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Le istituzioni costituzionali italiane tra globalizzazione,

integrazione europea e crisi di regime

Parte prima
Globalizzazione, integrazione europea e crisi di regime

Le cinque crisi e i compiti del Diritto Costituzionale


Per comprendere l’attuale situazione storico-spirituale e le sue
implicazioni risulta necessario fare riferimento a cinque situazioni di crisi:
1. La ​crisi di riqualificazione dei rapporti geopolitici globali
(dall’Atlantico al Pacifico)
2. La conseguente ​crisi dello Stato sociale ​(continente europeo)
3. La ​crisi della democrazia rappresentativa
4. La ​crisi della costruzione dell’Unione Europea
5. La ​crisi italiana
Il potenziale rischio di nullificazione dell’Europa, della balcanizzazione
dell’area meridionale europea e della sconfitta della stessa Germania
richiedono più Europa, ovverosia più responsabilità di tutti i partner, e un
salto di qualità abbandonando una ​governance​, faticosa ed incoerente,
per un ​government​ che colleghi stabilmente legittimità e legittimazione.
In un simile quadro il costituzionalista deve fare riferimento alla storia
essendo il diritto pubblico il risultato di principi filosofici e rapporti di
potenza che scaturiscono da individui e gruppi concretamente situati e si
esplicano poi in regole che strutturano gli apparati potestativi dello Stato.
Allo sviluppo economico e culturale di parti specifiche del continente
europeo ha corrisposto una specifica e differenziata dinamica
istituzionale, dando vita, in alcuni ordinamenti, allo Stato di diritto
legislativo e poi a quello costituzionale. Questo passaggio è stato il
risultato di un complesso di fattori, in cui elementi culturali, istituzionali e
geopolitici hanno favorito o meno lo sviluppo economico, con la
formazione di ceti imprenditoriali ed intermedi e poi di forza lavoro
salariata industriale.
Il processo di trasformazione economico e culturale, essenzialmente
europeo, che ha prodotto lo ‘Stato moderno’, si caratterizza di 5 fasi:
1) XVI Sec. Spostamento dell’asse politico-culturale dal Mediterraneo
(Spagna, Portogallo) all’Atlantico (Francia, Gran Bretagna e Olanda)
2) Rivoluzione industriale-1970 esistenza di un asse euro-americano
3) Fino alla 1GM centro dell’asse: Europa
4) 1970 Riqualificazione dei rapporti di potenza: decolonizzazione,
dollaro in crisi nel ’71, petrolio come risorsa scarsa, strade
riformistiche di Urss e Cina che portano la prima all’implosione e la
seconda a un forte sviluppo
5) 1990 spostamento dell’asse dall’Atlantico al Pacifico (prima
gravitazione nippo-americana, poi sino-americana): caduta del
socialismo reale e unipolarismo senza egemonia statunitense;
creazione da parte dei BRICS di una Banca mondiale e del FMI come
passo verso l’affermazione di un multipolarismo caratterizzato da
soggetti alternativi a quelli tradizionali (sviluppo economia cinese,
rinascita russa, destabilizzazione in Màghreb e Màshreq, novità nel
subcontinente indiano) con effetti sullo Stato sociale e la
democrazia rappresentativa.
Lo stesso ombrello dello Stato sociale è frutto della storia di come gli stati
nazionali hanno reagito alla rivoluzione industriale del XIX secolo ed
alla rottura delle precedenti società agricole delineandone
principalmente 4 tipi: socialdemocratico nei paesi scandinavi, liberale
in quelli anglosassoni, conservatore corporativo in quelli continentale
e, infine, quello mediterraneo.
I principali triangoli di copertura sono la previdenza, l’assistenza sociale, la
sanità, l’istruzione e le politiche abitative. In Europa, in particolare, le
politiche sociali sono condizionate dal patto di stabilità e crescita
(Trattato di Maastricht) dovendo mantenere il rapporto deficit
pubblico e PIL <3%, quello tra debito pubblico e PIL <60%, il tasso di
inflazione <1,5%, un tasso di interesse a LT <2%. I modelli di Stato
sociale in Europa sono attualmente sfidati dai fenomeni di
globalizzazione e internazionalizzazione, che hanno visto l’incremento
delle differenze tra paesi perdenti e vincenti, l’aumento delle
disuguaglianze nello sviluppo umano, la velocità dei contagi e
l’accelerazione di tutti i fenomeni. Necessitano risposte globali che
puntino a risanare le finanze pubbliche, a garantire l’efficienza dei
servizi pubblici, a rafforzare le politiche dell’ambiente, ad assicurare la
giustizia sociale.
Per ciò che concerne il tema della forma di regime democratica,
all’interno delle democrazie pluraliste esistono 6 tendenze:
1. Perdita di centralità delle tradizionali istituzioni rappresentative
collegiali, con la conseguente affermazione della
personalizzazione della contesa per la conquista di cariche
monocratiche;
2. Crisi di rappresentatività del personale politico parlamentare a
causa della complessità delle società civili e politiche, della
trasformazione delle fratture e delle domande;
3. Riqualificazione delle funzioni della rappresentanza
parlamentare, avendo i partiti perso la capacità di articolare e
ridurre la domanda politica;
4. Ruolo privilegiato dell’esecutivo di rappresentanza delle
domande politiche e di collazione degli interessi, svolgendo la
funzione principale nell’allocazione autoritativa delle risorse sul
piano nazionale;
5. Funzione di rappresentanza e di contrappeso attribuita anche ad
altri soggetti non legittimati dal consenso elettorale (organi
tecnici)
6. Svuotamento di competenze delle istituzioni statuali centrali,
causato da processi di devoluzione verso l’alto e verso il basso
che portano al punto 4;
Da questo quadro derivano 4 evidenti pericoli per gli ordinamenti che si
definiscono democratici:
a. Diminuzione dell’incidenza del piano nazionale: risulta sempre più
difficile per i singoli cittadini esprimere in maniera costante e attiva
la propria volontà elettiva e deliberativa;
b. Crescente peso crematistico in politica: l’allocazione autoritativa
delle risorse corrisponde sempre più ai rapporti di potere di fatto
con la conseguente delegittimazione dei fondamenti ideali del
sistema;
c. Mancanza di partecipazione: riduzione dei partiti a macchine di
potere ed elettorali e strumenti della domanda e del controllo
attribuiti a organi tecnici privi di legittimazione diretta;
d. Influenza dei mezzi di comunicazione di massa di tipo
individualistico con il rischio di distorsione del processo di decisione
del demos;
Sempre maggiore è la sensazione che la ​democrazia del pubblico s​ tia
volgendo verso ordinamenti di tipo post-democratico, in particolare verso
l’oligarchia o verso la demagogia. La realtà è che la democrazia
rappresentativa, a fronte delle crisi economiche, della frammentazione
sociale e della delegittimazione dei governanti, è assediata, da un lato, dal
modello plebiscitario (Putin), dall’altro, dal modello burocratico partitico
(cinese) o amministrativo-aziendale (di Singapore).
Per quanto concerne l’Unione Europea, nell’ultimo quarto di secolo essa
ha evidenziato sviluppi solo apparentemente contraddittori. La
costruzione europea parve rafforzata dalla crisi del socialismo reale e
progredì solo per forza di inerzia. L’UE, infatti, presenta difetti di
costruzione e non si attrezza sufficientemente per resistere agli attacchi
della concorrenza geopolitica.
In questo quadro si è confermata la debolezza del sistema Italia, per
ragioni storiche e contingenti. L’applicazione della Costituzione è stata
caratterizzata da varie stagioni, condizionate dal mutare dei rapporti di
politica internazionale ed interna. Nel periodo 1948-1955 rimase in
sostanza inapplicata, mentre nel 1955 si scelse la strada dell’integrazione
dei partiti esistenti, dando vita a Governi di transizione dall’alleanza
centrista a quella di centrosinistra (Fanfani nel 1960 e Moro nel 1963),
preceduti da una serie di applicazioni progressive degli istituti previsti
dalla Costituzione repubblicana (la Corte Costituzionale).
