essere riassunta in 5 minuti. Ma dobbiamo ricordarci cosa siamo stati per avere un futuro, in un momento come questo, dove arriva la parte più difficile, nella quale dovrebbe ripartire la ricostruzione, e invece ci ritroviamo, dispersi, confusi, arrabbiati, ma la cosa peggiore rassegnati. Maltratti in una maniera indegna dagli stessi mezzi di comunicazione, è inutile citarvi l’episodio della trasmissione Forum, della buffonata grottesca, che presenta tramite la tv, tutta un’altra immagine di questa città, idilliaca, perdonatemi l’ironia, ma proprio cornuti e mazziati, oltre che maltrattati anche dileggiati e scherniti. La Dalla Chiesa senza ricevere il nostro assessore alla cultura e alle politiche sociali, dice piangendo, novella coccodrilla, che è solo un’azione politica la nostra accorata protesta. C’è una cosa che accomuna il popolo abruzzese e, in particolare, i L’Aquilani, la fierezza, “forti e gentili”, profondamente onesti e laboriosi. Di certo un po’ malfidenti all’inizio, ma poi vi regaliamo il cuore. E’ stata un’offesa gravissima, a noi, i nostri morti, le famiglie impoverite, i nuovi disoccupati, i giovani immelanconiti, gli anziani che hanno perso i loro ricordi, i loro luoghi di affezione, le donne che si trovano a gestire una famiglia tesa al limite assieme agli uomini stanchi! Ora è il momento di ripartire sul serio, tutti uniti-e, i e l e le l’aquilane, senza dividerci, ogni l’aquilano-a con la propria storia, si la propria storia personale, la propria croce e la propria sofferenza. Dobbiamo abbandonare il clima di sospetto, unirci attorno al sindaco, che è stato tradito dagli stessi appartenenti al suo partito, dalle logiche di chi cura solo i propri interessi personali e alla Pezzopane, anche loro terremotati e sfollati. Qui non è questione di essere appartenenti al popolo viola, al partito democratico, a rifondazione comunista, all’udc, ad an, a italia dei valori, o allo stesso pdl. Qui si tratta, signori e signore, di ricordarci chi siamo, la nostra forza, la nostra cultura, le nostre tradizioni, tutti uniti, contro chi non vuole, dietro un muro di ipocrisia, che la nostra L’Aquila torni ancora a volare, all’interno della nostra città, e fuori. Chi sono i l’aquilani-e , come è nata la nostra città? E’ nata da una Lega, altro che quei buffoni del nord, si proprio una lega di castelli che si riunirono tutti insieme, nel 1254, contro l’imperatore, almeno questa è la mia opinione, ma non contro l’imperatore, come affermano alcuni storici, bensì ogni abitante del pagus, cioè del villaggio sottostante il feudo, il castello, ribellandosi al proprio feudatario, cioè castellano. In un secondo momento si unirono gli stessi feudatari contro l’imperatore. Ecco quello che voglio sottolineare non è che furono soltanto i nobili, ma la borghesia e il popolo di ogni castello-borgo ad unirsi. Da qui è nata la leggenda delle 99 cannelle, l’acqua era la risorsa primaria per svolgere ogni attività, come ancora oggi, ogni cannella, cioè fonte, rappresenta un differente villaggio-castello. E lo stesso schema architettonico del centro, la forma dei vari quartieri, è nata da questo tipo di nascita collettiva, un mosaico armonico di piazze, con la propria fontana, chiesa, palazzo e case. Ecco come è nata L’Aquila e chi crede che possa rinascere attorno dei centri commerciali, senza strade, alla rinfusa, non ci conosce o non gliene importa nulla della nostra identità, della nostra l’aquilanità. La nostra meravigliosa città è stato uno dei primi esempi di pre-comune in Italia, ed era capitanata dai rappresentanti delle Arti, le Corporazioni, oggi diremmo sindacati, una per ogni mestiere, in una parola, L’Aquila si è fondata sul lavoro, anzi, sui vari tipi di lavoro: Lana,Pellami, Metalli, Militi o Nobili, Letterati. Non devono permettersi di ridurci a un ammasso informe che mendica un impiego precario, dobbiamo difendere i mestieri antichi, il nostro artigianato, e quelli nuovi. In particolare mi rivolgo a chi ha avuto un’ impresa di costruzioni, scalzato dal piano di Berlusconi, la nostra università di ingegneria ha formato intere schiere di esperti delle costruzioni venuti a studiare