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BOTANICA FARMACEUTICA 1

ANGIOSPERME

Nome volgare: Anice stellato

Nome scientifico: Illicium verum Hooker

Famiglia: Illiciaceae

È la regina di tutte le spezie, per la sua inconfondibile forma di stella a otto punte e per il suo intenso sapore
di liquirizia e anice, pur non essendo imparentata con nessuna di queste due specie botaniche.

Utilizzata fin dall’antichità nella medicina tradizionale cinese per le sue proprietà stimolanti e diuretiche,
sotto forma d’infuso o decotto, come cura per il mal di gola; il suo uso è indicato come stimolante
dell’appetito, per combattere la flatulenza ed il senso di nausea.

In Oriente rappresenta dunque un farmaco prima ancora che un ingrediente per la cucina o un raffinato
complemento aromatico e decorativo per la preparazione del pot-pourri, insieme a scorze di agrumi, foglie
essiccate di fiori e cortecce profumate.

Con la sua scorza macinata si preparano le bacchette d’incenso che vengono accese nei templi in Cina e
soprattutto in Giappone, poiché la pianta è considerata sacra. L’anice stellato venne introdotto in Europa
dalla Cina intorno al XVII, da allora la spezia viene utilizzata intera, triturata grossolanamente in frammenti
o ridotta in polvere.

A causa dell’elevata volatilità del suo olio essenziale conviene comperarla intera, conservarla in piccoli
contenitori a chiusura ermetica ed evitare di acquistarla già macinata poiché nel giro di poche settimane le
sue fragranze andrebbero irrimediabilmente disperse nell’aria.

Il suo uso in Occidente è spesso limitato al consumo sotto forma di miscela, nel mix delle 5 spezie
(Wuxiangfen), dove viene triturata in parti uguali insieme a cannella, chiodi di garofano, finocchio e pepe di
Sichuan, anche se in Cina alla formula classica possono essere aggiunte occasionalmente: zenzero, galanga,
cardamomo nero.

In India è molto apprezzata nelle miscele di curry del Kerala, per la cucina di mare, o nelle insalate di frutta
tropicale.

In Europa è stata utilizzata fin dal principio per la preparazione disciroppi, cordiali, sorbetti e conserve ma
soprattutto nell’aromatizzazione di liquori come il pastisfranco-provenzale, e in alcuni casi nella pasticceria
come valida alternativa ai semi d’anice, o nelle composte di frutta secca sciroppata di fichi e pere, nel vicino
Oriente.

L’anice stellato è un albero sempre verde (perciò le foglie sono persistenti), che un aspetto piramidale, ha
un’altezza di 4-5 metri, è originario della Cina orientale e del Vietnam settentrionale.

Le foglie sono persistenti, piuttosto spesse. Dal punto di vista della fillotassi, le possiamo trovare sia alterne
che verticillate. La forma è ovale e lanceolata, il margine è intero, e il colore è verde lucido.

I fiori sono isolati, presentano un perianzio di colore bianco-giallastro, talvolta anche rosa, e sono costituiti
da 15-20 antofilli, che sono inseriti ad aspirale sul ricettacolo.
Questa pianta presenta numerosi stami. Invece per quanto riguarda il gineceo, esso è costituito da 6-12
carpelli, che danno origine ad altrettanti follicoli uniseminati, i quali si dispongono come i raggi di una stella,
e rimangono uniti per la presenza di un peduncolo, che si chiama columella, e danno origine proprio a
quella forma che dà il nome volgare.

Ciascun follicolo duro e rugoso, lungo 10-15 mm, presenta forma simile a carena con punta ottusa, ha
colore rossastro e contiene un solo seme ovoidale, liscio, di colore bruno chiaro. Il seme racchiude in un
delicato involucro una mandorla bianca ed oleosa.

Il pericarpo ha odore aromatico e sapore caldo anisato. Le cellule ad essenza sono localizzate nel
mesocarpo, l’endocarpo è sclerificato soprattutto a livello della sutura carpellare.

I follicoli il cui principio attivo è costituito dall’olio essenziale che contiene soprattutto anetolo, ma anche
limonene, cineolo, estragolo, ed aldeide anisica.

Categoria: carminativi.

L'anice presenta proprietà eupeptiche, stomachiche, carminative, antidiarroiche.

Usato anche come correttivo del sapore.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Aconito

Nome scientifico: Aconitum napellus L.

Famiglia: Ranuncolaceae

È una delle piante più tossiche della flora italiana diffusa nelle zone montagnose delle Alpi. Il nome del
genere (“Aconitum”) deriva dal greco akòniton(= pianta velenosa). La pianta infatti risulta conosciuta per la
sua alta tossicità fin dai tempi dell’antichità omerica.

La pericolosità della pianta era ben presente agli antichi se ancora Plinio la cita come "arsenico vegetale". Si
racconta anche che nell'isola di Ceo, gli anziani ormai inutili venivano soppressi con tale veleno.

Nel Medioevo l'aconito venne chiamato con diversi nomi: Cappuccio di monaco o Elmo di Giove o Elmo blu,
in riferimento alla sommità del fiore.

L’aconito è una pianta erbacea perenne a radice tuberizzata, con fusto eretto, poco ramificato, diffuso nelle
zone di alta montagna in Europa e in Asia fino all’Himalaya.

Le foglie sono semplici, alterne, glabre e sono palmato-partite in numero di lobi generalmente da 3 a 7, che
però si suddividono ulteriormente in altri lobi più o meno stretti. La pagina superiore è di colore verde
lucido, la parte inferiore è più chiara.

I fiori hanno una infiorescenza a racemo, sono di colore blu violaceo, presentano 5 sepali petaloidei, tra i
quali c’è un sepalo più grande posteriore che abbraccia gli altri 4 in posizione laterale e anteriore.

I petali sono in numero di cinque, tra cui 3 linguette che non sono visibili e poi ci sono dei cornetti
nettariferi che provengono dalla modificazione dei petali. Gli stami sono numerosi, e sono inseriti ad
aspirale sul ricettacolo. I carpelli sono in numero da 3 a 5 e danno origine alla maturità a dei follicoli ( i frutti
sono follicoli).
Si utilizzano soprattutto le piante spontanee. Al momento della raccolta, durante la fioritura, la pianta
presenta due radici tuberizzate accoppiate: una, in continuazione con la pianta fiorita, l’altra attaccata
lateralmente con un corto peduncolo. Alla fine della stagione vegetativa, all’inizio dell’inverno, la radice
principale muore, insieme a tutta la parte aerea. La radice laterale, che all’apice porta una gemma, al
sopraggiungere della buona stagione, darà origine ad una nuova pianta, consumando, inizialmente, le
riserve che contiene e conseguentemente avvizzisce. La nuova pianta, oltre ad accrescersi, originerà una
nuova radice laterale che l’anno successivo darà una nuova pianta e così via.

La droga è costituita dalle radici tuberizzate ricche di glucidi e alcaloidi, di cui il principale è l’aconitina.

L’aconito è conosciuto fin dall’antichità per la sua tossicità dovuta essenzialmente all’aconitina, che è uno
degli alcaloidi più tossici che si conoscano, dato che 3 mg sono sufficienti per uccidere un uomo.

La forma più comune di impiego è la tintura che viene usata in associazione con altre droghe in specialità, in
genere sciroppi, contro la tosse.

L’aconitina non è più utilizzata per la cura di nevralgie del trigemino o del nervo sciatico, mentre l’aconito è
molto utilizzato in omeopatia contro gli attacchi di panico, gli stati di shock, il mal di gola, il mal d'orecchio.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Papavero sonnifero

Nome scientifico: Papaverum sonniferum L.

Famiglia: Papaveraceae

Questa pianta è conosciuta da tempo immemorabile.

E’ attestato l’uso delle capsule in Svizzera, Germania, Spagna fin dal Neolitico, utilizzate probabilmente per
il valore alimentare dei semi.

Un po’ più tardi il papavero compare nell’area del mediterraneo orientale (1600-1400 a.C); a Creta è stata
trovata una statuetta con in testa tretidi papavero incisi e con l’espressione tipica di chi fa uso di oppiacei.

Il più noto reperto archeologico cretese associato al papavero da oppio è la “Dea del papavero”, una statua
in terracotta proveniente dal santuario sotterraneo di Gazì, a pochi chilometri di distanza da Knosso. E’
datata fra il 1400 e il 1150 a.C. e appartiene alla cultura Tardo Minoica III (Marinatos, 1935).

Come riportato dall’epopea omerica, dopo la presa di Troia l’esercito greco tornò in patria, riportando con
se Elena, la moglie di Menelao che fu rapita da Paride, figlio del re di Troia; rapimento che era stato la causa
della lunga guerra e dell’assedio di Troia. Solo Ulisse (Odisseo) non tornò immediatamente in patria,
perdendosi per dieci anni in una peregrinazione in giro per il Mediterraneo, descritta dalla ben nota
Odissea.

Nel corso di un banchetto tenuto nella reggia di Menelao, dove è presente anche Telemaco, il figlio di
Ulisse, i partecipanti vengono presi dallo sconforto e da una profonda tristezza, per via dell’assenza di
Ulisse, di cui nessuno ha notizie certe se sia vivo o morto.

In quel frangente, Elena di nascosto mette nel vino un farmaco che ha la proprietà di lenire il dolore, il
NEPENTE

“Allora pensò un’altra cosa Elena, nata da Zeus:

nel vino di cui essi bevevano gettò rapida un farmaco,


che fuga il dolore (nepenthes) e l’ira, il ricordo di tutti i malanni.

Chi l’ingoiava, una volta mischiato dentro il cratere,

non avrebbe versato lacrime dalla guance, quel giorno,

neanche se gli fosse morta la madre o il padre,

neanche se gli avessero ucciso davanti, col bronzo,

il fratello o suo figlio, e lui avesse visto con gli occhi.

Tali rimedi efficaci possedeva la figlia di Zeus,

benigni, che a lei Polidamnadiede, la sposa di Tone,

l’Egizia. La terra che dona le biade produce moltissimi

farmaci; lì, molti, mischiati, benigni; molti, funesti.

Ciascuno è medico esperto più d’ogni

uomo: sono infatti della stirpe di Peone.” (Omero, Odissea, IV, 227-232)

Circa l’identificazione vegetale del nepente, sono state proposte le più disparate droghe: elenio, buglossa,
borragine, zafferano, giusquiamo, oppio, cannabis, datura, e addirittura il caffè, e le interpretazioni più
fantasiose e prive di una ponderata analisi etnobotanica sono state proposte dagli autori rinascimentali e
da quelli moderni. Resta il fatto che coloro che hanno propeso per una reale fonte vegetale, l’hanno cercata
fra le droghe psicoattive.

La medicina greca adoperava il papavero per alleviare il dolore. Dioscoride distingue il succo della capsula
(oppio) e l’infuso della pianta (meconio). Si deve però a Galeno la diffusione fra i medici di Roma della
teriaca, inventata da Andromaco, medico personale di Nerone: un farmaco che conteneva, fra l'altro, una
discreta quantità di oppio. Marco Aurelio ne usò in grande quantità, per cui viene considerato da alcuni
storici il primo imperatore oppiomane.

