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Chiara CARSANA
Università degli Studi di Pavia
1
Egli dedica al 15-20 marzo ben 31 capitoli su un totale di 148 riguardanti l’arco di un ventennio.
2
Vedi in particolare Cassio Dione (44.23-33 ; 44.36-49), che riporta due lunghi discorsi diretti di
Cicerone e Antonio, senza registrare altre voci tutt’altro che secondarie nel dibattito politico di quel breve
periodo.
3
Vedi GABBA 1956, p. 146-147, 231-233 ; WEINSTOCK 1971, p. 352 ; HAHN 1982, p. 262-265 ;
MORGAN 2000, p. 54-60 ; CARSANA 2007, p. 21-23 ; GOUKOWSKY 2010, p. CIX-CXIII.
4
App. BC 2.119 [501] ; 2.120 [507] ; 2.133 [557]-134 [559] ; 2.139 [580]-141 [591].
5
GABBA 1956, p. 146, 230.
6
HAHN 1982, p. 252-255 ; sui discorsi nelle Guerre Civili di Appiano, vedi anche GOWING 1992,
p. 225-245.
7
GOUKOWSKY 2002, p. XXIII.
8
GOUKOWSKY 2002, p. XXIV-XXXVII.
ordine stilistico e narrativo operate da Appiano trovano una loro motivazione nella
costruzione del disegno generale dell’opera e nella visione politica che ne ha origina-
to la stesura. Le sonorità polifoniche del racconto appianeo potrebbero rispondere,
secondo la mia ipotesi, non solo a finalità di tipo estetico e all’adesione ad un
modello storiografico, ma sottenderebbero un’interpretazione politica degli avveni-
menti che lo storico propone e mette in evidenza per i suoi lettori, inserendola in un
quadro « globale ».
Se consideriamo la tabella riportata da Hahn in « Appian und seine
Quellen »9, dove le varie sezioni della Romaiké Historia sono classificate in base alla
frequenza dei discorsi che vi compaiono, possiamo notare che il libro II delle Guerre
Civili (che risulta al primo posto) è seguito dal Libro Africano10. Questa è una delle
parti dell’opera che, come nota Goukowsky, permette di apprezzare il talento lette-
rario di Appiano11. Un confronto tra queste due sezioni della Romaiké Historia può
consentire di individuare alcune scelte metodologiche generali operate dallo storico
di Alessandria.
Il Libro Africano è diviso in due parti (che corrispondono alla II e III guerra
Punica), per ciascuna delle quali Appiano utilizza una varietà di fonti differenti ; esso
tuttavia si configura come una narrazione storica omogenea, grazie all’abilità dell’au-
tore, che riesce a fondere diverse tradizioni in un disegno unico, strutturato per
nuclei di discorsi e dibattiti che intercalano le azioni militari, alle quali è dedicato
uno spazio decisamente secondario12. La funzione di questa costruzione narrativa di
impostazione drammatica è quella di marcare un tempo forte della vicenda delle
guerre di conquista di Roma.
Che la sconfitta di Cartagine rappresenti un punto di svolta fondamentale
all’interno dell’iter espansionistico dell’impero romano che intende descrivere con la
sua opera, Appiano lo sottolinea a chiusura della Libyké. Dopo il racconto della
distruzione di Cartagine egli riporta le riflessioni di Scipione l’Emiliano citando
esplicitamente lo storico Polibio (« Ecco ciò che scrive Polibio, che intese
9
HAHN 1982, p. 253.
10
Dalla tabella di Hahn i discorsi diretti del Libro Africano risultano 16 (numero equivalente a quelli
del libro III delle Guerre Civili). Se si tiene conto anche del discorsi indiretti, il numero si raddoppia (vedi
Appendice, 1).
11
GOUKOWSKY 2002, p. XXIV.
12
Vedi Appendice, 1.
personalmente queste parole »)13. La meditazione di Scipione, che piange sulle rovine
della città, riguarda la caduta progressiva (μεταβολή) di popoli, città e imperi che
risponde a una necessità storica (δεῖ) voluta dalla divinità (δαίμων)14. Il passo trova
un preciso riscontro non solo nel proemio delle Storie di Polibio15, ma anche nella
prefazione alla Romaiké Historia di Appiano stesso, il quale rielabora e personalizza
l’originale polibiano16.
