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Kant

Secondo Kant la filosofia deve concentrarsi sul determinare i limiti della conoscenza umana e avanza
l’ipotesi che non si possa parlare di ciò che non è possibile conoscere con i nostri sensi. Si chiede, dunque,
se la metafisica sia una scienza, mentre per quanto riguarda la matematica e la fisica si chiede quale sia il
fondamento del sapere scientifico.

Della filosofia di Kant si parla di “criticismo” perché, come si può notare nelle sue tre Critiche, vuole
analizzare la ragione e capire che cosa è in grado di conoscere. Per comprendere il sapere occorre prima
chiedersi quali tipi di giudizi sono possibili e se è possibile definirli scientifici.

I giudizi sono di due tipi: analitici a priori, caratteristici del razionalismo, e sintetici a posteriori,
caratteristici dell’empirismo. I primi si presentano come universali e necessari, rendono esplicite
caratteristiche già presenti nel soggetto e che, quindi, non estendono la nostra conoscenza; i secondi sono
dipendenti dall’esperienza e arricchiscono la nostra conoscenza.

I giudizi della scienza da un lato arricchiscono la conoscenza, individuando mediante l’esperienza e gli
esperimenti caratteristiche non ricavabili dal soggetto, dall’altro si presentano come universali e necessari,
come avviene per tutte le leggi scientifiche. Tutti i giudizi scientifici sono sintetici a priori.

Kant non si chiede come sia fatto il mondo, ma quali siano gli strumenti a nostra disposizione per
conoscerlo. Ed è in questo senso che si parla di una nuova rivoluzione copernicana: la ragione vede solo ciò
che lei stessa produce, è il soggetto che modella i dati secondo le proprie strutture conoscitive. La
conoscenza ha il proprio centro nel soggetto.

La realtà così come la conosciamo, il fenomeno, secondo la prospettiva kantiana è una sintesi di materia e
forma: la prima fornita dall’esperienza, la seconda deriva dalle nostre strutture a priori. Ne consegue che la
realtà conosciuta è come appare a noi, cioè, è comune a tutti gli uomini ed è, quindi, universale. Esempio
delle lenti colorate.

Nella sua analisi della conoscenza, nella Critica della ragion pura, Kant distingue tre diverse facoltà:

1. La sensibilità: la facoltà con cui gli oggetti cii sono dati attraverso i sensi e tramite le forme a priori
di spazio e tempo (Estetica trascendentale)
2. L’intelletto: la facoltà attraverso cui pensiamo i dati sensibili tramite i concetti puri o categorie
(Analitica Trascendentale)
3. La ragione: la facoltà attraverso cui cerchiamo di spiegare globalmente la realtà (Dialettica
trascendentale).

La Critica della ragion pura riguarda quindi l’analisi delle possibilità e dei limiti della ragione e soprattutto il
fondamento di tali possibilità attraverso lo studio degli elementi a priori (per questo “ragion pura”) che la
costituiscono.

ESTETICA TRASCENDENTALE

Kant distingue nei fenomeni una materia, derivante dal mondo esterno, e una forma, derivante da noi. La
forma ordina le sensazioni fornite dall’esperienze, non può dunque derivare dall’esperienza stessa, ma
deve precederla, quindi deve essere nel soggetto prima della sensazione. Lo spazio dà forma alle percezioni
esterne, è un’intuizione pura, indipendente alle sensazioni, mediante la quale tutte le sensazioni
acquistano una forma. Il tempo dà forma alle percezioni interne ed esterne ed è quindi l’intuizione pure
presente in ogni esperienza. Il tempo e lo spazio non derivano dall’esperienza ma la rendono possibile,
sono cioè trascendentali.

La matematica è una scienza perché si fonda su strutture a priori: lo spazio per la geometria e il tempo per
l’aritmetica.

