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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica


Corso di Laurea Magistrale in Filologia e Storia dell’Antichità

TESI DI LAUREA

IL VOLTO DI CRIZIA NEL CARMIDE DI PLATONE

RELATORE
Mauro Tulli

CORRELATORE
Mario Regali
CANDIDATA
Anna Carla Pecorella

ANNO ANNADEMICO 2013/2014

1
A Hugo

2
Premessa

Un sincero grazie va ai ragazzi del dipartimento di Filologia Greca dell’Università di


Pisa, che con la loro spiazzante gentilezza rendono leggeri i momenti più pesanti. In
particolare ringrazio Federico, per un prezioso ed illuminate colliquio, e Marco, per la
disponibilità ad aiutarmi e a supportare la ricerca in qualunque momento.
È grazie a Mario, al suo aiuto e ai socratici colloqui avuti con lui che il lavoro ha preso una
precisa direzione. Di questo sono profondamente grata.
Un ringraziamento va al Prof. Mauro Tulli che, nonostante i suoi numerosi impegni, ha
sempre cercato di venirmi incontro, e alla dottoressa Bertagna, per il sostegno costante e la
gentilezza.
Ai miei colleghi devo importanti momenti di confronto e crescita. In particolare ringrazio la
mia collega e amica Francesca, sui cui so di poter contare sempre da un punto di vista non
solo professionale, ma anche umano.
Ringrazio la mia parallela Anna, che ha tenuto vivo in questi mesi l’entusiasmo che
un’esperienza all’estero comunica e che ha regalato alle ore di studio momenti di svago, di
riso e di importante confronto.
Un grazie a tutti i miei meravigliosi amici vicini e lontani ed in particolare a Bianca, amica
del passato del presente e del futuro, voce del cuore, guida nelle grandi scelte e sorella.
Grazie alla mia famiglia, base di tutto, ed in particolare a mia madre, che con pazienza mi
incoraggia e mi sostiene nei momenti di sconforto, riuscendo sempre, solo lei, a riportarmi a
me stessa.
A Hugo, a cui devo la mia quiete e la mia gioia di fondo, una gratitudine immensa.

3
SOMMARIO

Introduzione 6

Prima parte: il Carmide

I. Il Carmide: aporia e struttura drammatica 8

I.1 La ricerca della sophrosyne 9

II. Il dialogo con la storia nel Carmide 27

II.1 La tesi di Dušanić 28


II.1.1 L’Elena di Isocrate 29
II.1.2 L’anno 382 a.C. e l’orazione XXVI di Lisia 38
II.1.3 Dopo Potidea: la prospettiva protrettica 42
II.2 L’eredità di Crizia 49
II.2.1 Il ta heautou prattein 50
II.2.2 La sezione iniziale della VII Lettera 75
II.3 Alcune riflessioni 81

Seconda parte: Crizia

III. Crizia, la politica, la letteratura 82

III.1 Tracce biografiche 83


III.1.2 Ragioni di una damnatio memoriae 85
III.1.3 Crizia bifronte: l’elogio dello stile 99
III.1.4 La voce del Carmide 106
III.2 I frammenti e il Carmide: tracce di poetica 114
III.2.1 Anacreonte 116
III.2.2 Echi della sofistica nella produzione di Crizia 121

4
Terza parte: Crizia nel Carmide

IV. Il gioco del personaggi e la mimesis 139

IV.1 I Crizia nel Carmide - I Crizia di Platone 139


IV.2 Il gioco dei personaggi 142
IV.2.1 La cornice drammatica 143
IV.2.2 Dialegesthai di Socrate con Carmide (158 c 5 - 162 b 11) 147
IV.2.3 Dialegesthai di Crizia con Socrate (162 d 7-175 a 7) 150
IV.2.4 Rottura del silenzio e ridefinizione dei ruoli (176 a 6 - d 5) 160
IV.2.5 Un tentativo d’interpretazione: mimesis e aporia 161

Conclusioni 162

Bibliografia 169

5
Introduzione

Crizia, poeta e personalità politica della seconda metà del V sec. a.C., è il
protagonista di questo lavoro. La nostra ricerca partirà dal Carmide di Platone nel tentativo
di comprendere il ruolo che Crizia, personaggio dotato di una forte coloritura drammatica,
svolge all’interno di questo dialogo, annoverato tra quelli della prima fase della produzione
letteraria di Platone. Nelle pagine che seguiranno si avrà modo di notare la pluralità di
questioni che ruotano sia intorno al Carmide, dialogo incentrato sulla sophrosyne, virtù
cardine dell’etica aristocratica, sia intorno a Crizia, personaggio storico controverso, sul cui
giudizio si divisero già gli antichi prima ancora dei moderni. Pur essendo consapevoli di
come ogni questione, specialmente quando si entra nel territorio sconfinato del platonismo,
sia strettamente legata ad un’altra e pur essendo convinti dell’impossibilità di suddividere il
lavoro in blocchi isolati, cercheremo tuttavia di procedere con ordine.
Nel I capitolo verrà preso in esame il dialogo, la sua struttura drammatica nelle sue
linee essenziali e le peculiarità.
Nel II capitolo si parlerà di storia, ossia delle diverse dimensioni storiche che ruotano
attorno al dialogo. La presenza di puntuali e non trascurabili riferimenti storici nel Carmide,
insieme alla scelta di personaggi chiave nella scena politica del V sec. a.C., ci ha spinti a
gettare uno sguardo al contesto storico in cui il dialogo venne scritto, quello della prima
metà del IV sec. a.C., e contemporaneamente al contesto rappresentato, la cronologia
fittizia. La figura di Crizia fa da ponte tra V e IV secolo, nella misura in cui il repertorio
ideologico che Crizia elabora risulta nel IV secolo profondamente attuale. Platone, come si
vedrà, nel rielaborare questo repertorio, si pone in continuità con Crizia, a cui è legato da un
legame di sangue1 .
Il III capitolo pone i riflettori su Crizia uomo, sulle tracce della sua vita e della sua
opera letteraria. Confrontarsi con Crizia significa porsi di fronte a quella che si potrebbe
definire la questione Crizia, al carattere a volte stridente ed inconciliabile dei giudizi sulla

1
Sui legami di parentela tra Crizia e Platone si veda Rosenmayer 1949, 404-410; Davies 1971, 323 ss.
6
sua attività politica da un lato e su quella letteraria dall’altro. Si leggeranno le testimonianze
di Lisia e Senofonte, contemporanee agli eventi narrati, per poi passare a Filostrato ed
Ermogene, rappresentanti della seconda Sofistica, epoca in cui si riscopre Crizia poeta2 .
Nell’osservazione di Crizia uomo e poeta punto costante di riferimento sarà il
Carmide. Si cercherà infatti di capire quanto del vero Crizia sia presente nella
rappresentazione platonica. Il profilo intellettuale di Crizia dialoga in maniera fitta, lo si
vedrà, con la tradizione. Ugualmente fitto è il legame con l’attualità ed in particolare con il
grande movimento della sofistica, con cui Crizia condivide i temi e si confronta in maniera
costruttiva, mantenendo una differente identità. In particolare si metteranno in evidenza
alcuni punti di contatto con Antifonte e con Prodico3 .
Una volta passati attraverso Crizia uomo si ritornerà al Carmide (IV cap.). La
questione Crizia, che divide la critica sulla valutazione di questo personaggio, la si ritrova
nella valutazione contrastante del Crizia del Carmide4 . Nel tentativo di afferrare questa
maschera in ciò che ha di autentico, si osserverà il gioco dei personaggi all’interno del
dialogo. Crizia-Socrate-Carmide saranno osservati come attori sulla scena che, attraverso le
loro relazioni, illumineranno, in un gioco di riflessi, caratteristiche e limiti reciproci5 .
Infine si proverà ad avanzare un’ipotesi di lettura del Carmide che tenga conto del
ruolo di primo piano di Crizia e del carattere funzionale dell’aporia. L’augurio è quello di
dare un piccolo contributo all’esegesi contrastata del dialogo, ponendolo sotto una luce il
più possibile priva di sovrastrutture, e contemporaneamente di fornire una prospettiva per la
valutazione dell’identità di Crizia, che tenga conto del suo profilo intellettuale e del ruolo
chiave della letteratura nella definizione della sua identità e di chi ne erediterà teoria e
prassi.

2
infra, § III.1.1; 2; 3.
3
infra, § III.2.2.
4
infra, § IV.1.
5
Infra, § IV.2.
7
I. Il Carmide: aporia e struttura drammatica

Il Carmide fa parte della V tetralogia del corpus, insieme a Teagete, Lachete e Liside.
Si tratta di dialoghi aporetici ascritti alla prima fase della produzione di Platone6 .
L’indagine si svolge nel tentativo di definire il concetto di sophrosyne7 , anche se presenta
una serie di risvolti e di implicazioni aggiuntive per le quali sarebbe semplicistico
ingabbiare il dialogo entro un rigido schema. La forma narrativa è quella indiretta, ma
sarebbe più corretto parlare di forma mista, dato il carattere fortemente mimetico della
dialettica8 . Gli interlocutori di Socrate sono due: Carmide, giovane di straordinaria bellezza,
e il maturo Crizia9 , parente e tutore di Carmide. Il Carmide è un dialogo complesso, vario
nelle argomentazioni e a volte difficile da ricostruire nei suoi nessi logici, cosa che ha
generato una mole di sforzi interpretativi che si rivolgono nelle più disparate direzioni: se da
un lato si cerca di connettere logicamente i passaggi che legano le varie sezioni del dialogo,
senza tener in giusta considerazione il contesto storico-culturale di riferimento e l’identità
degli interlocutori, dall’altro ci si focalizza esclusivamente sul dettaglio storico-politico,
senza considerare l’aspetto filosofico e letterario del Carmide10 . La nostra interpretazione

6
Per alcune considerazioni sui dialoghi c.d. socratici v. Bonazzi - Dorion [et.al.] 2009, 1-29. Sulla
convenzionalità della tripartizione dei dialoghi platonici in tre fasi v. Annas 2002, 1-23.
7
Sul concetto di sophrosyne v. North 1966; Fouchard 1997, 167 ss.; 211; 229 ss.; 254. Per la sophrosyne in
Platone v. Gastaldi 1998b.
8
Per la teorizzazione delle forme narrative cf. Plat. Rp. 392 a ss.
9
Nel dialogo Crizia sottolinea la parentela con Carmide (154 b). La vicenda biografica di Carmide è affine a
quella di Crizia. Come Crizia, Carmide ebbe un ruolo di primo piano nel governo dei Trenta, morendo insieme
a Crizia nella battaglia sul colle di Munichia nel 403 a.C. Nel corpus di Platone Carmide compare
fugacemente nel Protagora, in una scena che lo ritrae mentre passeggia accanto a Protagora nel primo portico
(315 a 1), nel Teage (128 e) e nell’Assioco (364 a).
10
L’aspetto politico viene sottolineato in particolare da Notomi 2000, 237-250; per l’aspetto storico e in
particolare il rilievo del contesto in cui Platone scrisse il Carmide v. Dušanić 2000, 53-63. Per quest’ultimo
nel Carmide ci sarebbe un’apologia di Crizia. Un’interpretazione filosofico-metafisica del dialogo è quella di
Müller 1976, 129-161. Tra i commentari del Carmide ricordiamo: Dieterle 1966; Tuckey 1968; Witte 1970;
Van der Ben 1985 (per cui si veda anche Erler 1987, 293-96); contributi monografici più recenti sono quelli di
Schimid 1998; Tuozzo 2011. Ricordiamo inoltre le edizioni con traduzione e commento di Centrone 1997,
punto di riferimento per la lettura ragionata del dialogo che segue; Dorion 2004. Sul testo del Carmide v.
recentemente Murphy 2002; Id. 2007.
8
metterà al centro la dimensione letteraria del dialogo. All’interno di questa dimensione trova
posto la storia, quella del contesto, dei personaggi e dell’epoca il cui il dialogo fu scritto.
Osservare il dialogo come un’opera letteraria permette inoltre di apprezzarne la sua natura
fortemente drammatica11 . All’interno del dramma si muovono maschere dotate di forte
verosimiglianza. Osservare da vicino la maschera di Crizia, confrontandola con la sua reale
identità, è lo scopo del presente lavoro. Ma prima di focalizzarci su Crizia è necessario dare
uno sguardo agli snodi fondamentali del dialogo: la scena iniziale dai toni fortemente
realistici, in cui il dettaglio storico assume un peso non indifferente e in cui fanno il loro
ingresso i personaggi; l’avvio dell’elenchos con Carmide, volto a trovare una corretta
definizione della sophrosyne; la seconda, più complessa, dialettica tra Crizia e Socrate, che
porterà all’aporia finale. Questa prima lettura del dialogo sarà un punto di riferimento per i
successivi rinvii al testo e al contempo consentirà di mettere in rilievo la fitta rete di
allusioni che il dialogo contiene.

