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Apparato cardiovascolare

La scintigrafia di perfusione miocardica è una metodica non invasiva che permette, utilizzando
radiofarmaci specifici, di ottenere informazioni qualitative e semiquantitative sul flusso coronarico
del ventricolo sinistro.

La scintigrafia miocardia è pertanto utile nella:

– diagnosi di malattia coronarica in pazienti con sospetta cardiopatia ischemica, con


probabilità pre-test di malattia intermedia ed elettrocardiogramma non interpretabile (come
nel blocco di branca sinistro, in corso di terapia digitalica, sindrome di Wolf-
Parkinson-White, presenza di pacemaker);
– diagnosi di malattia coronarica in pazienti con sospetta cardiopatia ischemica, probabilità
pre-test di malattia intermedia, e con test ergometrico sottomassimale;
– valutazione del significato funzionale di stenosi intermedie (25-75%);ù
– indagine iniziale in pazienti ad alto rischio (diabetici o rischio >20%/anno);
– valutazione dell’efficacia di terapia medica o di interventi di rivascolarizzazione in pazienti
con persistenza o ricomparsa dei sintomi;
– valutazione della vitalità miocardica ai fini di rivascolarizzazione;
– valutazione del rischio operatorio in pazienti con fattori di rischio (diabetici, nefropatici) o
con cardiopatia ischemica accertata;
– stratificazione prognostica in pazienti ad alto rischio.

La finalità dello studio scintigrafico e quella di identificare la presenza di ischemia miocardia


inducibile e quindi di valutare la riserva coronarica (è il rapporto tra il flusso coronarico
massimo e la perfusione a riposo) attraverso i cosiddetti “test provocativi”.

Ne esistono due tipi:


1. Quelli che esplorano la riserva coronarica attraverso un aumento della domanda miocardia
di ossigeno: esercizio fisico o dobutamina (determinano un incremento della frequenza
cardiaca e della pressione arteriosa).
2. Quelli che esplorano la riserva coronarica senza indurre aumento della domanda di
ossigeno: dipiridamolo o adenosina (che determinano vasoparalisi e massima
vasodilatazione annullando le resistenze al flusso coronarico).

In generale, lo sforzo fisico è ritenuto dal cardiologo lo stress ideale, in quanto permette di valutare
la tolleranza del soggetto all’esercizio, la sua soglia ischemica e la performance cardiovascolare
globale.
In alternativa all’esercizio fisico, lo stress farmacologico è preferito in soggetti con disturbi della
conduzione intraventricolare (blocco di branca sinistro) o portatori di pacemaker (nei quali
l’incremento della frequenza cardiaca può aumentare l’incidenza di falsi difetti di perfusione),
mentre diviene obbligatorio in coloro che non sono fisicamente in grado di pedalare o correre (a
causa di problemi ortopedici, arteriopatia obliterante degli arti inferiori, esiti di vasculopatia
cerebrale).

Nel caso in cui l’esame sia eseguito a scopo diagnostico, onde evitare risultati falsamente negativi, e
necessario sospendere almeno 4-7 giorni prima dell’esame l’eventuale terapia con farmaci beta-
bloccanti a lunga emivita, 48 ore prima i beta-bloccanti a breve emivita e i calcio-antagonisti, e 24
ore prima i nitrati.
Nel caso in cui l’esame sia invece eseguito proprio con lo scopo di valutare l’efficacia della terapia
farmacologica nel proteggere il paziente da un evento ischemico, i farmaci sopradetti non devono
essere sospesi.

Sforzo fisico:
Preparazione del paziente: posizionamento di cannula venosa per l’iniezione del radiofarmaco, degli
elettrodi per il monitoraggio ECG, e dello sfigmomanometro per il monitoraggio della pressione
arteriosa durante lo sforzo.
Dopo valutazione dell’ECG basale e della pressione arteriosa basale, si chiede al paziente di iniziare
a compiere l’esercizio fisico su cicloergometro o tappeto ruotante, seguendo predefiniti schemi di
progressivo incremento del carico lavorativo.
L’iniezione del radiofarmaco è effettuata all’acme dello sforzo, cioè quando si verifichi una delle
seguenti condizioni:
– il test è massimale (ossia è stato raggiunto l’85% della frequenza cardiaca massima teorica);
– il paziente va incontro a esaurimento muscolare;
– calo della PA sistolica di almeno 20 mmHg;
– comparsa di sintomi importanti (ad esempio, angina, dispnea);
– comparsa di alterazioni ECG indicative di ischemia miocardica o di gravi aritmie.
Dopo l’iniezione del radiofarmaco, il paziente continua a pedalare ancora per 1-2 minuti, allo scopo
di permettere una completa estrazione del radiofarmaco stesso da parte dei miocardiociti.