qua! Che sta succedendo? La città è nata su un suolo da un punto di vista geologico particolare, su strati di antiche brecce, sassi, e detriti alluvionali che amplifica le scosse sismiche, come mi ha spiegato il mio amico Gaetano de Luca, sismologo e fisico, che ha studiato a fondo questo fenomeno. Non è la prima volta che la città è rasata al suolo, ma anche che sia stata ricostruita, non c’è un secolo dal 1250 circa, che sia stato privo di un grave terremoto, ma la cittadinanza, è sempre riuscita a risollevarsi, TUTTA la storia dell’Aquila , è un succedersi di ricostruzioni, ce l’abbiamo scritto nei cromosomi, fa parte di noi! E anche chi è venuto soltanto a studiare, per esempio, o non è originario di qua, ma è vissuto qua, ha sviluppato un forte amore per questa città, per i suoi abitanti. Questo ci dobbiamo ricordare! Tra le varie ricostruzioni mi ha colpita quella del 1703, dopo un terremoto simile a quello del 2009, per potenza distruttiva. Fu nominato un commissario, che però era delle vicinanze dell’Aquila, che ottenne l’esenzione dalle tasse dal Regno di Napoli per ben 10 anni. L’Aquila divenne un enorme cantiere, si sentiva tutto il giorno il rumore degli strumenti da ricostruzione, che partì proprio dal centro, e si chiamarono delle braccia dall’esterno della città, che si integrarono con la comunità, lavorando fianco a fianco. La città fu ricostruita a ritmi forsennati, costruendo delle baracche di legno nella piazza duomo, e in poco tempo furono ricostruiti gli edifici pubblici, e poi le chiese. Ora, invece, che succede? Chi abbiamo a farci da vicecommissario, lo conosciamo bene chi è! Un uomo che appena si insedia dichiara che l’Università non è la prima priorità! Non è colpa di Cialente se la città è paralizzata! C’è chi ci vuole umiliati, divisi e rassegnati! Alziamo la testa e facciamo vedere chi siamo! Dignità, basta punzecchiarsi e offendersi, dobbiamo unirci in una nuova Lega, coalizione, commercianti, operai, studenti, professori, religiosi, laici, uomini , donne, giovani e anziani…solo così rinascerà davvero L’Aquila. Che continuino a dichiarare falsità nella televisione, noi siamo una città con sette secoli di storia, non ci interessano le Milano 3, con un laghetto puzzolente pieno di zanzare, un albergo, 4 condomini, 15 villette a schiera, tutto uguale, finto, come una scenografia di uno studio televisivo, che a camminarci dentro dopo un po’ di perdi, perché è tutto dannatamente uguale, informe, banale, incolore e insapore, ve lo dice una storica dell’arte, che ha scelto questo tipo di studio, proprio perché il suo primo libro è stato il centro storico della città! Noi non siamo un luogo di conquista per la lobby che ha corrotto mezza Italia. Individuiamo bene chi è complice di questa lobby tra di noi, e combattiamoli uniti, con la forza della verità, che libera dal gioco della schiavitù. Loro non vogliono che L’Aquila rinasca come tale, per fare i loro loschi affari, ecco la pura e semplice verità. Ma noi cosa vogliamo? Abbiamo detto di no alle tasse di Federico II, alle tasse del re di Napoli, e ora ci spaventiamo di chi si fa ancora chiamare cavaliere? Cosa debbo pensare, che eravamo più liberi sotto il Regno di Napoli? E non perché dobbiamo ricostruire per staccarci dal resto dell’Italia, come farebbe un miope e ignorante sindaco leghista, che non riesce a vedere al di là del suo naso, ma per essere da esempio per il resto dell’Italia! Che ci ha aiutati, la sua parte buona, perbene e onesta, e sto parlando dei volontari che hanno pianto con noi, condiviso il nostro dolore. Non deludiamoli,non deludiamo noi stessi, forza coraggio. Si, siamo italiani, e la bandiera del nostro comune oltre al verde ha messo il nero, proprio per ricordare le vittime di un antico terremoto, ma anche per ricordarci che passato il lutto, andiamo avanti, nella speranza.
Questi sono i l’Aquilani e le l’Aquilane!
Giulia Salfi
Enza va bene così, se vuoi far parlare Walter
Cavalieri della storia più nel dettaglio, ma ho cercato di mettere dei punti salienti, ti piace così? Evito di parlare dei templari, perché ci stanno tanti clericali, e poi l’argomento mi portava fuori luogo.
