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I nuovi crociati

E' una recensione, non un giallo. Posso quindi svelarvi subito l'assassino: il ''vizio oscuro
dell'Occidente'', secondo Fini, è la convinzione di vivere nel ''migliore dei mondi possibili'', di
aver definito il modello economico, sociale e religioso che meglio s'adatta alla natura umana.
Da questo errore di fondo ne discendono altri, e poi altri ancora, fino a giustificare la guerra
all'Iraq perchè, pur nella sua ingiustizia, porterà alla ''liberazione'' di quel popolo
dall'arretratezza, e consentirà loro di raggiungerci nel nostro meraviglioso moderno. Si legge in
un'ora, questo ''Vizio Oscuro'', ed ha il tono di una chiacchierata con un amico informato ed
appassionato. Si legge in appena un'ora, ma di spunti per la riflessione ne dà tanti. Il nostro
modello (quello che riteniamo di dover esportare) si basa sul consumo fine a se stesso, slegato
dal bisogno e sempre più generato solo dal desiderio, dall'impulso, dalla noia. Consumiamo e
basta, senza neppure interrogarci sull'utilità del nostro gesto, su quanto effetivamente ci farà
stare meglio. Tra il tempo che ci vuole a guadagnar soldi e quello che impieghiamo a spenderli,
ne resta ben poco per dettagli quali la procreazione, l'amore, l'amicizia, la solidarietà. Nella
nostra foga di sviluppo travolgiamo interi continenti, sconvolgendo dinamiche demografiche e
sociali che garantivano l'equilibrio da migliaia di anni. In Africa, prima della colonizzazione, non
si soffriva la fame: il 100% del fabbisogno alimentare era soddisfatto dai prodotti locali. Ora la
produzione è in mano ai grandi latifondisti, che preferiscono vendere sul ''mercato
internazionale'' piuttosto che all'interno. E'la logica del denaro, che mette la valuta forte, prima
dell'uomo. Il risultato è che i due terzi della produzione mondiale di cereali sono destinati
all'alimentazione DEGLI ANIMALI dei paesi ricchi - e ,ora sì, si muore di fame. Invece di
provare vergogna, ci vantiamo di averli aiutati a muovere i ''primi passi'' sula strada del
progresso. Invece di pensare a ritirarci, ci convinciamo che la soluzione sarebbe prenderci
carico in modo ancor più diretto delle loro decisioni, suggerendo che il modello (perfetto) non
funziona perchè loro non lo sanno applicare, o sono corrotti, o non sono adatti. Ma ciò che è
peggio è che se invece riuscissero a replicare la nostra accelerazione, si troverebbero in un
vicolo cieco: il pianeta non può sostenere un ''Nord'' di sei miliardi di persone. Il viaggio sarà
lungo e - a proposito - la stazione d'arrivo non esiste... Lasciamoli al loro destino, dice Fini (e
se leggendo questa frase avete pensato ad un destino negativo, siete vittime anche voi del
nostro ''vizio ''). Nel dilagare di questo pensiero unico, si respira l'aria delle crociate: noi,
portatori della verità, loro, ''infedeli''. Fini cita Bush: ''C'è un solo modello possibile: la libertà,
la democrazia e l'impresa, valori che devono essere protetti ovunque'' (e di frasi del genere è
pieno il recente Stato dell'Unione, da ''In Afghanistan, we helped liberate an oppressed people.
And we will continue helping them secure their country, rebuild their society, and educate all
their children--boys and girls'' a ''Once again, we are called to defend the safety of our people,
and the hopes of all mankind. And we accept this responsibility'' fino a ''And we go forward
with confidence, because this call of history has come to the right country'' e la chicca di ''The
liberty we prize is not America's gift to the world, it is God's gift to humanity''). Facciamo
veramente il bene di questi popoli? O - parafrasando il Mefistofele di Goethe - ci crediamo il
Bene ed operiamo eternamente il Male? L'attacco all'Iraq è il prodotto della nostra civiltà, e del
suo ''vizio oscuro'': chi è favorevole, in fondo crede di fare un favore agli Iracheni. Chi è
contrario farebbe bene a guardare oltre il dito e vedere la luna - nera - del nostro modello,
lacerante e autodistruttivo.

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