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Alessio Boni

L’amore non ha voce


Copyright © 2020 Alessio Boni

Tutti i diritti riservati.

Codice ISBN:
INDICE

Cap. 01 Primi ricordi Pag. 5


Cap. 02 Tra ieri e oggi Pag. 29
Cap. 03 Odore di vita Pag. 52
Cap. 04 Miele e fiele Pag. 73
Cap. 05 Lo Zingaro Pag. 105
Cap. 06 Rosso Natale Pag. 151
Cap. 07 L’ispettore Pag. 184
Cap. 08 Amarsi Pag. 209
Cap. 09 Paure e speranze Pag. 240
Cap. 10 I segreti di Fiorella Pag. 260
Cap. 11 Senza rimorso Pag. 284
Cap. 12 Le verità Pag. 306
Cap. 13 Gelo Pag. 335
Cap. 14 Il capodanno del Vikingo Pag. 363
Cap. 15 Basta morire Pag. 383
Cap. 16 Perché non piangi per me? Pag. 410
Cap. 17 Ultimatum Pag. 417
Cap. 18 L’ultimo viaggio Pag. 437
All’amore che ho accompagnato oltre la morte.

Era facile
fiutare l’odore terso dei profumi
che impreziosivano l’aria,
in quell’interminabile brevissimo momento
che mi vide fanciullo.
Già allora intuivo
quanto fosse importante salvare certi istanti,
senza riporli nella memoria
ma incidendoli nell’anima.
L’AMORE NON HA VOCE
Oggi ha inizio la primavera ma il cielo che copre Roma sembra
non saperlo: una pioggia leggera versa timide lacrime sul mercato
all’aperto che, noncurante, invade comunque la piazza.
Le persone sono meno del solito e si muovono tra i banchi
protette dai loro ombrelli colorati, tutti sanno quello che cercano
e non vedono l’ora di tornare a casa.
Solo Tania cammina lentamente al centro della via, con i capelli
neri bagnati ed il viso madido di acqua e pianto.
È da ieri notte che nella sua testa rimbombano sempre le stesse
parole:
− È stata colpa tua!
Così le disse sua zia, appena la vide uscire dall’ascensore
nell’ospedale, per accorrere al capezzale dalla madre quando,
purtroppo, la sua anima era già volata via. È stato un momento
dilaniante per Tania, uno di quegli istanti che cambiano la vita per
sempre, si è vista scorrere davanti il passato come se fosse stata
lei a morire.
Si trova proiettata tra ricordi nitidi tanto da sembrare sogni e le
risuona in testa la voce della madre, Anna, che rimbombava nel
cortile mentre la chiamava perché era pronto il pranzo. Questa
donna, mingherlina e con dei grandi occhi materni, era una
casalinga che si dilettava a fare piccoli lavori di sartoria per i vicini
del palazzo e per gli amici del quartiere.
Appena dopo si rivede bambina su un’altalena che dondola.
Una mano la spingeva verso il cielo posandosi delicatamente sulla
sua schiena e la accoglieva quando tornava giù, per lanciarla
ancora una volta. Questo è l’unico ricordo che ha di suo padre,
perché non c’era mai, aveva sempre da fare. I turni di lavoro
erano massacranti e quando lui usciva, Tania ancora dormiva,
mentre la sera, al suo rientro c’era appena il tempo di un bacetto.
Si chiamava Enzo e lavorava in fabbrica, anche se lei non ha
mai capito bene cosa facesse.
L’unica cosa certa fu che una pressa idraulica lo strappò alla vita
e che la sua scomparsa fu inclusa tra le morti bianche sul posto di
lavoro, senza alcun colpevole, senza alcun vero responsabile.
D’improvviso i suoi ricordi si gelano perché sente nel cuore il
rumore di quei passi timidi, compiuti tenuta per mano da sua
madre, nella silenziosa confusione mentale di una bambina al
funerale del padre.
Tra poco dovrà rivivere quello strazio ma stavolta non ci sarà
alcuna mano da afferrare, perché disteso a compiere l’ultimo
viaggio sarà il corpo di sua mamma e qui, sulla terra, non ci sarà
più nessuna anima dedicata soltanto a lei.
Ora è sola con le sue convinzioni, le sue speranze e le sue follie.
La pioggia comincia a cadere con maggior frequenza e il passo
di Tania si fa più svelto, per rifugiarsi in un patio sotto cui ci sono
tre negozi: un bar qualunque con i tavolini fuori sotto la tettoia,
un parrucchiere sulla cui vetrina risalta il volto di una donna dai
capelli corti, illuminato dalla scritta a neon Melody ed un
ristorante con l’insegna gialla con un nome curioso, Ristoria
Pizzorante.
Dietro al bancone del bar c’è un uomo dai capelli bianchi sulla
cinquantina, con il viso paffuto, gli occhi nocciola e lo sguardo da
gatto mammone, che accoglie simpaticamente la bella Tania,
