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LA COMUNITA'
INTERNAZIONALE: CARATTERI
GENERALI ED EVOLUZIONE
1. lo studio del diritto internazionale
il diritto internazionale è la branca della scienza giuridica avente come oggetto l'insieme delle norme giuridiche
che si applicano ai rapporti tra le entità politiche che compongono la comunità internazionale. esso è soolo uno
dei possibili sistemi di valutazione dei rapporti internazionali. la comunità internazionale e le relazioni tra stati
possono essere studiate secondo vari metri di giudizio, cioè storia, sociologia, politica ecc. il diritto
internazionale odierno si è ormai esteso a molte materie. fondamentale resta comunque la PRASSI
INTERNAZIONALE. nelle relazioni o controversie tra stati essi utilizzano il diritto internazionale per
giustificare o condannare un certo comportamento. queste valutazioni hanno poi anche effetti giuridici. dunque
tutti gli istituti del diritto internazionale sono utlizzati dagli stati nel loro interesse, e attraverso l'uso del diritto
internazionale gli stati possono influenzare gli eventi.
.
3. il problema storico del diritto internazionale
3.1. la pace di westphalia del 1648. ci sono varie teorie sulla nascita della comunità internazionale. la prima la fa
risalire alla pace di westphalia (trattati osnabruck e munster 1648), dopo la guerra dei 30 anni (1618-48). creò un
nuovo equilibrio tra le potenze e sancì la fine del sistema feudale gerarchico. nacquero 335 stati indipendenti,
due città libere e due confederazioni (province d'olanda e conf elvetica). il sistema feudale era piramidale, con al
vertice il papa o l'imperatore, sempre in conflitto tra loro. la bolla unam sanctam del 1302 di bonifacio 8° dava il
potere al papa, ma nei fatti non fu così. la seconda teoria vede la nascita della comunità internazionale tra il 9° e
11° secolo d.c., cioè quando nacque la res publica christiana. secondo questa concezione infatti solo soggetti che
condividono gli stessi valori possono formare una comunità
3.2. la comunità internazionale pluralista. la terza teoria è quella dell'internazionalista Roberto Ago, che vede
l'origine della comunità internazionale all'11 secolo (epoca romano-barbarica). in quel momento iniziarono
infatti a convivere tre potenze: l'impero franco lombardo (carlo magno), l'impero bizantino e l'impero islamico.
la quarta teoria è quella più giusta. vede il diritto internazionale come frutto del passaggio tra il medioevo e l'età
moderna. il cristianesimo proclamava l'unità del genere umano (tertulliano). la riforma luterana scompagina
questa concezione rinnegando l'autorità spirituale del papa e quella temporale dell'imperatore. la riforma
protestante rafforzò infatti la concezione nazionale della sovranità, riconoscendo ai principi il princìpio cuius
regio eius religio. anche jean bodin espresse questo principio con i suoi six livres de la republique, esaltando il
principio di nazionalità, consolidato durante l'assolutismo e le monarchie assolute. emerse una concezione
patrimoniale dello stato, considerato dal re come un suo patrimonio, motivo per cui si applicò largamente il
diritto romano a quello internazionale.
Le norme codificate dalla convenzione di vienna artt 31-33 indicano la prevalenza dei criteri di interpretazione
oggettivi su quelli soggettivi. Il primo criterio consiste infatti nella ricerca del significato letterale del testo
secondo la regola generale un trattato deve essere interpretato in buona fede, seguendo il senso dei termini nel
contesto. Oltre al contesto si deve guardare agli accordi ulteriori tra le parti in materia di interpretazione.
Importante poi è la prassi tra i contraenti sull’interpretazione. Secondo l’art 31 si deve guardare anche
all’oggetto e allo scopo del trattato, cioè gli obiettivi comuni. Un rilievo minore hanno i mezzi complementari
come la prospettiva storica (art 32). 12.3. i mezzi complementari di interpretazione. Tra essi ci sono anche i
lavori preparatori e le circostanze in cui il trattato è stato concluso. Il ricordo ad essi viene fatto per confermare il
senso del trattato, o quando l’interpretazione fatta con gli altri strumenti non è sufficiente. In generale dalla
giurisprudenza della CIG si desume che le norme sull’interpretazione dei trattati della convenzione di vienna
sono lo specchio del diritto consuetudinario (es. sent 2007 sulla prevenzione del genocidio.