ANALITICA TRASCENDENTALE

Kant distingue tra la logica generale, che comprende le leggi assolutamente necessarie del pensiero, e
logica trascendentale, che riguarda il pensiero applicato all’esperienza, cioè alla sensibilitò. Nella logica
trascendentale Kant analizza le strutture conoscitive a priori mediante le quali il soggetto rielabora e collega
i dati della sensibilità. Si divide in due sezioni: analitica trascendentale e dialettica trascendentale. La prima
riguarda l’uso legittimo dell’intelletto che ordina i dati dell’esperienza, la seconda prende invece in
considerazione la ragione, cioè l’intelletto nel momento in cui pretende di andare oltre i limiti
dell’esperienza.

L’analitica è la parte della logica trascendentale che espone gli elementi della conoscenza pura
dell’intelletto: le categorie, definite concetti (unificano la molteplicità dell’esistenza) puri (precedono
l’esperienza). Kant fa corrispondere a ogni giudizio (affermazioni sulla realtà) una categoria. Attraverso i
concetti puri, Kant risolve il problema lasciato aperto dall’empirismo: l’impossibilità di ricavare giudizi
universali da osservazioni empiriche; l’universalità non è data da una generalizzazione dell’esperienza, ma
dalla componente a priori. L’universalità riguarda la forma della nostra conoscenza.

Le categorie richiedono l’Io penso, è necessario presupporre che la conoscenza sia conoscenza di un
soggetto che ha presenti contemporaneamente tutte le categorie e sintetizza i dati che esse forniscono. L’io
penso è coscienza di conoscere, autocoscienza. Esiste dunque un io che opera la sintesi della conoscenza

FENOMENO E NOUMENO.

La conoscenza scientifica, derivando dalla rielaborazione dell’esperienza mediante le strutture a priori della
sensibilità e dell’intelletto, è sempre fenomenica, rappresenta la realtà così com’è vista dal soggetto, non
come è in sé. La conoscenza della realtà in sé, del noumeno, è al di là delle nostre possibilità (non possiamo
toglierci le lenti gialle).

DIALETTICA TRASCENDENTALE.

La metafisica non può essere né diventare scienza.

La ragione pretende di unificare tutta l’esperienza interna sotto l’idea di Io, di Mondo e di Dio. Idee che non
possono operare una sintesi conoscitiva.

1. Prova ontologica, l’esistenza non si può dimostrare attraverso un ragionamento, ma solo con
l’esperienza. Tutti hanno il concetto di Dio come “ciò di cui non esiste niente di maggiore”, Kant
dimostra che l’esistenza non è un predicato, non può esserre dedotta da altro, ma solo accertata.
Pensare a centro talleri è diverso dal possederli concretamente.
2. Cosmologica, Tommaso d’Aquino muove dal presupposto che tutto ciò che esiste ha una causa, per
non cadere in un regresso all’infinito, è necessaria una causa prima incausata. Per Kant affermare
l’esistenza di una causa prima incausata significa andare oltre l’esperienza, passando da ciò che è
accertabile a quello che è invece inconoscibile.
3. Teleologica, per dimostrare che esiste un creatore del mondo, cioè un essere assolutamente
necessario da cui tutto deriva e che non dipende da altro, si deve presupporre che il mondo abbia
una causa prima. Si torna alla prova cosmologica.

CRITICA DELLA RAGION PRATICA:


LA MORALE DEL DOVERE

Kant muove dal presupposto che esiste una morale universale e si chiede come sia possibile,
presupponendo la libertà e la possibilità della volontà umana di autodeterminarsi. 7

La morale è:

- Universale, valida per tutti gli uomini


- Indipendente dall’esperienza (altrimenti muterebbe in ogni occasione e non sarebbe più universale)
- Formale.

Kant cerca di individuare delle vere e proprie leggi morali valide in ogni luogo e ogni tempo; analizza le
diverse norme morali suddividendole in prima istanza in massime e imperativi.

Le prime sono quelle che seguiamo senza pretendere che siano valide per tutti, gli imperativi sono validi
universalmente, ma non sempre incondizionati: imperativi ipotetici, sono subordinati a una condizione, per
cui dobbiamo seguirli se vogliamo perseguire un determinato fine, e categorici, obbligano a un determinato
comportamento (non uccidere).

Nella critica della ragion pura il limite che non potevamo superare era l’esperienza, nella critica della ragion
pratica non dobbiamo partire dall’esperienza (altrimenti la legge morale non sarebbe più universale), ma
dobbiamo partire dall’a priori, dalla ragione.

