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Les sons du pouvoir dans les mondes anciens, 359-377

Le poste in gioco dopo la morte di Cesare :


il racconto polifonico di Appiano

Chiara CARSANA
Università degli Studi di Pavia

Leggendo il resoconto degli avvenimenti successivi alla morte di Cesare


riportato da Appiano di Alessandria nel libro II delle Guerre Civili, c’è un aspetto
della costruzione e dello stile della narrazione che salta subito all’occhio, anche a chi
si avvicini a questo testo per la prima volta : le vicende convulse di quei giorni di
marzo del 44 a.C., a cui l’autore dà notevole spazio nell’economia generale del
racconto1, sono riferite soprattutto attraverso la filigrana dei discorsi di coloro che
vissero gli avvenimenti in prima persona : protagonisti, personaggi secondari, interi
gruppi che corrispondono alle parti politiche chiamate in causa.
Riscontriamo dunque, in questa sezione finale del libro II, una concentrazione
di discorsi diretti ed indiretti che è la più alta di tutta la Romaiké Historia ; ad essa
fanno da contrappunto le reazioni, espresse prevalentemente in termini sonori, dei
gruppi che assistono e partecipano al dibattito politico in corso. Questo racconto
può dunque a buon diritto essere definito polifonico, anche e soprattutto se confron-
tato con quello di altre tradizioni che ci sono pervenute2.
Nel costruire il suo lungo racconto Appiano utilizzò certamente – anche se
non esclusivamente – una fonte contemporanea e autoptica, con buone probabilità

1
Egli dedica al 15-20 marzo ben 31 capitoli su un totale di 148 riguardanti l’arco di un ventennio.
2
Vedi in particolare Cassio Dione (44.23-33 ; 44.36-49), che riporta due lunghi discorsi diretti di
Cicerone e Antonio, senza registrare altre voci tutt’altro che secondarie nel dibattito politico di quel breve
periodo.

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Asinio Pollione3. I numerosi riferimenti ad aspetti contingenti al dibattito politico


del tempo (in particolare al problema dei veterani in attesa di vedersi riconosciute le
concessioni di terre in Italia attribuite loro da Cesare4) conferiscono ai discorsi
pronunciati dagli esponenti di entrambi le parti una dimensione di concretezza che
fa pensare ad un testimone cui stanno a cuore i problemi dell’Italia5. Il racconto è
dunque tanto più interessante in quanto, in larga misura, attendibile.
Il problema che mi pongo in questa sede è però di carattere storiografico,
oltre che storico.
Che funzione ha questo racconto polifonico all’interno del disegno com-
plessivo della Romaiké Historia ? In quale misura esso è il risultato di una precisa
scelta narrativa e storico-interpretativa attribuibile all’autore ? Per rispondere a tale
domanda è necessario allargare la prospettiva ad uno sguardo d’insieme che abbracci
tutta l’opera, allo scopo di verificare se sia possibile individuare un metodo di lavoro,
e dunque delle scelte consapevoli, dietro il ricorso ai discorsi diretti e indiretti come
pure all’accentuazione delle espressioni sonore di gruppi più estesi di persone.
La ricorrenza dei discorsi è fenomeno riscontrabile in larga parte dell’opera di
Appiano. Secondo Hahn (l’unico ad avere realizzato uno studio globale sul metodo
di ricorso alle fonti seguito per l’insieme della Romaiké Historia)6, la loro particolare
concentrazione in alcune sezioni sarebbe del tutto casuale e determinata dalle fonti
che lo storico aveva a disposizione. Goukowsky ha avuto di recente il merito di
riconoscere una maggiore autonomia agli interventi di Appiano in questo ambito :
alle radici della predilezione per i discorsi sarebbe stata la formazione retorica dello
storico, nonché la sua adesione ad un modello di storiografia tragica7.
Personalmente condivido questo punto di vista, come pure la ricostruzione
del retroterra culturale in cui Appiano si sarebbe formato nella sua giovinezza ;
facente capo alla scuola del retore Teone, attivo ad Alessandria tra il 50 e il 100 d.C.8.
Vorrei però provare a fare un passo avanti e cercare di dimostrare che le scelte di

3
Vedi GABBA 1956, p. 146-147, 231-233 ; WEINSTOCK 1971, p. 352 ; HAHN 1982, p. 262-265 ;
MORGAN 2000, p. 54-60 ; CARSANA 2007, p. 21-23 ; GOUKOWSKY 2010, p. CIX-CXIII.
4
App. BC 2.119 [501] ; 2.120 [507] ; 2.133 [557]-134 [559] ; 2.139 [580]-141 [591].
5
GABBA 1956, p. 146, 230.
6
HAHN 1982, p. 252-255 ; sui discorsi nelle Guerre Civili di Appiano, vedi anche GOWING 1992,
p. 225-245.
7
GOUKOWSKY 2002, p. XXIII.
8
GOUKOWSKY 2002, p. XXIV-XXXVII.

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ordine stilistico e narrativo operate da Appiano trovano una loro motivazione nella
costruzione del disegno generale dell’opera e nella visione politica che ne ha origina-
to la stesura. Le sonorità polifoniche del racconto appianeo potrebbero rispondere,
secondo la mia ipotesi, non solo a finalità di tipo estetico e all’adesione ad un
modello storiografico, ma sottenderebbero un’interpretazione politica degli avveni-
menti che lo storico propone e mette in evidenza per i suoi lettori, inserendola in un
quadro « globale ».
Se consideriamo la tabella riportata da Hahn in « Appian und seine
Quellen »9, dove le varie sezioni della Romaiké Historia sono classificate in base alla
frequenza dei discorsi che vi compaiono, possiamo notare che il libro II delle Guerre
Civili (che risulta al primo posto) è seguito dal Libro Africano10. Questa è una delle
parti dell’opera che, come nota Goukowsky, permette di apprezzare il talento lette-
rario di Appiano11. Un confronto tra queste due sezioni della Romaiké Historia può
consentire di individuare alcune scelte metodologiche generali operate dallo storico
di Alessandria.
Il Libro Africano è diviso in due parti (che corrispondono alla II e III guerra
Punica), per ciascuna delle quali Appiano utilizza una varietà di fonti differenti ; esso
tuttavia si configura come una narrazione storica omogenea, grazie all’abilità dell’au-
tore, che riesce a fondere diverse tradizioni in un disegno unico, strutturato per
nuclei di discorsi e dibattiti che intercalano le azioni militari, alle quali è dedicato
uno spazio decisamente secondario12. La funzione di questa costruzione narrativa di
impostazione drammatica è quella di marcare un tempo forte della vicenda delle
guerre di conquista di Roma.
Che la sconfitta di Cartagine rappresenti un punto di svolta fondamentale
all’interno dell’iter espansionistico dell’impero romano che intende descrivere con la
sua opera, Appiano lo sottolinea a chiusura della Libyké. Dopo il racconto della
distruzione di Cartagine egli riporta le riflessioni di Scipione l’Emiliano citando
esplicitamente lo storico Polibio (« Ecco ciò che scrive Polibio, che intese

