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Lezione 8/02/2021

Pronunce del latino


Non esiste il latino, non è possibile parlare di un latino, per il fatto che abbiamo
documentazione scritta nella lingua latina dal VI sec a.C. in avanti (fase preletteraria,
fase arcaica, età classica, età del principato augusteo, età postclassica imperiale, età
cristiana II sec. d.C). Possiamo dire che la lingua evolve sul piano fonetico,
morfologico, sintattico, del lessico, dello stile per quanto riguarda i singoli autori.
Secondo una visione diacronica del latino non esiste un unico latino dal punto di vista
della storia, ma non esiste nemmeno dal punto di vista degli strati da un punto di vista
sincronico (livello letterario, lingua d’uso, lingua volgare. Livello letterario: tragico,
commedia ecc.). Dobbiamo adottare un approccio attento ai testi che li consideri in
relazione al momento in cui sono scritti, rispetto alle caratteristiche linguistiche dei
testi.
La pronuncia è variata dall’età arcaica all’età augustea. La pronuncia affermatasi ad
un livello più volgare, popolare, e affermata in età cristiana e durata fino al medioevo
è la pronuncia scolastica.
Prima caratteristica: dittongo. Letto come scritto nella pronuncia classica. L’ accento
primo elemento del dittongo, unico elemento con accento e con piena funzione
vocalica. Il secondo elemento non ha l’accento, non ha funzione vocalica, ma ha
funzione di chiusura. per la pronuncia scolastica sono entrambi monotongati.
Ricaviamo la pronuncia guardando l’esito della parola Kaisar tedesca => Caesar.
Versi di Ennio “Caua caerula candent” “la volta celeste rifulge”. Qui si ha una triplice
allitterazione, caratterizzata dalla ripetizione del suono “Ca”. Inoltre esiste una
documentazione che dice che questa pronuncia poteva essere inversa fuori dalla Urbs.
Il poeta Lucilio dice che il poeta Cecilius, è un pretore non urbanus ma rusticus.
Gioca sulle parole, questo Cecilius pronunciava il suo nome non leggendo il dittongo
con la pronuncia classica. Urbanitas e rustiticas. Così, nel corso della storia della
lingua, si sono determinati una serie di doppioni: faenum-fenum, glaeba-gleba, caepa-
cepa.
Non solo il dittongo ae era letto e, ma anche gli altri come au erano letti in maniera
rustica. Altri doppioni: Clodius-Claudius. Nascono degli allotropi: causa-cosa, queste
due parole non sono più state sentite come un’unica cosa e si sono specializzate con
due valori diversi. Il suo u era letto alla francese, Turannus-Tyrannus. Nascono dei
doppioni: commedia di Plauto che prende il titolo dalla parola greca Amphitryon. La
y è traslitterata con la u. Solamente in età classica verrà traslitterata con la Y. Quando
vive Plauto non esiste l’uso della y nell’alfabeto latino, aggiunta nel I sec. a.C. per
trascrivere i nomi greci. Adotta un segno che è disponibile nel suo alfabeto che lui
sente come vicino alla pronuncia della parola. Quando i commerci saranno fitti si
adotterà la Y. Il greco dispone di una serie di consonanti aspirate id cui il latino non
dispone alle origini. Userà la lettera acca per trascriverlo dal I sec. Prima il parlante
non poteva riprodurre il suono e quindi lo scrive Ampitruo.
H aspirata sempre, anche nelle consonanti mute. Trascrizione delle consonanti greche
teta, chi e phi. Sorde aspirate: ch velata aspirata, t dentale aspirata, p labiale aspirata.
Philosophus, Thesaurus.
Mentre la consonante iniziale viene sempre aspirata, non si sente l’acca interna.