La fine dell’impero di Cartagine risponde dunque, secondo Appiano, ad un
disegno divino e comporta come conseguenza l’imporsi sempre più inarrestabile di
Roma. L’inquietudine di Scipione lascia inoltre presagire che anche Roma avrebbe
conosciuto, a sua volta, una fase di declino17.
Lo storico di Alessandria evidenzia però nello stesso tempo, nel corso del
Libro Africano, l’esistenza di altre cause, più umane e politiche, sottese alla caduta
dell’impero di Cartagine e lo fa appunto attraverso i discorsi e le notazioni sonore.
L’impianto dialogico del Libyké, scandito da una serie di discorsi diretti e
indiretti, alcuni dei quali di notevole respiro, segnala anche un atteggiamento di
autonomia rispetto alla fonte polibiana. Polibio infatti all’inizio del libro XXXVI, nel
quale intraprende la narrazione della III guerra Punica, intende spiegare ai suoi
lettori, a mo’ di dichiarazione di principio di metodo, perché non ha riportato i
singoli discorsi pronunciati in quel periodo, come la maggior parte degli storici.
« Infatti – egli aggiunge – non si addice agli storici esercitarsi a spese dei propri
lettori e fare con loro sfoggio della propria abilità » ma bisogna far conoscere solo le
cose più importanti e soprattutto gravide di conseguenze18. Viene ripresa in questa
sede la polemica rivolta contro Timeo e una forma di storiografia di impostazione
retorica e drammatica19.
13
App. Pun. 133 [631].
14
App. Pun. 132 [628-630].
15
Plb. 1.2 ; 1.4.
16
La successione Assiri-Medi-Persiani-Macedoni, che compare identica nel proemio della Romaiké
Historia (par. 9), è una libera ripresa di Plb. 1.2 ; ma soprattutto il termine δαίμων è tipicamente appianeo,
laddove Polibio parla invece costantemente di τύχη, parola che compare 4 volte nel solo cap. 4 del
proemio del libro I (le ricorrenze nell’intera opera sono innumerevoli) ; vedi GOUKOWSKY 2002, p. XCII-
XCIII.
17
App. Pun. 132 [630]. Sulla teoria dell’anaciclosi nell’opera di Appiano, vedi GOUKOWSKY 2008,
p. LII-LXIII.
18
Plb. 36.1.
19
Plb. 12.25a-b.
20
GOUKOWSKY 2002, p. C-CI.
21
App. Pun. 49 [216-220].
22
Plb. 6.51.
23
Plb. 2.42.3.
24
Plb. 6.51.
25
App. Pun. 28 [157-159].
26
Plb. 6.4.6 ; 6.4.10 ; 6.9.5-9.
27
App. BC 1.2 [7] ; cf. App. Praef. 6.
28
Vedi discussione in GOUKOWSKY 2002, p. LXXXIII, nota 392.
29
App. Pun. 55 [239-240].
30
Vedi il dibattito in senato con cui si chiude la II Guerra Punica (App. Pun. 57 [246]-65 [289]) e i tre
discorsi del console Censorino alla vigilia del conflitto finale nel 149 a.C. (App. Pun. 80 [371-373] ;
81 [378] ; 86 [404-422]).
31
App. Pun. 83 [386]-85 [403].
32
App. Pun. 91 [431].
33
App. Pun. 92 [432-433].
34
App. Pun. 92 [435-437].
35
GOUKOWSKY 2002, p. 181.
36
Plb. 36.7.1-5.
37
Vedi GOUKOWSKY 2002, p. LXXXVII. Il comportamento irrazionale e poco dignitoso dei senatori
cartaginesi sembra volutamente contrapposto a quello impassibile e composto del senato romano. La
descrizione configura Cartagine come un’anti-Roma ; vedi GOUKOWSKY 2002, p. LXXXIII. Questo
conferma l’idea che Appiano abbia utilizzato una fonte romana, che aveva interesse a presentare in questi
termini la potenza nemica.
38
Su questo aspetto dell’opera di Appiano, vedi GABBA 1956, p. 134-135 ; GOLDMANN 1988, p. 30-31 ;
BUCHER 2000, p. 431-433, 441-442 ; CARSANA 2007, p. 28-29, 184-187, 216-217 ; GOUKOWSKY 2008,
p. 68-71.
