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“L’INCOMPIUTA”

DI SCHUBERT

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L’AUTORE

Breve Biografia
Franz Schubert nacque a Vienna il 31 gennaio 1797, figlio di Franz Theodor
Schubert, maestro di scuola elementare e Elisabeth Vietz, figlia di un fabbro che
prima del matrimonio aveva lavorato a Vienna come cuoca. I primi
insegnamenti musicali gli vennero dal padre, che come tutti i maestri di scuola
doveva conoscere i rudimenti della musica; successivamente fu affidato al
maestro del coro Michael Holzer che gli diede lezioni di contrappunto,
gl’insegnò a cantare e a suonare l’organo. Il 30 settembre 1808 Schubert superò
l'esame per entrare come corista nella Cappella Reale dove studiò canto con
Philipp Korner, violino con Ferdinand Hofmann e pianoforte con Wenzel
Ruziczka. Le prime composizioni sono quartetti, brani per pianoforte a quattro
mani e canzoni, risalenti agli anni 1811-1812, scritte per essere eseguite
nell'ambito familiare.

Nel 1813 Franz Schubert abbandona gli studi per diventare assistente del padre
presso la scuola in cui insegna, continuando a perfezionarsi nella composizione
con Antonio Salieri. Nel 1815 Schubert scrive il "Erlkönig"e alla fine del 1816 si
contano già oltre 500 Lieder per voce e pianoforte. Con il sostegno di Franz von
Schober e di alcuni amici, che lo finanzieranno per tutta la vita arrivando, in
seguito, addirittura a fargli da “editori” per alcuni dei suoi lieder, nel 1816 lascia
la famiglia ed il lavoro presso la scuola del padre, dedicandosi pienamente alla
composizione. Del gruppo degli amici e sostenitori fanno parte, fra gli altri,
l'avvocato ed ex-violinista Joseph von Spaun, il poeta Johann Mayrhofer, i pittori
Leopold Kupelwieser e Moritz von Schwind, il pianista Anselm Hüttenbrenner,
Anna Frölich e Michael Vogl, il cantante dell'opera di corte che farà conoscere i
Lieder composti da Schubert, nonché fidato amico che lo accompagnerà per
tutta la sua breve carriera, aiutandolo spesso nei momenti di maggiore difficoltà.
Nel 1818, venne invitato dal conte Esterhazy a fare da precettore alle due figlie,
passando l’estate presso la loro residenza e sollevandosi per un momento dalle
difficoltà economiche. Nonostante il suo immenso talento, il giovane Schubert
non riuscì ad avere in vita il giusto riconoscimento per la sua arte, se non nelle
esecuzioni private dei suoi lieder, nelle serata dette “schubertiadi”.
FranzSchubert muore prematuramente, a causa di una malattia venerea, il 19
novembre 1828 a Vienna, a soli 31 anni.

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La Poetica

L’arte di Schubert prende vita e forma nella Vienna del primo ottocento, sedotta
musicalmente dal genio di Beethoven e per certi versi ancora legata alla
tradizione classico-settecentesca. Ed infatti egli comincia a comporre, anche se
ancora giovane e ad uso “domestico”, proprio partendo dai grandi modelli
lasciati da Haydn e Mozart, sviluppando le forme classiche del quartetto e del
pianoforte a quattro mani, rimanendo nel solco di quella tradizione forte del
melos mozartiano, unito inoltre allo strutturalismo tipico della sonata. In seguito
verrà in contatto con l’arte beethoveniana che gli sarà croce e delizia, dal
momento che, contenendo in se il germe della rottura del classicismo, essa darà
al nostro l’input per rielaborare una tradizione ormai troppo ritualizzata, ma al
contempo gli precluderà molte delle strade che si all’epoca percorribili, avendo il
genio di Bonn sperimentato in lungo e in largo. Perciò in cosa poteva ancora
gettarsi il florido genio di Schubert? A posteriori potremmo dire che i suoi
principali meriti siano da un lato l’aver inaugurato quella stagione “narrativa“
della musica, tratto poi tipico della cultura romantica, dall’altro l’aver ridato
assoluta centralità alla melodia, utilizzata quindi come strumento di racconto.
Questo appare evidente in molte delle sue opere, soprattutto della maturità: si
pensi ad esempio al quartetto la Morte e la Fanciulla o alla Sinfonia incompiuta:
in entrambi casi sia gli sviluppi che i gruppi tematici presentano sempre del
materiale melodico di riferimento, che caratterizzato da un’armonia spesso fuori
dagli schemi classici, rende perfettamente il senso discorsivo della musica,
accentuato anche dai forti contrasti presenti tra le varie sezioni. Queste ultime,
sono spesso giustapposte per contrasto più che disposte secondo una logica
architettonica e lo sono in virtù del racconto che di volta in volta l’autore
imbastisce, forte anche, come sopra detto, di un particolare senso dell’armonia.
Come scrive Luca Chierici nel Corriere Musicale: ”[…]La natura sfuggente della
narrativa schubertiana, così lontana dall’assertività che contraddistingue la dialettica
beethoveniana nelle trentadue sonate ha per lungo tempo allontanato l’interesse di pianisti anche
di grandissima statura, tanto che la rivalutazione di queste vere e proprie gemme ebbe inizio
solamente nella metà degli anni Trenta del secolo scorso con una pionieristica, seppure parziale
incisione discografica di Arthur Schnabel.”
Altro genere importantissimo nella produzione schubertiana è quello del lied.
Qui l’autore mostra tutte le caratteristiche del suo genio, partendo dalla assoluta
felicità nella composizione melodica, passando per la perfetta aderenza tra
musica e testo, fino a terminare nella assoluta finezza delle scelte armoniche. Il
rapporto con il testo poetico è quasi sempre di natura descrittiva, dove il
pianoforte mantiene un ruolo subordinato alla voce, fornendo solo il sostegno
armonico e rendendo l’atmosfera espressiva di riferimento.