bagnata fuori dalla pioggia e dentro dalle lacrime:
− Signorì, ma che l’hai presa tutta tu la pioggia?
Lei, zuppa e scocciata, risponde con un impercettibile sorriso di
circostanza e ordina:
− Una Ceres.
L’uomo la serve poggiando accanto alla birra un bicchiere e
delle noccioline, lei, invece, impugna la bottiglia e va a sedersi
fuori.
Tracanna un sorso, mentre i suoi occhi spenti riflettono il grigio
del cielo e dei palazzi e si perdono nel cellulare, scorrendo i nomi
sulla cronologia di Whatsapp, finché si ferma su quello di Sara;
l’immagine del profilo è la foto di due palloncini che volano verso
un cielo azzurro e rappresenta loro due.
Sara e Tania sono amiche per la pelle e si sono giurate di
aiutarsi per tutta la vita. Sono quelle promesse fatte da bambini,
che non si dovrebbero tradire mai.
Tania porta il telefono vicino alla bocca ed invia alla sua amica
un messaggio vocale:
− Micia, mi sta prendendo male, non me la sento di venire in
saletta, sono al bar dietro al mercato. Perché non ci vediamo
e porti un cioccolatino?
Le due ragazze hanno un loro codice segreto per evitare che
genitori, professori o conoscenti bacchettoni si rendano conto di
cosa stiano parlando, nello specifico il cioccolatino è lo
pseudonimo dell’hashish.
La vita di Tania è trascorsa fin da bambina presso la chiesa di
quartiere, a cui la mamma la affidava quando doveva svolgere le
sue attività sartoriali, che richiedono necessariamente
concentrazione, tempo e pazienza. In questo ambiente la
bambina ha scoperto di avere una voce angelica ed il parroco l’ha
invogliata a cantare e a migliorare le sue capacita vocali, era
talmente brava che lui stesso la definiva “Voce d’angelo”.
È proprio qui che conobbe la sua amica Sara, la più brava
chitarrista della parrocchia.
Comunque in un ambiente dove si ritrovano molti ragazzi, dato
che accanto alla chiesa ci sono anche il campo da calcio ed un
giardino con le panchine, non mancano le cattive compagnie.
In quel luogo d’incontro giovanile, Tania e Sara conobbero lo
spinello ed entrambe, quasi per legittimazione d’appartenenza,
accettarono di fumarlo.
Da quel giorno ritualmente approfittarono della condivisione
dell’hashish degli amici, finché non si sentirono in dovere di
acquistarne anche loro e contraccambiare il gesto.
Lo stato di torpore mentale e il senso dissociativo acquisito col
consumo di tali sostanze, spinse le due amiche ad appassionarsi
ad un genere di musica più trasgressivo di Alleluja e con alcuni
loro amici insonorizzarono la cantina, ormai in disuso, del papà di
Sara e la adibirono a sala prove. Tania cantava, Sara suonava il
basso, Erik la batteria e Francesco la chitarra elettrica.
Erik e Francesco erano due ragazzi ripetenti conosciuti a
scuola, Istituto Artistico, erano gli unici della classe ad avere la
macchina, anche Sara guidava ma solo quando la mamma le
permetteva di usare la vettura di famiglia.
Il cellulare di Tania riceve il messaggio audio di Sara:
− Piccola mia certo che vengo da te, noi siamo due palloncini,
ti ricordi?
E uno smile conclude il messaggio.
Tania posa il telefono sul tavolo, poggia i piedi sulla ringhiera
davanti a lei, scola dell’altra birra ed accende una sigaretta.
Poco dopo davanti al bar si ferma una Cinquecento blu che
suona il clacson, Tania scola tutta la birra e si precipita in auto
velocemente. La pioggia non è ancora diminuita.
Oggi ha inizio la primavera ma il cielo che copre Roma sembra
non saperlo: è da ieri che diluvia e non ha intenzione di smettere.
Le strade sono malinconiche e semideserte, quando un’Alfa
Romeo bianca avorio arriva dalla via opposta al mercato, il
rombo del motore sembra ruggire mentre Derek scala la marcia
per imboccare la curva, appena finita, tutti i cavalli di potenza
vengono domati e parcheggia la vettura davanti al Ristoria
Pizzorante. Si precipita sotto al patio per sfuggire alla pioggia,
guarda l’orologio ed entra nel bar.
Il signore dai capelli bianchi dietro al bancone lo saluta:
− Ciao Derek, il solito?
− Sì, Sergio, grazie.
Il ragazzo va a sedersi al tavolo fuori dal locale ed accende una
sigaretta.
Il barista gli porta un vassoio con una Ceres, un calice da birra e
delle noccioline.
