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I principali tratti del pensiero agostiniano

Con Agostino di Ippona, la speculazione teologica perde il carattere di oggettività per saldarsi alla
dimensione soggettiva. Il problema teologico è in Agostino il problema dell’uomo-Agostino, il problema
della sua crisi e della sua redenzione, della sua ragione speculante. Il centro di questa coincide con la sua
personalità. L’atteggiamento della confessione, è l’atteggiamento costante del pensatore e nello stesso
tempo dell’uomo d’azione, il quale non ha altro scopo che chiarire se a se stesso e di essere quello che deve
essere. Perciò egli dichiara di non volere conoscere altro che l’anima e Dio.

Ragione e fede
Nei Soliloqui, Agostino dichiara che cercare l’anima significa cercare Dio, ora verso in questo continuo
ricercare c’è la teoria agostiniana dei rapporti tra ragione e fede nelle quali è sintetizzata la formula del
credi per capire e capisci per credere, questa ricerca è una medaglia, con due facce, la ragione e la fede.

Dal Dubbio alla verità


Contro lo scetticismo, il mitico Agostino sostiene che non è possibile dubitare su tutto per esempio, la
nostra esistenza, perché se dubitiamo su di essa, dobbiamo per forza esistere. Inoltre si accinge alla verità
proprio attraverso gli scettici dicendo che per dubitare della verità si deve in qualche modo già essere nella
verità, però, precisa che anche essendo nella verità, noi non possediamo la verità, perfetta e immutabile
ma una verità, Agostino inoltre esplica anche il processo per il quale queste verità giungono a costoro
attraverso la teoria dell’illuminazione, secondo cui l’essere umano non possedendo la verità, la riceve da
Dio, il quale illumina la nostra mente. A differenza di Platone, Agostino non fa dipendere la verità dal regno
delle idee bensì da Dio stesso, in base al principio secondo cui la verità immutabile non è la ragione, cioè
l’uomo ma è la legge della ragione ovvero Dio. In conclusione Agostino dice che per giungere all’apertura
radicale, quella verso l’essere assoluto ci si deve rinserrare il se stessi.

Il problema della creazione e del tempo


Secondo Agostino, Dio è il fondamento di tutto, è la mutevolezza del mondo a dimostrarci questo essere e
come sia stato creato dal nulla per opera di un Essere eterno attraverso il Logos, ovvero il figlio di Dio, il
Logos ha in sé le idee, le ragioni per cui tutte le cose nascono muoiono e vengono allo stesso tempo create.
Agostino inoltre risponde anche alla domanda riguardo il rapporto tra Dio e il tempo, per Dio, il tempo è
una sua creazione insieme all’universo, per egli perciò essere adimensionale, le regole del tempo non sono
valide. Per noi invece, esseri tridimensionali, il passato non si può misurare in quanto già non è più, il futuro
non c’è ancora ma nell’anima c’è l’attesa di questo ed proprio qui che il presente è il tempo delle cose della
memoria, tutte le cose che ricordiamo le vediamo sempre come presente.

Il problema del male


Agostino è uno dei filosofi che hanno vissuto con più tormento ila problematica del male, inizialmente egli
abbracciò la soluzione del principe Mani che principalmente ammetteva l’esistenza di due principi opposti,
uno del Bene e uno del Male, perennemente in lotta tra di loro ma quando egli divenne cristiano, il
problema divenne molto più complicato, infatti se vi è un Dio cristianamente visto come Bene, Amore e
provvidenza perché esiste il male? Agostino risponde a tale domanda dicendo che Essere e bene sono la
medesima cosa, il male può essere visto come la privazione del bene o al massimo come una carenza di
quest’ultimo, perciò il male non ha una realtà propria. Inoltre i mali, si dividono in due categorie, mali
morali e mali fisici, entrambi derivano dalla struttura gerarchica dell’universo(esseri superiori ed esseri
inferiori) oppure fungono da elementi necessari per l’armonia cosmica, esattamente come le ombre che
sono indispensabili per mostrare la bellezza della luce, il primo dei mali citati risiede nel peccato che
consiste a comportarsi come dice agostino, come esseri inferiori mentre il secondo dei mali deriva dal
peccato originale.