Dopo la caduta dell'impero romano non vi sono quasi più notizie sul consumo di oppio in Europa, mentre
nella farmacologia araba venne introdotto da Avicenna verso l'anno Mille: secondo il suo discepolo e
biografo Abu Al Guzanifu proprio questa sostanza la causa della morte del maestro, come in occidente
Paracelso morì intossicato dall'oppio dopo aver inventato il laudano, sostanzialmente una tintura di
morfina all'1%.

Ma già nella seconda metà del Medioevo in Europa il consumo di oppio era andato aumentando, tanto da
suscitare reazioni ufficiali nella classe medica: la Santa Inquisizione giunse al punto di vietarne l'uso anche
come medicinale. Nel XVI secolo in Turchia e in Egitto l'uso di oppio era estremamente diffuso a livello
popolare.

E’ stato introdotto in Oriente dagli Arabi ed utilizzato per le sue proprietà medicinali. L’abitudine di fumarlo
è comparsa molto più tardi, alla fine del XVII secolo. Dal contrabbando dell’oppio, organizzato dagli Inglesi,
derivò la guerra dell’oppio che aprì, forzatamente, la Cina dell’occidente (1839-42).

Nel XIX secolo l'oppio conosce in Europa il suo periodo di massima diffusione: molti poeti e scrittori ne
facevano uso, fra cui Coleridge, Baudelaire, De Quincey(autore de Le confessioni di un mangiatore d’oppio
e altri. Tuttavia il suo uso rimase per lo più circoscritto agli ambienti letterari e non si diffuse mai
veramente, per la concorrenza sul piano dell'uso "ricreativo" del suo principio attivo, la morfina, isolata nei
primi anni del secolo da Armand Sèquinche la chiamò così in onore di Morfeo, il dio del sonno e dei sogni
mentre un anno più tardi, Friedrich Sertüner, mise a punto un metodo economico per isolare e produrre la
morfina dall'oppio.

Le varieta' coltivate in Europa sono quasi esclusivamente a scopo ornamentale, e sono quindi
cultivarselezionate appositamente per la grandezzae i colori del fiore. La Coltivazione a scopo commerciale
avviene soprattutto in Asia. Il primo produttore mondiale d'oppio è l‘Afghanistan.

Secondo il World Drug Report dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il Controllo della droga e del Crimine ,
l'Afghanistan nel 2007 ha prodotto il 93% dell'oppio mondiale. La coltura del papavero è uno dei pochi
investimenti proficui per i contadini delle regioni povere ed arretrate. La superficie coltivata è stata pari a
ben 104.000 ettari nel 2005 e 165.000 ettari nel 2006.

Anche se oggi molti degli alcalini usati in medicina possono essere sintetizzati industrialmente, gran parte di
essi viene ancora ricavata dal papavero, perché risulta più economico.

Pianta annuale vigorosa a fusto dritto di 1-1,5 mt, scarsamente ramificato.

Viene coltivata, per la produzione di oppio, invariezone: nel vicino Oriente


(Turchia,Egitto,Turkistan,Iran,Irak), in India ed in Estremo Oriente, soprattutto nel cosidetto
“Triangolod’oro” (Birmania,Laos,Tailandia).

Le foglie sono poche ma molto grandi, spesse e le troviamo alla base del fusto. Sono sessili, alterne,
amplessicauli, di forma ovale oblunga e pennatinervie. Le foglie inferiori sono più grandi, pennatosette, con
segmenti (lobi) acuti. Le foglie apicali hanno un margine dentato, sono di forma cordato-auricolata,
generalmente glabre d di colore verde brillante.

I fiori presentano il peduncolo fiorale piegato e si vedono soltanto i due sepali, che sono uniti e di colore
verde. Quando il fiore sboccia (cioè all’antesi), i due sepali cadono e rimangono visibili solo i 4 petali di
colore rosso, molto intenso, ma generalmente ci sono vari colori in base alle cultivar che vengono utilizzate.

Tra le varietà oltre l’album, quella maggiormente utilizzata per l’oppio e caratterizzata dai petali bianco-
rosati con unghia basale scura, vanno ricordate le var. nigrume glabrum, dette papavero nero per il colore
dei fiori, e la var. setigerum, spontanea in Italia e dalla quale si ritiene siano derivate a seguito della
coltivazione le precedenti.
Nella descrizione del fiore, notiamo il l’androceo che è costituito da stami molto numerosi di colore diverso
a seconda della cultivar. Il pistillo invece è sormontato da uno stigma appiattito e sessile. Il gineceo può
essere composto da 8-12carpelli che formano un ovario uniloculare. All’interno dei carpelli sono presenti
dei setti incompleti, costituiti da placente, sulle quali sono inseriti molti ovuli. Lo stilo non è presente e lo
stigma è appiattito e sessile.

Il frutto è una capsula poricida (si apre mediante una serie di pori apicali), detta treto di forma sferica o
ovoidale. I semi sono molto piccoli e numerosi, di colore bianco, grigio e nero. A maturazione la capsula si
secca e prende un colore giallastro-marrone chiaro-scuro.

La droga è l’oppio, ossia il latice disseccato ottenuto per incisione del frutto immaturo, ancora verde.
L’oppio si presenta come una pasta dura, omogenea,dicolore bruno scuro e caratteristico sapore amaro.

Con apposite spatole si provvede alla raccolta del lattice e quindi al processo di essicazione che si
differenzia nei vari paesi: nei paesi ove la produzione è artigianale e gestita a livello familiare si lascia il
lattice al sole o in un luogo caldo e secco della casa fino ad ottenere una pasta gommosa di colore
grigiastro; nei paesi con produzione industriale, come in India, si procede a raccogliere il lattice in grandi
vasche esposte al sole provvedendo a mescolare il tutto con lunghi bastoni ogni mezz’ora, se ne ottiene un
impasto gommoso di colore nerastro scuro. In questo modo, mentre il lattice originale contiene una
percentuale di acqua pari al 70%, questa si abbassa nell’oppio al 30%. In Egitto per evitare la coltivazione
illegale non è permessa l’incisione e le capsule vengono raccolte quando ormai del tutto secche per
procedere ad un’estrazione chimica degli alcaloidi.

Principi attivi: L'oppio ha importanza per il contenuto percentuale in alcaloidi che va dal 10 al 30%. Gli
alcaloidi più importanti sono: morfina (principale costituente), codeina, tebaina, papaverina, narcotina.

Categoria: bechici e analgesici.

I preparati a base di oppio svolgono un’azione prevalentemente depressiva sul sistema nervoso centrale e
vengono perciò usati come analgesici e anestetici generali; possiedono un'intensa azione antispastica sulla
muscolatura liscia gastrointestinale.

Piccole dosi di oppio, assunte ripetutamente, come per esempio dai fumatori di oppio, indeboliscono i
centri cerebrali dell’autocontrollo della riflessione e della critica, attenuano sensazioni dolorose o moleste
come fame e stanchezza; inducono ebbrezza euforica, sicurezza in sé stessi che dà origine ad un flusso di
idee e rappresentazioni mentali. Dosi eccessive inibiscono il centro del respiro fino a portare al coma.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Amamelide

Nome scientifico: Hamamelis virginiana L.

Famiglia: Hamamelidaceae

Il fatto di fiorire d’inverno, a differenza delle altre piante, e di non soffrire nemmeno le gelate più intense,
fece sì che l’arbusto venne considerato come un elemento magico, speciale ed irreale.

Se si pensa che gli indiani pellerossa usavano il liquido ricavato dai rametti di Hamamelis, dopo lunga
ebollizione nell’acqua, per curare le ferite sanguinanti, e che l’applicazione faceva diminuire l’emorragia e
cicatrizzare le ferite, è facile intuire come ciò potesse apparire magico e miracoloso ai primi colonizzatori di
quelle terre.
Per queste così antiche e ininterrotte tradizioni, il nome witchhazel (arbusto stregato) è stato
popolarmente attribuito anche all’estratto oltre che alla pianta, a tal punto che, per più di due secoli, fu
usata addirittura per fabbricare le bacchette dei rabdomanti.

La pianta è stata importata in Europa nel 1735. Più tardi, nell’ottocento, si cominciò ad apprezzare il
distillato ottenuto dalle foglie, con il suo aroma vegetale aspro e gradevole, quale rimedio sicuro contro le
scottature del sole e il gonfiore che talvolta colpiva gli occhi per una lunga esposizione alla luce.

Poiché inoltre, in quell’epoca, ad essere abbronzate erano solo le contadine mentre le signore trovavano
molto più elegante l’incarnato pallido, come segno di nobiltà e classe, si iniziò ad impiegare regolarmente
l’acqua di Hamamelis allo scopo di mantenere la pelle bianca e vellutata.

L’effetto fondamentale è sempre stato, quindi, quello di lenire l’arrossamento provocato dal sole, grazie
all’azione rinfrescante dell’estratto che interrompe l’irritazione e favorisce il processo di guarigione, sia per
arrossamenti leggeri che più importanti.

Un altro campo d’applicazione invece, recentemente realizzato, consiste nell’uso del distillato di
Hamamelisper il trattamento dell’arrossamento spontaneo della pelle, comunemente conosciuto con il
nome di couperose. Tale preparato si ottiene mediante il trattamento macerativoin acqua tiepida della
mucillagine di Hamamelis fino a solubilizzare la parte.

Etimologia: dal greco "simile alla mela" (per il frutto). Virginiana, della Virginia.

La pianta è un arbusto, alto dai 2 ai 7 mt, presenta dei fusti tortuosi con dei rami flessibili, ricoperti di peli
protettori brunastri.

Le foglie sono intere, picciolate, grandi e hanno 3 caratteristiche da ricordare:

 Una base nettamente asimettrica;


 Un margine simuato dentato;
 Una nervatura secondaria molto abbondante.

Le foglie inoltre presentano dei peli di rivestimento unicellulari allungati, che sono raggruppati in mazzetti,
e li troviamo soprattutto sulla lamina fogliare inferiore vicino alla nervatura.

I fiori, che fioriscono in tardo autunno, sono di colore giallo, sono riuniti in glomeruli ascellari (costituiti da
2-3 fiori che presentano 4 sepali e 4 petali). Gli stami sono 4, invece l’ovario è costituito da 2 carpelli, e ogni
carpello presenta una loggia con un ovulo (ogni carpello uniloculare e uniovulato).

Droga: si utilizzano le foglie.

I costituenti delle foglie sono principalmente costituenti fenolici, flavonoidi e tannini. Le cortecce
contengono acido gallico.

Categoria: vasoprotettori, protettori della circolazione periferica.

Uso esterno (pomate, lozioni) come astringente e cicatrizzante.

Uso internonelle affezioni venose (varici, emorroidi, flebiti), e come vasocostrittore nasale, uterino, rettale,
polmonare.

