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Kathy Reichs
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Ringraziamenti
Per la dottoressa Temperance Brennan le ossa non hanno segreti.
Ne conosce il linguaggio e sa trarre dalla loro analisi la verità su
storie oscure nascoste dal tempo. Non accade lo stesso con il
cuore degli uomini, più inquietante e indecifrabile. Come si può
arrivare a segregare e a far vivere nel terrore una giovane donna?
Questo sembra suggerire alla dottoressa Brennan l’eccentrica
Hazel Strike, una detective dilettante appassionata di casi
irrisolti: un registratore che ha rinvenuto in un bosco riporta in
vita la voce di una ragazza sottoposta a violenze e minacce.
Secondo Strike, quella voce appartiene a una giovane scomparsa
da anni, i cui resti senza nome forse sono ancora archiviati nel
laboratorio di Brennan. Ma Hazel è un vero segugio dotato di
sesto senso per i misteri oppure un’esaltata? Quello che di sicuro
l’antropologa non immagina è di entrare in un incubo in cui
dovrà misurarsi con segreti di famiglia, fanatismo religioso e
fenomeni che sfiorano il soprannaturale. E non immagina
neppure di dover riscontrare l’indecifrabilità del cuore anche su
di sé: l’interpretazione dei propri sentimenti non è infallibile
quanto il suo talento nel risolvere gli enigmi. Cosa risponderà alla
richiesta di matrimonio che le ha rivolto il detective Andrew
Ryan? È vero amore il sentimento che prova per lui?
Kathy Reichs si conferma maestra indiscussa del thriller offrendo
ai lettori una nuova prova in cui mistero e ironia, suspense ed
emozioni si uniscono indissolubilmente.
KATHY REICHS è nata a Chicago, lavora come antropologa
forense in Québec e insegna nel dipartimento di antropologia
dell’Università di Charlotte, nel North Carolina. Autrice di thriller
fra le più affermate a livello mondiale, ha conquistato milioni di
lettori grazie al personaggio della dottoressa Temperance
Brennan, protagonista anche della popolare serie televisiva Bones.
Fra i suoi ultimi romanzi, tutti bestseller pubblicati in Italia da
Rizzoli e in gran parte disponibili nel catalogo BUR, ricordiamo
Le ossa del diavolo (2008), Duecentosei ossa (2009), Le ossa del
ragno (2010), La cacciatrice di ossa (2011), La voce delle ossa
(2012), Le ossa dei perduti (2013) e Le ossa non mentono (2014).
Kathy Reichs
ISBN 978-88-58-68120-6
www.rizzooli.eu
«Chi è?»
Nessuna risposta.
«Chi è là?»
Le ghiandole surrenali pompavano sodo. Al buio quel tipo
sembrava enorme.
Ancora niente.
«Sono armata.» Cercavo affannosamente lo spray al pepe
scaduto da anni.
Finalmente, un guizzo di movimento. Un braccio in alto?
L’ammiccamento di una pelle cerea.
«Ti voglio parlare.» La voce era sorprendentemente calma.
«Stai indietro.» La mia non lo era.
Un altro leggero riallineamento delle ombre. Poi dei passi.
Pesanti. Determinati.
Era un brutto posto per un incontro. Le siepi fiancheggiavano
entrambi i lati del sentiero. L’area di parcheggio alle mie spalle
era completamente deserta. Il mio persecutore bloccava la via di
ritorno a River House.
I passi si avvicinavano rapidamente.
«Fermo!» Nella borsetta, stappai l’erogatore e strinsi
disperatamente il flacone. Se lo spray non avesse funzionato, gli
avrei assestato un calcio nei testicoli tanto forte da farglieli
arrivare nella scatola cranica.
Il riflesso dei capelli neri. Occhi nascosti da una frangia
notevole.
Il mio dito allentò la presa sull’erogatore. Il polso mi rallentò di
un micron.
«Mi hai seguita fino a qui?»
Susan Grace annuì: un vago cambio di forma nell’oscurità.
«Hai mentito a tua nonna sulla lezione di danza.»
«Si potrà confessare al posto nostro.» Aveva una voce profonda,
bassa e neutra. Ed era impossibile leggere l’espressione del suo
viso.
«Ma perché seguirmi?»
«Devo trovare Mason.»
«Non ho niente da dirti.»
«Qualcuno di voi lo sta veramente cercando?»
«Forse Cora e Mason non vogliono farsi trovare.»
«Cora.» Con tono amaro. «Mio fratello non sarebbe fuggito mai
e poi mai senza dirmi dove stava andando.»
