L'ordinamento britannico risulta caratterizzato da una costituzione non scritta e convenzionale, fondata
sulla sovranità del parlamento. La Gran Bretagna ha una forma di governo maggioritaria, in cui l’esecutivo,
sulla base di un consenso plebiscitario, riesce a condurre l’indirizzo politico nei confronti dell’opposizione.
L'ordinamento costituzionale britannico può essere descritto tenendo conto di 5 caratteristiche
fondamentali:
1) l'evoluzione della costituzione, basato su un processo di sedimentazione storica cominciato il 15
giugno 1215 con la promulgazione della Magna Charta Libertatum, attraverso la quale vengono riconosciuti
formalmente i diritti di tutti gli uomini liberi nei confronti del sovrano. La monarchia dura,
ininterrottamente, dal medioevo ad oggi, il Witenagemet e il Magnum Concilium hanno preceduto il
Parlamento e la curia regis il Private Council.
2) La costituzione britannica è costituita da elementi scritti e non scritti, in ordine temporale: la
Magna Charta Libertatum del 1215, la Petition of Rights del 1628, il Bill of Rights del 1689, il Triennal Act
del 1694 e il Septennial Act del 1716, il People's Representation Act nelle sue varie edizioni e il Woman's
Franchise Act del 1919 (attraverso i quali si ampliarono le basi del suffragio), i due Act of Union della Scozia
nel 1707 e dell'Irlanda nel 1800, lo statuto di Westminster e l'Habeas Corpus Act del 1679.
3) La costituzione britannica è flessibile e convenzionale, il che implica che le sue modifiche sono
attuate tramite legge ordinaria.
4) Il sistema britannico si basa sulla concentrazione teorica del potere e sulla separazione
pragmatica delle funzioni, a differenza di quello statunitense.
5) La Gran Bretagna è uno stato di diritto, tutti sono soggetti alla legge, amministrata dai giudici.
Dal 1997 il Regno Unito sta vivendo un dinamico processo di trasformazione: la classica e ammirata
“vecchia costituzione” inglese si sta trasformando in una decisamente nuova.
Le riforme discusse e approvate hanno contribuito a formalizzare molti aspetti della forma di governo come
l’elasticità, la flessibilità e la rigidità della Costituzione.
Partendo dalle elezioni del 2010, queste hanno rappresentato un evento storico per il Regno Unito, sancito
dalla sconfitta del partito laburista con una tiepida vittoria dei conservatori di Cameron, che ha conquistato
solo la maggioranza relativa dei seggi. Si è verificato dunque quel caso di “hung parliament”, vale a dire il
parlamento dove nessun partito gode della maggioranza assoluta.
Un aspetto particolare legato alla riforma della Camera dei Lords è il rapporto di quest’ultima con il
governo, disciplinato dalla Salisbury Convention, secondo la quale i Lords non si oppongono alle proposte
del partito che vince le elezioni.
La Riforma della Camera Alta del 99 ha portato ad un peggioramento delle relazioni tra la Camera ed il
Governo, tanto che la Convenzione è stata disattesa più volte e ciò si giustifica con una sorta di maggiore
legittimazione della Camera dei Lords. Tale atteggiamento critico ha portato, il Governo, a ritirare, nel 2004,
il disegno di legge che prevedeva l’eliminazione completa dei Lords ereditari.
La nuova realtà venutasi a creare in seguito al maggio 2010 si connota di particolari caratteristiche:
- L’assenza di un manifesto elettorale proprio del governo di coalizione ha avuto la conseguenza di
sgretolare le già provate basi della Salisbury Convention;
- Il numero molto alto di nuove nomine di Pari a vita che il Premier Cameron ha effettuato, motivato
dalla volontà di rendere la Camera dei Lords più schierata a favore del suo esecutivo.
Legata ai cambiamenti della Camera dei Lords, tra le principali riforme del governo laburista, è da
ricordare il Constitutional Reform Act 2005, che aveva l’obiettivo di separare in modo più chiaro i poteri di
alcuni organi costituzionali e aumentare la trasparenza nella nomina del giudiziario. La riforma ha
ridimensionato le competenze del Lord Cancelliere, accentuando quelle esecutive.
Il Lord Cancelliere ha, infatti, perso il potere di nomina dei giudici, non è più al vertice del giudiziario, non è
più il Presidente della Camera dei Lords e può anche essere un membro dei comuni; continua comunque ad
investire il ruolo di garante dell’indipendenza della magistratura.
La legge del 2005 ha anche previsto l’istituzione di una Corte Suprema; l’obiettivo che il governo laburista
voleva raggiungere era quello di eliminare la commistione tra legislativo, esecutivo e giudiziario.
Uno dei principali elementi di novità è rappresentato dal tema della compatibilità dell’ordinamento
britannico con la European Convention of Human Rights, introdotta dallo Human Rights Act (HRA).