Dovendo prescindere dal piano empirico, l’imperativo categorico non può indicare dei contenuti, ma solo la
struttura formale. Legge fondamentale della ragion pura pratica: opera in modo che la massima della tua
volontà possa valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale. Una morale contenutistica
sarebbe valida solo in determinate occasioni e non in altre, Kant sottolinea come la formalità consista in
criteri di universalizzazione da tenere sempre presenti.

Dato che la morale è universale, allora è basata sulla ragione. L’uomo, tuttavia, è sia ragione che
sensibilità(individualizza). Secondo Kant non è possibile agire sempre secondo ragione ed è per questo che
la ragione resta il modello ideale e la guida del nostro comportamento.

RIVOLUZIONE COPERNICANA NELLA MORALE:

L’uomo è considerato il soggetto e la fonte della morale. Essa non deriva più dalla religione o da principi
esterni all’essere umano, ma dalla stessa ragione, che garantisce l’autonomia della morale (mancanza di
motivazioni o finalità particolari). La morale di Kant non è né descrittiva, né prescrittiva, ma deontologica: si
chiede cos’è giusto fare in una determinata situazione.

DIALETTICA TRASCENDENTALE DELLA CRITICA DELLA RAGION PRATICA:

Perché si possa parlare di moralità occorre ammettere alcuni postulati.

Primo fra tutti la libertà: se l’uomo non fosse libero di scegliere, nessuna azione sarebbe morale perché
mancherebbe la responsabilità. Gli altri due postulati derivano dal fine che sentiamo come strettamente
legato alla moralità, anche se essa non deriva dal conseguimento di tale fine: il sommo bene, unione di virtù
e felicità. Se vogliamo che il sommo bene abbia un senso, dobbiamo ammettere altri due postulati:
l’immortalità dell’anima, l’uomo non può mai raggiungere la perfette corrispondenza tra volontà e ragione,
a avverte come esigenza un miglioramento continuo: gli deve quindi essere data la possiblità di proseguire
questa tendenza, deve esistere la possibilità di un processo all’infinito; e l’esistenza di Dio: un essere che
garantisca il sommo bene.

Romanticismo e Idealismo:
Definire il romanticismo è complicato perché si tratta di un movimento culturale estremamente
eterogeneo che si diffonde in tutta Europa assumendo caratteristiche diverse. Fine 700 e prima
metà del 800. In generale il termine Romanticismo indica una tendenza artistica e letteraria,
mentre il termine Idealismo si riferisce all’ambito filosofico. Tale distinzione non è sempre netta,
dato che Romanticismo e Idealismo nascono dallo stesso humus culturale della Germania.
E’ certamente riduttivo interpretare il Romanticismo come una reazione all’Illuminismo, ma
indubbiamente in questa chiave possono essere letti molti dei suoi tratti, dalla rivalutazione del
sentimento e delle fede, alla valorizzazione dell’arte, alla nozione di popolo contrapposta al
cosmopolitismo illuminato.
Il romanticismo recupera il sentimento, ma non si tratta di disconoscere il valore della ragione, ma
di considerarne i limiti, come aveva fatto d’altronde Kant. Il titanismo e lo Streben sono i caratteri
di fondo di questo movimento culturale.
La Germania, il circolo di Jena.
Gran parte dell’estetica romantica vive della tensione tra la centralità di un soggetto recuperato in
tutta la sua ricchezza interiore e l’insufficienza dell’individuo a se stesso. La coscienza di questa
manchevolezza è sentita come l’esigenza di andare oltre. L’individuo si avverte come parte di una
totalità che non potrà mai compiutamente raggiungere. I romantici vogliono andare alla ricerca
dell’Assoluto, ha la pretesa di elevarsi all’infinito.
E’ attratto dall’infinito, l’infinito è la musa dell’artista romantico, il limite del finito degli illuministi
non è accettato. Tutto è infinito, l’infinito è tutto: religione panteistica cosmica. Lo streben è lo
slancio verso l’infinito, andare oltre i limiti, l’Io deve andare oltre. L’uomo è desiderio mancante,
siamo una mancanza, siamo un desiderio figlio della mancanza, siamo incompleti. L’uomo vuole
conoscere l’inconoscibile, c’è una dimensione titanica nel romanticismo: atteggiamento di sfida e
ribellione nei confronti della natura.
L’uomo un Dio quando sogna, un mendicante quando pensa.