I.1 La ricerca della sophrosyne

L’incipit del Carmide (153 a) non lascia spazio ad equivoci. Il riferimento è al 432
a.C., anno della battaglia di Potidea, alla quale partecipa lo stesso Socrate. La scena iniziale
è molto vivace. Socrate racconta del suo ingresso nella palestra Taurea, piena di gente, la
maggior parte familiare. Cherefonte, μανικὸς ὤν (153 b 2), sempre esagitato, accoglie
Socrate e lo prega di raccontare la battaglia, facendolo sedere accanto a Crizia (153 c 7) che
fa il suo ingresso nel dialogo. Socrate viene sommerso da domande sulla battaglia (153 d).
Dopo aver appagato tutti con le sue risposte Socrate interroga sui fatti di Atene, sulla
filosofia e sui giovani, se sia venuto fuori qualcuno che si distingua ἢ σοφίᾳ ἢ κάλλει ἢ
ἀμφοτέροις (153 d 4-5), definendo in questo modo il suo raggio di interessi. Crizia loda la
bellezza di Carmide e anche il suo essere kalos kai agathos. Questa nobiltà d’animo del
giovane è ricondotta da Socrate all’appartenenza alla stessa famiglia di Crizia (154 e)12 ,
ossia la famiglia di Platone13 . Crizia, nel lodare Carmide, lo definisce φιλόσοφός καὶ πάνυ

11
Sulla natura drammatico - letteraria dei dialoghi e sulla relazione tra aspetto letterario e filosofico v. Frede
1992, 201-219; Nightingale 1995; Kahn 1996; Halliwell 2002 (ma anche 2005, 43-63; 2011b, 241-266);
Wolfsdorf 2004°, 15-40; Giuliano 2004, 283-298; Giuliano 2005; Szlezák 2004, 169-214; Arrighetti 2006;
McCabe 2008, 88-113.
12
v. McCabe 2007, 1-19.
13
A proposito si veda Rosenmeyer 1949, 404-410; Davies 1971, 323 ss.; Tulli 1994, 95-107. Per alcune
riflessioni sull’eredità di Crizia in Platone v. infra, § II. 2.1.
9
ποιητικός (155 a)14 . Questa caratteristica è dovuta, secondo Socrate, alla parentela con
Solone15 . Crizia e Socrate fanno un accordo: dal momento che Carmide soffre di un
appesantimento alla testa al mattino, Socrate dovrebbe fingere di possedere un pharmakon
(155 b 9) per curare questo male. L’ingresso di Carmide è fortemente teatrale e a tratti
comico. Gli uomini presenti, infatti, si spingono a vicenda per far posto al giovane, che alla
fine siederà tra Socrate e Crizia. Celebre è la scena che segue, unicum nel corpus. Lo
sguardo di Carmide, ἀμήχανόν τι 155 d 1, è talmente irresistibile che Socrate si lascia
andare a pensieri eroticamente connotati: vidi ciò che era dentro il mantello e avvampai
(εἶδόν τε τὰ ἐντὸς τοῦ ἱματίου καὶ ἐφλεγόμην, 155 d 3-4). Passato l’impatto iniziale, Socrate
riacquista il controllo di sé. Nel far credere a Carmide di possedere un pharmakon per il
dolore alla testa, Socrate sottolinea come per il funzionamento del pharmakon sia necessario
un’epode, un incantesimo appreso in battaglia da uno dei medici Traci di Zalmossi (156 d),
capaci anche di rendere immortali16 : ἀπαθανατίζειν (156 d 6) è il verbo utilizzato17 . Più
avanti si comprende come l’incantesimo consista di fatto nei kaloi logoi.

θεραπεύεσθαι δὲ τὴν ψυχὴν ἔφη, ὦ μακάριε, ἐπῳδαῖς τισιν, τὰς δ᾽ ἐπῳδὰς ταύτας τοὺς
λόγους εἶναι τοὺς καλούς (Ch. 157 a 4 – 5)

I bei discorsi infatti sono in grado di curare l’anima, a cui il corpo è collegato. Da tali
discorsi si genera la sophrosyne e una volta che la sophrosyne insorga, allora da essa si
ottiene la salute sia nella testa che nel resto del corpo. Questo l’insegnamento di Zalmossi.
Dunque la predisposizione a lasciarsi incantare l’anima è la condizione che Socrate pone 18 .
Dalla prospettiva di Crizia, Carmide possiede già quella sophrosyne che dovrebbe costituire
l’oggetto dell’incantesimo. Infatti egli si distingue tra i suoi coetanei non solo per la bellezza
esteriore, ma anche perché dotato di sophrosyne. Socrate si mostra ironicamente
consenziente e riconduce ciò nuovamente alle origini familiari. In 157 e - 158 a torna infatti
il motivo genealogico, che già era comparso precedentemente (155a). La casata di Crizia -

14
Ch. 155 a 1, καὶ πάνυ γε, ἔφη ὁ ριτίας, ἐπεί τοι καὶ ἔστιν φιλόσοφός τε καί, ὡς δοκεῖ ἄλλοις τε καὶ ἑαυτῷ,
πάνυ ποιητικός.
15
v. Tulli 2000, 259-264.
16
Quest’episodio e il significato filosofico che cela al di là di quello letterale è messo in rilievo da McCabe
2008, 11-14. La questione verrà ripresa infra, § IV.2.1.
17
A proposito Murphy 2000, 287-295, che conclude: I suspect then that Plato uses the doctor of Zalmoxis as a
mask for so-called Bacchic cultists of Pythagoreans. Sui Traci e Zalmossi cf. Hdt. IV 93-96.
18
Più avanti (infra, § IV.2.1) si vedrà come il riferimento all’epode sia pieno di implicazioni. Per il ruolo
dell’incantesimo nella Repubblica in relazione alla poetica di Platone si veda Halliwell 2011b, 241-266.
Sull’educazione dei caratteri come educazione dell’anima vista come un tutto v. Gill 1985, 1-26, con focus
sulla Repubblica.
10
Carmide è stata lodata da Anacreonte e Solone, citato per la seconda volta 19 , e molti altri
poeti (ἥ τε γὰρ πατρῴα ὑμῖν οἰκία, ἡ ριτίου τοῦ Δρωπίδου, καὶ ὑπὸ Ἀνακρέοντος καὶ ὑπὸ
Σόλωνος καὶ ὑπ᾽ ἄλλων πολλῶν ποιητῶν ἐγκεκωμιασμένη παραδέδοται ἡμῖν, 157 e 5 - 7).
Socrate allora si rivolge direttamente a Carmide (158 c - e), chiedendogli se già partecipi
della sophrosyne. Il ragazzo, arrossendo, risponde οὐκ ἀγεννῶς. Da un lato, infatti,
ammettere di possedere la saggezza sarebbe un atto di presunzione, dall’altro negare ciò
significherebbe negare verità alle parole di Crizia. Da qui parte l’indagine (κοινῇ ἂν εἴη
σκεπτέον 158 d 8) volta a trovare una definizione di sophrosyne. Le articolazioni
dell’indagine sono le seguenti:

a)159 b 2 – 6 I definizione di Carmide


τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ ἡσυχῇ = ἡσυχιότης τις
b) 160 e 2 – 5 II def. di Car.
δοκεῖ τοίνυν μοι (…) εἶναι ὅπερ αἰδὼς ἡ σωφροσύνη
c) 161 b 5 – 6 III def. di Car.
ἄρτι γὰρ ἀνεμνήσθην - ὃ ἤδη του ἤκουσα λέγοντος - ὅτι σωφροσύνη ἂν εἴη τὸ
τὰ ἑαυτοῦ πράττειν
d) 162 c sgg. I def. di Crizia= III def. di Car.
Crizia diventa il principale interlocutore del dialogo
e) 163 e 10 II def.di Cri.
(…) τὴν γὰρ τῶν ἀγαθῶν πρᾶξιν σωφροσύνην εἶναι σαφῶς σοι διορίζομαι
f) 164 d 3 – 4 III def. di Cri.
(…) αὐτὸ τοῦτό φημι εἶναι σωφροσύνην, τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν
g) 166 c 1-2 IV def. di Cri.:
(…) ἡ δὲ μόνη τῶν τε ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη ἐστὶ καὶ αὐτὴ ἑαυτῆς.
h) 169 c 2 – d 1 L’aporein di Crizia
i) 171 b 5 -172 a L’utopia del buon governo
l) 173 a 7- d 5 Il sogno di Socrate
m) 174 b10 e sgg. IV def. di Cri.
sophrosyne come scienza del bene e del male
…τῆς (epistemes) περὶ τὸ ἀγαθόν τε καὶ κακόν, 174 c 2-3

19
L’insistenza sulle radici genealogiche non è casuale, così come la presenza del verbo enkomiazein. Per la
centralità di Anacreonte anche in rapporto a Crizia v. infra, § III.2.1. Per l’importanza dell’encomio nella
definizione di un’identità aristocratica v. infra, § III.2.2 (Prodico). Com’è noto l’encomio è l’unica forma di
mimesis, accanto all’inno, consentita da Platone nella città ideale (Rp. X , 606 a- 607 a).
11
a) I definizione di Carmide (159 b 2 - 6):

ἔπειτα μέντοι εἶπεν ὅτι οἷ δοκοῖ σωφροσύνη εἶναι τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ
ἡσυχῇ, ἔν τε ταῖς ὁδοῖς βαδίζειν καὶ διαλέγεσθαι, καὶ τὰ ἄλλα πάντα ὡσαύτως ποιεῖν.
καί μοι δοκεῖ, ἔφη, συλλήβδην ἡσυχιότης τις εἶναι ὃ ἐρωτᾷς.

Come è evidente, Carmide pone l’accento su un comportamento esteriore. L’allusione


all’agire kosmios, in maniera ordinata, riflette la visione tradizionale della virtù presa in
esame20 . Un tale tipo di azione ha come risultato visibile hesychiotes tis, una certa
pacatezza. Nonostante il carattere esteriore della definizione di Carmide si apprezza uno
sforzo nella direzione dell’astrazione a proposito del termine ἡσυχιότης. La confutazione
socratica è incentrata sul fatto che in molte azioni come scrivere, suonare, correre, capire, la
velocità è migliore della pacatezza.

b) II definizione di Carmide (160 e 2 - 5):

δοκεῖ τοίνυν μοι, ἔφη, αἰσχύνεσθαι ποιεῖν ἡ σωφροσύνη καὶ αἰσχυντηλὸν τὸν
ἄνθρωπον, καὶ εἶναι ὅπερ αἰδὼς ἡ σωφροσύνη.