Derek versa la spumosa bevanda inclinando il bicchiere e
facendo attenzione che la giusta quantità di schiuma la protegga
dall’aria, per gustarla al meglio. Ne beve un sorso, la posa sul
tavolo e mangia una manciata di noccioline.
Con aria sognante si perde oltre le nuvole e ricorda quello che
gli disse il padre quando lui era piccolo:
− Il cielo è come i tuoi sogni, anche se davanti ci sono le
nuvole, dietro c’è almeno una stella.
Un sorriso illumina i suoi occhi verdi, abbassa lo sguardo e si
passa una mano fra i capelli portandoli indietro, perché i ricci
sbarazzini gli erano scesi davanti al viso.
Derek è appassionato di musica ma riesce a suonare a malapena
il citofono ed è stonato come una campana, quindi l’unico modo
per vivere della sua passione può essere solo venderla: vuole
aprire un negozio di vinili e lavora al ristorante qui accanto per
racimolare i soldi necessari. Il locale lo ha trovato e l’accordo per
l’affitto è quasi concluso, la sua mastodontica collezione di dischi
è un buon punto di partenza e le sue conoscenze completeranno
il gioco.
Derek è patito di Rolling Stones e adora una loro canzone in
maniera particolare: Angie.
Questo è il nome che avrà il suo negozio, in onore di quella
struggente ballata acustica che elogia il sentimento, anche dopo la
fine di una storia. Questo brano rappresenta l’essenza dello
spirito di Derek, lui stesso si definisce l’ultimo dei romantici
rimasti sulla piazza.
Lui si sente una persona fortunata perché è convinto che dal
cielo, l’amore di suo padre lo aiuterà nelle scelte e lo consiglierà
nelle decisioni.
L’unico desiderio che ogni volta sembra allontanarsi sempre di
più dalla realizzazione, è quello di incontrare una ragazza di cui
potersi innamorare, per lasciar fluire, finalmente, tutto l’amore
che intasa il suo cuore. Da ragazzetto ha avuto molte relazioni,
anche di una sola notte, ma da quando ha capito cosa significa
amare, guardando una donna non cerca più un corpo ma lo
spirito che c’è dietro ai suoi occhi.
Infatti è più di un anno che è single per scelta, sperando di
sentire finalmente il suo cuore battere consapevolmente.
A distrarlo dalle sue riflessioni è l’arrivo di Mirko, un suo
collega di lavoro, lui è il cuoco delle portate da ristorante e il
supervisore dei pizzaioli. È stato lui a far assumere Derek come
cameriere. Loro si conoscono da tanto perché le rispettive madri
erano amiche, quando da ragazze sono venute in Italia dalla
Germania. Oggi la mamma di Mirko è tornata al suo paese, Derek
invece non ha idea di che fine abbia fatto la sua: dopo la morte
del padre in un incidente stradale, si è rifatta subito una vita e lui
non ha saputo accettarlo.
− Ciao Derek, prendi qualcosa?
− No, grazie, ho già la mia Ceres.
− Ok.
Mirko si affaccia nel bar e chiede:
− Sergio, mi porti un Amaro del capo?
− Ok.
Risponde lui da dentro.
I due amici sono seduti vicini e Mirko domanda a Derek:
− Ci siamo, vero? La settimana prossima inizi i lavori al
negozio?
− Sì, amico mio, non vedo l’ora.
Intanto Sergio serve l’amaro e Mirko brinda alla salute di
Derek:
− Alla tua! E che la fortuna ti assista!
I due rintoccano i bicchieri e restano a contemplare la piazza
deserta, in attesa di aprire il ristorante ed iniziare a lavorare.
Tania e Sara sono parcheggiate in un posto isolato che
conoscono loro, è un parco vicino alle mura secolari di una chiesa
romana, reso riservato dagli alberi che lo contornano. Qui la
notte si riempie di macchine in cui le coppie vogliono stare
appartate o gli amici si ritrovano a trasgredire con alcol e droghe,
senza essere disturbati.
La pioggia continua a cadere ed entrambi i finestrini sono aperti
appena un dito.
Mentre Sara scalda l’hashish sul filtro della sigaretta con
l’accendino e lo sbriciola impastandolo con il tabacco, Tania ha
preparato un filtro arrotolando un cartoncino, recuperato da un
biglietto dell’autobus usato che conservava nel portafoglio, lo
consegna a Sara che lo mette sull’orecchio, come la matita del
salumiere.
L’abitacolo si inonda di un odore aromatico e dolciastro,
quando Sara poggia una cartina sull’impasto che tiene in una
mano, lo copre con l’altra unendole come in preghiera e le