Stress farmacologici:

Dipiridamolo. Il dipiridamolo è una pirimidina capace di inibire le fosfodiesterasi di membrana e


dunque la deaminazione dell’adenosina e la sua ricaptazione cellulare. Pertanto, la
somministrazione di dipiridamolo (0,56 mg/kg e.v. da somministrare in 4 minuti nel protocollo a
bassa dose) aumenta la quota extracellulare di adenosina, determinando vasodilatazione coronarica
(aumento del flusso). Questa vasodilatazione mediata dall’adenosina si esplica nei territori sani (i
quali avranno cosi una “perfusione di lusso”), smascherando quindi la ridotta riserva coronarica nei
territori irrorati da vasi stenotici. Circa 2 minuti dopo l’iniezione del radiofarmaco (tempo
necessario per consentirne l’accumulo nel miocardio in funzione delle condizioni regionali di
perfusione) si somministra l’antagonista aminofillina per terminare l’azione del dipiridamolo.
Come preparazione, nelle 24 ore precedenti l’esame il paziente non deve assumere alimenti e
bevande contenenti xantine (caffe, te, pompelmo, cioccolato, ecc.), che ridurrebbero o
annullerebbero l’effetto del dipiridamolo.
Effetti collaterali: nausea, vomito, cefalea, dispnea, ipertensione.
Controindicazioni: asma bronchiale (assoluta), ipertensione, recente evento ischemico acuto
cerebrale, disturbi di conduzione atrio-ventricolare.

Adenosina. E’ un nucleoside naturale il cui effetto farmacologico è dovuto alla sua interazione con
specifici recettori; in particolare, il legame con il recettore A2 a livello delle cellule muscolari lisce
della parete vasale determina rilasciamento muscolare e conseguente vasodilatazione. Come nel
caso del dipiridamolo, lo stimolo vasodilatatore permette di identificare la maldistribuzione del
flusso coronarico determinata dalla presenza di stenosi coronariche.
L’adenosina è somministrata alla posologia 0,142 mg/kg per minuto nell’arco di 6 minuti; il
radiofarmaco è iniettato al 3° minuto di infusione dell’adenosina, che continua poi per i successivi 3
minuti.
Controindicazioni ed effetti collaterali sono gli stessi del dipiridamolo.

Dobutamina. La dobutamina è un’amina simpatico-mimetica con struttura simile a quella della


dopamina. La sua interazione con i recettori β1 induce aumento della domanda di ossigeno a livello
miocardico per effetto inotropo e cronotropo positivo (aumento della contrattilità e della frequenza
cardiaca); la sua interazione con i recettori α1 e β1 induce invece vasocostrizione arteriolare con
conseguente incremento della pressione arteriosa, mimando cosi gli effetti dell’esercizio fisico.
L’azione farmacologica della dobutamina è dose-dipendente: a basse dosi prevale l’effetto inotropo
positivo, mentre ad alti dosaggi prevalgono gli effetti cronotropo positivo e vasocostrittivo.
Posologia utilizzata: 5 μg/kg per minuto, con incrementi ogni 3 minuti fino a un massimo di 40
μg/kg per minuto. In genere si ricorre alla dobutamina quando vi è controindicazione a eseguire lo
sforzo fisico o il test con dipiridamolo/adenosina (pazienti asmatici, con blocco atrio-ventricolare o
con pregresso TIA).
Effetti collaterali: ipotensione, nausea, cefalea, tremori, palpitazioni, aritmie ventricolari o
sopraventricolari.

