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La famiglia.

Usi e costumi della nostra gente.


Testi a cura di Antonio Montanari

Gli alunni della III F dell'Istituto "Roberto


Valturio" di Rimini, nell'anno scolastico 1989-
1990, hanno avviato un dialogo su questi temi,
poche decine di minuti alla settimana, nei ritagli
delle due ore di Storia ed Educazione Civica.
Ne è venuta fuori questa raccolta di
testimonianze.
INTRODUZIONE

1. La famiglia nella società ha sempre avuto un ruolo


fondamentale, in particolar modo per quanto riguarda
l'educazione dei figli.
Infatti, è proprio l'ambiente famigliare in cui il ragazzo
vive, che condiziona il suo carattere e la sua personalità, e
che quindi lo aiuta a crescere, determinando il rapporto
con gli altri e l'inserimento nella società.
E' interessante osservare come, con il passare del tempo, il
nucleo famigliare si sia più volte trasformato ed evoluto
nella sua struttura ed anche nei rapporti fra i vari
componenti della famiglia.
Oggi, un esempio lampante lo possiamo ricavare
confrontando la famiglia moderna (quella in cui viviamo
tutti i giorni), con quella dei nostri genitori ed ancora
meglio con quella dei nostri nonni: la cosiddetta famiglia
patriarcale.

2. Infatti, benché siano passati soltanto 50-60 anni, un


periodo cioè relativamente breve, non si può negare che la
famiglia sia totalmente cambiata.
Gli aspetti di questo nucleo famigliare 'antico', si possono
delineare attraverso le notizie raccolte mediante interviste
a genitori e nonni, che ci hanno dato la possibilità di sapere
qualcosa di meno vago rispetto a quanto sapevamo della
vita dei nostri genitori.
Questo lavoro ci ha permesso anche di capire che il mondo
in cui viviamo noi, oggi, ha le sue radici in quelle
determinate abitudini e in quei modi di vita.

3. Gli aspetti emersi dalla nostra ricerca, li abbiamo


raggruppati attorno a questi temi:
a) organizzazione della famiglia e rapporto con i genitori;
b) istruzione, cultura ed informazione; c) matrimonio e
dote; d) economia; e) divertimenti, pranzi e feste.

4. L'importanza di questo lavoro, è stata soprattutto quella


di farci capire che le persone, molto spesso, sono portate a
non considerare degno d'importanza il passato, non
rendendosi conto che tutto quanto viviamo oggi noi, non è
altro che il frutto dei sacrifici delle generazioni passate.
Per questo fatto, non abbiamo, in nessun caso, il diritto di
disprezzarle.

5. Non dobbiamo essere sicuri, poi, che la nostra famiglia


sia migliore di quella di un tempo. Naturalmente, è vero
che in essa il dialogo è più aperto, si parla più liberamente,
si può facilmente continuare gli studi, ecc.
Ma, se da una parte abbiamo ottenuto tutto questo,
dall'altra abbiamo perso certi valori importanti, come la
solidarietà ed il vero legame famigliare, che sono stati
sostituiti dall'indifferenza e dalla solitudine.
6. Questo ci deve far riflettere, e far nascere in noi una
domanda: «Se nel giro di pochi anni il mondo è cambiato
così velocemente e radicalmente, cosa accadrà di qui ad
altrettanti anni?».
Il futuro ci deve preoccupare. Dobbiamo stare attenti
perché, se i modi di vita cambiano alla pari delle mode, è
importante che noi riusciamo a vivere la nostra vita
rispecchiando determinati ideali.

7. L'esperienza di questo lavoro scolastico è stata molto


utile anche a livello personale, perché dandoci
l'opportunità di avvicinarci di più ai nostri genitori, ci ha
fatto comprendere meglio la loro mentalità ed il significato
di certi rimproveri che ci rivolgono. E ci ha fornito pure
l'occasione di colmare in parte l'abisso che tende a crearsi
tra generazioni diverse.