Le mucillagini, estratte dalle foglie e ricche del particolare profumo della pianta, sono apprezzate in
cosmetica per gli arrossamenti della pelle.
ANGIOSPERME

La Canapa e il luppolo fanno entrambi parte della famiglia delle Cannabaceae, i loro rispettivi nomi
scientifici sono Cannabis sativa L., e Humulus lupus L.

Hanno delle caratteristiche in comune:

 Sono piante erbacee;


 Sono piante dioiche (presentano sia fiori femminili che maschili);
 Hanno come frutto la noce.

Nome volgare: Canapa

Nome scientifico: Cannabis sativa L.

Famiglia: Cannabaceae

Prove dell'utilizzo della cannabis si hanno fin dai tempi del Neolitico come dimostrato dal ritrovamento di
alcuni semi fossilizzati in una grotta in Romania. I più famosi fumatori di cannabis dell'antichità furono gli
Hindu di India e Nepal e gli Hashashin, presenti in Siria, dai quali prese il nome l'Hashish. La cannabis fu
anche utilizzata dagli Assiri, che scoprirono le sue proprietà psicoattive dagli Ariani e grazie ad essi, fu fatta
conoscere ed utilizzare anche a Sciiti e Traciani, che se ne servirono anche per riti religiosi. Nel 2003 fu
ritrovata in Cina una borsa di pelle contenente alcune tracce di cannabis e semi risalenti a 2500 anni fa.
Ganja è il termine in antica lingua sanscrita per la Cannabis, attualmente associato soprattutto alla cultura
creolo giamaicana che utilizza questo termine per indicare la marijuana, ritenuta dai Rastafariani
indispensabile per la meditazione e la preghiera.

Con le materie prime della canapa si possono produrre, in modo pulito ed economicamente conveniente,
tessuti, carta, plastiche, vernici, combustibili, materiali per l'edilizia ed anche un olio alimentare di altissime
qualità. La canapa è stata, tra le specie coltivate, una delle poche conosciute fin dall'antichità sia in Oriente
che in Occidente. In Cina essa era usata fin dalla preistoria per fabbricare corde e tessuti, e più di 2000 anni
fa è servita per fabbricare il primo foglio di carta. Nel Mediterraneo già i Fenici usavano vele di canapa per
le loro imbarcazioni. E nella Pianura Padana la canapa è stata coltivata per la fibra tessile fin dall'epoca
romana.

La canapa è una pianta dal fusto alto e sottile, con la parte sommitale ricoperta di foglie, e può superare i 4
metri d'altezza. La parte fibrosa del fusto si chiama "tiglio" e la parte legnosa "canapolo". La canapa può
essere coltivata per la fibra tessile o per i semi.

Una importante caratteristica della pianta di canapa è la sua produttività. E' una delle piante più produttive
in massa vegetale di tutta la zona temperata: una coltivazione della durata di tre mesi e mezzo produce una
biomassa quattro volte maggiore di quella prodotta dalla stessa superficie di bosco in un anno. Molti
contadini vogliono riprendere a coltivare la canapa se non altro perchè, data la sua velocissima crescita,
essa sottrae la luce e soffoca tutte le altre erbe presenti sul terreno, e lo libera quindi da tutte le infestanti
meglio di quanto non sappiano fare i diserbanti.
La pianta di canapa, più produttiva in fibra tessile del cotone, oggi può essere lavorata in impianti che
sostituiscono le lunghe e faticose lavorazioni manuali di un tempo. La sua coltivazione richiede pochi
pesticidi e fertilizzanti, mentre il cotone specialmente di pesticidi ne richiede moltissimi. Inoltre la fibra
della canapa è molto più robusta e dura più a lungo. Attualmente può essere lavorata in modo da renderla
sottile quanto si vuole, e viene proposta in sostituzione del cotone e delle fibre sintetiche.

I semi di canapa contengono proteine di elevato valore biologico ed un olio nella percentuale dal 30 al 40
%. Per il loro valore nutritivo i semi di canapa sono stati proposti come rimedio alla carenza di proteine dei
paesi in via di sviluppo. Le qualità dell'olio di canapa sono eccezionali. E' particolarmente ricco di grassi
insaturi ed è l'ideale per correggere la dieta dell'uomo moderno e per prevenire le malattie del sistema
cardiocircolatorio. Altrettanto straordinarie sono le proprietà di questo olio per gli usi industriali: non a caso
è stato paragonato all'olio di balena. Le vernici fabbricate con questa materia prima, oltre a non essere
inquinanti, sono di qualità incomparabilmente superiore rispetto a quelle prodotte con i derivati del
petrolio. Con l'olio di canapa si possono inoltre fabbricare saponi, cere, cosmetici, detersivi (veramente
biodegradabili), lubrificanti di precisione ecc.

Una volta estratta la fibra tessile o dopo aver raccolto di semi, rimangono la stoppa più la parte legnosa o
canapolo, che non si possono considerare solo un semplice sottoprodotto, ma un'altra importante materia
prima. Con la stoppa si può fabbricare carta di alta qualità, sottile e resistente. Con le corte fibre
cellulosiche del legno si può produrre la carta di uso più corrente, come la carta di giornale, i cartoni ecc.
Fare la carta con la fibra e il legno della canapa comporta importanti vantaggi: innanzitutto per la sua
enorme produttività in massa vegetale, e poi perchè la si può ottenere da un'unica coltivazione insieme alla
fibra tessile o ai semi. Un altro grosso vantaggio della canapa è costituito dalla bassa percentuale di lignina
rispetto al legno degli alberi (20 % VS 40 %). Attualmente le grandi cartiere utilizzano solo il legname degli
alberi. CARTA Il processo per ottenere le microfibre pulite di cellulosa, e quindi la pasta per la carta,
prevede l'uso di grandi quantità di acidi che servono per sciogliere il legno. Questa operazione, ad un
tempo costosa ed inquinante, non è necessaria con la carta di canapa ottenuta dalla sola fibra, e per quanto
riguarda il legno di acidi ne servono meno della metà. Inoltre la fibra e il legno della canapa sono già di
colore bianco e la carta che se ne ottiene è già stampabile. E per renderla completamente bianca è
sufficiente un trattamento al perossido di idrogeno (acqua ossigenata), invece dei composti a base di cloro
necessari per la carta ricavata dal legno degli alberi.

Con i fusti interi della canapa, pressati con un collante, si possono fabbricare tavole per l'edilizia e la
falegnameria in sostituzione del legno, che sono di grande robustezza, flessibilità ed assai più leggere.

Con la cellulosa di cui la pianta è ricca, attraverso un processo di polimerizzazione, si possono ottenere
materiali plastici pienamente degradabili che, se in molti casi non possono competere con le sofisticate
materie plastiche di oggi, hanno comunque fin dall'inizio una serie di usi importanti per imballaggi, isolanti
e così via.

La canapa, per la sua alta resa in massa vegetale, è considerata anche la pianta ideale per la produzione di
combustibili da biomassa in sostituzione dei prodotti petroliferi. Bruciare combustibili da biomassa anzichè
petrolio non fa aumentare l'effetto serra. Infatti l'anidride carbonica viene prima sottratta all'atmosfera
durante la crescita della pianta, e poi restituita all'aria al momento della combustione. In questo modo la
quantità di anidride carbonica dell'atmosfera non aumenta, al contrario di quello che succede se si bruciano
idrocarburi fossili.

Se è vero che con la canapa si possono produrre tutte queste materie prime come mai le proprietà di
questa pianta sono così poco conosciute e così poco sfruttate?

 Interruzione delle coltivazioni per difficoltà di lavorazione;


 Proibizione coltivazione della canapa;
 Riprogettazione dei processi produttivi.

Esistono però già fin d'ora molti fattori che premono perchè la macchina produttiva si metta in movimento:

Sia in Europa che nel Nord America i coltivatori sono da tempo alla ricerca di nuove colture che possano
ampliare il mercato in settori diversi da quello alimentare.

Anche la CEE è interessata a promuovere coltivazioni a destinazione non alimentare, ed ha individuato nella
canapa una delle colture più interessanti. Per questo ha deciso di sovvenzionare i coltivatori di canapa e di
sostenere la ricerca per mettere a punto i processi di lavorazione. Anche il mercato è pronto a ricevere i
prodotti della canapa.

Il 2016 verrà ricordato come l’anno in cui è stata approvata la legge che disciplina il settore della canapa
industriale. Nonostante la coltivazione di canapa industriale non sia mai espressamente stata vietata nel
nostro Paese, la mala interpretazione delle leggi antidroga ha portato le forze dell’ordine ad arrestare e
sequestrare le coltivazioni di chi negli anni ’70 e ’80 aveva provato riprendere la coltivazione della canapa
da fibra o da seme. Questa situazione di incertezza si è protratta fino al 1997, anno della circolare del
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali contente disposizioni relative alla coltivazione della Cannabis
sativa, integrata poi della circolare n.1 dell’8 maggio 2002. Un’altra circolare del ministero della Salute del
22.05.2009 consente la produzione e commercializzazione di prodotti a base di semi di canapa per l’utilizzo
nei settori dell’alimentazione umana, anche se non risolve il problema dell’eventuale percentuale di THC
contenuto negli alimenti. La legislazione europea si basa invece sui regolamenti 953 del 2006 e 507 del
2008.

CON LA NUOVA LEGGE DEL 2016 POSSO COLTIVARE CANAPA? La risposta è sì. In Italia è possibile coltivare
canapa utilizzando sementi registrate nell’Unione europea che abbiano un contenuto massimo di THC
certificato dello 0,2%. OBBLIGHI PER IL COLTIVATORE. Non è più necessaria alcuna autorizzazione per la
semina di varietà di canapa certificate con contenuto di THC al massimo dello 0,2%. Quindi significa che la
comunicazione alla più vicina stazione forze dell’ordine (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza)
tramite un modulo denuncia, NON è più necessaria. Gli unici obblighi per il coltivatore sono quello di
conservare i cartellini della semente acquistata per un periodo non inferiore a dodici mesi e di conservare le
fatture di acquisto della semente per il periodo previsto dalla normativa vigente.

CONTROLLI E PERCENTUALI DI THC. La percentuale di THC nelle piante analizzate potrà oscillare dallo 0,2%
allo 0,6% senza comportare alcun problema per l’agricoltore. Gli eventuali controlli verranno eseguiti da un
soggetto unico e sempre in presenza del coltivatore, e gli addetti al controllo sono tenuti a rilasciare un
campione prelevato per eventuali contro-verifiche. Nel caso in cui la percentuale di THC dovesse superare
la soglia dello 0,6%, l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione della coltivazione, ma
anche in questo caso “è esclusa la responsabilità dell’agricoltore“.

DOVE POSSO TROVARE I SEMI? Come detto i semi devono essere varietà certificate che abbiano al massimo
lo 0,2% di THC. Attualmente come varietà italiane sarebbero disponibili la Carmagnola, la Fibranova e
l’Eletta Campana, ma se non vengono prodotti semi a sufficienza per soddisfare tutte le richieste, è
possibile importare semi dalla Francia, dalla Germania o dall’est Europa (Ucraina e Ungheria
principalmente). In alternativa su Facebook è attivo il gruppo Canapa Sativa Italia nel quale spesso diversi
coltivatori si uniscono per acquistare insieme i semi ed abbattere i costi.