9
HAHN 1982, p. 253.
10
Dalla tabella di Hahn i discorsi diretti del Libro Africano risultano 16 (numero equivalente a quelli
del libro III delle Guerre Civili). Se si tiene conto anche del discorsi indiretti, il numero si raddoppia (vedi
Appendice, 1).
11
GOUKOWSKY 2002, p. XXIV.
12
Vedi Appendice, 1.

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personalmente queste parole »)13. La meditazione di Scipione, che piange sulle rovine
della città, riguarda la caduta progressiva (μεταβολή) di popoli, città e imperi che
risponde a una necessità storica (δεῖ) voluta dalla divinità (δαίμων)14. Il passo trova
un preciso riscontro non solo nel proemio delle Storie di Polibio15, ma anche nella
prefazione alla Romaiké Historia di Appiano stesso, il quale rielabora e personalizza
l’originale polibiano16.
La fine dell’impero di Cartagine risponde dunque, secondo Appiano, ad un
disegno divino e comporta come conseguenza l’imporsi sempre più inarrestabile di
Roma. L’inquietudine di Scipione lascia inoltre presagire che anche Roma avrebbe
conosciuto, a sua volta, una fase di declino17.
Lo storico di Alessandria evidenzia però nello stesso tempo, nel corso del
Libro Africano, l’esistenza di altre cause, più umane e politiche, sottese alla caduta
dell’impero di Cartagine e lo fa appunto attraverso i discorsi e le notazioni sonore.
L’impianto dialogico del Libyké, scandito da una serie di discorsi diretti e
indiretti, alcuni dei quali di notevole respiro, segnala anche un atteggiamento di
autonomia rispetto alla fonte polibiana. Polibio infatti all’inizio del libro XXXVI, nel
quale intraprende la narrazione della III guerra Punica, intende spiegare ai suoi
lettori, a mo’ di dichiarazione di principio di metodo, perché non ha riportato i
singoli discorsi pronunciati in quel periodo, come la maggior parte degli storici.
« Infatti – egli aggiunge – non si addice agli storici esercitarsi a spese dei propri
lettori e fare con loro sfoggio della propria abilità » ma bisogna far conoscere solo le
cose più importanti e soprattutto gravide di conseguenze18. Viene ripresa in questa
sede la polemica rivolta contro Timeo e una forma di storiografia di impostazione
retorica e drammatica19.

13
App. Pun. 133 [631].
14
App. Pun. 132 [628-630].
15
Plb. 1.2 ; 1.4.
16
La successione Assiri-Medi-Persiani-Macedoni, che compare identica nel proemio della Romaiké
Historia (par. 9), è una libera ripresa di Plb. 1.2 ; ma soprattutto il termine δαίμων è tipicamente appianeo,
laddove Polibio parla invece costantemente di τύχη, parola che compare 4 volte nel solo cap. 4 del
proemio del libro I (le ricorrenze nell’intera opera sono innumerevoli) ; vedi GOUKOWSKY 2002, p. XCII-
XCIII.
17
App. Pun. 132 [630]. Sulla teoria dell’anaciclosi nell’opera di Appiano, vedi GOUKOWSKY 2008,
p. LII-LXIII.
18
Plb. 36.1.
19
Plb. 12.25a-b.

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Appiano fa invece una scelta diametralmente opposta e persegue esattamente


ciò che Polibio dichiara di non voler fare. Segue dunque per larga parte della seconda
sezione del Libyké una fonte alternativa a quella polibiana da cui deriva il contenuto
dei numerosi discorsi riportati ; una fonte con buone probabilità contemporanea e
autoptica, rispetto alla quale Polibio si poneva in atteggiamento polemico. Goukowsky
avanza l’ipotesi suggestiva che possa trattarsi di Fannio, testimone oculare e cognato di
Scipione l’Emiliano, il quale secondo la testimonianza di Cicerone (Brut. 21 [81]) nei
suoi Annales riportava volentieri dei discorsi20.
Questo ricorso ai discorsi da parte di Appiano ha la funzione di rimarcare che
alle radici della debolezza di Cartagine sta la mancanza di concordia tra le parti
politiche della città. È questo il filo conduttore che unifica e rende omogenea la
narrazione degli avvenimenti della II e III guerra Punica all’interno del Libyké e che,
nello stesso tempo, scandisce le fasi del conflitto tra Cartagine e Roma in terra
d’Africa : la lacerazione di Cartagine, spaccata in due tra popolo e senato. All’interno
di questo quadro i discorsi stanno ad esprimere le motivazioni del logos, della ragio-
nevolezza dei senatori, cui si contrappone l’irrazionalità senza freno del popolo
cartaginese.
Significative sono a tale proposito, le parole di Asdrubale, che Appiano è
l’unica delle fonti a noi pervenute a riportare. Subito dopo la sconfitta di Zama egli si
rivolge a Scipione l’Africano implorando clemenza e fornendo la seguente giusti-
ficazione alla rottura degli accordi stipulati in precedenza tra Cartagine e Roma :
« Voi non dovete condannare in blocco i Cartaginesi […]. Infatti le città si
volgono facilmente al peggio ed è sempre ciò che procura piacere a dominare
sulle masse (παρὰ τοῖς πλήθεσιν). Anche noi lo abbiamo sperimentato, poiché
non siamo stati capaci di convincere la folla e di trattenerla a causa di coloro
che qui ci calunniano, mentre presso di voi è stata loro sottratta la libertà di
parola (παρὰ δ᾿ὑμῖν τὴν παρρησίαν ἀφῃρημένους) [...]. Non si può
domandare a una folla indisciplinata (πλήθους ἀσυντάκτου) e in condizioni
difficili di dar prova di ragionevolezza »21.
In questo passo mi sembra che sia evidente, sebbene solo implicito, un richia-
mo alla teoria polibiana dell’anaciclosi e, in particolare, al differente stadio evolutivo

