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La storia dell’Aquila per il 2 aprile 2011,

DIRITTI &LIBERTA’

La storia dell’Aquila, di questa città non può


essere riassunta in 5 minuti. Ma dobbiamo
ricordarci cosa siamo stati per avere un futuro, in
un momento come questo, dove arriva la parte
più difficile, nella quale dovrebbe ripartire la
ricostruzione, e invece ci ritroviamo, dispersi,
confusi, arrabbiati, ma la cosa peggiore
rassegnati. Maltratti in una maniera indegna
dagli stessi mezzi di comunicazione, è inutile
citarvi l’episodio della trasmissione Forum, della
buffonata grottesca, che presenta tramite la tv,
tutta un’altra immagine di questa città, idilliaca,
perdonatemi l’ironia, ma proprio cornuti e
mazziati, oltre che maltrattati anche dileggiati e
scherniti. La Dalla Chiesa senza ricevere il
nostro assessore alla cultura e alle politiche
sociali, dice piangendo, novella coccodrilla, che
è solo un’azione politica la nostra accorata
protesta. C’è una cosa che accomuna il popolo
abruzzese e, in particolare, i L’Aquilani, la
fierezza, “forti e gentili”, profondamente onesti e
laboriosi. Di certo un po’ malfidenti all’inizio, ma
poi vi regaliamo il cuore. E’ stata un’offesa
gravissima, a noi, i nostri morti, le famiglie
impoverite, i nuovi disoccupati, i giovani
immelanconiti, gli anziani che hanno perso i loro
ricordi, i loro luoghi di affezione, le donne che si
trovano a gestire una famiglia tesa al limite
assieme agli uomini stanchi! Ora è il momento di
ripartire sul serio, tutti uniti-e, i e l e le l’aquilane,
senza dividerci, ogni l’aquilano-a con la propria
storia, si la propria storia personale, la propria
croce e la propria sofferenza. Dobbiamo
abbandonare il clima di sospetto, unirci attorno
al sindaco, che è stato tradito dagli stessi
appartenenti al suo partito, dalle logiche di chi
cura solo i propri interessi personali e alla
Pezzopane, anche loro terremotati e sfollati. Qui
non è questione di essere appartenenti al popolo
viola, al partito democratico, a rifondazione
comunista, all’udc, ad an, a italia dei valori, o allo
stesso pdl. Qui si tratta, signori e signore, di
ricordarci chi siamo, la nostra forza, la nostra
cultura, le nostre tradizioni, tutti uniti, contro chi
non vuole, dietro un muro di ipocrisia, che la
nostra L’Aquila torni ancora a volare, all’interno
della nostra città, e fuori. Chi sono i l’aquilani-e ,
come è nata la nostra città? E’ nata da una
Lega, altro che quei buffoni del nord, si proprio
una lega di castelli che si riunirono tutti insieme,
nel 1254, contro l’imperatore, almeno questa è la
mia opinione, ma non contro l’imperatore, come
affermano alcuni storici, bensì ogni abitante del
pagus, cioè del villaggio sottostante il feudo, il
castello, ribellandosi al proprio feudatario, cioè
castellano. In un secondo momento si unirono gli
stessi feudatari contro l’imperatore. Ecco quello
che voglio sottolineare non è che furono soltanto
i nobili, ma la borghesia e il popolo di ogni
castello-borgo ad unirsi. Da qui è nata la
leggenda delle 99 cannelle, l’acqua era la risorsa
primaria per svolgere ogni attività, come ancora
oggi, ogni cannella, cioè fonte, rappresenta un
differente villaggio-castello. E lo stesso schema
architettonico del centro, la forma dei vari
quartieri, è nata da questo tipo di nascita
collettiva, un mosaico armonico di piazze, con la
propria fontana, chiesa, palazzo e case. Ecco
come è nata L’Aquila e chi crede che possa
rinascere attorno dei centri commerciali, senza
strade, alla rinfusa, non ci conosce o non gliene
importa nulla della nostra identità, della nostra
l’aquilanità. La nostra meravigliosa città è stato
uno dei primi esempi di pre-comune in Italia, ed
era capitanata dai rappresentanti delle Arti, le
Corporazioni, oggi diremmo sindacati, una per
ogni mestiere, in una parola, L’Aquila si è
fondata sul lavoro, anzi, sui vari tipi di lavoro:
Lana,Pellami, Metalli, Militi o Nobili, Letterati.
Non devono permettersi di ridurci a un ammasso
informe che mendica un impiego precario,
dobbiamo difendere i mestieri antichi, il nostro