39
Vedi Appendice, 2.
40
Vedi CARSANA 2003, p. 280-283 ; CARSANA 2007, p. 25-28.
41
App. BC 2.120 [504]. La traduzione italiana dei passi del libro II delle Guerre Civili è quella di
D. MAGNINO (La storia romana. Libri XIII-XVII. Le guerre civili di Appiano, Torino 2001), con qualche
lieve modifica.
42
App. BC 2.119 [500].
43
App. BC 2.124 [518].
44
App. BC 2.135 [563].
45
App. BC 2.128 [534-535].
da Cesare, « disponibili per qualunque azione per la quale fossero pagati »46. Questa
massa risponde e reagisce in modo ondivago, più fisico che dialettico, con invo-
cazioni, esortazioni, minacce, urla, brevi esclamazioni di assenso o dissenso, mano-
vrate o sospette di esserlo47. Il lessico sonoro utilizzato da Appiano è potentemente
onomatopeico, come nel Libro Africano : βοή, βοᾶν, ἐπιβοᾶν, ἀναβοᾶν, ἀνταναβοᾶν,
κρότος, κράζειν, ἀνακράζειν, οἰμωγή, ἀνοιμώζειν, sono espressioni frequenti e
ripetute.
Anche qui, come nel Libyké, siamo in un momento storico di svolta epocale :
quello dell’uccisione di Cesare. Egli è riconosciuto da Appiano come il fondatore
della monarchia, che poi Ottaviano suo figlio adottivo avrebbe consolidato48. La
congiura è il segno però che i tempi non sono maturi per un definitivo passaggio
dall’età dei δυνάσται a quella dell’Impero49 ed innesca l’inizio di una nuova lunga
fase di conflitti sanguinosi.
All’interno di questo quadro Antonio riveste un ruolo centrale, quasi da
protagonista : a lui sono attribuiti infatti ben 5 degli 8 discorsi diretti riportati nella
parte finale del libro II50, sebbene il più lungo e articolato sia poi quello pronunciato
da Bruto51 ; il che contribuisce a riequilibrare il peso delle partes nella narrazione.
Il discorso pronunciato da Antonio al funerale di Cesare dà una misura
chiara del suo ruolo e degli strumenti adottati da Appiano per configurarlo. Esso è
un esempio di ricorso alle sonorità.
Rispetto alle altre tradizioni che riferiscono l’episodio, le coincidenze col
racconto di Svetonio52, più sintetico ma altamente affidabile, sono rimarcabili.
Queste due descrizioni si completano e si integrano reciprocamente. Esse, oltre a
costituire una testimonianza essenziale per l’episodio storico in sé, forniscono anche
informazioni preziose sull’organizzazione dei funera publica come strumento di
46
App. BC 2.120 [505-507].
47
Vedi specialmente App. BC 2.130 [542] ; 2.131 [548].
48
App. BC 2.148 [617].
49
Nella visione di Appiano anche la costituzione romana vive un processo di anaciclosi : vedi supra,
nota 17.
50
Vedi Appendice, 2.
51
Vedi Appendice, 2.
52
Suet. Iul. 84.
53
Sui funera publica vedi in particolare ACHARD 1975, p. 166-178 ; WESCH-KLEIN 1993 ; BIANCHI
1994, p. 137-153 ; BELAYCHE 1995, p. 155-169 ; DE FILIPPIS CAPPAI 1997, p. 76-83 ; ENGELS 1998, p. 176-
187 ; SUMI 2002, p. 559-585 ; RAMAGE 2006, p. 39-64.
54
Il funerale di stato era riservato a personaggi che avevano avuto meriti politici particolari ed era
decretato dal senato. Per quanto sappiamo, il primo funus publicum fu quello di Silla, la cui descrizione ci
è giunta proprio attraverso Appiano (BC 1.105-106 [493-500]) e che integra le informazioni relative ai
funerali di Cesare. Le esequie di quest’ultimo, se per certi versi rientrano in una lunga tradizione di
funerali « popolari », orchestrati al fine di trascinare il popolo suscitandone la collera verso la parte
avversa (vedi ACHARD 1975, p. 166-178), per altri versi anticipano aspetti che saranno propri dei funerali
degli imperatori (vedi SUMI 2002, p. 559-583).
