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Lezione del 11/03/2021

Virgilio, Eneide

Al verso 828 si insiste sul fatto che Troia è crollata. Si ha un poliptoto, figura retorica
di ripetizione: occidit, occideritque sinas.
Si ha poi Giove, dopo questa richiesta, che si rivolge a Giunone ricordandole che è
una dea e che a lei non si addice, come non si addice alle divinità in generale, l’ira. Il
comportamento degli dei non può essere un comportamento umano.
Qui Virgilio richiama un tema, che è quello della polemica sull’antropomorfismo
degli dei, contro la rappresentazione degli dei come uomini, che è un topos non solo
letterario, ma anche filosofico. Si ritrova, per esempio, in un autore come Xenofane,
quindi lo troviamo in un lirico che è anche filosofo.
Olli...repertor => espressione formulare. Quest’espressione ritorna anche nel libro I al
verso 254, ed è appunto un verso che introduce il discorso di Giove.
Repertor => termine arcaico. È un termine formulare per indicare Giove assieme ad
altri termini come sator, genitor, pater e creator: Giove che viene ricordato in quanto
fondatore dell’universo.
Germana => germanus indica, in particolare, i fratelli gemelli.
Es...proles => qui si ha la variazione di una formula omerica della quale si ricorda e
Giunone è al tempo stesso sorella e sposa di Giove. Una formula che si trova, per
esempio, in Iliade IV 58, oppure in Eneide I 46, dove Giunone si definisce “Iouis et
soror et coniur”: quindi ritroviamo questa formula in una sua variazione.
Iarum => si ha irae al plurale
Si ha il plurale individualizzante perché indica i vari momenti sperati, le varie
manifestazioni separate dell’ira.
Siamo nel finale e sta richiamando un tema che si è visto nel proemio de libro I al
verso 4, in cui si parla del fatto che Enea è sballottato a causa dell’ira di Giunone; al
verso 11 in cui si dice: “sono così grandi le manifestazioni d’ira negli animi celesti?”.
Quindi, si richiama il fatto che tutto il percorso fin qui è anche legato a queste
manifestazioni più tipiche degli uomini che degli dei.
Age => ma suvvia. È una formula tipica del parlato.
Frustra => ricorda il fatto che comunque il fato vuole che si realizzi la sorte di Enea.
Nell’ultima frase ritorna quell’atteggiamento più d marito, che si è visto, da parte
Giove nei confronti di Giunone.
Quindi le richieste, che si è detto riguardano appunto il nome e la sorte, saranno
concesse.

Il verbo iubeo - i verba voluntatis

Tra i verba voluntatis dipendono delle proposizioni di tipo sostantivo.


I verbi uolo, nolo, malo, cupio, studeo, iubeo, ueto, prohibeo, sino, patior, cogo
reggono l’accusativo + l’infinito in funzione oggettiva. Questa proposizione è
un’espansione del soggetto: io ordino qualche cosa. Dopo l’oggetto, che è il
contenuto del mio ordine, si espande in una proposizione oggettiva.
Se è espressa la persona che riceve l’ordine, questa persona funge da soggetto
dell’infinito e l’infinito è di forma attiva. Iubeo milites pontem rescidere: io ordino
che i soldati taglino il ponte. Le persone che ricevono l’ordine sono il soggetto
dell’infinitiva, e il verbo dell’infinitiva è di forma attiva.
Nel caso in cui mancasse la persona, il soggetto dell’infinito è l’oggetto su cui si
esegue l‘ordine e l’infinito dipendente diventa di forma attiva. Iubeo pontem rescindi.
Non è indicato chi deve tagliarlo, non ci sono più i milites. Chi subisce l’azione
dell’essere tagliato diventa il soggetto della proposizione infinitiva.