artigianato, e quelli nuovi. In particolare mi
rivolgo a chi ha avuto un’ impresa di costruzioni,
scalzato dal piano di Berlusconi, la nostra
università di ingegneria ha formato intere schiere
di esperti delle costruzioni venuti a studiare qua!
Che sta succedendo? La città è nata su un suolo
da un punto di vista geologico particolare, su
strati di antiche brecce, sassi, e detriti alluvionali
che amplifica le scosse sismiche, come mi ha
spiegato il mio amico Gaetano de Luca,
sismologo e fisico, che ha studiato a fondo
questo fenomeno. Non è la prima volta che la
città è rasata al suolo, ma anche che sia stata
ricostruita, non c’è un secolo dal 1250 circa, che
sia stato privo di un grave terremoto, ma la
cittadinanza, è sempre riuscita a risollevarsi,
TUTTA la storia dell’Aquila , è un succedersi di
ricostruzioni, ce l’abbiamo scritto nei cromosomi,
fa parte di noi! E anche chi è venuto soltanto a
studiare, per esempio, o non è originario di qua,
ma è vissuto qua, ha sviluppato un forte amore
per questa città, per i suoi abitanti. Questo ci
dobbiamo ricordare! Tra le varie ricostruzioni mi
ha colpita quella del 1703, dopo un terremoto
simile a quello del 2009, per potenza distruttiva.
Fu nominato un commissario, che però era delle
vicinanze dell’Aquila, che ottenne l’esenzione
dalle tasse dal Regno di Napoli per ben 10 anni.
L’Aquila divenne un enorme cantiere, si sentiva
tutto il giorno il rumore degli strumenti da
ricostruzione, che partì proprio dal centro, e si
chiamarono delle braccia dall’esterno della città,
che si integrarono con la comunità, lavorando
fianco a fianco. La città fu ricostruita a ritmi
forsennati, costruendo delle baracche di legno
nella piazza duomo, e in poco tempo furono
ricostruiti gli edifici pubblici, e poi le chiese. Ora,
invece, che succede? Chi abbiamo a farci da
vicecommissario, lo conosciamo bene chi è! Un
uomo che appena si insedia dichiara che
l’Università non è la prima priorità! Non è colpa
di Cialente se la città è paralizzata! C’è chi ci
vuole umiliati, divisi e rassegnati! Alziamo la
testa e facciamo vedere chi siamo! Dignità,
basta punzecchiarsi e offendersi, dobbiamo
unirci in una nuova Lega, coalizione,
commercianti, operai, studenti, professori,
religiosi, laici, uomini , donne, giovani e
anziani…solo così rinascerà davvero L’Aquila.
Che continuino a dichiarare falsità nella
televisione, noi siamo una città con sette secoli
di storia, non ci interessano le Milano 3, con un
laghetto puzzolente pieno di zanzare, un
albergo, 4 condomini, 15 villette a schiera, tutto
uguale, finto, come una scenografia di uno
studio televisivo, che a camminarci dentro dopo
un po’ di perdi, perché è tutto dannatamente
uguale, informe, banale, incolore e insapore, ve
lo dice una storica dell’arte, che ha scelto questo
tipo di studio, proprio perché il suo primo libro è
stato il centro storico della città! Noi non siamo
un luogo di conquista per la lobby che ha
corrotto mezza Italia. Individuiamo bene chi è
complice di questa lobby tra di noi, e
combattiamoli uniti, con la forza della verità, che
libera dal gioco della schiavitù. Loro non
vogliono che L’Aquila rinasca come tale, per fare
i loro loschi affari, ecco la pura e semplice verità.
Ma noi cosa vogliamo? Abbiamo detto di no alle
tasse di Federico II, alle tasse del re di Napoli, e
ora ci spaventiamo di chi si fa ancora chiamare
cavaliere? Cosa debbo pensare, che eravamo
più liberi sotto il Regno di Napoli? E non perché
dobbiamo ricostruire per staccarci dal resto
dell’Italia, come farebbe un miope e ignorante
sindaco leghista, che non riesce a vedere al di là
del suo naso, ma per essere da esempio per il
resto dell’Italia! Che ci ha aiutati, la sua parte
buona, perbene e onesta, e sto parlando dei
volontari che hanno pianto con noi, condiviso il
nostro dolore. Non deludiamoli,non deludiamo
noi stessi, forza coraggio. Si, siamo italiani, e la
bandiera del nostro comune oltre al verde ha
messo il nero, proprio per ricordare le vittime di
un antico terremoto, ma anche per ricordarci che
passato il lutto, andiamo avanti, nella speranza.