capovolge. Ora tutto è dentro la cartina e non resta che rollare.
Intanto Tania si sta sfogando:
− Mamma l’ho fatta morire io, lo dice pure zia! Vado male a
scuola, non lavoro e penso solo a cantare. Mamma ci
provava a convincermi di cambiare registro ma io mi
chiudevo in camera e mi facevo una canna. La cosa peggiore
era quella rompi palle di zia Giovanna, la sentivo che parlava
con mamma e le diceva: “Quella disgraziata ti farà morire!”
Ecco adesso è morta, adesso sì che mi potrà incolpare quella
stronza!
Sara ha terminato la preparazione dello spinello, lo accende
fumando a piena bocca un paio di tiri, poi glielo passa, le prende
una mano tra le sue e risponde:
− Micia non è colpa tua, non può essere colpa tua. Tu sei
giovane, tu eri la figlia e potevi farle le cavolate. Io pure ne
faccio tante. Mi dispiace che hai perso mamma, ma non sei
sola, io ti voglio bene.
− Grazie Micia, lo so che tu ci sei. È solo che mi sento in colpa
per tutto quello che non ho fatto, mi pare che è tutta colpa
della mia fissa di cantare. Forse se avessi avuto una voce di
merda magari adesso andavo bene a scuola o magari se mi
trovavo un lavoro potevo essere un’altra persona e mamma
era ancora viva, ieri sono uscita per venire in saletta e mi ha
detto “ma cosa ho sbagliato con te?”, io ho sbattuto la porta
e lei mi ha gridato “tu mi farai morire!” che dici, mi spetta
sentirmi in colpa?
− No, non ti spetta. Sono cose che si dicono, mica si è
ammazzata, sarebbe successo ugualmente.
− Non lo so. Non ci capisco niente.
Lo spinello torna a Sara e Tania domanda:
− Posso venire a dormire da te? Non mi va di tornare a casa e
subire le accuse di mia zia, sennò l’ammazzo!
− Certo Micia, non c’è problema.
L’intensità della pioggia sta calando e dal cielo irraggia uno
spiraglio di sole che illumina il parco, come dentro quella
macchina in cui l’amicizia addolcisce questo triste giorno. Sara
abbraccia la sua amica e la stringe a sé, dicendole amorevolmente:
− Ti voglio bene.
Il calore di questo gesto tocca il cuore di Tania ed i suoi
occhioni neri si inumidiscono d’emozione.
Le due ragazze trascorrono il pomeriggio facendo progetti sul
domani ed immaginando un futuro ricco di soddisfazioni, nel
quale la musica è il tema intorno a cui ruotano ogni evento ed
ogni circostanza.
Finché l’ora di cena si avvicina e Sara apre il cassetto del
cruscotto e rovista fra i cd ed i documenti dell’automobile.
Finalmente esclama:
− Oh, eccolo qua!
Recupera una boccetta di collirio, si lega con un ciuffetto sopra
la testa i brillanti capelli castani e rivolgendosi verso lo
specchietto retrovisore, ne lascia cadere due gocce negli occhi
color ambra, poi si asciuga con un fazzoletto di carta e ritocca il
trucco, passando la matita, Tania fa lo stesso. Dopo una giornata
chiuse in macchina a fumare, il loro aspetto non era il più
consono ad una serata in famiglia.
Sara guida verso casa sua ed ha già avvertito i genitori, che le
stanno aspettando per trascorrere la serata con loro e stringere in
un abbraccio la povera ragazza ormai orfana.
Intanto Tania guarda fuori dal finestrino, mentre la radio,
sintonizzata su una stazione di musica rock, trasmette un
sottofondo a quello che vede scorrere fuori dal finestrino:
marciapiedi quasi deserti illuminati dai lampioni, sotto i quali le
poche persone che camminano probabilmente sono dirette verso
casa loro, per raggiungere le loro famiglie o i loro cari. Lei non ha
più nessuno da raggiungere, nessuno che l’aspetti.
Un nodo le si stringe in gola e trattiene a stento le lacrime, fino
a quando le casse riempiono l’abitacolo delle note struggenti di
Angie, che la fanno singhiozzare e piangere.
Era la canzone preferita dai suoi genitori e da quando il suo
papà venne a mancare la cantava insieme alla sua mamma,
entrambe commosse dal pianto.
Sara, intenta a guidare, non si accorge di nulla e Tania si asciuga
le lacrime, fingendo di stropicciarsi gli occhi.
Come se fosse stata la colonna sonora di questo breve viaggio
in auto, la canzone suona le ultime note quando la vettura si
ferma nel parcheggio del garage condominiale.
Le due ragazze si sorridono un senso di amicizia e si avviano
verso l’appartamento di Sara.