Questa pianta è originaria dell’Asia centrale e occidentale, e viene coltivata in India, Medio Oriente e Nord
Africa. È una pianta erbacea, dioica, annuale, e di notevoli dimensioni (arriva ad una altezza anche di 4 mt,
anche se generalmente si ferma ai 2 mt). I fusti sono eretti, sottili, scanalati longitudinalmente, che portano
numerose foglie e brattee stiporate (stipore: appendici simmetriche che si trovano alla base del picciolo
fogliare), che sono semplici o composte. Le brattee sottendono delle bratteole, le quali racchiudono i fiori
pistilliferi.

Le foglie della Canapa sono palmato-composte, con delle penne lanciolate, strette e allungate, di colore
verde scuro, con margine seghettato. Nella parte più bassa della pianta, le foglie sono opposte e composte
da 5-7 foglioline; invece nella parte apicale della pianta, le foglie sono alterne, semplici o trisegmentate.

Al microscopio si nota sulle due facce della foglia la presenza di numerosi peli protettori unicellulari a
parete liscia ed estremità ricurva e anche di peli secretori con piede pluricellulare e testa secretrice 8-16
cellulare globosa. Questi ultimi peli, piuttosto radi nelle foglie, sono molto numerosi nelle brattee delle
infiorescenze ed essendo ricchi di olio essenziale resinoso costituiscono una parte caratterizzante della
droga.

I fiori sono piccoli e raggruppati in infiorescenze, sono maschili e femminili su piante diverse. I fiori maschili
sono riuniti in racemi ascellari e presentano 5 sepali e 5 stami, mentre i fiori femminili sono portati in
spighe glomerulate e sono disposti a coppie, all’ascella di una brattea. Questi ultimi presentano un calice
urceolato, che circonda un ovario che è uniovulato.

Il frutto è una noce di 2,5 – 3,5 mm di lunghezza, liscia e grigiastra.

Per lungo tempo si sono distinte due specie, la C. sativa e la C. indica, con riferimento soprattutto
rispettivamente all'utilizzo industriale (canapa da fibra) o voluttuario. Infatti, dai suoi fusti si estrae,
mediante macerazione e battitura, una fibra resistentissima e lucente, ma può essere presente anche una
alta quantità di resina ricca di sostanze che si considerano attive sul SNC.

Le due entità presentano tuttavia una tale plasticità della forma da non poter essere distinte su base
morfologica, mentre l'analisi chimica ne permette la classificazione in tre tipi principali sulla base della
concentrazione dei cannabinoidi principali, cioè il delta-1-tetraidrocannabinolo (D1 -THC, o semplicemente
THC, ma anche D9-THC. a seconda del tipo di numerazione, psicoattivo) e cannabidiolo (CBD, non
psicoattivo).

 Droga per fini voluttuari ad alto tenore di THC (>1%) e prive di CBD, composizione prevalente in
piante che crescono in zone calde e che producono molta resina.
 Tipo a fibra. Piante a basso tenore di THC (<0,3%) ed alto tenore in CBD. Piante coltivate nelle zone
temperate e fredde per fini tessili.
 Piante a forte tenore di THC e CBD, piante della regione mediterranea.

La tipologia, sebbene derivata da basi genetiche, presenta variazioni per cui piante ad alta produzione di
resina, una volta coltivate in climi differenti hanno riscontrato un abbassamento notevole del contenuto in
THC; in questo modo la progenie di piante europee da fibra, coltivate per pochi anni in Egitto regredisce in
piante che producono resina, e viceversa. Esistono numerose forme di preparazione clandestine della
canapa che variano a seconda dei paesi, degli utilizzatori, ecc.

 Marijuana: preparazione con tenore in THC piuttosto modesto (2-6%). Si tratta di sommità fiorite,
più o meno mescolate a foglie, a volte anche a fusti e a semi.
 Haschich: preparazione ad alto contenuto di THC (5-20%) rappresentata dalla sola resina.
 Haschich liquido o olio di canapa: preparazione con THC molto concentrato (>50%).

L’uso della canapa in Italia è illecito anche se alquanto diffuso.

IMPIEGHI: l’uso voluttuario principale si riferisce al fumo, con effetti di eccitazione, aumento del battito
cardiaco, dilatazione delle pupille, ed a forti dosi allucinazioni e delirio. In farmacologia è stato soprattutto
studiato il THC, classificato come un allucinogeno. Data l'amplissima ed antica diffusione mondiale, si
registra un elevato numero di svariati usi popolari, in Italia in particolare l'olio dei semi trova impiego per
trattare le infiammazioni delle mucose. Il polline è classificato come un aeroallergene causando riniti
allergiche e asma bronchiale. La letteratura riguardante la tossicità della canapa è piuttosto controversa,
soprattutto nell’interpretazione dei dati e sulla loro rilevanza. Alla canapa sono ascritte: temporanea
sterilità, danno cerebrale, bronchiti, e cambiamenti di personalità, congestioni, emorragie in vari organi, in
particolare a carico dell’apparato digestivo.

Possibili indicazioni terapeutiche: L'efficacia terapeutica della cannabis non è ben definita, alcune ricerche
traggono conclusioni contrastanti e spesso le evidenze sono scarse o mediocri. In considerazione delle
evidenze scientifiche prodotte si può affermare che l’uso medico della cannabis non può essere considerato
una terapia propriamente detta, bensì un trattamento sintomatico di supporto ai trattamenti standard,
quando questi ultimi non hanno prodotto gli effetti desiderati, o hanno provocato effetti secondari non
tollerabili, o necessitano di incrementi posologici che potrebbero determinare la comparsa di effetti
collaterali.

In Italia i possibili impieghi della cannabis ad uso medico definiti dal Decreto del Ministro della salute del 9
novembre 2015 recante “Funzioni di Organismo statale per la cannabis previsto dagli articoli 23 e 28 della
convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972.” riguardano:

 l’analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del
midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali;
 l’analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento
con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace;
 l’effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia,
radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali;
 l’effetto stimolante dell’appetito nell’anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti
da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard;
 l’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Lupus

Nome scientifico: Humulus Lupus L.

Famiglia: Cannabaceae

Il nome latino del luppolo è Humulus lupulus o pianta Lupo. Dal latino Humus = terra in riferimento
all’andamento prostrato dei suoi fiori, e lupulus = lupo forse per il suo portamento indomito e selvaggio
restio ai tentativi di piegarsi come pianta coltivata.

Il luppolo è universalmente conosciuto come aromatizzante e conservante naturale nella birra.


Tradizionalmente i fiori di luppolo sono stati usati come aiuto per dormire bene. Cuscini riempiti di luppolo
venivano usati come guanciale. Il luppolo è stato usato per la prima volta nel 16mo secolo in Inghilterra per
aromatizzare la birra. Viene ancora usato in Europa come rimedio per l'insonnia.

Può stupire l'apprendere che il luppolo appartiene alla stessa famiglia della Cannabis; in effetti questa
pianta è conosciuta sin dai tempi più remoti per i suoi effetti soporiferi e calmanti. I lavoratori delle vecchie
fabbriche di birra, trattando il luppolo, dopo lungo tempo accusavano sonnolenza e dovevano interrompere
il lavoro periodicamente per evitare di cadere addormentati.
Nell'antico Egitto e all'epoca Romana in Europa, il luppolo veniva usato per curare le malattie del fegato, i
disturbi digestivi, i disturbi e alcune malattie femminili e come purificante del sangue. Quando i romani
occuparono la Britannia, considerarono il luppolo come una prelibatezza e iniziarono ad usarlo per infusi e
fermentazioni di cereali assieme agli altri ingredienti usati a quel tempo come rosmarino, mirto,
maggiorana, menta, camomilla e fieno. A poco a poco però col modificarsi dei gusti e delle abitudini, questi
ingredienti caddero in disuso tranne il luppolo che rimase e divenne un elemento basilare nella
preparazione della birra.

Due sono le ragioni di questo successo: la prima è che la pianta fornisce al mosto un delizioso aroma e
profumo e una rinfrescante nota amara, l'altra è che il luppolo agisce come conservante fornendo stabilità
alla birra e permettendole di mantenere a lungo le sue caratteristiche organolettiche.

Proprio questa particolare proprietà conservativa del luppolo ha favorito il trasporto, la diffusione e la
conservazione della birra in tutto il mondo: infatti prima dell'utilizzo del luppolo la birra prodotta era
destinata solo all'uso locale in quanto, senza l'azione conservante naturale della pianta, si guastava
velocemente.

E’ una specie spontanea, comune in tutta l'Europa, Siberia, Caucaso e nel Nord America. Largamente
coltivata in Germania, Belgio, Olanda, Inghilterra perché utilizzata nella fabbricazione della birra. Il luppolo
è una pianta erbacea perenne, dioica, a fusto volubile che si sviluppa sempre in forma destrorsa su sostegni
vegetali, raggiungendo generalmente l’altezza di 3-6 mt allo stato naturale.

È una pianta erbacea perenne, dioica e ha un fusto volubile (si arrampica), che si sviluppa sempre in forma
destrorsa su sostegni vegetali, raggiungendo sempre i 3-6 mt allo stato naturale.

Le foglie sono palamatifide, profondamente divise dall’incisione della lamina in un numero di lobi che va da
3 a 5, i quali sono ovali, con apice acuto, con margine seghettato. Queste foglie come il fusto sono irsute, e
sono opposte.

Gli staminiferi (maschili), verdastri, sono disposti in grappoli, composti all’ascella delle foglie. I fiori
pistilliferi (femminili), all’estremità dei rami, sono raggruppati in coni, riuniti in grappoli. Ciascun cono
ovoide è costituito da numerose brattee fogliacee, giallastre, membranose a maturità, che si ricoprono
l’una all’altra, e portano numerose ghiandole contenenti un’oleoresina di colore giallo-arancio. All’ascella di
ciascuna di esse sono inseriti due fiori femminili, che dopo una fecondazione, danno origine ad una noce
(frutto).4

La Droga si ottiene per sbattitura o setacciamento dei coni femminili si ottiene una polvere giallastra,
untuosa ed attaccaticcia al tatto denominata luppolino, dall’odore caratteristico, speziato e sapore
spiccatamente amaro. La droga è quindi costituita dalle infiorescenze femminili o dalle sole ghiandole
resinifere.

Principi attivi: flavonoidi e un olio essenziale costituito soprattutto da mono e sesquiterpeni. I prodotti
responsabili del caratteristico sapore amaro sono dei derivati del fluoroglucinolo: lupulone e humulone e
loro derivati.

Categoria: neurodepressori.

