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1 SEVERI 2011, 42
1
contesti diversi con intenti comunicativi diversi, e manca a tutt'oggi
uno studio esauriente. Al lavoro sui testi è necessario affancare
l'analisi degli interventi critici di Montale, in cui spesso compare il
nome di Dante; adottando la terminologia proposta da Mario Marti,
si parlerà di dantologia in riferimento ai contributi di critica
dantesca, e di dantismo in riferimento al riuso in poesia di termini
provenienti da Dante.
I. DANTOLOGIA DI MONTALE
I.1 Dante ieri e oggi
2
decisamente negata; l'avvicinamento è più che mai possibile in virtù
della congerie storica del ventesimo secolo:
Il mio convincimento invece – e lo do per quel che può valere – è che Dante
non è moderno in nessuno di questi modi: il che non può impedirci di
comprenderlo, almeno in parte, e di sentirlo stranamente vicino a noi. Ma
perché questo avvenga è pure necessario giungere ad un'altra conclusione:
che noi non viviamo più in un'era moderna, ma in un nuovo medioevo di
cui non possiamo ancora intravvedere i caratteri.2
Più volte nel discorso ritorna il concetto del miracolo, del prodigio, e
Che la vera poesia abbia sempre il carattere di un dono e che pertanto essa
presupponga la dignità di chi lo riceve, questo è forse il maggior
insegnamento che Dante ci abbia lasciato.5
5 Ivi, 332-333
6 MONTALE 1964, 146
6
L'articolo prosegue con un'analisi dello stato attuale della poesia
inclusiva, straordinariamente diffusa ma piegata a contenuti
assolutamente privati dei poeti che, “inclusivi di tutto, escludono la
trascendenza di quella che fu tradizionalmente la poesia e l'alta
retorica, si vergognano assai ragionevolmente di esser detti poeti e
sembrano vivere in un perpetuo terrore che diremmo aziendale.” 7 E'
implicito il confronto con Dante che, pur essendo un poeta inclusivo,
e anzi il maggiore, ha saputo conciliare la trascendenza nobilitante la
poesia con i contenuti d'eccezione introdotti nella Commedia. L'ironia
si spegne infne in una visione di scoraggiata incertezza circa la sorte
della poesia, della prosa e dell'arte in generale, imperniate sul Nulla
e paralizzate da un rifuto assoluto e privo di costruttività dei
tradizionali schemi.
7 Ivi, 147
8 MONTALE 1962, 128
7
distinguersi dall'arte del poema.9
Che le due bestiole fossero inviate da lei, quasi per emanazione? Che fossero
un emblema, una citazione occulta, un senhal? O forse erano solo
un'allucinazione, i segni premonitori della sua decadenza, della sua fne? 18
Anche l'oscurità di certi moderni fnirà per cedere, se domani esisterà ancora
una critica. Allora dal buio si passerà alla luce, a troppa luce: quella che i così
detti commenti estetici gettano sul mistero della poesia. Tra il non capir nulla
e il capir troppo c'è una via di mezzo, un juste milieu che i poeti, d'istinto,
rispettano più dei loro critici; ma al di qua o al di là di questo margine non
c'è salvezza né per la poesia né per la critica.19
La mia opera va letta insieme, come una poesia sola. Non voglio fare il
paragone con la Divina Commedia, ma i miei tre libri li considero tre cantiche,
tre fasi di una vita umana.20
Nel caso in cui l'uomo sia assediato dalle cose (è la mia attuale situazione) la
voce non può dialogare che con esse, magari per tentare di esorcizzarle.
Nasce a questo punto lo stile comico, che ha segnato il massimo trionfo con
la Commedia di Dante. Con lui nasce e forse muore la poesia italiana. Si parva
licet, e con tutta l'indulgenza possibile, ecco perché nei due ultimi miei libri
l'intonazione della voce appare più bassa.21
una cappa, come una campana di vetro eppure sentivo di essere vicino a
qualcosa di essenziale. Un velo sottile, un flo appena mi separava dal quid
defnitivo. L'espressione assoluta sarebbe stata la rottura di quel velo, di quel
flo: una esplosione, la fne dell'inganno del mondo come rappresentazione.24
24 MONTALE 1946, 565
17
E proprio questo “velo sottile” domina nella prima raccolta della
poesia di Montale, dove “tutto era astratto e assorbito dal mare
fermentante”: ma il secondo libro
25 Ivi, 567
26 Ivi, 566
27 BONFIGLIOLI 1958, 48
18
degli atomi-eventi”, dove la realtà “vive come reliquia ossifcata o
scatta all'acme di una tensione vertiginosa e momentanea”,
indipendente rispetto ad un soggetto che non è più sostanza.