Dalla metà degli anni Sessanta il sistema costituzionale italiano ha
incominciato ad avvitarsi su sé stesso non riuscendo a far divenire la
Costituzione uno strumento di consolidamento del patriottismo
costituzionale e il momento della crisi della Costituzione può rinvenirsi al
1968, con la sconfitta dell’ipotesi riformista del centrosinistra e con
l’inizio della transizione infinita. La fine della transizione non si è avverata
e gli avvenimenti degli ultimi anni, quali la decostruzione del bipolarismo
blindato, la permanenza di un bipolarismo coalizionale labile e
conflittuale (fino ad arrivare al cosiddetto ​commissariamento del
politico-partitico da parte del politico-tecnico) e​ poi la istituzione di un
bipolarismo imperfetto, portano a temere il raggiungimento di un punto
di rottura con l’esplicitazione dell’alternativa tra la forma di Stato
democratica caratterizzata da partiti strutturati e regolati e forma di Stato
di democrazia carismatica, dove il leader interpreta i desiderata del
demos.
In questo complesso panorama, c’è da chiedersi il perché delle analogie e
delle differenze tra Germania e Italia nel lungo e breve periodo.
● Il processo di formazione dello Stato nazionale si è attuato in
Germania sulla base della sostanziale continuità del principio di
legittimità tradizionale, riducendo l’autonomia della periferia, in
Italia, sulla base della rottura della legittimità tradizionale e il rifiuto
delle istanze federalistiche ed autonomistiche;
● In entrambi gli ordinamenti, le conseguenze del primo conflitto
mondiale, la crisi di partecipazione e la presenza di formazioni
antisistema favorirono l’avvento di regimi autoritari a tendenza
totalitaria o totalitari ​tout court​;
● Nel secondo dopoguerra, la Germania è rinata attraverso i Länder e
il suo federalismo si è caratterizzato per una forte strutturazione,
una coerenza nella parte di vertice ed intermedia e una possibilità di
movimento in basso). In Italia l’attuazione del regionalismo
ordinario è stata bloccata per circa 20 anni e poi ha avuto esiti
correlati con le diverse culture civiche regionali;
● Entrambi hanno unito sviluppo economico e sociale e democrazia
politica;
● Germania: sistema democratico normale, con un sistema
istituzionale strutturato e sorretto da soggetti politici stabili; Italia:
democrazia a basso rendimento, incapace di superare le fratture;

Gli ombrelli nazionali e il modello sociale europeo che verrà


La diminuzione del tasso di crescita, l’invecchiamento della popolazione e
l’aumento del debito pubblico penetrano nell’area europea in cui esiste
una realtà molto articolata di politiche sociali che non si conciliano tra
loro. Non esiste, infatti, un concreto ​ombrello c​ omune di politiche sociali
sul piano europeo, ma solo differenti tipi di coperture nazionali che
dipendono dalla storia, dai principi e valori e dall’efficienza dei singoli
Stati. In particolare, i vincoli di bilancio stabiliti dall’UE e le trasformazioni
del contesto internazionale incidono pesantemente sull’estensione e la
qualità delle politiche sociali a livello nazionale. Ne viene fuori uno stato
di difficoltà e incertezza che mette a nudo l’attuale irrazionalità della
costruzione europea e la potenziale centrifugazione dei soggetti che la
compongono di fronte alle sfide della globalizzazione.
Nel secolo scorso, lo Stato nazionale accentrato di tipo ottocentesco può
essere descritto come un piramide, in cui erano conchiusi i rapporti sociali
e politici. Nello Stato liberale oligarchico valeva la triplica eguaglianza tra
Stato e diritto, Stato e politica e legge e diritto; al suo interno si è
verificata la progressiva inclusione della società civile che ha portato allo
Stato di massa democratico-sociale. Nel secondo dopoguerra si è
affermata la forma di Stato solidarista o sociale, in cui i poteri pubblici
avevano il compito di ‘promuovere una più intima socialità’, costruendo
un’ampia copertura di protezione messa in discussione negli anni ‘70. I
processi di integrazione regionale diedero avvio al sistema della rete a tre
dimensioni, che certifica, a sua volta, i processi di internazionalizzazione e
di globalizzazione, senza dimenticare l’importanza degli stati come
soggetti. La realtà globale, tuttavia, è rappresentata dall’inesistenza di
copertura sociale per più di ¾ dei lavoratori del globo e, pertanto, è
indispensabile verificare se sia possibile costruire una vera
armonizzazione ​delle politiche sociali europee assieme al rafforzamento
della struttura decisionale dell’UE, che pone un problema di
rappresentanza in campo politico. I ​decisori europei​, dovrebbero
assumere decisioni che assicurino la persistenza dell’ombrello sociale e
che resistano allo sviluppo senza perdere le proprie caratteristiche di
società democratiche e inclusive, ricordando la stretta connessione tra
Stato sociale e Stato di democrazia pluralistica, entrambi descritti nei
Trattati e nella carta dei diritti dell’Unione Europea.
Le trasformazioni geopolitiche, l’integrazione europea e
l’eredità del federalismo statunitense e tedesco
Per comprendere al meglio la realtà europea, si può fare riferimento
all’esperienza tedesca e statunitense.
Nel 1868 J.C.Bluntschli, professore di Scienze politiche, affrontò il tema
degli USA da ordinamento con struttura confederale ad una di tipo
federale, sottolineando che le ragioni di tale passaggio si concentravano
nel problema delle carenze istituzionali e nella ingestibilità del debito
pubblico degli Stati. Si presentava, quindi, l’esigenza di un’attività di
potestas directa ​dato che, come affermò George Washington “​influence is
not governement”.​
In Germania, la discussione sulle innovazioni istituzionali da introdurre
all’interno dell’assetto costituzionale dell’Impero guglielmino, si incentrò
da un lato, sul rafforzamento della struttura federale, superando
l’egemonia prussiana, dall’altro sull’istituzione di una forma di governo
parlamentare. Il primo profilo venne perseguito, mentre il secondo venne
rinviato alla fine del 1 conflitto mondiale e approvato più per ragioni di
politica estera. Il federalismo moderno, come concezione del mondo e
rapporto centro-periferia, nasce e si sviluppa in Europa proprio nell’area
tedesca, ma anche dall’esperienza dei Paesi Bassi, della Svizzera e
dell’Austria. Il federalismo moderno è connesso con quell’istituzione
storicamente situata denominata Stato e con il concetto di sovranità
descritta, da un lato, come situazione obiettiva di indipendenza esterna e
di supremazia interna, dall’altro, come teoria della legittimità relativa
all’obbligo e al comando politico. Dopo la contraddittoria esperienza di
Francoforte, nella Germania guglielmina si è attuata una scissione netta
tra principio di legittimità democratica e tecnica del rapporto
centro-periferia, scindendo democrazie e federalismo.
Esistono 2 interpretazioni del federalismo come tecnica del rapporto
centro-periferia:
a) La prima è collegata allo Stato liberale-democratico; è basata
sull’esistenza di una unità statuale caratterizzata da un elemento
personale (popolo) su un territorio e con un governo limitato da una
costituzione capace di garantire diritti e doveri fondamentali dei
singoli e dei gruppi;
b) La seconda neutralizza il principio democratico e si basa sul rapporto
tra più unità istituzionali in modo indifferente al principio di
legittimità democratica; è una visione funzionalista in cui i singoli
trovano garanzia dei diritti e della partecipazione all’interno dei
confini dell’unità componenti.