Le forme passive iubeor, uetor, profitero, sinor, cogor (patior è un verbo deponente e
quindi non ha forma passiva) reggono il nominativo + l’infinito in funzione
soggettiva, si ha il costrutto cosiddetto del nominativo + infinito.
Il soggetto è la persona che riceve l’ordine. Milites iubentur pontem rescindere: il
soggetto di iubentur è milites. Essendo indicato il soggetto che riceve l’ordine il
verbo dipendente è di forma attiva.
Nel caso in cui non viene indicata la persona che deve compiere l’ordine, non solo il
verbo della volontà è nella forma passiva, ma anche l’infinito dipendente è di forma
passiva. Pons iubetur rescindi: si deve considerare che questa costruzione personale si
spiega per il fatto che non è indicata la persona che riceve l’ordine.
Milites iubentur in castra redire: qui si ha il soggetto che riceve l’ordine. Redire è un
verbo intransitivo e quindi non ha un oggetto, però, anche se è intransitivo, anche se
non è espresso un oggetto, essendo espresso l’oggetto che riceve l’ordine, resta il
verbo di forma attiva.
Ausonii => gli ausoni, gli italici.
Ut => è un ut comparativo. L’ut comparativo può essere di due tipi: o con l’indicativo
o di tipo nominale, caso in cui abbiamo la comparativa abbreviata. L’ut si può trovare
sia con l’indicativo che con il congiuntivo. Nelle comparative troviamo l’ut +
l’indicativo, oppure le frasi nominali.
I teucri rimarranno solamente uniti, congiunti, nel corpo => si è ricordato che
iniziano le unioni, i matrimoni, e quindi dei teucri non rimarrà né il nome, né la
lingua, né il costume, rimarrà solo il sangue, la tradizione. I teucri rimarranno
solamente mescolati coi corpi, col congiungersi dei corpi.
Morem ritusque sacrorum => qui si ha morem ritusque, è una endiadi, è un unico
concetto, quindi aggiungerò. Non è tanto “la tradizione e i riti”, ma “la tradizione dei
riti”. L’endiadi è una figura retorica per cui un unico concetto è espresso mediante
due termini posti sullo stesso piano. In questo caso il costume e i riti, c’è la
congiunzione coordinante, quindi i due termini sono posti sullo stesso piano. In realtà
non sono due cose diverse, sono due aspetti della stessa cosa. Endiadi significa “Hen”
(una cosa sola espressa ia (ioin,) attraverso due cose. Quindi un unico concetto, la
tradizione del rito, che è espressa mediante due termini, mos e ritus.
Latinos => è un predicativo dell’oggetto. Il verbo facio è uno di quei verbi che può
accompagnarsi con il predicativo dell’oggetto; esattamente come il verbo fio si
accompagna con il predicativo del soggetto.
Omnis => desinenza in i dei temi in i che troviamo negli aggettivi.
Giove promette di aggiungere, non di sostituire, ai riti latini anche i riti dei troiani.
Questo lo fa perché, al verso 192 del libro XII, Enea si era ripromesso di attribuire
alla nuova città i penati di Troia. Sta nel fato di Enea quello di consegnare alla nuova
città quelle tradizioni religiose, quei riti, che ha portato con sé. Fin dalla fuga Enea ha
portato con sé il padre e i penati.
Qui Virgilio esprime un concetto tipico della religiosità romana, che non è
caratterizzata dall’imposizione dei riti, ma è caratterizzata piuttosto dal sincretismo.
Significa che nell’Olimpo di Roma c’è spazio per tutti: ogni popolazione che entra
all’interno della comunità porta i suoi riti. Quindi, c’è un sistema additivo per cui ad
ogni popolazione aumenta il numero degli dei. Quindi, secondo esattamente questo
principio, Giove non sostituisce i riti troiani a quelli italici, ma li aggiunge.
Viene ricordato il tema della pietas perché è una caratteristica tipica di Enea (verso
10 del libro I “Enea è l’uomo straordinario per pietà” “insignem pietatae”), e poi nella
prima parte del libro I ai versi 12 e seguenti, laddove si ha l’arcaeologia, Giunone si
preoccupa dei suoi riti, ma viene rassicurata che la nuova stirpe le sarà assolutamente
fedele, anzi supererà tutti gli uomini, tutti gli dei, per pietas. La preoccupazione di
Giunone era quella che Cartagine era il luogo dove era massimamente celebrata: le
viene promesso che i suoi riti saranno ugualmente osservati dai romani. Tanto è vero
che Giunone, come Giove e Minerva, era venerata, faceva parte di una triade, che era
venerata sul Campidoglio. Quindi, si richiama una tradizione tipica romana: Virgilio
inserisce gli elementi della tradizione storico-culturale romana.
Adnuit => dal verbo nuo, è il verbo da cui deriva il nudus, il cenno. Adnuo significa
piegare la testa in avanti, fare un cenno con la testa in avanti, quindi significa dire di
sì: è il nostro annuire.
Nubem => ricordiamo che il discorso di Giove si era aperto con una domanda al
verso 796: “Per quale ragione, con quale speranza, te ne stai ancora nelle gelide
nubi?”. Ecco che Giunone, a questo punto, può abbandonare le nuvole. Questa è
l’ultima apparizione di Giunone nel libro XII, nell’Eneide.
Con il verso 840 termina quello che si è definito un “prologo in cielo”.
Ai versi 843-886 troviamo il “dolore immortale”, un secondo intervento necessario di
Giove. Dopo avere placato Giunone, ora deve fermare Giuturna, la sorella di Turno,
che finora è sempre stata inviata da Giunone, protetta da Giunone, ma è stata sempre
accanto al fratello Turno, e ha sempre evitato che potesse essere colpito. Anche
questo secondo episodio in cielo è necessario perché si possa compiere il duello
finale. Giove invia una Dira ad annunciare tutto questo a Giuturna, e nel finale di
questo episodio è possibile vedere nel cielo un segno: un uccello nero. È un segno di
malaugurio è caratterizzato dal colore nero, il colore nero è il colore della morte: è un
cattivo presagio che Turno coglie e che quindi, in qualche modo, influenza l’ultimo
episodio che è “l’epilogo in terra”, il duello finale tra Turno ed Enea.