La revisione del Kantismo:


La filosofia kantiana è il punto di riferimento obbligato per i pensatori degli ultimi anni del
Settecento, sia per colore che intendono analizzarne i possibili sviluppi, sia per chi si oppone
nettamente al criticismo kantiano.
L’affermazione della cosa in sé costituisce un problema di fondazione del criticismo stesso, poiché
determina un dualismo di difficile soluzione fra il soggetto conoscente e la cosa. Se la si nega, il
criticismo diviene idealismo, perché l’intera realtà si riduce al soggetto, se la si afferma si ritorna al
realismo, perché si riconosce l’esistenza di qualcosa di esterno al soggetto.

Fichte:
Padre dell’idealismo tedesco, che con Schelling ed Hegel avrà altri due interpreti. Fichte ha il
compito di traghettare il pensiero filosofico dell’800 dal kantismo al postkantismo. Esaltatore delle
virtù del popolo tedesco, esorta i giovani a prendere in mano il destino della nazione. Padre
fondatore del nazionalismo tedesco.
Fichte è un giovane kantiano, il suo punto di partenza è, infatti, la seconda critica kantiana. I suoi
primi scritti sono stati addirittura ricondotti a Kant da alcuni studiosi.
Qual è il problema lasciato irrisolto dagli illuministi? Kant afferma che solo il fenomeno è oggetto
della conoscenza mentre il noumeno, sebbene sia esistente, è inconoscibile. Ma se la cosa in sé è
inconoscibile, allora non è lecito sul piano teoretico né affermarne l’esistenza, né negarla.
Per Fichte occorre scegliere tra le due alternative sul piano pratico
Dato che non c’è conoscenza al di fuori dell’esperienza, è necessario indicare il principio con cui
spiegare l’esperienza. Se il principio dell’esperienza è indicato nella cosa in sé si dà luogo al
dogmatismo, realtà esterna>soggetto; se il principio è indicato nel soggetto si dà luogo
all’idealismo. Per Fichte solo eliminando la cosa in sé, è possibile la libertà perché tutto è
ricondotto al soggetto, che risulta originario e non derivabile da altro.
Fichte prova a cambiare il concetto di Io, che definisce Io puro. L’idealismo fichtiano parte da una
mutazione dell’Io di Kant e degli illuministi.
Che cos’è l’io per Kant? Nella critica della ragion pura: E’ un Io soggettivo individuale, è limitato,
può conoscere ciò di cui fa esperienza, è universale perché è comune a tutti gli uomini. Gli uomini
conoscono soggettivamente allo stesso modo. L’Io crea il fenomeno, si rapporta a esso. La natura è
come noi la concepiamo, ma non è come essa in sé. Il noumeno è inconoscibile per un Io limitato
(all’esperienza). Noumeno morale o estetico.
Gli idealisti non si accontentano di un noumeno morale o estetico, bisogna estendere- infinitizzare
l’Io, per Fichte esiste una soggettività infinita universale che ha creato la realtà. Io non solo
conoscitivo, ma si è creato e permette la conoscenza della realtà. La realtà deriva dall’Io, l’uomo
deriva dall’Io. Non c’è nulla al di fuori dell’io, tutto è nell’Io, tutto è creato dall’Io nell’Io.
Non c’è più un soggetto umano limitato, ma un soggetto universale infinito.
Dottrina della scienza: capolavoro di Fichte. Dato che Fichte elimina la cosa in sé, non ha più senso
parlare di ciò che è reale in sé, ma di ciò che è reale per il soggetto conoscente. Nella Dottrina della
scienza analizza i principi sulla base dei quali il soggetto riproduce, nelle conoscenza, la realtà
L’io è infinita volontà creatrice, che crea se stessa e crea ciò che è diverso da se stesso. Processo
che si può definire TATHANDLUNG= azione prodotto dell’azione, è agente e prodotto dell’agire.
Soggetto agente, oggetto prodotto. Questa creazione avviene attraverso 3 principi.
I 3 principi della dottrina della scienza:
1) L’io pone se stesso;
L’Io infinito pone nell’Io stesso se stesso. L’io si è autoposto. Il problema che Fichte si pone è
quello di ricercare il principio assolutamente primo, lo individua nel principio di identità A=A. Tale
principio però deve essere riformulato in: l’Io pone se stesso. E’ attività originaria, esiste solo in
quanto si pone. Per Fichte non esiste un soggetto prima dell’autocoscienza, prima del suo
riconoscersi nell’atto di affermare se stesso. Il soggetto esiste soltanto in quanto è autocoscienza.
Nuova metafisica basata sul soggetto, non si spiega più che cos’è il mondo, ma come il mondo
viene prodotto dall’Io, unica realtà assoluta in quanto autofondata.
2) L’Io infinito pone oppone a se stesso un Non-Io.
L’Io infinito pone in se stesso qualcosa di opposto a se stesso un Non-Io finito e divisibile. Soltanto
l’Io è posto assolutamente, si può perciò opporre soltanto assolutamente. Ciò che è opposto all’Io