L’indicazione principale riguarda l’azione sedativa e ipnotica, da usarsi in stati di agitazione, insonnia ed
eccitazione nervosa, anche in associazione con altre droghe sedative. Gli usi dell’infuso dei coni riguardano
invece l’azione amaro-stomachica, il trattamento di infiammazioni della vescica e per uso esterno la cura di
ferite e lesioni della cute. Provoca frequentemente dermatiti che si manifestano con eruzioni purpuree
localizzate nel viso, sulle mani e sulle gambe. Principi attivi: flavonoidi e un olio essenziale costituito
soprattutto da mono e sesquiterpeni. I prodotti responsabili del caratteristico sapore amaro sono dei
derivati del fluoroglucinolo: lupulone e humulone e loro derivati.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Rabarabaro

Nome scientifico: Rheum palmatum L. e R. officinale Baill

Famiglia: Polygonaceae

L'uso del rabarbaro a scopo alimentare o medicinale ha origini antichissime in alcune popolazioni asiatiche.
Sembra che i Cinesi lo usassero già dal 2700 a.C e che rientrasse fra gli alimenti tradizionali delle
popolazioni mongole. L'uso alimentare fra le popolazioni occidentali, soprattutto di cultura anglosassone,
risale invece ad epoche più recenti, probabilmente introdotto a seguito dell'espansione coloniale delle
superpotenze europee. L'uso alimentare si limita ai piccioli fogliari carnosi, impiegati come ingrediente
principale o secondario in varie pietanze ma soprattutto per la preparazione di torte dolci o salate e
marmellate. Le foglie possono inoltre essere utilizzate come succedaneo degli spinaci, tuttavia l'uso è
categoricamente sconsigliato a causa dell'elevato tenore in acido ossalico.

In campo industriale è utilizzato nel settore farmaceutico per la produzione di farmaci. Nel settore
liquoristico è impiegato come ingrediente base per la produzione di amari tonico-digestivi oppure come
ingrediente correttore del sapore per aperitivi e amari a base d'erbe aperitivi. L'uso del rabarbaro come
ingrediente secondario è dovuto soprattutto al suo aroma gradevole, che contribuisce a migliorare il
bouquet dei preparati.

Le piante del rabarbaro sono di grandi dimensioni, perenni, che presentano un rizoma voluminoso e
tubercolato. Esse crescono sull’altopiano centrale asiatico, in Tibet, in Cina sud orientale, ad altitudini di
circa 3000 mt sul livello del mare.

Le foglie sono molto grandi (diametro fino a 40 cm), palmate, possono essere più o meno profondamente
incise in 5-7 lobi principali. Hanno nervature molto evidenti, soprattutto sulla pagina fogliare inferiore,
possiedono un lungo picciolo, subcilindrico e carnoso, che sono abbondanti nella parte basale della pianta.

I fiori sono piccoli, generalmente bianchi (ma anche di altri colori), presentano 6 petali, 2-9 stami e un
ovario tricarpellare. I fiori sono portati in grandissime pannocchie che possono essere alte anche 2 mt, e
appaiono dal terzo o quarto anno di vita della pianta.

Il frutto è una noce rossastra, trìgona (che deriva dall’ovario tricarpellare), presenta calice persistente e 3 ali
membranose rossastre.

La droga è costituita dalle radici decorticate e dal rizoma essiccato, che si raccoglie in primavera o autunno
da piante vecchie di almeno 6 anni, ed è sottoposta al taglio e a rapida essicazione. Si usa soprattutto il
rizoma essiccato che deve presentarsi in pezzi compatti, secchi, fibrosi, coperti di polvere gialla.
Componenti principali: composti antrachinonici sia semplici che che glicosidati, acido crisofanico, acido
catartico, emodina.

Principi attivi principali: composti antrachinonici, ma anche il ratannino, denominazione che indica un
insieme di tannini attivi.

Somministrato a piccole dosi il Rabarbaro agisce come amaro digestivo, è perciò un efficace e
gradevolissimo stimolante della digestione gastrica. A dosi più alte agisce come stimolante della peristalsi
intestinale ed è usato nella stitichezza cronica con grandi vantaggi. Ha virtù colagoghe ed è perciò utile nelle
malattie croniche del fegato. Viene associato a droghe di azione eupeptica come la china o la genziana o di
azione purgativa come l’aloe, la senna, la cascara. I tannini dovrebbero essere coinvolti nell’attività
antinfiammatoria. Dosi eccessive possono causare nausea e vomito, accompagnati da dolori addominali.

L'uso medicinale del rabarbaro riguarda il rizoma. Sotto questo aspetto il rabarbaro per eccellenza
s'identifica nella specie Rheum palmatum, più nota con il nome comune di Rabarbaro cinese. Le stesse
proprietà del rabarbaro cinese possono tuttavia essere estese a tutto il genere, anche se possono esserci
differenze nel tenore in principi attivi.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Tè

Nome scientifico: Camellia sinensis Sims. (L.) Kuntze (= Camelia thea Link)

Famiglia: Theaceae

Secondo un'antica leggenda fu l'imperatore cinese Shen nung a scoprire il tè e sembra che egli avesse
l'abitudine di ristorarsi nelle pause dei suoi viaggi con acqua di ruscello riscaldata in un recipiente.
All'ombra di un albero alcune foglie caddero nella sua tazza e, assaggiatola, il sapore lo conquistò. Nella
Cina l'uso del tè risale al III secolo, inizialmente presso le prime comunità monastiche buddhiste, quindi
presso i cinesi convertiti al buddhismo, infine diffuso in tutta la società. Il tè fu conosciuto dai Portoghesi,
che nel XVI secolo esplorarono il Giappone, e di qui fu importato in Europa dalla Compagnia Olandese delle
Indie Orientali. Qui ebbe un immediato successo: divenne dapprima popolare in Francia ed in Olanda, poi
(forse intorno al 1650) ebbe diffusione anche in Gran Bretagna.

Alexander Dumas padre disse che fu nel 1666, sotto il regno di Luigi XIV, che il tè, dopo una opposizione
non meno viva di quella sostenuta nei confronti del caffè, s'introdusse in Francia. In seguito entrò nelle
consolidate tradizioni inglesi. I ricchi e gli aristocratici lo sorbivano da porcellane cinesi e in tazze piuttosto
piccole, mentre gli altri ricorrevano alle mug, tazza in ceramica comune, più capiente e senza sottotazza.

È un piccolo albero sempreverde di 5-10 mt, molto ramificato, originario delle foreste pluviali asiatiche
(Cina meridionale, Laos, Tailandia, Vietnam) e diffusamente coltivata in India, Sri Lanka, Cina, Sud Est
asiatico, Giappone, Kenia, Turchia, Argentina, paesi in cui il clima caldo e umido consente alla pianta di
emettere continuamente i germogli che vengono raccolti per preparare la droga.

Il tè di miglior qualità viene coltivato ad un'altitudine compresa fra i 1200 e i 2500 metri sopra il livello del
mare, in aree tropicali e subtropicali, poiché questa pianta ha bisogno di un'estate calda ed umida e di un
inverno freddo ma non secco. Temperatura, precipitazioni, caratteristiche del terreno, altitudine,
coltivazione e lavorazione sono tutti fattori che concorrono a dar vita a numerose varietà di tè. Per avere tè
di ottima qualità si devono raccogliere solo i germogli chiamati orange e pekoe, costituiti da due foglioline
aperte che racchiudono una gemma ancora chiusa chiamata tips, la terza foglia è meno pregiata ed è detta
souchon.

Le foglie sono persistenti, ovali, oblunge, il margine è dentato, l’apice acuminato. Sono molli e vellutate
(grazie alla presenza di peli unicellualari che danno una consistenza setosa) quando sono giovani, e glabri e
coriacee da adulte.

I fiori presentano 6-9 petali di colore bianco crema, sono solitari o in piccoli gruppi solitari, sono ermafroditi
e actinomorfi. Gli stami sono numerosi, riuniti alla base, presentano un filamento biancastro e antere di
colore giallo-oro. L’ovario è ricoperto di una peluria biancastra, ed è sormontato da un corto stilo, con uno
stigma trifido. Il frutto è una piccola capsula.

In cultura le piante sono mantenute ad un’altezza di circa un metro per facilitare la raccolta, che è fatta
quasi esclusivamente a mano. Vengono raccolte le gemme terminali non schiuse (pekoe) e le prime foglie,
giovani e morbide.

Esistono molte varietà di tè a seconda dell’origine geografica, del tipo di foglie (più o meno giovani), del
trattamento, dell’eventuale profumazione aggiuntiva, ecc. Commercialmente si distinguono diverse varietà
di tè:

 Tè verdi: le foglie sono stabilizzate immediatamente con getti di vapore e poi arrotolate e
leggermente torrefatte. In questo modo la clorofilla resta più o meno intatta, il colore può essere
rinforzato con aggiunta di indaco, curcuma, ecc.; il tè rimane verde ma poco profumato.
 Tè oolong: Solo parzialmente fermentati sono poco conosciuti in Europa.
 Tè neri: le foglie vengono fatte leggermente appassire leggermente e quindi arrotolate. In questo
modo le foglie emettono un po’ di succo cellulare, gli enzimi entrano in contatto con il substrato e
si ha una fermentazione che viene protratta per alcune ore in ambiente molto umido. Quindi le
foglie si anneriscono per ossidazione dei polifenoli e si sviluppa l’aroma. La droga viene poi seccata
con aria calda. Questo tipo di tè rappresenta circa l’80% del mercato mondiale. A seconda del
trattamento che subiscono le foglie, il contenuto in caffeina non cambia, ma cambia notevolmente
l’aspetto, il gusto e l’aroma dell’infuso.
Una lavorazione del tutto particolare viene seguita per la produzione del tè bianco: le foglie
vengono lasciate appassire naturalmente finché perdono circa l'ottanta per cento dell'umidità,
dopodiché si fanno essiccare a fuoco basso.

Il tè contiene alcaloidi xantinici, principalmente caffeina (2,5-4,5%), da identificarsi con la cosiddetta teina
ed a cui si deve un’azione debolmente eccitante, ma anche teobromina (circa 0,05%) e teofillina (0,02-
0,04%), sembra che questi alcaloidi siano legati a tannini (10-20%). Importante anche il contenuto di
vitamine, soprattutto del gruppo B, incluse B2 ed acido nicotinico. Le foglie in infuso sono considerate
stimolanti, eccitanti, antidiarroiche e diuretiche. Attualmente l’interesse si è concentrato anche sugli effetti
antiossidanti, dovuti alla presenza di polifenoli, contenuti soprattutto nel tè verde.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Iperico o Erba di S. Giovanni

Nome scientifico: Hypericum perforatum L.

Famiglia: Clusiaceae o Guttifere


Il nome botanico “Hypericum” deriva probabilmente dal greco yper che significa ‘superiore’ ed eikon che
significa ‘immagine’; gli antichi Greci e Romani infatti, ritenendo che l’iperico proteggesse dagli spiriti
maligni, lo posizionavano sopra le statue raffiguranti le loro divinità e lo appendevano nelle abitazioni.
L’iperico è impiegato fin dall’antichità per la cura di disturbi psicosomatici e psichici; già nel 4° secolo a.C.
era impiegato dai seguaci di Ippocrate come analgesico e per curare la tensione nervosa e l’insonnia.