Coordinazione e subordinazione
Il rapporto delle proposizioni nel periodo può essere di due tipi:
 Coordinazione
 Subordinazione

Per individuare il rapporto fra le proposizioni è necessario fare una serie di


osservazioni:
 Di norma il rapporto di coordinazione, ma anche quello di subordinazione, è
esplicito: c’è qualche cosa che ci fa capire qual è il rapporto tra le proposizioni
(sono legate da particelle, congiunzioni, pronomi e così via).
 Il rapporto è implicito quando le proposizioni sono solo accostate, non
abbiamo nessuna congiunzione, nessun pronome, nessun elemento di tipo
coordinante o subordinante.
Ueni, uidi, uici => coordinazione implicita per asindeto (l’asindeto descrive la
coordinazione per mancanza: è la mancanza di un legame coordinante)
Uelim consideretis => sostantiva dipendente da un verbo di volere (non c’è nessun
elemento subordinante. Che sia una subordinata lo capiamo, in primo luogo, dal fatto
che c’è il congiuntivo e che non è la principale; ma capiamo anche che dipende di
volere, e sappiamo che normalmente la tipologia più comune di queste proposizioni
sarebbe di essere introdotte con ut, ne negativo. Però spesso nel parlato o nella
poesia, soprattutto nella poesia, questo elemento subordinante non è presente.
La coordinazione e subordinazione implicite si chiamano paratassi; la subordinazione
esplicita si chiama ipotassi.

La paratassi è spesso all’origine dell’ipotassi:


Impero ne faciat => io ordino non faccia. Ne faciat si può intendere come esortativo,
o come un desiderio. In ogni caso, dall’originaria costruzione paratattica di due
proposizioni poste sullo stesso piano, indipendenti, sappiamo che da questa
costruzione separata deriverà poi la costruzione tipica della lingua classica latina,
cioè l’ipotassi. Quindi, se noi confrontiamo, molto spesso, la grammatica degli autori
arcaici rispetto a quella degli autori classici, osserviamo che negli arcaici è molto più
diffusa la paratassi di quanto non sia negli autori classici.
Rogo: qui est? => io chiedo “chi è?”, nel latino classico troviamo l’interrogativa
indiretta “rogo: quis sit?”: quindi, la paratassi è un costrutto che in realtà, nel discorso
complesso, sfocia nella paratassi.
Gli elementi coordinanti sono:
 Copulativi: teniamo presente che c’è una differenza tra i vari modi con cui il
latino esprime “e”: et, mette sullo stesso piano; at, atque mette sullo stesso
opiano (c’è una cosa, ma c’è anche l’altra ponendo l’accento sul secodo
termino); que, parifica; neque, nec che sono chiaramente copulative negative
 Disgiuntive: aut, oppone alternative che si escludono (o l’una o l’altra); uel, ue
enclitico, che sono alternative irrilevanti, cioè poste sullo stesso piano (origine
dal verbo uolo, l’una, oppure se vuoi l’altra); siue/seu, disgiungono i due
aspetti di un medesimo concetto
 Avversative: vanno da at, la più forte, a uerum (da non confondere né con uere
né con uero); sed; uero e autem (posposte e più deboli); tamen(valore
correttivo più che avversativo) e atqui (le più deboli ancora)
 Dichiarative: enim; etenim; nam; namque
 Conclusive: concludono un ragionamento, un discorso, che hanno il valore di
così, dunque: Igitur; itaque; ergo; proinde
Poi possiamo avere le correlazioni coordinanti. Sono una caratteristica dello stile
epico, già omerico, e quindi riprese dallo stile Virgiliano. Le più comuni sono le
copulative.