L’esperienza tedesca si è connessa prima al principio monarchico e poi,
dopo il 2 conflitto mondiale, a quello liberale e democratico. In questo
quadro, l’esperienza UE ha percorso prima la via governativa e poi si è
aperta a quella della rappresentanza parlamentare.
Dopo il 1989, la rinascita del dibattito sulla sovranità in Germania e in
Italia, è frutto contraddittorio dei passi avanti effettuati dai processi di
integrazione sul piano continentale, ma anche delle trasformazioni
epocali dei rapporti di potenza e della dinamica dei sistemi
politico-costituzionali. Le ragioni possono ricondursi al periodo strategico
degli anni Sessanta, nel corso dei quali l’omogeneizzazione del sistema
tedesco avvenne attraverso la Große Koalition, mentre in Italia fallì
l’ipotesi integratrice del centro-sinistra con la successiva crisi di regime e
snervatura della Costituzione.
Nel modello europeo, parlamento e governi nazionali non decidono più
perché non possiedono più elementi costitutivi della ​sovranità
tradizionale, ma la legittimità e la legittimazione si allocano a livello
nazionale, facendo venir fuori un affievolimento obiettivo del politico e
una destrutturazione delle decisioni. {​Conclusioni 50-52}
I tre terremoti e le prospettive della riforma istituzionale in
Italia
​ el 1975/76 e del 1994 dovuti al contesto
In seguito ai ​terremoti d
internazionale che hanno portato, nel secondo caso, a un intenso
mutamento dei soggetti politicamente rilevanti dando avvio a vera e
propria crisi di regime, se n’è presentato un terzo con le elezioni
parlamentari del 2013 in cui si è profilata una crisi societaria. La crisi
italiana dei ‘tre terremoti’ si inserisce nella realtà di un ordinamento
frammentato e caratterizzato da un pluralismo estremo polarizzato. È
possibile individuare 3 periodi significativi:
I. 1948-1968 articolato in 3 fasi:
a. 1948-53 centrismo stabile a Costituzione ibernata
b. 1954-60 crisi del centrismo e prima applicazione della
Costituzione
c. 1961-68 scommessa del centro-sinistra
II. 1969-1993 articolato in 4 fasi:
a. 1969-75 crisi del centrosinistra fino al 1 terremoto
b. 1976-78 collaborazione bipartitica incompiuta
c. 1979-88 coalizione centrosinistra con discussione riformatrice
d. 1989-93 crisi di Tangentopoli fino al 2 terremoto
III. 1994-2013 suddiviso in 3 fasi:
a. 1994-2005 instabilità sotto le leggi elettorali 276/7 del 1993
b. 2005-2010 instabilità sotto la legge elettorale 270 del 2005
c. 2011-13 Governo tecnico-presidenziale
I venti anni successivi al 1993 sono stati la certificazione dell’incapacità
del ceto politico e della classe dirigente di innovare razionalmente
l’ordinamento. Le dimissioni del governo Berlusconi e il governo tecnico
Monti hanno creato le premesse per una crisi del sistema politico, in
parte dimostrato da un elettorato ‘sfarinato’. È crollato il voto di
appartenenza, è aumentato quello di opinione, si è mantenuto quello di
scambio a livello locale e regionale, mentre è aumentato a dismisura il
voto di protesta.
Dopo lo scioglimento anticipato, le elezioni del 2013 hanno visto una
diminuzione della partecipazione elettorale, la perdita incisiva di
consenso dei partiti tradizionali e l’affermazione di un Movimento
antisistema e di protesta e hanno prodotto in entrambe le Camere un
rinnovamento incisivo. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,
rieletto per la prima volta nella storia costituzionale, ha attribuito
l’incarico di formare il nuovo Governo al vice-segretario del PD Enrico
Letta, creando una formazione politica volta all’innovazione e
all’emergenza. Il Governo, tuttavia, ha subito trovato difficoltà nel
perseguire l’innovazione istituzionale: alla Commissione costituzionale ​ad
hoc è​ stata sostituita una Commissione di esperti con compiti di proposta
e monitoraggio. La proposta più significativa in campo elettorale
riguardava il premio di maggioranza indicando una soglia minima per
ottenerlo e unificando i canali di Camera e Senato per evitare
maggioranze zoppe. La sostituzione di Bersani con Renzi alla Segreteria
del PD e poi l’ascesa dello stesso alla Presidenza del Consiglio hanno
apparentemente modificato la dinamica costituzionale. Gli 8 punti
prospettati dal PD e i 20 del programma del M5S hanno evidenziato la
contrapposizione tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta,
senza parlare di quello carismatico-plebiscitario del PDL. Le proposte per
ciò che concerne il sistema elettorale sono: modifiche del Porcellum,
ritorno al Mattarellum, ritorno al sistema pre-93, sistema spagnolo,
sistema tedesco, sistema ispano-tedesco, doppio turno in collegio
uninominale, collegio uninominale ad un turno solo. (Sfogliare pagine
libro)
Tecnici e democrazia
È importante affrontare la questione del rapporto fra tecnici e politici e
tecnici e democrazia, perché l’Unione Europea presenta una ​governance
tecnoburocratica che ha messo da parte il ​government, f​ ondato sulla
legittimazione diretta del consenso popolare. Le radici del governo
tecnocratico si rinvengono nello Stato amministrativo e nella sua
ideologia che tende a sterilizzare la rappresentanza degli interessi della
società civile e politica rappresentati da partiti e gruppi di pressione con
l’azione degli apparati burocratici. Il termine ​tecnico​ fa riferimento a una
“persona che ha particolare competenza in un’arte, o in una scienza, o in
una disciplina o attività, soprattutto nelle sue applicazioni pratiche.”
Anche il politico, che prende parte attiva al governo e all’amministrazione
della cosa pubblica, deve essere considerato un tecnico, poiché la
politicità è un ​Beruf ​che richiede una specializzazione specifica nella
ricerca del consenso e della soluzione di problemi politici. Il politico basa
la sua legittimità e la sua legittimazione sul consenso medio ottenuto
nella distribuzione autoritativa delle risorse, mentre il tecnico in senso
stretto sull​’opportuna sapienza ​nel suo settore. Negli ordinamenti liberali
e democratici, il ceto politico deve essere composto da individui
legittimati dal voto popolare. Nelle società democratiche di massa, il
politico basa la sua legittimazione sul consenso espresso tramite il voto,
mentre l’articolazione della domanda politica viene operata tramite i
partiti politici. In Italia, gli apparati burocratico e gli esperti sono sempre
stati molto utilizzati, ma mentre nella prima fase della Costituzione
venivano cooptati tramite canali partitici e la continuità sistemica era
rappresentata dai politici, dal 1993 sono i tecnici dei gabinetti ministeriali
che hanno rappresentato l’ossatura di continuità del politico
maggioritario. La difficoltà del politico-partitico ha fatto sì che un
opportuno riallineamento del sistema dei partiti è divenuto in Italia
leggero e di tipo personale e le elezioni del 2013 hanno interrotto la fase
del Governo tecnico per dare vita ad un revival del politico con Renzi.
Andiamo per gradi.
Il IV Governo Berlusconi si dimette il 12 novembre 2011, dopo
l’approvazione della legge di stabilità e in seguito al peggioramento della
situazione economica certificato dall’invito di Draghi, Governatore della
Banca d’Italia, di “tornare alla crescita”. Diviene Presidente del Consiglio
Mario Monti che costituisce una formazione tecnica, escludendo le
personalità aventi un carattere partitico ed evitando il ricorso anticipato
alle urne. Si prospetta un ​road map,​ sostenuta da Bersani, Alfano e Casini,
in base alla quale il Parlamento avrebbe dovuto approvare la legge di
attuazione dell’art.49, la riforma del finanziamento-rimborso elettorale, le
innovazioni costituzionali della II parte della Costituzione e, infine, la
modifica del Porcellum; il Governo si sarebbe, invece, occupato di dare
applicazione alle riforme sociali e strutturali volute dall’Europa e dai
mercati.