Questi sono i l’Aquilani e le l’Aquilane!

Giulia Salfi

Enza va bene così, se vuoi far parlare Walter


Cavalieri della storia più nel dettaglio, ma ho
cercato di mettere dei punti salienti, ti piace
così? Evito di parlare dei templari, perché ci
stanno tanti clericali, e poi l’argomento mi
portava fuori luogo.

Fonti:

1.Ecco le notizie che mi ha mandato Walter


Cavalieri.

Cenni Storici sula fondazione dell’AQUILA,


Walter Cavalieri, waltercavalieri@alice.it, storico
dell’Aquila

Alla metà del Duecento, nella fertile vallata


dell'Aterno ai piedi del Gran Sasso, sorge una
civitas nova equidistante dagli insediamenti
romani di Amiterno (San Vittorino), Forcona
(Civita di Bagno), Aveia (Fossa) e Foruli, già
fiorenti per il commercio dello zafferano e della
lana. Nell'Alto Medioevo questi centri romani
erano stati devastati dai barbari e la loro
popolazione si era dispersa e "incastellata" in
un pulviscolo di castelli, ville e rocche, dominati
da signori feudali o proprietà di chiese e
abbazie. Ma poiché i baroni desideravano
sottrarsi al pagamento dei tributi verso
l'imperatore , dettero vita già nel 1229 ad una
confederazione di castellum e di villae. Fu
questa federazione ad inviare propri delegati al
papa Gregorio IX e al Re di Napoli, chiedendo di
potersi riunire in un unico grande centro, da
edificarsi nel luogo detto Acculum. Il luogo è
scelto per la sua centralità, per l'abbondanza
delle acque, per l'ubertosità della terra e, non
ultimo, per la naturale posizione elevata e
raccolta rispetto alla piana dell'Aterno, tale da
esaltarne le funzioni peculiari di controllo e
difesa. Il sito и inoltre posto lungo l'importante
arteria stradale appenninica che collega Firenze
con Napoli. La fondazione della città,
vagheggiata dall'imperatore Federico II di Svevia
(morto nel 1250), ebbe certamente il maggiore
impulso costruttivo sotto il regno del figlio
Corrado IV che nel 1254 - dando di fatto il
proprio assenso ad una costruzione già in corso
- ne sancisce la nascita con un apposito
diploma di fondazione. In esso si trova scritto :
"Abbiamo deciso che nel luogo detto Aquila, tra
Forcona e Amiterno, dai castelli e dalle terre
circostanti, nasca una città di un solo corpo, da
chiamarsi Aquila, per il nome del luogo (S.Maria
d' Acquili) e per l'auspicio della nostra insegna
vittoriosa e abbiamo stabilito di fissarne i confini
dall'Orno Putrido a tutto Amiterno.(Un territorio
che va da oltre S.Benedetto in Perillis
all'altipiano delle Rocche e a Montereale)" Per
consentire la nascita della città, l'imperatore
confisca boschi e selve e libera l'area prescelta
da ogni obbligo feudale, ordinando
l'abbattimento di tutte le rocche feudali prodotte
dal precedente incastellamento : dunque,la
fondazione è indubbiamente un fatto
rivoluzionario, che turba un assettodel territorio
più che secolare.La nuova città dell'Aquila,
realizzata quasi completamente nel 1253, è in
realtà una città-territorio per il fatto stesso che
alla sua costruzione partecipano gli abitanti di 99
diversi castelli arroccati lungo la cerchia di monti
circostanti. Le comunità fondatrici che si
confederano mantengono inoltre un rapporto
stabile fra la nuova città e i villaggi di origine, al
punto che i singoli rioni affiancati gli uni agli altri,
sono distinti peril nome che ne ricorda il castello
di nascita.Poiché nella nuova città ogni castello
d'origine ha a disposizione un proprio quartiere,
L'Aquila è una delle poche città europee
costruite secondo un ben preciso progetto
urbanistico. Scrive Luigi Lopez : "In pratica la
città nacque e si organizzò come una