Accanto alla forma nihil-nil, mihi-mi. Nichil, michil sono degli ipercorrettismi.
Introdotte più tardi saranno le grafie per riprendere le mute aspirate greche. 186 a.C.
senatus consultum ultimum sui baccanali, bakche => baca. Non si è ancora diffuso
l’uso della velare aspirata. Amphora => ampulla => ampor(a)la. Se ne deduce che
Ampulla è una forma più antica rispetto ad Amphora.
Catullo scrive un carme per prendere in giro un avvocato dicendo che pronuncia
Commoda, come Chommoda, e Insidiae come Hinsidiae. Dunque in età classica
queste variazioni determinano un po’ di confusione.
Ti => pronunciato come scritto con la pronuncia classica. Pronunciato zi con la
pronuncia scolastica. Si legge Ti anche con la pronuncia classica se preceduto da
T/S/X. Ostium, Attius, Istius, Boeotia.
Le velari sono le più dure nella pronuncia classica. Cicero=>Kikero, Scio=>Skio,
Genus=> ghenus, Cena=>chena. Sono palatali, e non gutturali, nella pronuncia
scolastica. Lo si verifica grazie alle trascrizioni greche di Polibio di alcune parole, ma
anche dal tedesco Keller (cantina)=>Zelle (cella-cabina). Una pronuncia diversa
comporta un cambio di significato.
I suoni gn sono pronunciati separatamente g+n: Mag-nus, ag-nus. Pronuncia
scolastica nasale palatale.
Le semiconsonanti. Bisogna ricordarsi quando i e u hanno funzione vocalica o
consonate. Funzione vocalica sillaba, consonantica no. Per la divisione in sillabe,
metrica, pronuncia.
Vocali: i-re, u-rere. Sono vocali quando formano sillaba. Quando sono vocali?
● Posizione iniziale prevocalica
● Posizione interna intervocalica
Fanno eccezione parole come Troius, Troia perché sono grecismi. Quindi una parola
come Troia non si divide Tro-ia, ma, poiché, il latino sfrutta tutte le possibilità
metriche per avere un trisillabo, si può trovare Tro-i-a (Troja).
Il suono qu necessita di una distinzione. Qu è un modo per rappresentare la
labiovelare. Nella pronuncia classica venivano lette in due modi diversi:
● Popolare=>ridotta alla velare c dinanzi a o/u, quindi ecus, secuntur.
● Colta=> per dissimilazione veniva recuperato il suono originario o del
nominativo della seconda, e quindi equos, sequontur.
● Nel I sec.=> compromesso equus, sequuntur. Segno solamente grafico perché
letto equs
U semivocale: il latino aveva solo un segno per la maiuscola e per la minuscola V/u
(VINO/uino). Il latino usava i due segni per consonanti e vocali, avevano un unico
suono. Valerius in greco era scritto con il dittongo Ou, che corrisponde a U. Lo
dimostra anche il verbo uagire=> fare uè. Dal I sec. d.C. il suono u semivocale tende
a evolversi in fricativo. Pronuncia Valerius come la intendiamo oggi.
Virgilio
La tradizione ci ha conservato una serie di biografie, di vite. Biografie derivate dalle
vite di Svetonio. Non arrivato per intero, ma delle biografie sono state trascritte e
accompagnano le vite di vari autori. Scrive una biografia e se ne sono generate varie:
Orazio, Lucano, Virgilio.
Virgilio ha origini contadine, ma studia arte retorica a Roma. Ha un’influenza la
frequentazione del circolo epicureo di Sirone a Napoli. Autore della prima
generazione degli autori augustei: Virgilio, Orazio, Livio, Propertio. Questi autori
vivono l’esperienza delle guerre civili, e la loro opera finisce per tenerne conto.
Contrasti tra cesaricidi Bruto e Cassio, e cesariani: Antonio e Ottaviano. Seconda
fase: scontri tra Antonio e Ottaviano, battaglia di Modena e costituzione del II
triumvirato. 42 a.C. battaglia di Filippi, Orazio si trovava in Grecia e prese parte al