Classe III F - Anno scolastico 1989-90


Istituto «R.Valturio» - Rimini
Capitolo I

L'organizzazione della famiglia ed il rapporto con i


genitori

1. Colloquiando con mio padre, sono venuto a conoscenza


di alcune cose che mi hanno fatto riflettere molto sul
rapporto tra genitori e figli.
Personalmente, devo confessare di essere alquanto
fortunato, perché, pur avendo genitori non molto giovani,
ho instaurato con loro un rapporto aperto ed ampio, a
differenza del rapporto che esisteva quando erano ragazzi i
miei genitori.
In particolare, mi ha colpito il fatto che i genitori non
parlavano molto con i loro figli, e se lo facevano, non erano
molto aperti: infatti, c'era un clima di severità e di
divisione tra le generazioni.
Il rapporto veniva ancora ulteriormente congelato se
l'aspetto che si trattava era ad esempio il sesso, argomento
che non era mai trattato.
Questa situazione è da collegare con le idee del tempo.
Infatti, c'era il padre o comunque il più anziano che era a
capo di tutto, e praticamente era come un catalizzatore
nella vita famigliare. Tutte le decisioni dovevano passare
sotto il suo giudizio.
In contrapposizione a questa situazione che tendeva ad
unire le famiglie numerose, c'era invece un rapporto tra
genitori e figli che si limitava soltanto alla prima, ma
neppure importante educazione, e poi soprattutto a
tramandare di padre in figlio il mestiere principale che
sosteneva economicamente la famiglia; quindi nel
complesso il dialogo non era molto approfondito.

2. Si parlava di meno nella famiglia patriarcale, rispetto ad


oggi, perché allora c'era il terrore da parte dei figli di
esprimersi a sproposito, e soprattutto perché s'imponeva
su tutti l'immagine del padre serio, severo.
Ai genitori di dava del 'voi', perché si voleva evidenziare il
rispetto che andava portato verso di loro. Di regola, il
padre era più rigido della madre, mentre quest'ultima,
specialmente nelle famiglie numerose, assumeva le
mansioni di una serva.
I figlio dovevano lavorare e tacere. Una nonna racconta
che in casa sua bastava lo sguardo del marito per far
chiudere ogni discussione. E gli undici figli obbedivano in
silenzio.

3. La famiglia patriarcale era molto numerosa. Erano gli


anni del fascismo: e lo Stato dava soldi a chi si sposava o
chiamava i figli col nome del duce, e a chi aveva molti figli
non venivano fatte pagare le tasse.
Una testimonianza di una nonna di 71 anni: «Nella maggior
parte delle famiglie, la donna aveva la cura dei figli e della
loro educazione. Gli uomini diventavano operai, contadini e
soprattutto braccianti. Alcuni emigravano verso altri
Paesi, in cerca di un lavoro e di un avvenire migliore,
lasciando moglie e figli in Italia».
Un padre di 63 anni: «In casa nostra eravamo in 23
persone, tra zii, genitori e cugini, mentre mia madre era la
sorella maggiore di nove figli. La famiglia era priva di
assistenza medica, in compenso aveva un gran senso
religioso: infatti, tutti erano molto credenti. Mio zio,
sentendo le campane dell'Ave Maria, smetteva per un
momento di lavorare e si toglieva il cappello».

4. Una nonna di 75 anni: «Mio babbo morì che io ero la più


piccola di quattro fratelli, allora la mamma decise di
andare da mio zio, perché non riusciva a sostenere
economicamente la famiglia. A casa dello zio, io dovevo
rimanere sempre in casa, per fare le faccende, mentre tutti
gli altri lavoravano fuori. Così io ero sempre quella con
meno soldi, ed anche quando incominciai a lavorare, la
maggior parte dei soldi che prendevo, li pretendeva mia
madre. Quando mi sono sposata, non volevo andare ad
abitare da mio marito, perché loro erano in molti: ma mio
suocero non avrebbe mai permesso di sposarci se non fossi
andata a vivere con loro... In quella casa, chi comandava
era mio suocero, un uomo acido e severo che aveva un gran
potere, tanto che lo chiamavo 'il generale'. Tutti i figli
avevano una gran paura di lui, sua moglie era come una
serva che non si lamentava mai, ed i figli davano sempre
ragione a lui. Io ero l'ultima di quattro nuore, la mia
camera era la più piccola: la più grande era toccata al
primo figlio che si era sposato. A tavola, non sedevo vicina
a mio marito, ma all'ultimo posto perché ero arrivata per
ultima. Noi nuore, eravamo considerate come delle operaie
che lavoravano, e tutti i nostri guadagni dovevamo darli al
capofamiglia, che decideva come spenderli: ma lui
comperava solo per la moglie e per i figli, e noi nuore
dovevamo arrangiarci».
Capitolo II