20
GOUKOWSKY 2002, p. C-CI.
21
App. Pun. 49 [216-220].

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delle costituzioni miste di Roma e Cartagine22. Per Asdrubale è la παρρησία, la libertà


di parola, nella quale Polibio identifica la qualità essenziale della democrazia achea 23,
la causa della debolezza di Cartagine. Questa παρρησία, è stata invece sottratta al
popolo romano garantendo a Roma l’equilibrio politico-sociale e la concordia
interna : è per questo che la costituzione mista romana pende più verso l’aristocrazia
ed è ancora alla sua akmé, mentre la costituzione mista cartaginese vive già uno
stadio di decadenza in cui a prevalere è l’elemento democratico24.
Nel racconto appianeo del Libyké la παρρησία del popolo cartaginese ha una
sua voce propria attraverso una serie di parole-chiave ricorrenti : rumori, grida,
minacce che ne qualificano, sonoramente, l’irrazionalità. Il suo peso era stato deter-
minante prima di Zama, quando il popolo aveva rifiutato di consentire all’armistizio
negoziato tra Annibale e Scipione :
« A Cartagine il senato (ἡ βουλή) accolse con gioia questo accordo e pregò il
popolo (τὸν δῆµον) di attenersi alle decisioni prese […]. Ma quello reagendo
come una massa disordinata (οἷον ὄχλος), immaginava sconsideratamente che
i generali stringessero questi accordi con i Romani nel proprio interesse, al
fine di potere, grazie a loro, dominare sulla loro patria (ἵνα δυναστεύσωσι τῆς
πατρίδος) […]. Un clamore (βοῆς) accolse la proposta e l’agitazione e lo
strepito (θορύβου) s’impadronirono dell’assemblea (τὴν ἐκκλησίαν) »25.
Da notare, oltre che le parole-chiave di dimensione sonora, la terminologia
tecnica a cui fa ricorso Appiano per rappresentare il popolo di Cartagine : il δῆμος
riunito in assemblea (ἐκκλησία), nel pieno dunque delle sue funzioni istituzionali,
reagisce in realtà come un ὄχλος, termine che Polibio utilizza per definire la variante
degenerata della democrazia26. Ai senatori si contrappone inoltre la variante negativa
dei δυνάσται, termine con cui Appiano indica nelle Guerre Civili i capoparte della
tarda repubblica27.
Medesima è la dinamica interna che si verifica a Cartagine quando Asdrubale
riferisce i termini delle durissime condizioni imposte dal vincitore Scipione : mentre
gli ἄριστοι sono ancora una volta dell’avviso di accettare per non rischiare di perdere

22
Plb. 6.51.
23
Plb. 2.42.3.
24
Plb. 6.51.
25
App. Pun. 28 [157-159].
26
Plb. 6.4.6 ; 6.4.10 ; 6.9.5-9.
27
App. BC 1.2 [7] ; cf. App. Praef. 6.

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assolutamente tutto, il popolo riunito in assemblea – definito questa volta, sociolo-


gicamente, ἀγοραῖον πλῆθος28 – « non considerava il presente più terribile della
perdita, così notevole, di ciò che avevano […] e, stringendosi intorno a ciascun
magistrato, li minacciava tutti di mettere a sacco e poi di incendiare le loro
dimore »29.
Nella seconda parte del Libro Africano, che tratta della III guerra Punica, gli
sviluppi del conflitto romano-cartaginese vengono presentati in un crescendo
drammatico di dimensione ancor più tragicamente sonora. L’evoluzione della poli-
tica estera di Roma nella direzione di un imperialismo sempre più aggressivo trova
voce in una serie di discorsi con cui si chiude la II guerra Punica e si apre il conflitto
del 149 a.C.30.
Sul versante cartaginese il discorso di Bannone, in risposta a quello del
console romano Censorino, presenta la posizione dei notabili cartaginesi, anche in
questa occasione desiderosi di trovare a tutti i costi un accordo con Roma31. Quella
del piccolo popolo, ancora una volta in conflitto con l’aristocrazia, trova invece
espressione nelle reazioni emotive alla comunicazione, da parte degli ambasciatori,
dell’ultimatum imposto da Roma.
Inizialmente popolo e senato manifestano il loro comune sgomento di fronte
alla notizia attraverso una sorta di vero e proprio psicodramma sonoro fatto di grida
e silenzi :
« Gli ambasciatori riferirono prima l’ultimatum dei consoli ; e subito gli Anziani
proruppero in esclamazioni (βοὴ τῆς γερουσίας) e il popolo all’ esterno
gridava all’unisono con loro (ὁ δῆµος συνεβόα). Quando poi gli ambasciatori
esposero tutte le obiezioni che avevano formulato […] e la loro richiesta di
inviare un’ambasceria a Roma, un profondo silenzio regnò di nuovo tra i
membri del Consiglio (τῆς βουλῆς σιγὴ βαθεῖα), che attendevano di conoscere
la fine, e il popolo si associava al loro silenzio (ὁ δῆµος αὐτῇ συνεπιώπα) »32.

28
Vedi discussione in GOUKOWSKY 2002, p. LXXXIII, nota 392.
29
App. Pun. 55 [239-240].
30
Vedi il dibattito in senato con cui si chiude la II Guerra Punica (App. Pun. 57 [246]-65 [289]) e i tre
discorsi del console Censorino alla vigilia del conflitto finale nel 149 a.C. (App. Pun. 80 [371-373] ;
81 [378] ; 86 [404-422]).
31
App. Pun. 83 [386]-85 [403].
32
App. Pun. 91 [431].