Fonti:
1.Ecco le notizie che mi ha mandato Walter
Cavalieri.
Cenni Storici sula fondazione dell’AQUILA,
Walter Cavalieri, waltercavalieri@alice.it, storico dell’Aquila
Alla metà del Duecento, nella fertile vallata
dell'Aterno ai piedi del Gran Sasso, sorge una civitas nova equidistante dagli insediamenti romani di Amiterno (San Vittorino), Forcona (Civita di Bagno), Aveia (Fossa) e Foruli, già fiorenti per il commercio dello zafferano e della lana. Nell'Alto Medioevo questi centri romani erano stati devastati dai barbari e la loro popolazione si era dispersa e "incastellata" in un pulviscolo di castelli, ville e rocche, dominati da signori feudali o proprietà di chiese e abbazie. Ma poiché i baroni desideravano sottrarsi al pagamento dei tributi verso l'imperatore , dettero vita già nel 1229 ad una confederazione di castellum e di villae. Fu questa federazione ad inviare propri delegati al papa Gregorio IX e al Re di Napoli, chiedendo di potersi riunire in un unico grande centro, da edificarsi nel luogo detto Acculum. Il luogo è scelto per la sua centralità, per l'abbondanza delle acque, per l'ubertosità della terra e, non ultimo, per la naturale posizione elevata e raccolta rispetto alla piana dell'Aterno, tale da esaltarne le funzioni peculiari di controllo e difesa. Il sito и inoltre posto lungo l'importante arteria stradale appenninica che collega Firenze con Napoli. La fondazione della città, vagheggiata dall'imperatore Federico II di Svevia (morto nel 1250), ebbe certamente il maggiore impulso costruttivo sotto il regno del figlio Corrado IV che nel 1254 - dando di fatto il proprio assenso ad una costruzione già in corso - ne sancisce la nascita con un apposito diploma di fondazione. In esso si trova scritto : "Abbiamo deciso che nel luogo detto Aquila, tra Forcona e Amiterno, dai castelli e dalle terre circostanti, nasca una città di un solo corpo, da chiamarsi Aquila, per il nome del luogo (S.Maria d' Acquili) e per l'auspicio della nostra insegna vittoriosa e abbiamo stabilito di fissarne i confini dall'Orno Putrido a tutto Amiterno.(Un territorio che va da oltre S.Benedetto in Perillis all'altipiano delle Rocche e a Montereale)" Per consentire la nascita della città, l'imperatore confisca boschi e selve e libera l'area prescelta da ogni obbligo feudale, ordinando l'abbattimento di tutte le rocche feudali prodotte dal precedente incastellamento : dunque,la fondazione è indubbiamente un fatto rivoluzionario, che turba un assettodel territorio più che secolare.La nuova città dell'Aquila, realizzata quasi completamente nel 1253, è in realtà una città-territorio per il fatto stesso che alla sua costruzione partecipano gli abitanti di 99 diversi castelli arroccati lungo la cerchia di monti circostanti. Le comunità fondatrici che si confederano mantengono inoltre un rapporto stabile fra la nuova città e i villaggi di origine, al punto che i singoli rioni affiancati gli uni agli altri, sono distinti peril nome che ne ricorda il castello di nascita.Poiché nella nuova città ogni castello d'origine ha a disposizione un proprio quartiere, L'Aquila è una delle poche città europee costruite secondo un ben preciso progetto urbanistico. Scrive Luigi Lopez : "In pratica la città nacque e si organizzò come una federazione delle distinte comunità, dei distinti castelli, ognuno dei quali continuò ad essere padrone dei propri beni, dei propri demani, delle proprie rendite e del proprio territorio, ma ebbe in aggiunta una parte del territorio della città, all'interno delle mura."La base dell'economia aquilana è costituita soprattutto dall'allevamento ovino e dalla transumanza, che era stato riattivata dai Normanni dopo il blocco subito in età longobarda, quando l'Abruzzo era stato diviso dalle Puglie bizantine (Longobardia - Romania). Da notare che i tratturi erano percorsi demaniali larghi da 18 a 111 metri e che il tratturo magno che partiva dall'Aquila era lungo circa 250 Km. I tratturi collegano i grandi pascoli del Gran Sasso e della Maiella con la ricca piana del Tavoliere, capace di fornire adeguato nutrimento a centinaia di migliaia di capi di bestiame. Si ricordano i tratturi L'Aquila-Foggia, Celano-Foggia, Castel di Sangro-Lucera e Pescasseroli-Candela. L'Aquila e il nuovo centro polarizzatore, trovandosi al centro del sistema dei tratturi e della secolare "via degli Abruzzi". A metà del Duecento nasce con L'Aquila il caso anomalo di un Comune tardivo in una regione che non ha conosciuto poteri di città, ma solo di abbazie e di insediamenti Normanni.