federazione delle distinte comunità, dei distinti
castelli, ognuno dei quali continuò ad essere
padrone dei propri beni, dei propri demani, delle
proprie rendite e del proprio territorio, ma ebbe
in aggiunta una parte del territorio della città,
all'interno delle mura."La base dell'economia
aquilana è costituita soprattutto dall'allevamento
ovino e dalla transumanza, che era stato
riattivata dai Normanni dopo il blocco subito in
età longobarda, quando l'Abruzzo era stato
diviso dalle Puglie bizantine (Longobardia -
Romania). Da notare che i tratturi erano percorsi
demaniali larghi da 18 a 111 metri e che il
tratturo magno che partiva dall'Aquila era lungo
circa 250 Km. I tratturi collegano i grandi pascoli
del Gran Sasso e della Maiella con la ricca piana
del Tavoliere, capace di fornire adeguato
nutrimento a centinaia di migliaia di capi di
bestiame. Si ricordano i tratturi L'Aquila-Foggia,
Celano-Foggia, Castel di Sangro-Lucera e
Pescasseroli-Candela. L'Aquila e il nuovo centro
polarizzatore, trovandosi al centro del sistema
dei tratturi e della secolare "via degli Abruzzi". A
metà del Duecento nasce con L'Aquila il caso
anomalo di un Comune tardivo in una regione
che non ha conosciuto poteri di città, ma solo di
abbazie e di insediamenti Normanni.

La città ebbe subito una organizzazione


autonoma e propri statuti, con un podestà ed un
libero consiglio, ed assunse una tale importanza
politico militare che a soli tre anni dalla
fondazione il pontefice Alessandro IV, trasferì
nel 1257 l'antica sede vescovile di Forcona a
L'Aquila, tentando di riportarla nell'ambito guelfo
mediante l'erezione della diocesi,
importantissima per una città medievale.
Entrambi gli alti poteri in conflitto cercarono cioè
di fare propria la nuova città, capace di svolgere
un ruolo importantissimo nella lotta fra Papato e
Svevi. In quegli anni era già in atto la contesa tra
il papato ed il nuovo re svevo Manfredi (figlio di
Federico II e fratellastro di Corrado IV), e la città
rimasta fedele ad oltranza alla Chiesa pagò
duramente: nel 1259 infatti Manfredi dopo aver
riconquistato la parte meridionale del regno,
sobillato dai vecchi baroni, assediò per due anni
L'Aquila e la dette alle fiamme. Scrive Buccio da
Ranallo: "Questa terra fo' in prima per re
Corrado fatta; poi venne re Manfredo, per isso
fo' desfatta." La città, devastata ma non distrutta,
rimase abbandonata per sette anni fino al 1266,
quando Carlo I d'Angiò, impossessatosi con la
forza del regno di Sicilia (grazie anche
all'appoggio degli Aquilani, che lo sosterranno
anche nella battaglia di Tagliacozzo), dette
inizio con un nuovo diploma -ampiamente
retribuito - alla ri-fondazione di questa città di
frontiera, a lui molto utile in quanto posta a
guardia dei confini settentrionali del regno.
Nonostante l'opposizione dei vecchi baroni (che
tentarono di convincere Carlo d'Angiò con offerte
in denaro) e del vescovo di Rieti (che voleva
recuperare le chiese già appartenute alla diocesi
di Amiterno), vennero riedificate circa 15.000
abitazioni. Sotto gli Angioini L'Aquila, esentata
dal pagamento dei dazi sulla lana, aveva
riacquistato prestigio e preminenza e nel 1272
per opera del Capitano Lucchesino da Firenze,
governatore regio, si ricominciò l'edificazione
delle mura cittadine (con le loro 15 porte) e si
divise la cittа in quattro quartieri o quarti
(S.Pietro di Coppito, S.Giovanni poi S.Marciano,
S.Maria di Paganica e S.Giusta). Nel 1293
Niccolò dell'Isola, venuto dal versante
settentrionale del Gran Sasso, guidò gli Aquilani
contro le rocche feudali di Ocre, Pizzoli, Barete e
Preturo, che furono distrutte.