L'istruzione, la cultura e l'informazione

1. Ogni persona, attualmente, ha un'istruzione obbligatoria


di otto anni di scuola. Molti anni fa, questo problema non si
poneva. Infatti, era già molto finire la quinta elementare,
chi ci riusciva, e soprattutto chi poteva. Gli altri si
accontentavano di arrivare alla terza elementare, e poi
dovevano andare a lavorare, se appartenevano a famiglie
non benestanti. Logicamente, chi aveva più danaro, poteva
continuare negli studi.
Generalmente, erano i genitori ad obbligare i figli a
smettere la scuola, o perché dovevano aiutare la madre,
nel badare anche i fratelli più piccoli, o perché ad esempio i
maschi dovevano lavorare nei campi.
I giovani si rendevano conto che bisognava stare a casa ad
aiutare, rinunciando alla scuola, anche se ciò comportava
molto dispiacere e sconforto, perché a quei tempi i giovani
erano desiderosi di istruzione.
Molti genitori, se non la maggior parte, erano analfabeti. Il
tempo per andare a scuola non c'era, bisognava soltanto
pensare a guadagnarsi da vivere, con la propria fatica.
Di solito, le bambine oltre a badare i piccoli, facevano la
tela in casa. I maschi erano addetti ai lavori pesanti.

2. Mia nonna non poté andare a scuola perché quand'era


bambina in quelle campagne non c'era la scuola. La
maestra arrivò quando mia nonna aveva sedici anni. Così
non imparò a leggere e a scrivere, e di ciò si dispiace
tuttora.
Per quanto riguarda i suoi figli, non poterono studiare
perché dovevano lavorare e portare i soldi in famiglia. Su
undici figli, due morirono ancora piccoli.
Studiarono fino alla quinta elementare soltanto i quattro
maschi che dovevano occuparsi della famiglia.
Uno soltanto proseguì, con grandi sacrifici della famiglia,
essendo ammalato e non potendo così lavorare duramente
nei campi.
Delle cinque femmine, una studiò, ma perché si fece suora,
ed un'altra frequentò le medie senza proseguire.

3. Un'altra storia. Solo in quattro su dodici componenti


della famiglia di mia nonna, sapevano scrivere. Sette
fratelli dovevano sempre lavorare, e a scuola non venivano
mandati. L'ottavo che avrebbe dovuto andarci, non ne
aveva voglia e marinava sempre le lezioni.
Di quei sette, quattro erano maschi, ed impararono a
leggere e a scrivere soltanto sotto le armi.
Ma che cosa leggevano? I giornali non li comperavano,
perché in quelle condizioni economiche bisognava prima
pensare ad altre cose, piuttosto che alla spesa per
acquistare un quotidiano od una rivista.
A quei tempi c'era la radio, che però avevano soltanto i
signori nelle città. Quindi le notizie si avevano dalla gente
con cui si parlava, e che a sua volta veniva a saperle dagli
altri.
I miei abitavano alla Grotta Rossa. Il babbo comperò il
televisore nel 1959: da allora, in casa nostra si riunirono
tutti i vicini di casa che arrivavano anche da sei-sette
chilometri di distanza. Con la tv, incominciarono ad avere
le notizie dal mondo, tutti i giorni.
Capitolo III

