibilità del
racconto classico e abbassano la priorità dell’azione rispetto all’importanza dello
sguardo, si rompe la differenza tra vedere e sapere, ora domina l’incertezza.
In questo film la soggettiva acquista un’importanza fondamentale, Jeff è costretto a
guardare degli oggetti lontani e parziali, si costruisce un’idea sui personaggi che
appaiono e scompaiono dalla scena.
In Vertigo (1958) la scena dell’incubo viene ripresa dal cinema d’avanguardia, il
protagonista vive un’esperienza extrasensoriale, con il risveglio si ritorna alla vita
normale.
In Psyco (1960) si spinge al di là del codice Hays, anche se in questo momento i
parametri erano meno severi, il film fa trasparire la nostalgia delle attrazioni di
Ėjzenštejn.
3. Quarto potere (Citizen Kane, Orson Welles, 1941)
Durante tutto il film un giornalista cerca disperatamente di scoprire il significato delle
ultime parole di Kane: “Rosebud”, è un simbolo che rappresenta la frustrazione del
desiderio di sapere.
La conclusione del film è emblematica, la macchina da presa compie un lunghissimo
dolly al termine del quale si scopre una slitta appartenuta al protagonista da bambino
con scritto Rosebud, quello che Welles intendeva era una profonda nostalgia
dell’infanzia, una mancanza che è alla base della sua vita. Nel film sono presenti molte
innovazioni stilistiche, come la narrazione della storia da diversi punti di vista, il long
take e l’uso del piano sequenza, si registra tutto l’episodio, l’inquadratura quindi si
protrae per tutta la scena senza interruzioni.
Le sue inquadrature sfidano le convenzioni, il punto di vista era quello dell’occhio
umano e compie volutamente degli errori, come riprendere un soffitto durante una
scena.
Questo film è una sorta di spartitura fra il cinema classico e il cinema moderno.
È il primo film nel quale la figura del protagonista viene demolita e ridotta a fantasma.
Anche il tempo cessa di scorrere in maniera lineare, si procede sempre avanti e
indietro seguendo i 5 narratori, non esiste più niente di oggettivo, tutto diventa
arbitrario, la cinepresa diventa una sorta di protagonista, un’incarnazione che sarà alla
base del cinema moderno, si parla di cinema dello sguardo e non più cinema
dell’azione.
Gli altri suoi film sono stati realizzati con un budget più limitato ma innovazioni
stilistiche ancora più ardite come la profondità di campo sonora, che rende addirittura
alcune scene difficili da comprendere. Dopo poco però venne abbandonato dall’RKO,
perché ritenuto troppo radicale e pericoloso per il cinema americano.
8. Alle origini del cinema moderno: il neorealismo

Il Neorealismo rappresenta uno sconvolgimento visivo nella storia del cinema, dopo la
guerra nasce una nuova percezione del mondo, gli errori tecnici aumentano sempre di
più, ci sono troppe cose da dire allo spettatore, quindi non si tiene più conto degli
errori che si commettono. Questo disordine diventa la base di un nuovo cinema, più
espressivo e meno raffinato, pieno di sentimento ed idee nuove, la narrazione non
verrà però abbandonata, ma trasformata e rielaborata.
Il neorealismo è considerato il punto riferimento di molti registi contemporanei,
dovunque accada qualcosa nel cinema il neorealismo è presente.
Si hanno però delle interpretazioni discordanti su questo movimento, alcuni autori si
soffermano sulla narrazione dei problemi sociali e della vita autentica dei poveri, altri
si concentrano sulle riprese di esterni reali con attori non professionisti.
In generale possiamo considerare il neorealismo come uno sconvolgimento visivo.
Gran parte di questa rivoluzione era stata preparata in Italia già prima della guerra, la
cinematografia fascista era già piena di storie realistiche, il regime aveva fatto inoltre
grandi investimenti nella cinematografia e cinecittà era uno degli studi più avanzati
tecnologicamente d’Europa; in più la mostra del cinema di Venezia era una delle
vetrine più importanti del mondo. Alcuni futuri registi come de Santis discutevano già
intorno al concetto di realismo, invece altri come Antonioni volevano seguire i maestri
francesi Carné o Renoir.
È stato però il cinema di guerra la vera svolta, nel cinema americano si proponeva la
figura del soldato eroe che si ricopre di gloria con grandi azioni, al contrario nei film
italiani si parla di guerra dura e ingrata, non si voleva criticare il regime, ma i soldati
italiani sono uomini che hanno come unica speranza quella di tornare a casa in vita.
Questa idea di realismo però era ostacolata dall’ideologia del regime che non
permetteva di mostrare la realtà sociale fino in fondo, il cinema era uno strumento
troppo importante per poter essere lasciato libero di guardarsi intorno realmente.
La parola neorealismo indica un punto di riferimento per tutti quelli che in quel periodo
volevano guardarsi intorno, nel cinema italiano nasce dopo la guerra una nuova
maniera di guardare. Ritroviamo al suo interno molti stereotipi del cinema narrativo
classico, la sua novità sta nella maniera di filmare, nel cambiamento nella forma di
enunciazione, che era il modo di raccontare le storie.
I film appartenenti alla stagione del neorealismo (1945-1948) contengono tutti
qualcosa di nuovo, i codici del cinema classico vendono abbandonati, il montaggio
tradizionale, l’inquadratura e la recitazione classica e pulita diventano assurde difronte
la necessità di esprimere le nuove condizioni del mondo; André Bazin dirà che l’unità
base del racconto cinematografico da ora in poi sarà il fatto, l’evento bruto ancora
confuso.
La novità del neorealismo sta nel caos della realtà quotidiana, non c’è più tempo per le
belle immagini, è più importante vedere quello che accade e farlo vedere allo
spettatore, con il quale nasce un nuovo rapporto, ci si indirizza verso di lui spesso con
la voce fuori campo o lo sguardo in macchina.
Questa sovversione dei codici crea il rovesciamento nella forma narrativa,
realismo significa quindi la rinuncia ai vecchi modelli e ricerca di nuove forme e idee
per interpretare il nuovo mondo terribilmente diverso.
La soggettività della ripresa è una nuova tecnica del neorealismo, può essere definita
come una caratteristica del reportage cinematografico più che del cinema narrativo.

