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Profezia di Carlo Martello - vv.

1-12[modifica | modifica wikitesto]


Carlo Martello, dopo aver chiarito il dubbio circa la diversità tra fratelli, predice a Dante gli inganni
che subirà il figlio Carlo Roberto da parte dello zio. Ma, prima di tornare alla sua beatitudine,
esorta il poeta a non rivelare nulla in quanto il giusto castigo colpirà re Roberto.
Sarebbe auspicabile indirizzare i cuori umani al sommo bene, anziché alle vanità terrene!

Cunizza da Romano - vv. 13-66[modifica | modifica wikitesto]


Intanto un altro spirito, che dallo splendore esterno rivela il desiderio di rendere cosa gradita, si
accosta al poeta. Lo sguardo di Beatrice rassicura Dante, il quale chiede all'anima di dimostrare
come essa possa vedere riflesso in sé il pensiero di lui. Quella, allora, comincia a parlare come
ad una persona cui piace fare bene.
È Cunizza, gli fa sapere, sorella dell'efferato tiranno Ezzelino III.

Sant'Antonio affronta il tiranno Ezzelino a Verona. Gian Antonio Corona, Scuola del Santo, Padova.

Proviene, come il fratello, da quella parte della corrotta terra italica tra Venezia e le sorgenti dei
fiumi Brenta e Piave da dove si leva il colle di Romano. Lei, Cunizza, si trova in Paradiso avendo
in vita subito l'influsso di Venere che l'aveva resa peccatrice. La sua letizia può apparire strana
agli uomini (ma non a Dio che, giudicando in modo diverso, ha disposto la sua salvezza).
Accenna poi alla luce, splendente come un gioiello, che le sta accanto, e dice che la sua fama
durerà almeno cinque secoli, grazie alla virtù della sua vita terrena: monito alla folla di coloro
che, nella Marca Trevigiana, continuano a vivere male, sebbene le sventure li abbiano già colpiti.
Ma ben presto i padovani tingeranno del proprio sangue le acque del Bacchiglione (sconfitti dai
Ghibellini nel 1314) e a Treviso l'arroganza di Rizzardo da Camino sarà stroncata (da una
congiura, nel 1312). Cunizza continua nelle profezie "post eventum" parlando di Feltre: il suo
vescovo consegnerà a tradimento ai ferraresi tre fuorusciti, per mostrarsi favorevole alla parte
guelfa. Conclude affermando che nell'Empireo i Troni sono le Intelligenze angeliche che come
specchi riflettono nei beati il giudizio divino. A questo punto tace e si riunisce al moto circolare
degli altri beati.

Folchetto da Marsiglia - vv. 67-108[modifica | modifica wikitesto]


Folchetto di Marsiglia in una miniatura da un manoscritto della Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi

Il poeta si rivolge al beato cui prima Cunizza ha accennato e che ora risplende come un rubino,
esortandolo a parlare, dato che già conosce il desiderio di Dante. L'anima risponde con
elaborate perifrasi geografiche dalle quali si comprende che è nato a Marsiglia. Di nome Folco[1],
ricevette l'impronta determinante del cielo di Venere e visse con passione l'amore nella sua
giovinezza. Tuttavia di tale amore non prova pentimento, bensì gioia, poiché la provvidenza lo
orientò verso il bene.

Raab - vv. 109-126[modifica | modifica wikitesto]


Folchetto prosegue indicando la luce che scintilla accanto a lui: è Raab, lo spirito più luminoso
del terzo cielo, dove fu accolta prima di ogni altra anima redenta da Cristo. Tanta gloria le è valso
l'aiuto che essa (prostituta di Gerico) diede a Giosuè nella conquista della Terra Santa, di cui
oggi importa assai poco al pontefice.

Invettiva contro i chierici avari - vv. 127-142[modifica | modifica


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Firenze, nata dal seme di Lucifero, produce e diffonde ovunque il "maladetto fiore", ossia il
fiorino, la moneta che suscitando l'ingordigia di ricchezza ha trasformato i pastori (gli
ecclesiastici) in lupi. I Vangeli e gli scritti dei dottori della Chiesa sono lasciati da parte, e si
studiano solo i Decretali, cioè i testi di diritto canonico. Papa e cardinali, pensando solo alle
ricchezze, hanno dimenticato Nazaret dove l'arcangelo Gabriele diede l'annuncio a Maria. Ma
presto i luoghi di Roma sacri per il martirio di San Pietro e dei primi cristiani saranno liberati da
tale profanazione.

Analisi[modifica | modifica wikitesto]


Come nel canto precedente, l'attenzione del poeta è rivolta, più che alla tematica amorosa
attinente al cielo di Venere, a un'osservazione dura e a tratti polemica della situazione politica
dell'Italia contemporanea e della Chiesa. In questo contesto, spiccano le profezie: una,
pronunciata da Carlo Martello, riguarda il fratello Roberto d'Angiò, re di Napoli; la seconda,
pronunciata da Cunizza, riguarda le città venete dilaniate da violenze e odi di parte; la terza,
espressa da Folchetto di Marsiglia, è l'approdo di una vera e propria invettiva contro gli uomini di
Chiesa, a cominciare dal papa, che hanno abbandonato il vangelo e si occupano soltanto delle
ricchezze e dei modi apparentemente leciti per aumentarle. Nelle parole del trovatore, poi
divenuto arcivescovo, spicca una metafora (il pastore diventato lupo) che anticipa con precisione
le parole pronunciate da Pietro nel canto XXVII (vv. 55-56). Come in altri canti, anche qui
l'asprezza dell'invettiva e l'amarezza delle profezie si esprimono in un registro linguistico
caratterizzato dal lessico "basso" ( "si fa la ragna", "sconcia", "bigoncia", "il maladetto fiore"). Con
questo linguaggio convive tuttavia un registro più alto, avvertibile nelle perifrasi geografiche
(vv.25-30; 43-49; 82-93) e nei richiami mitologici (vv.97-102). Non mancano, infine, neologismi di
creazione dantesca (v.73. "tuo veder s'inluia", ripreso poi dal v.81: "s'io m'intuassi come tu
t'inmii").

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