12.4. le regole interpretative delle organizzazioni internazionali. L’interpretazione dei trattati istitutivi di
organizzazioni internazionali è soggetta alle regole sull’interpretazione dei trattati, ma con riserva delle norme
pertinenti dell’organizzazione. Le norme pertinenti sono gli atti istitutivi, la pratica dell’organizzazione. Le
regole pertinenti si applicano in funzione di lex specialis, grazie al carattere flessibile degli artt 31-33 della
convenzione. Una regola pertinente procedurale è quella dell’art 29 dello statuto del FMI, che disciplina la
procedura in caso di controversia tra membri e fondo o tra membri. Nel parere 1962 (certe spese delle nazioni
unite) la CIG sottolinea di tenere presenti nell’interpretazione della carta le sue speciali caratteristiche. La CIG
ha usato, nell’interpretazione della carta sia il metodo testuale che teleologico, senza escludere la dottrina dei
poteri impliciti. Di essa la corte parla nel parere 1949, dove si afferma che l’onu come soggetto del diritto
internazionale ha la capacità giuridica, implicita nella carta, di formulare un reclamo internazionale contro lo
stato autore dell’illecito. L’organizzazione quindi è titolare di quei poteri che pur non espressamente previsti
sono essenziali all’esercizio delle sue funzioni. La corte inoltre ha affermato il principio secondo cui dalle
esigenze della vita internazionale può esserci la necessità per le organizzazioni internazionali di disporre, per
raggiungere i propri fini, di competenze aggiuntive rispetto a quelle espressamente previste dall’atto istitutivo, e
che quindi possono esercitare poteri impliciti.
13. l'invalidità dei trattati: nullità relativa e nullità assoluta
la parte 5 della convenzione di vienna (artt 42-72) riguarda la nullità e l’estinzione dei trattati. Tutti i trattati, in
quanto atti giuridici, sono composti da due elementi costitutivi: due o più manifestazioni di volontà e
l’attribuzione di esse a soggetti del diritto internazionale. Non basta che la volontà sia formata, ma è necessario
che sia manifestata all’esterno, e deve provenire da un individuo che riveste la qualità di organo del soggetto,
altrimenti l’atto è INESISTENTE. I requisiti di validità dell’accordo quindi sono la capacità del soggetto e
l’assenza di cause di invalidità. La capacità del soggetto è in re ipsa, essendo accordi tra stati (l’art 6 precisa
comune che ogni stato ha la capacità di concludere accordi). 13.2. nullità assoluta e nullità relativa. La volontà
del soggetto di stipulare un accordo deve essere scevra da vizi. La convenzione di vienna distingue tra cause di
nullità relativa (annullabilità) e nullità assoluta. Gli artt 46-50 riguardano i vizi del consenso e stabiliscono che
ogni vizio deve essere invocato dalla parte contraente interessata. Gli artt 51, 52, 53 riguardano le cause di
nullità assoluta. Un trattato invalido per le cause qui previste non ha effetti giuridici AB INITIO. Non c’è tuttavia
la stessa distinzione del diritto interno tra atti nulli inefficaci ex tunc e atti annullabili (ex nunc). Comunque gli
elementi fondamentali restano comuni. In entrambi i casi infatti la nullità deve essere stabilita dalla convenzione,
cioè determinata conformemente alle sue regole e alla procedura (art 69 par 1). La procedura si attua solo se
nessuna parte si oppone a chi ha addotto la causa di nullità, altrimenti nasce una controversia. (artt 65-68).