In questo periodo viene anche costruita fuori


dalla cinta muraria la basilica di S. Maria di
Collemaggio dove il 29 agosto 1294 venne
incoronato Papa Pietro da Morrone, con il nome
di Celestino V, alla presenza di Carlo II d'Angiò e
di una folla di 200.000 persone, fra cui Dante. I
diplomi di Carlo II per l'approvvigionamento
straordinario della città confermano l'immenso
concorso di fedeli. Nel Trecento, L'Aquila si
uniforma al regime dei Comuni dell'Italia
centrale, ai quali era strettamente legata anche
da interessi commerciali, che la portavano a
sentire la monarchia e i re di Napoli lontani ed
estranei. La città fu governata da un
Camerlengo, coadiuvato (dal 1355) dai
cosiddetti Cinque delle Arti, magistrati rinnovati
per elezione ogni due mesi, che
rappresentavano le corporazioni maggiormente
sviluppatesi in città (Lana, Pellami, Metalli, Militi
o Nobili, Letterati). Si trattava di un governo
espressione della vitalità imprenditoriale, della
nobiltà e del sapere. Libero comune, L'Aquila,
sviluppa i commerci dello zafferano e della lana,
conquistando potenza politica e prosperità
economica di rinomanza europea :per tutto il
Trecento sono molto attivi mercanti di zafferano,
metallieri, tessitori, pellicciai, calzolai e lanaioli.
Grande centro raccoglitore di prodotti, L'Aquila
assume l'importante funzione di "mercato
cerniera" fra il nord e il sud della penisola,
frequentato da potenti mercanti fiorentini e
veneziani. Importanti famiglie toscane, come i
Bonaccorsi, i banchieri Bardi, gli Ardinghelli, gli
Strozzi, i Gondi, i Papone, gli stessi Medici,
acquistano case ad Aquila. Importanti mercanti
arrivano anche dal Nord Europa. Nasce in città
un ceto di mercanti imprenditori che uniscono le
due attività dell'allevamento transumante e della
produzione dei panni di lana, sopperendo con
propri allevamenti al fabbisogno di materia prima
in grande quantità e a buon mercato. Ad
esempio, risulta da un testamento del 1335 che
il mercante Giacomo Gaglioffi, produttore di
panni lana, lasciava morendo circa 9.000 pecore
in Puglia. Ma L'Aquila è anche scossa da
turbinose lotte intestine fra famiglie di questi
mercanti imprenditori che volevano darle uno
sviluppo in senso borghese (i Gaglioffi, i
Camponeschi, che alla fine prevalsero) e
famiglie ancora legate al mondo agrario e
feudale (i Pretatti).