La polemica contro il pelagianesimo


La polemica contro il pelagianesimo è quella che ha avuto la maggiore portata nella formulazione della
dottrina di Agostino. Il punto di vista di Pelagio consisteva essenzialmente nel negare che la colpa di Adamo
avesse indebolito radicalmente la libertà originaria dell’uomo e quindi la sua capacità di fare del bene,
Adamo perciò secondo il monaco irlandese rappresentava soltanto un brutto esempio e che l’uomo era ed
è capace di operare virtuosamente senza bisogno straordinario della grazia, portando all’ineluttabile
conclusione dell’inutilità e fallacità di Cristo. Di fronte a tale dottrina, Agostino introdusse una sorta di
pessimismo radicale riguardo la natura umana, vista come dannata, inoltre per spiegare la trasmissione del
peccato originale introdusse il traducianesimo, per il quale l’anima viene trasmessa di padre in figlio,
quando questo viene al mondo, la volontà sin dal peccato originale è asservita al vizio e al peccato e solo la
grazia divina può redimere l’uomo da questa sua tendenza radicale. In sostanza l’uomo passò dal giorno in
cui compì il peccato originale, dal non poter peccare al non poter non peccare, e solo dio può redimerlo.

Libertà, grazia e predestinazione


Secondo Agostino non esiste una teoria univoca sulla salvezza, c’è piuttosto un ambiguo oscillare tra i
sistemi concettuali opposti e talora contraddittori. Ed è proprio qui che la chiesa si sforzerà di ridurre tali
teorie alla cooperazione tra uomo e Dio, la grazia perciò sarà affidata all’uomo come un dono-merito.

La città di Dio
In quest’opera egli afferma che esistono due città, una terrena o del diavolo che corrisponde al vivere
secondo la carne e una seconda chiamata celeste o di Dio che segue i modelli del vivere secondo lo spirito.
Ambedue sono mescolate sin dall’inizio sin dall’inizio dei tempi e lo saranno anche fino alla fine. Sulla base
di tale sistema teologico Agostino individua sei epoche storiche differenti, la prima che da adamo al diluvio
universale, la seconda che va da Noè ad Abramo, la terza da Abramo a Davide, la quarta da Davide fino alla
cattività babilonese, la quinta che va da quest’ultima alla venuta di cristo e la sesta ed ultima quella dalla
nascita di Cristo fino al ritorno di questo. Accanto a queste epoche troviamo tre periodi secondo lo
sviluppo culturale, il primo nel quale gli uomini vivono senza leggi e non lottano ancora contro i beni
mondani, nel secondo gli uomini vivono sotto la legge combattendo contro i beni mondani ma ne sono vinti
e l’ultimo, quello della grazia in cui gli uomini combattono e vincono le tentazioni del mondo. Questi periodi
appena descritti sono relativi al popolo d’Israele mentre la città di Roma e di Atene vengono giudicate
secondo il proprio politeismo. Roma è la Babilonia dell’occidente, egli ne descrive la storia paragonandola
alle vicende descritte nel vecchio testamento, Agostino inoltre smonta la tesi secondo cui il cristianesimo
sia stata la piaga di Roma dicendo che Roma si trovava decadente anche con il paganesimo, inoltre vede la
formazione dell’impero come un disegno superiore da parte di Dio. Per Atene invece ne giudica i filosofi
come Platone che viene visto come colui che ha riconosciuto l’unità del divino ma ha abbracciato
comunque il politeismo e con ciò indica tutto il neoplatonismo come tale.
Età moderna
L'età moderna inizia nel 1400 con il fenomeno dell' Umanesimo che, propone il ritorno al mondo classico,
cultura che collegava l'uomo al centro dell'universo insieme alla sua dignità e libertà. Questo fenomeno
proseguì anche nel 1500 quando si diffuse in tutti i campi (dalla filosofia all'arte) venendo ad assumere il
nome di "Rinascimento". Umanesimo e Rinascimento quindi sono due grandi enti che affermando la
centralità dell'uomo nel cosmo; una centralità che va a sostituire il ruolo di Dio nel Medioevo. Ciò non
significa che i nuovi intellettuali fossero atei, molti addirittura erano profondamente religiosi, ma avevano
solo una visione differente della religione che considerava l’uomo artefice del proprio destino, padrone
della propria vita. I pensatori di quest'epoca, infatti, ritengono che Dio gli abbia affidato il dominio sulla
terra ma per dominare, è necessario conoscere i segreti e le leggi della natura tramite lo studio.