Ci sono tre classi di proposizioni subordinanti. Si può, a seconda della funzione,


organizzare tutte le proposizioni in tre tipologie: sostantive, aggettive-avverbiali o
complementari indirette.
 Aggettive: sono le relative. A volte possiamo avere un participio con funzione
aggettiva, ma le proposizioni aggettive sono le relative. Espandono un
attributo: per questo le chiamiamo aggettive
 Sostantive: possono essere infinitive, interrogative (introdotte da quod; ut
[volitive con ut. Iubeo ut introduce una sostantiva]; quin. Completano il verbo
della sovraordinata svolgendo la funzione di soggetto o epesegesi
 Avverbiali: finali, consecutive, temporali, causali, suppositive, concessive,
avversative e comparative. Ognuna di queste è introdotta da elementi
subordinanti differenti. Le avverbiali (o circostanziali, o complementari
indirette) espandono un complemento indiretto, e precisano l’azione della
sovraordinata di una circostanza accessoria (il tempo, la causa ecc.)

Siamo arrivati al duello finale e Turno è solo nella piana di fronte ad Enea.
Esattamente come nel libro XXIII dell’Iliade, ai versi 214 e seguenti, abbiamo Ettore
di fronte ad Achille. Ne caso di Omero accanto ad Achille abbiamo la dea Atena;
quindi, in Virgilio c’è una differenza: il breve concilio divino lascia tutto il finale alla
sorte degli uomini, sono gli uomini che si giocano la loro sorte, anche se il fato è
programmato, è inevitabile, è un destino annunziato.
Instat contra => uso avverbiale: incalza contro, sottinteso l’avversario.
Il primo dei due personaggi, dei due eroi, che entrano nel quadro dipinto da Viriglio,
è Enea. Enea è rappresentato come saeuos, come crudele, come feroce: questa è una
caratteristica che normalmente non era tanto caratteristica di Enea, ma piuttosto di
Turno, o meglio di Achille. Siamo arrivati al colmo del rovesciamento del carattere di
Enea che ha assunto via via le caratteristiche di Achille, mentre Turno ha già visto un
segno negativo, ha compreso che per lui la sorte è segnata, e Turno è entrata in una
modalità più tipica di Ettore.
Coruscat => verbo coruscor. Verbo di carattere visivo, indica un colore.
Dall’immagine visiva del bagliore dell’asta, i passa all’immagine dell’asta che viene
scagliata. Lo scagliare l’asta è ciò che determina il bagliore. Si ha uno spostamento
metonimico del significato di questo verbo. L’asta lampeggia, ma lampeggia nel
movimento che compie: quindi assume, questo verbo, il significato di scagliare.
Ingens => aggettivo visivo. Si trova varie volte in Virgilio: libro II quando viene
ricordato il corpo di Priamo che giace ingens, giace grande a terra.
Arboreum => può voler dire due cose: una, grande come un albero, è arboreo nel
senso che è un’asta simile come un albero. Al tempo stesso arboreo ci richiama
anche, dal punto di vista semantico, la materia di cui è costituita, almeno
l‘impugnatura dell’asta, che era di legno.
In questa coppia Virgilio sta riprendendo un’espressione tipica di Omero, che
troviamo al verso 307 del libro XII.