È importante vedere cosa sia capitato da, dicembre 2010 nell’area piigs
(Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna), colpita dalla crisi finanziaria
del debito sovrano.
a) Portogallo​: elezioni anticipate; vittoria Partito Social Democratico
con PM Coelho in coalizione col CDS-PP;
b) Irlanda​: Fine Gael ha vinto le elezioni 2011 con PM Kenny in accordo
con Partito Laburista;
c) Spagna​: dimissioni Governo Zapatero ed elezioni anticipate;
d) Grecia​: rischio di bancarotta annunciato da Papandreou; troika tra
FMI,BCE,UE che convince la Germania ad accettare il fondo
salva-stati al fine di garantire alla Grecia ossigeno economico; P.
tenta di sottoporre a referendum il piano di salvataggio, ma le
minacce dell’UE lo costringono a recedere e a dimettersi; si passa ad
un governo di unità nazionale guidato da Papademos; elezioni 2012,
incapacità di formare una coalizione porta a nuove elezioni.
La crisi italiana, quindi, non è stata la unica, ma una degli episodi che
hanno coinvolto aree precise del mondo globalizzato che hanno
individuato l’incapacità delle classi dirigenti e dei ceti politici di
riferimento di farvi fronte. In Italia, inoltre, non è stata accantonata la
politica, ma solo il politico-partitico. Il Governo Monti, infatti, era una
formazione pienamente legittima (era un parlamentare e aveva ottenuto
la maggioranza parlamentare) che può essere definita come ​governo di
emergenza (cfr con Bürgerfrieden) e​ il ruolo centrale dell’operazione è
stato ricoperto dal Presidente della Repubblica. Infine, l’autonomia del
politico è sostituita dal ​diktat della troika,​ del triumvirato internazionale,
che monitora il debitore (politico).

Parte seconda
Rappresentanza, partiti e regolamenti parlamentari
Rappresentanza in campo politico e divieto di mandato
imperativo
Il paradosso della rappresentanza in campo politico e il tema del divieto di
mandato imperativo si sono ripresentati in occasione delle dimissioni di
Giovanna Mangili, eletta nelle liste del M5S per il collegio Lombardia e
respinte per due volte dal Senato.
L’applicazione meccanica ed ideologica della democrazia di investitura ha
prodotto il DDL cost. n.196 che riproduce un testo già proposto nel 2012
volto ad introdurre il vincolo di mandato nell’ordinamento e a collegarlo
con la normativa relativa allo scioglimento e all’espressione della fiducia
al Governo e richiamando l’opinione di costituenti comunisti come
Terracini e Grieco si dichiarava che il manato di partito non andava in
contrasto con il divieto di vincolo di mandato, ma era strettamente
collegato a quanto stabilito nell’art.49 Cost.
Le proposte di riforma dell’art.67 Cost. rischiano di non essere comprese
se non opportunatamente situate e storicizzate.
Prima di tutto, rappresentare significa sostituire, prendere il posto di
qualcuno ad un certo livello e per certi fini; negli ord. Contemporanei
l’esigenza di rappresentare nasce da motivazioni quantitative e/o
qualitative: in ambito locale è possibile una partecipazione diretta, ma sul
piano più elevato, dal punto di vista numerico, questo non è più
concepibile, mentre dal punto di vista qualitativo, nell’ambito della
moderna divisione del lavoro, ad un certo livello di complessità è più
opportuni che siano persone esperte ad occuparsi di temi specialistici.
L’ideologia liberale denomina come rappresentanza politica (fiduciaria) il
libero mandato imperativo che, alle origini del sistema rappresentativo,
basa le proprie fondamenta nello Stato moderno, quando le Assemblee
diventano organi politici e contribuiscono in modo determinante alla
distribuzione autoritativa di valori, mutando il ruolo dei parlamentari e
dell’assemblea dei rappresentanti. Il rappresentante viene considerato
come un fiduciario che risponde nei confronti dell’elettorato solo nel
momento della richiesta di rinnovo del mandato, essendo il Parlamento
un 《assemblea deliberativa di una nazione》con interesse comune, che
decide nell’interesse della stessa e non dei singoli collegi/elettori
(dibattito costituente nordamericano tra whig e partecipazionisti;
concezione di Locke, Hobbes, Burke soprattutto e sostenuta da Madison).
Lo sviluppo continentale del dibattito sulla rappresentanza ha seguito
sviluppi dalla fine del ‘700 con le teorizzazioni di Siéyès, che sulla base
della teoria della sovranità nazionale certifica il superamento del vincolo
di mandato, nel senso che i rappresentanti sono tenuti a rappresentare la
nazione intera.
Con l’espansione del suffragio e la trasformazione della natura delle
istituzioni parlamentari, che diventano aule di contrapposizione di
posizioni rigide e inquadrate, il rapporto rappresentativo si trasforma. È
però il primo conflitto mondiale e la crisi di partecipazione ad evidenziare
la profondità del mutamento e della discussione: da un lato chi sostiene il
divieto di vincolo di mandato come indispensabile garanzia di autonomia
del rappresentante, dall’altro chi introduce il vincolo di partito (clausola
cecoslovacca), dando vita a un tipo di rappresentanza triadico
(elettori-partito-eletto).
Leibholz e Mortati sono rappresentativi del costituzionalismo della crisi di
partecipazione e dell’ingresso delle masse in politica. Entrambi giuristi,
Leibholz, antiformalista, teorizza lo Stato dei partiti regolato, mentre
Mortati propone un disegno di costituzionalizzazione organica dei partiti.
In un sistema dei partiti nazionale, stabile e strutturato il problema della
rappresentanza viene risolto utilizzando il divieto di mandato imperativo
come mera valvola di sicurezza per la tutela del dissenso. I rappresentanti
possono mettere in gioco la loro responsabilità attraverso la
sottoposizione all’eventuale giudizio del corpo elettorale. Ma quando si
passa dalla forma di governo parlamentare razionalizzata a un governo di
legislatura, dove vengono costruite maggioranze elettorali artificiali, la
situazione cambia e il rappresentante perde autonomia e si trova
vincolato al contratto sottoscritto con gli elettori.
Il concetto di rappresentanza cambia ancora con la rivoluzione digitale
sulla quale si sviluppa l’idea di una democrazia digitale, promossa dal M5S
e, in particolare, da Gianroberto Casaleggio secondo il quale essa
evidenzia “una nuova centralità del cittadino nella società” capace di
destrutturare le organizzazioni politiche e sociali esistenti. Lo stesso
Parlamento cambia natura, perché gli eletti divengono meri “portavoce”,
con il compito di “sviluppare il programma elettorale e mantenere gli
impegni presi con chi li ha votati”; di qui la possibilità “per ogni collegio
elettorale di sfiduciare e di far dimettere il parlamentare” attraverso
opportuni referendum locali. Alla democrazia diretta risulterebbe, inoltre,
estraneo sia il concetto di leader sia la segretezza e la riservatezza.
La garanzia del divieto di mandato imperativo continua, tuttavia, a
costituire un’indispensabile guarentigia istituzionale che preserva
l’agibilità politica degli agenti, sebbene possano essere controllati e
vincolati in vario modo.
Dal “grande partito” al “piccolo”, rispettabile e regolato
Il partito politico è stata un’istituzione fondamentale della società di
massa ed oggi le trasformazioni sociali e tecnologiche lo vedono in
profonda trasformazione e in severa difficoltà. È nato all’interno dei
parlamenti, si è sviluppato con l’allargamento del suffragio, attraverso il
partito organizzativo di massa, è divenuto nel 2 dopoguerra partito
pigliatutto, poi partito cartello sulla base del finanziamento pubblico e,
infine, partito personale nella ​democrazia del pubblico.​ In ogni caso, oggi,
è ‘affetto’ da una forte sfiducia dell’elettorato e dalla presenza di
movimenti populisti e di protesta.