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L’OPERA
La sinfonia si apre con questa frase dei bassi.

Da questo elemento questo verrà poi riutilizzata l’ultima nota tenuta, che
nell’intero movimento verrà utilizzata come cesura tra una sezione e l’altra,
quasi a simboleggiare la voce oscura di un narratore posta a chiusura ed
alternanza di due moneti diversi della narrazione.
Terminata quest’ultima, inizia un moto di semicrome sostenute da un lieve
pizzicato dei bassi. E’ da notare come l’ultimo SOL basso non risolva su un FA#
come sarebbe successo nella musica di qualche anno prima, ma ritorni a SI.

Su questo fondo orchestrale

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inquieto si slancia poi una melodia fatta da oboe e clarinetto, dal tono quasi
elegiaco, che verrà ripetuta diverse volte, oscillando tra la tonalità di SI minore e
il relativo maggiore. Questa “volubilità” espressiva, dovuta all’ oscillamento
costante tra tonalità maggiore e minore, è tipica di Schubert e diventerà uno dei
tratti distintivi della cultura romantica. Arrivati a questo punto potremmo
notare innanzitutto come l’orchestrazione sia assolutamente più semplice
rispetto alle ultime sinfonie di Beethoven (artista di riferimento per il genere
sinfonico del periodo), contenendo essa un semplice accompagnamento con una
melodia e come tutto il materiale presentato finora sia di natura squisitamente
melodica.

La prima frase termina con una cadenza costruita con un ispessimento della
trama orchestrale, dovuto all’entrata dei corni e dei timpani che riportano la
musica dal pacifico tono di RE maggiore al più cupo e tragico SI minore,
utilizzando peraltro una settima diminuita.

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Successivamente la melodia viene ripresentata dapprima identica e poi con
l’entrata dei legni che modificano il finale della frase, introducendo la
semiminima col punto, elemento che poi caratterizzerà tutto il secondo gruppo
tematico. E’ da notare come in questa ripresa sia presente quasi esattamente la
stessa armonia di prima, solo riproposta in una veste orchestrale diversa, senza
nessuno sviluppo dialettico della tonalità e con una maggiore tensione dovuta
principalmente solo al cambio di timbro dell’orchestra. Tutto ciò sottolinea
l’idea che Schubert pensasse ai due gruppi tematici come a due mondi espressivi
separati, tenuti insieme da una logica probabilmente extramusicale.

Anche questa sezione viene ripetuta, fino a culminare nella cadenza finale a SI
minore. Dando uno sguardo a questo primo gruppo tematico potremmo
concludere che Schubert abbia rinunciato allo sviluppo dialettico della tonalità
in funzione di una logica “narrativo-gestuale”.
Al termine di questa sezione ritroviamo, come collante tra le due sezioni
l’elemento incontrato all’inizio, espletato qui nella note tenute da fagotti e corni.

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Successivamente, dopo una cadenza a SOL comincia il secondo gruppo
tematico, costituito da una melodia dei bassi su un ritmo di valzer, dal carattere
festoso ed elegante. Interessante notare come il compositore, per acuire il
contrasto tra le due sezioni, scelga di non scrivere il secondo gruppo tematico in
RE, come da prassi consolidata. Anche in questa sezione vi è la sostanziale
ripetizione del materiale melodico, presentato sempre nella stessa tonalità, con i
soli cambi di orchestrazione: è chiara la volontà di Schubert di costruire i due
gruppi tematici come sezioni autonome contrapposte, legate da una logica di
contrasto narrativo e non da una di tipo architettonico-sonatistico.