La sophrosyne è definita come pudore21 . La confutazione avviene questa volta attraverso la


citazione di un verso di Omero, Od. XVII 347: αἰδὼς δ᾽ οὐκ ἀγαθὴ κεχρημένῳ ἀνδρὶ
παρεῖναι. L’uso di Omero come autorità in sede confutatoria ha una valenza ironica, come
nota Centrone22 . Lo stesso verso lo si trova in Esiodo (Op. 317-19) all’interno di una
valutazione tra un pudore buono e uno cattivo. Dunque la valutazione negativa di Socrate,
così come la definizione di Carmide, sono perfettamente in linea con la tradizione23 .

20
Cf. Phed. 68 c 8 – 12.
21
Cf. Plat. Plt. 307 e.
22
Centrone 1997 997, 249 n.36. In Odissea XVII 347 è Telemaco a pronunciare il verso, comandando al
porcaio di recare un cesto di pane al mendicante (Ulisse): per un uomo bisognoso di cibo non è bene
vergognarsi. L’utilizzo in questa sezione del dialogo di questo tipo di confutazione da parte di Socrate fornisce
indizi sulla caratterizzazione di Socrate nella dialettica con Carmide come si vedrà in seguito (infra, § IV.2.2).
Sull’ambiguità dell’ironia di Socrate e più in generale in Platone v. Halliwell 2008, 276-302, che si discosta
dal Socrate di Vlastos (1991, 21-44) per cui si veda Giannantoni 1993.
23
Erler 1991, 291 n. 40 rimanda a Sofocle, fr. 928 Radt (1977) ed Euripide, Hip, 385 e sgg., per l’ambiguità di
aidos. Per la connessone tra aidos e sophrosyne cf. Hom. Il. XXI, 462; Thgn., 479-483 West; Tuc. I 84.
Sull’aidos nella letteratura greca v. Cairns 1993 (in particolare pp. 370-78 sull’aidos in Platone).
12
c) III definizione di Carmide (161 b 5-6) ἄρτι γὰρ ἀνεμνήσθην - ὃ ἤδη του ἤκουσα
λέγοντος - ὅτι σωφροσύνη ἂν εἴη τὸ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν. La sophrosyne come il fare le
proprie cose, τὸ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν. Questa definizione, che segue di poco la precedente,
non è riportata come opinione personale, ma come opinione - ὃ ἤδη του ἤκουσα λέγοντος -
sentita dire da qualcuno. Che dietro questo qualcuno si nasconda Crizia è subito detto,
come ad anticipare il vicino ingresso di Crizia nell’indagine e la sua sostituzione a Carmide
come principale interlocutore del dialogo. Crizia nega la paternità della massima, cosa che
dopo verrà dallo stesso smentita attraverso un atteggiamento d’ira 24 . Il carattere ambiguo
della massima viene da subito messo in rilievo da Socrate (161 c 8-9): αἰνίγματι γάρ τινι
ἔοικεν. Socrate calca più volte l’enigmaticità della sentenza che identifica il fare le proprie
cose con l’essenza della saggezza (162 a 10- b 4)25 . Il significato di essa deve essere cercato
in una dimensione che superi quella letterale. L’interpretazione più scontata e superficiale,
infatti, viene subito confutata. Si noti il richiamo all’elemento politico in 161 e 10 - 13:

τί οὖν; ἦν δ᾽ ἐγώ, δοκεῖ ἄν σοι πόλις εὖ οἰκεῖσθαι ὑπὸ τούτου τοῦ νόμου τοῦ
κελεύοντος τὸ ἑαυτοῦ ἱμάτιον ἕκαστον ὑφαίνειν καὶ πλύνειν, καὶ ὑποδήματα
σκυτοτομεῖν, καὶ λήκυθον καὶ στλεγγίδα (…);

L’elemento politico sarà centrale nella seconda parte del dialogo e sarà, come si vedrà in
seguito, sempre connesso al personaggio di Socrate26 . Qui Socrate argomenta: è impossibile
che una città in cui domini un principio di tipo egoistico, la cui legge esorti ciascuno a
creare le proprie cose, sia una città ben amministrata (πόλις εὖ οἰκεῖσθαι)27 . Il momento di
arresto dell’indagine, che si potrebbe definire a buon diritto aporetico, viene superato grazie
a Carmide che, mettendo da parte quell’aidos che lo aveva caratterizzato nella sezione

24
Come si vedrà, quest’atteggiamento contribuirà a connotarlo teatralmente. La caratterizzazione di Crizia nel
Carmide infatti non è priva di elementi umoristici, che fanno del dialogo un pezzo drammatico. v. infra, §
IV.2.
25
Le allusioni di Socrate a superare una dimensione superficiale e letterale della massima e ad indagarne il
senso profondo assumono un grande spessore se si considera che la stessa massima ricompare nella
Repubblica, IV 441d-444a, come definizione di dikaiosyne. Tra il passo della Repubblica e quello del
Carmide, s’inserisce il Fedone. In Phaed. 82 a 10 –b 3, infatti, la sophrosyne è associata alla dikaiosyne ed
entrambe rientrano nell’ambito di quella politike arete che è oggetto di ricerca nel Protagora. Il Fedone
connette inoltre queste virtù politiche con il concetto di misura (Phed. 82 b 8) e di kosmos, ordine (Phed. 68 c
8-2). Si tratta di visioni tradizionali ampiamente condivise. La massima del fare le proprie cose compare anche
in Tim. 72 a e similmente in Xen. Mem. 3.7. Per implicazioni della massima, il significato e il contesto nel
quale si origina v. infra, § II.2.1.
26
infra, § IV.2.2-3.
27
Non deve stupire che il motivo politico compaia all’interno di una riflessione etica sulla sophrosyne. Infatti
il richiamo di Socrate al governo di una città, che compare più volte nel dialogo, tradisce la connotazione
politica del concetto di sophrosyne, espressione di un’ideologia del potere aristocratica.
13
iniziale, lancia un’efficace provocazione. Nulla vieta che colui che abbia enunciato la
sentenza non ne conosca il vero significato:

ἀλλ᾽ ἴσως οὐδὲν κωλύει μηδὲ τὸν λέγοντα μηδὲν εἰδέναι ὅτι ἐνόει. καὶ ἅμα ταῦτα
λέγων ὑπεγέλα τε καὶ εἰς τὸν ριτίαν ἀπέβλεπεν (Ch. 162 b 9-11)

d) I definizione di Crizia: sophrosyne come il fare le proprie cose. Crizia entra nella
discussione pungolato da Carmide (ὑπεκίνει αὐτὸν ἐκεῖνον, 162 d 1). Il suo ingresso nella
logica del dialogo, e dunque nell’indagine, non è privo di una forte componente teatrale.
Crizia è desideroso di gareggiare e desideroso di guadagnarsi la stima di Carmide e dei
presenti (ἀγωνιῶν καὶ φιλοτίμως πρός τε τὸν Χαρμίδην καὶ πρὸς τοὺς παρόντας ἔχων, 162 c
1-2). A stento, chiamato precedentemente in causa, si era trattenuto, finché, dinanzi
all’ennesima provocazione, non resiste. La sua ira è paragonata da Socrate a quella di un
poeta nei confronti di un cattivo interprete della sua opera (ἀλλά μοι ἔδοξεν ὀργισθῆναι
αὐτῷ ὥσπερ ποιητὴς ὑποκριτῇ κακῶς διατιθέντι τὰ ἑαυτοῦ ποιήματα, 162 d 2 - 3)28 . Si noti
come il teatrale ingresso di Crizia sia lontano dalla sophrosyne intesa come pacatezza.
Socrate, nell’invitare Crizia ad entrare nella discussione, sottolinea la cura, ἐπιμελεία,
dedicata da Crizia a cose di tal genere 29 . Nel riformulare la definizione Socrate sostituisce
al verbo prattein il verbo poiein, cosa che fornisce a Crizia un appiglio per la confutazione.
Applicando il metodo della diairesis ton onomaton, attribuito a Prodico, Crizia opera una
distinzione tra poiein e prattein. Il prattein viene accostato al campo semantico di
ergazesthai. Prattein ed ergazesthai sarebbero connotati positivamente. Ancora una volta a
dare legittimità alle argomentazioni, vengono chiamati in causa i poeti arcaici 30 . Il verso
citato da Crizia è di Esiodo, Op. 31131 .

28
Il paragone assume un senso se si riflette sull’attività poetica di Crizia e sul nesso molto forte che lega la
poesia alla politica e che è possibile cogliere nella produzione del tiranno. Non si deve dimenticare che anche
Crizia, nel definire Carmide, lo aveva chiamato poietikos. Torneremo nei capp. III e IV sulla figura di Crizia
poeta.
29
L’importanza dell’epimeleia accompagnata dalla physis è sottolineata da un frammento di Crizia, 88 B9 DK
= 7 GP (ἐκ μελἐτης πλείους ἠ φύσεως ἀγαθοί) v. Mosconi 2008, 15. infra, § III.1.4.
30
Si noti la capacità di Crizia di utilizzare strumenti di critica letteraria per sostenere la sua tesi (v. infra, §
III.1.4 – III.2.1 – III.2.2). Anche nel Protagora, nel contesto dell’interpretazione del carme simonideo (338 e
ss.), si cita Esiodo come autorità e si applica il metodo della sinonimica di Prodico. Per l’interpretazione del
carme simonideo nel Protagora v. Most 1994, 127-152 (1995, 137-169); Giuliano 1994, 105-90 (2004, 1-86).
31
Centrone B. 1997, 76 sottolinea l’intento apologetico di Platone nel citare Esiodo, Op. 311. Il verso è citato
da Libanio, principale fonte per la ricostruzione dell’invettiva post mortem di Policrate contro Socrate.
Secondo Libanio (I 86) infatti Socrate avrebbe citato il verso per dimostrare la dannosità di un errata
interpretazione dei poeti e per confutare coloro che accettavano acriticamente la loro autorità. Sempre secondo
Libanio, Anito avrebbe distorto l’argomentazione socratica arrivando a sostenere che Socrate incitava i giovani
alle cattive azioni. Anche Senofonte nei Memorabili cita lo stesso verso con intento apologetico. Il rapporto
14
ἔργον δ᾽ οὐδὲν εἶναι ὄνειδος (Ch. 163 b 4) =
ἔργον δ᾽ οὐδὲν ὄνειδος, ἀεργίη δέ τ᾽ ὄνειδος (Hes. Erga 311)

L’ergon non costituisce una vergogna. Gli erga sarebbero quindi le opere prodotte καλῶς τε
καὶ ὠφελίμως (163 c 3), ossia, ἐργασίας τε καὶ πράξεις. Crizia si caratterizza come
aristocratico attraverso l’uso di termini che pertengono alla sfera degli aristoi e che sono
espressione di un etica codificata32 . L’interpretazione del verso di Esiodo è chiaramente di
natura aristocratica. Infatti mestieri come calzolaio, pescivendolo, proprietario di bordello
sono nell’ottica di Crizia vergognosi33 .

e) II definizione di Crizia:

(…) τὴν γὰρ τῶν ἀγαθῶν πρᾶξιν σωφροσύνην εἶναι σαφῶς σοι διορίζομαι
(Ch. 163 e 10 - 11)

La sophrosyne è definita come τὴν τῶν ἀγαθῶν πρᾶξιν, come il fare cose buone. A questa
definizione Crizia giunge stimolato da Socrate. Infatti essa è strettamente connessa alla I
definizione. L’elenchos socratico entra in una dimensione gnoseologica: s’introduce il
problema della consapevolezza di fare il bene da parte di colui che lo compie. Ossia la
consapevolezza di essere saggio da parte di chi agisce saggiamente. Contemporaneamente
Socrate mette in gioco la questione dell’ophelia, dell’utilità della virtù in esame (164 b ss.).
E’ possibile, avanza Socrate, che il medico nel curare non sia a conoscenza dell’utilità della
sua cura. Ossia non sia in grado di valutare se essa sia utile o meno. La prospettiva socratica
consiste nel considerare come conoscenza un tipo di sapere tecnico, un’abilità. Dal
momento che la conversazione declina fino a sfiorare il paradosso 34 Crizia avanza una III
definizione.

