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BREVISSIMA STORIA LINGUISTICA DELL’ITALIA

(Riassunto e adattamento dalla “Storia linguistica dell’Italia unita” di Tullio De Mauro)

1. IL RAPPORTO FRA LINGUA E NAZIONE

Sin da tempi della scuola, siamo abituati a pensare che lingua e nazione siano la stessa
cosa. Che sia cioè naturale che una determinata nazione parli una ben determinata lingua. In
realtà, non è sempre stato così. Mentre le lingue sono sempre esistite, la nazione è un
concetto abbastanza nuovo, nato nel ‘800, nel periodo del Romanticismo. Fu allora che per la
prima volta le lingue si rivelarono necessarie per costruire una comunità sociale che si
doveva riconoscere unita non solo in uno Stato, ma anche in abitudini, modi pensare e di
comportamento. Vi siete mai chiesti perché a scuola e all’Università si insiste molto sulla
letteratura? Perché a scuola avete studiato letteratura serba, perché adesso studiate letteratura
francese e non per esempio musica (la musica francese è molto ricca, cosa sapete a riguardo?
Immagino che non sappiate quasi nulla). Perché la letteratura è l’espressione più alta a livello
linguistico: i Ministeri dell’Istruzione dei vari paesi mondiali puntano sulla letteratura per
creare un’unità linguistica e nazionale. A scuola si studiano soprattutto gli scrittori che
appartengono al paese; gli studenti sviluppano così una coscienza nazionale sin da giovani.
La musica, per esempio, è per definizione internazionale: che coscienza nazionale si può
formare in un determinato paese se a scuola si parla di Bach (tedesco), Purcell (inglese),
Mozart (austriaco), Vivaldi (italiano)? Nessuna! Insomma, nell’800, in tutta Europa, nsce
l’idea della nazione, di un gruppo di persone che parlano la stessa lingua e pensano allo
stesso modo. Questo influenza le nostre vite anche oggi. Cosa succedeva prima dell’800?
Alcuni paesi hanno sviluppato presto una lingua nazionale unitaria: la Francia a l’Inghiliterra,
per esempio, avevano già una lingua nazionale. L’idea di nazione però non c’era: il mondo si
divideva in altre categorie, la principale era quella religiosa. Non era importante se tu fossi
frabcese, tedesco o inglese: era importante essere cristiano! Gli “altri”, i diversi, erano
soprattutto i musulmano (a proposito, sai che nella battaglia del Kosovo del 1364 i serbi
hanno combattuto insieme agli albanesi? Sì, perché erano tutti cristiani e combattevano
contro i musulmani). Adesso le cose sono cambiate, le divisioni religiose non sono più così

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importanti (anche se purtroppo stanno tornando...) ma c’è ancora l’idea di nazione a dividere
gli esseri umani.

Altri paesi, come l’Italia, sono diventati una nazione e uno Stato molto più tardi (sai qual
è la differenza fra Stato e nazione? Lo Stato è un’entità amministrativa, la nazione è un
insieme di persone che parlano una stessa lingua. All’interno dello Stato serbo, per esempio,
ci sono molte nazioni: serbi, ungheresi, rumeni...). L’Italia è diventato uno Stato unitario fra
il 1860 e il 1870. Prima, c’erano molti piccoli Stati, spesso in guerra fra di loro. L’italiano è
una lingua artificiale, che usavano solo gli intellettuali. Ma che lingua è l’italiano? Quando si
è diffusa anche fra il popolo? Perché il francese e l’inglese si sono diffusi già nel ‘400 e ‘500,
mentre l’italiano solo nel ‘900?