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Terminata la seconda ripetizione, con l’armonia lasciata in sospeso sul V grado,
troviamo un intervento drammatico dell’orchestra, che con un tutti ci porta
nell’atmosfera tragica del modo minore, utilizzando ancora una volta un gesto
sonoro prosciolto dalla comune logica sonatistica e quasi di stampo teatrale,
desunto, forse, da quell’unica nota tenuta del materiale iniziale.

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Subito dopo viene ripresentata una parte del materiale del secondo gruppo
tematico, parzialmente trasformata ed utilizzata in due progressioni modulanti,
con un atteggiamento compositivo quasi da sviluppo di sonata, anche se solo in
coda al secondo gruppo tematico.

Terminato su una settima diminuita, questo materiale sfocia poi in un crescendo


orchestrale, nel quale il materiale della cesura vista prima viene rielaborato nel
tono di SOL maggiore, utilizzando peraltro alcune armonie presenti nella prima
esposizione del secondo gruppo tematico.

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Ritornati in SOL maggiore, troviamo ripresentato il materiale del secondo
gruppo tematico nella stessa tonalità in cui era stato presentato la prima volta,
anche se questa volta l’orchestrazione cambia, essendo eseguito dagli archi
prima e dai legni poi; l’utilizzo del registro acuto nei fiati, inoltre, gli conferisce
fattezze più morbide e spezza parte della tensione, rendendo chiaramente l’idea
di finale.

Terminata la cadenza a SOL maggiore, troviamo nuovamente la nota tenuta in


ff, il SI in questo caso, che fa da cesura e segnala il cambio di umore nella
narrazione.

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Lo sviluppo si apre con una serie di elaborazioni del materiale iniziale,
presentato dapprima in MI minore dai soli bassi e successivamente elaborato in
un breve canone tra violini e fagotti , il tutto su un pedale di DO. Va segnalato
come l’utilizzo della nota più grave di violoncelli e contrabbassi costituisca una
particolarità, dal momento che il timbro dell’ultima corda vuota, tenuto per così
tanto tempo, sarebbe stato giudicato “sgraziato” solo qualche anno prima;
questa introduzione del “brutto espressivo” è di stampo chiaramente romantico
e proiettato in avanti.

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Successivamente viene ripetuta per diverse battute una frase melodica, presa
sempre dal tema iniziale, dal carattere fortemente drammatico, prima dai soli
archi poi anche da flauti e oboi, creando un accumulo tensione con una tecnica
di beethoveniana memoria: la ripetizione di un frammento melodico i cui valori
ritmici vengono di volta in volta diminuiti, che arrivata al culmine della
dinamica si interrompe bruscamente. L’orchestrazione, in questo frangente
decisamente ricca, rimane comunque molto legata ai modelli del suo grande
predecessore. La tensione è inoltre accumulata dal continuare del pedale nel
basso.

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In seguito viene poi ripreso l’elemento già presente nel secondo gruppo
tematico, il forte contrasto tra il tremolo nel tutti e il p dei fiati, con un’armonia
dissonante caratterizzata dalle settime diminuite.

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Al culmine di questo momento viene inserito nello sviluppo l’elemento delle
semicrome, presenti nella parte di accompagnamento del primo gruppo
tematico, sopra le quali troviamo un’altra trasformazione del primo elemento;
scelta questa che permette al compositore di aumentare la tensione e di
preparare il ritorno del primo gruppo tematico, caratterizzato fortemente dal
moto di semicrome nell’accompagnamento.

Successivamente l’inserimento del ritmo puntato e delle frasi in ff negli archi,


fanno riemergere la memoria delle prime sinfonie di Beethoven (quasi come
fosse una citazione) e trasporta il flusso della narrazione verso lo svuotamento
antecedente la ripresa, utilizzando sempre un’ ennesima trasformazione dello
stesso elemento, e cominciando a ritornare alla tonalità di RE maggiore.

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E finalmente, dopo la ricomparsa del suono tenuto nei fiati, sostenuto dal
pizzicato degli archi, comincia la ripresa.

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La ripresa ripropone poi il materiale già sentito senza sostanziali variazioni, se
non qualche piccolo cambio di orchestrazione e i necessari cambi armonici
dovuti agli equilibri armonici della sonata. Degno di nota è il finale di questo
movimento, dove al posto della coda viene riproposto il materiale musicale già
utilizzato all’inizio dello sviluppo.

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