La città ebbe subito una organizzazione
autonoma e propri statuti, con un podestà ed un libero consiglio, ed assunse una tale importanza politico militare che a soli tre anni dalla fondazione il pontefice Alessandro IV, trasferì nel 1257 l'antica sede vescovile di Forcona a L'Aquila, tentando di riportarla nell'ambito guelfo mediante l'erezione della diocesi, importantissima per una città medievale. Entrambi gli alti poteri in conflitto cercarono cioè di fare propria la nuova città, capace di svolgere un ruolo importantissimo nella lotta fra Papato e Svevi. In quegli anni era già in atto la contesa tra il papato ed il nuovo re svevo Manfredi (figlio di Federico II e fratellastro di Corrado IV), e la città rimasta fedele ad oltranza alla Chiesa pagò duramente: nel 1259 infatti Manfredi dopo aver riconquistato la parte meridionale del regno, sobillato dai vecchi baroni, assediò per due anni L'Aquila e la dette alle fiamme. Scrive Buccio da Ranallo: "Questa terra fo' in prima per re Corrado fatta; poi venne re Manfredo, per isso fo' desfatta." La città, devastata ma non distrutta, rimase abbandonata per sette anni fino al 1266, quando Carlo I d'Angiò, impossessatosi con la forza del regno di Sicilia (grazie anche all'appoggio degli Aquilani, che lo sosterranno anche nella battaglia di Tagliacozzo), dette inizio con un nuovo diploma -ampiamente retribuito - alla ri-fondazione di questa città di frontiera, a lui molto utile in quanto posta a guardia dei confini settentrionali del regno. Nonostante l'opposizione dei vecchi baroni (che tentarono di convincere Carlo d'Angiò con offerte in denaro) e del vescovo di Rieti (che voleva recuperare le chiese già appartenute alla diocesi di Amiterno), vennero riedificate circa 15.000 abitazioni. Sotto gli Angioini L'Aquila, esentata dal pagamento dei dazi sulla lana, aveva riacquistato prestigio e preminenza e nel 1272 per opera del Capitano Lucchesino da Firenze, governatore regio, si ricominciò l'edificazione delle mura cittadine (con le loro 15 porte) e si divise la cittа in quattro quartieri o quarti (S.Pietro di Coppito, S.Giovanni poi S.Marciano, S.Maria di Paganica e S.Giusta). Nel 1293 Niccolò dell'Isola, venuto dal versante settentrionale del Gran Sasso, guidò gli Aquilani contro le rocche feudali di Ocre, Pizzoli, Barete e Preturo, che furono distrutte.
In questo periodo viene anche costruita fuori
dalla cinta muraria la basilica di S. Maria di Collemaggio dove il 29 agosto 1294 venne incoronato Papa Pietro da Morrone, con il nome di Celestino V, alla presenza di Carlo II d'Angiò e di una folla di 200.000 persone, fra cui Dante. I diplomi di Carlo II per l'approvvigionamento straordinario della città confermano l'immenso concorso di fedeli. Nel Trecento, L'Aquila si uniforma al regime dei Comuni dell'Italia centrale, ai quali era strettamente legata anche da interessi commerciali, che la portavano a sentire la monarchia e i re di Napoli lontani ed estranei. La città fu governata da un Camerlengo, coadiuvato (dal 1355) dai cosiddetti Cinque delle Arti, magistrati rinnovati per elezione ogni due mesi, che rappresentavano le corporazioni maggiormente sviluppatesi in città (Lana, Pellami, Metalli, Militi o Nobili, Letterati). Si trattava di un governo espressione della vitalità imprenditoriale, della nobiltà e del sapere. Libero comune, L'Aquila, sviluppa i commerci dello zafferano e della lana, conquistando potenza politica e prosperità economica di rinomanza europea :per tutto il Trecento sono molto attivi mercanti di zafferano, metallieri, tessitori, pellicciai, calzolai e lanaioli. Grande centro raccoglitore di prodotti, L'Aquila assume l'importante funzione di "mercato cerniera" fra il nord e il sud della penisola, frequentato da potenti mercanti fiorentini e veneziani. Importanti famiglie toscane, come i Bonaccorsi, i banchieri Bardi, gli Ardinghelli, gli Strozzi, i Gondi, i Papone, gli stessi Medici, acquistano case ad Aquila. Importanti mercanti arrivano anche dal Nord Europa. Nasce in città un ceto di mercanti imprenditori che uniscono le due attività dell'allevamento transumante e della produzione dei panni di lana, sopperendo con propri allevamenti al fabbisogno di materia prima in grande quantità e a buon mercato. Ad esempio, risulta da un testamento del 1335 che il mercante Giacomo Gaglioffi, produttore di panni lana, lasciava morendo circa 9.000 pecore in Puglia. Ma L'Aquila è anche scossa da turbinose lotte intestine fra famiglie di questi mercanti imprenditori che volevano darle uno sviluppo in senso borghese (i Gaglioffi, i Camponeschi, che alla fine prevalsero) e famiglie ancora legate al mondo agrario e feudale (i Pretatti).