è il Non io. Nel momento in cui l’Io pone se stesso, tutto ciò che è distinto da sé è posto come Non-
Io. Io e il Non-Io posto all’interno dell’Io puro si limitano a vicenda, divenendo divisibili.
3) L’Io oppone, nell’Io, all’Io divisibile un Non-Io divisibile.
All’interno del Io è posto un Io divisibile, distinguibile in individui, cioè l’umanità. Il non io divisibile
è la natura.
Cosa sono questi 3 passaggi? Deduzione trascendentale della realtà di tipo dialettico, si divide in
tre parti: tesi, antitesi e sintesi. La tesi produce la negazione di sé (l’antitesi) e il superamento di
tale negazione nella sintesi.
La dialettica è un processo, modo di essere del soggetto. La realtà è dialettica, perché risultante dal
rapporto conflittuale tra Io divisibile e Non io divisibile. Intorno a questa contrapposizione e alla
dinamica indirizzata verso la sua ricomposizione e quindi alla sintesi ruota tutta la filosofia di
Fichte.
Tesi: il primo principio è la tesi, l’Io pone se stesso in base al principio di identità, si pone uguale a
se stesso, auto creazione volontà infinita alla base dell’essere.
Antitesi: l’Io si è negato opponendo a se un Non-Io finito.
Porre il Non io è essenziale all’Io per raggiungere la coscienza di sé. Il Non io rappresenta il limite
contro cui si dirige l’attivita dell’io, riflettendosi e tornando in se stesso.
Cos’è il Non Io e perché si nega? Il Non Io è necessario all’Io, è la natura. L’Io ha creato la natura,
per poi superarla attraverso le azioni dell’uomo.
Sintesi: l’io pone al non-io un io finito e divisibile.
L’io pone l’oggetto mediante l’attività che ficthe chiama immaginazione produttiva, che produce la
realtà in quanto dato della conoscenza. Nel primo momento della conoscenza avviene la
sensazione, l’io avverte l’oggetto come dato, cioè come indipendente da sé, avviene poi
l’intuizione, dove il dato viene riconosciuto come fenomeno e infine l’intelletto organizza i
fenomeni imponendo loro le proprie forme (categorie) e li connette.
L’io finito e divisibile è l’uomo, come la natura, ma è Io come l’Io.
L’uomo deve superare la natura per ritornare all’Io infinito, tensione costante all’infinito e alla
libertà. Slancio infinito verso l’infinito. Tramite questo slancio, agendo realizziamo l’essenza dell’Io
infinito. Per tendere all’infinito vi è bisogno di un ostacolo: la natura/il Non io.
L’uomo è la manifestazione finita dell’Io infinito.
La dottrina morale:
L’io pone il Non io per realizzare se stesso, quindi fondamentalmente per un’esigenza morale:
attraverso l’azione sul non io giunge all’autocoscienza e agendo sul non io si realizza moralmente,
affermando la propria libertà.
L’essenza dell’io finito è il superamento degli ostacoli, realizzando l’essenza che essenza stessa
dell’Io infinito. Per Fichte l’agire dell’uomo è all’interno di un processo di tensione verso l’infinito,
ossia, la libertà. L’uomo deve tendere alla libertà, al superamento dei vincoli, è una corda tesa
verso la libertà che realizza la volontà dell’Io infinito. L’obiettivo non è la libertà, ma tendere a
essa. Filosofia dell’agire tramite lo scontro. Il pensiero è finalizzato all’azione, l’azione recupero
l’essenza del pensiero.
Qual è la missione dell’uomo? Tendere alla libertà, la realtà che ci circonda entra in contrasto con i
nostri sensi, quella natura va superata con uno slancio creatore. La libertà si ottiene se facciamo
della nostra vita una potenza creatrice, la realtà va trasformata attraverso la produzione.
Qual è la missione sociale? La libertà collettiva, un uomo non è libero se non è libero neanche
l’altro uomo. E’ la Germania che deve ambire alla libertà, non il singolo cittadino. Quando è libera
la comunità si parla di libertà.
Missione del dotto: il dotto è un intellettuale che ha colto la tensione all’infinito, sa tendere
all’infinito e deve insegnare la comunità a tendere all’infinito. Per Ficthe il dotto è colui che educa
il popolo ai valori dell’infinito, dello streben, della libertà ecc… è un educatore di anima.
Missione del popolo tedesco: Fichte sostiene che tra tutti i popoli vi è un popolo che ha su di sé
una missione più elevata rispetto agli altri, vi è un popolo dotto, la Germania, che deve educare
tutti gli altri popoli. L’Europa secondo Fichte deve nascere a partire dallo spirito indomito del
popolo tedesco, che deve guidare l’Europa alla realizzazione della libertà. I tedeschi devono
diventare patria, nazione, devono liberarsi dalla conquista francese e rompere i vincoli e realizzare
la libertà comunitaria.