Per quanto concerne la rispettabilità del partito politico, ​respectability s​ i
connette con l’affidabilità, ​reliability,​ ossia il giudizio relazionale della
correttezza del comportamento, che a sua volta si connette con
l’affidamento di mantenersi all’interno dei limiti che definiscono il ​regime,​
quindi anche essere ​accountable e​ ​responsive.
La politica è un tipo di agire relativo ai rapporti di potere, mentre il
politico definisce la specificità del rapporto di aggregazione tra individui in
merito alla allocazione autoritativa di valori, aggregazione che proviene
da un’esigenza di difesa caratterizzante la politicità. Il politico ha la
possibilità di utilizzare la forza al fine di distribuire i valori prevalenti in
una comunità, che si definisce politica quando si presenta la capacità di
distribuire valori sulla base di una omogeneità di interessi. È ovvio che
tutti gli ordinamenti siano caratterizzati da fenomeni di divisività più o
meno organizzata e non è un caso che prendere partito significhi
assumere decisioni, proceduralizzate o meno, che impongono, dal punto
di vista concettuale, una divisione. Prendere partito finisce, quindi, per
connettersi con l’esistenza di istituzioni capaci di convogliare la volontà
degli elettori, favorendone la partecipazione.
Da queste osservazioni derivano alcuni dati di fatto:
✔ Il fenomeno partigiano e l’istituzione partito politico risultano
collegati con il politico e con la prospettazione di una specifica
attività di indirizzo (la politica): l’attività partigiana esiste come
elemento naturale della politicità, come disputa dell’allocazione
autoritativa dei valori, che si concretizza in indirizzo politico;
✔ I modi in cui si esplica sono connessi con lo sviluppo della società
civile;
✔ Il partito politico come istituzione dello Stato moderno ha come
caratteristica essenziale quella di presentare candidati a cariche
pubbliche e farli eleggere attraverso votazioni elettive
✔ Le fratture sociale si sono implementate
✔ Viene superato il concetto di ​grande partito ​e legittimato quello di
piccolo partito​, che attraverso i propri eletti può divenire
determinante per l’individuazione dell’indirizzo politico
✔ Il partito di massa nasce in maniera differente
La legittimazione del partito parlamentare fondato sulla rappresentanza
fiduciaria dei migliori si ha solo con Burke, dopo che i partiti smettono di
limitarsi a temi che hanno riflessi generali e incisivi e, in particolare,
formati su una frattura religiosa. Nel momento in cui la distanza
ideologica e comportamentale dei soggetti è veramente centripeta, la
forma di governo parlamentare può dirsi legittimata (Bagehot). Tale
passaggio, secondo Simmel, è dovuto all’introduzione delle votazioni
come lo strumento che legittima la violenza operata dalla prevalenza
della maggioranza sulla minoranza, attraverso il consenso.
Il partito diventa ‘piccolo’ quando si laicizza e può agire nell’aula
parlamentare, in contatto con una opinione pubblica omogenea. Il ​parti
government​ rientra in un governo equilibrato e razionale che si fonda su
partiti parlamentari. Il partito nello Stato di massa assume una funzione di
inquadramento della partecipazione e una funzione di indirizzo
democratico e partecipato; il ​party government a​ questo punto cambia,
perché il partito deve strutturare ampie masse. L’ingresso delle fratture
della società civile ripropone il tema del ​grande partito​ (che esclude la
possibilità formale di esistenza di altre formazioni o le funzionalizza ai
propri scopi) la cui rinascita corrisponde al rafforzamento degli esecutivi
di fronte a parlamenti sempre più deboli. Nel XX secolo la religiosità
secolarizzata si ripropone con i partiti totalitari o autoritari che operano
come organi di inquadramento e trasmissione del consenso. Dopo 1989 la
generalizzazione del modello democratico rafforza la crisi della
rappresentanza e del partito politico. Nascono i partiti populisti che
rifiutano la rappresentanza (M5S). Si ripresenta il tema del ​grande partito
non rispettabile ed affidabile che indebolisce il sistema. Per recuperare
credibilità, però, deve essere prevista una regolazione leggera, ma
indispensabile.
Le elezioni primarie dirette di partito (o di coalizione) e la loro
regolazione interna
Le primarie sono strumenti istituzionali strettamente connessi con
l’evoluzione della democrazia rappresentativa di massa.
● L’ elezione primaria diretta di partito si inquadra nell’ambito delle
procedure di votazione collettive dei cittadini politicamente attivi e
in relazione all’attività dei partiti politici (strumenti di
canalizzazione, riduzione e articolazione della domanda politica).
Negli ordinamenti contemporanei le decisioni collettive dei
consociati si sostanziano nella preposizione di individui a cariche
autoritative o in decisioni deliberative di vario tipo, e in particolare,
in quelli pubblicistici, si sostanziano in decisioni elettive e
deliberative per predisporre individui di organi collegiali o
individuare titolari di cariche monocratiche. Il metodo della
votazione, come sosteneva Simmel, caratterizza gli ordinamenti
liberali e democratici e, favorendo la legittimazione delle scelte
attraverso procedure, la partecipazione e l’integrazione dei
consociati, controlla il conflitto. Le decisioni proceduralizzate del
singolo si condensano o in determinazioni individuali o deliberazioni
collettive in cui interviene la regolazione giuridica autonoma del
gruppo o eteronoma. La decisione , così, risulta legittimamente
imputata all’ente di appartenenza con effetti giuridici precisi. Le
votazioni, per definirsi democratiche, devono rispettare determinati
standards che non si limitino alla fase costitutiva, ma anche a quella
preparatoria e successiva, garantendo da un lato la possibilità di
essere informati e di informare nell’ambito di una competizione
pluralistica e, dall’altro, di esprimere senza costrizione il suffragio
nella certezza che venga valutato correttamente. Il tema delle
votazioni si collega necessariamente alla presenza delle formazioni
di partito, la cui stessa definizione di collega al concetto di divisione
e di votazione, e se mancano si determinano fenomeni di tipo
plebiscitario. Il prendere partito, in questo caso, finisce per
connettersi con l’esistenza di vere e proprie istituzioni capaci di
convogliare la volontà degli aventi diritto al voto.
● L’elezione primaria diretta di partito si intende “una procedura di
votazione elettiva infrapartitica o infracoalizionale, in cui vengono
selezionati i candidati per le elezioni interpartitiche o
intercoalizionali di qualsiasi tipo”. Essa si distingue dai metodi di
selezione delle candidature di tipo indiretto e dalla individuazione
attraverso votazione elettiva delle cariche potestative del partito.
Bisogna, poi, considerare in primo luogo se le elezioni primarie
abbiano natura autonoma, e quindi imposta e controllata
dall’ordinamento statale, o eteronoma, e quindi frutto
dell’autonomia dell’organizzazione; in secondo luogo se siano
aperte, semiaperte, semichiuse o chiuse.