Nell’Historia Naturalis del romano Plinio il Vecchio (23-79 d. C.) è presente la prima indicazione terapeutica
riconosciuta, riguardante la cura delle ustioni. Anche nel mondo arabo erano sfruttate le virtù cicatrizzanti
dell’iperico per ferite e scottature. Alla tendenza dei primi cristiani a trasformare rituali primaverili pre-
esistenti al Cristianesimo in feste di santi si deve il nome comune Erba di San Giovanni. La pianta infatti,
essendo tra giugno e luglio il periodo della sua fioritura massima in Europa, veniva tradizionalmente
raccolta il 24 giugno, giorno della celebrazione di San Giovanni Battista; dopo la raccolta era conservata in
olio d’oliva per diversi giorni al fine di ottenere un olio per l’unzione degli infermi che, tingendosi del colore
rosso dell’essudato rilasciato dai fiori, veniva associato al sangue del santo.

Nel Medioevo l’Hypericum era soprannomina to ‘erba scacciadiavoli’ perchè il forte odore che si ottiene
bruciando la pianta, simile a quello dell’incenso, era considerato magico e in grado di tenere lontani gli
spiriti maligni. I Crociati durante le spedizioni portavano la pianta con loro per difendersi dai malefici e
usavano fiori e foglie, sotto forma di unguento, per velocizzare la cicatrizzazione delle ferite in battaglia. Il
medico e alchimista Paracelso nel 1525 raccomandò l’Hypericum perforatum per il trattamento di
depressione, malinconia e sovraeccitazione.

Nella prima London Pharmacopea, datata 1618, è spiegato che l’oleolito ottenuto tramite immersione dei
fiori in olio per tre settimane è terapeutico per ferite e contusioni. Tra gli impieghi tradizionali dell’iperico vi
sono anche i trattamenti per gotta, reumatismi e ittero. All’inizio del ventesimo secolo il medico francese
Leclerc confermò le proprietà antidolorifiche, antinfiammatorie e cicatrizzanti dell’estratto di iperico
applicato sulle lesioni cutanee. A partire dagli anni ’70 la ricerca si è concentrata sull’azione antidepressiva
dell’iperico. La Commissione E tedesca, un comitato consultivo scientifico che si occupa di sostanze e
prodotti utilizzati nella medicina erboristica, tradizionale e popolare, ha approvato l’iperico per i seguenti
impieghi: -sottoforma di estratto standardizzato di iperico titolato in ipericina per gli stati depressivi da lievi
a moderati, ansia, irritabilità, nervosismo, disturbi del sonno -sottoforma di olio da applicare localmente per
ferite, contusioni, ustioni di primo grado, dolori muscolari.

L’Iperico è una pianta erbacea perenne, che è presente in molti paesi, è considerata una pianta infestante,
dannosa per ecosistemi naturali e terreni agricoli, e velenosa per gli animali al pascolo. Essa presenta un
caule esile e ramificato, con un’altezza usuale per una pianta erbacea, ovvero di massimo 60 cm.

L’Hypericum perforatum si trova comunemente in terreni incolti, ai margini delle strade e in aree desolate.
Originariamente distribuito in Europa, Africa settentrionale e Asia occidentale, è stato poi introdotto in
molte altre aree a clima temperato, soprattutto in America settentrionale, Sud Africa, Australia, Nuova
Zelanda.

Le foglie sono piccole, glabre, semplici, l’inserzione, opposte, la forma è ovale, oblunga e brevemente
picciolate. Le foglie, però, presentano caratteristiche importanti:

 La presenza sul margine di strutture ghiandolari, che si chiamano globuli neri;


 Sulla lamina sono presenti tasche secretrici traslucide visibili in trasparenza.

I fiori sono riuniti in grappoli, presentano 5 sepali verdi, 5 petali gialli, numerosi stami lunghi e ben evidenti.
L’ovario è tricarpellare sormontato da uno stilo di colore rosso scuro.
Lungo i margini dei petali, sono presenti gli stessi globuli neri ghiandolari delle foglie, ma sono più grandi e
in numero maggiore. Se vengono schiacciati, i globuli neri rilasciano un olio contenente il naftodiantrone
ipericina che conferisce un colore rosso scuro.

Il frutto è una capsula ovoidale, i semi sono oblunghi, di colore marrone scuro, ruvidi, presentano molte
scanalature e delle punte corte e affilate all’estremità.

La droga dell’Iperico è rappresentata dalle sommità fiorite che vengono essiccate all’ombra, raccolte alla
fioritura e costituite da fiori, foglie e pezzi di caule.

Principi attivi: tra i costituenti principali in primo luogo i diantrachinoni specifici come l’ipericina e composti
correlati, flavonoidi (iperoside, rutina), tannini, un olio essenziale (con pirocanfoni, pineni e canfeni) e
iperforina, un principio antibiotico con struttura simile a quella degli umuleni.

Categoria: antidepressivi

Questa pianta è stata usata fin dall’antichità per le proprietà antisettiche e cicatrizzanti. Popolarmente
molto utile nella cura delle scottature. Recentemente l’interesse per questa specie si è enormemente
accresciuto in quanto riconosciuta utile nel trattamento della depressione. Usi erboristici: olio d'Iperico per
curare le scottature, come vulnerario, per il trattamento di ferite, ustioni e mialgie. L’ipericina è
fotosensibilizzante, => effetti negativi per pelli chiare.

Uso interno: azione antidiarroica, digestiva, diuretica, contro i reumatismi, la gotta.

Studi scientifici recenti hanno concluso che l’Hypericum perforatum presenta, nel trattamento della
depressione, un’efficacia superiore al placebo e paragonabile a quella dei farmaci antidepressivi standard
ma con meno effetti collaterali.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Tiglio

Nome scientifico: Tilia platyphyllos Scop., T. cordata Miller

Famiglia: Tiliaceae

Il Tiglio è una pianta molto longeva. E' famoso il tiglio del cimitero di Macugnaga in provincia di Verbania
che si ritiene messo a dimora nel 1200 con una circonferenza di base di 7 m.

Il nome del genere e quello della famiglia si ricollegano forse alla parola ptilon (in latino tilia) che significa
‘ala’. Fin dall’antichità il tiglio ha sempre goduto di grande considerazione sia presso i popoli nordeuropei
sia fra i Greci e i Romani. Il poeta latino Ovidio racconta la storia di una coppia di coniugi tanto poveri
quanto generosi: Filemone e Bauci. Zeus, per premiare i due anziani, esaudì il loro desiderio: rimanere uniti
anche dopo la morte. Fu così che Filemone e Bauci furono trasformati in quercia e in tiglio affinché
potessero congiungersi con i loro rami.

Nella mitologia germanica il protagonista della Canzone dei Nibelunghi, Sigfrido, aveva ucciso il terribile
drago Fafnir per bagnarsi nel suo sangue e divenire immortale. Ma mentre Sigfrido faceva questo bagno
una foglia di tiglio cadde da un albero e andò a posarsi sulla sua schiena, rendendo quel punto del corpo
vulnerabile. Un evento che più tardi si rivelò fatale per l'eroe.

Con il nome di Tiglio si indicano e si utilizzano entrambe le specie.


La pianta del Tiglio è un albero che raggiunge anche i 30 mt di altezza. Le foglie sono alterne, picciolate,
ovato-cordate, brevemente acuminate, il margine è dentato, e sono più grandi in t. platyphillos.

I fiori sono odorosi, bianco-giallastri, con 5 petali e 5 sepali, numerosi stami e ovario a 5 logge biovulate. I
fiori sono raccolti in infiorescenze lungamente peduncolate, accompagnate da una brattea. L'infiorescenza
è composta da 3-7 fiori in T. platyphyllos e da 4-15 fiori in T. cordata. Calice pentamero esternamente
glabro, ma con margini e parte interna ricoperti da peli unicellulari; sepali contenenti mucillagini in
"serbatoi" uni- o pluricellulari. La brattea è lunga sino a 10 cm e larga circa 2 cm, ed è di colore verde-
giallastro, membranacea, di aspetto reticolato, saldata per circa un terzo della lunghezza della sua
nervatura mediana con il peduncolo dell'infiorescenza.

La droga è costituita dalle infiorescenze con le brattee.

Principi attivi: la droga contiene una notevole quantità di polifenoli: tannini, protoantocianidoli e
soprattutto flavonoidi (tra cui il quercitroside); una piccola quantità di olio essenziale e mucillagini.

Categoria: diaforetico. Azione bechica, calmante sul sistema nervoso, diuretica dovuta ai flavonoidi.
Esternamente viene utilizzato come decongestionante e rinfrescante ed ha anche uso come anticellulitico.
Ha anche un utilizzo come coleretico.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Altea

Nome scientifico: Althaea officinalis L.

Famiglia: Malvaceae

È interessante notare come il nome scientifico Althaea derivi direttamente dal greco “Altaino” che significa
“io guarisco”. Conosciuta anche come Bismalva, Malvavischio e Malvaccione, è una grossa erbacea perenne
e si vuole che abbia origine nelle steppe dell’Asia Centrale e che sia arrivata in Europa molto tempo prima
dell’era cristiana e che si sia acclimatata con estrema facilità. È citata in uno dei Capitolari di Carlo Magno e
fu ampiamente coltivata per tutto il Medio Evo. Gli antichi ne sfruttavano le qualità lenitive ed emollienti
per curare piaghe tumefatte e indurite dall’infezione ed era abbondantemente rappresentata tra i semplici
coltivati nei giardini dei monasteri. Santa Ildegarda e Alberto Magno la somministravano per curare febbri,
tosse, infreddature, ingorghi delle vie respiratorie e mal di testa.

La pianta è erbacea, di grandi dimensioni, è una specie spontanea che troviamo in tutta Europa, e viene
anche coltivata. Presenta un fusto (caule) eretto e peloso, che arriva anche ad 1 mt e 20 cm, e possiede
anche delle grosse radici.

Le foglie sono grandi, isolate, alterne, di forma ovale, palmato-lobate, con margine dentato. Anche le foglie
mostrano una certa pelosità, non a caso mostrano un aspetto biancastro.

I fiori sono dialipetali e attinomorfi, raggruppati all’ascella delle foglie; hanno un calicetto (caratteristica in
comune alla malva, ma morfologie diverse) formato da 6-9 pezzi uniti, il quale è più breve del calice.

Il calice è composto da 5 sepali, la corolla da 5 petali roseo-biancastri con stami numerosi saldati per il
filamento (caratteristica in comune alla malva).

L’ovario è pluricarpellare, costituito da numerosi carpelli uniovulati, disposti in un cerchio che danno origine
ad un poliachenio (= frutto, caratteristica in comune alla malva).
Droga: tutta la pianta contiene mucillagini ma di preferenza si utilizzano le radici e le foglie. Le radici,
private del loro strato corticale, si presentano sotto forma di pezzi conici biancastri da 15-20 cm con odore
debole e sapore dolciastro. Si raccolgono dopo il secondo anno di vita. Contengono soprattutto mucillagini,
zuccheri ed ossalato di Ca.