Matrimonio e dote

1. Quando le ragazze andavo nei locali da ballo, dovevano


essere sempre accompagnate da un fratello maggiore.
Già al momento della loro nascita, le mamme e le nonne
cominciavano a preparare il corredo per il matrimonio, che
a quel tempo era chiamato dote.
La dote veniva fatta per le femmine soltanto, ed era
preparata in casa, grazie al telaio che tutti avevano, ed in
seguito erano le stesse giovani che si occupavano del
ricamo a mano.
Qualche giorno prima del matrimonio, la dote veniva
messa in ordine ed esposta ai famigliari, all'interno della
camera da letto della sposa.
Il corredo era composto di solito da un certo numero di
camicie da notte, tra cui una particolarmente bella, che
doveva essere indossata la prima notte di nozze.
Per quanto riguarda le spese del matrimonio, lo sposo
doveva pagare la camera da letto e l'abito della sposa.
Egli riceveva dai genitori, alla loro morte, tutti i loro beni,
nel caso però che fosse il primogenito.
Al momento del matrimonio, la sposa assumeva
automaticamente il cognome del marito, e gli sposi erano
obbligati ad andare a vivere dai genitori del marito.

2. Mia mamma, al momento del matrimonio, non aveva


confezionato il corredo, ma aveva conservato i soldi
guadagnati, con il lavoro, da tutta la famiglia, e distribuiti
in parti uguali a tutti i sette fratelli.
Per mantenere la tradizione, comperò allora poche
lenzuola, in quanto i soldi sarebbero serviti per pagare la
nuova casa.
Era già una differenza con le tradizioni del passato, quelle
dei nostri nonni, quando la donna andava a vivere in casa
del marito con la sua famiglia.
Forse deriva proprio da questo fatto, l'usanza di costituire
una dote, che consisteva nel corredo, ma anche in apporti
economici, come terreni ed animali.
Mia nonna aveva in casa sua un telaio con il quale, giorno
per giorno, realizzava il suo corredo, o quello delle sorelle,
che veniva poi ricamato a mano.
Per quanto riguarda l'eredità, il padre di mia madre aveva
fatto parti uguali, senza alcuna distinzione, poi però la
nonna (forse più legata alle tradizioni), aveva voluto una
piccola parte in più per il maschio maggiore.
Capitolo IV

L'economia

1.Quando la famiglia era di tipo contadino, naturalmente i


suoi utili derivavano dall'agricoltura e dall'allevamento di
bestiame e di galline.
Una parte dei raccolti veniva tenuta per il fabbisogno, ed il
resto venduto. L'uva, però, si teneva tutta. Invece, il vino
ricavato, in parte si consumava ed in parte si vendeva alle
osterie di Rimini.
Gli altri raccolti venivano ceduti così: ai mugnai il grano ed
il granturco, il resto era venduto alle botteghe o sul
mercato ortofrutticolo. Vitelloni, polli, conigli, maiali,
cavalli ed anche bachi da seta venivano ceduti alla fiera.
Gli unici animali che non si vendevano erano i buoi che si
usavano per coltivare la terra.

2. Non possedendo la terra che coltivavano, i contadini


dovevano cedere una parte degli utili ai padroni. I vitelli e
le mucche li comprava il padrone, e li doveva mantenere il
contadino. Il padrone voleva anche una percentuale di polli
e di uova nel corso dell'anno.

3. Un tempo i soldi erano pochi, in quanto il guadagno era


scarso e le spese a cui provvedere erano tante. Così, molto
spesso si ricorreva al baratto, quando si andava a
comperare nelle botteghe i generi di cui si aveva bisogno.

4. Un'altra storia di ambiente contadino. Prima che mia


mamma nascesse, i nonni avevano un appezzamento di
terreno in montagna: e poiché non era fertile, decisero di
venderlo e di andare a lavorare "sotto padrone" in collina.
I guadagni dovevano essere divisi con il padrone per
quanto riguardava i prodotti agricoli, mentre i soldi
ricavati dalla vendita di animali da cortile, andavano tutti
ai miei nonni.
Al tempo della mietitura, tutti i parenti andavano al podere
per aiutare nel lavoro, e ricevevano in cambio lo stesso
servizio in un momento successivo.
Dopo la mietitura, chi voleva, andava a raccogliere i
residui di cui si appropriava, senza doverli dividere con
nessuno: era la cosiddetta «spigolatura». [Ma alcuni
'padroni' pretendevano una parte del raccolto della
«spigolatura», n.d.r.]
Il guadagno della famiglia era costituito anche dalla
vendita dei conigli e delle loro pelli che venivano raccolte,
assieme al ferro vecchio e agli stracci, da un uomo che
passava casa per casa, col suo grido consueto: «Strazz,
doni, oh!». I soldi ricavati venivano dati ai figli.