Stabilita la nullità relativa o assoluta di un trattato esso è inefficace EX TUNC. La nullità assoluta è prevista
dall’art 69 della convenzione di vienna. La differenza principale è che la causa di nullità relativa può essere
invocata solo dallo stato il cui consenso è viziato. La nullità assoluta invece è invocabile da tutte le parti. I vizi
della volontà poi sono sanabili per acquiescenza, invece le cause di nullità assoluta sono insanabili. La procedura
per entrambe le nullità è uguale e dettata dall’art 65 della convenzione. Lo stato che ritiene il suo consenso
viziato notifica la sua pretesa al contraente. Dopo 3 mesi senza obiezioni l’interessato estingue il trattato con
denuncia. In caso di obiezione alla pretesa invece sorgerà una controversia. Se dopo 12 mesi la controversia non
è risolta le parti dovranno per forza fare la conciliazione obbligatoria. Se la controversia riguarda un contrasto
con lo ius cogens essa sarà sottoposta alla CIG. I vizi che rendono il trattao annullabile sono sanabili per
acquiescenza, e anche se il trattato si estingue ex tunc le situazioni giuridiche sorte rimangono. L’art 70 infatti
stabilisce che l’estinzione libera le parti dall’obbligo di continuare ad eseguire il trattato, ma non preguidica
diritti e obblighi creati. In caso di nullità assoluta ognu parte ha il diritto di chiedere il ristabilimento della
situazione precedente.
13.3. i vizi della volontà. Le cause di nullità relativa (annullabilità) possono essere: l’errore, il dolo, la
corruzione, la violazione delle norme sulla competenza a stipulare. L’errore è vizio di volontà quando uno stato
supponeva esistere una certa situazione al momento della stipulazione, e tale situazione era base essenziale del
consenso dello stato. Esso deve essere scusabile. Infatti non è invocabile se la parte che lo invoca ha contribuito
con la sua condotta all’errore, o avrebbe potuto evitarlo ma non l’ha fatto. Non sono ammessi l’errore di diritto e
l’errore ostativo. L’errore sul testo (materiale o di redazione) non comporta la nullità del trattato ma solo la
rettifica (art 48). L’errore materiale deve essere constatato di comune accordo dalle parti (art 79). Il dolo (art 49)
consiste nell’inganno con cui una parte induce l’altra a stipulare. La corruzione invece si ha quando il consenso a
vincolarsi è ottenuto con l’azione di un altro stato che corrompe il suo rappresentante. 13.4. la violazione delle
norme interne sulla competenza a stipulare. È l’ultimo dei vizi del consenso e disciplinato dall’art 46 della
convenzione di vienna. In generale questa violazione non può essere invocata dallo stato interessato come vizio
del suo consenso a meno che la violazione non sia manifesta e riguardi una norma di diritto fondamentale. una
violazione è da ritenere manifesta quando è evidente per qualsiasi stato che si comporti in buona fede. I casi in
cui questo è accaduto sono pochi perché raramente uno stato sconfessa i propri organi sul piano internazionale.
Inoltre quando è accaduto i tribunali internazionali sono stati restii ad accettare le argomentazioni
sull’incompetenza degli organi per dichiarare invalido il trattato. La corte ha trattato questa materia nella
sentenza del 2002 sulla controversia della frontiera terrestre e marittima tra camerun e nigeria. Si riteneva
vincolante la dichiarazione di maroua 1975 tra i due paesi. La nigeria obiettava che il capo dello stato l’aveva
sottoscritta senza avere i necessari poteri di diritto interno la CIG ha invece affermato che i limiti alla
competenza del capo dello stato non erano manifesti perché non pubblicizzati.
13.5. le cause di nullità assoluta. Esse sono insanabili per acquiescenza, e sono trattate dagli artt 51 (violenza su
un rappresentante di stato), 52(violenza su uno stato con minaccia), 53 (contrasto con lo ius cogens). Essi
rendono il trattato privo di efficacia ex tunc e privano di efficacia giuridica gli effetti già verificatisi. Primo, il
consenso ottenuto con la violenza (minacce o atti) è privo di effetti giuridici. È compresa anche la violenza
morale, cioè minaccia alla sfera di beni dell’organo. Nullo è anche un atto ottenuto con la violenza su uno stato
come soggetto del diritto internazionale (violazione art 2 par 4 carta ONU). Nella nozione di forza è intesa la
forza armata. Sono escluse le pressioni politiche o economiche. Infine è nullo un trattato che al momento della
conclusione è in contrasto con una norma di ius cogens. Infatti le norme imperative sono norme riconosciute
dalla comunità internazionale come inderogabili e modificabili solo da una norma dello stesso rango.