combattimento dalla parte dei cesaricidi. Solo l’anno seguente poté tornare in Italia.
(Muoiono Bruto e Cassio in questa battaglia). Nelle bucoliche di Virgilio, 42-39 a.C.,
appaiono questi temi: il pastore Melibeo si lamenta per avere perduto la propria terra,
mentre il suo amico Titiro rimane dove si trova grazie ad un grande protettore. La
quarta bucolica allude ad un nuovo secolo, nuova età dell’oro. Pacificazione data
dall’unificazione dinastica tra Antonio ed Ottaviano. Antonio si sposa con Cleopatra,
guerra di Azio 31 a.C., muoiono i due. Virgilio scrive che si può tornare a banchettare
e fare festa perché si è fatta la pace. Va alla corte di augusto, intorno al quale ruotano
tutti gli autori di quest’epoca. Nel 29 a.C. Georgiche pubblicate (39-26 a.C.).
Preannuncia il fatto che voglia dedicarsi ad un poema celebrativo del potere
imperiale. Tra il 29 e il 19 Virgilio si dedica alla composizione dell’Eneide. Nel 27
Ottaviano assume il titolo di Augusto, depone i poteri speciali, gli si concedono poteri
infiniti e indefiniti, maggiori, superiori. Idea di una potestas aucta. Dal 24 il ruolo di
mecenate sempre minore, e Augusto incalza i suoi poeti. Chiede più volte di leggere
più volte dell’Eneide, II, IV e Vi in cui appare la discesa agli inferi, e si narra le
origini divine della famiglia di Augusto. Nel 19 a.C. muore a Brindisi dopo un
viaggio in cui aveva voluto vedere i vari luoghi in cui Enea si era fermato, per capire
meglio come terminare l’Eneide.
Virgilio aveva promesso nel proemio del libro III delle Georgiche di cantare,
ricercare una nuova via. Avrebbe voluto descrivere un tempio con al centro una
statua di Ottaviano e alle pareti dei bassorilievi con le vicende degli antenati troiani.
Abbiamo il rifiuto di ciò che è già stato cantato nei primi versi, trovare un modo per
levarsi da terra e trionfare tra gli uomini, volare di bocca in bocca, idee callimachee e
enniane. Ottenere la palma delle muse. Imprese della storia delle origini di Roma, sia
delle origini di Augusto.
Se si pensa alla tradizione storica romana, alla poesia epica si pensa a: Livio
Andronico, Gneo Nevio, Ennio, Virgilio. Il primo traduce l’“Odusia” (Odissea), il
secondo scrive un poema epico celebrativo sulla guerra punica, il terzo scrive gli
“Annali”, poema epico in esametri che tratta la storia di Roma dalle origini alla
battaglia di Pidna, vuole parlare dell’attualità, della storia, secondo una modalità
comune nell’epoca alessandrina. Virgilio, nei versi del libro III delle “Georgiche”,
sembra quindi procedere secondo questa linea, celebrare Ottaviano, le sue storie, in
un poema epico storico del tipo di Nevio o Ennio. La scelta che invece adotta è quella
di celebrare attraverso il mito. Tanto è vero che solo il titolo “Eneide” è dato da un
personaggio mitico. La gens Iulia viene esaltata non direttamente, ma attraverso il
mito. Non significa che nel poema non ci siano riferimenti alla realtà quotidiana.
Eneide poema incompleto, versi incompleti. La tradizione di carattere biografico
narra che Virgilio volesse farla bruciare perché incompleta, ma i contemporanei la
fanno pubblicare. L’opera non è stata dunque sottoposta ad una revisione finale.
Il proemio: Eneide 1, 1-33 – la struttura
Il proemio consta di tre sezioni:
● Argomento dell’opera (vv. 1-7)
● Invocazione alla Musa (vv. 8-11)
● Antefatti (vv. 12-33)
Come scrive Traina: Nella sua straordinaria densità si ritrovano, in nuce, gli
elementi portanti del poema, tanto da essere definito un’Eneide in piccolo.