Giordano Bruno
La vita in breve

Nato a Nola nel 1548, Giordano Bruno entra adolescente nel convento di S.Domenico a Napoli. Sin
dall’inizio si mostra insofferente della vita ecclesiastica, cade in sospetto d’eresia e nel 1576 per sfuggire al
processo abbandona il convento e si reca a Roma. Dal 1583 al 1589 si reca in Inghilterra sotto la protezione
dell’ambasciatore francese. Nel 1591 torna in Italia su invito del nobile Giovanni Mocenigo che desidera
apprendere da lui l’arte della memoria, ma questi nel 1592 lo denuncia per eresia; Bruno rifiuta ogni
religione, nega i dogmi cristiani e addirittura afferma che Cristo era un mago che aveva sedotto i popoli con
miracoli. Bruno viene processato e sconfessa sul terreno religioso le tesi sostenute su quello filosofico. Egli
rifiuta di ritrattare le sue teorie filosofiche e viene condannato a morte il 17 febbraio del 1600.

L’universo infinito

Bruno vede nella teoria astronomica di Copernico la premessa e la base per condurre la missione di
rischiaramento filosofico e religioso. La pubblicazione dell’opera copernicana viene descritta ne La cena
delle ceneri.

Bruno evidenza che la concezione copernicana della natura era rimasta ancorata a principi tradizionali.
Riprendendo le tesi di Cusano, egli afferma che l’universo è infinito perché è effetto di una causa infinita
che è Dio. Dio è causa dell’universo in un duplice senso: da un lato è causa in quanto produce l’universo;
dall'altro è principio immanente in esso.

Non è valida la tesi di Aristotele che negò l’infinito in atto effettivamente esistente e accettò solo l’infinito in
potenza. Per Bruno, che l’infinito esista in atto è dimostrato dalla natura infinita di Dio nel quale l’atto non
si distingue dalla potenza. L’universo è infinito non perché infinitamente grande, ma perché costituito da
infiniti mondi. Se è infinito l’universo non ha né centro né circonferenza, non è né alto né basso. Eliminate
le sfere cristalline e i motori dell’aristotelismo il movimento è intrinseco alla natura stessa.
L’unità di misura

Nei dialoghi De la causa, principio et uno si distingue l’idea di un Dio assolutamente al di là del mondo
sensibile, dall’idea che di Dio si fa la ragione. Nel primo caso Dio è una mens super omnia, una mente al di
sopra di ogni cosa ed appare a noi come la natura stessa. Come oggetto di riflessione razionale Dio è la
natura stessa. Egli è la causa e il principio di ogni cosa. Dio per Cusano era trascendente, mentre per Bruno
è immanente alla natura stessa. È la mens insita omnibus (= mente dentro le cose) il principio razionale
insito nelle cose. Quando vediamo qualcosa che sembra morire non dobbiamo tanto credere che essa
muoia realmente, quanto che muti, cioè che cambi i suoi aspetti accidentali restando immutabile nei suoi
principi essenziali. Dio si manifesta come forma o intelletto universale, si manifesta come materia. In tal
modo materia e forma sono un’unica realtà. Il concetto di materia risulta mutato in quanto essa appare
dotata di un intrinseco principio attivo e di movimento. Proprio per l’idea che ogni realtà dell’universo sia
vivente e animata costituisce il fondamento della magia.