In più con il neorealismo la cinepresa si trova sempre in soggettiva, coinvolta dentro i


fatti che mostra; lo spettatore e il narratore non sono più al posto di dio, il narratore
non è più onnisciente.
I vari registi che appartengono a questa corrente hanno ben poco in comune, le loro
tecniche hanno prodotto delle idee di cinema molto diverse.
Di solito si attribuisce a Rossellini la nascita del neorealismo con il film Roma città
aperta (1945), vengono raccontate delle vicende avvenute a Roma verso il fine della
guerra, si parla delle lotte fra fascisti e partigiani, la novità che troviamo in questo film
è il caos e il disordine della guerra che vengono trasposti a livello della forma e dello
stile del film, Rossellini ribalta l’immagine della guerra del cinema americano, la
rappresenta dal basso, dal punto di vista del popolo.
Gli errori che troviamo sono un modo di raccontare frettoloso e impaurito, è come se il
narratore stesso fosse continuamente in pericolo, questo stile ci trasmette la
sensazione paurosa che la guerra possa entrare nella vita di tutti.
Dopo Rossellini prosegue la sua ricerca con la trilogia della guerra, a cui appartiene
Roma città aperta, Paisà (1946) e Germania anno zero (1948), con questi film la
catastrofe viene colta in tutte le sue conseguenze, come la perdita e la distruzione di
ogni legame fra uomo società. Ancora una volta la novità che troviamo in Paisà è lo
stile rozzo e informe, il regista taglia le inquadrature prima che finiscano, ci mostra
solo quello che basta per capire, la storia ripercorre le fasi della liberazione d’Italia da
parte degli alleati; ancora di più tragico è Germania anno zero, nel quale ritrae
l’immagine della guerra dal punto di vista di un bambino, Edmund, che vaga per le
rovine di Berlino rasa al suolo dalla guerra, alla ricerca di cibo, persone o compagni di
gioco; è il primo simbolo dell’uomo moderno.
Per Rossellini il realismo è soprattutto un rapporto di amore, curiosità e rispetto
dell’altro, non pretende di spiegare niente, essere realisti non significa interpretare,
ma solo osservare. Il cinema classico ha delle tesi da dimostrare, quello neorealista ha
solo domande da porre, con Rossellini il sistema dell’enunciazione classica entra in
crisi, ma diventa un uomo comune.
Completamente diverso è il cinema di Visconti, un realismo fisico, di corpi e di
sensualità, la sua visione della vita è cupa e tragica, il suo primo film è Ossessione
(1943), già durante la guerra emerge per la prima volta una realtà di sofferenza e
miseria.
Nel 1948 gira la Terra trema, un racconto tratto dai Malavoglia, troviamo una
mescolanza tra realtà e mito, poiché i pescatori cercano di migliorare la loro vita
miserabile rappresentano l’eterna lotta dell’uomo contro lo sfruttamento, la povertà e
la fame. Il film è interpretato interamente da poveri pescatori del posto, i personaggi
parlano in dialetto siciliano, tutti i luoghi sono reali, niente è girato in studio.
A causa degli attori che usa dovette rinunciare al montaggio di inquadrature brevi, e
girare ogni scena in continuità dall’inizio alla fine.
Questo film quindi è l’affermazione assoluta della presa diretta sonora, del piano-
sequenza e della profondità di campo.
I tempi delle inquadrature diventano straordinariamente lunghi, voleva far aprire gli
occhi dello spettatore, costringendolo a guardare, al di là della storia, dei luoghi e
delle persone.
Nel suo terzo film Rossellini si avvale dell’aiuto di Zavattini alla sceneggiatura, che
inseguito lavorerà anche con De Sica, dalla loro collaborazione nasceranno dei
capolavori come Sciuscià (1946) e Ladri di Biciclette (1948).
Il secondo film ci presenta un Roma devastata dalla guerra dove i due protagonisti
sono alla disperata ricerca di una bicicletta, diventa quasi la ricerca del sacro Graal,
nel corso del film si avventureranno nelle zone più scure della città dove troveranno
infine il ladro, che però è in condizioni peggiori di loro.
Il viaggio del padre e del figlio li conduce a scoprire un mondo ignoto al cinema, la
bicicletta diventa un simbolo della vita stessa, rubata ai due personaggi.
Il film è un pretesto per filmare le condizioni della Roma degli anni 40 tramite gli occhi
del protagonista.
Ciò che accomuna i 3 grandi registi è il senso tragico della vita, che contrasta
nettamente il positivismo del cinema classico.
9. Le nuove correnti del cinema moderno: la nouvelle
vague
La nouvelle vague rappresenta lo sconvolgimento visivo del cinema classico, da esso
si inaugurano nuovi modi di raccontare e apre nuove infinite possibilità, la narrazione
viene reinventata e nasce il racconto moderno.
Da ora in poi il cinema comincerà a parlare di sé stesso.
In questo periodo tutta l’Europa soffriva la grande espansione dell’industria di
Hollywood, i ragazzi nati nella generazione degli anni 30 cominciano a sentire il
bisogno di un cinema che sia uno strumento di comunicazione e conoscenza, in tutta
Europa di cerca di demolire i vecchi stereotipi narrativi, si cercano argomenti più reali
e attuali. Anche la tecnologia contribuisce questo processo con le nuove
apparecchiature che resero possibile un cinema meno costoso, più sbrigativo ed
aderente alla realtà; il primo movimento che aderirà a questi nuovi canoni sarà la
Nouvelle Vague(nv).
La critica è la novità che contraddistingue i giovani registi francesi da tutti gli altri, loro
combattono nelle varie riviste per una nuova idea di cinema, inteso come mezzo di
comunicazione e non come spettacolo.
Il termine nv indica una svolta radicale, significa nuova ondata, c’era il desiderio di
distruggere tutto quello che apparteneva al passato. Il termine venne coniato nel
1957 da un giornale francese, ma già da prima si era già parlato di un cinema come
scrittura per descrivere la vita, riflettere e pensare.
La rivista Cahiers du Cinema fu la prima grande rivista della cinefilia moderna, vi
parteciparono grandi registi come Truffaut, Godard, Rohmer o Rivette; tutti quanti
erano impegnati allo stesso tempo in una difesa del cinema americano classico, e del
nuovo cinema povero nato dal neorealismo. Tutto il resto viene fatto a pezzi, vogliono
demolire le figure paterne e imporre un nuovo tipo di stile, che si basi su una
maggiore consapevolezza del linguaggio delle immagini.
Il cinema moderno deve mostrare non dimostrare, e abbandonare le storie con
una tesi predefinita per osservare le cose e le persone.
La profondità di campo e il piano sequenza sono gli strumenti di questa nuova