SCHELLING
Si colloca tra Fichte ed Hegel con una posizione originale. La riflessione di Schelling è ispirata
inizialmente dal pensiero fichtiano, da cui si distacca per il modo di concepirne la natura.
Schelling cambia pensiero, cambiamento che ne costituisce l’originalità. Il pensiero di Schelling è
poliedrico, si può suddividere in diversi periodi:
1) Schelling parte dall’infinito di Fichte, ma ne critica il concetto di l’Assoluto in quanto non
risolveva il rapporto tra infinito e finito. Il grande Io di Fichte aveva prodotto una
contrapposizione tra l’Io finito e il Non Io finito, tra uomo e natura, che doveva essere
superata realizzando la soggettività dell’Io infinito. La natura ha un’esistenza funzionale.
Ritiene che ci debba essere un principio che deve spiegare la natura e lo spirito, ossia, l’unità di
spirito e natura, che sono le facce della stessa medaglia.
Formula la tesi di un Assoluto che sia unità indistinta di Spirito e natura, cui corrisponde un duplice
approccio filosofico: la filosofia della natura, fisica speculativa (fisica che può essere spiegata
sistematicamente) e la filosofia dello spirito. L’obiettivo filosofico è quello di conciliare la
soggettività e l’oggettività. La natura per Schelling non può essere sacrificata in nome dello spirito.
Schelling (parte da questo e in opposizione all’illuminismo) vuole dare autonomia e indipendenza
alla natura, la quale è intrisa di infinito. Non è ostacolo per la realizzazione dell’infinito. L’infinito è
assopito nella natura, nella quale lo spirito si è solidificato e bisogna risvegliarlo.
La natura si risolve nello spirito e lo spirito nella natura. Rifiuta tanto il meccanicismo, che non
spiegherebbe l’organismo perché pe quest’ultimo non vale il principio di causalità, quanto il
finalismo trascendentistico, poiché dovrebbe ipotizzare un io creatore.
Schelling ha una visione della natura che si rifà esplicitamente al panteismo spinoziano. Soggetto e
oggetto, natura e Spirito sono posti in un sistema continuo e unitario. Tra essi sussiste soltanto un
diverso livello di coscienza: la natura è Spirito inconscio, lo Spirito è natura autocosciente.
Livelli di sviluppo della natura dal mondo inorganico a quello organico. Secondo i suoi critici,
Schelling ha creato un romanzo della natura, la definisce come un poema chiuso in caratteri
misteriosi e mirabili. La natura è prodotto dello spirito e lo spirito emerge dalla natura. Il modo in
cui lo Spirito produce la natura è oggetto dell’Idealismo Trascendentale, il modo in cui dalla natura
emerge lo spirito è oggetto dell’indagine della fisica speculativa.
La filosofia della natura va a indagare la spiritualità già presente in natura, la quale è pervasa da
forse che sono spiritualità inconscia, la quale cerca di raggiungere la coscienza, sino a trovarla negli
animali e soprattutto nell’uomo.
Schelling ricostruisce le tappe di un processo che descrive lo sviluppo dello Spirito inconscio della
natura fino al suo emergere a coscienza nell’uomo:
- La natura è regolata da due forze, quella di attrazione e quella di repulsione. Il loro
rapporto dà luogo alla materia, la cui apparente inerzia è in realtà equilibrio tra le due
forze, visione attiva della materia;
- Quando l’equilibrio viene rotto, la vitalità della natura diventa più evidente e si ha il
momento del chimismo, caratterizzato da fenomeni elettrici e soprattutto dalla luce.
- Con l’emergere della vita organica l’equilibrio viene continuamente spezzato dai vari
processi biologici e l’attività della natura è ininterrotta. Con l’uomo la natura raggiunge la
soglia della coscienza.
La natura così intesa è definita “Spirito visibile”.
Visione organicista della natura, la natura è un organismo in cui tutto confluisce.
E’ evidente che l’Assoluto di Schelling non può essere ridotto né a una soggettività come quella
fichtiana (svalutazione della natura) né a un assoluto oggettivo, come quello di Spinoza, natura
immobile, che non spiegherebbe lo spirito.
Schelling si rende conto che ha spiegato la natura a partire dall’oggetto, affianca allora la filosofia
dello spirito o Idealismo trascendentale. Idealismo perché il suo oggetto è il sapere del mondo,