55
Vedi in particolare DEUTSCH 1928, p. 127-148 ; MOTZO 1940, p. 136-148 ; KENNEDY 1968,
p. 99-106 ; WEINSTOCK 1971, p. 350-355 ; ACHARD 1975, p. 167-178 ; KIERDORF 1980, p. 150-154 ;
YAVETZ 1988, p. 59-82 ; FRASCHETTI 1990, p. 46-59 ; SUMI 2002, p. 559-583 ; RAMAGE 2006, p. 48-51 ;
MATIJEVIC 2006, p. 101-104.
56
App. BC 2.146 [611].
57
App. BC 2.146 [611].
58
App. BC 1.106 [498].
59
Suet. Iul. 84.8.
60
Questi vengono menzionati da Svetonio nelle righe successive : Iul. 84.7. Vedi SUMI 2002, p. 559-
583 : egli delinea l’evoluzione delle performances dei mimi professionali nei funerali pubblici a Roma,
individuando nelle esequie di Cesare un fondamentale momento di passaggio che prelude a quelle degli
imperatori ; vedi anche BIANCHI 1994, p. 141-143.
61
Suet. Iul. 84.3.
62
Suet. Iul. 84.3 ; cf. App. BC 2.146 [611].
63
WEINSTOCK 1971, p. 350.
64
Nic. Dam. Vit. Caes. 17 [48].
65
App. BC 2.144 [601-602].
66
App. BC 2.145 [604-605].
67
App. BC 2.146 [607-610].
vista ; diede fuoco al luogo nel quale Cesare era stato ucciso e si precipitò per la città
alla ricerca degli assassini68.
Come si può ben cogliere dai toni di questo racconto, Appiano rappresenta
Antonio come un demagogo che esercita con grande raffinatezza l’arte della mani-
polazione. Un aggettivo che viene più volte associato al personaggio all’interno del
libro II è ἔνθεος, che sta ad indicare chi sia, o voglia apparire, « ispirato dalla
divinità ». Non a caso questa parola viene utilizzata da Appiano proprio nelle sezioni
cruciali della sua opera di cui oggi abbiamo parlato, in riferimento ad alcuni
personaggi-chiave (Scipione l’Africano, Cesare e appunto Antonio)69, presentati
nell’atto di agire, e più spesso di parlare, influenzando in modo determinante il corso
degli eventi. Questi leader sono tali, nella visione di Appiano, perché al contempo
uomini « ispirati dalla divinità » ma anche potentemente carismatici grazie alle loro
capacità oratorie. È significativo che il termine ἔνθεος sia utilizzato per descrivere
l’attore che recita trascinando il suo pubblico70 ; è anche per questo, io credo, che
Antonio valorizza tanto il suo legame privilegiato con Dioniso71, divinità dell’eb-
brezza e dell’estasi e patrono delle arti teatrali. Questa forte carica carismatica, di cui
Antonio gode anche grazie alla propria abilità di oratore/attore consumato72, gli
68
App. BC 2.147 [613].
69
Vedi App. BC 2.33 [132] (Antonio) ; 2.35 [140] (Cesare) ; Hisp. 26 [101] ; 26 [103] (Scipione
l’Africano).
70
Vedi, in particolare, Pl. Ion 533d-536a : in questo dialogo platonico Socrate definisce il rapsodo-
attore uno strumento della divinità, attraverso il quale « Iddio trascina l’anima degli uomini verso quel
luogo che egli vuole, trasmettendo dall’uno all’altro un potere misterioso (536a) » ; al contempo Platone
critica gli aspetti deteriori nell’evoluzione pratica della recitazione, in virtù dei quali gli attori e mimi del
suo tempo coinvolgono emotivamente il pubblico al solo scopo di ottenerne un guadagno (535d-e).
Sull’interazione tra recitazione e declamazione e sulla trasfusione di moduli tecnici della prassi
drammatica a quella dell’oratoria, vedi RIZZINI 1998, p. 25-30.
71
Vedi CARSANA 2007, p. 133 ; sulla propaganda dionisiaca di Antonio vedi SCUDERI 1984, p. 62-63 ;
MARASCO 1992, p. 538-548 ; BIFFI 1996, p. 147-157 ; SNIEZEWSKI 1998, p. 129-144.