Tuttavia la poesia montaliana muove da una realtà spesso ridotta a
scaglie, ma dove la trascendenza, possibile o negata che sia, è sempre
una dimensione contemplata e dinamicamente presente. L'oggetto è
l'opera, non la realtà: “Ammesso che in arte esista una bilancia tra il
di fuori e il di dentro, tra l'occasione e l'opera-oggetto bisognava
esprimere l'oggetto e tacere l'occasione-spinta.” 28
28 Ivi, 567
29 BONFIGLIOLI 1963, 36
19
di The Waste Land: “These fragments I have shored against my
ruins”30, e potrebbe suggerire Eliot come rappresentante della
tendenza opposta alla organica strutturazione di Montale. Un
Montale così strutturalista nella scrittura è qualcosa di molto lontano
dall'immagine che il poeta cercò sempre di dare della propria attività;
ad esempio si può proporre un confronto con affermazioni come
questa:
Non saprei spiegare come la poesia nasce in me: so solamente che ogni mia
poesia è preceduta da una lunga e oscura gestazione, nella quale però non è
contenuto nulla di prevedibile […] Finito il periodo dell'incubazione scrivo
con molta rapidità e con pochi ritocchi. A cose fatte leggo i critici e scopro le
mie intenzioni.31
Oppure:
21
è una forma concentrata di sacra rappresentazione anche dei procedimenti
mentali e cerca nel verbo l'energia costante del movimento, quella di
Montale esprime piuttosto l'acme o il risultato dell'azione, l'evento
momentaneo o consumato.33
33 Ivi, 42
34 Ivi, 51
22
di Meriggiare avanzate da Cambon e da Comello). La conclusione, per
quanto riguarda gli Ossi, è che Montale adoperi il vocabolario di
Pascoli tramite la mediazione di Gozzano, che agisce a livello di
oggettivazione, e tramite un'autorizzazione dantesca, che infonde
alla parola un'energia essenziale. Nella prima edizione della raccolta,
il dantismo rimane circoscritto a questa poesia; nelle liriche aggiunte
alla seconda edizione, invece, è già elemento organizzatore, ed
arriverà fno “all'accordo tra dantismo e politicità metafsica” tipico
delle Occasioni e di Finisterre.
Per tirare le fla del discorso di Bonfglioli, si possono riconoscere
nella poesia di Montale semantemi appartenenti prevalentemente a
Pascoli o a Dante, spesso mediati l'uno dall'altro; ma
Gli dissi che mi ero deciso a mettere in ordine le mie idee e a scrivere un
saggio, perché non mi aveva convinto un'interpretazione di Pietro
Bonfglioli. Questi, che è uno degli interpreti più intelligenti della sua poesia,
aveva ricondotto quei versi (gli ultimi versi della seconda parte di Notizie
dall'Amiata, nda) a un archetipo pascoliano e, sempre a torto secondo me,
aveva indicato anche in luoghi degli Ossi infuenze pascoliane, mentre io
pensavo, se mai, a Baudelaire. E Montale, senza esitazione, aveva esclamato:
35 Ivi, 62
23
«No, Pascoli no!».36
Montale restò perplesso, non si rendeva bene conto di dove volessi andare a
parare; forse temeva sotto sotto il pericolo di una diminuzione della propria
originalità. Di Dante disse: «non ho scritto tenendo la Divina Commedia
aperta sul tavolo». E' proprio questa una prova che il suo non è dantismo
esterno, appiccicato, ma che, come voleva Dante, la «voce» del poeta antico
si è fatta «vital nutrimento» dopo essere stata «digesta» .37
Più avanti, negli Ossi, e ancor di più ne Le occasioni (nella Bufera no, il
dantismo ritorna a volte esterno, non sempre assimilato e necessario), i
dantismi si faranno più organici, più ricchi di signifcato. Dante fornisce un
materiale già lavorato; di questo Montale si serve per rifonderlo, arricchirlo
di cose nuove. I vecchi signifcati restano, o restano in parte, e su questi si
stratifcano i signifcati nuovi, o quelli dati a quelle parole e a quelle frasi, da
altri poeti intermedi.39
40 PIPA 1968, 7
26
più vasto disegno che è cosmico”. Per quanto riguarda la religione,
invece, Montale è defnito «trascendentale», perché intende la realtà
come qualcosa di superindividuale avente in sé “una potente carica
vitale”. L'ultima etichetta proposta è quella di “vitalismo
razionalistico”, recepito attraverso Bergson e Boutroux; l'abbozzo che
si ricava nell'introduzione è fn troppo schematico, ma è necessario a
mettere ordine tra la mole di componimenti presi in considerazione.
Preliminare al cuore del discorso è una breve rassegna critica della
questione, che insiste soprattutto sul mancato riconoscimento della
componente politica nella poesia di Montale. Pipa traccia una breve
storia del periodo, e propone dei collegamenti tra tali eventi e diversi
atteggiamenti della poesia montaliana; in particolare, l'accento batte
sulla repressione del regime fascista, che imponeva a molti
intellettuali dell'ala del dissenso una scrittura criptica. Un certo
ermetismo di Montale, dunque, è anche una forma di auto-
protezione, e veicola un'allegoria politica antifascista; i critici
contemporanei non hanno mostrato di riconoscere questo
atteggiamento (un esempio è Cambon, che ha parlato di “ermetismo
esistenziale”, vedi supra) , e d'altra parte l'avversione di Croce nei
confronti dell'allegoria è stata a lungo condizionante.