14. le cause di estinzione dei trattati internazionali
14.1. le cause previste nel trattato. Le cause di estinzione dei trattati si dividono in due categorie: le cause che
hanno il loro fondamento nell’accordo stesso, cioè nella volontà delle parti,e le cause per cui il trattato si
estingue per iniziativa di una parte , che invoca una causa esterna al trattato come l’inadempimento, il
cambiamento delle circostanze, l’impossibilità sopravvenuta di esecuzione. Vediamo le cause che hanno
fondamento nella comune volontà delle parti, disciplinate dall’art 54 della convenzione. Possono essere: per
termine finale (come lo fu la CECA che durò 50 anni: 1952-2002); per sopravvenire della condizione risolutiva
(es. le parti di un trattato multilaterale sono scese sotto una soglia); per esercizio del potere di denuncia
(bilaterali) o recesso (multilaterali). La denuncia e il recesso sono atti unilaterali che attribuiscono alla
dichiarazione di volontà di uno stato l’idoneità a estinguere i trattati. Se il trattato contiene una clausola sulla
denuncia o il recesso lo stato dichiarante non è tenuto a dare alcuna giustificazione. 14.2. i trattati privi di
clausole espresse. In questi casi, non frequenti, la convenzione di vienna adotta una posizione negativa per
l’ammissibilità dell’esercizio del potere di denuncia/recesso. Si è parlato anche di trattati denunciabili per loro
natura, che comportano ad esempio certi vincoli sul piano politico come i trattati militari e di alleanza. Questa
nozione è però abbastanza inutile perché gli stati possono addurre come causa di estinzione anche una causa
esterna al trattato. Lo statuto dell’onu invece è uno di quei trattati che non prevede la possibilità di recesso. La
prassi ha registrato solo un caso, l’indonesia, che nel 1965 si ritirò dall’onu per protesta contro l’elezione della
malaysia a membro non permanente del consiglio. L’indonesia ha però ripreso la sua partecipazione nel 1966,
quindi il ritiro fu solo un’assenza temporanea. Questo precedente indica però che gli stati membri hanno la
facoltà di recedere dall’organizzazione, pur non essendoci una disposizione espressa.
14.3. l’abrogazione dei trattati. Cause esterne alla volontà delle parti sono l’estinzione dei soggetti e
l’abrogazione esplicita o tacita. L’art 54 della convenzione di vienna stabilisce che un trattato può esinguersi in
ogni momento per consenso di tutte le parti (accordo abrogativo). Può essere, ma è raro, che un accordo preveda
come unica causa abrogativa l’accordo abrogativo, come quello USA-CUBA per la base navale di guantanamo
1903. L’art 59 invece disciplina abrogazione tacita, che si verifica quando tutte le parti di un trattato concludono
un trattato successivo in cui tutte le parti concordano che quella materia deve essere disciplinata da quest’ultimo.
Se il trattato successivo è talmente incompatibile con quello precedente che non si possono applicare insieme si
parla di abrogazione organica. In altri casi l’estinzione del trattato dipende dall’iniziativa di una parte che adduce
una causa esterna. In questo caso la convenzione di vienna richiama le norme generali del diritto internazionale.
14.4. l’inadempimento. È un’altra causa estintiva regolata dall’art 60 convenzione. Il principio è: inadimplenti
non est adimplendum. La CIG nel parere 1971 sulla continuazione della presenza dell’africa del sud in namibia
ha qualificato l’art 60 come codificazione del diritto consuetudinario, anche se per alcuni non è ancora così. In
ogni caso il principio generale ha trovato specificazione in una norma concreta. L’inadempimento è ammesso
come causa di estinzione, in quanto legittima la parte lesa a denunciare il trattato, ma con dei limiti. Essi si
configura anche come contromisura lecita in reazione all’illecito comportamento dell’altro contraente. Tuttavia
l’art 60 esclude che l’inadempimento possa essere invocato in ogni ipotesi, ed esige che la violazione sia
sostanziale. Per violazione sostanziale si intende un ripudio del trattato non autorizzato dalla convenzione o la
violazione di una disposizione essenziale per la realizzazione dell’oggetto o dello scopo del trattato. Per i trattati
multilaterali le regole sono più rigorose: si vuole evitare che il trattato sia travolto e per questo si ipotizza di
scinderlo in una somma di rapporti bilaterali. Per la convenzione di vienna, se vi è accordo di tutti si ha
estinzione, se no solo sospensione. Altro elemento sono le due ipotesi di accordi bilaterali e multilaterali. nei