Il conflitto la virtù e il valore del lavoro

I due principali scritti morali di Bruno: dialoghi, lo spaccio della bestia trionfante e gli eroici furori.

Nella prima opera si parla dello spaccio di tutti i vizi accostati ad alcuni segni zodiacali, cioè a quelli che
hanno il simbolo di bestie (ad esempio lo scorpione). La vita è conflitto, guerra perenne ed è guerra del
bene contro il male, perché non c’è bene se non nella vittoria sul male. Il mondo è il campo dove si dispiega
pienamente l’attività umana, l’ozio viene cacciato dal lavoro e l’uomo cerca di affermare se stesso con le
opere. Bruno riconduce i vizi alle superstizioni e afferma che occorre affermare una nuova tavola dei valori.
Tali valori sono la verità, la prudenza, la sofia o sapienza ed infine la legge.

Gli eroici furori

Di tale ricerca è espressione compiuta la seconda opera. In essa Bruno descrive tre furori o amori ripresi
dalle tre specie di rapto platonico: l’amore per la vita dedita al piacere, quello per la vita attiva e quello per
la vita contemplativa. I primi due tipi di furore sono degli uomini di barbaro ingegno, il terzo è l’autentico ed
eroico furore.

Quella di Bruno non è una forma di elevazione mistica verso la trascendenza. Essa è risoluzione
dell’individuo nell’infinita e vivente natura. Egli vede finalmente se stesso come natura e come parte
dell’universo infinito. L’eroico furore di Bruno è una vera e propria passione del conoscere.

La rivoluzione scientifica
Con il concetto di rivoluzione scientifica ci si riferisce alla profonda trasformazione della visione della natura
e del metodo di acquisizione delle conoscenze impostosi tra il XVI e il XVII secolo, ciò che emerge dalla
rivoluzione scientifica, in generale, e dal metodo galileiano, in particolare, è una concezione della natura
come ordine oggettivo, strutturato da precise cause e relazioni rette da leggi, e della scienza come sapere
sperimentale, matematico e intersoggettivamente valido che ha per scopo la conoscenza del mondo
circostante e il suo dominio da parte dell’uomo.
La natura

La natura è intesa come un ordine causale, perché in essa nulla avviene per caso, ma tutto è il risultato di
cause precise. Per causalità, si intende infatti, un rapporto costante e univoco tra due fatti (o insiemi di fatti)
dei quali dato l’uno è dato anche l’altro, e tolto l’uno è tolto anche l’altro. La natura è un insieme di
relazioni e non un sistema di essenze, perché lo sguardo del ricercatore è puntato non su presunti principi
sostanziali occulti e inverificabili posti alla base della realtà, ma sulle relazioni causali riconoscibili che
legano i fatti tra loro. Ad esempio, allo scienziato non interessa indagare la sostanza del fulmine, ma solo
chiarire i rapporti di causa ed effetto che lo pongono in relazione ad altri fenomeni e lo rendono
comprensibile, come la luce solare, le gocce d’acqua, ecc.. I fatti sono governati da leggi, perché essendo
causalmente legati tra loro, obbediscono a regole uniformi che rappresentano i modi necessari e i principi
invarianti attraverso cui la natura opera.