Radiofarmaci e protocolli clinici

I radiofarmaci convenzionali attualmente utilizzati nelle pratica clinica per lo studio della
perfusione miocardia sono il 201Tl-cloruro, 99mTc-sestamibi e 99mTc-tetrofosmina.
In linea generale, la caratteristica che accomuna i vari radiofarmaci di perfusione è quella di
distribuirsi nel miocardio in misura direttamente proporzionale al flusso coronarico regionale, con
un’alta frazione di estrazione al primo passaggio. L’estrazione del radiofarmaco (che è condizionata
dall’ integrità di membrana e dalla vitalità cellulare) si mantiene linearmente con l’aumento del
flusso coronarico, almeno fino a un determinato valore di flusso coronarico.

Differenza tra i radiofarmaci

Il 201Tl ha un picco energetico piuttosto basso (69-83 keV, che comporta problemi di attenuazione
fotonica), un’emivita relativamente lunga (72 ore, che implica una radiodosimetria abbastanza
elevata per il paziente e quindi la necessita di limitare l’attivita da somministrare a 74-111 MBq, o
2-3 mCi). Tuttavia, l’accumulo miocardico del 201Tl è caratterizzato da un’alta frazione di estrazione
al primo passaggio, lineare con l’aumento del flusso coronarico fino a un plateau di 3 mL/min per
grammo. In presenza di una stenosi coronarica, la ridotta disponibilità di radiofarmaco rispetto ai
territori normoperfusi determina la presenza del difetto di per fusione sulle immagini scintigrafiche
precoci. Successivamente si verifica un progressivo riequilibrio della concentrazione di
radiofarmaco tra la regione ischemica e quella normoperfusa, un fenomeno che prende il nome di
“ridistribuzione” . Questo insieme rende necessario iniziare l’acquisizione delle immagini dello
stress quanto più precocemente possibile, per poter identificare accuratamente i difetti di perfusione.
Acquisizioni tardive (dopo 3-4 ore), che rappresentano la ridistribuzione del radiofamaco e non
più la perfusione miocardica regionale sotto stress, permettono invece di differenziare le aree che
presentano un recupero di captazione del difetto da stress (ischemia) da quelle nelle quali la
condizione rimane invariata (necrosi).

I radiofarmaci marcati con 99mTc presentano caratteristiche piu favorevoli in termini di


disponibilita, di energia dell’emissione gamma (140 keV), di emivita fisica (6 ore) e di
carico radiodosimetrico al paziente, tanto che il loro uso e ormai largamente preferito a quello del
201Tl-cloruro, soprattutto in Europa. L’assenza di ridistribuzione e la lenta clearance
miocardica permettono acquisizioni ritardate rispetto al momento di iniezione; tuttavia,
non manifestando ridistribuzione, necessitano di due iniezioni separate per studiare
la perfusione da stress e, rispettivamente, a riposo. Il principale svantaggio dei radiofarmaci
tecneziati e rappresentato dalla minore estrazione agli alti flussi coronarici (ad esempio,
durante infusione di adenosina), con plateau di estrazione per valori di flusso appena
superiore a 2 mL/min per grammo. La 99mTc-Tetrofosmina dimostra la stessa accuratezza
clinica del 99mTc-Sestamibi, con una cinetica piu favorevole rappresentata da una piu
rapida clearance epato-biliare, caratteristica che permette di ottenere acquisizioni precoci
(entro 15 minuti dall’iniezione), come nei protocolli cosiddetti fast imaging.
Si distinguono protocolli che prevedono l’iniezione del radiofarmaco in giorni separati
per lo stress e per il riposo (protocollo in doppia giornata), oppure nella medesima
giornata (protocollo in singola giornata). Nel protocollo in doppia giornata, sono somministrate
al paziente due uguali attivita di radiofarmaco (370-740 MBq, sia per lo stress
che per il riposo). Nei protocolli in singola giornata e necessario invece utilizzare il metodo
della cosiddetta split dose, che consiste nell’utilizzare multipli di tre dell’attivita
per la seconda somministrazione rispetto alla prima (ad esempio, 296 MBq per lo stress
e 888 MBq per il riposo, o viceversa) (Fig. 18.6).

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