2. Questioni legate alla diffusione delle lingue e ai dialetti.

Francia e Inghilterra sono diventati Stati unitari molto presto (Quando? Dai tu la
risposta). Uno Stato unitario garantisce anche la diffusione della lingua: da Parigi arrivava
l’ordine di parlare in tutti gli uffici del regno di Francia il francese. In Italia, nessuno ava
ordine agli italiani di parlare italiano e in ogni città o paese si parlava un dialetto diverso. In
più, dai un’occhiata alla carta geografica dell’Italia e a quella della Francia. Cosa noti? In
Francia non ci sono moltissime montagne e le comunicazioni sono comode e agevoli. In
Italia ci sono molte montagne (prendi una carta geografica dell’Italia e gurdala attentamente).
Gli appennini dividono la penisola da est a ovest. Ancora oggi, per andare da Roma a Pescara
in treno ci vogliono 5 ore, per andare da Roma a Milano con l’alta velocità solo 3 (guarda
sulla mappa dove si trovano queste città). L’Italia ha una configurazione geografica molto
particolare, che non favorisce il contatto fra le città, fra i paesi. Questo ha comportato una
frammentazione dei dialetti: se le persone vivono solo nel proprio paese e non sono in
contatto fra loro, non c’è mescolanza linguistica! L’Italia, dal punti di vista dell’isolamento, è
un paese unico in Europa: c’è un solo altro Stato dove la situazione geografica e linguistica è
simile a quella italiana: l’India. Ci sono poi altre questioni che hanno favorito la
frammentazione linguistica italiana: l’ordinamento ammininistrativo della Chiesa, per
esempio, che comprende parrocchie, vale a dire chiese, che corrispondono a unità territoriali
dove si parla un determinato dialetto. Tutti quelli che parlavano lo stesso dialetto, per capirci,
andavano in a pregare nella stessa chiesa. Non si incontravano, cioè, con le persone che
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parlavano altri dialetti. Ci sono poi questioni legate alla storia dell’Italia: mentre il nord e il
centro Italia hanno visto già nel ‘200 la nascita dei “Comuni”, il sud dell’Italia era sotto le
dominazioni straniere, che trattavano i loro territori italiani come delle colonie. Nel nord
c’erano città-Stato libere, che si organizzavano da sole e che commerciavano e avevano
rapporti diplomatici le une con le altre. È stata Venezia, per esempio, a inventare la figura
dell’Ambasciatore. I cittadini di città-Stato come Firenze, Siena, Prato, comunicavano con
quelli di altre città come Torino e Milano e dovevano sforzarsi di parlare una lingua
comune... Nel sud invece la gente rimaneva nel proprio villaggio a lavorare la terra e non
comunicava con nessuno.

Quanti dialetti ci sono in Italia? Impossibile contarli tutti, ce ne sono troppi. Tullio De
Mauro parla di una “selva” di dialetti. Addiruttura, anche in uno stesso paese di 1000
abitanti, ci possono essere due varianti dello stesso dialetto! È il caso di Pola, una città che
adesso si trova in Croazia e che si chiama Pula. All’interno della città, ci sono due modi
diversi di pronunciare la lettera “s”, in alcuni casi è sorda in altri è sonora. Gli abitanti italiani
di Pola sono fieri di appartenere a una parte o all’altra della città, e tutto per colpa di una “s”!

In ogni caso, possimao distinguere 3 grandi gruppi di dialetti in Italia:

 Gruppo settentrionale o galloitalico, limitato a nord delle Alpi e a sud dalla linea
La Spezia-Rimini (cerca sull’atlante queste due città e traccia la linea. Perché i
dialetti del nord si chiamano galloitalici? Prova a rispondere).
 Gruppo toscano, che comprende i dialetti del centro Italia fra cui quelli di
transizione (Roma per esempio parla una variante dialettale di confine, in cui ci
sono anche caratteristiche dei dialetti del sud. I dialetti delle Marche (cerca sulla
mappa questa regione) hanno elementi tipici di quelli del nord, per questo sono
detti di transiizione).
 Gruppo meridionale (abbiamo detto che questi dialetti erano parlati da gente che
commerciava poco, che raramente lasciava il proprio villaggio. Per questo i
dialetti del sud sono cambiati poco nel tempo e sono più simili al latino, la lingua
da cui tutti i dialetti italiani derivano!)