«E tu dove pensi che sia?»
Era così vicina che potei sentire un’accelerazione nel suo
respiro. Aspettai il tempo necessario. «Ho qualcosa da mostrarti.»
«Hai l’auto nell’area di parcheggio?» Puntai il pollice al di
sopra della mia spalla.
«Sì.»
«Va bene.» Sperando che la ragazza non fosse una folle
tagliagole. «Andiamo alla mia macchina.»
Due veicoli vagavano senza meta nell’area quadrangolare
altrimenti vuota. Scrutai attentamente cercando segni di una
seconda presenza, ma non vidi altro che cespugli, alberi e una
palizzata bianca. Aprendo la Mazda, trasferii il mio iPhone in una
tasca della giacca per averlo a portata di mano.
Feci scivolare la borsetta tra il petto e il volante. Susan Grace
buttò per terra uno zainetto e si abbandonò sul lato del
passeggero. Quando sistemò i piedi nell’auto, le ginocchia erano
sollevate e schiacciate contro il cruscotto.
«Aggiusta il sedile, se vuoi.»
Lo fece.
I secondi passarono. Un minuto intero. Di nuovo, tenni a freno
la lingua. Non volevo metterle pressione.
«Vivo come quella stupida di Bernadette.» Supposi che
intendesse la protagonista del film di Henry King.
«Ho avuto un’educazione cattolica» dissi, cercando un terreno
comune. «Mio padre amava quel film.»
«Cattolica?» Rise, uno stridio veloce e arrabbiato. «Hai
conosciuto quella psicopatica di mia nonna e il suo prete nazista.
Non siamo semplicemente cattolici. Siamo über-cattolici.
Supercolossali picchiatori cattolici.
«Preghiamo in latino perché l’inglese non è abbastanza pio.
Chiediamo perdono in ginocchio perché Dio chiede una
penitenza per peccati che non abbiamo mai commesso. Peccati
che non abbiamo mai pensato di commettere. Peccati di cui non
abbiamo mai nemmeno sentito parlare.»
«Stai parlando della Santità del Signore Gesù?»
«Certo che sì. Noi siamo i giusti. I devoti. Noi evitiamo i non
consacrati, i non battezzati, i non vergini, gli impuri. Più o meno
chiunque non sia uno di noi. E… wow! Se invece sei uno di noi e
combini casini, fai attenzione. Sappiamo come punire i cattivi!»
«Susan Grace…»
«Seguiamo regole a cui persino il papa ha dato un calcio.» Si
mosse rapidamente di lato per guardarmi in faccia, gli occhi
grandi come piattini da tè e le labbra tremanti. «Siamo così
dannatamente bacchettoni che abbiamo dato un calcio al papa
stesso!»
Rise di nuovo, quello stesso graffio di voce senza umorismo.
Avevo già assistito a sfoghi giovanili. Ho visto ragazzi maledire
un genitore, un allenatore, un insegnante che aveva
tassativamente proibito loro di indossare una maglietta col logo
dei Korn. Ma questa volta era diverso. L’intensità di Susan Grace
suggeriva una furia profonda e potente.
«Scusa» dissi, quasi per giustificarmi.
«Non ho bisogno di una spalla su cui piangere.» Un sorriso
stentato. Era imbarazzata per il suo sfogo.
«Di cosa hai bisogno?» chiesi dolcemente.
«Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a trovare mio fratello.» Si
asciugò le lacrime dalle guance col dorso della mano, tirò
violentemente la chiusura lampo dello zainetto ed estrasse
qualcosa. «Ho sentito il poliziotto chiedere a mia nonna una foto
di Mason.»
«Ne hai una?»
«No. Ma ho questo.»
Spinse l’oggetto verso di me. Lo presi e lo portai verso la luce
al di sopra della mia testa. Era debole, ma sufficiente perché
riconoscessi un’agenda Black n’ Red con i fogli a malapena tenuti
insieme dalla rilegatura.
«C’è una immagine. Usa il nastrino.»
Sollevai l’estremità del sottile segnalibro di satin rosso. Mi
portò nel mezzo del diario.
«Fai attenzione. È vecchio.»
Alla luce fioca vidi quella che sembrava un’illustrazione di un
vecchio testo di medicina. Benché in bianco e nero, l’immagine
aveva sfumature come certe foto color seppia fin de siècle. I
dettagli erano nitidi.