La scienza

La scienza moderna è un sapere sperimentale, perché si fonda sull’osservazione dei fatti e perché le ipotesi
vengono verificate empiricamente e non soltanto attraverso dimostrazione razionale. La scienza, tuttavia,
non è una semplice registrazione dei fatti, inquadrata in una teoria generale, ma una costruzione
complessa, su base matematica, che si conclude con l’esperimento, cioè una procedura appositamente
costruita per la verifica delle ipotesi. Il terreno su cui essa è germogliata si basa su tre elementi
fondamentali:

1. In primo luogo, è presente in corso d’opera la laicizzazione del sapere e la sua rivendicazione della
libertà della ricerca intellettuale
2. In secondo luogo, avviene il ritorno e la traduzione dell’antico sapere, dalle opere pseudo-scientifiche
alle filosofiche, le quali hanno fornito l’ispirazione o lo spunto per le nuove scoperte
3. Il naturalismo, che a sua volta dona nuova luce all’aristotelismo, al platonismo e al pitagorismo

Galileo Galilei
«La mathematica è l'alfabeto in cui Dio ha scritto l'Universo». Queste parole pronunciate da Galileo Galilei
dicono molto su di lui: fisico, filosofo, matematico e astronomo, è considerato il padre della scienza
moderna perché creò il metodo scientifico, basato sull'osservazione oggettiva della realtà.

Nato a Pisa nel 1564, Galileo iniziò nel 1580 a studiare medicina presso l'Università della sua città, prima di
scegliere nel 1583 di specializzarsi in matematica. A fargli da insegnante fu Ostilio Ricci, che riteneva che la
matematica fosse una scienza non astratta, ma utile per risolvere i problemi pratici. Fino al 1585 Galileo
rimase a Pisa dove studiò anche fisica e dove fece la sua prima scoperta: si racconta che osservando la
lucerna posta sul soffitto della cattedrale di Pisa scoprì l'isocronismo delle oscillazioni del pendolo. Dal 1589
insegnò a Pisa e nel 1592 venne chiamato presso l'università di Padova dove fu docente fino al 1610. I
diciotto anni trascorsi nella città veneta furono definiti da Galileo «i migliori di tutta la mia età». Nello
studio di Padova Galileo creò una piccola officina nella quale eseguiva esperimenti e fabbricava strumenti
che vendeva per arrotondare lo stipendio: qui inventò nel 1593 la macchina per portare l'acqua a livelli più
alti, che fu utilizzata a Venezia. Nel 1604 apparve nei cieli europei una supernova. Si dice che Galileo ne
approfittò per creare oroscopi a pagamento, ma soprattutto per costruire e perfezionare tra 1604 e 1609 il
cannocchiale, strumento inventato in Olanda, usato da Galileo per la prima volta per osservare le stelle.
Per tutto il 1610 Galileo:

 Acquisì informazioni precise sulla superficie della luna, stabilendo che presentava delle irregolarità
 Studiò la Via Lattea, che si rivelò un insieme di stelle lontanissime, che allargavano i confini
dell'universo
 Scoprì i quattro maggiori satelliti di Giove, osservando che anche i pianeti possono avere dei satelliti
 Scrutò il sole, vedendovi delle macchie in movimento.

Le nuove scoperte vennero pubblicate nel 1611 nel Sidereus Nuncius, opera che Galileo inviò al granduca di
Toscana Cosimo II de Medici e che gli valse una posizione da insegnante a Firenze, e nel 1613 nell'Istoria
delle macchie solari e loro accidenti. Nel 1611 la Chiesa e il Sant'Uffizio iniziarono a prestare attenzione alle
opere di Galileo. Per questo e per il peso accademico dei docenti Gesuiti del Collegio romano, il matematico
pisano si recò nel marzo 1611 a Roma, dove fu accolto da papa Paolo IV e dove fu iscritto all'Accademia dei
Lincei

Il nuovo metodo scientifico e il sistema copernicano

Nel 1614 a Firenze il frate Tommaso Caccini lanciò contro i matematici moderni, e in particolare contro
Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie
copernicane. Galileo Galilei aveva aderito infatti:

 Alle idee di Keplerosui movimenti dei pianeti, tra cui quella in base alla quale la Terra compiva su se stessa
un moto di rotazione
 Alla teoria eliocentrica enunciata nel De revolutionibus orbium coelestium del 1543 dall'astronomo Niccolò
Copernico, per cui non la Terra, ma il Sole si trovava al centro del sistema con i pianeti che gli giravano
attorno con un moto di rivoluzione.