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Ci sono poi dialetti così diversi dall’italiano da essere stati definiti lingue: il sardo, il
friulano (c’è un grande poeta, intellettuale e regista cinematografico che ha scritto poesie in
lingua friulana, chi è?), il ladino (che è anche la quarta lingua ufficiale della Federazione
Svizzera). In Italia, inoltre, si parlano anche altre lingue, nelle cosiddette “isole alloglotte”: il
croato, il greco e l’albanese. Ricordi perché? Ne abbiamo parlato a lezione.

3. L’ITALIANO E LA SUA DIFFUSIONE

A questo punto la domanda sorge spontanea: se in Italia tutti parlavano dialetto, che lingua
è l’italiano? Possiamo dire che siamo di fronte a una lingua artificiale? In un certo senso sì. Nel
‘300, la città più ricca e sviluppata (che era anche una città-Stato, un comune9 era Firenze. Lì
dove c’è ricchezza, c’è anche arte (Lo scrittore tedesco Bertolt Brecht, di cui dovresti leggere
almeno una delle sue opere teatrali, ha detto una volta che “Prima viene la bistecca con
l’insalata, poi l’arte”). A Firenze si distinsero tre uomini nel campo delle arti letterarie: Dante,
Boccaccio e Petrarca (cosa scrissero? Fai una piccola ricerca, fatti pervadere dalla curiosità. La
curiosità è un peccatto bellissimo, sii sempre curiosa-o nella vita!). Il prestigio delle loro opere
fu tale da spingere gli intellettuali di tutta Italia a scegliere la lingua da loro usata per
comunicare fra loro. Il latino era in decadenza, serviva una lingua viva. La lingua usata da
questi tre artisti fu poi arricchita nel ‘500 (nel periodo chiamato del Rinascimento) dai
grammatici, che introdussero artificialmente delle strutture sintattiche latine. Possiamo dire che
l’italiano è in realtà il dialetto di firenze. Il popolo continuava a parlare il proprio dialetto,
l’italiano era una lingua morta (così la definì Ugo Foscolo, un poeta del ‘700. Fai una ricerca,
chi era Ugo Foscolo?), in cui venivano scritti soltanto documenti e opere letterarie. Raramente
l’italiano veniva parlato. Per questa ragione la lingua non si è sviluppata, non è cambiata nel
corso dei secoli. Soltanto negli ultimi 30-40 anni l’italiano ha cominciato a evolversi e i
giovani hanno creato forme di slang.

La lingua comincia a diffondersi nell’800. L’Italia diventa un paese unito nel 1870. Come
abbiamo già detto, nel diciannovesimo secolo c’era l’esigenza di creare non solo lo Stato, ma
anche la nazione italiana. Il Governo comincia così a fare in modo che la scuola diventi
obbligatoria per tutti e che a scuola si insegni l’italiano, non il dialetto. Cominciano a uscire i
giornali in lingua italiana. I cittadini maschi devono prestare il servizio di leva (andare per
qualche anno nell’esercito): il Governo fa in modo che gli italiani si mischino, che i siciliani

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vadano in Friuli a fare il militare e i friulani a Napoli o a Torino, in maniera tale da costringerli
a incontrarsi con gente che parla altri dialetti: se le persone non si capiscono si devono sforzare
di parlare italiano. Nonostante tutti questi accorgimenti, i dialetti rimangono fortissimi, anche
perché ancora nel 1870 più del 70% degli italiani è analfabeta! Nei paesi protestanti, come la
Germania e l’Inghilterra (in parte anche la Francia) il tasso di analfabetismo è molto più basso
che in Italia. Sai dire perché? Pensa alla riforma protestante...

Solo negli anni Sessanta, con il boom economico (fai una ricerca: che cos’è il boom
economico) e con l’industrializzazione, l’italiano si diffonde davvero e i dialetti cominciano a
essere parlati sempre meno. In particolare, sarà la televisione ad avere un ruolo fondamentale
nella diffusione della lingua in tutti gli strati della società. L’italiano, cioè, diventa una lingua
viva, parlata da tutti nella comunicazione quotidiana, nel anni Sessanta del Novecento, vale a
dire 50 anni fa...

Bibliografia:

De Mauro, Tullio, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza: Bari, 2011

Marazzini, Claudio, Breve storia della lingua italiana, Il Mulino: Bologna, 2004

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