La prima sezione ricalca e fonde il proemio dell’Iliade e quello dell’Odissea, a
livello sia lessicale che sintattico, a dichiarare sia l’inevitabile modello che il suo
rinnovamento, formale e ideologico.
Questo proemio gioca a livello di rapporto di genere con quelli dell’Iliade e
dell’Odissea. Non solo gioca con la materia, ma anche sul piano lessicale e sintattico.
Struttura sintattica: principale, relativa, temporale, serie di ripetizioni anaforiche che
viene normalmente ripresa da chi scrive un poema epico.
Versi 1-7:

Traduzione:
Struttura sintattica:

Iactatus e passus => participi congiunti, non sono da tradurre come delle preposizioni
a sé stanti.

La struttura sopra non rispecchia il modello omerico, che costruisce dei periodi con
struttura con verbo, relativa che esplicita il contenuto, temporale, relativa. Con un
punto diventa una struttura tipica del poema epico.
I primi versi indicano che si tratta di un contenuto di guerra e di viaggio. Le parole
arma e uirum rimandano ai due poemi omerici Iliade e Odissea. Infatti uirum è la
prima parola del poema omerico Odissea.

La prima relativa nei primi versi dell’Eneide racconta il viaggio. Descrive la parte
odissiaca dell’Eneide. Eneide in due parti: primi 6 libri pars odissiaca, libri 7-12 di
guerra pars iliadica. All’inizio, nei primi sei libri, dopo una serie di peripezie, Enea
giunge a Cuma per poi poter scendere nell’Ade. La seconda parte tratta le guerre che
Enea e i suoi compagni devono affrontare per poter poi fondare Alba Longa. Questa
relativa allude quindi alle due parti dell’Eneide. Nell’Eneide abbiamo una sorta di
rovesciamento rispetto all’ordine dei fatti. In Omero prima la guerra di Troia, l’ira di
Achille, e poi il viaggio di Odisseo che deve tornare a casa.
Con le prime due parole arma virumque abbiamo la sequenza iliade odissea. Le frasi
che seguono, le relative che spiegano il contenuto, abbiamo prima l’Odissea e poi
l’Iliade. Abbiamo un chiasmo nella descrizione, che nella prima parte segue la
sequenza omerica, nella seconda quella virgiliana. Non c’è poi solo il fatto di seguire
l’ordine omerico, ma anche il fatto che nell’esametro la parola uirum non può stare in
posizione iniziale. Armaui-rumque-ca-no. Arma è costituito da lunga e breve, la i di
uirum è sempre breve. In posizione iniziale di verso non può stare una breve.
Cano => invito alla musa perché canti, come Omero nell’Iliade e nell’Odissea. La
musa viene invocata perché ispiri il poeta. In Virgilio abbiamo il poeta che in prima
persona attraverso il verbo cano si rende autore del carme. È una tipologia di
ragionamento che troviamo nella poesia epica da Apollonio Rodio, è quindi una
caratteristica alessandrina. Dopo invoca la musa per l’ispirazione, ma in primo luogo
il poeta rivendica le proprie capacità.
Questo eroe virtuoso viene caratterizzato per essere profugus. Abbiamo duee lementi:
Enea che viaggia, e che è il poema del destino, il fato è superiore agli dei e agli
uomini e condiziona ogni cosa, come si vede nel finale del dodicesimo libro
dell’Eneide. Poemi omerici caratterizzati da un doppio piano terreno-divinio. Azioni
sulla terra, e azioni in cielo che spesso condizionano le azioni sulla terra. Ora Virgilio
ipotizza un terzo livello, quello del fato. L’idea del fato risponde ad un pensiero di
carattere storico, esiste una forza superiore, un logos provvidenziale che dà origine a
tutte le cose. Il fato in questo poema che è celebrativo, non è solo una forza superiore
a tutti, ma anche una forza che deve portare alla costituzione dell’impero. Assume un
carattere di tipo ideologico, condiziona il volere di Enea, che è condotto a scelte che
lui farebbe diversamente. Nel libro IV è costretto dal fato ad abbandonare Didone e a
ripartire per il suo viaggio.
Uenit latiniaque litorat => moto a luogo. Caratteristico della poesia di non usare le
preposizioni quando non è indispensabile.
Et terris iactatus et alto => polisindeto che prolunga il viaggio di Enea sia per terra
che per mare. È obbligato a viaggiare per volere degli dei. Alle azioni umane
corrispondono delle azioni divine. Abbiamo degli dei che intervengono a favore, la
madre Venere, e degli antagonisti, Giunone, come viene ricordato nei versi
successivi.
Memorem...iram => ipallage. Un aggettivo riferito non al suo referente logico, ma a
un altro referente. Qui è riferito memore a ira invece che a Giunone, suo referente
logico.
Multa quoque et bello passus => poliptoto. La stessa parola è ripetuta con varie
azioni. Anafora con poliptoto, anafora: ripetizione di un termine all’inizio di un
verso, di una frase. Ripetizione molto-molto. Questa idea che amplifica le sofferenze
e i viaggi di Enea è una caratteristica del proemio omerico. L’ira divina è anch’essa
trattata da omero. L’ira di Apollo nell’Iliade, quella di Nettuno nell’Odissea. Il
proemio è estremamente denso di riferimenti, ogni parola richiama un passo, un
parallelo.
Saeuae => Questo aggettivo, saeuos, indica una crudeltà eccessiva, violenta. Spesso
usato per l’ira degli dei verso gli uomini. Ira di Giunone spiegata nella terza parte del
proemio.
Abbiamo un eroe che viene caratterizzato mediante due forme che indicano il fatto di
subire l’azione, essere sballottato, avere patito. Eroe che subisce, non che agisce. Si
era intuito già dalle parole fato e profugus.
In seguito abbiamo la temporale che segue le relative: il dum che indica una
successione immediata. L’azione del fondare, succede immediatamente quella del
primo verso. Prima lui viaggia, fino al momento in cui fonda. L’uso dell’imperfetto
congiuntivo indica un’azione passata, ma soprattutto intenzionalità. In questa
temporale è indicato lo scopo: lui è giunto per fondare la città. Il terzo dum ha questo
valore di intenzionalità.