estetica, si tratta guardare il mondo come appare. L’idea di autore è fondamentale,
senza autori non c’è cinema, non è più lo studio system o il produttore che fanno il
film, ma gli autori.
Il nuovo cinema nascerà proprio dall’unione del cinema americano, che esalta i miti,
con il cinema francese, uno sguardo disilluso nella modernità; il mondo delle favole
viene riletto attraverso la consapevolezza del mondo moderno o viceversa.
Il primo film di Godard, À bout de souffle (1960), è un doloroso confronto fra i sogni
e la realtà, la storia di un delinquente parigino che sogna di essere come i grandi
gangster del cinema americano, il regista ritiene questo film come un viaggio sia nel
cinema gangster americano, sia nel mondo di Alice nel paese delle meraviglie, ma
anche una riflessione sul cinema, sui miti, sui sogni che genera nel suo incrocio con il
cinema americano. Le riprese possono essere considerate quasi amatoriali, la
cinepresa veniva tenuta a spalla, le riprese di interni sono state girate in vere stanze,
non in studio. Le carrellate vengono eseguite da un operatore seduto in una sedia a
rotelle, non vengono usati i carrelli, in questo modo il movimento era più immediato e
leggero. Godard parte dal cinema classico, poi propose un racconto trasparente, lo
spettatore deve rendersi conto che qualcuno sta raccontando la storia.
À bout de souffle ci pone contro il cinema classico, fa un’opera di decostruzione,
mostra allo spettatore come funziona, parte da una storia che potrebbe essere quella
di un qualunque film hollywoodiano, ma lo infrange continuamente volutamente,
per esempio i suoni e le immagini proseguono per 2 piani distinti, i rumori che i
personaggi provocano non vengono prodotti da loro veramente, si evidenzia il fatto
che il cinema è finzione.
Sviluppa tutta la trama per mostrare che il personaggio principale è un debole, ci
vuole portare dal mito alla realtà.
I grandi registi della nv vedono il cinema americano come un cinema di grandi eroi, di
grandi imprese, ma appartiene al passato, viene definito classico perché non cesserà
mai di parlare alla nostra immaginazione e di stimolare la nostra fantasia, i personaggi
della nv sono così, ma molto lontani da quel vecchio cinema di eroi, Michel Poiccard, il
protagonista di À bout de souffle, è il primo grande antieroe della storia, ai divi di
Hollywood sempre perfetti la nv sostituisce uomini e donne comuni, l’autobiografia
entra nel cinema.
La nv non abbandona la narrazione classica, però la modifica in maniera
fondamentale, il primato dell’osservazione subentra a quello dell’azione, il racconto si
allunga e si complica con varie digressioni e derivazioni che mostrano l’ambiente
circostante.
I principi fondamentali del racconto classico entrano subito in crisi, la drammaturgia si
complica diventa difficile distinguere fra buoni e cattivi, la leggibilità delle storie si
confonde, i luoghi o lo sfondo sono più interessanti del primo piano.
Con lo sconvolgimento della narrazione di Godard emerge la potenza suggestiva del
linguaggio filmico.
Con Truffaut invece avviene una riproposta della narrazione, più importante della
storia stessa è l’atto di raccontare, diventa l’aspetto principale del film, con la
coscienza che non sempre è possibile capire i personaggi e i loro sentimenti.
I suoi film sono delle riflessioni politiche.
La narrazione è come uno specchio rotto, in ogni frammento c’è una piccola parte di
verità; a volte si può trovare anche una linearità invertita, l’arresto di un fotogramma
può fissare una determinata scena.
Con Rohmer troviamo una ridiscussione della narrazione, con lui l’azione si dissolve
in una serie di attese, proposte, sguardi, tensioni fra i personaggi, fra il detto e il non
detto, fra pensiero e azione. Il cinema di Rohmer è il trionfo del non detto,
dell’implicito, del non visibile.
Nello stile cinematografico della nv si può trovare il rapporto tra tradizione e
innovazione, vengono spezzati i codici hollywoodiani e nello stesso tempi vengono
ripresi, in un continuo gioco di sovversione e tradizione; cambiano i tempi e i luoghi
tradizionali dell’inquadratura, spesso si allungano oltre il necessario o si interrompono
troppo presto. La narrazione è discontinua, si accelera il montaggio con il jump cut,
oppure si rallenta la narrazione con lunghe conversazioni con lunghi frammenti e
movimenti della cinepresa.
La moralità del nuovo cinema consiste nel mostrare non l’azione, ma l’atto di
raccontare, ciò che si vuole mostrare è il cinema con le sue immagini.
Truffaut riprende dal passato i mascherini del cinema muto, pause che rimandano
all’atto di raccontare, vuole insistere sul fatto che l’atto di raccontare è più
affascinante della storia raccontata, critica il cinema per essere basato
sull’omogeneizzazione e sull’uso dei soliti metodi, definisce l’uso dei soliti stereotipi
come un cinema basato sulla qualità mediocre, contropropone a questa visione un
cinema d’autore.
Grazie alle nuove tecnologie, la possibilità di registrare il suono in presa diretta si
riesce ad arrivare al rinnovamento del linguaggio, viene introdotta la camera car, non
vengono più usati i carrelli, ma le cineprese vengono agganciate ad una macchina;
in più si abbandona la sceneggiatura di ferro, il copione si fa più snello, diventa solo
un supporto al film, il cinema si fa più vicino al reale, ma a differenza del cinema
narrativo classico non cerca più l’illusione della realtà.
Il film Les quatrecents coups (1959) inizia con delle riprese, girate in camera car,
della città di Parigi, possiamo definire la città come uno dei personaggi principali, il
film parla di un ragazzo, Antoine, vive in una famiglia con diversi problemi, verrà
mandato in riformatorio in seguito ad un furto, da quale però scapperà, il ragazzo
viene ripreso durante una lunga corsa che lo segue fino il mare, simbolo di libertà, il
finale rimane aperto, lascia allo spettatore il compito di trovarne uno possibile.
I lunghi movimenti di cinepresa hanno un profondo senso morale, il cinema è un vero
occhio soggettivo, l’unico che guarda Antoine con rispetto, tramite le riprese, sempre
vicino a lui che lo segue fino alla deriva solo e abbandonato da tutti.
10. Il rinascimento cinematografico italiano
In Italia è mancata la nv, però un dialogo fra due generazioni, quella dei neorealisti e
quella più giovane ha permesso la nascita di un nuovo tipo di sguardo
cinematografico, lo sguardo inquieto.
L’eredita del Neorealismo va in due direzioni:

• La commedia all’italiana
• Il nuovo cinema d’autore

In più il miracolo economico di quel periodo ha favorito la presenza di un pubblico


interessato che crea una generazione di produttori coraggiosi, si può parlare di un
vero Rinascimento, in questi anni il cinema è l’arte più importante e forse l’Italia ha
il miglior cinema del mondo, c’era bisogno di riprendere il discorso da dove il
Neorealismo lo aveva lasciato. Questo nuovo stile è caratterizzato dal movimento
continuo della cinepresa, l’uso di ambienti reali e storie di vita comune, e infine un
rapporto intenso tra cinepresa e attore.
Per avere una maggiore diffusione il Neorealismo si fonde con i modelli narrativi
classici, da questa unione nascono i generi rinnovati del cinema moderno, tra i quali il
primo è la commedia che riprende il teatro popolare italiano, in particolare la
commedia dell’arte. I grandi protagonisti di questo genere, come Gassman, Tognazzi,
Sordi e Manfredi creano le nuove grandi maschere moderne usano quelle classiche,
come arlecchino o pulcinella.
Gli sceneggiatori danno radici colte alla commedia per non farla sembrare mai
superficiale, tutti quanti trovano i loro soggetti dalla letteratura di tutto il mondo e di
tutti i tempi, nascono generi nuovi, come il neorealismo rosa, da Ettore Margadonna
che recupera l’ottimismo e l‘happy ending del modello americano.
La seconda generazione della commedia italiana, quella successiva al 1965 è legata
alla parodia della nuova ricchezza economica, si caratterizza per un allargamento dei
modelli verso una satira del miracolo economico, del consumismo e delle facili fortune.
Il ventennio successivo alla guerra è caratterizzato da una commedia che fornisce un
ritratto degli italiani nella loro evoluzione, il risultato è una critica alla nuova volgare
ricchezza che demolisce le illusioni del benessere e indirizza lo sguardo verso la
tragedia sempre in agguato dietro la fortuna.
In più questo cinema presenta sul piano dei contenuti una grande incertezza sul
quotidiano e la solitudine dell’individuo.
Oltre alla commedia un’altra evoluzione del neorealismo è il cinema dello sguardo;
Fellini, con il suo cinema riesce e distorcere le forme, sottolinea la mostruosità
nascosta dietro il reale quotidiano, nei primi anni crea mondi sospesi fra realismo e
magia, come in La strada(1954), un film che riflette sulla condizione di vita degli
artisti di strada, né I Vitelloni(1953) ci parla della vita oziosa dei giovani di provincia,
con Le notti di Cabiria(1957) invece mette in scena una tragica poesia sulle sfortune
di una giovane prostituta piena di sogni.
Ma è solo nel 1960 con La dolce vita che il suo sguardo si innalza, riesce a mettere in
scena un grande affresco della Roma degli anni 60, riprende con grande potenza tutto
lo stupido mondo del cinema, l’ottuso fanatismo della religione e il triste ozio
dell’aristocrazia.
Tutte le scene sono ricostruite in studio, i viali della città sono stati ricopiati
fedelmente sul set.

La dolce vita descrive questo mondo di lusso estremo, vuoto ma straordinariamente


affascinante, la cinepresa segue le avventure di un fotografo (M. Mastroianni) che ci
porta a scoprire tutte le varie follie di questo inferno-paradiso,
il film inizia con l’immagine di una statua di Cristo che viene trasportata in elicottero,
simbolo del ritorno di Dio in un mondo che non lo riconoscerebbe più, questo film può
essere paragonato ad una moderna via crucis oppure ad una discesa agli inferi di
Dante.
Il film non segue una linea narrativa coerente, è diviso in 7 episodi nei quali Marcello
vive grandi avventure tra il lusso e la follia, dietro ogni vicenda vi sono dei fatti di
cronaca avvenuti realmente.
Con le sue immagini Fellini descrive il fascino e la banalità dell’immaginario, riesce a
dipingere uno dei più grandi affreschi della storia del cinema.
Prosegue la sua riflessione con 8½ (1963) dove parla della solitaria vita di un artista.
L’aspetto più interessante della sua opera a partire dalla dolce vita è la soppressione
totale dell’azione e del protagonista, anche il sonoro ha un aspetto del tutto nuovo, la
voce fuori campo non viene più da un narratore centrale, ma da molte fonti spesso
confuse fra loro, Fellini è il primo con cui si può parlare di paesaggi sonori.
Visconti invece dopo il Neorealismo arriva all’esaltazione della messa in scena, il
cinema con lui si intreccia sempre con il teatro, costruisce dei grandi poemi come
Senso(1954), una sintesi su pittura, teatro, musica, letteratura e storia dell’800;
Rocco e i suoi fratelli(1960) una riflessione sull’immigrazione degli italiani dal sud al
nord; e Il Gattopardo(1963) una profonda descrizione della storia italiana ambientata
nel periodo dell’epopea garibaldina.
La sua cinepresa è in costante movimento, e riesce a riprendere i personaggi da tutti i
punti di vista, descrive sia lo splendore che lo squallore, gli oggetti sotto il suo
sguardo assumono un’intensità simbolica, tanto che il suo cinema potrebbe essere
sintetizzato con due parole: la scena e lo sguardo.
È Antonioni però che riesce a portare ai massimi il cinema come sguardo, da lui
nasce un nuovo modo di guardare e di filmare i luoghi e le persone; troviamo sempre
un personaggio guida che ci fa da pilota per la scoperta di un nuovo mondo, la
cinepresa dietro di lui ripercorre i suoi passi guardando colui che sta guardando.
Per Antonioni infatti l’atto di fare cinema e l’atto di guardare sono esattamente la
stessa cosa, il cinema è solo una riflessione sullo sguardo umano.
Con il film l’Avventura (1960) il regista ci dà un vero manifesto del cinema moderno,
un gruppo di ricchi si reca in vacanza nelle isole Eolie, ma una ragazza, Anna, sparisce
misteriosamente, da questo momento la migliore amica e il suo fidanzato inizieranno
un viaggio attraverso la Sicilia per ritrovarla. Alla fine Anna non verrà mai ritrovata, i
protagonisti è come se si dimenticano della sua scomparsa, che diventa un simbolo
del cambiamento rispetto al cinema classico, mentre il cinema narrativo ci dava
risposte quello nuovo lascia solo domande. I raccordi sbagliati o i vari errori danno
allo spettatore una sensazione di spaesamento, il quale pensa di essere guardato da
un protagonista fino ad allora ignorato: il paesaggio, che diventa una sorta di
protagonista.
Le scene durano molto di più del tempo realmente necessario, voleva mostrare il
tempo che passa, i film narrativi invitano a riflettere sul piano narrativo e filosofico.
Con Antonioni i protagonisti scoprono di essere comparse di storie che accadono ad
altri, e gli spettatori scoprono di non essere più al centro del racconto.
4. Il deserto rosso (Michelangelo Antonioni, 1964)