Policrate-Platone-Senofonte è ricostruito da Witte 1970, 80-81. A proposito si veda recentemente Graziosi


2010, 120-125.
32
Termini che si connotano aristocraticamente sono, tra gli altri, gli avverbi ophelimos e kalos, il richiamo
all’epimeleia e alla poesia e le stesse definizioni di Carmide. Questo complesso di valori è messo ben in
evidenza da Mosconi 2008, 11-70, il quale dimostra come l’elemento musicale fosse un elemento
identificativo della paideia aristocratica.
33
L’importanza di questo piccolo catalogo dei mestieri è cruciale per la caratterizzazione di Crizia nel segno
di un’autenticità di fondo. Si veda a proposito, infra, § III.1.4.
34
Ch. 164 c 5 – 7, οὐκοῦν, ὡς ἔοικεν, ἐνίοτε ὠφελίμως πράξας πράττει μὲν σωφρόνως καὶ σωφρονεῖ, ἀγνοεῖ
δ᾽ ἑαυτὸν ὅτι σωφρονεῖ; Il paradosso si genera a causa della difficoltà di distinguere l’azione di per sé, dalla
consapevolezza di tale azione. Su questo passo in relazione a Crizia v. infra, § III.2.2; § IV.2.3.
15
f) III definizione di Crizia: sophrosyne come τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν, conoscere sé
stessi (164 d 4) 35 . La dimensione dell’elenchos ripiega verso l’interno a dimostrare la
correttezza delle intuizioni di Crizia. Egli asserisce infatti la presenza di un sapere, la
conoscenza di sé, che sia al dì là del sapere tecnico. È stato notato che questa facilità nel
passaggio da una definizione all’altra denoti un atteggiamento di sostanziale superficialità
da parte di Crizia36 . Di fatto, come si vedrà meglio in seguito 37 , fino a questo momento
della discussione le definizioni di Crizia sono legate l’una all’altra ed estremamente in linea
con il suo pensiero. Il motto delfico si caratterizza per una certa enigmaticità
(αἰνιγματωδέστερον δὲ δή, ὡς μάντις, λέγει 164 e 6): ritorna il motivo dell’enigma, questa
volta sottolineato da Crizia. Nel richiamo a Delfi Crizia si pone ancora una volta in
continuità con la tradizione e in particolare all’interno di un sistema di valori aristocratici
che dialoga con la tradizione per definire la sua identità38 . Il solco che divide Socrate da
Crizia, l’ostentata sicurezza di Crizia e la consapevolezza di non sapere di Socrate, si
colgono nello scambio di battute in 165 a 8 ss. Crizia è consapevole di disporre degli
strumenti per imporre la propria argomentazione. Socrate al contrario parte da una stato di
ignoranza, base del metodo dialettico:

τὰ μὲν ἔμπροσθέν σοι πάντα ἀφίημι - ἴσως μὲν γάρ τι σὺ ἔλεγες περὶ αὐτῶν
ὀρθότερον, ἴσως δ᾽ ἐγώ, σαφὲς δ᾽ οὐδὲν πάνυ ἦν ὧν ἐλέγομεν - νῦν δ᾽ ἐθέλω τούτου
σοι διδόναι λόγον, εἰ μὴ ὁμολογεῖς σωφροσύνην εἶναι τὸ γιγνώσκειν αὐτὸν ἑαυτόν.

ἀλλ᾽, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ ριτία, σὺ μὲν ὡς φάσκοντος ἐμοῦ εἰδέναι περὶ ὧν ἐρωτῶ


προσφέρῃ πρός με, καὶ ἐὰν δὴ βούλωμαι, ὁμολογήσοντός σοι: τὸ δ᾽ οὐχ οὕτως ἔχει,
ἀλλὰ ζητῶ γὰρ μετὰ σοῦ ἀεὶ τὸ προτιθέμενον διὰ τὸ μὴ αὐτὸς εἰδέναι.
(Ch. 165 a 8 - c 1) 39

35
La stessa definizione la si trova in Plat. Alc. I 131b; 133c. In virtù di questo ripiegamento verso l’interno il
Carmide è considerato da Rowe 20082, 120 a paramount example of Socratic self-examination, ossia un
modello in cui si realizza la missione che Socrate enuncia chiaramente nell’Apologia, 37 e 3 – 38 a 6. Su
Socrate e la self-knowledge v. anche Tsouna 2001, 37-64.
36
Erler 1991, 303-304.
37
Questi passaggi e la loro coerenza interna saranno approfonditi in seguito. infra, § IV.2.3.
38
Gastaldi (1998b) ricostruisce la storia del termine sophrosyne e mostra come il concetto diventi espressione
dell’etica nobiliare. Emerge come ogni definizione di Carmide prima e di Crizia poi sia perfettamente in linea
con questo complesso di valori.
39
Cf. Ap.21 d 3, (…) πρὸς ἐμαυτὸν δ᾽ οὖν ἀπιὼν ἐλογιζόμην ὅτι τούτου μὲν τοῦ ἀνθρώπου ἐγὼ σοφώτερός
εἰμι: κινδυνεύει μὲν γὰρ ἡμῶν οὐδέτερος οὐδὲν καλὸν κἀγαθὸν εἰδέναι, ἀλλ᾽ οὗτος μὲν οἴεταί τι εἰδέναι οὐκ
εἰδώς, ἐγὼ δέ, ὥσπερ οὖν οὐκ οἶδα, οὐδὲ οἴομαι: ἔοικα γοῦν τούτου γε σμικρῷ τινι αὐτῷ τούτῳ σοφώτερος
εἶναι, ὅτι ἃ μὴ οἶδα οὐδὲ οἴομαι εἰδέναι. ἐντεῦθεν ἐπ᾽ ἄλλον ᾖα τῶν ἐκείνου δοκούντων σοφωτέρων εἶναι (…).
Alla luce di questo passo si capisce la definizione di Socrate in 166 e 7-8: καὶ ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη ἂν
εἴη, εἴπερ καὶ ἐπιστήμης. Questo l’atteggiamento alla base della dialettica. Riflessioni sul processo dialettico
16
Crizia si dimostra disposto a concedere a Socrate le cose dette in precedenza. Se da un lato
Crizia non esita ad ammettere di aver potenzialmente detto qualcosa di sbagliato, ed in
questo sta il suo merito, dall’altro si pone nei confronti di Socrate con un atteggiamento
agonistico. Al nucleo di sapere di Crizia, che non verrà mai messo in discussione, si
contrappone il non sapere di Socrate, la sua totale sincerità.

g) IV definizione di Crizia (166 c 1-2):

(…) ἡ δὲ μόνη τῶν τε ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη ἐστὶ καὶ αὐτὴ ἑαυτῆς.

La sophrosyne come scienza delle altre scienze e di se stessa. Questa definizione si genera
sotto il pungolo socratico a definire l’oggetto specifico di questa scienza. Ancora una volta
l’intuizione di Crizia è corretta. Si tratta di un episteme da porre su un piano superiore
rispetto ai saperi tecnici40 . Ma se da un lato Crizia ha un buon intuito, dall’altro è privo
dell’atteggiamento del filosofo dialettico. L’unico atteggiamento, in altre parole, che gli
consentirebbe di sperimentare in senso profondo la verità delle sue definizioni . Il
comportamento di Crizia, la sua caratterizzazione, vanifica la portata di verità delle sue
parole.
Procedendo passo dopo passo nell’elenchos socratico, Socrate afferma 1. che la
scienza in questione potrebbe essere anche scienza della non scienza (καὶ ἀνεπιστημοσύνης
ἐπιστήμη ἂν εἴη, εἴπερ καὶ ἐπιστήμης 166 e 7-8)41 , introducendo il sapere negativo, cruciale
per il successivo sviluppo del dialogo; 2. che il sophron avrà la consapevolezza, lui solo, di
ciò che sa ma anche di ciò che non sa. A questa consapevolezza si affianca quella relativa
alla conoscenza di ciò che gli altri sanno e non sanno 42 . La descrizione del sophron

nel Carmide e sulla chiusura di Crizia nei confronti della ricerca si leggono in Schmid 1981, 141-147 ; Schmid
2002, 235-251. Altre allusioni di metodo si trovano in 166 c 7 ss. La centralità del sapere negativo sarà messa
in evidenza nel cap. IV.
40
Cf. Ch. 165 e 3-5: οὐ γὰρ ὁμοία αὕτη πέφυκεν ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις, οὐδέ γε αἱ ἄλλαι ἀλλήλαις;
similmente più avanti Ch. 166 b 7, σὺ δὲ ὁμοιότητά τινα ζητεῖς αὐτῆς ταῖς ἄλλαις. τὸ δ᾽ οὐκ ἔστιν οὕτως, ἀλλ᾽
αἱ μὲν ἄλλαι πᾶσαι ἄλλου εἰσὶν ἐπιστῆμαι, ἑαυτῶν δ᾽ οὔ, ἡ δὲ μόνη τῶν τε ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη ἐστὶ
καὶ αὐτὴ ἑαυτῆς. Da cui si deduce la correttezza dell’intuizione di Crizia, che pone una tale scienza al di sopra
delle altre. Che la scienza in questione sia la dialettica è avanzato da Erler 1991, 308. In essa sono contenuti i
fondamenti delle altre scienze. Il riferimento è a Rp. VII 533 c 2 e sgg.
41
Si veda a proposito Centrone 1997, 272 n.57 che rimanda giustamente a Ion. 531e; Phd. 97 d. Questo passo
segna una svolta nella dinamica dialogica, come si vedrà successivamente (infra, § IV.2.3).
42
Ch. 167 a 1 – 5, ὁ ἄρα σώφρων μόνος αὐτός τε ἑαυτὸν γνώσεται καὶ οἷός τε ἔσται ἐξετάσαι τί τε τυγχάνει
εἰδὼς καὶ τί μή, καὶ τοὺς ἄλλους ὡσαύτως δυνατὸς ἔσται ἐπισκοπεῖν τί τις οἶδεν καὶ οἴεται, εἴπερ οἶδεν, καὶ τί
αὖ οἴεται μὲν εἰδέναι, οἶδεν δ᾽ οὔ, τῶν δὲ ἄλλων οὐδείς.
17
corrisponde nella sostanza alla sophia di Socrate, quale si legge in Apologia 21 a - 22 e43 .
Già da ora s’intuisce che ciò che manca a Crizia per incarnare a pieno l’ideale di sophrosyne
è l’incapacità di riconoscere i propri limiti e dunque di ammettere ciò che non si sa.
Con l’espressione τὸ τρίτον τῷ σωτῆρι, la terza al salvatore (167 a 9) Platone indica
che l’argomentazione che seguirà sarà quella essenziale 44 . Non a caso, subito dopo, Socrate
ammette di essere in aporia (ἐγὼ μὲν γὰρ ἀπορῶ, 167 b 6). Che l’aporia qui sia punto di
partenza della ricerca e anzi ponga le basi per la ricerca stessa è stato giustamente osservato
da Politis45 . I termini della ricerca sono posti in 167 b 1 - 4:

ἀρχῆς ἐπισκεψώμεθα πρῶτον μὲν εἰ δυνατόν ἐστιν τοῦτ᾽ εἶναι ἢ οὔ - τὸ ἃ οἶδεν καὶ ἃ
μὴ οἶδεν εἰδέναι <ὅτι οἶδε καὶ>46 ὅτι οὐκ οἶδεν - ἔπειτα εἰ ὅτι μάλιστα δυνατόν, τίς ἂν
εἴη ἡμῖν ὠφελία εἰδόσιν αὐτό47 .