Pipa dichiara dunque di aver messo in pratica un'interpretazione
allegorica dell'opera di Montale in base al materiale semantico di
provenienza dantesca: quando ci sono più termini in comune tra i
due poeti in contesti analoghi, il testo di Dante fornisce “un
commentario” alla poesia di Montale.
41 Ivi, 27-28
27
Pipa entra poi nel vivo dell'analisi, e comincia con il proporre alcune
parole ed espressioni dantesche che si ritrovano sparse nella prima
edizione degli Ossi di seppia; nelle poesie aggiunte alla seconda
edizione (1928) la presenza dantesca è più consistente e attira
l'attenzione sul clima infernale venutosi a creare con la dittatura
fascista. L'allegoria, in questi componimenti, è raramente presente: si
tratta di un'“allegoria visionaria, un ibrido in cui il concettuale e
l'immaginario si amalgamano”. Ma da uno studio che si presume
attento e pregnante dei signifcati celati dietro ad ogni parola, Pipa
scade talvolta nell'arbitrarietà, che si manifesta anche nella scelta
delle poesie analizzate.
Altri componimenti degli Ossi contribuiscono a mettere in luce una
dimensione politica che “rimane nell'ombra, costituendo
l'infrastruttura della sua opera”; un atteggiamento diverso rispetto a
Dante, per cui la politica è al centro dell'universo poetico.
L'atmosfera opprimente e disperata di tante poesie ricava forza
espressiva da immagini dantesche provenienti soprattutto dal canto
di Pier della Vigna, come già rilevato da altri critici. Nei brani di più
forte impatto ricorrono piante che resistono allo sradicamento,
confni labili tra mondo umano ed animale, un lacerante senso di
atonia; Pipa combina questi elementi in un quadro di meditazione
sull'integrità politica, minacciata dalla schiavitù da cui solo l'amore
può salvare.
L'amore si salderà più strettamente alla politica nella seconda
raccolta di Montale, dove i crittogrammi si vanno infttendo: molti
titoli contengono nomi di luogo che stanno al posto di avvenimenti
politici avvenuti in quel luogo e richiamati oscuramente dalla poesia.
Le poesie dei Mottetti, in particolare, sono sede di una fgura
femminile che assume tratti angelici, ma che non riesce mai a portare
il poeta alla redenzione. In alcuni casi, nota Pipa, il linguaggio
dantesco lascia posto a frammenti di altri poeti, riuniti però in una
cornice molto vicina a situazioni della Commedia; in altri casi
l'immagine dantesca è attualizzata e completata da un evento reale.
Pipa ne deduce che il testo di Dante è stato assimilato da Montale a
tal punto da vivere nella sua memoria come un dato non più
28
letterario, che prende vita propria e si mischia all'esperienza
concreta.
Nell'ultima fase delle Occasioni si assiste ad una svolta apocalittica,
che segna un nuovo uso di Dante: i prestiti linguistici diminuiscono,
ma il poeta “diviene allegorico portavoce del giudizio di Montale
sulla situazione politica nel paese e nel mondo”. Pipa si dimostra
sempre molto attento nello studio delle singole parole, di cui cerca di
motivare la scelta con eccessivo rigore di logica, dando un signifcato
ad ogni particolare che non appaia strettamente necessario a fornire
una descrizione.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Finisterre, futura
sezione della Bufera pubblicata dapprima separatamente, completa le
Occasioni e prepara la raccolta successiva.
42 Ivi, 125
43 BLASUCCI 2002, 81
29
poeta indicano l'agonia politica del tempo, […] amore e guerra così
vanno mano nella mano, intersecandosi ed agendo l'uno sull'altro
continuamente.”44 Come Dante aveva sublimato il proprio amore per
Beatrice nel poema sacro, così Montale rifette la tragedia dell'intera
umanità nella propria vicenda personale.
Conclusasi l'esperienza della guerra e del regime fascista, l'allegoria
politica non ha più motivo di esistere e si riduce notevolmente per
lasciar posto ad espressioni più dirette; anche il ruolo di Dante
diminuisce di peso ed importanza, e lascia spazio a nuove rifessioni
di ambito religioso. Rimane però avvertibile un'infuenza dantesca
nella concezione dell'amore: Clizia è alternata ad altre donne,
secondo quanto dicono le note dello stesso Montale, e il contrasto tra
le fgure femminili “è reso per mezzo del simbolismo dantesco”. In
particolare, la Volpe, opposta a Clizia, può essere ricollegata alla
volpe messa in fuga da Beatrice nel XXXII canto del Purgatorio; “La
Volpe rappresenta la tendenza terrena nella poesia di Montale, in
contrasto con quella spirituale (Clizia)”. Clizia scompare dalla poesia;
la sua alienazione “è un termine più generico per la sua
cristianizzazione”: come spiega nuovamente Montale nelle note, la
donna è “simbolo del sacrifcio cristiano”, lo continua espiando la
colpa di tutti. L'amante sembra vivere una lotta con Cristo, che gli
porta via la donna amata; le poesie dell'ultima parte della Bufera si
colorano di eretismo nell'equiparazione totale tra la donna e la
divinità.