Verso 889 => diviso in due emistichi. Si è visto che questa è una caratteristica che
indica concitazione da parte del parlante.
Al completamento del personaggio di Enea, dell’evoluzione del personaggio di enea,
cospira anche il fatto che ora è Enea che reclama il fatto che non ci siano più indugi.
Si è visto che all’inizio del libro XII, al verso 11, è Turno che non ha alcun indugio
“nulla mora in Turno; nihil est quod dicta retractent ignaui Aeneadae”. Si vede come
era Turno che richiamava Turno a non rimangiarsi le loro parole (si ha la
combinazione di mora e retractent). Questo tema viene rovesciato nel finale del libro
XII: adesso è Enea che richiama Turno a non indugiare.
Viene richiamato il tema, il fatto che non si sta lottando per un premio: non è un
premio di una gara, ma il tema è la lotta e la morte. Si richiama quello che si legge
pochi versi più sopra.
Si ha un discorso di sfida.
Uerte omnis tete in facies => trasformati pure in ogni aspetto. È un’immagine che
Servio definisce di carattere proverbiale. Richiama l’immagine di Proteo, dio marino,
capace di trasformarsi in ogni forma. La capacità di metamorfosi di proteo, nel libro
IV delle Georgiche (autocitazione di Virgilio) non è andata a finire bene perché
Proteo viene vinto da Aristeo. Il richiamo a Proteo è un richiamo che suona già di
sconfitta per Turno.
Quidquid => indefinito relativo, introduce una relativa.
Si ha poi la risposta di Turno.
Ille caput quassans => e quello scuotendo il capo. In realtà questo gesto di scuotere il
capo è un gesto che da un lato talora indica il dolore, come il commentatore Fico
Donato dice che rappresenta il “luctus animi”, ma a volte indica proprio la fierezza
dell’eroe. Troviamo questi due aspetti misti tra di loro.
Questo discorso è caratterizzato dalla ripetizione del verbo terreo, con la opposizione
tra “me feruida dicta” e “di me”: il soggetto è sempre me, ma l’opposizione è fra gli
dei e le due parole. È come per dire che le parole di Enea son parole vane, ciò che
conta è la volontà degli dei, e gli dei hanno già mostrato la loro ostilità a Turno. Qui
Turno rivela il fatto di avere paura a causa dell’ostilità degli dei. Anche questo è un
tema che ricorre in Omero nel libro XXII dell’Iliade, nel solito episodio di lotta tra
Ettore e Achille, al verso 296.
Nec plura effatus => e senza aggiungere altro. Questa è un’espressione formulare, si
trova in Virgilio tre volte. Traduce un’espressione omerica.
Litem => le liti, anche se è singolare.
Turno vede un sasso. Virgilio sottolinea il termine saxum tramite l’anadiplosi, cioè la
ripetizione, la geminatio: saxum ritorna due volte, come ritorna due volte l’aggettivo
ingens,
Questo episodio sta richiamando due episodi omerici: uno in Iliade XXI, in cui Atena
scaglia un sasso contro Ares, un sasso che era posto come confine tra campi; e un
altro in Iliade XII in cui è Ettore stesso (si ha l’identificazione con Ettore) scaglia un
sasso contro le difese dei greci, un sasso, dice Omero, che neppure due uomini tra i
più forti avrebbero facilmente sollevato da terra. In Iliade si parla di un sasso che
neppure due persone sollevato, per sottolineare l’eroismo di Ettore.
Abbiamo un’iperbole al verso 899 che, in realtà, cresce nel tempo: tra Virgilio e
Omero c’è un passaggio intermedio, questa immagine del sasso che gli uomini non
possono sollevare, si trova in un poema epico di età alessandrina di Apollonio Rodio,
che ci dice che per sollevare il sasso non bastano quattro uomini. C’è un passaggio
intermedio: da due, a quattro, a dodici. Si ha un’amplificazione sempre maggiore di
questo topos. Questo topos si combina al tema del buon tempo antico, cioè: un tempo
c’erano i giganti che sollevavano i sassi, ora invece questo sasso non lo solleva più
nessuno. Quel sasso è stato spostato da uomini, perché è stato posto come confine di
campo, però ora questo sasso a stento lo possono sollevare, appunto si dice, dodici
corpi quali di uomini ora produce la terra. È un richiamo all’idea che nel progresso
abbiamo un progressivo decadimento.
Si vede che il 12 è espresso mediante una perifrasi: due volte sei. Questo, non tanto
per una ragione di stile, quanto per una ragione di metro: la parola duodecim non
entra nell’esametro, e quindi non era possibile introdurla. Quindi, abbiamo questa
perifrasi che, peraltro, è una perifrasi enniana.
Ille heros => iperbato, separazione dell’aggettivo al suo soggetto. Ille, posto
all’inizio, ha valore oppositivo.