Con il Deserto Rosso (1964) il regista ci mostra il nuovo mondo industriale e


inventato dall’uomo, è il primo film di Antonioni a colori.
Adesso il colore acquista una funzione sociale mai vista, attraverso di esso un film può
riflettere la società.
Secondo Antonioni però il colore nel film non doveva riflettere quello nella realtà, ma
distaccarsi dalla visione naturale per esprimere un concetto più forte nella nostra
mente. Riprende i lavori di Matisse.
Si inizia con lui ad usare il colore come dispositivo sociale (un ambiente di lavoro avrà
un certo colore, quello domestico un altro) diventava un’esperienza soggettiva.
La protagonista, Giuliana, è un personaggio nevrotico incapace di vivere nel mondo
moderno e incapace di adattarsi al processo evolutivo, Antonioni accosta a lei il colore
viola.
Antonioni è grande per aver contribuito alla nascita del cinema moderno.
11. La nascita e la diffusione del cinema moderno
Con il cinema moderno si completa la rivoluzione iniziata dal Neorealismo, la
narrazione non viene abbandonata, ma viene adottato un linguaggio nuovo, il
montaggio rispetta la discontinuità e l’incertezza degli eventi e l’identità del
personaggio si scompone, lo spettatore viene lasciato solo alla ricerca del senso.
Il cinema arriva in ritardo rispetto alle ricerche dell’arte moderna, però dagli anni 50
nasce un cinema che oltre a raccontare riflette sui suoi stessi strumenti di narrazione
e di rappresentazione, le sue principali caratteristiche sono lo sguardo sulla realtà e la
riflessione sull’atto stesso di guardare.
Con questo tipo di cinema si ha una nuova concezione del soggetto, diventa un’unità
psicologica complessa, ovvero ha una soggettività complessa ed individuale.
Viene preso come modello il romanzo del ‘900 (Joyce, Proust, Woolf, Kafka), troviamo
un nuovo modo di concepire il tempo, lo spettatore deve sentire il suo passare,
diventa un concetto autonomo.
Il cinema moderno sostituisce il bisogno di certezza del cinema classico con il suo
opposto, l’incertezza, il personaggio è un eroe in eterna trasformazione.
Ora si ha spesso l’impressione che le storie siano raccontate male, il desiderio di
sapere che ha lo spettatore rimane spesso frustato, in più il narratore come è già
avvenuto in passato non è più al posto di dio, ma è un personaggio comune, la sua
voce fuori campo a volte confonde lo spettatore, ci possono anche essere più voci allo
stesso momento che si contraddicono l’una con l’altra e lo spettatore viene portato a
chiedersi qual è la verità. La narrazione si discioglie, non c’è più il racconto ma l’atto
di raccontare. La voce fuori campo poteva essere quella di un personaggio che
racconta la storia al passato, quindi dopo che gli eventi sono avvenuti, in questi film ci
si muove su due piani temporali diversi: il passato con le immagini, e il presente con
la voce; un esempio lo troviamo nel film Pickpocket (1959) di Bresson, nel quale un
ladro racconta al passato i suoi furti che noi vediamo compiere al presente.
Si punta alla de drammatizzazione, tramite il campo lungo gli eventi vengono
ripresi da lontano.
Nel cinema moderno anche l’inquadratura assume un ruolo importante, o meglio le
disinquadrature, ovvero quelle scene nelle quali certe cose o persone rimangono fuori
campo intenzionalmente. La narrazione spesso divaga e va alla ricerca di altre storie
che ancora non ci sono; Buñuel nei suoi film passa da una storia all’altra senza
terminarne nessuna.
Pasolini sintetizza le caratteristiche della modernità affermando che il cinema di poesia
consiste nel far sentire la macchina da presa. In questo cinema troviamo molte
trasgressioni come il fuori fuoco, che diventa un segno della presenza di un
osservatore, con il controluce e lo sguardo in macchina invece l’operatore rivolge agli
spettatori provocando un effetto di interpellazione. La presenza della cinepresa si
avverte anche nella durata media dell’inquadratura, che aumenta dopo Visconti e
Renoir, il piano sequenza permette di soffermarsi molto sui volti o sui luoghi, ma
questo non vuol dire riuscire a vedere di più, a volte accade il contrario, infatti alla
grande mobilità della cinepresa corrisponde alla visione ridotta al minimo che ha un
grande valore metaforico. Il cinema moderno esalta la potenza espressiva
dell’inquadratura attraverso la negazione e i limiti della visione, non vediamo quasi
niente, dobbiamo immaginare tutto.