Nella città si raccolgono anche intellettuali di


diversa formazione, provenienti dai paesi vicini :
fra questi spicca Buccio da Ranallo, nativo di
Poppleto (Coppito), che nel 1355 inizia a
scrivere in rima La cronaca rimata sulla
fondazione e la storia della città fino al 1362.
Diverse sciagure si abbattono sulla citа : il
terremoto del 1349 e le epidemie di peste del
1348 e del 1363. Nella lotta tra Angioini e
Aragonesi per il possesso dei regno di Napoli, la
città fu fedele alla causa di Giovanna II d'Angiò,
che per riconoscenza confermò all'Aquila il
possesso di Acciano. Nel 1424 la città fu
sottoposta ad un durissimo assedio durato 13
mesi ad opera di Andrea Braccio Fortebraccio
conte di Montone, che agiva per conto di
Alfonso di Aragona.

LA GUERRA DI BRACCIO [1]

ANTEFATTI

Nel 1419 Braccio Fortebraccio da Montone, uno


dei più valorosi condottieri del tempo,
impadronitosi di Perugia, Assisi e Todi, minaccia
di allargare le sue conquiste a danno dello Stato
Pontificio. Il papa Martino V (Ottone Colonna)
chiede aiuto a Giovanna II e la investe del
Regno napoletano in cambio di 3.000 cavalieri
sotto il comando di Muzio Attendolo Sforza per
combattere Braccio. Essendo stato sconfitto lo
Sforza presso Viterbo, Giovanna II tradisce
l'accordo col papa, licenzia lo Sforza e chiama
invece in suo luogo proprio Braccio. Alla notizia,
il papa la dichiara decaduta, la sostituisce con
Luigi III d' Angiò e prende al suo soldo lo Sforza.
Vistasi minacciata, Giovanna chiama Braccio
che da Ascoli ridiscende in Abruzzo
soggiogando alcune città ribellatesi a Giovanna
(Pacentro, Sulmona, Campo di Giove, Castel di
Sangro) e giungendo a Napoli nel 1421. Qui
giunge nello stesso tempo anche Alfonso
d'Aragona, figlio adottivo di Giovanna ed erede
al trono. Intimorito dalla piega degli eventi,
Martino V induce Luigi III a riconsegnare a
Giovanna le terre di cui si era impadronito nel
Regno napoletano. Nello stesso tempo Braccio
apre trattative con lo Sforza e ottiene che torni
alle dipendenze della regina e di Alfonso
d'Aragona col grado di generale.Tra le
condizioni poste da Braccio, vi и che lo Sforza
non oltrepassi col suo esercito il fiume Pescara,
poiché Giovanna e Alfonso, nominandolo
Governatore d'Abruzzo, gli avrebbero di fatto
donato tutto l'Abruzzo montano.Gli Aquilani, che
godono dell'esenzione da ogni signoria, fanno
sapere a Braccio che lo accetterebbero come
governatore della regina, ma che non sono
disposti a diventare suoi vassalli. Fortebraccio,
pur avendo avuto dalla Regina la
raccomandazione di rispettare l'immunità e i
privilegi dell' Aquila, pretende ugualmente la
signoria della città, forte dell'appoggio di Alfonso
d'Aragona.In effetti, è finita l'intesa fra Giovanna
e Alfonso, il quale attacca militarmente le forze
della Regina. Costei chiede aiuto allo Sforza il
quale, dimenticando le passate ingiurie, corre in
aiuto di Giovanna e caccia Alfonso da Napoli. Su
consiglio del papa, Giovanna annulla quindi
pubblicamente l'adozione di Alfonso e riconosce
invece come figlio adottivo ed erede al trono
Luigi III d'Angiò. Braccio, ritenendosi ormai
signore dell'Aquila, da Perugia manda in città un
ambasciatore preannunciando la sua prossima
presa di possesso. Avendo subito gli Aquilani
manifestato la loro volontà di opporsi ed avendo
espresso fedeltà a Luigi III, Braccio riunisce
presso Todi 3.200 cavalieri e 1.000 fanti e
muove alla volta dell'Aquila, giungendo nel
contado nel maggio 1423. Gli Aquilani sono
guidati da Antonuccio Camponeschi.