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« Ma quando – continua il racconto di Appiano – (gli Anziani) seppero che


non consentivano loro nemmeno di inviare un’ambasceria, ripresero a gridare forte
lamentandosi (ἠλάλαξαν ἐξαίσιον ὀδυρόμενοι) e il popolo irruppe all’interno del
senato. Da quel momento esso si abbandonò a comportamenti irrazionali e deli-
ranti » che Appiano paragona a riti bacchici, facendo a pezzi i senatori e lapidando
gli ambasciatori33. Nonostante il momento sia drammatico per tutte le parti sociali
della città, la frattura politica interna si manifesta ancora una volta in tutta la sua
ineluttabilità.
Cartagine infine – prosegue Appiano – « era piena di lamenti, di manifesta-
zioni collera e di paura, di minacce (οἰμωγῆς τε καὶ ἅμα καὶ ὁργῆς καὶ δέους
καὶ ἀπειλῆς), e nelle strade la gente invocava ciò che aveva di più caro […].
Ciò che infiammava soprattutto la loro collera erano le madri degli ostaggi
che, come delle Erinni uscite da una tragedia, avvicinavano le persone con
grida acute (μετʼ ὀλολυγῆς) »34.
« Tutta questa sequenza è plausibile – commenta Goukowsky – ma il testo di
Appiano non ha paralleli »35. Alcuni elementi sono derivati dal più sobrio Polibio36,
che costituisce la base di partenza del racconto, ma la sua dimensione drammatica è
notevolmente amplificata. Appiano ricostruisce dunque la storia delle guerre
romane in Africa intrecciando con sapienza il materiale di diverse tradizioni37. Le
sue scelte di stile valgono a rimarcare un momento di svolta fondamentale (il trionfo
di Roma in Occidente e il suo graduale passaggio ad un imperialismo sempre più
aggressivo), nonché il fattore che lo ha reso possibile : la mancanza di ὁμόνοια e il
prevalere dell’elemento popolare che sbilancia in senso degenerativo la costituzione
cartaginese. Gli stessi protagonisti dello scontro sono consapevoli del momento
storico epocale ; in particolar modo Scipione l’Emiliano a chiusura del libro.

33
App. Pun. 92 [432-433].
34
App. Pun. 92 [435-437].
35
GOUKOWSKY 2002, p. 181.
36
Plb. 36.7.1-5.
37
Vedi GOUKOWSKY 2002, p. LXXXVII. Il comportamento irrazionale e poco dignitoso dei senatori
cartaginesi sembra volutamente contrapposto a quello impassibile e composto del senato romano. La
descrizione configura Cartagine come un’anti-Roma ; vedi GOUKOWSKY 2002, p. LXXXIII. Questo
conferma l’idea che Appiano abbia utilizzato una fonte romana, che aveva interesse a presentare in questi
termini la potenza nemica.

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Ma proprio nelle riflessioni di Scipione si manifesta anche il timore che la


stessa Roma possa in futuro vivere vicende analoghe a quelle della città sconfitta. E
in effetti anche Roma, nel disegno storico tracciato da Appiano, è destinata a subire,
al suo interno, un processo degenerativo che avrà come esito un lungo periodo di
guerre civili, alle quali lo storico alessandrino dedica cinque libri della sua Romaiké
Historia : una serie di sanguinosi conflitti attraverso i quali Roma perverrà, in un
percorso provvidenziale, al sistema politico imperiale38.
Torniamo adesso al libro II delle Guerre Civili, che presenta sorprendenti
analogie con il Libro Africano, soprattutto per la parte in cui si narrano gli aventi
successivi alla morte di Cesare. Sebbene per queste due sezioni della sua opera
Appiano utilizzi fonti diverse, vista la distanza cronologica tra gli eventi in esse
riportati, nondimeno si può notare una conformità nell’utilizzo degli strumenti
narrativi ; in particolare l’alta frequenza di discorsi per i quali si riportano, in termini
sonori, le reazioni suscitate nell’uditorio. Essi costituiscono, nel libro II come nel
Libyké, la vera e propria struttura portante della narrazione e danno voce all’arti-
colata trama delle posizioni e dei rapporti reciproci tra le partes politiche che
scendono in campo dopo la congiura. I gruppi presentati da Appiano, ciascuno dei
quali esprime la sua voce attraverso discorsi diretti e indiretti pronunciati da singoli
o da insiemi di persone, sono i seguenti39:
1 I Cesaricidi (Bruto, Cassio, l’intero gruppo) ;
2 I senatori favorevoli all’amnistia e ai Cesaricidi (Cinna, Dolabella, Cicerone,
altri il cui nome non è indicato) ;
3 I Cesariani (Antonio, Lepido, Pisone).
Vengono inoltre riportati, anche se in modo sintetico, i differenti punti di vista
emersi nel dibattito tenutosi in senato il 17 marzo prima e dopo il discorso di
Antonio.
Questo racconto a più voci, in cui gli eventi convulsi successivi alle idi di
marzo vengono presentati nella forma di un intreccio polifonico di interventi che
testimoniano posizioni, reazioni e adeguamenti reciproci da parte dei diversi gruppi
di pressione e dei loro esponenti più in vista ha uno scopo, che è anche qui, come nel

38
Su questo aspetto dell’opera di Appiano, vedi GABBA 1956, p. 134-135 ; GOLDMANN 1988, p. 30-31 ;
BUCHER 2000, p. 431-433, 441-442 ; CARSANA 2007, p. 28-29, 184-187, 216-217 ; GOUKOWSKY 2008,
p. 68-71.
39
Vedi Appendice, 2.