Se così fosse, aggiunge Socrate, ciò comporterebbe l’esistenza di una scienza che oltre ad
essere scienza di se stessa e delle altre scienze, sia anche scienza della non scienza. Per
provare questa definizione, la cui verità è da Socrate presentita48 , egli utilizza il metodo
dell’analogia, prendendo esempi dal mondo sensibile, come vista, udito, sensazioni in
generale, per poi rivolgersi al desiderio, alla volontà, all’amore, alla paura e alle opinioni. In
tutti questi casi è impossibile che l’oggetto in questione, come ad esempio la vista, sia vista
di se stessa delle altre viste e contemporaneamente delle non viste49 . Siamo sull’orlo del

43
v. supra, n. 39.
44
La terza libagione nei simposi era quella dedicata a Zeus Soter, come la terza vittoria nelle gare olimpiche.
v. Centrone 1997, 272. L’espressione la si trova ad esempio in Rp. IX 583 b; Phil. 66 d (interessante notare
che in entrambi i passi la discussione verte sull’edone, sul vero piacere che coincide col bene e che pertiene
all’uomo phronimos); Ep. VII 334 d (il passo può essere messo in rapporto ai precedenti: si parla della
tirannide, del suo carattere rovinoso, olethrios, e si esorta, di contro, a seguire il bene supremo); Ep. VII 340
a.; Lg. III 692 a (ancora una volta il leitmotiv del potere che genera passioni, ὁ δὲ τρίτος σωτὴρ ὑμῖν ἔτι
σπαργῶσαν καὶ θυμουμένην τὴν ἀρχὴν ὁρῶν). Su un uso diverso dell’espressione idiomatica nel III delle
Leggi v. Ferrari - Poli 2005, 288 n. 51.
45
Politis 2008, 1-34. Il lavoro è incentrato sull’aporia nella seconda parte del Carmide ed è volto a dimostrare
come questa ponga le basi della ricerca piuttosto che costituire un limite. il contributo si pone contro coloro
che vedono l’aporia come un limite della ricerca (es. Wolfsdorf 2004a, 15-40). Politis se da un lato si discosta
da Kahn (1988, 541-549) per la visione dell’aporia, dall’altro ne condivide l’idea di fondo: l’aporia come
punto di partenza e stimolo per la ricerca. Si veda anche Politis 2006, 97-99.
46
Burnet segnala l’aggiunta dei recentiores.
47
Centrone 1997, 273 traduce: esaminiamo per prima cosa se è possibile sapere ciò che si sa e ciò che non si
sa, <che lo sa e> che non lo sa, poi, ammesso che sia in assoluto possibile, quale utilità ne conseguirebbe per
noi. C. rifiuta ogni integrazione in 167 b 2 ed rifiuta l’integrazione dei recentiores <oti ouk oiden>. v.
Centrone 1997, 273 n. 60. La questione è posta nuovamente e negli stessi termini in 169 b 5 ss.
48
Cf. Ch. 168 a 10; 169 b 5; e ancora più avanti, 175 e 6-7, in cui si ribadisce che la scienza in questione è un
bene, al di là delle conclusioni paradossali.
49
Per quanto riguarda la riflessività dell’opsis cf. Alc. I (132 d ss.): dunque quando un occhio osserva un
occhio e guarda in esso ciò che appunto esso ha di più bello, e con cui vede, in tal caso potrebbe vedere se
stesso. Per quanto riguarda l’eros cf. Phdr. 255 b - d.
18
paradosso. A fomentare il paradosso dell’autoriflessività l’uso di concetti presi dal mondo
della fisica come maggiore, minore, doppio50 .
Problematica risulta la menzione alla fine del catalogo, 168 e 9-10, di κίνησις καὶ
θερμότης in rapporto all’autoriflessività:

ἀκοὴ δ᾽ αὖ καὶ ὄψις καὶ ἔτι γε κίνησις αὐτὴ ἑαυτὴν κινεῖν, καὶ θερμότης κάειν, καὶ
πάντα αὖ τὰ τοιαῦτα τοῖς μὲν ἀπιστίαν ἂν παράσχοι, ἴσως δέ τισιν οὔ. (Ch. 168 e 9-
169 a 1)

Sia il movimento che il calore sono infatti assenti dal precedente catalogo delle sensazioni-
affezioni. Da qui la proposta di Müller51 di espungere il passo. Centrone52 riconosce che la
comparsa improvvisa di queste due qualità lascia perplessi anche da un punto di vista
grammaticale, dal momento che al nominativo (κίνησις) seguirebbe un’infinitiva (ἑαυτὴν
κινεῖν). Convincenti le argomentazioni di Murphy53 a favore dell’autenticità del passo. In
particolare Murphy valuta correttamente come i due nominativi, κίνησις e θερμότης, siano
connessi ad altri due nominativi, ἀκοὴ καὶ ὄψις, e come tutti siano soggetti della frase retta
da παράσχοι, confluendo in quel πάντα τὰ τοιαῦτα. Socrate cercherebbe così di unire due
costruzioni: la principale retta dall’ottativo potenziale (ἂν παράσχοι) e le due infinitive
(κίνησις αὐτὴ ἑαυτὴν κινεῖν, καὶ θερμότης κάειν). Un indizio a favore dell’autenticità del
passo è costituito dalla presenza del movimento che muove se stesso in Fedro (245 d) e
Leggi (895 a 8-b1) come definizione dell’anima 54 .
S’ipotizza l’esistenza di un grand’uomo, megalou andros55 , capace di operare queste
distinzioni (μεγάλου δή τινος, ὦ φίλε, ἀνδρὸς δεῖ, ὅστις τοῦτο κατὰ πάντων ἱκανῶς
διαιρήσεται, 169 a 1-3). Interessante notare che sebbene la questione resti sostanzialmente

50
Centrone 1997, 276 n. 61 nota come già von Arim 1914 avesse intuito che solo di episteme e doxa non viene
specificato l’oggetto. Tale oggetto infatti pertiene ad un livello superiore rispetto a quello a cui si attesta la
conversazione nel Carmide: er hätte sie nicht angeben können, ohne sich in tiefgehende philosophischen
Untersuchungen einzulassen, welche den Gang der vorliegenden Untersuchung unterbrochen und die
künsterliche Einheit des “Charmides” aufgehoben hätte (p. 114-115). Il riferimento alla künsterliche Einheit
del dialogo, ossia alla sua unitä artistica, indica una consapevolezza da parte di von Arim di un dialogo come
pezzo drammatico.
51
Müller 1976, 149-150. Diversamente Eisenstadt 1981, 126-128.
52
Centrone 1997, 280 n. 64.
53
Murphy 2007, 224.
54
Per quanto riguarda il calore v. Witte 1970, 121 n. 46.
55
Per Szlezák 2000, 345, il quale mette in relazione il passo del Carmide 169 a 1-2 con Ep. VII 345 c 1 - 2;
341 d 2 -3; 345 b 5 - 7, in cui Platone elogia se stesso. Dietro questo megalos aner si celerebbe lo stesso
Platone. Contro l’autorefenzialità Kahn 1996, 196 n. 22. L’allusione è sottile se si considera che lo stesso
Crizia aveva effettuato delle distinzioni tra gnome ed aistheseis, stando alla testimonianza di Galeno (88 B 40
DK). v. infra, § III.2.2.
19
sospesa, essa sia presagita come vera, utile, buona: τὴν γὰρ οὖν δὴ σωφροσύνην ὠφέλιμόν
τι καὶ ἀγαθὸν μαντεύομαι εἶναι 169 b 4-5. Socrate utilizza il verbo μαντεύομαι ad indicare il
presentimento della profonda verità di ciò che si dice.

h) L’aporia di Crizia (169 c 2 – d 1):

καὶ ὁ ριτίας ἀκούσας ταῦτα καὶ ἰδών με ἀποροῦντα, ὥσπερ οἱ τοὺς χασμωμένους
καταντικρὺ ὁρῶντες ταὐτὸν τοῦτο συμπάσχουσιν, κἀκεῖνος ἔδοξέ μοι ὑπ᾽ ἐμοῦ
ἀποροῦντος ἀναγκασθῆναι καὶ αὐτὸς ἁλῶναι ὑπὸ ἀπορίας. ἅτε οὖν εὐδοκιμῶν
ἑκάστοτε, ᾐσχύνετο τοὺς παρόντας, καὶ οὔτε συγχωρῆσαί μοι ἤθελεν ἀδύνατος εἶναι
διελέσθαι ἃ προυκαλούμην αὐτόν, ἔλεγέν τε οὐδὲν σαφές, ἐπικαλύπτων τὴν ἀπορίαν.

Crizia, a contatto con l’aporia di Socrate, viene conseguentemente preso da aporia, come
coloro che, vedendo qualcuno sbadigliare, sbadigliano a loro volta. L’aporia di Crizia è di
forte impatto. Egli infatti è abituato ad essere apprezzato in ogni occasione (εὐδοκιμῶν
ἑκάστοτε). La potenza visiva della descrizione è notevole. Crizia prova vergogna e balbetta
qualcosa di non chiaro, non volendo ammettere la sua incapacità a rispondere alle domande
di Socrate. Egli nasconde l’aporia (ἐπικαλύπτων τὴν ἀπορίαν 169 d 1). In questo passo
gioca un ruolo essenziale l’ironia drammatica. La mancanza di modestia, ossia di
consapevolezza dei propri limiti, impedisce a Crizia di entrare nell’autentico spirito
dialettico della ricerca. La centralità di questa sezione del dialogo, in cui viene
drammatizzata l’aporia di Crizia, è messa in risalto da un’evidenza lessicale: in 169 c 2 - d 1
compaiono con insistenza i seguenti termini: ἀποροῦντα (162 c 2), ἀποροῦντος (162 c 5),
ἀπορίας al rigo successivo, ἀπορίαν (169 d 1). La presenza ripetuta a breve distanza del
participio di aporein e del sostantivo aporia mette l’accento sulla caratterizzazione del
personaggio come chiave di comprensione del dialogo. In altre parole si sottolinea il
rapporto tra il personaggio di Crizia e il limite della ricerca, l’impossibilità della stessa di
andare avanti, superando l’impasse. Crizia mette l’accento sul sapere positivo: se uno
possiede la scienza che conosce se stessa, egli sarà come la scienza che possiede: conoscerà
se stesso (169 e). Socrate non obietta questo, ossia che chi possieda la scienza di se stessa
conoscerà se stesso. L’obiezione si spinge più a fondo: che necessità vi è che chi abbia ciò
sappia ciò che sa e ciò che non sa? (169 e 7-8). Ora, Crizia non coglie la sfumatura e mette
sullo stesso piano il sapere positivo (conoscere se stesso) e il sapere negativo (conoscere

20
anche ciò che non si sa) che a lui manca (170 a 1). Socrate insiste nel porre le dovute
differenze con la seguente obiezione:

ἴσως, ἔφην, ἀλλ᾽ ἐγὼ κινδυνεύω ἀεὶ ὅμοιος εἶναι: οὐ γὰρ αὖ μανθάνω ὡς ἔστιν τὸ
αὐτό, ἃ οἶδεν εἰδέναι καὶ ἅ τις μὴ οἶδεν εἰδέναι.