Clizia, che mescola in sé tratti cristiani e pagani, mostra come vivano
nel poeta istanze religiose profondamente diverse: se il cristianesimo
è ereditato con una certa passività e spesso è rifutato per il suo
carattere di auto-mortifcazione e di rinuncia, a tentarlo sono impulsi
sensuali e paganeggianti, che non riescono mai a sconfggere del
tutto il retaggio cristiano. La Volpe personifca quest'istanza di
vitalità istintiva ed animale, e come tale si pone in rapporto dialettico
con Clizia, ormai ridotta ad ombra. Ma il volume si chiude di nuovo
nel segno di Clizia, nel ritorno ad “una ricerca di salvezza nel ricordo
di un amore che è divenuto sogno visionario” 45, proprio come la Vita
Nella parte conclusiva del volume, Pipa sintetizza le varie fasi della
poesia di Montale in rapporto all'infuenza dantesca, che segna una
parabola il cui apice è rappresentato dal periodo della dittatura
fascista. Il fattore politico, sebbene sia “tangenziale” rispetto agli
interessi di “un poeta metafsico”, crea una consonanza profonda tra
Montale e Dante, ma non esaurisce il rapporto di emulazione: l'altro
fattore fondamentale è la concezione di un amore trascendentale, che
46 Ivi, 185-186
31
condiziona fortemente l'immaginario legato a Clizia. La
drammatizzazione dell'amore per Clizia può seguire solo fno ad un
certo punto l'evoluzione di Beatrice dalla Vita Nova alla Commedia:
per Montale, anima moderna lacerata dalla scissione, la salvezza
promessa a Dante è irraggiungibile.
Montale non ha attinto solo dalla Vita Nova:
Quando egli compone, parte di ciò che ha letto e assimilato gli viene in
mente nella sua forma originale e parte nella forma di ricordi più o meno
vaghi; il rimanente, incorporato nell'esperienza del poema come cibo nel
sangue, sfugge all'identifcazione. Tutte e tre queste forme di infuenza si
trovano in Montale. Richiami coscienti a Dante sono numerosi, ma la loro
quantità è sempre povera paragonata con le reminiscenze e specialmente con
le associazioni allusive.49
I due poeti hanno in comune il gusto per l'allegoria. Ma mentre Montale ricorre ad
essa occasionalmente, per scopi per lo più politici o apocalittici, l'uso dell'allegoria
47 Ivi, 191
48 CAMON 1965, 81
49 Ivi, 200-201
32
in Dante è costante, come un più alto modo di espressione sovrapposto al più
costante linguaggio letterale. La tradizione medievale aveva sanzionato un tale
uso, che Dante semplicemente seguì. Al contrario, la moda letteraria del tempo di
Montale bandiva completamente l'allegoria dalla poesia. Montale elabora un
compromesso tenendo l'allegoria ad una certa distanza, non sempre permettendole
di diventare parte integrale della sua poesia, spesso attaccandola come un'etichetta,
per mezzo di titoli e motti. Il signifcato allegorico così diviene una specie di
signifcato fantasma, vago ed elusivo, dietro il signifcato letterale. 50
50 Ivi, 214
33
In risposta alla critica che in quegli anni andava alla ricerca di
riscontri danteschi in tutte le opere della produzione contemporanea,
Silvio Ramat difende la prosecuzione del corso petrarchesco, pur
ammettendo alcuni movimenti in direzione di Dante.
All'impostazione “per qualche segno […] dantesca” di Montale
Ramat concede solo lo statuto di “alcune varianti alla tradizione
aperta dal Petrarca”. Sebbene così sminuite, le “tessere lessico-
fgurali dantesche” implicano un'infuenza anche a livello di
ideologica poetica; e tale infuenza è mediata dall'attività poetica e
critica di T.S. Eliot, che ha riproposto l'idea di una poesia “come
struttura universale, onnicomprensiva”.
L'autore degli Ossi approda invece alla Commedia in modo più fortunoso, si
direbbe portato da un orecchio musicale e da una facoltà intuitiva che certo
non l'inducono a dare un impianto “comico” - secondo l'accezione di Dante
– alla propria opera, fn qui, anzi, gravata da un'irreparabile tragicità […]
Dante a quest'epoca sollecitava Montale per quel valore implicito in lui di
riqualifcazione linguistica, di cui il Novecento avrebbe potuto giovarsi. 51
51 Ivi, 316
34
petrarchista” e “la via maestra e solitaria del Petrarca”.