L'ASSEDIO

Appena giunto sotto le mura dell'Aquila col suo


ragguardevole esercito, Braccio chiese che gli si
aprissero le porte e lo si accogliesse come
signore. Al rifiuto oppostogli, Braccio inizia a
devastare i castelli intorno alla città, prendendo
Posta, Borbona, Pizzoli, Paganica,
Assergi,Poggio Picenze, San Demetrio, Fossa,
Sant'Eusanio, Barisciano e altri centri. Solo
STIFFE, dove si trova una schiera di soldati
comandata dall'aquilano Antonuccio de Simone
sa respingere valorosamente gli assalti. Fatte
accampare le sue truppe sotto le mura
dell'Aquila (Collemaggio e la Rivera), Braccio
mette l'assedio, costellato di attacchi, di sortire
difensive e di reciproche crudeltà di ogni genere.

Finalmente, le forze collegate alla regina


Giovanna giunsero in soccorso della città,
scendendo dall'altipiano delle Rocche. Scrive
Panfilo Gentile : "Quando vide gli uomini di
Caldora schierati alle spalle dei bracceschi nella
piana dell'Aterno (tra Bazzano e Fossa),
Antonuccio fece un'irresistibile sortita coi suoi
aquilani. I bracceschi, presi tra i due eserciti,
subirono una irreparabile sconfitta. Braccio
cadde da prode sul campo il 12 giugno 1424.
(...) Questa battaglia fu una vera parata di
condottieri ; vi trovarono gloria tutti i più celebri
capitani dell'epoca." Con Braccio erano Nicolò
Piccinino, Malatesta Baglioni, il Gattamelata ;
con le forze collegate erano Giacomo Caldora,
Ludovico Colonna, Francesco e Leone Sforza, il
Cotignola, Piero dal Verme e gli aquilani
Minicuccio d'Ugolino e Rosso Guelfaglione
(mancava tra i collegati Muzio Attendolo Sforza,
che in gennaio mentre era diretto a soccorrere
L'Aquila, era morto nell'attraversamento del
fiume Pescara).Quella di Bazzano fu la più
grande battaglia fino ad allora combattuta in
Abruzzo. Braccio, ferito, morì dopo qualche
giorno, e gli successe al comando Nicolò
Piccinino. Messaggeri della vittoria festanti ed
affannati corsero in città, risalendo dalla porta di
Roio, lungo la via che ancora reca il nome del
loro grido di liberazione : "Bone novelle ! Bone
novelle !"

CONSIDERAZIONI

Braccio intendeva impadronirsi di Roma e di


tutto il regno di Napoli e, commenta Machiavelli,
"se non era rotto e morto all'Aquila, gli
riusciva."(Dell'Arte della Guerra, Libro I)