Il clima iniziava a farsi teso per i sostenitori di queste teorie e nel 1616 i teologi della Chiesa di Roma
affermarono che le idee copernicane erano eretiche perché contraddicevano i passi delle Sacre Scritture e
le opinioni dei Padri della Chiesa. Galileo espresse il suo pensiero in una serie di lettere scritte tra 1613 e
1616, chiamate Lettere copernicane, e nel Saggiatore opera del 1623 dedicata allo studio delle comete. In
queste due opere Galileo si occupò di spiegare come la Bibbia avesse carattere morale e salvifico e non
scientifico e si preoccupò di chiarire l'approccio che si doveva avere nelle scienze. Le discussioni di carattere
scientifico dovevano basarsi sulla creazione di un'ipotesi che nasceva dalla teoria e che trovava conferma
nell'osservazione diretta della realtà naturale.

L'osservazione andava effettuata raccogliendo dati che portavano a una lettura matematica dell'esperienza
stessa e come se fosse un esperimento. Si arrivava così a:

 Sensate esperienze, nate dall'osservazione sistematica e scientifica della realtà naturale mediata dalla
matematica e a partire da un'ipotesi teorica
 Certe dimostrazioni, le conferme ottenute dall'osservazione continua del mondo.

Questo era il metodo da seguire per conoscere la realtà naturale secondo Galileo: il metodo scientifico o
sperimentale.
Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, opera di trattatistica scientifica composta tra 1624 e
1630, Galileo confutò le teorie del sistema tolemaico-aristotelico - secondo il quale la Terra era ferma al
centro dell'universo con i pianeti che le giravano intorno - a favore del sistema copernicano basato sulla
teoria eliocentrica. La confutazione e la dimostrazione della rotazione e rivoluzione della Terra avvenne
sulla base degli studi di Copernico e Keplero e dell'osservazione diretta delle stelle, ma anche dei principi
appena elaborati da Galileo di:

 Inerzia, secondo cui un corpo, se non disturbato, conserva indefinitamente il proprio moto
 Relatività del movimento, per cui non è possibile stabilire sulla base di esperienze e osservazioni
compiute stando all'interno di un sistema e senza punti di riferimento esterni, se il sistema sia fermo o
se si muova con un moto rettilineo e uniforme. Per esempio: se ci troviamo su una nave che non
compie movimenti bruschi e si muove lungo una linea retta, senza avere punti di riferimento, non
riusciamo a capire se ci muoviamo o no.

La condanna del Sant'Uffizio e gli ultimi anni

Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo ricevette molti elogi, ma sin da subito si diffusero le voci di
una proibizione del libro da parte della Chiesa di Roma. Nel 1633 arrivò la chiamata dell'inquisizione e iniziò
il processo durante il quale Galileo provò a spiegare, senza riuscirvi, le sue ragioni alla Chiesa. Il 22 giugno
1633 compì un'abiura delle sue teorie, con la quale sconfessava le scoperte fatte e la teoria copernicana,
venendo condannato all'esilio ad Arcetri. Dopo l'abiura, secondo la leggenda, sembra che Galileo disse «E
pur si muove», a testimonianza di come credesse ancora nella teoria eliocentrica. Nel 1638 fu pubblicato
nei Paesi Bassi il trattato chiamato Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze,
l'opera galileiana più importante. Galileo morì nel 1642. Con le sue scoperte Galileo Galilei cambiò il modo
di fare scienza e il mondo intero, eppure morì da solo in esilio nella residenza ad Arcetri. Il 31 ottobre 1992,
359 anni dopo l'abiura, papa Giovanni Paolo II riconobbe gli errori commessi dalla Chiesa nei confronti di
Galileo davanti alla sessione plenaria della Pontificia accademia delle scienze.