La storia adesso viene scomposta secondo vari punti di vista scoprendo che esistono
molte verità, il protagonista non è più un eroe, ma un osservatore, viene definito
personaggio guida, spesso non è neanche un uomo d’azione, ma come accade con
Antonioni, una donna che si guarda intorno.
Spazio e tempo diventano essenziali, spesso sono loro i protagonisti, nei film di
Bergman per esempio si avverte questa caratteristica.
Gli autori moderni quindi abbandonano le vecchie forme narrative per riflettere sul
cinema come strumento di conoscenza del mondo e dell’uomo.
Dreyer appartiene a questo gruppo di maestri dello sguardo, la sua cinepresa riusciva
a catturare tutte le ipocrisie o le ambiguità più sottili nei volti dei suoi personaggi, in
Gertrud(1964) il regista riflette sulla sensibilità della donna, ma sul piano dello stile è
un grande monumento alla sensibilità della cinepresa, la protagonista può essere
considerata il simbolo della donna moderna, un’incarnazione del personaggio moderno
chiuso nel suo silenzio misterioso.
Ozu invece ha sempre mantenuto uno stile povero per il suo cinema, riprende dal
cinema americano le comiche slapstick, le usa per descrivere con sarcasmo molti
aspetti della vita comune. I suoi primi film terminano con dei panni stesi ad asciugare,
una metafora per indicare che alla banalità del quotidiano non sfugge nessuno.
I suoi personaggi sono la gente più comune, veniamo a conoscenza delle loro storie
tramite le conversazioni che fanno tra di loro, usa questo modo indiretto poiché
l’azione è sempre lasciata fuori dal film. Il suo montaggio è ridotto al minimo, in
quanto la sua arte si fa “per levare”.
Viaggio a Tokyo (1953) è un cine-poema sulla vita e sulla morte, rispetto alla storia è
la poesia delle figure immobili che trionfa, il film è anche riempito di vere e proprie
anafore poetiche.
Ozu trascurava la continuità narrativa, cambiava il tempo e la scena anche durante un
dialogo.
Ophulus è un altro grande padre della modernità, ha costruito tutta la sua poetica sui
movimenti della macchina da presa, quasi tutti i suoi film sono monumenti a donne
sole.
Bresson al contrario di tutti gli altri prediligeva le inquadrature brevi, il suo cinema
lavora continuamente sulla divisione fra parola e immagine, la sua cinepresa
preferisce i dettagli, i frammenti d’azione, non si alza mai a guardare lontano, il
particolare acquista un’importanza cruciale. Il montaggio è protagonista assoluto, la
sineddoche è la sua figura stilistica principale, il fuori campo è la figura dominante del
suo cinema, l’essenziale rimane sempre fuori dallo schermo.
I suoi attori non erano professionisti, voleva che i loro corpi si adattassero alle
caratteristiche fisiche del personaggio, in più secondo lui gli attori dovevano recitare le
battute come se stessero leggendo l’elenco del telefono.
In Mouchette (1967) racconta la storia di una bambina povera che subisce dei soprusi,
alla fine si suicida, la cinepresa rappresenta i fatti con neutralità, lo spettatore si
chiede se la bambina abbia fatto apposta o solo per gioco. Rimane un’incertezza
totale.
Con Resnais siamo davanti ad una scomposizione del rapporto fra suoni e immagini,
va continuamente avanti e indietro tra presente e passato mostrando che i ricordi
sono spesso falsi, al centro della sua poetica c’è l’incertezza dell’evento reale, in
quanto ogni evento può cambiare.