trattati multilaterali una violazione di una parte legittima le altre a sospendere anche totalmente l'applicazione del
trattato o a considerarlo estinto anche nei rapporti reciproci (oltre che con l'autore della violazione). ogni stato
infatti può invocare la violazione come motivo di sospensione o estinzione (tranne l'autore della stessa) se la
natura del trattato è tale che la violazione di una parte modifica la situazione di tutti, ad esempio in caso di
obblighi solidali. 14.5. i limiti all'invocabilità dell'inadempimento. un importante limite è stabilito sempre dall'art
60 della convenzione. l'inadempimento infatti non è possibile quando ci sono norme che tutelano la persona
umana o trattatti umanitari. la camera di prima istanza del tribunale per i crimini commessi in ex jugoslavia nella
sentenza del 2000 ha affermato che le norme che vietano i crimini di guerra, contro l'umanità e il genocidio sono
inderogabili, e si esclude la possibilità per gli altri stati di far valere la violazione per sospendere o estinguere il
trattato. molti trattati multilaterali poi instaurano dei meccanismi di compliance, cioè di cooperazione in caso di
inadempimento da parte di uno stato. in particolare ad esempio in europa è presente il meccanismo dei patti di
stabilità economica. 14.6. l'impossibilità sopravvenuta dell'esecuzione. l'art 61 della convenzione stabilisce che
in caso di distruzione o sparizione di un oggetto indispensabile al trattato si ha impossibilità sopravvenuta
dell'esecuzione. essa si invoca quando il trattato ha ad oggetto prestazioni di carattere materiale (territori, beni
mobili). la prassi in materia comunque è molto scarsa. 14.7. il cambiamento fondamentale delle circostanze. più
diffusa è la prassi per questo caso, disciplinata dall'art 62 della convenzione. la clausola è: rebus sic stantibus,
implicita in passato in ogni trattato. il problema che la convenzione affronta è un altro: un cambiamento
FONDAMENTALE delle circostanze avvenuto rispetto alle circostanze esistenti al momento della conclusione e
non previsto dalle parti. l'estinzione del trattato è possibile solo se si verificano due condizioni precise: la prima,
che l'esistenza delle circostanze sia stata fondamentale per il consenso delle parti, la seconda, che il
cambiamento deve aver avuto l'effetto di trasformare radicalmente gli obblighi del trattato. il cambiamento non
può essere invocato se deriva da atto illecito di chi lo invoca. sono esclusi poi i trattati che fissano un confine.
5. il consenso
il consenso dello stato detto impropriamente vittima, può agire come circostanza autonoma di esclusione
dell'illiceità di un comportamento. la natura di questa circostanza è ovviamente contrattuale. il consenso non può
essere presunto, deve risultare da atti chiari e precisi che ne circoscrivano l'ambito. un consenso espresso in un
momento successivo al compimento di un fatto non ne esclude l'illiceità. è menzionato dall'art 20 del progetto lo
qualifica come accordo. a differenza del progetto del 1996 non vengono menzionate le norme imperative come
limite al consenso, ma il concetto sembra implicito.
6. la legittima difesa
6.1. il diritto naturale di legittima difesa
legittima difesa e contromisure sono invece caratterizzate dal comportamento che sarebbe contrario a un obbligo
internazionale se non venisse tenuto per contrastare un illecito altrui. così la legittimai difesa consiste nell'azione
del soggetto diretta a respingere una violenza attuale e inguista, come ad esempio la reazione a un attacco
armato. l'esistenza di un principio generale che ammette la legittima difesa come eccezione al divieto dell'uso
della forza è fuori discussione. è prevista dall'art 51 della carta ONU a cui l'art 21 del progetto da spesso
riferimento, e anche dal diritto generale. nel sistema delle nazioni unite il monopolio dell'uso della forza da parte
del consiglio di sicurezza trova completamento nell'art 51, che stabilisce la seconda eccezione al divieto (art 2)
dell'uso della forza armata. lo statuto infatti non preclude la legittima difesa indivuale o collettiva se si ha un
attacco armato e il consiglio di sicurezza non è ancora intervenuto. le misure adottate devono comunque essere
comunicate al consiglio. nell'affermare il diritto naturale di difesa la carta dell'onu conferma una consuetudine
esistente nel diritto internazionale generale. dunque la legittima difesa è prevista sia dall'onu che dalla
consuetudine perchè entrambe vietano l'uso della forza.