Il soggetto, un adolescente maschio, veniva mostrato da
quattro punti di vista diversi. Una foto della testa da prospettiva
frontale. Una ravvicinata del collo. Una ravvicinata delle dita
delle mani e dei piedi. Una ravvicinata della bocca, il labbro
superiore rivoltato all’indietro da una terza persona per mettere
in mostra la dentatura.
Il ragazzo aveva capelli biondi a ciocche sottili e due
mezzelune scure sotto gli occhi. Tracce di pigmentazione erano
disposte agli angoli della bocca e formavano sul collo una trama
irregolare a forma di rete. Le unghie delle mani sembravano
sfaldate e fragili. Le unghie degli alluci erano tagliate
obliquamente.
Ma l’aspetto più rimarchevole del soggetto era la sua
dentatura. Gli incisivi, sia quelli superiori che quelli inferiori,
erano di misura ridotta e affiancati da canini appuntiti come
pugnali. Su quasi tutti i denti lo smalto era ingrigito e presentava
delle macchie scure.
In alto a destra, la raccolta di foto era identificata come «Lastra
LXXXIV». In basso a sinistra era impressa la scritta: «Copyright,
1905, G.H. Fox». Al centro, sotto il collage, si trovavano le parole
«Sindrome Ectodermico-Dentale di Origine Sconosciuta».
«Chi è?» chiesi.
«Quando trovai queste foto le mostrai a mio nonno. Gli
andarono di traverso. Disse che era suo fratello maggiore,
Edward, che morì molto tempo fa. Insistette perché gli
consegnassi quella pagina e non ne facessi mai parola con la
nonna. Era un argomento completamente vietato. Come parlare
dei miei genitori.» Di nuovo si asciugò le guance, ovviamente
combattendo una guerra lampo di emozioni. «Feci il diavolo a
quattro e mi consentì di tenerla.»
«Perché mi mostri tutto questo?»
«Mio fratello somiglia a Edward.»
Diverso. Innaturale. Il male fatto carne.
«Possiedi il resto del libro?» Mascherai la mia repulsione per
l’interpretazione medievale fornita da nonna Gulley circa le
caratteristiche di Mason.
«No, solo questa pagina. Cioè… è vecchia di cent’anni.
Qualcuno l’ha ritagliata e conservata.»
«Sai chi o per quale motivo?»
«Probabilmente mio nonno. Questo è quello che sono riuscita a
scoprire di lui.»
Una piccola pausa di riflessione.
«Mio nonno prese il nome da Oscar Mason, un fotografo degli
inizi del Novecento. Autore perlopiù di immagini di soggetto
medico. Era abbastanza famoso. La famiglia del nonno viveva a
New York allora ed erano amici di Mason. Forse vicini di casa.
Comunque, Oscar Mason notò qualcosa di strano in Edward e
chiese se gli poteva scattare delle foto. Qualche dottore mise le
foto in un libro e ne diede una copia per ringraziamento al mio
bisnonno.»
Quasi impercettibilmente mi risuonò in testa un campanellino.
Da una galassia remota della mia memoria. Oscar Mason? G.H.
Fox?
«Susan Grace, devo ammetterlo, mi sono persa.»
La giovane donna rimase in silenzio. Forse rimpiangeva
l’impulso che l’aveva spinta a cercare il mio aiuto. Forse stava
decidendo cosa condividere e cosa tenere per sé.
Quindi optò per la prudenza.
«Dovresti parlare con i Brice» disse con voce sussurrante,
mentre i suoi occhi vagavano da destra a sinistra scrutando
l’oscurità fuori dalla nostra piccola luce.
«Chi sono i Brice?»
«Cora Teague ha lavorato per loro come tata.»
«Vai avanti.»
«Sono stati membri della Santità del Signore Gesù.»
«Non lo sono più?»
«No.»
«Perché lasciarono la Chiesa?»
«Non lo so.»
«Perché licenziarono Cora?»
«Non lo so.»
«Non c’è molto che io possa fare.»
Susan Grace si protese verso di me, le mani strette sul bordo
del cruscotto. «Hai saputo di Eli?»
«Eli Teague?»
«Sì.»
«Che cosa?»
Un silenzio gelido.
«Susan Grace?»
«Eli non è mai caduto dalle scale» A voce bassa, ma con tono
bruciante.
«Cosa stai cercando di dire?»
Ancora silenzio.
Il vento diede una leggera spinta all’auto e fischiò nelle
aperture dei finestrini.
«Susan Grace, è tardi. Devo proprio…»
«Il piccolo dei Brice morì mentre Cora si occupava di lui.»
«Morì come?» Una sensazione di gelo cominciò a farsi largo nel
mio petto.