Anche Ramat si dedica poi al tema dell'allegoria, e anche in questo
caso ipotizza un tramite eliotiano tra Dante e il Novecento; ma l'uso
che Eliot fa dell'allegoria è più strettamente dantesco, data la sua
adesione perfetta agli ideali teologici danteschi: tramite il
“correlativo allegorico” avviene una proiezione della realtà
soggettiva verso una realtà oggettiva universale e assoluta, possibile
solo grazie alla mediazione della fede cristiana. Montale, invece, a
causa del suo relativismo, rimane fermo ad uno stadio defnito
“correlativo generalmente simbolico” dove il soggetto e l'oggetto si
fondono “nella compattezza del simbolo”, rimanendo tuttavia
distinguibili.
Altra distinzione proposta da Ramat è quella tra “etica di
professione”, tipica di Eliot e volta a costruire perché recante una
prospettiva di speranza, ed “etica di confessione”, caratterizzata
dalla disperazione esistenziale e tipica di Petrarca ma anche di Dante,
accomunati nel “sentimento purgatoriale” che ha poi tanta
pregnanza nella descrizione dell'era moderna.
Dunque, un purgatorio che, anche ammesso sia transito, lo è solo dalla parte
degl'inferi: tale la pesante sorte del poeta che, votato alla confessione del
vero, non può confessare uno stato di certezza che non gli appartiene.52
54 Ivi, 219
55 CAMON 1965, 83-84
37
contenuti opposti: Dante, grazie alla sua fede positiva, istituisce
rapporti allegorici che veicolano un signifcato pieno e raggiungono
lo scopo comunicativo, completando la lettera con un soprasenso
intellettualmente riconoscibile; Montale crede nell'esistenza di un
signifcato ma non lo carpisce, perciò la funzione comunicativa del
suo discorso è sempre una ricerca, mai un risultato, e le allegorie si
fanno portatrici di un messaggio negativo che distrugge ogni
certezza d'interpretazione del reale. Jacomuzzi conclude:
In tutti e tre i miei libri [fno alla Bufera] c'è un flo autobiografco certamente
romanzesco, anche nella disposizione della materia. […] Clizia è presente
nella prima serie [Finisterre] e in molte altre poesie (Nuove Stanze, Primavera
hitleriana, l'Orto, Iride e quasi tutte, tranne le poesie dei Madrigali privati.) Qui
39
appare l'Antibeatrice come nella Vita Nuova; come la donna gentile che poi
Dante volle gabellarci come Filosofa mentre si suppone che fosse tutt'altro,
tant'è vero che destò la gelosia di Beatrice. Nel Flashes e Dediche le due donne
si alternano.59
59 LONARDI 1980, 59
60 Ibidem
40
due autori commentano e traducono numerosi componimenti,
offrendone una lettura che unisce una certa consapevolezza
metalinguistica ad una grande passione, dichiarata in prefazione, per
il poeta.
La forte infuenza di Dante sulla poesia di Montale è messa in
evidenza fn dallo studio del primo componimento di Ossi di seppia, e
ribadita varie volte con il supporto di loci danteschi. Almansi e Merry
si soffermano soprattutto sul parallelo tra le fgure salvifche
femminili; a livello intertestuale, il raffronto più completo è
condotto, ancora una volta, su Meriggiare pallido e assorto. Questo
componimento - indicano i critici - è il più signifcativo per la
comprensione del paesaggio degli Ossi; ma Montale è poeta sempre
bilanciato su poli opposti, ed è perciò impossibile un'interpretazione
unilineare del signifcato simbolico di questi paesaggi. Almansi e
Merry insistono sulla scarsa “plausibilità” degli stilemi, che ricavano
senso dal “contenuto della forma”, dagli scontri fonetici. Quanto alle
immagini:
We can accept the provenance in Dante for Montale's “spiar le fle di rosse
formiche”, and our understanding of Montale's personal bestiario is enriched
by comparing the two passages.61
Two things stand out in this relationship. Firstly, for Montale Dante's Inferno,
and perhaps also his canzoni petrose, seem to have constituted a storehouse
aiding his own poetic search for harsh sound effects and suitable vocabulary
to refect a negative vision of life. Secondly, it is interesting to note that the
majority of these possible Dantesque borrowings come from one episode,
that of the wood of the suicides in Inferno XIII.62
62 Ivi, 399
43
Nel 1985 Baranski torna a dedicarsi alla questione dell'infuenza
dantesca sulla poesia di Montale con un contributo più ampio, che
coinvolge tutta la produzione montaliana. L'obiettivo dichiarato in
apertura è un'indagine sia sincronica sia diacronica sulla questione,
che si avvalga dei precedenti interventi critici e soprattutto delle
dichiarazioni dello stesso Montale in proposito.