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Libro Africano, quello di rimarcare la presenza di divisioni e fratture all’interno del


corpo politico, in questo caso in seno all’ordo senatorio. Esistono, nella visione di
Appiano (oltre che della sua fonte) non solo uomini, ma gruppi in lotta per il potere
spinti, sia gli uni sia gli altri, da motivazioni ben poco ideali40. È interessante quel che
nel libro II si dice di loro, con un atteggiamento ben al di sopra delle parti :
 I congiurati « credevano che il popolo romano fosse ancora veramente
quale era stato al tempo di quel Bruto che aveva cancellato la
monarchia ; e non capivano che si attendevano due cose tra loro in
contrasto, e cioè che questi moderni fossero libertari e nello stesso
tempo si lasciassero corrompere »41 ;
 vi erano poi coloro che, come Dolabella « non avevano preso parte
all’azione ma cercavano di attribuirsene la gloria » ricevendo alla fine
soltanto la punizione al pari dei colpevoli42 ;
 i Cesariani, Lepido e Antonio, « volevano vendicare Cesare sia per
amicizia che per i vincoli del giuramento, sia anche perché aspiravano
al potere »43 ;
 i senatori votarono, infine, che tutti gli atti e tutte le deliberazioni di
Cesare fossero validi « perché questo era utile allo Stato »44, vale a dire
per tutelare le posizioni personali di tanti, Cesaricidi compresi45.
Le varie partes agiscono nel proprio tornaconto, manipolando una folla
connotata anche sociologicamente, in una descrizione efficace posta all’inizio del
racconto : una massa indistinta (πλῆθος) all’interno della quale « se si esclude la
veste di senatore, ogni altro abito è comune a liberi e schiavi » ; una plebe urbana di
oziosi poveri e rissosi provenienti da tutta Italia, attratti dalle distribuzioni di grano
e, in più, un gran numero di veterani, in attesa di stanziarsi nelle terre concesse loro

40
Vedi CARSANA 2003, p. 280-283 ; CARSANA 2007, p. 25-28.
41
App. BC 2.120 [504]. La traduzione italiana dei passi del libro II delle Guerre Civili è quella di
D. MAGNINO (La storia romana. Libri XIII-XVII. Le guerre civili di Appiano, Torino 2001), con qualche
lieve modifica.
42
App. BC 2.119 [500].
43
App. BC 2.124 [518].
44
App. BC 2.135 [563].
45
App. BC 2.128 [534-535].

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da Cesare, « disponibili per qualunque azione per la quale fossero pagati »46. Questa
massa risponde e reagisce in modo ondivago, più fisico che dialettico, con invo-
cazioni, esortazioni, minacce, urla, brevi esclamazioni di assenso o dissenso, mano-
vrate o sospette di esserlo47. Il lessico sonoro utilizzato da Appiano è potentemente
onomatopeico, come nel Libro Africano : βοή, βοᾶν, ἐπιβοᾶν, ἀναβοᾶν, ἀνταναβοᾶν,
κρότος, κράζειν, ἀνακράζειν, οἰμωγή, ἀνοιμώζειν, sono espressioni frequenti e
ripetute.
Anche qui, come nel Libyké, siamo in un momento storico di svolta epocale :
quello dell’uccisione di Cesare. Egli è riconosciuto da Appiano come il fondatore
della monarchia, che poi Ottaviano suo figlio adottivo avrebbe consolidato48. La
congiura è il segno però che i tempi non sono maturi per un definitivo passaggio
dall’età dei δυνάσται a quella dell’Impero49 ed innesca l’inizio di una nuova lunga
fase di conflitti sanguinosi.
All’interno di questo quadro Antonio riveste un ruolo centrale, quasi da
protagonista : a lui sono attribuiti infatti ben 5 degli 8 discorsi diretti riportati nella
parte finale del libro II50, sebbene il più lungo e articolato sia poi quello pronunciato
da Bruto51 ; il che contribuisce a riequilibrare il peso delle partes nella narrazione.
Il discorso pronunciato da Antonio al funerale di Cesare dà una misura
chiara del suo ruolo e degli strumenti adottati da Appiano per configurarlo. Esso è
un esempio di ricorso alle sonorità.
Rispetto alle altre tradizioni che riferiscono l’episodio, le coincidenze col
racconto di Svetonio52, più sintetico ma altamente affidabile, sono rimarcabili.
Queste due descrizioni si completano e si integrano reciprocamente. Esse, oltre a
costituire una testimonianza essenziale per l’episodio storico in sé, forniscono anche
informazioni preziose sull’organizzazione dei funera publica come strumento di

46
App. BC 2.120 [505-507].
47
Vedi specialmente App. BC 2.130 [542] ; 2.131 [548].
48
App. BC 2.148 [617].
49
Nella visione di Appiano anche la costituzione romana vive un processo di anaciclosi : vedi supra,
nota 17.
50
Vedi Appendice, 2.
51
Vedi Appendice, 2.
52
Suet. Iul. 84.

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


370 Chiara Carsana

propaganda politica a Roma53. I due racconti, in particolare la versione di Appiano


che è la più estesa e dettagliata, ci offrono – mi sembra – il dossier più ricco a noi
pervenuto sul sistema rituale in cui era inserita una laudatio funebris54. Si è molto
scritto e discusso sui funerali di Cesare55 e la testimonianza di Appiano è stata già
opportunamente valorizzata da Weinstock negli anni ’70. Insisterò, dunque,
solamente su alcuni dettagli del racconto, che ci mostrano come la dimensione
sonora giocasse un ruolo essenziale nel rituale del funus publicum. La laudatio
funebris pronunciata da Antonio in qualità di console, di cui Appiano (2.143 [599])
sottolinea la parentela con Cesare, fu seguita da una serie di manifestazioni sonore e
musicali che miravano a suscitare un forte impatto emozionale nel pubblico :
• Dopo la laudatio, furono pronunciati altri discorsi (λόγοι) in onore del
defunto56 ;
• « dopo i discorsi, vennero cantate in coro, seguendo il costume ancestrale,
altre lamentazioni accompagnate da canti funebri (θρῆνοι µετὰ ᾠδῆς κατὰ
πάτριον ἔθος ᾔδοντο) »57. Noi sappiamo dalla descrizione dei funerali di Silla
che una musica languida e triste era suonata da dei trombettieri58.
• Svetonio aggiunge che « una folla di stranieri prese parte al pubblico
lutto pronunciando delle lamentazioni, ciascun gruppo secondo il costume
del proprio paese, in particolar modo i Giudei (In summo publico luctu