Hiroshima mon amour (1959) viene collegato alla nv anche se non vi appartiene di
fatto, ma è un magnifico esempio di cinema poetico.
In Muriel (1963) l’inganno della memoria diventa ancora più doloroso, il montaggio
stravolge la narrazione dando l’impressione di un mondo governato dal caos, e dalla
paura della verità.
In Buñuel l’inquadratura è intenzionalmente brutta e banale, risponde al principio del
surrealismo secondo cui l’orrore sta nella normalità. I suoi film principali sono tre,
raggruppati in una trilogia: Il fascino discreto della borghesia (1972) una critica
della società borghese, Il fantasma della libertà (1974) nel quale vuole mettere in
ridicolo i capricci della borghesia, e Quell'oscuro oggetto del desiderio (1977) nel
quale un personaggio femminile viene interpretato da due attrici diverse che si
alternano, evidenzia il fatto che il desiderio del protagonista si sposta continuamente.
Con Bergman invece assistiamo ad una complessa opera di riflessione sull’uomo
moderno e sulla perdita di fede nel mondo moderno. I suoi intensi contrasti di luce, la
cinepresa molto vicina ai personaggi sono gli elementi principali del suo stile.
Il regista realizza una poetica e uno stile straordinariamente compatti, la poetica
riguarda la solitudine, mentre lo stile è osservazione dei volti e dei corpi.
Nel film Il posto delle fragole (1957) è un viaggio che il protagonista compie che lo
porta al passaggio da essere un uomo scostante e duro, ad uno più addolcito, disposto
ad una relazione più dolce ed affettuosa con il mondo. Il viaggio che il Dr. Borg
compie è un’occasione per ripercorrere il suo passato, alla fine riesce a comprendere
che la sua vita è stata arida dal punto di vista delle relazioni umane.
I primi piani scandiscono questo cambiamento, che può essere visto come un percorso
di maturazione e comprensione, rappresentano la crisi d’identità che l’uomo del ‘900
incarna.
Assistiamo ad una celebrazione dell’essenza del cinema, che permette di unificare
diverse dimensioni; il posto delle fragole, la sua vecchia casa diventa uno schermo
cinematografico su cui si proiettano i ricordi, il cinema viene usato come uno schermo
della memoria.
Ne Il settimo sigillo (1957) un cavaliere medievale gioca a scacchi con la morte per
salvare due anime, rappresenta una metafora della lotta contro il destino.
Tati può essere considerato l’unico degno erede di Keaton, con lui la comicità diventa
un esercizio di interpretazione del mondo attraverso lo sguardo, nei suoi film tutto
dipende dagli sguardi. Il suo può essere considerato l’unico cinema puro dal punto di
vista delle avanguardie, poiché recupera la parte migliore dell’esperienza surrealista e
dadaista con uno stile del tutto nuovo e moderno.
Kubrick rappresenta un caso particolare, nasce in America ma emigra in Europa per
esilio volontario per marcare la sua estraneità rispetto a tutto il mondo, il quale
appare nei suoi film come un gruppo di folli che si fanno del male a vicenda.
Tutti i suoi personaggi hanno un doppio, i suoi movimenti di macchina rimandano a
quelli di Orphus.
Molti dei suoi film riprendono i generi del cinema classico e li smontano freddamente:
Lolita (1962) smonta la commedia; Orizzonti di gloria (1957) e Full metal jacket
(1987) i film di guerra; 2001 Odissea nello spazio (1968) la fantascienza; Arancia
Meccanica (1971) e Shining (1979) l’horror.
Kubrick non racconta, ma osserva i suoi personaggi e le storie a distanza.
5. 2001 odissea nello spazio (2001: A Space Odyssey,
Stanley Kubrick, 1968)
2001 Odissea nello spazio rappresenta un manifesto per un nuovo modo di
guardare e un nuovo tipo di spettatore, che trova la sua identità nell’atto di guardare,
il film nasce da un giornalino.
Rappresenta una continuazione tra il film di genere e il cinema moderno, è un
tentativo di far convergere le due categorie.
La storia che ci racconta il film non è solo una missione di fantascienza, ma apre un
orizzonte temporale molto più ampio, in quanto parte dagli ominidi.
Lo spettatore però è anche guardato, nei dialoghi tra Hal 9000 e David assistiamo a
una serie di raccordi di 180°, Kubrick fa in modo che entrambi guardino verso la
cinepresa, quindi verso lo spettatore. Questo è un film basato su una lunga serie di
manovre dell’astronave; durante queste inquadrature non succede niente, la riduzione
al minimo della narrazione colloca questo film nell’età moderna, quello che Kubrick
voleva mostrare era il fatto che in una missione spaziale non accade niente di eroico,
in quanto nello spazio non succede niente. Nelle scene all’interno dell’astronave si
vedono i personaggi compiere le attività quotidiane.
La grandezza del film sta anche negli effetti speciali, ne viene usato un numero
molto alto, ma sono stati prodotti analogicamente in studio, in quanto ancora non era
possibile farli in digitale.
Il monolito usato nel film allude con la sua forma alla capacità di produrre un pensiero
astratto.
Il film è diviso in 4 parti: la prima è nella preistoria, nel corso della sequenza vengono
introdotti vari cambiamenti, come la scoperta di poter usare un osso come un’arma.
Kubrick individua il primo salto di qualità con un montaggio concettuale, esegue un
raccordo tra l’osso che rotea in aria e un’astronave. Si tratta del raccordo temporale
più lungo della storia del cinema.
L’evoluzione avviene con il contatto con il Monolito, nella seconda parte gli trovano
sulla luna il Monolito, con il contatto avviene un altro salto di qualità e si passa
dall’intelligenza umana a quella artificiale incarnata da Hal 9000, con un altro salto
cognitivo si entra nella ultima parte del film, assistiamo ad una successione di luci e
colori simili alle esperienze allucinatorie e psichedeliche, una sorta di viaggio oltre le 3
dimensioni, l’inquadratura si ritrova in una stanza con arredi settecenteschi, il
protagonista si trova nel letto di morte e ricompare il Monolito, la scena termina
sull’immagine di una pupilla dilatata e con la comparsa dello star child, che punta i
suoi occhi verso di noi, rimette allo spettatore la sfida di questo percorso invitandoci a
riflettere sul concetto: io guardo dunque io sono.
I vari salti di qualità simboleggiano la visione dell’evoluzione di Kubrick, il regista vede
nel progresso ella società una evoluzione verso la violenza.
12. Il cinema contemporaneo
Dalla terza Hollywood in poi si tona alle favole più tradizionali, ora lo stile punta a
suscitare attrazione con effetti speciali sempre più esasperati, si afferma il potere delle
immagini.
Nella nuova Hollywood era necessario rilanciare le produzioni di massa, gli eccessi di
alcuni autori avevano causato grosse perdite, questi problemi furono usati per togliere
libertà ai nuovi autori più giovani.
Con il rilancio della favola si afferma il genere fantasy, è un evento di duplice
significato: si ha da una parte una regressione verso i miti, e dall’altra un totale
disimpegno nei confronti del mondo reale. Lucas e Spielberg sono considerati i
maggiori responsabili di questo ritorno indietro, sono i principali fautori di un totale
asservimento dell’autore al potere commerciale, la nuova Hollywood avrà bisogno di
autori sottomessi al potere commerciale per far accrescere incassi, e unificare di
nuovo il pubblico che il cinema europeo aveva diviso e articolato.
Lo spettatore diventa puro e semplice consumatore, ora Hollywood propone una totale
indifferenza nei confronti del mondo reale, un distacco totale fra realtà quotidiana e
cinema. Chi andrà al cinema ora lo farà per ignorare il più possibile la propria vita e
per pensare il meno possibile, questo cinema esalta la parte infantile dello spettatore,
quindi siamo all’opposto del cinema moderno. Il pubblico è portato ad essere coinvolto
sul piano dei sensi.
Il film diventa oggetto di consumo come programmi tv, giocattoli o libri, le case
produttrici si rafforzano molto, anche grazie alla pratica del merchandising, ovvero
vendere oggetti o gadget legati al film. Hollywood però ha saputo far tesoro delle
conquiste formali dei movimenti europei, la regressione infantile sul piano narrativo è
accompagnata da uno stile vivace e brillante, che coltiva le trasgressioni alla
modernità, nasce così un’estetica esclusivamente ludica, registi come Spielberg e
Lucas collegano un cinema colto e trasgressivo con un totale disimpegno sul piano
culturale e sociale, tanto che Spielberg nel suo Schindler’s List (1993) racconta la
guerra e lo sterminio degli ebrei come una favola.
La modernità di stile però è molto fittizia, è una maschera per le vecchie favole, come
per esempio il nuovo uso della citazione, che da strumento critico e riflessivo diventa
un semplice gioco, un omaggio di cui non c’è bisogno. Si arriva così al postmoderno,
in cui le strategie riflessive della modernità sono spinte all’eccesso, questo stile nasce
con l’unione di alcune caratteristiche del cinema classico e moderno.
Questo cinema inizia con l’estetica del remake degli anni 80, nonostante ci siano
sempre stati, adesso si presenta come un frutto della cinefilia più spinta, occorre
conoscere la storia d’origine per cogliere le citazioni disseminate ovunque.
Il cinema comincia a rimandare solo a sé stesso invece che al mondo reale, il remake
infatti si riferisce a un altro film, non al mondo reale.
Con l’eccessivo uso della citazione si giunge ad un “pastiche” ovvero alla mancanza
di un messaggio.
Nasce un neo conformismo nel quale usare la citazione vuol dire sapere.
Blade Runner(1982) è il capolavoro di questo uso della citazione, è un film di confine
tra lo stile pensoso e malinconico e quello citazionista. È moderno per l’uso della
citazione come strumento riflessivo per ricordare il passato, ma postmoderno per la
citazione come nostalgia e come concezione del mondo, sono molto evidenti le
inquadrature che rimandano a Metropolis e a 2001 Odissea nello spazio.