Baranski chiarisce subito quali sono gli elementi del dantismo di
Montale da accettare: le affnità tra Clizia e Beatrice e tra la Volpe e la
donna gentile; la derivazione dantesca dell'atmosfera infernale nei
componimenti più pessimisti; l'uso della poesia dantesca come
repertorio linguistico e, occasionalmente, come modello retorico.
L'esperienza linguistica di Dante permette a Montale di sottrarsi al
dominio petrarchesco della tradizione italiana, ma è solo una parte di
una più ampia sperimentazione. Se risulta dunque indubitabile che
Dante abbia infuenzato la poesia di Montale - come il poeta stesso
peraltro conferma - molti critici, con una distorsione prospettica,
hanno reso questa infuenza fondamento e chiave di lettura
privilegiata dell'attività poetica di Montale. Tra gli studi precedenti,
sono approvati quelli di Bonfglioli e di Mengaldo (relativo al
rapporto con D'Annunzio); mentre a Pipa e a Jacomuzzi Baranski
imputa un'indagine basata su un numero troppo ristretto di testi, per
di più spesso atipici rispetto alla poesia montaliana, ma soprattutto
un'impostazione metodologica erronea, che dalla rilevazione di una
massiccia presenza dantesca nel corpus di Montale fa derivare di
necessità un rapporto privilegiato ed unico tra i due poeti. Se
Montale è poeta allegorico e l'interpretazione della sua poesia è
dettata dal confronto con Dante - come Pipa e Jacomuzzi sostengono
- Baranski conclude che l'uso di Dante, consapevole e
programmatico, dovrebbe essere ripetitivo e facilmente riconoscibile;
i primi e più perspicaci critici, invece, non hanno avvertito la
dimensione allegorica della poesia di Montale, quando non l'hanno
addirittura negata (è il caso di Ramat, che distingue tra correlativo
allegorico di Eliot e correlativo simbolico di Montale, vedi supra).
E' sicuramente condivisibile l'invito ad un approccio fessibile
rispetto ad una questione così delicata, la cui consapevolezza è
diffcile da stabilire e va valutata caso per caso; ma la proposta di
44
Jacomuzzi e Pipa circa l'allegorismo di Montale non comporta
necessariamente la ripetitività e riconoscibilità dell'emulazione
dantesca. L'adesione ad un modello così imponente è sicuramente
ricca di sfumature, che sono la necessaria conseguenza della distanza
– temporale e non solo – che separa Dante dalla contemporaneità.
Una lettura condotta in profondità, con spirito critico e con passione,
può lasciare in un altro poeta impressioni puntuali o di ampio
respiro, che agiscono poi in modi diversi nella pratica scrittoria:
entrano in gioco fattori psicologici complessi che possono velare la
derivazione di alcuni procedimenti anche alla mente del poeta stesso.
Baranski nega l'esistenza di un allegorismo nella poesia di Montale
fondandosi sulle dichiarazioni che il poeta stesso ha riservato alla
lettura allegorica della Commedia (vedi supra): non solo esprime forti
dubbi sulla validità di una lettura allegorica del poema dantesco, ma
rifuta la possibilità di un riutilizzo moderno di quell'aspetto della
poesia dantesca. Montale, tuttavia, aveva criticato “gli allegoristi ad
oltranza”, che si affannano nell'applicazione di un metodo inattuale
rispetto ad un'opera in cui sono saldati allegoria e simbolo da una
parte, e forte impatto delle immagini concrete dall'altra. La polemica
montaliana prende come bersaglio i sostenitori di letture unilaterali,
che privilegino solo i brani più vicini alla sensibilità moderna oppure
un'erudizione tutta formale ed incentrata sugli elementi strutturali.
La Commedia, secondo Montale, realizza il perfetto equilibrio tra
corpo e spirito; il corpo non cambia mai, e anche a distanza di secoli
può essere compreso e apprezzato, mentre lo spirito si evolve e non
sempre rimane del tutto intellegibile.
Un certo sospetto nei confronti di un concetto ampio e variabile come
quello dell'allegoria è comprensibile in un'epoca in cui estetica
simbolista e crociana avevano dettato legge; ma Montale, lettore
avvertito di critica letteraria, poteva forse permettersi di prescindere
da rigide categorie e liberare, non sempre consapevolmente e con la
prassi più che con la teoria, un procedimento di scrittura così
fecondo, senza per questo dar vita ad una poesia lontana dai gusti
del pubblico, come invece sostiene Baranski.
Allegory, since it is reductive and intellectually rigid, would have been too
45
limiting for Montale's artistic requirements and would have represented the
death of his art. […] Dante, according to Montale, is the supreme example of
artistic fexibility, not rigidity; a unique artist who has created an
unrepeatable work of art. Contemporary artists can, however, learn from his
practice and strive to follow his example by trying to learn from the
“totality” of his art.63
63 BARANSKI 1985, 16
46
rimandano a precisi loci danteschi, ed anche la dichiarazione di
poetica che conclude l'articolo trova un parallelo nel capitolo XXV
della Vita Nova. La presenza di Dante si fa massiccia anche ne La
primavera hitleriana, la poesia della Bufera che porta in epigrafe il
verso del sonetto pseudo-dantesco da cui trae origine la fgura di
Clizia: tutto il componimento si adagia su evidenti prestiti danteschi,
come raramente accade altrove.