72
Da Plutarco (Ant. 2.7-8) sappiamo che Antonio aveva studiato retorica in Grecia e praticava lo stile
definito « asiano » dalla metà del I sec. a.C. (Cic. Brut. 51), elaborato, ridondante e impetuoso, in cui
l’aspetto della teatralità dell’actio era centrale. In seguito Antonio aveva continuato a dedicarsi agli studi di
oratoria sotto la guida di un maestro romano, M. Epidio (Suet. Rhet. 1 ; 4) e non trascurava di esercitarsi
in tale arte anche durante le operazioni militari (Cic. Phil. 2.42). Evidentemente questo era un aspetto
centrale della sua attività politica, cui doveva sicuramente in parte il suo successo : secondo Plutarco (Ant.
40.8), egli « era capace di riuscire persuasivo negli incontri con le folle e di trascinare un esercito con la
parola meglio di qualsiasi dei suoi contemporanei » ; cf. Plut. Ant. 43.5 ; vedi HUZAR 1982, p. 640-641,
649-654 ; CALBOLI 1997, p. 13-26.
consente di trascinare il popolo dalla sua parte – quello stesso popolo che si era
commosso al discorso di Bruto appena tre giorni prima – capovolgendo radical-
mente il suo orientamento. Appiano non a caso insiste, nel riportare la laudatio
funebre di Antonio, non tanto sulle sue parole quanto sull’actio73, cui è ben sensibile
grazie alla sua personale formazione retorica74.
Nella sua visione della politica e della storia il popolo è un massa ondivaga ;
una prospettiva di giudizio condivisa da altri storici di età imperiale : si pensi, ad
esempio, a Cassio Dione. Era stato l’atteggiamento irrazionale e fuori controllo del
popolo cartaginese a causare la rovina della città. Allo stesso modo le guerre civili
che hanno insanguinato Roma sono stati scontri tra δυνάσται, abili demagoghi che
hanno fatto leva sulle masse urbane e sull’esercito, causando fratture e divisioni
all’interno dello Stato.
Appiano, come abbiamo visto, è uno scrittore polifonico, che dà voce alle
diverse partes ; ma il suo modello politico di riferimento è quello in cui vive, quello a
cui Roma era pervenuta attraverso un lungo e accidentato percorso teleologico. Esso
viene definito efficacemente con una metafora sonora da Elio Aristide, contempo-
raneo di Appiano, nel suo Discorso a Roma, come un impero concorde e pacificato,
« così bene e armoniosamente guidato dal supremo capocoro, l’imperatore (ὑπὸ
τοῦδε τοῦ κορυφαίου ἡγεμόνος) »75.
73
Utilizzando, nel riportare il discorso di Antonio, la tecnica mista dell’alternanza di discorso
diretto/indiretto, Appiano ha la possibilità di inserire nei segmenti di discorso indiretto una serie di
notazioni riguardanti i gesti e la modulazione della voce dell’oratore che trovano la loro codificazione
nelle opere di arte retorica (oltre alla laudatio di Cesare, vedi anche, ad esempio, App. BC 2.130 [543-
546]) ; su questa stessa tecnica, utilizzata anche da Tacito, vedi UTARD 2004, p. 1-23. Sulle fonti per una
storia dell’ὑπόκρισις (actio) retorica, vedi RIZZINI 1998, p. 34-63.
74
Appiano è particolarmente sensibile a tale tematica ; dimostrazione ne è lo stile « drammatico »
della sua storiografia. Egli ha la capacità di modulare e diversificare lo stile personale di un oratore in
riferimento anche alle singole circostanze : l’actio di Antonio, teatralmente ridondante e impetuosa di
fronte al popolo (vedi supra, nota 72) è assai più misurata e composta di fronte al senato : vedi App. BC
2.128 [535] ; 129 [538]. Vale la pena di ricordare che Elio Teone di Alessandria, la cui scuola di retorica
Appiano potrebbe aver frequentato (vedi supra), aveva scritto dei Progymnasmata che contenevano una
specifica codificazione delle tecniche declamatorie ; vedi RIZZINI 1998, p. 38, 46.
75
Aristid. Or. 26 K 29.
Appendice
Bibliografia