Nella città si raccolgono anche intellettuali di
diversa formazione, provenienti dai paesi vicini : fra questi spicca Buccio da Ranallo, nativo di Poppleto (Coppito), che nel 1355 inizia a scrivere in rima La cronaca rimata sulla fondazione e la storia della città fino al 1362. Diverse sciagure si abbattono sulla citа : il terremoto del 1349 e le epidemie di peste del 1348 e del 1363. Nella lotta tra Angioini e Aragonesi per il possesso dei regno di Napoli, la città fu fedele alla causa di Giovanna II d'Angiò, che per riconoscenza confermò all'Aquila il possesso di Acciano. Nel 1424 la città fu sottoposta ad un durissimo assedio durato 13 mesi ad opera di Andrea Braccio Fortebraccio conte di Montone, che agiva per conto di Alfonso di Aragona.
LA GUERRA DI BRACCIO [1]
ANTEFATTI
Nel 1419 Braccio Fortebraccio da Montone, uno
dei più valorosi condottieri del tempo, impadronitosi di Perugia, Assisi e Todi, minaccia di allargare le sue conquiste a danno dello Stato Pontificio. Il papa Martino V (Ottone Colonna) chiede aiuto a Giovanna II e la investe del Regno napoletano in cambio di 3.000 cavalieri sotto il comando di Muzio Attendolo Sforza per combattere Braccio. Essendo stato sconfitto lo Sforza presso Viterbo, Giovanna II tradisce l'accordo col papa, licenzia lo Sforza e chiama invece in suo luogo proprio Braccio. Alla notizia, il papa la dichiara decaduta, la sostituisce con Luigi III d' Angiò e prende al suo soldo lo Sforza. Vistasi minacciata, Giovanna chiama Braccio che da Ascoli ridiscende in Abruzzo soggiogando alcune città ribellatesi a Giovanna (Pacentro, Sulmona, Campo di Giove, Castel di Sangro) e giungendo a Napoli nel 1421. Qui giunge nello stesso tempo anche Alfonso d'Aragona, figlio adottivo di Giovanna ed erede al trono. Intimorito dalla piega degli eventi, Martino V induce Luigi III a riconsegnare a Giovanna le terre di cui si era impadronito nel Regno napoletano. Nello stesso tempo Braccio apre trattative con lo Sforza e ottiene che torni alle dipendenze della regina e di Alfonso d'Aragona col grado di generale.Tra le condizioni poste da Braccio, vi и che lo Sforza non oltrepassi col suo esercito il fiume Pescara, poiché Giovanna e Alfonso, nominandolo Governatore d'Abruzzo, gli avrebbero di fatto donato tutto l'Abruzzo montano.Gli Aquilani, che godono dell'esenzione da ogni signoria, fanno sapere a Braccio che lo accetterebbero come governatore della regina, ma che non sono disposti a diventare suoi vassalli. Fortebraccio, pur avendo avuto dalla Regina la raccomandazione di rispettare l'immunità e i privilegi dell' Aquila, pretende ugualmente la signoria della città, forte dell'appoggio di Alfonso d'Aragona.In effetti, è finita l'intesa fra Giovanna e Alfonso, il quale attacca militarmente le forze della Regina. Costei chiede aiuto allo Sforza il quale, dimenticando le passate ingiurie, corre in aiuto di Giovanna e caccia Alfonso da Napoli. Su consiglio del papa, Giovanna annulla quindi pubblicamente l'adozione di Alfonso e riconosce invece come figlio adottivo ed erede al trono Luigi III d'Angiò. Braccio, ritenendosi ormai signore dell'Aquila, da Perugia manda in città un ambasciatore preannunciando la sua prossima presa di possesso. Avendo subito gli Aquilani manifestato la loro volontà di opporsi ed avendo espresso fedeltà a Luigi III, Braccio riunisce presso Todi 3.200 cavalieri e 1.000 fanti e muove alla volta dell'Aquila, giungendo nel contado nel maggio 1423. Gli Aquilani sono guidati da Antonuccio Camponeschi.