● Primarie a livello comparato:
a. Caso USA​: l’esigenza di riformare le ​conventions,​ che avevano
sostituito i ​caucuses​ come sistema di individuazione dei
candidati alle elezioni interpartitiche statunitensi, a causa delle
degenerazioni, aveva posto il tema della segretezza del voto e
dall’introduzione della scheda di Stato. Il movimento per la
trasparenza e la democratizzazione riuscì a modificare il
meccanismo per l’elezione dei senatori; richiese il referendum,
il recall e la democrazia infrapartitica. Alla fine degli anni ’60
un movimento di riforma popolare investì le strutture dei due
maggiori partiti e le primarie rivoluzionarono il processo
politico di selezione dei candidati alla presidenza e alle cariche
congressuali, rendendo i candidati più indipendenti.
b. Caso argentino​: le votazioni infrapartitiche presentano una
regolazione di tipo pubblicistico da parte di una legge organica
sui partiti politici del 1985 di cui all’art.3 si prevede che i
partiti, strumenti necessari alla realizzazione della politica
nazionale, necessitano dell’esistenza di un gruppo di cittadini
“uniti attraverso un vincolo politico permanente”, di
un’organizzazione interna permanente regolata da uno statuto
conforme al metodo democratico, del riconoscimento
giudiziale della sua personalità politico-giuridica attraverso
l’inserimento in un registro pubblico. Le elezioni interne
possono essere sottoposte a verifica degli atti interni da parte
della ​justicia federal con competencia electoral​ (art.30).
Nell’art.29 si prevede l’obbligatorietà della partecipazione alle
elezioni primarie per la designazione di candidati a cariche
elettive nazionali.
c. Caso francese​: l’utilizzazione delle primarie ha avuto corso in
maniera particolare per le elezioni presidenziali nell’ambito
dell’autonomia organizzativa delle singole formazioni
partitiche (UMP, PSF, EELV)
d. Caso italiano​: l’anomalia italiana sta nella mancata regolazione
del partito politico che si connette con la natura del suo
sistema dei partiti. Durante il periodo Costituente vi furono
tentativi di istituzionalizzare i compiti dei partiti ma fallirono a
causa del timore di un’intromissione statale nella vita delle
organizzazioni. Pierluigi Zampetti cercò di introdurre le
primarie in Italia all’interno della DC per migliorare la
partecipazione e il collegamento tra il partito democristiano e
la società, ma il frazionismo democristiano fece sì che
venissero accantonate ipotesi di proceduralizzazione dei
comportamenti democratici. Anche nel PCI fu discussa ma mai
concretizzata l’ipotesi delle primarie. Negli anni ’90 la crisi di
regime e la costruzione di partiti leggeri e carismatici pose il
problema della utilizzazione di strumenti di individuazione dei
candidati. Ripresero importanza con il progetto Mancina che
prevedeva l’effettuazione di primarie facoltative. Furono
utilizzate nel 2005 per la designazione della candidatura di
Prodi, ma anche in altre occasioni (PD 2007, Calabria 2004 per
presidente della Regione, Toscana-legge sulle primarie). La
legge elettorale 270/2005 attribuisce ai segretari dei partiti o
al Capo delle singole coalizioni la scelta dei candidati, privando
gli elettori della possibilità di scegliere i rappresentanti. Per
approfondimenti leggere pagg.156-157
Le conclusioni cui si può giungere sono due:
1. I fenomeni di globalizzazione rendono meno incisive le procedure
democratiche basate sui meccanismi di votazione rispetto
all’ideologia che sta alla loro base. Il principio di sovranità popolare
viene eroso e nullificato dalla incapacità degli ordinamenti di
determinare le decisioni politiche, incapacità dalla quale deriva la
richiesta di trasparenza, controllo e incisione sul processo politico.
La forma di Stato di democrazia pluralista viene, quindi, messa in
gioco nella riqualificazione dei rapporti di potenza geopolitici. La
regolazione pubblicistica del processo di trasmissione della
domanda e del controllo politico attraverso le votazioni non risolve
il problema, lo attenua.
2. L’impossibilità di regolare il partito politico ha condotto alla
prospettiva dell’autonomia del sistema dei partiti e ne vengono
fuori o lo Stato dei partiti o una partitocrazia senza partiti di tipo
bipolare centrifugo. Bisognerebbe attribuire personalità giuridica ai
partiti e controllare le attività pubblicisticamente rilevanti. Le
primarie, inoltre, devono avere applicazione sia per le cariche
collegiali che per quelle monocratiche ed avere valore su tutti i
livelli.
Stato dei partiti, non partitocrazia
In Italia lo Stato dei partiti, succeduto a quello autoritario a tendenza
totalitario fascista, era diventato egemone sin dalla ‘svolta di Salerno’ e,
già nel periodo Costituente, aveva dimostrato l’incapacità di autoregolarsi
opportunatamente. Incapacità che si rafforzò con lo spostamento
dell’interesse dalla regolazione del partito al sistema dei partiti, ovvero
alla necessità di integrare formazioni politiche con tendenze centrifughe.
La grande frattura del 1948 aggravò e confermò l’anomalia sistemica
caratterizzante dall’Unità l’ordinamento costituzionale. È interessante
notare come Leopoldo Elia, il 18 aprile 1948, avesse evidenziato la
necessità di una regolazione in quanto negli Statuti dei partiti vi erano
due aree che possedevano un interesse pubblicistico: i diritti degli iscritti
e la selezione dei candidati.
Il dibattito riguardo la necessità della regolazione dei partiti continuò, in
particolar modo tra il 1958 e il 1960, tentando un’applicazione della
Costituzione, ma negli anni Sessanta venne sopravanzata una polemica
per cui non si voleva regolare i partiti, ma sostituirli con il ricorso allo
Stato amministrativo. Il problema italiano, quindi, si trascina dalle origini
e si aggrava durante gli anni Sessanta in occasione del fallimento della
scommessa del centro-sinistra. Nel decennio successivo, la legge 195 del
1974 rappresentò il simbolo di un intervento in cui i partiti di un sistema
in difficoltà introdussero il finanziamento e il rimborso senza controlli
efficienti. Nel 1978, il primo referendum contro il finanziamento pubblico
non ebbe successo e quindici anni dopo, una nuova consultazione
popolare affondò la prima fase della Costituzione. Le leggi del 1997 e del
1999, unite alla legge elettorale 270 del 2005 hanno trasformato i
meccanismi del finanziamento e della rappresentanza, acuendo una crisi
di rappresentanza. L’ordinamento italiano, nonostante i cambiamenti, ha
sempre convissuto con uno Stato dei partiti sregolato, ma nella prima
fase era pesante, caratterizzato da partiti organizzativi di massa, poi
trasformati in partiti pigliatutto e poi in partiti cartello, mentre nella
seconda fase è diventato leggero, con forti elementi plebiscitari e
personali.
Nei circa 60 anni di esperienza costituzionale repubblicana è stata
confermata l’incapacità del sistema politico-costituzionale di integrare e
di regolare i soggetti della competizione politica, costituendo un
indicatore di basso rendimento istituzionale. Permane la necessità di
regolazione dei partiti poiché essi sono coessenziali agli ordinamenti
democratici e rappresentativi, svolgono funzioni di tipo pubblicistico e
sono inserite a pieno titolo nel settore delle votazioni elettive e
deliberative, che a sua volta necessita di una regolazione.
Vi sono stati diversi progetti riformatori di regolamentazione della natura
giuridica dei partiti politici, alcuni che prevedevano il riconoscimento della
personalità giuridica (Turco) e altri che si opponevano a questo (Vitale,
Chiaromonte-Carloni). Pochi, invece, sono stati i progetti di
regolamentazione della selezione dei candidati e della democrazia
infrapartitica (Veltroni-Vassallo).
Ulteriore tentativo riformatore fallito è stato quello condotto dal Governo
Monti, teso a rilegittimare il patto tra ceto politico ed elettorato. Il
programma riguardava la modifica al rimborso per le spese elettorali,
regole di applicazione dell’art.49, riduzione del numero dei parlamentari,
differenziazione bicameralismo perfetto, modifica del porcellum.
Si può concludere sostenendo che, per rilegittimare il rapporto fra società
politica e istituzioni, è importante modificare la legislazione sulle
votazioni e superare le remore ed i vincoli tradizionali alla regolazione
giuridica del partito, ma soprattutto prevedere regole comuni a tutti i
soggetti politici e regole specifiche adatte alle specificità delle singole
formazioni.