trascendentale perché non può prescindere dall’oggetto stesso, dalla natura. La filosofia dello
spirito fa un percorso inverso, indaga il processo con cui il soggetto scopre la realtà. Il soggetto
scopre l’oggetto.
Questo progressivo evolversi della natura che si fa intelligente nella filosofia della natura, nella
filosofia dello spirito bisogna mostrare come lo spirito si risolva nella natura. Vuole dimostrare
l’oggettivarsi del soggettivo.
Parte dall’autocoscienza, la natura non sussiste di per sé ma è anch’essa prodotta dallo Spirito, che
si autolimita per diventare cosciente di sé. Schelling distingue tra due attività: quella ideale,
produttiva e inconscia, e quella reale, che rappresenta il confronto con il limite che lo stesso io ha
posto.
l’Io ponendosi attraverso l’attività reale incontra una serie di limiti, con l’attività ideale l’io
autoproducendosi va oltre ogni limite. Si scopre come qualche cosa di infinito. La dimensione dello
Spirito è di conseguenza caratterizzata da una tensione tra conscio e inconscio.
Il processo con cui l’autocoscienza, cioè lo Spirito, emerge come sviluppo della Natura è scandito
da tre momenti o epoche:
la prima epoca è caratterizzata dal passaggio dalla sensazione originaria, conoscenza passiva
difronte ai dati empirici, all’intuizione produttiva, l’oggetto è prodotto dall’io, che non è
consapevole di produrre, il soggetto si coglie come senziente;
nella seconda epoca dall’intuizione produttiva alla riflessione, si realizza la separazione del
soggetto dall’oggetto, il soggetto si sdoppia in soggetto conoscente e oggetto conosciuto;
nella terza epoca, dalla riflessione alla la volontà, il soggetto diventa indipendente razionalizzando
gli oggetti.
La funzione dell’arte:
Anche quando lo spirito raggiunge la massima autocoscienza, mantiene sempre dentro di sé un
substrato inconscio, costituito dall’intuizione produttiva. Il livello più elevato della conoscenza
deve unire i due aspetti dello Spirito: il conscio e l’inconscio. La sintesi tra questi due aspetti
avviene nell’arte, che nel sistema di Schelling occupa un posto tanto centrale, che il suo idealismo
è stato definito estetico. L’organo conoscitivo più elevato per Schelling è l’arte, l’artista coglie
l’essenza della natura e dello spirito, l’essere facce della stessa medaglia. Coglie l’essenza
dell’assoluto, del mondo. Coglie l’unione finito-infinito. L’arte è la capacità di penetrare l’infinito,
tramite la poesia, la scultura. La mano dell’artista è divina. L’artista unifica tutto nella bellezza,
l’intuizione artistica ci pone nell’intima unità spirito e natura.
2) La filosofia dell’identità:
Se da un lato Schelling ritiene di aver risolto la contrapposizione tra l’Io e il Non Io di Fichte
definendo l’Assoluto come unità di natura e Spirito, derivabili l’uno dall’altro; manca un momento
originario dal quale entrambi siano derivabili.
A partire dall’Esposizione del mio sistema filosofico Schelling sottolinea la necessità di fondare il
sistema su un Assoluto che non sia ancora né natura né Spirito, dal quale possano entrambi essere
dedotti. L’Assoluto viene concepito come identità indifferenziata, Critica di Hegel perché alla
filosofia di Schelling è sfuggita la particolarità del reale parlando di unità indifferenziata, che
definisce “la notte in cui tutte le vacche sono nere”. L’Assoluto è definito come identità tra l’ideale
e il reale, tra aspetto soggettivo e oggettivo, il finito si caratterizza per la separazione tra questi
due termini. è identificato con Dio, distinto dalla natura e dallo Spirito.
Tra Assoluto e il finito sorge il problema del perché e del come dal primo sia derivato il secondo.
Schelling dall’infinito vuole spiegare il finito. Schelling si ispira a Giordano bruno e si domanda
come far derivare dall’assoluto il relativo, dall’infinito il finito, passaggio che avviene attraverso un
salto, una caduta. Esaminate e scartate le teorie delle filosofie passate come il creazionismo,
emanazionismo, il panteismo, Schelling ritiene che dall’Assoluto possano derivare soltanto le idee
delle cose, mentre le cose stesse, la materia e gli individui empirici rappresentano la decadenza
delle idee. Decadenza intesa come salto, un’uscita del finito dall’infinito.