5. Una situazione ben diversa era invece quella della


famiglia di mio babbo che, non avendo un podere, fu
costretta ad emigrare in Germania, dove trovò lavoro
presso un campo che ospitava operai italiani.
Mia nonna, contro la sua volontà, dovette cucinare per
tutti quegli italiani, invece di andare a lavorare assieme ai
suoi connazionali. Di quel periodo ricorda ancora due
parole tedesche che significano «piano» e «bene».

6. La famiglia dei miei nonni era invece alquanto


«signorile», in quanto il nonno era impiegato nelle Ferrovie,
con un lavoro cioè che consentiva una vita un pò agiata. La
nonna era casalinga.
In quella famiglia, che aveva otto figli, esisteva un buon
rapporto basato sulla solidarietà, tanto che tutti andavano
d'accordo tra loro.
I maschi frequentarono le scuole industriali e poi si
impiegarono nelle Ferrovie, tramandandosi il lavoro
paterno. Le figlie non potevano allontanarsi dalla famiglia
e così si prestarono a lavorare come sarte, all'età di
diciassette anni, per arrotondare lo stipendio del loro
padre e far quadrare il bilancio della famiglia.
Capitolo V

Divertimenti, pranzi e feste

1. Una volta gli svaghi per i giovani erano ben diversi da


quelli di oggi. Infatti, non esistevano discoteche, anche se
c'erano dei modesti locali dove si poteva andare a ballare.
Comunque, nella maggior parte dei casi, i giovani si
riunivano in feste che venivano date una volta in casa di
un amico,una volta in quella di un altro.
In queste feste non si usava soltanto ballare, ma si
mangiavano anche dolci e torte, e si facevano molti giochi.
Ognuno dei partecipanti s'impegnava a portare qualcosa.
Di solito, il padrone di casa pensava al rinfresco, mentre gli
altri procuravano il giradischi ed i dischi.
Queste feste di solito duravano fino a tarda sera, ed i
giovani non potevano andarci soli, infatti c'era l'obbligo che
fossero accompagnati da una persona più anziana che li
controllasse, particolarmente se andavano in un locale
pubblico.

2. Ai giovani non era permesso di uscire molto spesso, fatta


eccezione per il periodo di carnevale.
Anche le persone adulte usavano riunirsi. Era un'abitudine
della famiglia contadina quella di ritrovarsi insieme agli
amici, la sera in inverno, nelle stalle, che erano i luoghi più
caldi.
Durante queste «veglie», gli uomini erano soliti fumare e
giocare a carte, discutendo del più o del meno, mentre le
donne facevano la calza. Inoltre, durante il mese dei morti,
alla «veglia» si pregava davanti ad un piccolo altare
costruito in casa, e spesso si accendevano ceri e candele.
Quando arrivava la primavera, al tempo delle pannocchie e
del grano, ci si riuniva nelle aie, dove si scherzava, si
suonava e si ballava in allegria.

3. Nella vita della famiglia contadina, un momento molto


importante era il pranzo, che rappresentava un incontro
tra parenti ed amici, soprattutto nelle occasioni speciali,
come Natale, Pasqua o alla fine della trebbiatura.
In queste grandi occasioni, si mangiavano cibi molto
prelibati per quel tempo, come carne, cappelletti, capponi.
Molto spesso, questi pranzi erano allietati anche dalla
musica e dalle danze.
Escluse queste poche occasioni, la tavola contadina era
molto povera. Infatti, si mangiavano solitamente patate,
fagioli e polenta.
I testi sono stati curati da:

Arena Lucia,
Balducci Raffaella,
Berardi Massimo,
Bugli Stefano,
Calandrini Patrizia,
Canini Marzia,
Catani Candida,
Gallinucci Andrea,
Mussoni Raffaella,
Peruzzi Benedetta,
Pesaresi Valeria,
Urbinati Luigi.

Edizione elettronica 2011

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