La parola Urbs è messa in evidenza alla fine del verso. Lui fonda la Città e porta gli
dei nel Lazio. Il verso 6 richiama quindi l’idea della pietas di Enea, che ha ricevuto fli
dei, i lari familiari di Troia e li porta nel Lazio. Dalla fondazione della città, Alba
Longa, da cui deriva la popolazione latina, e la stirpe regale di questa città è la stessa
di Augusto.
Altae moenia Romae => il riferimento grammaticale fa che sia riferito come alta la
città di Roma, ma poiché si tratta di un’ipallage si riferisce alle mura. L’aggettivo
determina le mura e non Roma. C’è anche una ragione soggettiva per cui scrive le
mura dell’alta Roma: per rendere l’eccellenza della città, l’idea della Roma
eccellente. In un certo senso usa un doppio senso: da una parte vuole indicare
l’altezza delle mura, da una visione soggettiva ci fa intendere l’eccellenza della città.
Questa è proprio una caratteristica virgiliana, come si vede all’inizio del secondo
libro dell’Eneide che tratta il dialogo tra Enea e i troiani, in cui Enea racconta le sue
vicende. Sono raccolti nella sala dei banchetti e narra.
Conticuere omnes, intentique ora tenebant.
Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto
Ancora una volta: dall’alto letto. Perché il letto di Enea è più alto degli altri letti?
Stanza triclinare con letti disposti a u lungo la sala. Il letto non è più in alto, ma
nell’ottica di coloro che lo guardano lui si trova in una posizione rilevante. I versi
sono stati chiaramente scritti dal narratore, ma Virgilio non assume un’ottica neutra,
del narratore, ma soggettiva, personale, si immedesima nell’ottica di coloro che
stanno intorno e tacciono e che hanno il loro sguardo verso quello che è il faro, di
Enea. La narrazione soggettiva, e non oggettiva, è una caratteristica virgiliana,
individuata da Heinze nel libro “la tecnica epica di Virgilio”. Da un punto di vista
concettuale altus dovrebbe riferirsi a Moenia, ma da un punto di vista, emozionale
Virgilio ci fa percepire il rilievo di Roma, perché tutta la tensione dell’azione, del
fondare, porta all’ultima parola del lungo periodo di 7 versi, Urbs. Dopo 6 libri di
viaggio e 6 di guerra resta la parola Urbs, resta la parola messa a icona, la fondazione
della città. Nel rapporto dialettico tra Virgilio e Omero troviamo la distruzione di una
città nel secondo, e si parte dalla distruzione e si arriva alla fondazione di una città
nel primo.
Nel saggio di Alessandro da Chiesi, “La traccia del modello”, capitolo IV, ci si
sofferma sul rapporto tra Omero e Virgilio. Rapporto di riscrittura, di trasfigurazione
da parte di Virgilio del modello omerico, in prima battuta a partire dalla fabula, e poi
anche sui personaggi. La prima cosa: montaggio combinato della fabula odissiaca e di
quella iliadica, cioè Virgilio monta assieme queste due fabule, queste due tipologie di
racconti, il viaggio la guerra, e lo fa invertendo l’ordine. L’Eneide si pone inoltre
come continuazione dei poemi omerici, riempiendo i vuoti costruendo molto spesso
una fabula autonoma, perché non tutte le storie di Enea erano raccontate da Omero o
dai poemi post-omerici. Nello scrivere una continuazione Virgilio costruisce un
poema alla Omero riempiendone i vuoti e continuando i poemi omerici. Abbiamo
inoltre una ripetizione degli schemi omerici: alcuni episodi virgiliani sono ripetizioni
di quanto avviene in Omero. La seconda parte del poema è segnata da una seconda
guerra di Troia, la guerra tra i troiani e gli altri popoli è come una vendetta della
prima guerra; turno come un nuovo Achille; Enea ha un nuovo nemico: Ettore-
Achille, Enea-Turno. Si può avere inversione e superamento, perché il nuovo poema
guarda non alla distruzione della città, ma alla costruzione di nuove mura. In generale
si può dire che il rapporto tra Virgilio e Omero è un rapporto che si può definire in
due modi: da un lato modello-esemplare, dall’altro modello-genere. Funge da
esemplare quando si riferisce per implicazione ad un determinato luogo del testo
omerico: episodi ripresi come Achille, le spoglie fatali di Patroclo che si ritrova nel
libro X dell’Eneide; il lamento di Andromaca; l’appello di Priamo ad Achille che
viene richiamato nel libro XII dell’Eneide. Quindi episodi singoli che sono ripresi,
che determinano, sono esemplari per episodi virgiliani. Gli altri elementi sono quelli
del genere, cioè il genere epico è caratterizzato da una serie di cose: formulario epico;
associazioni verbali a forte codificazione ritmico-lessicale; i topoi e così via. Tutto
questo, che fa parte del genere, elementi ripetitivi, vengono ripresi in quanto modello-
genere. Quindi il rapporto Virgilio-Omero gioca a più livelli: a un livello di modello
del genere letterario, genere epico; ma anche a livello di fabula e di sceneggiatura
nella costruzione, nel racconto dell’Eneide.

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