Burnet segnala l’espunzione di [ἃ οἶδεν … εἰδέναι] da parte di Hoenebeek Hissik,


confermata da Centrone che nota l’assenza di te nella clausola, a differenza delle analoghe
espressioni che compaiono nel dialogo 56 . L’espunzione potrebbe essere accolta se si
considera la logica del passo, chiarita bene da Murphy 57 . Si potrebbe pensare, con Witte,
Schmid e Hazebroucq58 , che τὸ αὐτό implichi l’infinitiva seguente (ἃ οἶδεν εἰδέναι καὶ ἅ τις
μὴ οἶδεν εἰδέναι). In questo modo il senso sarebbe: non capisco come siano la stessa cosa
sapere ciò che si sa e ciò che non si sa. Da un punto di vista sintattico il discorso potrebbe
quadrare. Ma se si allarga la prospettiva alle battute immediatamente precedenti e
successive si capisce che il significato è un altro. Ciò che Socrate finge di non afferrare è
come possa essere lo stesso il conoscere se stesso che la scienza implica e il conoscere ciò
che si sa e che non si sa, come risulta ben chiaro da 169 e 6-8. La differenza è da porsi
dunque non tra ciò che si sa e che non si sa, ma tra conoscere se stesso da un lato e sapere
ciò che si sa e ciò che non si sa dall’altro. Crizia non coglie questa sfumatura e Socrate
chiarisce il concetto:

πῶς λέγεις, ἔφη;


ὧδε, ἦν δ᾽ ἐγώ. ἐπιστήμη που ἐπιστήμης οὖσα ἆρα πλέον τι οἵα τ᾽ ἔσται διαιρεῖν, ἢ ὅτι
τούτων τόδε μὲν ἐπιστήμη, τόδε δ᾽ οὐκ ἐπιστήμη; (170 a 6-8)

In che modo dunque la scienza di se stessa può distinguere il sapere dal non sapere?
Nonostante la sua natura pleonastica Murphy non espunge la frase considerandola
epesegetica e trovando un parallelo in Phd. 109 d 8-e 1. L’ipotesi è convincente.
Socrate cerca di scandagliare la questione ponendo delle differenze tra il piano della
scienza di se stessa e i vari saperi tecnici, arrivando a mettere in discussione la superiorità di
questa virtù e il vantaggio che ne consegue. Il possesso della sophrosyne comporta la
capacità di saper distinguere ciò che si sa e ciò che non si sa. Ciò non significa, però, che

56
v. Centrone 1997, 274 n. 78; Van der Ben 1985, 60-3. Contrario Witte 1979, 126.
57
Murphy 2007, 225-226.
58
Witte 1970, 126 n. 67; Schmid 1998, 109-10; Hazebroucq 1997, 302-4.
21
questa virtù implichi la conoscenza di che cosa sia tecnicamente il sapere di cui si ha la
consapevolezza di avere il possesso. Qui si allude al fatto che la consapevolezza di sapere e
di non sapere, unita alla conoscenza di sé, si trovano su un piano superiore rispetto al sapere
tecnico, su un piano che pertiene all’anima. Socrate cerca di mettere Crizia davanti
all’evidenza che solo il riconoscimento dei propri limiti può costituire un vantaggio e lo fa
con una continua intersezione dell’ambito tecnico (170 b 6 ss.). Se la saggezza si trova su un
piano superiore, essa non può prescindere dal sapere tecnico e da coloro che sono in
possesso di questo sapere (170 b 12). Essa deve necessariamente includere il non sapere.
L’allusione è chiara in 170 b 12 ss.

ὅτι δὲ γιγνώσκει, ταύτῃ τῇ ἐπιστήμῃ πῶς εἴσεται; γιγνώσκει γὰρ δὴ τὸ μὲν ὑγιεινὸν τῇ
ἰατρικῇ ἀλλ᾽ οὐ σωφροσύνῃ, τὸ δ᾽ ἁρμονικὸν μουσικῇ ἀλλ᾽ οὐ σωφροσύνῃ, τὸ δ᾽
οἰκοδομικὸν οἰκοδομικῇ ἀλλ᾽ οὐ σωφροσύνῃ, καὶ οὕτω πάντα: ἢ οὔ;

L’ὅτι presenta qualche problema. Se si considera, infatti, che poco prima Crizia aveva
affermato come cosa certa che il sophron conosce se stesso (169 e) la frase non potrebbe
suonare: che conosce, però, come lo saprà mediante questa scienza? Per questa ragione
Müller e Van der Ben hanno congetturato ὄ al posto di ὅτι59 : ciò che conosce, come lo
saprà mediante questa scienza? Ora, è stato notato60 che difficilmente questa ipotesi può
essere accettata, dal momento che quell’ ὅτι δὲ è correlato con un ὅτι μέν di poco precedente
(170 b 7). La congettura più adeguata alla logica dell’argomentazione è quella di Tuckey61
che integra dopo ὅτι δὲ γιγνώσκει < τὸ ὑγιεινὸν ἢ τὸ οἰκοδομικόν >.
La questione che si pone successivamente è quella di capire come possa il saggio
conoscere oltre che se stesso e la scienza di cui è in possesso anche la scienza degli altri
(170 d 5 ss.). Come può essere in grado di distinguere chi sa da chi non sa, un bravo medico
da un millantatore? Il problema è molto sottile e gravido di implicazioni politiche. Si discute
infatti sul criterio in base al quale il saggio possa governare, su ciò che legittima la sua
capacità di controllare e giudicare l’agire degli altri, di coloro che sono sì possessori di un
sapere, ma di un sapere tecnico, come la scienza medica 62 . L‘impossibilità di distinguere tra
i diversi piani genera il paradosso: i saggi non sanno che guardare sé stessi e coloro che

59
Müller 1976, 152 n.17; Van der Ber 1985, 66-8.
60
Centrone 1997, 285 n. 69.
61
Tuckey 1968, 56.
62
Si ritornerà su questo passo (infra, § IV.2.3). Per il momento si può notare come la questione politica sia
sempre introdotta da Socrate e mai da Crizia.
22
hanno la stessa arte (τὸν αὑτοῦ ὁμότεχνον, 171 c 8). Se fossero in grado di discernere chi è
in possesso dell’arte medica da chi non lo è, sarebbero medici, oltre che saggi (171 c 1).

i) La tensione che si genera tra il paradosso del ragionamento e l’intuizione socratica


più volte marcata (ossia sull’utilità e il bene che deriva dall’essere saggi) emerge in tutta la
sua forza con l’utopia del buon governo (171 d 5 e sgg.)63 . L’utopia può essere considerata
il cuore del dialogo. Socrate immagina un governo di gente in possesso della sophrosyne.
Un tale sistema sarebbe auspicabile, in quanto i governati sarebbero in grado di assegnare a
ciascuno i propri compiti, ossia ciò di cui hanno scienza . Se così fosse allora, eliminato
l’errore, la casa, come la città, sarebbero amministrate al meglio e da ciò deriverebbe
eudaimonia (ἁμαρτίας γὰρ ἐξῃρημένης, ὀρθότητος δὲ ἡγουμένης, ἐν πάσῃ πράξει καλῶς καὶ
εὖ πράττειν ἀναγκαῖον τοὺς οὕτω διακειμένους, τοὺς δὲ εὖ πράττοντας εὐδαίμονας εἶναι,
172 a 1 - 3)64 .
L’utopia socratica del buon governo ha il merito di focalizzare l’attenzione
sull’elemento politico, ossia l’elemento a cui tende l’intero dialogo attraverso la scelta e la
caratterizzazione dei personaggi. Inoltre si fornisce qui una indiretta spiegazione della I
definizione di Crizia. Si capisce in sostanza che fare le proprie cose non deve essere
interpretato nel segno dell’egoismo, ma nel segno di fare ciò di cui si possiede scienza. Da
qui il buon funzionamento della società. Compito del governante, il phylax della
Repubblica, sarebbe quello di consentire che ognuno faccia le proprie cose, ossia porti a
compimento e manifestazione il proprio episteme. Da ciò la felicità65 . Che il quadro appena
prospettato sia l’esito positivo derivante dal possesso di questa virtù sembra un punto fermo
per lo stesso Socrate (Ch. 168 a 10; 169 b 5; 175 b). Ad essere messo in discussione non è
tanto il vantaggio della virtù, ma le ragioni che ne determinano il vantaggio. Nel capitolo
successivo si vedrà come lo stesso Platone sia legato a quest’ideologia e come il fallimento

63
Ch. 171 d 2-172 a 3, εἰ μὲν γάρ, ὃ ἐξ ἀρχῆς ὑπετιθέμεθα, ᾔδει ὁ σώφρων ἅ τε ᾔδει καὶ ἃ μὴ ᾔδει, τὰ μὲν ὅτι
οἶδεν, τὰ δ᾽ ὅτι οὐκ οἶδεν, καὶ ἄλλον ταὐτὸν τοῦτο πεπονθότα ἐπισκέψασθαι οἷός τ᾽ ἦν, μεγαλωστὶ ἂν ἡμῖν,
φαμέν, ὠφέλιμον ἦν σώφροσιν εἶναι: ἀναμάρτητοι γὰρ ἂν τὸν βίον διεζῶμεν αὐτοί τε καὶ οἱ τὴν σωφροσύνην
ἔχοντες καὶ οἱ ἄλλοι πάντες ὅσοι ὑφ᾽ ἡμῶν ἤρχοντο. οὔτε γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν πράττειν ἃ μὴ
ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽ ἐξευρίσκοντες τοὺς ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν παρεδίδομεν, οὔτε τοῖς ἄλλοις ἐπετρέπομεν,
ὧν ἤρχομεν, ἄλλο τι πράττειν ἢ ὅτι πράττοντες ὀρθῶς ἔμελλον πράξειν—τοῦτο δ᾽ ἦν ἄν, οὗ ἐπιστήμην
εἶχον—καὶ οὕτω δὴ ὑπὸ σωφροσύνης οἰκία τε οἰκουμένη ἔμελλεν καλῶς οἰκεῖσθαι, πόλις τε πολιτευομένη,
καὶ ἄλλο πᾶν οὗ σωφροσύνη ἄρχοι: ἁμαρτίας γὰρ ἐξῃρημένης, ὀρθότητος δὲ ἡγουμένης, ἐν πάσῃ πράξει
καλῶς καὶ εὖ πράττειν ἀναγκαῖον τοὺς οὕτω διακειμένους, τοὺς δὲ εὖ πράττοντας εὐδαίμονας εἶναι. v. Erler
1991, 322 e sgg.; Witte 1970, 128; Dieterle 1966, 265 e ss.
64
Per il passaggio da eu prattein ad eudaimonein v. Ch. 173 d 4; Alc. I 116 b.
65
Erler 2006, 110. La divisione del lavoro come condizione per una buona organizzazione dello stato è un
concetto cardine nella Repubblica. Cf. Rp. 369 b - 372 a; 433 a – d.
23
di essa abbia costituito per lui una bruciante delusione66 . Sul carattere positivo
dell’ideologia mette l’accento Notomi67 . Dal suo punto di vista attraverso le tensioni interne
al dialogo si esamina un’ideologia politica condivisa indagando la causa del fallimento della
messa in atto di questa ideologia. L’ideale che si fa prassi, la parola che si fa politica, genera
il fallimento68 .