La legge consentiva ai giudici, in caso di incompatibilità della legislazione con la ECHR, di emanare una
declaratoria di incompatibilità, che ha il mero compito di sollecitare il Governo ed il Parlamento a
intervenire. Ma la portata dell’atto è andata a mettere in discussione in principio cardine della
“Costituzione”, vale a dire quello della sovranità del Parlamento.
La dottrina ha distinto tra un aspetto sostanziale ed uno formale:
- da un punto di vista formale, lo HRA non può avere uno status diverso rispetto a quello della legge;
ne consegue che il Parlamento può anche approvare una legge contraria all’ECHR.
- Da un punto di vista sostanziale, invece, i costituzionalisti inglesi ci hanno tenuto a sottolineare che
se il Parlamento non è costretto ad intervenire a seguito della declaratoria, la portata politica del
loro intervento comporta il dovere di modificare la legislatura in oggetto.
Così nel marzo 2011 è stata istituita una commissione di esperti, per dare vita ad un “British Bill of Rights”
che stimolasse un dibattito politico e dottrinale sul tema, anche da parte dei giudici.
La compatibilità della legislazione britannica con i diritti previsti dall’ECHR si è manifestata soprattutto in
relazione alla conciliazione tra legislazione antiterrorismo e diritti di libertà. Infatti, una sentenza della
Camera dei Lords del 2004, ha sottolineato la violazione, da parte di una sezione dell’ECHR, per aver
stabilito che “gli stranieri sospetti di terrorismo potevano essere trattenuti senza aver subito un regolare
processo”. La legge, infatti, aveva introdotto una categoria di provvedimenti amministrativi, i “control
orders”, i quali prevedevano restrizioni di libertà personale per cittadini britannici sospetti di essere
implicati in attività connesse con il terrorismo. Le Corti sono intervenute dichiarando i control orders
incompatibili con i principi sanciti dall’HRA.
Infine, a partire dal 2009, la classe politica britannica, è stata coinvolta in una serie di scandali relativi al
finanziamento, alla moralità e alla condotta privata dei parlamentari. Di conseguenza l’attenzione dei partiti
si è concentrata su riforme legate a recuperare la fiducia dei cittadini; uno degli obiettivi del governo di
coalizione, infatti, è stato quello di riallacciare il rapporto tra società civile e mondo politico.
Tra le principali leggi approvate dal maggio 2010 ricordiamo la Parliamentary Voting System and
Constituencies Act 2011, che ha ridotto il numero dei deputati e consentito un referendum sulla modifica
del sistema elettorale.
1) Il tema della riforma del sistema elettorale rappresenta uno dei punti chiave dell’accordo di
coalizione. La formula su cui il governo ha trovato l’accordo è stata quella del Voto Alternativo.
L’Alternative Vote permette, all’elettore, di elencare i candidati in ordine di priorità e di eleggere quello che
riesce ad ottenere la maggioranza assoluta dei primi voti. Nel caso in cui nessun candidato ottenga tale
maggioranza, si scarta il meno votato e le seconde scelte, presenti nella sua scheda, sono ridistribuite agli
altri. La formula rientra sempre nella famiglia dei sistemi maggioritari, ma è un majority a turno unico in
collegi uninominali, che garantisce il fatto che, per essere eletti, occorre una maggioranza alta e che il voto
dell’elettore non vada sprecato, con una possibile riallocazione delle preferenze.
I dubbi che ha sollevato la dottrina, oltre a riguardare il fatto che il sistema avrebbe finito per modificare in
modo marginali i risultati elettorali, ulteriori perplessità sono sorte relativamente al principio della
responsabilità ministeriale.
In una prima fase la responsabilità del ministro era individuale; quando si è accentuata l’individualità del
governo, il Gabinetto assunse natura collegiale: le scelte del singolo ministro divenivano frutto della
decisione dell’intero collegio.
2) Il tema della responsabilità ci porta all’esame di una seconda legge, proposta dal governo di
coalizione: la fixed term parliament, approvato nel 2011 e che prevedeva lo scioglimento
anticipato delle Camere, esclusivamente reso possibile in due ipotesi:
- Un voto a maggioranza qualificata dei 2\3 della Camera dei Comuni sulla mozione;
- Oppure, nel caso in cui, a seguito di un voto di sfiducia nei confronti dell’esecutivo, la Camera dei
Comuni non riesca a trovare un accordo sulla formazione di un nuovo Governo, entro 14 giorni.
Inoltre, la legge ha stabilito che le elezioni si terranno ogni 5 anni, il primo giovedì di maggio (per evitare
coincidenza con le elezioni dell’assemblea scozzese e gallese).