Diventa subito un cult, grazie anche al sapiente uso di effetti speciali e delle citazioni
che vanno dal cinema espressionista tedesco al noir del cinema americano classico.
Questo film fa della citazione il proprio stile, inaugura anche un uso degli effetti
speciali che diventerà fondamentale nel cinema postmoderno, dove tutto è imitazione
di modelli precedenti.
Con il postmoderno la storia viene abbandonata, non c’è più distinzione fra passato
presente o futuro, lo spettatore smette di credere nelle immagini, sa che sono tutte
false.
Non è più importante la storia, tutto quello che conta è la quantità di citazioni che il
film contiene, da una parte troviamo il cinema che si nutre solo di cinema, come in
Tarantino, dall’altra invece un cinema che parla di un mondo che però non può fare a
meno di cinema, Tim Burton è un esempio.
Tarantino rappresenta il citazionismo in America, il senso dei suoi film sta nel
riconoscere le citazioni.
Le caratteristiche del cinema postmoderno:

• Il metalinguaggio invade tutto il film che diventa un museo di citazioni


• Ogni prospettiva spazio-temporale viene cancellata
• Lo spettatore viene invitato a partecipare a ciò che sta guardando
• Viene recuperata la forma narrativa classica

Tra tutti questi autori qualcuno mantiene un proprio spazio muovendosi in equilibrio
fra il film commerciale e lo stile personale, David Lynch e Alba Ferrara sono gli
esempi principali, contrastano il citazionismo, i loro film raccontano storie in modo
sconnesso e tenebroso, mantengono il loro senso sospeso. Il loro obiettivo principale è
sollevare dei problemi, conservano l’idea di una storia, ma tolgono allo spettatore
l’illusione di comprenderla. Per tutti e due l’immagine è il contrario di quello che è per
gli altri, è un mistero, un enigma che va indagato senza sosta.
Questo stile si chiama postmoderno pessimista, il cinema è considerato come una
forma di suono nell’interiorità degli individui, Lynch per esempio eredita il surrealismo
e lo porta nel postmoderno.
Possiamo distinguere nella storia della nostra cultura 3 tipi di immagini:

• Sintetica: l’autore persegue un senso e riunisce gli aspetti più significativi di un


evento
• Analogica: ricostruisce in modo soggettivo eventi che hanno avuto luogo
• Digitale-virtuale: ricostruisce in modo esatto e convincente eventi che non
hanno mai avuto luogo.

Il periodo del postmoderno è caratterizzato da un’ondata di innovazioni tecnologiche,


il passaggio al digitale ha rivoluzionato il cinema, ora il film non viene più girato in
pellicola, ma le immagini vengono convertite in codice binario e immagazzinate in un
Hard disk.
Il digitale-virtuale demolisce subito l’illusione di realtà, è l’impressione di irrealtà che
caratterizza l’immagine digitale.
Il rapporto della cinepresa con l’attore sparisce progressivamente, adesso il cinema ha
bisogno di attori che non sappiano recitare, devono essere dei corpi puri e semplici,
poiché saranno le loro immagini a recitare nel programma di elaborazione.
Troviamo però in Europa alcuni autori che propongono di andare oltre il cinema, nel
95 in Danimarca nasce Dogma, guidato da Lars von Trier, promuoveva una serie di
regole che spingevano all’estremo le tendenze de cinema moderno, il montaggio
veniva rifiutato, veniva favorito un cinema in presa diretta con la macchina a spalla.
Con Sokurov il cinema diventa un’apoteosi dello sguardo, in Elegia del viaggio parla
di perdita, il tempo distrugge la vita e gli affetti umani, in Arca russa fa un inno alla
pittura e all’arte, viene girato con camera digitale in un unico piano sequenza, senza
tagli.
Il cinema digitale diventa trionfo dello sguardo allo stato puro, uno sguardo infinito,
che pone domande non risposte.
Con Trier e Sokurov il digitale diventa un atto conoscitivo, la visione come movimento
della conoscenza.
Quindi esistono due forme opposte di uso del digitale, da una parte ci si abbandona
agli effetti digitali, dall’altra lo stesso digitale può arrivare a risultati opposti, con
un’apoteosi della conoscenza e dello sguardo.

6. The Matrix (Andy and Larry Wachowski, 1999)


Con Matrix dei fratelli Wachowski (1999) il rapporto fra il cinema moderno e
postmoderno diventa evidente nell’inversione del rapporto fra immagine e senso, in
questi autori il cinema serve solo a mostrare immagini, non c’è nessuna realtà al di
fuori di esse.
Inizialmente venne girato in pellicola, ma poi convertito in digitale per poter
aggiungere degli effetti speciali, vengono usate delle tecniche nuove per quel tempo,
come il bullet time.
La logica delle attrazioni riprende il sopravvento, gli effetti speciali dominano la scena,
la narrazione ormai è interamente subordinata alle attrazioni.
Sparisce il concetto di sguardo, la distinzione fra soggettivo e oggettivo non ha più
senso, il concetto di inquadratura viene eliminato, il fuori campo diventa inutile

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