l) All’utopia del buon governo segue il sogno di Socrate (173 a 7- d 5). Il riferimento
è ad Od. XIX 535-69. Il sogno può essere vero, se entrato da una porta di corno, come può
essere falso, se entrato da una porta di avorio. Esso si lega all’utopia, ma da una prospettiva
differente: quella tecnica. Se a governare fossero i saggi ne conseguirebbe che le varie arti,
come timoniere, medico, stratego, sarebbero esercitate con la massima competenza. La
stessa mantica, sotto la direzione della sophrosyne, sarebbe solo vera mantica e non
ciarlataneria. La sophrosyne in sostanza opererebbe facendo opera di sorveglianza
(φυλάττουσα 173 d 2). Sarebbe impossibile non leggere il sogno di Socrate in continuità con
l’utopia, di cui ne definisce i termini. Altrettanto impossibile sarebbe non scorgere
nell’impiego del verbo phylattein una chiara allusione all’opera dei phylakes nella
Repubblica.
Ad essere felice, dunque, argomenta Socrate, non può essere soltanto colui che agisce
secondo scienza (ἐπιστημόνως, 173 d 7), perché allora anche il calzolaio, in quanto
possessore della scienza di fare le scarpe, sarebbe felice. Allora, avanza Socrate, è felice
colui che agisce secondo la scienza di alcune cose, suggerendo in questo modo la differenza
di piani. Ma quali sarebbero, dunque, le scienze foriere di felicità? Incalzato da Socrate
Crizia giunge alla V definizione.

m) V definizione di Crizia: sophrosyne come scienza del bene e del male (174 b 10 e
sgg.)69 . L’errore interpretativo nasce dal fatto che se la scienza in esame fosse quella del
bene e del male, essa priverebbe le altre scienze di questa caratteristica, facendole
degenerare. Questo andrebbe a discapito dell’utilità delle altre scienze e di quella suprema.
Tale ragionamento porta Socrate ad affermare:

66
infra, § II.2.2.
67
Notomi 2000, 237-250.
68
Per le vicende biografiche di Crizia v. infra, § III.1.2.
69
Cf. Lach. 199 c; Tuozzo 2011, 278-280; Witte 1970, 134-138.
24
οὐχ αὕτη δέ γε, ὡς ἔοικεν, ἐστὶν ἡ σωφροσύνη, ἀλλ᾽ ἧς ἔργον ἐστὶν τὸ ὠφελεῖν ἡμᾶς.
οὐ γὰρ ἐπιστημῶν γε καὶ ἀνεπιστημοσυνῶν ἡ ἐπιστήμη ἐστίν, ἀλλὰ ἀγαθοῦ τε καὶ
κακοῦ: ὥστε εἰ αὕτη ἐστὶν ὠφέλιμος, ἡ σωφροσύνη ἄλλο τι ἂν εἴη [ἡ ὠφελίμη] ἡμῖν.
(174 d 3-7) .

Il passo presenta qualche problema. A fare difficoltà la presenza dell’articolo davanti a


σωφροσύνη. Se ἡ σωφροσύνη è il soggetto della frase, difficile diventa giustificare
l’avversativa ἀλλά che introduce la proposizione relativa. Diverse ipotesi sono state fatte.
Già Madvig aveva proposto di espungere ἀλλά e considerare ἡ σωφροσύνη regolare
soggetto. In questo modo si avrebbe: la saggezza non è questa scienza, la cui opera etc.
Murphy70 recentemente ha accolto la proposta di Madvig. Radicale Müller71 il quale, per
evitare queste difficoltà, ha proposto di espungere l’intero periodo. Una diversa soluzione
propone Centrone72 considerando αὕτη soggetto della frase. In questo modo si tradurrebbe:
questa scienza allora (la scienza del bene e del male), a quanto pare, non è la saggezza.
Come giustificare la presenza dell’articolo davanti a σωφροσύνη che ne farebbe soggetto
della frase? Tale presenza sarebbe giustificata sulla base di un diverso uso dell’articolo. In
questo caso l’articolo non indicherebbe il soggetto, ma la presenza di un rapporto di identità
tra αὕτη e σωφροσύνη 73 . Ora, tra le diverse ipotesi sarebbe più naturale mantenere, con
Murphy, σωφροσύνη come soggetto della frase: la saggezza non è questo. Murphy nota
infatti che qui la sophrosyne ritorna come Topic, punto centrale dell’indagine. La struttura
sintattica richiama molto da vicino Euthd. 289d8-9. Da un punto di vista contenutistico qui
Socrate avanza, coerentemente con quanto precede, che la sophrosyne non risulta più una
scienza vantaggiosa (premessa precedente), ma viene a coincidere con la scienza del bene e
del male. Da qui la consecutiva: ὥστε εἰ αὕτη ἐστὶν ὠφέλιμος, ἡ σωφροσύνη ἄλλο τι ἂν εἴη
[ἡ ὠφελίμη] ἡμῖν, se quest’ultima (la scienza del bene e del male) risulta vantaggiosa, la
sophrosyne sarà per noi qualcos’altro74 .
A generare il paradosso è la difficoltà di capire il rapporto tra la sophrosyne e le altre
scienze. Se si confermasse, infatti, la definizione iniziale di Crizia - la sophrosyne come
scienza solo della scienza e della non scienza - non si capirebbe in che modo questo possa

70
Murphy 2007, 229-230.
71
Müller, 1567.
72
Centrone 1997, 302 n.83
73
v. Humbert 1960, 45.
74
Madvig per primo ha proposto l’espunzione di ὠφελίμη, seguito da Murphy. Schleiermacher
alternativamente aveva proposto di leggere ἢ disgiunzione piuttosto che ἡ articolo.
25
costituire un vantaggio per le altre technai (174 e 3 e sgg.). Ciò che manca è l’elemento
negativo, il non sapere75 .
Le valutazioni finali di Socrate (175 a 9 e sgg.) si pongono nel segno di una
consapevolezza delle conclusioni paradossali a cui si giunge, più volte rimarcata.
Contemporaneamente Socrate prende sulle sue spalle la sconfitta, assumendo di essere un
cattivo ricercatore (ταῦτ᾽ οὖν πάνυ μὲν οὖν οὐκ οἴομαι οὕτως ἔχειν, ἀλλ᾽ ἐμὲ φαῦλον εἶναι
ζητητήν,175 e 5 - 6). Il suo rammarico è tutto nei confronti di Carmide, se davvero quella
sophrosyne non dovesse essergli di alcuna utilità. Con una Ringkomposition a fine dialogo
ritorna in scena Carmide insieme al motivo dell’incantesimo di Zalmossi, di cui il giovane si
dichiara bisognoso76 . Nonostante l’apertura alla ricerca di Carmide, momento culminante
delle tensioni della precedente dialettica, il dialogo si chiude all’ombra della violenza,
infausto, veritiero presagio. Socrate si trova costretto ad impartire i suoi insegnamenti (ἀλλ᾽
οὐδεμία, ἔφην ἐγώ, λείπεται βουλή)77 . Il riferimento a bia compare non a caso tre volte in
pochissime battute:

βιάσῃ ἄρα, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ οὐδ᾽ ἀνάκρισίν μοι δώσεις;


ὡς βιασομένου, ἔφη, ἐπειδήπερ ὅδε γε ἐπιτάττει: πρὸς ταῦτα σὺ αὖ βουλεύου ὅτι
ποιήσεις.
ἀλλ᾽ οὐδεμία, ἔφην ἐγώ, λείπεται βουλή: σοὶ γὰρ ἐπιχειροῦντι πράττειν ὁτιοῦν καὶ
βιαζομένῳ οὐδεὶς οἷός τ᾽ ἔσται ἐναντιοῦσθαι ἀνθρώπων. (Ch. 176 c 7 - d 3).

βιάσῃ, 176 c 7; βιασομένου, 176 c 8; βιαζομένῳ, 176 d 2: quest’insistenza martellante in


chiusura non può essere casuale, così come non poteva essere casuale l’insistenza
sull’aporein di Crizia e Socrate in 169 c 2 - d 1. La violenza costituirà infatti lo sviluppo
fattuale dell’ideologia di Crizia, a cui Carmide si dimostra fedele fino alla fine.

75
Si ritornerà su questo in riferimento alla caratterizzazione di Crizia (infra, § IV.2.3).
76
Sull’importanza dell’incantesimo in rapporto a Carmide v. infra, § IV.2.4.
77
Di fatto Socrate si troverà realmente costretto da Crizia e Carmide a divenire complice del regime, ma alla
costrizione Socrate opporrà un netto rifiuto (v. infra, § II.2.2).
26
II. Il dialogo con la storia nel Carmide

Il seguente capitolo ha lo scopo di mettere in evidenza il peso della storia nel


Carmide. Se nel precedente capitolo abbiamo osservato la struttura complessiva del dialogo
nei suoi snodi fondamentali, adesso ci focalizzeremo sul dettaglio storico, visto come
componente essenziale della struttura drammatica, elemento che, insieme alla
caratterizzazioni dei personaggi e alla scelta degli stessi, fornisce plausibilità e
verosimiglianza al testo78 . Nel dialogo in esame, in particolare, riferimenti puntuali a fatti
storici si trovano già a partire dall’incipit79 (il ritorno di Socrate dalla battaglia di Potidea)
per poi ripresentarsi alla fine del dialogo 80 . La stessa sophrosyne, oggetto dell’elenchos, è,
come già precedentemente sottolineato, parola chiave che ben si colloca in un contesto
avente precise coordinate spazio-temporali: l’Atene del V secolo a.C., l’Atene in cui vivono
ed operano il vero Crizia e il vero Carmide, esponenti di una cerchia, quella aristocratica,
avente un suo codice di valori ben codificato. All’interno di questo codice Platone elabora e
sviluppa il suo pensiero. Crizia per Platone è un punto di partenza e un termine di confronto
importante, come alcuni passi della VII Lettera mettono in evidenza.
Ma parlare di storia nel Carmide, così come in qualsiasi altro dialogo del corpus, non
è solo questo. Non si tratta soltanto di vedere la storia del dialogo, ossia quella che crea,
insieme ai personaggi, il dramma. Si tratta anche di vedere la storia in cui il dialogo prende

78
Per l’importanza del realismo nei dialoghi di Platone v. ad es. Wolfsdorf 2004a, 15-40.
79
Ch. 153 a-b.
80
cf. Ch. 154 b 2-4 (constatazione della crescita del giovane Carmide); 176 c-d (sezione finale, allusioni alla
direzione violenta che prenderà la rivoluzione del 404 a.). La precizione dell’historical setting nel dialogo è
sottolineata da Planeaux 1999, 72-77. L’ipotesi di Planeaux si discosta da quella comunemente accettata dalla
critica, ossia che il riferimento di Socrate sia alla battaglia di Potidea avvenuta nel 432 a.C., la stessa battaglia
descritta da Alcibiade nel Simposio (Symp. 219 e -222 d) in cui Socrate avrebbe salvato la vita a quest’ultimo.
Dimostando alcune incongruenze tra il racconto di Alcibiade, quello di Socrate e la descrizione dell’assedio di
Potidea in Th. I 63-64, Planeaux arriva alla conclusione che si tratta di battaglie differenti, anche se avvenute
in località limitrofe. La battaglia di cui parlerebbe Alcibiade sarebbe quella del 432, mentre quella di cui parla
Socrate sarebbe avvenuta nel 429 a.C. (Th. II 79 1-8). L’ipotesi resta isolata.
27
forma, il periodo di composizione, la cronologia. A Dušanić 81 va il merito di aver messo in
stretta relazione queste due componenti, cronologia reale e fittizia, e di aver dimostrato
come tra le due cronologie ci sia un forte legame.
Per finire dobbiamo ricordare un’altra dimensione storica strettamente legata al
Carmide: il futuro della cronologia fittizia, ossia la rivoluzione oligarchica del 404 a.C. che
vedrà Crizia e Carmide protagonisti e che segnerà una svolta decisiva all’interno della
fazione aristocratica. Questa terza dimensione storica si pone a metà tra cronologia fittizia e
cronologia reale. Ad essa allude, come vedremo, il testo in alcuni punti e con essa si
confronta Platone nel tentativo di dare una risposta all’insuccesso dell’impresa del Trenta82 .