53
Sui funera publica vedi in particolare ACHARD 1975, p. 166-178 ; WESCH-KLEIN 1993 ; BIANCHI
1994, p. 137-153 ; BELAYCHE 1995, p. 155-169 ; DE FILIPPIS CAPPAI 1997, p. 76-83 ; ENGELS 1998, p. 176-
187 ; SUMI 2002, p. 559-585 ; RAMAGE 2006, p. 39-64.
54
Il funerale di stato era riservato a personaggi che avevano avuto meriti politici particolari ed era
decretato dal senato. Per quanto sappiamo, il primo funus publicum fu quello di Silla, la cui descrizione ci
è giunta proprio attraverso Appiano (BC 1.105-106 [493-500]) e che integra le informazioni relative ai
funerali di Cesare. Le esequie di quest’ultimo, se per certi versi rientrano in una lunga tradizione di
funerali « popolari », orchestrati al fine di trascinare il popolo suscitandone la collera verso la parte
avversa (vedi ACHARD 1975, p. 166-178), per altri versi anticipano aspetti che saranno propri dei funerali
degli imperatori (vedi SUMI 2002, p. 559-583).
55
Vedi in particolare DEUTSCH 1928, p. 127-148 ; MOTZO 1940, p. 136-148 ; KENNEDY 1968,
p. 99-106 ; WEINSTOCK 1971, p. 350-355 ; ACHARD 1975, p. 167-178 ; KIERDORF 1980, p. 150-154 ;
YAVETZ 1988, p. 59-82 ; FRASCHETTI 1990, p. 46-59 ; SUMI 2002, p. 559-583 ; RAMAGE 2006, p. 48-51 ;
MATIJEVIC 2006, p. 101-104.
56
App. BC 2.146 [611].
57
App. BC 2.146 [611].
58
App. BC 1.106 [498].

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


Le poste in gioco dopo la morte di Cesare : il racconto polifonico di Appiano 371

exterarum gentium multitudo circulatim suo quaeque more lamentata est


praecipueque Iudaei […]) »59.
• Infine, nel corso di una vera e propria messa in scena evocativa vennero
recitati, presumibilmente da degli attori (scaenici artifices) presenti al fune-
rale60, dei versi tratti da due praetextae61. In particolare, sia Svetonio che
Appiano ricordano un verso del « Giudizio per le armi di Achille » di Pacuvio
che diceva : « Li ho risparmiati per morire sotto i loro colpi? (Men servasse, ut
essent qui me perderent?) »62.
L’organizzazione dei funerali di Cesare era molto probabilmente già stata
pianificata molto tempo prima da Cesare stesso63; noi sappiamo infatti che il ditta-
tore aveva affidato ad Azia, la madre di Ottaviano, i suoi mandata de funere64.
Nondimeno è evidente che determinate scelte, ad esempio la lettura dei versi di
Pacuvio, non potevano essere state decise che dopo la morte di Cesare. Ora, il
racconto di Appiano evidenzia il ruolo giocato da Antonio come regista della
cerimonia.
In effetti anche Appiano non riporta e non insiste tanto sul contenuto delle
parole pronunciate, quanto sul modo in cui Antonio condusse le esequie. Il racconto
è costruito abilmente nella forma di vero e proprio contrappunto, in cui la voce e i
gesti di Antonio, sapientemente associati e modulati in un crescendo, intercalano
ciascuna fase del funerale, suscitando reazioni altamente emotive da parte del-
l’uditorio :
 Antonio legge il s.c., « con volto severo e commosso, accentuando
con la voce ogni punto (τῇ φωνῇ ἐνσηµαινόµενος) e soffermandosi
su quegli onori che nel decreto in modo particolare avevano solle-
vato Cesare al di sopra dell’umano […]. Per ciascuno di questi

59
Suet. Iul. 84.8.
60
Questi vengono menzionati da Svetonio nelle righe successive : Iul. 84.7. Vedi SUMI 2002, p. 559-
583 : egli delinea l’evoluzione delle performances dei mimi professionali nei funerali pubblici a Roma,
individuando nelle esequie di Cesare un fondamentale momento di passaggio che prelude a quelle degli
imperatori ; vedi anche BIANCHI 1994, p. 141-143.
61
Suet. Iul. 84.3.
62
Suet. Iul. 84.3 ; cf. App. BC 2.146 [611].
63
WEINSTOCK 1971, p. 350.
64
Nic. Dam. Vit. Caes. 17 [48].

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


372 Chiara Carsana

appellativi Antonio, volgendo il capo e la mano verso il cadavere di


Cesare, accentuava il fatto con l’ausilio della parola (ἐν παραβολῇ
τοῦ λόγου τὸ ἔργον ἐπεδείκνου). E per ogni termine aggiungeva
qualche breve motto, misto di pietà e risentimento »65.
 Poi rilesse il giuramento per la salvezza di Cesare, e quando in esso si
diceva che sarebbe stato maledetto dagli dei chi non lo avesse
vendicato, « alzò la voce su toni molto alti (µάλιστα τὴν φωνὴν
ἐπιτείναϛ) e protendendo le mani verso il Campidoglio » proclamò
di essere sempre stato pronto a tener fede al giuramento, ma di
essersi piegato alle deliberazioni prese dai colleghi per l’utilità dello
stato. Questo suscitò le alte grida di protesta dei senatori (θορύβου
ἐκ τῆς βουλῆς […] γενοµένου)66.
 A questo punto Antonio giunge alla fase della Laudatio in cui si
riportavano le res gestae del defunto : « raccolse la veste, quasi fosse
ispirato dalla divinità (οἷά τις ἔνθους) e se la cinse in vita per aver
libere le mani, si accostò al feretro, come fosse sulla scena (ὡς ἐπὶ
σκηνῆς) e […] prima intonò l’inno a Cesare come a un dio celeste, […]
elencando velocemente le guerre, le battaglie, le vittorie, le province
inserite nella patria, le spoglie mandate a Roma, sottolineando ogni
sua impresa con ammirazione […]. Molte altre cose disse in questo
stato di illuminazione, mutando il registro di voce da esaltato a
lamentoso (ἐπιθειάσας τὴν φωνὴν ἐς τὸ θρηνῶδες ἐκ τοῦ
λαµπροτέρου) […]. Poi, passando abilmente al registro del patetico
(εὐφορώτατα ἐς τὸ πάθος ἐκφερόµενος), scoprì il corpo di Cesare e
ne agitò la veste […] intrisa del sangue del dittatore. A quella vista il
popolo, come un coro tragico (οἷα χορὸς), si associò ai suoi lamenti
(συνωδύρετο) nel modo più commovente, e dal dolore di nuovo
passò all’ira »67.
Quando, al termine della cerimonia, venne sollevata e mostrata al pubblico
un’effigie di cera del dittatore ferito dalle pugnalate, il popolo non resistette a quella