«Non lo so.»
«Per questo Cora fu licenziata?»
«Per questo e per altro. Devi parlare con loro. Credo che
abitino ad Asheville adesso.»
«Stai dicendo che Cora ha ucciso Eli e il figlio dei Brice?» dissi
con un notevole sforzo di autocontrollo per mantenere ferma la
mia voce.
«Mio fratello è pazzo di Cora Teague. Farebbe qualsiasi cosa
per lei. Quella donna è…» Nella luce fangosa, offerta dalla
piccola scatola al di sopra della testa, potei vedere un angolo
delle labbra alzarsi. «Sai mia nonna come la definisce? Un
diavolo di femmina.»
«Sono confusa. Dunque Mason potrebbe essersene andato con
Cora?»
«Non l’avrebbe mai fatto senza dirmelo.»
«Come puoi esserne sicura?»
«È come se fosse posseduto. La ama e la odia allo stesso
tempo.»
Era un’altra risposta equivoca.
«Ma non puoi essere certa che non siano insieme.»
«Sì.» Il viso di Susan Grace si indurì. «Posso.» I lineamenti del
suo viso si contrassero nell’indecisione tra il divulgare le sue
notizie e contenere le perdite. «Mason e Cora scomparvero nello
stesso periodo. Luglio 2011. Questo è vero. Ma ho parlato con
mio fratello quasi ogni giorno dopo che se ne fu andato. E non
era con lei.»
Ero sbalordita. «E lui dove si trovava?»
«A Johnson City, in Tennessee.»
«Perché?»
«Questo non posso dirtelo.»
«Dove andò Cora?»
«Non sono riuscita a scoprirlo. E ho fatto numerosi tentativi.»
«Di che tipo?»
«Mason mi chiese di tenere d’occhio Cora. Di giocare alle spie.
Ero ragazzina, mi sembrava un passatempo divertente, sullo stile
di Mission Impossible o di cose del genere. Eravamo agenti segreti,
ma Mason era sotto copertura, così toccava a me ficcare il naso e
riferire a lui.»
«Ma tu non l’hai mai vista.»
«Forse una volta, in un negozio. Ma io ero in macchina.
Andavamo veloci e non ho potuto veramente guardarla in
faccia.»
«Per quanto tempo andò avanti il gioco?»
«Un mese… forse un po’ di più.»
«Vi parlavate col cellulare?»
Susan Grace sbuffò. «Dio proibì che io camminassi nella
perniciosa terra della tecnologia mobile. A mia nonna sarebbe
venuto un colpo. Mason mi chiamava a un telefono pubblico
fuori dalla mia scuola. Prendevamo un appuntamento di volta in
volta. Faceva parte del gioco.»
«Che accadde?»
«A settembre non chiamò più e basta. Per un paio di settimane
continuai ad aspettare vicino al telefono. Non ha mai più
telefonato.»
«Come arrivò fino a Johnson City?»
«Probabilmente facendo l’autostop. Quando Mason metteva un
berretto sembrava quasi…» guardò in basso le sue mani
«normale.»
«Sai dove Mason alloggiava?»
«In un motel. È tutto quello che mi disse.»
«Spendeva i soldi che aveva rubato a tua nonna.»
«Non fu Mason a rubarli. Lo feci io.»
«E li consegnasti a lui.»
«Sì.»
Pensai al telefono pubblico. Dubitavo che dopo quattro anni le
telefonate potessero essere rintracciate.
«Lo hai mai chiamato?» Chiesi.
«Mason non voleva, ma gli dissi che avrei abbandonato il gioco
se non mi avesse dato il suo numero. Lo chiamai una volta, ma
non ne fu felice. Non l’ho mai più fatto.»
«Esiste una possibilità che tu abbia ancora il numero?»
Mi passò un foglio piegato. «Mi sento friggere. Mason è la
persona con il cuore più gentile sulla faccia della terra.» Il suono
di un singhiozzo sfuggì dalla sua gola. Inspirò, come per
continuare. Un attimo di esitazione, poi lasciò uscire il fiato in un
sospiro.
Volevo dire qualcosa di confortante. Ma la testa mi girava
vorticosamente. E al campanellino di prima adesso si era unita
una voce. Quella voce mi avvisava che la faccenda poteva essere
il frutto delle manie di una adolescente.
Mi trovavo di fronte a un caso del genere? O avevamo
completamente frainteso tutto quanto?
Chi era Cora Teague?
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Saturday night.
Gonna keep on dancing to the rock and roll.
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