Such programmatic and accurate use of Dante is rare and less intriguing
than an exploration of the memorial channels along which Dante fows into
Montale's texts. […] Critically the most complex and rewarding area for this
kind of infuence is the process whereby Dantisms from a limited number of
episodes or cantos from the Commedia reappear again and again in Montale's
poems.64
64 Ivi, 22
47
fosse piuttosto consapevole del ruolo che Dante svolgeva nella sua
mente e nella sua produzione, e preferisse confonderlo agli occhi dei
critici e dei lettori non tanto per angoscia, ma piuttosto per velarsi, a
volte con una certa dose di ironia o di furbizia. In ogni caso, quando
Montale torna sul tema e afferma ad esempio che “Dante ha fatto il
pieno (come direbbe un automobilista) e per altri la benzina è stata
scarsa”65, è diffcile pensare che il confronto con il modello sia per lui
qualcosa di paralizzante.
Tornando a quanto sostiene Baranski, Montale saccheggia il
magazzino dantesco in modo caotico per creare una propria sintesi
personale, che comprende anche l'uso di topoi danteschi stabilmente
recepiti dalla tradizione a cui conferisce la propria impronta.
L'esibizione del modello non ne segnala la presenza, ma serve a
piegarlo al proprio messaggio; è un procedimento molto simile a
quello che Bloom defnisce Apophrades, il ritorno del morto con i
colori del vivo allo scopo di annullarne il primato temporale. Questo
“ridimensionamento” di Dante, secondo Baranski, agisce a livello
inconscio: lo dimostrano le citazioni inaccurate e fuse tra loro, che
segnalano quella “ragnatela di corrispondenze” che Montale
auspicava nella lettura della Commedia. Gli effetti danteschi di calibro
generale sono calcolati, mentre ad altri livelli Dante agisce come
modello inconscio tra i futti della memoria; Baranski propone una
casistica di segnali memoriali, tra cui spiccano le rime, gli hapax e i
lessemi più rari, che sono anche il blocco più consistente dei dantismi
di Montale.
A questo punto per Baranski è necessaria una precisazione: questo
studio su una linea sincronica non restituisce pienamente il quadro di
un rapporto instabile e progressivo. Diacronicamente, infatti, si
possono osservare i prestiti danteschi passare da uno statuto
occasionale e marginale nelle prime raccolte, ad una massiccia e
signifcativa presenza in alcune poesie della Bufera, fno al rifuto di
Satura; anche questo sviluppo, tuttavia, lascia coesistere nello stesso
momento atteggiamenti molto diversi. Baranski traccia quindi un
quadro generale, raccolta per raccolta, che tiene conto delle tendenze
dominanti, fermo restando che coesistono con spinte parzialmente
67 Ivi, 34
50
a costituirsi come fondamento della struttura compositiva.68
In altre parole, Montale tenta negli Ossi di attraversare Dante per approdare
a un territorio suo e il maestro che si delinea in trasparenza nelle immagini
marine è chiave per leggere oltre la lettera perché il poeta medievale, oltre a
fornire al moderno ingredienti per il suo lessico (la «gloria aperta» della
pagina dantesca), è anche il più alto esempio di quell'«ansare che quasi non
dà suono» di un messaggio allegorico. Dante insomma diventa, a volte, il
«sigillo» oltre al quale si aprono nuovi piani di comunicazione, il «velo»
attraverso il quale la poesia deve essere letta.69
70 Ivi, 107
52
L'idea più generale è la stessa proposta da Jacomuzzi e, forse,
confermata da Montale (vedi supra): quella di una serie di raccolte
leggibili come un unico libro, che si costituisce esso stesso come
allegoria. Grazie all'autocitazione, infatti, il poeta può inscenare il
ribaltamento della propria poesia in direzione dell'abbassamento di
tono, fornire il verso del proprio unico libro. “Questo procedimento
permette in pochi versi un discorso che comprende vecchio e nuovo
in una rinnovata situazione poetica ed esistenziale” 71.
I contributi più signifcativi riguardo un'allegoria estesa a tutte le
opere dantesche, poste in rapporto di continuità tra loro, si devono a
Charles Singleton, di cui Ioli è stata allieva; Montale dimostra di
conoscere il lavoro critico di quest'ultimo ancora prima della sua
pubblicazione in lingua italiana (i due studi che compongono La
poesia della Divina Commedia, pubblicati negli Stati Uniti negli anni
Cinquanta, sono stati editi in Italia nel 1978; Montale ne cita alcuni
concetti già durante il Convegno del 1965). La mediazione tra gli
studi del critico americano e Montale può senza dubbio essere stata
Irma Brandeis, allieva di Singleton; ai tempi della corrispondenza tra
Montale e Brandeis il critico non aveva ancora pubblicato questi
studi, che potevano però essere in fase di elaborazione. Gli studi di
Singleton, ad ogni modo, nella loro forma compiuta potevano essere
noti solo al Montale della Bufera e delle raccolte successive: al di là
delle datazioni esatte, è diffcile attribuire a Montale una
programmatica applicazione di questo specifco modello di allegoria
fn dagli esordi.