65
App. BC 2.144 [601-602].
66
App. BC 2.145 [604-605].
67
App. BC 2.146 [607-610].

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


Le poste in gioco dopo la morte di Cesare : il racconto polifonico di Appiano 373

vista ; diede fuoco al luogo nel quale Cesare era stato ucciso e si precipitò per la città
alla ricerca degli assassini68.
Come si può ben cogliere dai toni di questo racconto, Appiano rappresenta
Antonio come un demagogo che esercita con grande raffinatezza l’arte della mani-
polazione. Un aggettivo che viene più volte associato al personaggio all’interno del
libro II è ἔνθεος, che sta ad indicare chi sia, o voglia apparire, « ispirato dalla
divinità ». Non a caso questa parola viene utilizzata da Appiano proprio nelle sezioni
cruciali della sua opera di cui oggi abbiamo parlato, in riferimento ad alcuni
personaggi-chiave (Scipione l’Africano, Cesare e appunto Antonio)69, presentati
nell’atto di agire, e più spesso di parlare, influenzando in modo determinante il corso
degli eventi. Questi leader sono tali, nella visione di Appiano, perché al contempo
uomini « ispirati dalla divinità » ma anche potentemente carismatici grazie alle loro
capacità oratorie. È significativo che il termine ἔνθεος sia utilizzato per descrivere
l’attore che recita trascinando il suo pubblico70 ; è anche per questo, io credo, che
Antonio valorizza tanto il suo legame privilegiato con Dioniso71, divinità dell’eb-
brezza e dell’estasi e patrono delle arti teatrali. Questa forte carica carismatica, di cui
Antonio gode anche grazie alla propria abilità di oratore/attore consumato72, gli

68
App. BC 2.147 [613].
69
Vedi App. BC 2.33 [132] (Antonio) ; 2.35 [140] (Cesare) ; Hisp. 26 [101] ; 26 [103] (Scipione
l’Africano).
70
Vedi, in particolare, Pl. Ion 533d-536a : in questo dialogo platonico Socrate definisce il rapsodo-
attore uno strumento della divinità, attraverso il quale « Iddio trascina l’anima degli uomini verso quel
luogo che egli vuole, trasmettendo dall’uno all’altro un potere misterioso (536a) » ; al contempo Platone
critica gli aspetti deteriori nell’evoluzione pratica della recitazione, in virtù dei quali gli attori e mimi del
suo tempo coinvolgono emotivamente il pubblico al solo scopo di ottenerne un guadagno (535d-e).
Sull’interazione tra recitazione e declamazione e sulla trasfusione di moduli tecnici della prassi
drammatica a quella dell’oratoria, vedi RIZZINI 1998, p. 25-30.
71
Vedi CARSANA 2007, p. 133 ; sulla propaganda dionisiaca di Antonio vedi SCUDERI 1984, p. 62-63 ;
MARASCO 1992, p. 538-548 ; BIFFI 1996, p. 147-157 ; SNIEZEWSKI 1998, p. 129-144.
72
Da Plutarco (Ant. 2.7-8) sappiamo che Antonio aveva studiato retorica in Grecia e praticava lo stile
definito « asiano » dalla metà del I sec. a.C. (Cic. Brut. 51), elaborato, ridondante e impetuoso, in cui
l’aspetto della teatralità dell’actio era centrale. In seguito Antonio aveva continuato a dedicarsi agli studi di
oratoria sotto la guida di un maestro romano, M. Epidio (Suet. Rhet. 1 ; 4) e non trascurava di esercitarsi
in tale arte anche durante le operazioni militari (Cic. Phil. 2.42). Evidentemente questo era un aspetto
centrale della sua attività politica, cui doveva sicuramente in parte il suo successo : secondo Plutarco (Ant.
40.8), egli « era capace di riuscire persuasivo negli incontri con le folle e di trascinare un esercito con la
parola meglio di qualsiasi dei suoi contemporanei » ; cf. Plut. Ant. 43.5 ; vedi HUZAR 1982, p. 640-641,
649-654 ; CALBOLI 1997, p. 13-26.

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


374 Chiara Carsana

consente di trascinare il popolo dalla sua parte – quello stesso popolo che si era
commosso al discorso di Bruto appena tre giorni prima – capovolgendo radical-
mente il suo orientamento. Appiano non a caso insiste, nel riportare la laudatio
funebre di Antonio, non tanto sulle sue parole quanto sull’actio73, cui è ben sensibile
grazie alla sua personale formazione retorica74.
Nella sua visione della politica e della storia il popolo è un massa ondivaga ;
una prospettiva di giudizio condivisa da altri storici di età imperiale : si pensi, ad
esempio, a Cassio Dione. Era stato l’atteggiamento irrazionale e fuori controllo del
popolo cartaginese a causare la rovina della città. Allo stesso modo le guerre civili
che hanno insanguinato Roma sono stati scontri tra δυνάσται, abili demagoghi che
hanno fatto leva sulle masse urbane e sull’esercito, causando fratture e divisioni
all’interno dello Stato.
Appiano, come abbiamo visto, è uno scrittore polifonico, che dà voce alle
diverse partes ; ma il suo modello politico di riferimento è quello in cui vive, quello a
cui Roma era pervenuta attraverso un lungo e accidentato percorso teleologico. Esso
viene definito efficacemente con una metafora sonora da Elio Aristide, contempo-
raneo di Appiano, nel suo Discorso a Roma, come un impero concorde e pacificato,
« così bene e armoniosamente guidato dal supremo capocoro, l’imperatore (ὑπὸ
τοῦδε τοῦ κορυφαίου ἡγεμόνος) »75.