Il fixed term parliament rappresenta, quindi, un ulteriore passo avanti verso la definizione legislativa delle
convenzioni costituzionali britanniche. In questa direzione, si muoverebbe anche il Cabinet Manual,
descritto come una guida al funzionamento del governo britannico.
Esso, in 11 capitoli, descrive il funzionamento del sistema istituzionale e le regole convenzionali,
giurisprudenziali e legislative ad esso relative.
La novità della pubblicazione e le polemiche risiedono nel fatto che tale Manuale, provenendo dal Governo,
potrebbe essere un passo in avanti verso una Costituzione scritta. I sostenitori di tale tesi hanno lamentato
l’assenza di un adeguato coinvolgimento della società e le lacune presenti, per aver toccato alcuni
argomenti importanti, solo marginalmente, come ad esempio il rule of law, alla base della costituzione
inglese.
Opinioni diametralmente opposte provengono da chi sostiene che si tratti semplicemente di una mera
guida al funzionamento del governo. Al riguardo, il Comitato dei Lords, non lo ha neppure reputato uno
strumento di eccessiva utilità, se non quella di rendere trasparenti le operazioni di governo.
Ancora una volta fattore caratterizzante della forma di governo è risultato il rapporto leader\premier-
partito; come dimostrato dalla Thatcher, la permanenza in carica del Premier dipende dal consenso della
maggioranza del partito: quando questo viene a mancare, il Premier non può più rimanere al potere. Così
come è avvenuto per Tony Blair.
Le esperienze di governo tra la Thatcher e Blair risultano vicine per molti aspetti in comune, quali il carisma,
la capacità di comunicazione, la durata del mandato e la sua conclusione. Ma c’è un aspetto che ha
differenziato le due esperienze, caratterizzato da una forte condivisione del potere tra i leader, Blair e
Brown, tanto che la dottrina parla di un vero e proprio “duopolio” – “dual monarchy”.
L’elasticità della forma di governo risulta confermata dalle novità legate alle elezioni del 2010, che hanno
portato all’inusuale situazione di “hung parliament” e di un governo di coalizione tra i due partiti.
L’esperienza scozzese appare la più interessante sia perché il Parlamento è stato dotato di poteri legislativi
primari, sia perché ha permesso di sperimentare il funzionamento di un sistema di governo, sotto alcuni
profili, differente rispetto a quello nazionale.
Oltre al fatto che le relazioni tra gli organi sono fissate da leggi scritte, diverso è anche il sistema elettorale
introdotto dallo Scotland Act per eleggere il Parlamento unicamerale; il parlamento scozzese è un organo
devoluto privo di sovranità e la Scotland Act è una legge ordinaria di Westminster che non può essere
modificata da un atto del parlamento scozzese, il quale quindi può legiferare solo sulle materie assegnateli.
Un ulteriore problema riguarda l’assenza di autonomia finanziaria del Paese. Il parlamento scozzese risulta
vincolato alla politica fiscale di Londra.
Le elezioni del 2007 hanno visto la vittoria del partito nazionalista scozzese; il nuovo First Minister Salmond,
da sempre favorevole all’indipendenza della Scozia, non aveva i numeri necessari in Parlamento, per far
passare un bill sull’indipendence referendum.
Nel 2008, il governo britannico, ha istituito la Commissione sulla Scottish Devolution, con l’obiettivo di
rivedere la Scotland Act, ma la Commissione si è dimostrata contraria ad ogni qualsiasi forma di
indipendenza e autonomia finanziaria, della Scozia, la quale deve rimanere “un’integrante e distinta parte
del Regno Unito”.
Mentre il governo scozzese ha continuato a sottolineare la necessità di ottenere completa autonomia e
indipendenza in materia fiscale.
Galles
L’esperienza scozzese può essere d’esempio per il Galles; la devolution voluta dal governo Blair, ha dato
vita ad un’Assemblea dotata di poteri legislativi. Il parlamento di Westminster ha approvato il Government
of Wales Act 2006, con il quale è stata introdotta una più chiara separazione delle competenze tra il
legislatore gallese e l’esecutivo e ha conferito nuovi poteri all’assemblea.
Le elezioni del 2011 hanno portato la vittoria, in Galles, del partito laburista, che ha ottenuto 30 seggi su 60
e che ha riconfermato come First Minister Jones.
Irlanda
Anche in Irlanda del Nord, dopo anni di sospensione, le istituzioni hanno finalmente ripreso a funzionare
nel 2007, attuando ciò che era stato istituito dal St Andrew Agreement 2006.
Ma la devolution di competenze non è stata realizzata del tutto subito. In particolare, è rimasta a Londra,
fino al 2010, la gestione della giustizia e della sicurezza. È risultata controversa l’istituzione di un sistema di
polizia professionale, libero da controlli di parte ed efficace.
Le elezioni del 2011 hanno confermato il predominio dei due partiti DUP e Sinn Fein.