L'ASSEDIO
Appena giunto sotto le mura dell'Aquila col suo
ragguardevole esercito, Braccio chiese che gli si aprissero le porte e lo si accogliesse come signore. Al rifiuto oppostogli, Braccio inizia a devastare i castelli intorno alla città, prendendo Posta, Borbona, Pizzoli, Paganica, Assergi,Poggio Picenze, San Demetrio, Fossa, Sant'Eusanio, Barisciano e altri centri. Solo STIFFE, dove si trova una schiera di soldati comandata dall'aquilano Antonuccio de Simone sa respingere valorosamente gli assalti. Fatte accampare le sue truppe sotto le mura dell'Aquila (Collemaggio e la Rivera), Braccio mette l'assedio, costellato di attacchi, di sortire difensive e di reciproche crudeltà di ogni genere.
Finalmente, le forze collegate alla regina
Giovanna giunsero in soccorso della città, scendendo dall'altipiano delle Rocche. Scrive Panfilo Gentile : "Quando vide gli uomini di Caldora schierati alle spalle dei bracceschi nella piana dell'Aterno (tra Bazzano e Fossa), Antonuccio fece un'irresistibile sortita coi suoi aquilani. I bracceschi, presi tra i due eserciti, subirono una irreparabile sconfitta. Braccio cadde da prode sul campo il 12 giugno 1424. (...) Questa battaglia fu una vera parata di condottieri ; vi trovarono gloria tutti i più celebri capitani dell'epoca." Con Braccio erano Nicolò Piccinino, Malatesta Baglioni, il Gattamelata ; con le forze collegate erano Giacomo Caldora, Ludovico Colonna, Francesco e Leone Sforza, il Cotignola, Piero dal Verme e gli aquilani Minicuccio d'Ugolino e Rosso Guelfaglione (mancava tra i collegati Muzio Attendolo Sforza, che in gennaio mentre era diretto a soccorrere L'Aquila, era morto nell'attraversamento del fiume Pescara).Quella di Bazzano fu la più grande battaglia fino ad allora combattuta in Abruzzo. Braccio, ferito, morì dopo qualche giorno, e gli successe al comando Nicolò Piccinino. Messaggeri della vittoria festanti ed affannati corsero in città, risalendo dalla porta di Roio, lungo la via che ancora reca il nome del loro grido di liberazione : "Bone novelle ! Bone novelle !"