Prendendo in considerazione una recente pubblicazione di Enrico
Fenzi, si può tuttavia pensare ad un uso “intuitivo” dell'allegoria di
tipo dantesco: essa sarebbe essenzialmente la scrittura di un percorso
conoscitivo e biografco che rifette su se stesso ad ogni stadio di
esperienza:
71 Ivi, 113
53
per usare ancora la parola di Dante, in cui già si racchiude il senso possibile
degli sviluppi futuri. In altre parole, Dante parla di sé non come l'uomo che
è, ma come l'uomo che è diventato quello che è. L'auto-esegesi è allora una
auto-esegesi della differenza; il pensiero non è altro, propriamente, che il
pensiero della differenza, e la differenza, infne, è l'allegoria, cioè a dire
l'incremento di signifcato che la perfezione raggiunta impone di per sé,
retrospettivamente, per il solo fatto di volgersi indietro e di conoscersi come
tale.[...] C'è il tempo vivo dell'esperienza, e il suo dilatarsi in nuove
dimensioni. Ecco allora che l'allegoria non serve già, come nei suoi modelli, a
fare a meno del tempo, a negarlo all'esperienza per irrigidire quest'ultima in
fgure assolute e assolutamente contrapposte l'una all'altra, ma diventa
invece strumento per una presa più forte sulla complessità della propria
auto-rappresentazione: la trascrizione statica e atemporale dell'allegoria
diventa in Dante trascrizione dinamica, compresenza di piani diversi, nodo
temporale. […] Il “metodo” dell'allegoria è perciò chiaramente presentato
come il linguaggio necessario dell'auto-interpretazione, e l'auto-
interpretazione, a sua volta, è legittima proprio in quanto disvela la
continuità sostanziale dell'esperienza, la maturità di un processo che è in
grado di volgersi su di sé e di conoscersi. Se si pone ben mente alle parole di
Dante, risulta chiaro che la sfasatura che corre tra il piano di lettura letterale
e quello allegorico contiene in sé un preciso e caratterizzante elemento
temporale […] La doppia lettura è frutto di un percorso: il suo fondamento e
la sua possibilità stessa stanno, in ultima analisi, nell'esperienza che il
soggetto fa di se stesso, o meglio, nell'esperienza della “differenza”
attraverso la quale il pensiero di sé può porsi come tale.72
74 Ivi, 290
75 Ivi, 291-292
56
II.12 De Rogatis: mediazioni critiche per l'allegoria dantesca
(PROVVISORIE) CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA:
Eliot 1920 = Thomas Stearn E., Tradition and the Individual Talent, in
The Sacred Wood: Essays on Poetry and Criticism, Dover Books, London
62
Eliot 1920 (1) = Thomas Stearn E., Dante, in The Sacred Wood: Essays
on Poetry and Criticism, Dover Books, London, trad. in italiano di
Luciano Anceschi, Il bosco sacro, Muggiani, Milano 1946 (da cui si
cita)
Marini 1986 = Maria Teresa M., L'allegoria e altro: contributi per una
monografa su «Montale e Dante», in «Letteratura italiana
contemporanea», n. 18
63
Montale 1950 (2) = Eugenio M., Invito a T. S. Eliot, su «Lo Smeraldo»
a. IV, n.3, Milano 30 maggio 1950, ora in Sulla poesia, cit.
Montale 1964 = Eugenio M., Poesia inclusiva, sul «Corriere della Sera»
21 giugno 1964, ora in Sulla poesia, cit.
Montale 1965 = Eugenio M., Ricordo di T.S. Eliot, sul «Corriere della
Sera» 6 gennaio 1965, ora in Sulla poesia, cit.
Montale 1966 = Eugenio M., Dante ieri e oggi, in Atti del Congresso
Internazionale di Studi Danteschi, vol II, Firenze Sansoni; ora in Sulla
poesia, cit.
64
Montale 1973 = Eugenio M., Finché l'assedio dura..., sul «Corriere
della Sera» 8 aprile 1973, ora in Sulla poesia, cit.
Pipa 1968 = Arshi P., Montale and Dante, Minnesota University Press,
Minneapolis; trad. in italiano di Sarah Zappulla Muscarà, Montale e
Dante, Giannotta Editore, Catania 1974 (da cui si cita)
Severi 2011 = Luigi S., Dante nella poesia italiana del secondo Novecento,
in «Critica del testo» XIV, 3
65