Il partito come istituzione storicamente situata
Il partito ha la funzione di mantenimento della legittimità/sostegno, di
articolazione della domanda e di indirizzo. In particolare, negli
ordinamenti autoritari e totalitari, il partito finisce per essere
istituzionalizzato, divenendo Stato-Partito o Partito-Stato. Per quanto
riguarda gli ordinamenti liberal-democratici, il partito è un istituzione
coessenziale e si collega alla rappresentanza in campo politico e allo
stesso rapporto che si instaura sulla base di procedure di votazione, che
dal punto di vista concettuale impongono una divisione in quanto
permettono di esprimere le proprie decisioni attraverso deliberazioni
collettive di tipo elettivo. Facendo particolare riferimento al caso italiano,
è interessante citare l’ordinanza 79/2006 della Corte Costituzionale che
afferma che “i partiti politici vanno considerati come organizzazioni
proprie della società civile, alle quali sono attribuite dalle leggi ordinarie
talune funzioni pubbliche, e non come poteri dello Stato ai fini
dell’art.134 Cost.”. Il che è ovviamente corretto, ma nello stesso tempo
evidenzia che gli stessi devono essere valutati per le funzioni specifiche e
indefettibili che esercitano all’interno del circuito democratico (cfr
sentenza ​Smith v. Allwright d ​ ella Corte suprema statunitense per quanto
riguarda la democrazia infrapartitica).
Regolamenti parlamentari e forma di governo
La dinamica dei regolamenti parlamentari può essere legata a quella
generale della storia costituzionale italiana e della Costituzione
repubblicana, dato che regolamenti indicatori della dinamica della forma
di governo e il valore delle tecniche istituzionali cambia al mutare della
forma di Stato e della forma di regime.
❖ La natura dei regolamenti parlamentari è connessa al regime e,
quindi, alla Costituzione materiale. I regolamenti parlamentari,
infatti, costituiscono i principali strumenti procedurali per la
produzione delle norme di carattere legislativo, la quale, per la
visione formalista, coincide con la Costituzione in senso materiale.
❖ I regolamenti parlamentari costituiscono uno strumento per influire
ed analizzare la dinamica del tipo di regime di governo, perché
costituiscono il segno concreto dei rapporti esistenti all’interno delle
singole Camere e tra gli organi attivi del rapporto che
contribuiscono alla sostanziazione dell’indirizzo politico.
❖ I nuovi regolamenti appaiono caratterizzati da una doppia natura:
da un lato indicano il processo di istituzionalizzazione delle strutture
parlamentari e quindi sono uno degli elementi del processo di
modernizzazione dell’ordinamento; dall’altro sono caratterizzati da
una transitorietà derivante dai precari equilibri politici di crisi.
Nella storia del Parlamento e del diritto parlamentare italiano possono
essere rilevate differenti fasi:
a) Modello statutario originale​: modello monarchico-costituzionale
dello Statuto albertino. Il parlamento avrebbe dovuto collaborare
attraverso una compartecipazione alla funzione legislativa
all’indirizzo politico intestato nel Sovrano; l’autonomia
parlamentare venne supplita dall’iniziativa del Governo Balbo,
che fornì alla Camera dei deputati un regolamento; voto palese e
voto censitario, uninominale e maggioritario di tipo britannico.
b) L’interpretazione liberale oligarchica della monarchia
rappresentativa​: il Parlamento divenne un elemento cardine in
un sistema caratterizzato dalla base censitaria e dalla tutela del
Sovrano nei momenti di crisi e furono previste modifiche
regolamentari.
c) Il breve periodo liberale e democratico​: nuovo regolamento della
Camera e Decreto Zanardellli, suffragio maschile, formula non
maggioritaria, modifica dell’organizzazione del Parlamento con
l‘adozione del sistema dei gruppi parlamentari e delle
Commissioni, pieni poteri al Governo.
d) Periodo autoritario a tendenza totalitaria​: legge Acerbo,
abolizione dell’elettività della Camera dei deputati e
trasformazione in Camera dei fasci e delle corporazioni.
e) Il periodo transitorio e provvisorio della ristrutturazione
costituzionale​: recupero della normativa dello Stato liberale e
democratico fino alla formazione di uno Stato dei partiti
sregolato.
f) La prima fase della storia della Costituzione repubblicana
1948-1993:
1. 1948-54: congelamento istituzionale e applicazione rigida
della ​conventio ad excludendum (​ razionalizzazione della
presenza di partiti antisistema nell’ord. e necessità di
restringere l’area di Governo ai settori del centro-destra e
centro-sinistra; legge truffa con premio di maggioranza;
2. 1955-68: scongelamento istituzionale e scommessa di
centro sinistra;
3. 1969-92: grande transizione e implosione del sistema
g) La seconda fase della storia della Costituzione 1994-2012:​ Stato
di partiti sregolato, privo di formazioni strutturate, perdita di
partecipazione e bipolarismo centrifugo di tipo
carismatico-plebiscitario; instabilità e nuovi soggetti;
Nell’ambito dei processi di devoluzione, integrazione e globalizzazione, si
è individuata una nuova funzione dei parlamenti nazionali, quella di
coordinamento tra i differenti piani delle assemblee elettive. In questa
prospettiva lo stesso Trattato di Lisbona ha cercato di collegare il piano
dell’Assemblea di Strasburgo con quelle nazionali, ma il problema risiede
nella stessa legittimazione di rappresentanza. I parlamenti nazionali
rischiano di essere eterodiretti con la conseguente delegittimazione delle
Assemblee parlamentari, le cui agende diventano sempre più leggere e
preordinate dall’esterno.

Parte terza
Il sistema elettorale e la giurisprudenza della Corte
Costituzionale dal Porcellum all’Italicum

Il referendum elettorale: tra l’infanticidio e il miracolo di


Lazzaro
I sistemi elettorali sono strumenti tecnici ad alta valenza politica che si
connettono alla forma di Stato e al regime, influendo in maniera incisiva
sulla dinamica della stessa forma di governo. La legge Calderoni era parsa,
sin dalle origini, come un meccanismo ai limiti dell’incostituzionalità, ma
le leadership deboli avevano interesse a mantenerla. La consapevolezza di
essere di fronte ad una svolta nella crisi italiana aveva convinto alcuni a
ripercorrere la via del referendum abrogativo in materia elettorale. Nella
primavera-estate del 2011 lo fecero due gruppi promotori, l’uno
capitanato da Stefano Passigli e l’altro da Andrea Morrone e Arturo Parisi.
Nel mese di giugno-luglio 2011 si provvide ad un infanticidio della
proposta Passigli, accantonato per motivi di dibattito interno al PD, e al
successivo lancio della raccolta firme per i due quesiti Morrone-Parisi. Il
referendum Passigli proponeva il ritorno ad un sistema speculare, basato
su formula proporzionalistica e soglia di esclusione al 4%. I quesiti
proposti, invece, da Morrone-Parisi, intendevano abrogare la legge
Calderoli in toto o le singole disposizioni della stessa per tornare al
meccanismo del 993 attraverso l’istituto della reviviscenza. L’interrogativo
principale era se la reviviscenza fosse applicabile all’abrogazione
referendaria anche in considerazione della giurisprudenza della Corte
Costituzionale e si è tentato di rispondere sostenendo che la reviviscenza
delle norme abrogate da una legge attraverso intervento parziale o
chirurgico di un referendum pone problemi di logica giuridica e di
applicazione concreta.