− Ti voglio bene.
2018
Tania, cannarola che va male a scuola e ama cantare, vive sulle
spalle della mamma malata di cuore a casa della zia che quando la
sorella muore la incolpa e la caccia da casa, lei va da Sara la sua
amica e si giura di non parlare più, da la colpa alla sua voce.

Lei si fa le canne, il fumo lo prende Sara.

Derek vive in un bilocale che gli ha lasciato il padre ed è


appassionato di musica ma stonato come una campana, lavora in
un ristorante per aprirsi un negozio di vinili.
È proprio qui che i due si incontrano e lui la fa ridere e la fa
parlare di nuovo.
La prende a lavorare nel negozio e si innamorano.

Al mercato Tania pensa e spiega i sensi di colpa


Chiama Sara e le chiede ospitalità.
La seconda sera torna a casa ma la zia la caccia.
Dalla seconda sera Sara la fa entrare di nascosto.
Tania piange e giura di non parlare più.

Derek stacca dal ristorante e va a bere una birra con Marco e gli
racconta che ha trovato il locale e sta trattando.
Si incontra con il proprietario e si accorda sull’affitto.
Inizia i lavori con Marco e allaccia contatti per i dischi
Il primo giorno che apre incontra Tania
Lei va tutti i giorni e lui le parla ma lei sorride solo.
Finché la blocca e le fa un complimento, lei risponde.
Escono insieme e quando Tania torna da Sara le squilla il
telefono appena lei risponde Sara si alza dal letto e resta stupita
ma Tania dice che è solo un amico.
Nuovo incontro, Lui le chiede di lavorare al negozio

Primo giorno di lavoro


Derek parla con Marco di Tania e ammette che gli piace
Tania parla con Sara e ammette che le piace Derek
Derek le chiede un’ora di straordinario per magazzino
Ma le prepara una cena romantica al negozio.
Tania canta per lui e fanno l’amore.

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