Cartesio
René Descartes, noto in italiano come Cartesio, nacque nel 1596 a La Haye, conseguì i suoi studi giuridici
presso i gesuiti. Egli si arruolò nell’esercito dei Paesi Bassi e mentre era ancora soldato, il 10 novembre
1619 fece tre sogni, durante i quali, secondo i suoi racconti, ebbe un’intuizione fondamentale per tutta la
costruzione del suo pensiero filosofico. Lasciata la carriera militare, Cartesio decise di dedicarsi
all’elaborazione di una nuova filosofia, per questo motivo, dopo aver a lungo viaggiato in Europa, si trasferì
nei Paesi Bassi, dove era diffusa una maggiore tolleranza nei confronti delle dottrine filosofiche e religiose
che si opponevano alla tradizione. Nel 1637, pubblicò tre saggi scientifici (La Diottrica, Le Meteore e La
Geometria) che erano preceduti da una prefazione intitolata Discorso sul metodo: questa introduzione
diventò, probabilmente, la più famosa delle sue opere, anche se la riflessione in essa contenuta fu poi
ampliata nelle Meditazioni metafisiche. Egli iniziò a scrivere con la regina Cristina di Svezia, desiderosa di
ricevere da lui lezioni di filosofia, a questo proposito egli venne invitato a raggiungerla ma una volta
raggiunta Stoccolma morì di broncopolmonite.

Il metodo
Secondo Cartesio per elaborare questa nuova scienza filosofica era necessario un metodo, che si ispirasse a
quello matematico, poiché le verità filosofiche, le si possono dimostrare seguendo i passaggi di un teorema
matematico, poiché entrambi ricorrono alla ragione. Il metodo dev’essere dunque un criterio di
orientamento capace di guidare l’uomo avvantaggiandolo nel mondo.

Cogito ergo sum


Secondo Cartesio, il raggiungimento della conoscenza è possibile soltanto mediante un dubbio metodico,
tutte le conoscenze devono essere sottoposte a dubbio: non solo le conoscenze sensibili ma anche le
conoscenze matematiche, perché esse potrebbero essere state create da un genio maligno che si pone
l’obiettivo di ingannarci. Il dubbio così si estende ad ogni cosa e diventa universale, trasformandosi in un
dubbio iperbolico; remando contro i principali filosofi monisti ovvero Parmenide e Pitagora ma mostrando
la natura concentrica e consequenziale di Aristotele, che illustrerà ancor più approfonditamente con le
tipologie di idee e la categorizzazione della realtà. Cogito ergo sum, dubito quindi esisto, il dubbio conferma
l’esistenza, può dubitare solo chi esiste. Le cose pensate, immaginate etc possono non essere reali ma è
certamente reale il mio pensare, l’esistere equivale dunque all’essere un soggetto pensante. In Cartesio
dunque non si tratta come in Agostino di stabilire la verità ma di trovare il principio garante della
conoscenza nell’esistenza del soggetto pensante.

Le idee e Dio
Io sono un essere pensante che ha delle idee, sono sicuro che esistano nel mio spirito ma non sono certo
che esistano al di fuori di questo, a questo proposito Cartesio suddivide le idee in tre tipologie:

1. Le idee innate, ossia quelle che mi sembrano preesistenti.


2. Le idee Avventizie, estranee, delle cose naturali.
3. Le idee fattizie, quelle elaborate.

Per capire se una di queste corrisponda alla realtà è necessario chiedersi la causa di esse, la quale non può
essere Dio, poiché essa è un ente superiore, che può esser definita solo da un essere pensante.