Il tenente Drogo e la riforma elettorale
Le votazioni pubblicistiche sono lo strumento fondamentale per
l’acquisizione delle decisioni collettive e rappresentano un metodo per
l’assunzione pacifica delle decisioni di tipo pubblicistico, e una procedura
che evidenzia soggetti, livelli e fasi specifiche. Le votazioni elettive sono
caratterizzate dai temi dell’inclusione, del sistema elettorale in senso
stretto e della legislazione di contorno. Tutto il 2012 è stato dedicato alla
risoluzione del problema di modificare il meccanismo di trasformazione
dei voti in seggi, considerato insufficiente per fornire stabilità,
rappresentanza e legittimità, sia a quello dei costi della politica. Il 2012 si
aprì con la sentenza della Corte costituzionale che dichiarò inammissibile
il quesito referendario volto a far rivivere il ​Mattarellum a​ ttraverso
l’abrogazione del ​Porcellum. Nonostante il programma di interventi
annunciato, l’unico ​frutto ​dell’anno è stata la legge sui rimborsi elettorali
che ha attribuito la delega al Governo per l‘adozione di un testo unico
delle leggi concernenti il finanziamento dei partiti e dei movimenti politici
e per l’armonizzazione del regime relativo alle detrazioni fiscali. La legge
prevede la riduzione dei contributi pubblici per le spese dei partiti e
movimenti politici, articolandolo come rimborso delle spese elettorali per
il 70% e cofinanziamento per il 30%.
A gennaio si era parlato di un accordo tra PD e PDL: il primo avrebbe
rinunciato alla sua formale propensione per un doppio turno
maggioritario in collegio uninominale e il secondo avrebbe dovuto
concedere il premio di coalizione. Si sarebbe tornati ad un sistema
proiettivo con clausole di esclusione a vario livello ponendo il problema
della scelta tra i candidati e della reintroduzione delle preferenze. La
conseguenza sarebbe stato l’abbandono della scelta del partito o della
coalizione. La logica di un simile meccanismo sembrava favorire le
alleanze di governo dopo le elezioni (archeoparlamentarismo di
Duverger). Lo sciogliersi del PDL nelle amministrative, la crisi della Lega
Nord, l’incremento del M5S suggerirono cautele al PD. L’offerta politica
successiva vide il riproporsi di un bipolarismo centrifugo con molti
soggetti, tendendo ad una dinamica di tipo centripeto. La legge 270/2005
è stata quindi mantenuta con la sostituzione del principio elettivo con
quello di nomina senza assicurare governabilità e premio di maggioranza
che crea irrazionalità.
Non ci sono “zone franche” nello Stato di diritto costituzionale
La legislazione elettorale si pone alla base degli ordinamenti liberali e
democratici e il sistema elettorale è un parco normativo che costituisce
una norma di regime, connessa con la costituzione materiale. Alcune parti
del sistema elettorale sono lasciate alla discrezionalità dei soggetti
politicamente rilevanti e finiscono per influire sulla stessa dinamica della
forma di governo, ma altre si connettono alla forma di Stato e non
possono derogare ai principi di eguaglianza delle opportunità tra i
concorrenti e della libertà di voto (artt.1 e 3). Per quanto riguarda il voto
in partenza questo deve necessariamente rispondere al principio di
eguaglianza mentre per quanto riguarda il profilo del risultato vi è una
maggiore discrezionalità che può connettersi con l’esigenza di stabilità.
Non è possibile che vengano superati i limiti di ragionevolezza per favorire
la governabilità e vi deve essere un modo per spingere il legislatore ad
adeguarsi ai limiti di costituzionalità, per lo più svolto, ormai, da organi
giurisdizionali. La specifica vicenda elettorale ha evidenziato un singolare
attivismo del Presidente della Repubblica, della magistratura ordinaria e
della Corte Costituzionale.
Nel novembre 2009, l’avv. Aldo Bozzi (e poi altri) convennero in giudizio
perché la l. 270/2005 con cui si era votato nel 2006 e nel 2008 aveva
costretto ad esercitare ​il diritto di voto…in senso contrario ai principi
​ el voto personale ed eguale, libero e segreto e a suffragio
costituzionali d
universale e diretto. ​Sia la Corte, sia la Corte d’appello rigettarono
giudicarono infondate le richieste ricorrenti e Bozzi e altri ricorsero per
Cassazione sulla base di 3 motivi:
-i giudici non avevano motivato il rigetto delle richieste di accertamento
-la Corte aveva erroneamente rigettato l’eccezione di illegittimità su cui la
stessa CC si era espressa
-la l.270/2005 era stata modellata sulla base della riforma costituzionale
del 2005 respinta nel 2006 dal voto popolare.
La Corte di Cassazione si espresse con un’ordinanza di tipo preliminare e
di merito. Si mise in evidenza che nello Stato di diritto costituzionale i
giudici non possono disinteressarsi della violazione dei diritti
fondamentali e in questa prospettiva le leggi elettorali non possono
sfuggire al sindacato di costituzionalità, non potendovi essere zone
d’ombra o franche sottratte al giudizio di costituzionalità. L’Ordinanza
ribadisce la non ragionevolezza del premio di maggioranza attribuito
senza il ​raggiungimento di una soglia minima di voti/seggi. Un sistema
eccessivamente distorsivo impedisce che il suffragio possa esplicarsi in
maniera libera, perché vincoli che eccedano un determinato livello
risultano impeditivi della stessa libertà di espressione della volontà.
La palla venne lanciata alla Corte Costituzionale che aveva davanti a sé
varie opportunità:
o negare l’ammissibilità della questione, costosa per la sua stessa
legittimazione;
o dichiarare l’ammissibilità del ricorso ma nello stesso tempo
riservarsi di decidere in seguito;
o dichiarare l’incostituzionalità del premio, lasciando in vita un
sistema elettorale basato su formula speculare e soglie di esclusione
esplicite e implicite compatibili con la discrezionalità del legislatore;
o dichiarare l’inammissibilità della questione al fine di tutelare la
natura incidentale del giudizio di costituzionalità, sollevando la
questione e decidendo per l’illegittimità del premio senza soglia;
Alla base della difficoltà non si poneva solo il sistema elettorale per le due
Camere, ma l’originario assetto bicamerale perfetto abbinato a
meccanismi elettorali selettivi, che hanno introdotto un alto rischio
strutturale di instabilità sistemica.
Dal Porcellum all’Italicum: nuovi collegamenti e nuovi orari ma
su vecchi binari
La Corte, sulla base dell’Ordinanza di remissione della Corte di cassazione
di marzo, si è espressa con la sentenza n°1 del 2014 e ha certificato i
principi costituzionali del voto per l’elezione delle Assemblee
parlamentari, ha disegnato i limiti di qualsiasi nuovo sistema secondo i
criteri della ragionevolezza e della proporzionalità, ha colpito sia il premio
di maggioranza senza soglia sia le liste bloccate e ha restituito
all’ordinamento un sistema elettorale in senso stretto per entrambe le
Camere, fondato sui principi della legge approvata dal Costituente del 48,
integrati dalla preferenza unica e da soglie di esclusione ragionevoli per i
singoli partiti e per le coalizioni, contemperando le esigenze minime di
rappresentanza e di governabilità, ​sulla base del vincolo del minor
sacrificio possibile degli altri interessi e valori costituzionalmente protetti.
Il progetto di legge elettorale per le Camere, frutto dell’incontro di Renzi
con Berlusconi, è un ​porcellum m ​ odificato, si connette con riforme
costituzionali, assomiglia al ​similspagnolo ​e al ​sindaco d’Italia,​ non risolve
i problemi di costituzionalità evidenziati dalla Corte costituzionale nelle
motivazioni della sentenza. Viene mantenuto il premio di maggioranza
(soglia del 35% al momento della scrittura) e viene conservata la lista
bloccata censurata dallo stesso giudice nelle leggi. Il premio risulta troppo
alto rispetto alla soglia richiesta, quindi rimane incostituzionale.

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