CONSIDERAZIONI
Braccio intendeva impadronirsi di Roma e di
tutto il regno di Napoli e, commenta Machiavelli, "se non era rotto e morto all'Aquila, gli riusciva."(Dell'Arte della Guerra, Libro I)
La resistenza degli Aquilani non aveva salvato
solo Roma, ma Napoli e la regina, per cui la battaglia di Bazzano non fu un episodio di storia locale, ma il momento cruciale di una lotta di più ampio respiro, e col suo esito impedì una svolta dalle incerte prospettive nella storia d'Italia. La battaglia di Bazzano, inoltre, mise fine ai sogni di conquista e di potenza delle Compagnie di ventura. La città resistette strenuamente ed alla sconfitta di Braccio da Montone e degli Aragonesi ad opera di Giacomo Caldora (al soldo di Giovanna II e del Papa), la regina Giovanna per ringraziare L'Aquila della sua fedeltà le concesse una serie di privilegi che ne incrementarono lo sviluppo economico e sociale. Ben presto L'Aquila divenne la seconda città dei regno di Napoli, prosperosa negli scambi commerciali e culturali che manteneva con le più importanti città italiane ed estere. La popolazione agli inizi del Quattrocento si aggirava per difetto sui 18.000 abitanti, di cui 4.500 nella città e il resto nel contado (un raggio di circa 30 Km). Il suo sviluppo era favorito dal fatto di trovarsi come punto nevralgico lungo la "via degli Appennini o degli Abruzzi" che andava da Firenze a Napoli passando per Perugia, Terni, Rieti, L'Aquila (primo grande centro che si incontrava nel Regno), Sulmona, Isernia, Venafro, Teano e Capua. Cavalcando dall'alba al tramonto, da Firenze si raggiungeva Napoli in 15 giorni. Dal 1300 - quando le vie litoranee erano qua e là paludose e infestate dai banditi - questa era stata una delle strade più battute d'Italia, cerniera del regno col resto d'Italia e d'Europa, percorsa da commercianti, diplomatici, uomini di cultura, eserciti, re. Nel XV secolo L'Aquila ebbe il privilegio di battere moneta; vi fu istituito un prestigioso "Studio generale" (l'Università) e nel 1482 Adamo da Rotweill, allievo del Gutemberg, vi impiantò una delle prime tipografie italiane. Nel 1494 Carlo VIII d'Angiò conquista la città durante la sua discesa in Italia. L'inizio del 1500 segna il lento declino dell'orgoglio e dell'autonomia aquilana. Lo spirito d'indipendenza della città fu infatti soffocato durante la lotta tra i Francesi e gli Spagnoli per il possesso dei regno di Napoli, e per punirla di aver parteggiato per Francesco I, lo spagnolo Carlo V, ordinò a Filippo d'Orange di assediarla e distruggerla. Gli spagnoli si insediano di forza in città e nel 1532 da Don Pedro di Toledo fu eretto il Forte "Ad reprimendam Aquilanorum audaciam ".Inoltre, essendo cambiata completamente nel Cinquecento la geografia dei traffici mondiali, la città divenne ben presto un inaccessibile luogo di montagna tagliato fuori dai principali flussi commerciali. Durante la rivolta di Masaniello 1647 la città si ribellò di nuovo agli Spagnoli e fu per questo condannata a dure repressioni economiche e sociali, che ne causarono un lento declino. Il '500 ed il '600 furono secoli caratterizzati da decadenza politica ed economica, alle quali si aggiunse la piaga del banditismo che infestò tutta la regione. Tuttavia fu la peste (diffusasi per contagio dalla Spagna), la vera protagonista di quegli anni. Nel 1656, ai primi segni dell'epidemia, il consiglio cittadino decise di chiudere tutte le porte, escluse la Riviera e Porta Bazzano per l'approvvigionamento di farina e verdura. Vennero espulsi i "forestieri", i mendicanti e le prostitute. Ciò nonostante la peste entra in città e si tenta di arginarla affidandosi alle insegne di San Bernardino e facendosi ungere con l'olio benedetto nella chiesa della Misericordia. Un lazzaretto viene istituito nel piccolo convento presso la chiesa di San Vito, davanti alla fontana delle 99 cannelle. Il trasporto dei malati e dei cadaveri и affidato ai condannati a morte, con la promessa di riacquistare la libertà dopo nove giorni di tale servizio. Tali "monatti" seppellivano o bruciavano i cadaveri davanti alla chiesa di Sant'Antonio e spesso si abbandonavano al saccheggio delle case rimaste senza proprietari. Complessivamente, su una popolazione di 6.000 abitanti, morirono ben 2.294 persone, in gran parte del ceto popolare. Seguirono anni segnati da una irrefrenabile voglia di vivere. Nel 1703 uno spaventoso terremoto distrusse completamente la città, peggiorando la ripresa economica e demografica. La città fu però ricostruita dalla tenacia dei suoi abitanti.La Pace di Vienna pose fine alla dominazione spagnola; solo pochi anni dopo,nel 1799, la città insorse di nuovo contro l'occupazione francese. La città partecipò attivamente ai moti rivoluzionari per l'unità d'Italia : gli aquilani parteciparono ai moti rivoluzionari sotto la guida di Pietro Marrelli che, il 20 novembre del 1860, ospitò all'Aquila Mazzini in persona. Nello stesso 1860 la città, dopo aver riconquistato a fatica l'antico splendore, fu riconosciuta "capitale d'Abruzzo" ovvero capoluogo di regione. [1] La guerra di Braccio è raccontata nel "Cantare", poema epico di Niccolò