A proposito di Dio, egli lo dimostra secondo tre prove:

1. L’idea divina, infinita, eterna, onnipotente non è stata generate dall’uomo, non è possibile secondo
Cartesio che l’uomo, essere imperfetto(poiché dubita di sé), sostanza finita sia la causa generante di
una sostanza infinita, la quale dovrà consequenzialmente, essere ammessa come esistente.
2. Dio ci ha creati, se l’uomo fosse la causa di se stesso si sarebbe dato le perfezioni che invece
concepiamo nell’idea di Dio.
3. Non è possibile concepire Dio come Essere perfetto senza ammettere la sua esistenza perché essa fa
parte delle perfezioni.

Dio inoltre funge da garante per ciò che appare evidente, il ponte tra la certezza interiore e la certezza
pura.

Le sostanze cartesiane (il dualismo)


Cartesio, a seguito della dimostrazione di Dio, spezza la realtà in due zone distinte

1. La sostanza pensante (res cogitans), inestesa, consapevole e libera.


2. La sostanza estesa (res extensa), inconsapevole e legata a principi deterministici.

L’uomo essendo formate da entrambe, trova punto d’unificazione nella ghiandola pineale.

La geometria
La Geometria è la parte più importante del Discorso sul Metodo ed è l’atto di nascita della geometria
analitica. Cartesio è consapevole dell’unità delle diverse scienze matematiche, e ritiene quindi possibile
unificare la geometria degli antichi con l’algebra dei moderni. L’operazione per Cartesio richiede
l’assunzione di un’unità di misura, che traduca il numero in distanza, e di una coppia di linee fondamentali,
gl’assi cartesiani, prese come riferimento. Gli elementi geometrici (linee, punti, curve) si possono cosi
identificare sugli assi tramite procedimenti algebrici.

La fisica
La fisica di Cartesio vuole ricondurre tutti i fenomeni del mondo all’estensione e al moto, entrambi originati
da Dio, che gli ha poi forniti alla res extensa: due principi di conservazione del moto e della materia
deducibili dall’immutabilità di Dio (se Dio è immutabile lo è anche ciò che Egli crea). Altri interventi di Dio
nel mondo non sono necessari, come disse Pascal, al Dio Cartesiano basta dare il primo calcio al mondo. Ci
sono delle difficoltà però che derivano dalla riduzione della fisica alla geometria. Non è facile concepire il
movimento in uno spazio perfettamente omogeneo e indifferenziato, quindi Cartesio conclude che esistano
frammenti di spazio che si muovono rispetto ad altri, ma non si capisce come si possa notare il moto se lo
spazio è uniforme. Per quanto concerne il vuoto egli non ne ammette l’esistenza, secondo lui l’etere, che è
ciò che noi chiamiamo vuoto, è in realtà formato da corpuscoli, frammenti minuscoli di estensione, privi di
coerenza perché soggetti ognuno a differenti condizioni inerziali. Consequenzialmente quando un corpo si
muove nella materia sottile (etere), essa si dovrà richiudere su se stessa. Ciò produce dei vortici, vortici che
avvolgono la terra, i pianeti e il sole.

La filosofia pratica
Nel Discorso sul metodo, Cartesio espresse anche i principi di quella che definì un’«etica provvisoria», che
avrebbe dovuto precedere quella definitiva. Egli propose, quindi, tre massime, che si rifacevano ai principi
dello stoicismo:

1. Bisogna obbedire alle leggi e ai costumi (anche religiosi) del paese in cui ci si trova;
2. Bisogna essere determinati nelle proprie azioni, una volta che si è scelta la risoluzione più probabile;
3. Bisogna cercare di vincere sé stessi più che la fortuna o il mondo.

Cartesio mise al centro della sua riflessioni le passioni, analizzandole come se fossero un fatto medico.
Secondo lui, le passioni sono percezioni o emozioni dell’anima che sono causate e mantenute dal
movimento degli spiriti, anche se turbano l’anima, nonne fanno parte. Per natura, le passioni sono tutte
buone, ma vanno addomesticate, attraverso la saggezza, l’estensione della ragione che consente all’uomo
di essere padrone della sua volontà. Cartesio era, quindi, un sostenitore del libero arbitrio.

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