Categoria: stomatici e bechici mucillaginosi. L'azione farmacologica, come per la malva, è soprattutto
emolliente, calmante delle infiammazioni delle mucose orofaringee e nelle tossi secche da esse derivate.
L'infuso può essere utilizzato per veicolare farmaci irritanti, e la polvere come eccipiente di pillole.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Malva

Nome scientifico: Malva sylvestris L.

Famiglia: Malvaceae

Il nome del genere deriva dal latino mollire alvum e significa "rendere molle" con riferimento alle sue
proprietà emollienti. Nei secoli la malva ha avuto estimatori illustri: Cicerone e Catone la usavano a tavola
in grande quantità, Orazio si ritemprava con malva, cicoria e olive.

L’imperatore Carlo Magno volle che nel suo giardino venisse coltivata, in un'aiuola particolare, dove si
raccoglievano foglie, radici e fiori per la preparazione di tisane e decotti destinati a curare i membri della
famiglia imperiale.

Nel Rinascimento, divenne il rimedio per tutti i mali e veniva chiamata “omnimorbia”. In tempi remoti si
usava la malva per verificare la verginità delle fanciulle: versando l’urina di queste sulle foglie,che non
dovevano seccare. Nel linguaggio dei fiori significa pacatezza. Da questa pianta o meglio dal colore dei suoi
fiori, l’origine del colore detto “malva”.

La pianta è erbacea, di minori dimensioni rispetto all’Altea (arriva massimo ad 1 mt di altezza), bienne o
perenne, che troviamo molto diffusa nelle aiuole o lungo le strade. Il fusto è eretto, più o meno ramificato,
alto generalmente 50-90 cm.

Le foglie sono lungamente picciolate, palminervie, con un margine seghettato-crenato. La lamina è divisa in
3-5-7 lobi poco pronunciati. Esse hanno un colore verde brunastro.

I fiori sono dialipetali, attinomorfi, portati in gruppi posti all’ascella delle foglie, di colore rosa-violetto,
venati in scuro, con stami numerosi e saldati per i filamenti. Partendo dall’esterno, notiamo il calicetto
formato da 3 bratteole libere, lunghe circa 5 mm, molto pelose. Il calice è saldato alla base, diviso in 5 lobi
triangolari all’esterno. La corolla presenta 5 petali grandi, di forma ovale, con una incisione del petale nella
ona terminale.

Il frutto è un poliachenio.

Droga: fiori e foglie.


Principi attivi: le foglie contengono mucillagini; nei fiori sono contenute mucillagini, e antocianidine, tra cui
la malvidina.

Categoria: stomatici e bechici mucillaginosi. Si usa soprattutto per l'azione emolliente, calmante delle
infiammazioni delle mucose, bechica ed espettorante.

Caratteristiche in comune MALVA-ALTEA

 Piante erbacee;
 Calicetto;
 Stami numerosi saldati per i filamenti;
 Ovario pluricarpellare (poliachenio);
 Categoria farmaceutica degli stomatici e bechici mucillaginosi.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Passiflora

Nome scientifico: Passiflora incarnata L.

Famiglia: Passifloraceae

Il nome del genere confermato da Linneo nel 1753, e che significa Fiore della passione (dal latino passio =
passione e flos = fiore), gli fu attribuito dai missionari Gesuiti nel 1610, per la somiglianza di alcune parti
della pianta con i simboli religiosi della passione di Cristo

Storia: La Passiflora a partire dagli Incas è sempre stata usata dalle popolazioni dell'America latina per le
sue proprietà lassative e leggermente sedative.

Cucina: I frutti di alcune specie sono commestibili.

Letteratura e mitologia: La leggenda vuole che la pianta si sia arrampicata sulla croce di Gesù per dargli
sollievo. racchiude nella sua corolla tutti gli elementi simbolici del sacrificio di Cristo: un cerchio di filamenti
purpurei rappresenta la corona di spine, i tre stili raffigurano i chiodi, lo stame, il martello.

È una pianta rampicante, diffusa negli Stati Uniti del Sud e in Messico. È caratterizzata da un fusto legnoso,
munito di cirri, che può raggiungere i 6-9 mt di altezza, leggermente pubescente, a corteccia verde-
grigiastra, striata longitudinalmente. L’intero sistema caulinare si trasforma in cirri.

Le foglie sono semplici (NON COMPOSTE), alterne, palminervie, presentano 3 lobi di lunghezza e ampiezza
variabile, sono ovali con apice acuto. Il margine è finemente dentato, sulla pagina fogliare inferiore sono
leggermente vellutate. Il picciolo è solcato, spesso contorto, presenta una fine peluria. I nettari anziché
essere presenti nella struttura del fiore, si trovano alla base del picciolo, il quale presenta 2 nettari
extrafiorali, rigonfi.

I fiori sono solitari, grandi 5-9 cm, lungamente peduncolati (peduncolo lungo fino a 8 cm). È costituito da un
involucro che possiede 3 brattee appuntite e con 2 pretuberanze laterali. Il calice è capuliforme, formato da
5 sepali verdastri all’esterno, e bianchi violacei all’interno. La corolla è formata da 5 petali bianchi o violacei
e con una doppia corona di appendici petaloidee di colore rosso porpora nella parte esterna. I 5 stami, a
grandi antere aranciate, sono portati da una colonna centrale. L’ovario parte da 3 stili lunghi, allargati
all’estremità e 3 stimmi.

Il frutto è una bacca ovoide, di colore verde-giallastro, che presenta un pericarpo sottile, una polpa
spugnosa e all’interno ci sono molti piccoli semi, circondati da un arillo biancastro (protezione del seme, si
presenta come una sostanza carnosa di colore bianco).

Droga: fusti legnosi muniti di foglie.

Principi attivi: fenoli acidi, cumarine, fitosteroli, tracce di olio essenziale, glicosidi cianogenetici, tracce di
alcaloidi indolici, notevoli quantità di flavonoidi.

Categoria: neurodepressori.

Utilizzata per la preparazione di medicinali ad azione calmante. Utilizzato come antinevrotico, anche in
associazione con altre droghe, ed antispasmodico, ad esempio nelle coliti e nelle gastriti. In associazione
con biancospino, salice o valeriana è usata contro l'insonnia, l'ansia e le nevralgie. E’ una droga ben
tollerata e usata anche in omeopatia.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Senape bianca

Nome scientifico: Sinapis alba L.

Famiglia: Brassicaceae o Cruciferae

La senape è una pianta originaria del Medio Oriente, dove è presente anche allo stato selvatico. Ne
esistono in verità diverse specie, impiegate per uso alimentare da lunghissimo tempo. La senape era infatti
usata come condimento già nel quarto secolo avanti Cristo, periodo in cui è documentata la coltivazione
agricola della pianta. Gli antichi Romani facevano macerare le foglie di senape nell'aceto per ottenere una
salsa saporita da aggiungere ai loro piatti, dando una nota calda e piccante a cibi dal sapore piuttosto
debole.

Non mancavano le applicazioni medicinali: infatti, questa pianta favorisce l'afflusso di sangue nelle zone in
cui è assorbita, caratteristica che diede origine all'uso di una serie di unguenti e impacchi curativi. Nel
Medioevo, invece, si iniziò a ricavare una sorta di farina dai suoi semi; quest'ultima, mescolata con del
mosto d'uva cotto, dava luogo al mostum ardens (mosto ardente), il precursore dell'odierna mostarda.
Sembra che l'invenzione della salsa sia avvenuta in Francia ad opera di alcuni monaci, ma in seguito si
diffuse, con varianti locali più o meno marcate, in tutta Europa. Man mano che dall'Oriente giungevano
nuove spezie la ricetta della mostarda si arricchiva di pepe, cannella e chiodi di garofano, diventando
sempre più aromatica. La tradizione italiana interpretò la mostarda.

La tradizione italiana interpretò la mostarda come un metodo conveniente di conservazione della frutta,
uno degli alimenti più deperibili. La senape, infatti, ha un leggero potere conservante, accentuato dalla
procedura di disidratazione a cui erano sottoposti i frutti prima di essere immersi nel fluido. Nel corso degli
anni il mosto fu abbandonato nella preparazione della mostarda in molte zone d'Italia, fino ad arrivare a
una ricetta pressoché identica a quella odierna nel corso dell'Ottocento.

Le piante di Senape si trovano spontanea in Europa, Asia occidentale ed Africa settentrionale; in Italia nei
luoghi incolti.
La senape bianca (Sinapis alba) è una pianta erbacea annuale, con un’altezza che varia dai 30 agli 80 cm,
presenta un fusto ramificato con una rada peluria. Le foglie sono semplici, alterne, irregolarmente e
profondamente incise e con margine dentato. I fiori sono gialli, attinomorfi, con 4 sepali e 4 petali disposti a
croce (la morfologia è uguale per entrambi i tipi di senape). L’androceo è tetradinamo, e i fiori si riuniscono
in racemi terminali.

Nella senape bianca il frutto è una silìqua, evidente, divaricata all’asse del caule, contenenti numerosi semi
(giallo-rossastri, lisci, più grossi di quelli della senape nera), mentre nella senape nera la siliqua è appressata
all’asse del caule (cioè tendono a crescere verso il caule).

La senape bianca è coltivata nell'Europa Centrale per i suoi semi utilizzati per la produzione di olio (28-30%
del peso dei semi) o farina, che trova impiego (specie in Germania e Austria) nella preparazione di conserve
di frutta, carni insaccate e droghe da mensa. L'olio è utilizzato nell'industria dei saponi. La senape bianca è
preferita a quella nera per le sue parti meno irritanti e per la maggiore precocità.

Droga: semi

Principi attivi: lipidi, abbondanti mucillagini e S-glucosidi (sinalbina).

Proprietà digestive, stimolanti, revulsive e purgative. Senapismi per lenire infiammazioni e costipazioni
(attività inferiore alla senape nera).

ANGIOSPERME

Nome volgare: Senape nera

Nome scientifico: Brassica nigra (L) Koch

Famiglia: Brassicaceae o Cruciferae

È una pianta erbacea annuale, che può arrivare fino ad un’altezza di 2 mt, presenta un fusto dritto con alla
base dei peli pungenti. Le foglie sono picciolate, anche in questo caso le foglie basali possono essere
profondamente lobate, sono più strette e intere quelle superiori e il margine è dentato. I fiori sono gialli,
attinomorfi, con 4 petali e 4 sepali disposti a croce. L’androceo è teradinamo, e anche in questo caso i fiori
sono portati in racemi terminali.

Il frutto è una siliqua appressata al caule, contenente numerosi semi (ovoidali, globosi, piccoli e di colore
variabile, con superficie reticolata).