6.2. la legittima difesa preventiva
si è diffusa anche la tendenza ad ampliare la nozione di legittima difesa, per cui alcuni vi includono anche quella
preventiva, cioè una reazione armata quando si ha la certezza di un attacco militare imminente. nella sentenza
1986 la cig si è limitata a menzionarne la liceità. la tesi è stata sostenuta anche dagli usa in occasione del blocco
navale del presidente kennedy contro cuba nel 1962. in verità la carta delle nazioni unite intende per legittima
difesa la reazione armata che uno stato è in diritto di opporre a difesa della propria indipendenza politica e
integrità territoriale. viene in rilievo quindi la necessità pratica di respingere un'aggressione. essa non è quindi
una reazione all'illecito e eventuali contromisure vanno distinte dalla legittima difesa. nella sentenza 1986 la cig
afferma che la legittima difesa si esercita in caso di attacco armato con forze regolari. si è negato che rientri nel
caso l'azione di bande irregolari che non abbia tale ampiezza, così come l'aggressione indiretta, cioè l'aiuto ai
ribelli. in queste ipotesi non ci sono i presupposti per l'esercizio della legittima difesa.
6.3. i criteri di legittimità
è in base al fine della legittima difesa che deve essere valutato il rispetto dei parametri di necessità e
proporzionalità dell'azione militare, come condizioni per l'ammissibilità dell'eccezione.l'art 51 vieta
l'occupazione militare prolungata e l'annessione, ed esige che la reazione armata all'aggressione sia immediata, a
parte in alcuni casi come l'occupazione argentina delle isole falkland-malvinas (regno unito). oltre a questi 3 casi
l'art 51 subordina il diritto di legittima difesa a due vincoli procedurali: 1. le misure adottate devono essere
comunicate immediatamente al consiglio; 2. esse possono avere luogo finchè il consiglio non abbia adottato le
misure necessarie, che devono mettere fine effettivamente all'attacco. sanzioni economiche o provvisorie che
non ripristino la situazione precedente non limitano il diritto di legittima difesa.
6.4. la legittima difesa collettiva
l'art 51 riconosce che ogni stato dell'onu ha il diritto di ricorrere all'uso della forza per aiutare un altro stato
vittima di un attacco. per la legittima difesa collettiva occorre la richiesta o il consenso dello stato vittima
dell'attacco, che si deve essere proclamato aggredito. ad esempio l'intervento dell'urss in afghanistan nel 1979
non fu legittimo, perchè avvenuto con il consenso dei governi saliti al potere dopo l'invasione.
7. le contromisure
7.1. i caratteri delle contromisure
l'autotutela autorizza il singolo stato ad attuare i propri diritti soggettivi con i mezzi che ha: un comportamento in
sè illecito non lo è se fatto in autotutela, che può consistere anche in atti coercitivi. ci sono poi casi di autotutela
associata, in cui più stati concorrono all'attuazione del diritto soggettivo di uno di essi. per gli artt 49-54 del
progetto, le contromisure hanno 3 caratteristiche:
- sono limitate nel tempo, cioè lo stato può non adempiere agli obblighi per prendere misure contro lo stato
responsabile
- devono essere adottate in modo da consentire il ripristino degli obblighi e comuqnue devono essere
proporzionate al danno
- devono cessare al venire meno dell'illecito.
infine, le contromisure non possono riguardare gli obblighi previsti dall'art 50 del progetto (es. ius cogens). la
contomisura contro il fatto illecito altrui può essere una sanzione individuale o collettiva. lo stato leso
dall'illecito (art 22) è dotato dal diritto internazionale della possibilità di assicurare la realizzazione dei suoi
diritti ricorrendo ad atti che normalmente sarebbero proibiti. lo stato leso quindi si fa giustizia da sé, utilizzando
strumenti per indurre lo stato responsabile a cessare l'illecito.