La resistenza degli Aquilani non aveva salvato


solo Roma, ma Napoli e la regina, per cui la
battaglia di Bazzano non fu un episodio di storia
locale, ma il momento cruciale di una lotta di più
ampio respiro, e col suo esito impedì una svolta
dalle incerte prospettive nella storia d'Italia. La
battaglia di Bazzano, inoltre, mise fine ai sogni di
conquista e di potenza delle Compagnie di
ventura. La città resistette strenuamente ed alla
sconfitta di Braccio da Montone e degli
Aragonesi ad opera di Giacomo Caldora (al
soldo di Giovanna II e del Papa), la regina
Giovanna per ringraziare L'Aquila della sua
fedeltà le concesse una serie di privilegi che ne
incrementarono lo sviluppo economico e sociale.
Ben presto L'Aquila divenne la seconda città dei
regno di Napoli, prosperosa negli scambi
commerciali e culturali che manteneva con le più
importanti città italiane ed estere. La
popolazione agli inizi del Quattrocento si
aggirava per difetto sui 18.000 abitanti, di cui
4.500 nella città e il resto nel contado (un raggio
di circa 30 Km). Il suo sviluppo era favorito dal
fatto di trovarsi come punto nevralgico lungo la
"via degli Appennini o degli Abruzzi" che andava
da Firenze a Napoli passando per Perugia,
Terni, Rieti, L'Aquila (primo grande centro che si
incontrava nel Regno), Sulmona, Isernia,
Venafro, Teano e Capua. Cavalcando dall'alba
al tramonto, da Firenze si raggiungeva Napoli in
15 giorni. Dal 1300 - quando le vie litoranee
erano qua e là paludose e infestate dai banditi -
questa era stata una delle strade più battute
d'Italia, cerniera del regno col resto d'Italia e
d'Europa, percorsa da commercianti, diplomatici,
uomini di cultura, eserciti, re. Nel XV secolo
L'Aquila ebbe il privilegio di battere moneta; vi fu
istituito un prestigioso "Studio generale"
(l'Università) e nel 1482 Adamo da Rotweill,
allievo del Gutemberg, vi impiantò una delle
prime tipografie italiane. Nel 1494 Carlo VIII
d'Angiò conquista la città durante la sua discesa
in Italia. L'inizio del 1500 segna il lento declino
dell'orgoglio e dell'autonomia aquilana. Lo spirito
d'indipendenza della città fu infatti soffocato
durante la lotta tra i Francesi e gli Spagnoli per il
possesso dei regno di Napoli, e per punirla di
aver parteggiato per Francesco I, lo spagnolo
Carlo V, ordinò a Filippo d'Orange di assediarla
e distruggerla. Gli spagnoli si insediano di forza
in città e nel 1532 da Don Pedro di Toledo fu
eretto il Forte "Ad reprimendam Aquilanorum
audaciam ".Inoltre, essendo cambiata
completamente nel Cinquecento la geografia dei
traffici mondiali, la città divenne ben presto un
inaccessibile luogo di montagna tagliato fuori dai
principali flussi commerciali. Durante la rivolta di
Masaniello 1647 la città si ribellò di nuovo agli
Spagnoli e fu per questo condannata a dure
repressioni economiche e sociali, che ne
causarono un lento declino. Il '500 ed il '600
furono secoli caratterizzati da decadenza politica
ed economica, alle quali si aggiunse la piaga del
banditismo che infestò tutta la regione. Tuttavia
fu la peste (diffusasi per contagio dalla Spagna),
la vera protagonista di quegli anni. Nel 1656, ai
primi segni dell'epidemia, il consiglio cittadino
decise di chiudere tutte le porte, escluse la
Riviera e Porta Bazzano per
l'approvvigionamento di farina e verdura.
Vennero espulsi i "forestieri", i mendicanti e le
prostitute. Ciò nonostante la peste entra in città
e si tenta di arginarla affidandosi alle insegne di
San Bernardino e facendosi ungere con l'olio
benedetto nella chiesa della Misericordia. Un
lazzaretto viene istituito nel piccolo convento
presso la chiesa di San Vito, davanti alla fontana
delle 99 cannelle. Il trasporto dei malati e dei
cadaveri и affidato ai condannati a morte, con la
promessa di riacquistare la libertà dopo nove
giorni di tale servizio. Tali "monatti" seppellivano
o bruciavano i cadaveri davanti alla chiesa di
Sant'Antonio e spesso si abbandonavano al
saccheggio delle case rimaste senza proprietari.
Complessivamente, su una popolazione di 6.000
abitanti, morirono ben 2.294 persone, in gran
parte del ceto popolare. Seguirono anni segnati
da una irrefrenabile voglia di vivere. Nel 1703
uno spaventoso terremoto distrusse
completamente la città, peggiorando la ripresa
economica e demografica. La città fu però
ricostruita dalla tenacia dei suoi abitanti.La Pace
di Vienna pose fine alla dominazione spagnola;
solo pochi anni dopo,nel 1799, la città insorse di
nuovo contro l'occupazione francese. La città
partecipò attivamente ai moti rivoluzionari per
l'unità d'Italia : gli aquilani parteciparono ai moti
rivoluzionari sotto la guida di Pietro Marrelli che,
il 20 novembre del 1860, ospitò all'Aquila
Mazzini in persona. Nello stesso 1860 la città,
dopo aver riconquistato a fatica l'antico
splendore, fu riconosciuta "capitale d'Abruzzo"
ovvero capoluogo di regione.
[1] La guerra di Braccio è raccontata nel
"Cantare", poema epico di Niccolò

Ciminello da Bazzano.

2.Da wikipedia:

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