3) Filosofia della libertà, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana.


Quando Schelling esplica come sia avvenuto il passaggio dalle idee alle cose empiriche, è
necessario interrogarsi sulla libertà, sul bene, sul male.
Se l’Assoluto è definito come identità indifferenziata, Schelling sottolinea come in esso convivano
gli opposti che solo nel mondo reale si differenziano. La natura dell’Assoluto è contraddizione, in
Dio vi sono degli opposti: conscio e inconscio, bene e male. Queste opposizioni danno luogo a un
processo che ha come manifestazione il mondo e la storia, trionfo del positivo sul negativo. Nel
positivo ci sta già il negativo. L’esistenza acquista spessore e drammaticità.
Posizione ovviamente molto contrastata: Dio sarebbe un misto tra dio e il diavolo?
4) Filosofia della religione, ultima fase della sua filosofia.
Filosofia negativa, che studia la possibilità logica della realtà, filosofia positiva, che parla della
realtà vera e propria, che si articola nella mitologia e nella rivelazione, dopo un lavorio che
dura una vita intera, alla fine Schelling conclude con la svolta religiosa: vuole dimostrare e
indicare le vie autentiche verso cui si può cogliere la realtà di Dio e delle cose nella loro
esistenza effettiva. L’Assoluto, precedendo l’essere, non può essere definito ma può
autodefinirsi, diventando forma, cioè mondo tramite libera scelta che può essere accertata
mediante il mito, diventa una delle manifestazioni di Dio nella storia e la rivelazione.

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