73
Utilizzando, nel riportare il discorso di Antonio, la tecnica mista dell’alternanza di discorso
diretto/indiretto, Appiano ha la possibilità di inserire nei segmenti di discorso indiretto una serie di
notazioni riguardanti i gesti e la modulazione della voce dell’oratore che trovano la loro codificazione
nelle opere di arte retorica (oltre alla laudatio di Cesare, vedi anche, ad esempio, App. BC 2.130 [543-
546]) ; su questa stessa tecnica, utilizzata anche da Tacito, vedi UTARD 2004, p. 1-23. Sulle fonti per una
storia dell’ὑπόκρισις (actio) retorica, vedi RIZZINI 1998, p. 34-63.
74
Appiano è particolarmente sensibile a tale tematica ; dimostrazione ne è lo stile « drammatico »
della sua storiografia. Egli ha la capacità di modulare e diversificare lo stile personale di un oratore in
riferimento anche alle singole circostanze : l’actio di Antonio, teatralmente ridondante e impetuosa di
fronte al popolo (vedi supra, nota 72) è assai più misurata e composta di fronte al senato : vedi App. BC
2.128 [535] ; 129 [538]. Vale la pena di ricordare che Elio Teone di Alessandria, la cui scuola di retorica
Appiano potrebbe aver frequentato (vedi supra), aveva scritto dei Progymnasmata che contenevano una
specifica codificazione delle tecniche declamatorie ; vedi RIZZINI 1998, p. 38, 46.
75
Aristid. Or. 26 K 29.

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


Le poste in gioco dopo la morte di Cesare : il racconto polifonico di Appiano 375

Appendice

1) I discorsi nel Libyké di Appiano


A) II Guerra Punica
• 19 [76]-20 [84] : Scipione ai suoi ufficiali (Utica) (DD)
• 31 [131-133] : dibattito senatoriale con gli ambasciatori cartaginesi a Roma (DI)
• 35 [149] : Il Senato di Cartagine al popolo di Cartagine (DI)
• 38 [157] : Il Senato di Cartagine al popolo di Cartagine (DI)
• 38 [158-160] : Annone calunnia Asdrubale davanti al popolo (DD)
• 39 [163-164] : colloquio Annibale/Scipione (DI, DD)
• 50 [215]-52 [228] : Asdrubale a Scipione dopo Zama (DD)
• 53 [230]-54 [238] : risposta di Scipione agli ambasciatori cartaginesi (DD)
• 55 [239-240] : dibattito politico a Cartagine a seguito delle proposte di Scipione (DI)
• 55 [241] : Annibale al popolo di Cartagine (DI)
• 57 [248]-61 [271] : un amico di Scipione al Senato romano dopo la vittoria di Zama (DD)
• 62 [273]-64 [288] : replica del console Publio Cornelio Lentulo (DD)
B) III Guerra Punica
• 69 [310-311] : colloquio tra gli ambasciatori romani, gli ambasciatori cartaginesi e
Massinissa in Africa (DI)
• 69 [313-315] : Catone al Senato romano a seguito dell’incontro precedente (DI, DD)
• 72 [329] : colloquio Scipione/ambasciatori cartaginesi (DI)
• 74 [342-344] : dibattito senatoriale con gli ambasciatori cartaginesi a Roma (DI, DD)
• 74 [346] : nuova ambasceria cartaginese a Roma (DI)
• 76 [355] : ultimatum del Senato romano agli ambasciatori cartaginesi (DD)
• 78 [363]-79 [370] : gli ambasciatori cartaginesi ai consoli a Utica (DD)
• 80 [371-373] : risposta del console Censorino (DD)
• 80 [374-375] : dibattito ambasciatori cartaginesi/consoli (DI)
• 81 [378] : II discorso di Censorino agli ambasciatori cartaginesi (DD)
• 81 [379 ; 382-383] : gli ambasciatori cartaginesi ai consoli (DI)
• 83 [386]-85 [403] : Bannone ai consoli (DD)
• 86 [404]-90 [423] : risposta di Censorino a Bannone (DD)
• 90 [424-425] : replica degli ambasciatori cartaginesi (DD)
• 91 [430-433] : dibattito ambasciatori/Senato/popolo a Cartagine (DI)
• 108 [513] : Famea ai soldati (DD)
• 116 [547-553] : Scipione ai soldati (DD)

Les sons du pouvoir dans les mondes anciens


376 Chiara Carsana

2) I discorsi pronunciati dopo la morte di Cesare (App. BC 2.119 [499]-146 [609])


• 119 [499] : I congiurati al popolo dopo la morte di Cesare (DI)
• 121 [509-510] : Cinna nel Foro al popolo (DI)
• 122 [511] : Dolabella nel Foro al popolo (DI)
• 122 [513-514] : Bruto e Cassio nel Foro al popolo (DI)
• 123 [515-516] : Degli inviati di Bruto e Cassio parlano in loro difesa presso Lepido e
Antonio per spingerli alla concordia (DI)
• 124 [520] : risposta di Antonio agli inviati (DD)
• 127 [528-533] : dibattito senatoriale (17 marzo, Tempio della Terra) (DI)
• 128 [535-537] : Antonio al Senato (17 marzo, Tempio della Terra) (DD)
• 129 [538-541] : dibattito senatoriale dopo il discorso di Antonio (17 marzo, Tempio della
Terra) (DI)
• 130 [544-546] : Antonio al popolo (17 marzo, fuori dal Tempio della Terra) (DD, DI)
• 131 [548]-132 [553] : Lepido nel Foro al popolo (17 marzo) (DD)
• 132 [553] : Dolabella al Senato (17 marzo, Tempio della Terra) (DI)
• 133 [555]-134 [562] : Antonio al Senato (17 marzo, Tempio della Terra) (DD)
• 136 [567-568] : Pisone al Senato (17 marzo, Tempio della Terra) (DD)
• 137 [570]-141 [591] : Bruto al popolo (Campidoglio) (DD)
• 142 [593] : Cicerone al popolo (DI)
• 144 [600]-146 [609] : Laudatio funebris di Antonio ai funerali di Cesare (DD, DI)

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