Droga: semi. I semi freschi hanno poco odore, sapore acre, e, se posti in acqua tendono a rigonfiarsi per le
mucillagini e danno effetto lacrimogeno.

Principi attivi: nei semi sono contenuti lipidi, abbondanti mucillagini e S-glucosidi (sinigrina nella B. nigra).

Attività L'azione importante soprattutto per la senape nera, è rubefacente. La pianta è conosciuta fin
dall'antichità per le sue proprietà revulsive. Agisce richiamando sangue, di conseguenza si irrita la pelle ma
viene anche sottratto sangue ai tessuti sottostanti, alleggerendone l'infiammazione. Si usa infatti per
preparare cataplasmi (impacchi), che in particolare vengono chiamati senapismi (cataplasmi a base di
senape), soprattutto contro dolori reumatici, nevralgie.
ANGIOSPERME

Nome volgare: Uva orsina o uva ursina

Nome scientifico: Arctostaphylos uva-ursi (L.)

Famiglia: Ericaceae

Il nome del genere deriva da due parole greche "arctos" che significa orso e "staphyle" che significa
grappolo d’uva in riferimento al fatto che i frutti sono apprezzati dagli orsi. Il nome comune della pianta per
tutti i nativi nordamericani è Kinnickinnick. CURIOSITA' Un fatto particolarmente degno di nota è che in
Nord America gli utilizzi non alimentari della pianta siano del tutto sovrapponibili in tutta l’area
circumboreale, nonostante le grandi differenze esistenti tra le varie tribù, e nonostante le differenze in
competenze, tradizioni ecc. Le forme galeniche di utilizzo popolare sono quattro: decotto, infuso, tintura e
miscele da fumo (sia come rimedio per malattie sia come medicina spirituale). Il fumo medicinale,
l’inalazione e le fumigazioni sono tutte pratiche comuni tra i nativi americani. Alcune tribù indicano l’utilizzo
delle foglie secche come parte di un rimedio casalingo per il mal di testa.

La pianta veniva sicuramente usata nel 13° secolo in Galles E' entrata nella Farmacopea di Londra nel 1788,
ma pare che fosse in uso da molto prima. Il suo utilizzo è sempre rimasto lo stesso, come astringente e
come antisettico urinario, anche se l'effetto diuretico si è dimostrato molto ridotto. Le indicazioni principali
secondo la farmacopea eclettica dei primi del 900 erano: Cistite Membrane del tratto urinario rilassate e
congestionate, con catarro e sensazione di pesantezza ai fianchi e nella zona pelvica, e cattiva circolazione
pelvica. Infiammazione cronica della vescica con dolore, tenesmo e perdite di muco. Ulcerazioni del tratto
urinario.

La pianta è un piccolo arbusto sempre verde, con lunghi rami striscianti che troviamo in tutte le zone
montane dell’Emisfero Boreale. Le foglie sono piccole coriacee, di forma ovovata, presentano una base
attenuata con un corto e forte picciolo (cioè la base si va a chiudere nel picciolo). Le foglie sono verdi scure
sulla lamina fogliare superiore e presentano tantissime nervature secondarie e minori, per cui si forma un
aspetto zigrinato della foglia. I fiori sono rosei, urceolati, disposti in grappoli terminali.

Il frutto è una bacca globosa di colore rosso, di sapore molto gradevole, che ricorda il mirtillo rosso.

Droga: foglie. Il sapore è astringente, leggermente amaro e l’odore richiama quello del tè nero.

Principi attivi Chinoni (almeno 6%), principalmente arbutina, metilarbutina e piceoside, insieme a tannini
isrolizzabili, glucosidi iridoidi (monotropeina), terpenoidi (uveolo, acido ursolico).

Categoria: antisettici delle vie urinarie. Viene impiegato come diuretico e disinfettante urinario oltre che
come astringente. Per agire richiede un’urina alcalina perché si generi l’idrochinone dell’arbutina, per cui
vanno evitati nella cura cibi molto acidi. E’ opportuno non prolungare il trattamento. Il massimo dell’attività
antibatterica si raggiunge 3-4 ore dopo la somministrazione. La tossicità è attribuita all’idrochinone: 6-20 g
possono causare nausea, vomito, delirio e convulsioni, 30-100 g possono essere fatali Possono manifestarsi
effetti collaterali attribuibili ai tannini con irritazioni alle mucose e al parenchima epatico.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Mirtillo nero

Nome scientifico: Vaccinium myrtillus


Famiglia: Ericaceae

Alcune interessanti proprietà terapeutiche del mirtillo nero (Vaccinium myrtillus L.) sono note già da lungo
tempo: in effetti, nella medicina popolare e tradizionale sono state utilizzate soprattutto preparazioni
ottenute in particolare dalle foglie ma anche, in minor misura, dalle bacche, cui si attribuivano diverse
attività medicamentose, come quelle astringenti, antisettiche e antibatteriche, antiflogistiche e
ipoglicemizzanti. Da qualche decina di anni l'interesse fitoterapico si è spostato dalle foglie alle bacche, con
particolare attenzione al loro contenuto in antociani, responsabili delle principali attività del mirtillo nero
già allora note tra cui la capacità di favorire l'acuità visiva crepuscolare e notturna. Si è così confermata su
basi scientifiche sperimentali l'osservazione empirica, e la relativa applicazione, per cui durante la Seconda
Guerra Mondiale i piloti della Royal Air Force che consumavano notevoli quantità di confetture di mirtillo
sembravano avere una migliore visione durante le missioni notturne.

La pianta è un piccolissimo arbusto, che è alto 20-30 cm, che troviamo in Italia sulle Alpi e sugli Appennini
nel sottobosco, fino a 1500-1800 mt. È una pianta che predilige terreni silicei e ricchi di Humus.

Le foglie sono coriacee di forma ovata, caduche (non è un arbusto sempre verde), il margine è finemente
seghettato. All’estremità di ogni dentino del seghetto del margine è presente una ghiandola peduncolata. In
autunno le foglie passano dal colore verde al colore rosso, che le rende molto evidenti nel paesaggio.

I fiori sono possono trovarsi solitari o a coppia, portati in posizione ascellare, hanno una forma a
campanella e sono di colore verdognolo-rossiccio. Sono presenti 5 sepali saldati, 5 petali saldati, numerosi
stami saldati a due a due. L’ovario è costituito da 5 carpelli biovulati.

I frutti sono delle bacche sferiche, che hanno un caratteristico colore nero-bluastro, e sono leggermente di
colore biancastro per la presenza di pruina (serve per proteggerlo dalla disidratazione). Essi inoltre sono
peduncolati, presentano un apice tipicamente appiattito, sormontato dai resti del calice e dello stilo, che
formano un disco che è delimitato da un bordino in rilievo. All’interno del mesocarpo carnoso sono
poresenti molti piccoli semi ovali di colore rosso.

Parte impiegata: si usano le foglie ed i frutti.

Principi attivi Foglie. Costituenti principali: tannini catechinici ed altri composti fenolici. Rilevanti le
concentrazioni di sostanze minerali (cromo, manganese).

Bacche: acido citrico, alcaloidi chinolizidinici (mirtina), tannini, pectine, ma soprattutto flavonoidi, tra i quali
diversi antocianosidi, almeno una quindicina. Dalla droga, si ricava generalmente un estratto idroalcoolico.

Categoria: vasoprotettori e antidiarroici. Gli antocianosidi del frutto hanno dimostrato un’azione
vasoprotettrice e antiedematosa. E’ riconosciuto e confermato per elettroretinografia che gli antocianosidi
facilitano la rigenerazione della rodopsina (pigmento visibile) e quindi migliorano la visione in luce notturna;
inoltre sono stati impiegati nelle retinopatie di origine ipertensiva o diabetica. Foglie e frutti sono usati
tradizionalmente nella cura di forme leggere di diarrea.

ANGIOSPERME

Nome volgare: Biancospino

Nome scientifico: Crataegus levigata e Crataegus monogyna

Famiglia: Rosaceae
Sono delle straordinarie piante, cantate da sempre da poeti e romanzieri non solo per la loro bellezza ma
anche per le tante qualità sia come piante medicinali che ornamentali. Il nome del genere Crataegus deriva
da "kratos" che in greco, significa forza, e il nome della specie oxyacantha deriva da "oxus "aguzzo, ed
"anthos" fiore. A causa delle sue punte acuminate, si considera una pianta protettrice delle case ed in grado
di allontanare gli spiriti del male. L'albero di Biancospino è associato molto profondamente con i rituali di
Maggio da tempi precedenti al Medioevo inglese. I frutti venivano utilizzati come cibo e per fare il vino nel
Medioevo in tutta Europa.

E’ una specie eliofila (amante del Sole), vegetante in Italia ai bordi dei boschi a diverse altezze, è diffusa in
quasi tutta l'Europa, l'Africa settentrionale e l'Asia occidentale.

Le piante di biancospino sono dei piccoli arbusti, alti massimo 2-3 mt, caratterizzate dalla presenza di spine
caulinari. Hanno una caratteristica corteccia, che è liscia e giallo-grigiastra quando la pianta è giovane, che
diventa bruna e screpolata quando la pianta diventa adulta.

Le foglie sono di colore verde brillante, hanno 3-5 lobi poco profondi, con margine finemente dentato in
C.levigata, e invece 3-7 lobi poco dentati in C. monogyna. Le foglie sono glabre o con pochi peli.

I fiori sono riuniti in corimbi, hanno 5 sepali verdi triangolari e 5 petali liberi, bianchi o rosati, suborbicolari,
concavi, 15-20 stami inseriti sui bordi del ricettacolo urceolato.

In C. levigata i fiori hanno peduncoli e sepali glabri, ovario di 2-3 carpelli, 2-3 stili, antere rosse. Il frutto è
una drupa rossa a maturità, sormontata dai resti del calice, contenente 2-3 semi.

In C. monogyna (specie più diffusa in Italia) i peduncoli fiorali e i sepali sono vellutati, l’ovario ha un solo
carpello, lo stilo è unico, le antere sono nere e la drupa contiene solo un seme.

I fiori sono concavi e suborbicolari (perché i petali formano una conchetta).

Parte impiegata: possono essere utilizzati sia i frutti che le infiorescenze di entrambe le specie, ma anche le
foglie.

Pricipi attivi La droga contiene acidi triterpenici pentaciclici, ammine aromatiche, fenoli acidi, flavonoidi
(per esempio iperoside) e tracce di olio essenziale con aldeide anisica. ac. ursolico (triterpene).

Categoria: cardiotonici e neurodepressori. Si usano la tintura e l’estratto fluido principalmente come


cardiotonico, non per la cura delle patologie acute, ma per il ripristino dopo alcuni danni cardiaci. Il
Biancospino aumenta il flusso coronarico, aumenta la tolleranza del miocardio nei confronti del deficit di
ossigeno ed anche la gittata cardiaca. L’uso si configura nelle insufficienze cardiache più leggere che non
richiedono trattamento digitalico. Trova anche impiego come sedativo nervoso ed antispamodico in
associazione con altre droghe come valeriana e passiflora.

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