8. le circostanze basate sulla necessità
8.1. la forza maggiore
lo stato non compie illecito internazionale se è indotto a ciò da situazioni ed eventi che rendono difficile o
impossibile l'esecuzione della condotta. nel progetto della CDI le circostanze qualificate dall'elemento della
necessità sono tre : forza maggiore, estremo pericolo, stato di necessità (artt 23. 24, 25). la forza maggiore si ha
quando l'illiceità di uno comportamento dello stato non conforme a un obbligo è esclusa se il comportamento è
dovuto al verificarsi di un evento imprevisto, fuori il controllo dello stato,che rende impossibile adempiere
l'obbligo. la situazione non deve essere dovuta alla condotta dello stato e che esso non avesse assunto il rischio
che accadesse. non deve quindi essere intenzionale nè essere frutto di una scelta consapevole.
8.2. l'estremo pericolo
in caso di estremo pericolo il comportamento contrario a un obbligo internazionale è giustificato se l'autore
dell'atto non ha altro modo possibile per salvare la propria vita o quella di altre persone. non si ha illecito se l'atto
non crea un pericolo uguale o maggiore e se la situazione non è dovuta allo stato che la invoca. esempio: pilota
di un aereo in avaria
8.3. lo stato di necessità
lo stato di necessità è un principio di diritto generale. l'adempimento dell'obbligo non è più dovuto se imporrebbe
il sacrificio di un interesse essenziale per lo stato obbligato (l'interesse alla propria conservazione). il pericolo
deve essere grave e imminente, l'obbligato non ha contribuito a causarlo, e la sua azione non deve pregiudicare
l'interesse essenziale di un altro stato o della comunità internazionale. lo stato di necessità risponde all'esigenza
di evitare che l'osservanza del diritto renda operante il principio summum ius, summa injuria. il carattere dello
stato di necessità è eccezionale. è previsto per interessi essenziali come la preservazione degli interessi essenziali
dello stato e del popolo, dell'ambiente, per la tutela dei civili. è stato poi aggiunto l'art 26, in cui si nega che le
scusanti valgano per la violazione di norme di ius cogens.
9. le conseguenze del fatto illecito
9.1. la responsabilità internazionale degli stati
il fatto illecito genera varie conseguenze giuridiche, sinteticamente definite responsabilità internazionale. la
prima, più importante, è il sorgere del rapporto giuridico diritto-obbligo avente oggetto l'obbligo di riparazione
dell'autore e il diritto di pretendere l'adempimento di tale obbligo. nel diritto internazionale classico le
conseguenze dell'illecito erano bilaterali. si è sviluppata però una concezione di responsabilità aggravata per la
violazione di norme che tutelano interessi di molti stati o della comunità internazionale nel suo complesso. le
violazioni gravi delle norme poste a tutela di valori come la pace e i diritti umani comportano quindi una
reazione diversa. il progetto della cdi 2001 dedica la parte 2 al contenuto della responsabilità, mentre la part 3 si
occupa dell'attuazione della responsabilità internazional, cioè delle contromisure che è possibile adottare.
9.2. l'adempimento dell'obbligo e la cessazione dell'illecito
poichè l'illecito non libera lo stato dall'obbligo violato, lo stato respinsabile deve prima di tutto adempiere a tale
obbligo, e se la violazione persiste ha l'obbligo di farla cessare. tali obblighi non hanno natura correttiva, ma
inducono l'autore a non derogare ancora ai suoi obblighi. l'arresto tardivo o meno della condotta ha conseguenza
sull'entità della riparazione. l'obbligo di cessare il comportamento è indipendente da ogni richiesta dello stato
leso anche in caso di illecito omissivo. la cessazione (art 30) può avere natura di astensione o positiva.
9.3. la garanzia di non reiterazione
all'obbligo di cessazione è connesso l'obbligo di fornire garanzie certe di non reiterazione dell'illecito. dipende
dal caso se è necessario adottare misure concrete o solo fare una dichiarazione di impegno. la cig ha spesso
imposto questi obblighi per violazioni di obblighi di fare. non vale per i cittadini stranieri (consoli messicani e
tedeschi) condannati a morte in USA, in cui la cig ha affermato un obbligo di non ripetizione.