Si ha un episodio, questo di Turno che lancia il sasso, che porta a un po’ di
stordimento. Il risultato del lancio è inefficace, ma non è solo il lancio inefficace:
Turno non si riconosce, non è più se stesso. Non si riconosce né nella corsa, né nel
procedere, né nel sollevare, né nel muovere il sasso in mano.
Turno, per il timore, per l’incertezza, non è più se stesso: le ginocchia gli tremano, il
freddo prende le sue membra, percorre le membra, e quindi il lancio è vuoto. Il sasso
scagliato per inane uacuum, attraverso il vuoto inerte. Qui abbiamo un’espressione
che richiama il lessico filosofico, anche lucreziano. Il vuoto.
Al verso 906 abbiamo un’allitterazione: uiri, uacuum, uolutus. Quest’allitterazione
vorrebbe essere onomatopeica per la riproduzione del movimento del suono del
sasso.
Si ha un paragone tra l’incapacità di portare a compimento le azioni, la propria
volontà (l’incapacità di scagliare con efficacità il sasso), e lo stordimento che è
proprio del sonno. Questo è un episodio che troviamo nel libro XII dell’Iliade: “come
in sogno, né chi insegue può raggiungere chi fugge, né chi fugge sfuggire a chi
insegue, così è anche Achille”. Così appunto nel libro XXII dell’Iliade abbiamo
quest’immagine per cui né Ettore riesce a scappare da Achille, né Achille riesce a
prendere Ettore: e questo perché come nel sogno, non siamo capaci di fare le cose.
C’è in realtà un intermediario nella rappresentazione di questo sogno; un sogno
frustrato, perché la rappresentazione del sogno è presentata da Lucretio, nel De
Rerum Natura libro IV, in cui Lucretio ricorda che ci sembra muovere le nostre
membra in una caligine cieca della notte. Il libro IV è libro della sensazione e anche
del sogno, e del sonno. Quindi, Virgilio riprende Omero, ma un Omero che è filtrato
attraverso Lucretio.
Si vede che c’è la rappresentazione di un sogno in cui, un sogno di frustrazione, ci
sembra di fare qualcosa, volere prolungare corse avide, oppure facciamo degli sforzi,
ma alla fine crolliamo perché non riusiamo a parlare, non abbiamo le forze e così via.
Uideor => qui con il costrutto personale. È un verbo tipico del sogno, nel sogno ci
sembra di far qualche cosa, ma, appunto, è solo un’immagine.
Quacumque => avverbio di origine relativa, indefinita relativa.
Non ci sono vie d’uscita per Turno.
Aspectat => iterativo, intensivo. Non è tanto volgere lo sguardo, ma fissa i Rutuli.
aurigam => predicativo di soror: la sorella che gli fa da auriga.
Siamo davanti alla piana, Turno volge lo sguardo intorno, vede innanzitutto i Rutuli
che lo circondano, poi vede le mura delle città, ma da nessuno di questi può prendere
aiuto e quindi esita per il timore.
Tremescit => verbo tremesco, incoativo, che introduce questa frase: trema, per il fatto
che (infinitiva, il verbo tremesco è reso transitivamente) incombe la morte. Al verso
916 abbiamo una variante, cioè alcuni manoscritti non leggono letum, ma leggono
telum, quindi: “esita per il timore e trema per il timore che l’asta incomba”. C’è una
variante tra letum e telum. Gli editori preferiscono letum perché telum è lectio
facidior, perché siamo all’interno del duello e ci si aspetta che arrivi il colpo. Ma qui,
quello che teme veramente Turno, non è tanto che arrivi il colpo, che arrivi, l’asta, ma
che la morte incomba. Non sa come tirarsi fuori e, soprattutto, si rende conto che
manca quell’aiuto, l’aiuto della sorella, che finora era sempre accorsa in suo aiuto.

Al verso 919 inizia la seconda parte del duello. si può dire che sono tre parti in
generale: Turno, Enea, e poi il momento finale, prima sono tutti e due in piedi, l’uno
di fronte all’altro, e poi l’ultimo momento, il terzo momento, è proprio quello
conclusivo, in cui avremo Turno a terra ed Enea che lo finisce.
Siamo passati a Enea che scaglia l’asta fatale contro di lui esitante, dopo aver colto la
sorte con gli occhi, e con tutto il corpo lo scaglia da lontano.
Sortitus => dal verbo sortior.
Fortuna => l’occasione, più che il punto esposto di Turno. Vuol dire che coglie il
momento opportuno.
Cunctanti coruscat => allitterazione; e ancora una volta il verbo coruscor.
Cunctanti => verbo cunctor, che rappresenta Turno: all’esitante Turno Enea scaglia
l’asta. È messo come protagonista del verso: Turno esitante.
Il verso 919 sta riprendendo il verso 916. Turno era stato rappresentato che esita per
il timore, ed Enea coglie l’esitazione e perciò scaglia quest’asta.

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