9.4. la riparazione dell'illecito
l'obbligo più importante è la riparazione dell'illecito. le forme della riparazione sono varie a seconda del tipo di
illecito, omissivo o commissivo, immediato o continuato, semplice o complesso. l'art 31 del progetto afferma che
lo stato responsabile ha l'obbligo di riparare pienamente la lesione prodotta dal suo atto illecito. la nozione di
lesione comprende ogni danno materiale o morale causato dal fatto (il danno in sè non è elemento costitutivo
dell'illecito internazionale). sono principi di natura dispositiva, che possono essere derogati da norme speciali in
vigore tra due o più stati.
9.5. le forme di riparazione
le forme della riparazione sono la restituzione, il risarcimento e la soddisfazione. (art 34). dipendono dalla
sostanza della lesione, e si avrà: restituzione in forma specifica (situazione precedente); restituzione per
equivalente (risarcimento); soddisfazione, per offese non economicamente quantificabili. questi tre modi si
possono cumulare per garantire una piena riparazione.
9.6. la restitutio ad integrum
la restituzione si ha quando vi è lesione di un interesse materiale. la prima forma è la reintegrazione della
situazione come era prima dell'illecito. l'art 35 progetto CDI precisa che lo stato responsabile può sottrarsi alla
piena reintegrazione per impossibilità materiale (distruzione del bene) o se l'adempimento comporti un onere
eccessivo. la cdi distingue inoltre restituzione materiale (di beni, territori) e restituzione giuridica (modifica o
abrogazione di un provvedimento giuridico illecito).
9.7. il risarcimento del danno
il risarcimento del danno (sommabile alla restituzione) presuppone un danno economicamente quantificabile,
dello stato o di privati. deve corrispondere alla mancata reintegrazione nella situazione precedente. il danno
risarcibile comprende il danno emergente e il lucro cessante. l'ammontare va stabilito dalle parti di comune
accordo o ricorrendo a un terzo in caso di controversia. in caso di violazione di diritti umani fondamentali, sia la
cedu che la corte interamericana dei diritti umani hanno stabilito il risarcimento di danni materiali e morali su
basi equitative, dunque non corrispondenti all'entità economica del danno subito.
9.8. la soddisfazione
l'offesa all'onore, alla dignità, al prestigio di uno stato provocati dal mancato rispetto della sua sovranità,
producono danni di tipo morale o giuridico. in caso di danno morale la forma della riparazione è la
soddisfazione, che comporta prestazioni di vario tipo come le scuse. in ogni caso non deve assumere forme
umilianti.
10. la responsabilità aggravata
10.1. le violazioni gravi e sistematiche dello ius cogens
le violazioni di norme imperative comportano anzitutto l'insorgere degli stessi obblighi che sussistono in caso di
illecito ordinario, primo fra tutti quello di cessare l'illecito e di ripararlo. il regno unito nel 2013 ha deciso di
risarcire 5000 persone di etnia mau mau vittime di tortura durante il conflitto di indipendenza del kenya. il
governo ha riconosciuto i trattamenti degradanti dell'amministrazione coloniale. nel 2009 un gruppo di kenioti
aveva presentato ricorso contro il governo britannico. il 5 ottobre 2012 l'alta corte di londra ha rigettato i ricorsi
perchè (considerati) irricevibili per scadenza dei termini. il giudice ha accettato però la tesi dei ricorrenti, basata
sulla mancata prescrizione dei crimini. rinunciando a ricorrere in appello il governo britannico è addivenuto a
una soluzione negoziale con lo studio legale leigh day. il governo britannico ha concordato un risarcimento di 19
milioni di sterline, la costruzione di un memoriale a nairobi e il pubblico riconoscimento del pentimento.
formalmente ha però negato le sue responsabilità per le azioni commesse dal governo coloniale. questo caso si
riferisce alla tortura come violazione di una norma di ius cogens, che richiama il regime di responsabilità
aggravata. esso consiste nell'imposizione di obblighi aggiuntivi a carico di stati diversi dall'autore dell'illecito.
secondo l'art 40 del progetto la violazione dello ius cogens è seria se comporta inadempimento massiccio e
sistematico dell'obbligo in questione. le conseguenze particolari di una violazione seria di un obbligo di ius
cogens sono indicate dall'art 41 :
- non riconoscere legittima la situazione derivante dall'illecito
- non prestare aiuto allo stato responsabile
- cooperare per far cessare l'illecito.
qui di seguito è approfondita la resp. aggravata.