II.1 La tesi di Dušanić

Dušanić in un articolo dal titolo Critias in the Charmides83 valuta la caratterizzazione


di Crizia nel Carmide in maniera originale. Il dialogo, infatti, si verrebbe a configurare
come un’apologia di Crizia 84 visto come figura emblematica all’interno dell’Accademia 85 .
Platone attraverso Crizia cercherebbe di mettere in guardia i cittadini dal lasciarsi trascinare
in un altro potenziale conflitto contro Sparta, facendosi sostenitori di una Tebe indipendente
(siamo negli anni intorno 382 a.C.). In altre parole, Platone intenderebbe, attraverso una tale
caratterizzazione del personaggio, esortare gli Ateniesi alla sophrosyne come autocontrollo
e dunque come hesychia. Da un punto di vista politico ciò comporterebbe una politica non
interventista. Se da un lato la convinzione di un’ apologia di Crizia nel Carmide ci lascia
titubanti, dall’altro si deve riconoscere al contributo una serie di meriti: 1. l’aver messo in
relazione la caratterizzazione di Crizia nei dialoghi del corpus riconoscendone l’affinità; 2.
l’aver riconosciuto una coerenza tra il ritratto di Crizia in Platone e la carriera politica di
Crizia, che Platone intenderebbe riabilitare, così come l’anonimo autore dell’Erissia86 ; 3.
l’aver posto l’accento sul contesto storico in cui il Carmide prende forma. Riteniamo,
infatti, che la cronologia reale del dialogo ne aiuti a decifrare alcuni aspetti. In particolare
alcune valutazioni sul contesto in cui il dialogo fu composto renderebbero ragione di quella

81
Dušanić 2000, 53-63.
82
Si legga a proposito Notomi 2004, 301-314.
83
supra, n. 81.
84
Dušanić 2000, 53.
85
Crizia personificherebbe, in quanto allievo di Socrate e parente di Platone, l’aspetto politico-paideutico delle
attività dell’Accademia (the political-educational aspects of the Academy’s activities, 59). Egli sarebbe un
personaggio emblematico, portatore di un political heritage al tempo in cui il Carmide venne scritto. Cf.
Aeschi. I 173, che in un contesto antiplatonico continuerebbe a difendere Crizia e i valori che incarna.
86
In particolare la definizione nell’Erissia che soltanto il saggio è ricco servirebbe a discolpare Crizia dalle
accuse di rapacità. sull’Erissia, infra, 142 n. 466.
28
pluralità di riferimenti puntuali nel dialogo e dell’impatto che tali riferimenti dovevano
avere sul lettore. Nelle pagine seguenti intendiamo esaminare alcune delle tesi del
contributo di Dušanić. Tali tesi serviranno come punto di pertenza e come spunto per
ulteriori riflessioni, che possono essere inquadrate all’interno della tematica del dialogo con
la storia nel Carmide. Di seguito alcune ipotesi di Dušanić su cui soffermeremo la nostra
attenzione:
1. l’ipotesi di un legame tra il Carmide e l’Elena di Isocrate;
2. 382 a.C. come data di composizione del Carmide attraverso il confronto con l’orazione
XXVI di Lisia, sulla dokimasia di Evandro;
3. parallelismi tra il ruolo di Potidea nel 432 e nel 382.

II.1.1 L’ Elena di Isocrate

Secondo Dušanić l’Elena di Isocrate andrebbe letta come una risposta polemica alla
visione politica di Platone espressa nel Carmide87 . In particolare in X,1 e X,5 ci sarebbe
una critica ai metodi dell’insegnamento socratico. In X,32; X,37, all’interno dell’elogio di
Teseo, eroe democratico per eccellenza, si dovrebbe scorgere una critica allusiva a Crizia e
alla tirannide dei Trenta.
Nel riportare questa ipotesi siamo consapevoli di entrare all’interno di un territorio
tuttora fortemente dibattuto. Si tratta del dibattito inerente il rapporto che intercorre tra
Platone e Isocrate. Com’è noto la critica si divide tra coloro che sostengono un’assenza di
conflittualità e coloro che invece sostengono che la rete di allusioni rintracciabile negli
scritti di Platone ed Isocrate sia da interpretare nel segno di un’accesa polemica 88 . In
particolare la critica si divide sulla valutazione dell’elogio di Isocrate alla fine del platonico
Fedro89 . La questione è complessa e coinvolge tutta la produzione di Platone e di Isocrate90.
Come è comprensibile, in questa sede non s’ intende scendere all’interno di tali, seppur
stimolanti, questioni. Restringeremo il campo al nostro Carmide e all’Elena, opera discussa

87
Dušanić 2000, 57. Nell’Elena lo studioso scorge anche un riferimento alla visione politica che Platone
esprime nell’Eutidemo, per cui si veda Dušanić 1999, 1-16
88
Nella direzione di una continuità Platone-Isocrate, riscontrabile nell’elogio di Isocrate alla fine del Fedro, si
pone Tulli 1990, 403-422 e similmente Erler 1993, 149-164. Nel segno di una conflittualità si pone oggi la
ricostruzione di Eucken (si veda in particalare Eucken 1983). Sulla stessa scia di Eucken, nel valutare il
rapporto di reciproche allusioni tra Platone ed Isocrate e le rispettive strategie letterarie, Roscalla 1998, 109-
132. Che questa corrente abbia le proprie radici nella nella corrente accademica tedesca del XIX sec. lo
sostiene Tulli 2007, 92.
89
supra n. 88. Eucken (1983, 115-120) considera il Fedro come una risposta polemica all’Elena.
90
Un contributo recente a titolo di esempio: Eucken 2010, 131-145, mette in rapporto in particolare il
Menesseno di Platone e il Panegirico di Isocrate. Sul Menesseno si veda Tulli 2002, 301-314.
29
e di cui non manca un’abbondante letteratura secondaria, la cui conflittualità è segno e
riflesso del dibattito che coinvolge queste due grandi figure nel panorama del IV sec. a.C. 91 .
In questa sede cercheremo di verificare se sia possibile trovare qualche punto di contatto tra
l’Encomio e il Carmide.
Partiamo dal proemio (X, 1-6). Tulli92 riconosce nel proemio isocrateo e in particolare nella
prima parte (X, 1-2), lo schema della Priamel93 . La struttura polare consentirebbe ad
Isocrate di confrontare gli altri (οἱ μὲν… οἱ δὲ…ἄλλοι δέ) con se stesso (ἐγὼ δέ)94 .
Leggiamo la sezione iniziale dell’orazione di Isocrate:

X, [1] εἰσί τινες οἳ μέγα φρονοῦσιν, ἢν ὑπόθεσιν ἄτοπον καὶ παράδοξον ποιησάμενοι
περὶ ταύτης ἀνεκτῶς εἰπεῖν δυνηθῶσι: καὶ καταγεγηράκασιν οἱ μὲν οὐ φάσκοντες οἷόν
τ᾽ εἶναι ψευδῆ λέγειν οὐδ᾽ ἀντιλέγειν οὐδὲ δύω λόγω περὶ τῶν αὐτῶν πραγμάτων
ἀντειπεῖν, οἱ δὲ διεξιόντες ὡς ἀνδρία καὶ σοφία καὶ δικαιοσύνη ταὐτόν ἐστι, καὶ φύσει
μὲν οὐδὲν αὐτῶν ἔχομεν, μία δ᾽ ἐπιστήμη καθ᾽ ἁπάντων ἐστίν: ἄλλοι δὲ περὶ τὰς
ἔριδας διατρίβουσι τὰς οὐδὲν μὲν ὠφελούσας, πράγματα δὲ παρέχειν τοῖς
πλησιάζουσι δυναμένας. [2] ἐγὼ δ᾽ εἰ μὲν ἑώρων νεωστὶ τὴν περιεργίαν ταύτην ἐν
τοῖς λόγοις ἐγγεγενημένην καὶ τούτους ἐπὶ τῇ καινότητι τῶν εὑρημένων
φιλοτιμουμένους, οὐκ ἂν ὁμοίως ἐθαύμαζον αὐτῶν: νῦν δὲ τίς ἐστιν οὕτως ὀψιμαθής,
ὅστις οὐκ οἶδε Πρωταγόραν καὶ τοὺς κατ᾽ ἐκεῖνον τὸν χρόνον γενομένους σοφιστάς,
ὅτι καὶ τοιαῦτα καὶ πολὺ τούτων πραγματωδέστερα συγγράμματα κατέλιπον ἡμῖν;

Dietro i tre Foils bisognerebbe scorgere: 1. Antistene; 2. Platone; 3. gli eristi. Come nota
Tulli, Isocrate qui anticipa Aristotele, Metafisica (1024b26 – 34; V A 152 Giannantoni)
nell’identificare le tre tesi principali di Antistene 95 . Il riferimento agli eristi è abbastanza
esplicito: ἄλλοι δὲ περὶ τὰς ἔριδας διατρίβουσι τὰς οὐδὲν μὲν ὠφελούσας, πράγματα δὲ

91
Sull’Elena si veda ad esempio: Giuliani 1998 (confronto tra l’Elena di Gorgia, Isocrate, Euripide); Zajonz
2002 (commento all’orazione); Noël 2008, 183-196 (sull’uso dei termini semeion e tekmerion); Tulli 2007, 91-
105; Tulli 2012, 861-872 (contributo che ricostruisce le trame che legano L’Elena e il Fedro di Platone
relativamente all’aneddoto della cecità di Stesicoro e della palinodia); Andorlini 2003, 3-6 (su un nuovo
frammento papiraceo dell’Elena); Sylvie 2009, 69-79; Laplace 2011, 165-178 (l’Elena è messa in rapporto da
un lato col Fedro di Platone, dall’altro col Panegirico isocrateo).
92
Tulli 2007, 91-105.
93
Tulli 2007, 93. Già Bundy 1986, 1-33. Sulla Priamel si veda Race 1982, il quale però non ne riconosce
l’utilizzo da parte di Isocrate.
94
Lo schema della Priamel è tipico della poesia greca. Qui Platone intende mostrare una dipendenza da Saffo
(16 Voigt). Lo stesso schema lo si ritrova nell’encomio di Elena di Gorgia (Tulli 2007, 93). Lo stesso Platone
si serve dello schema della Priamel nel paragonare il non sapere di Socrate con il sapere della tradizione
(Tulli 2007, 101). Cf. ad esempio Ap. 19d-21a; Lys. 213d-216b; Prot. 316a-362a; Tim. 19b-20d.
95
Tulli 2007, 94.
30
παρέχειν τοῖς πλησιάζουσι δυναμένας96 . Ma ciò che qui ci interessa è che parte della critica
riconosca il riferimento a Platone97 . Nel testo Isocrate accenna ad un sapere stabile ed
unico, μία ἐπιστήμη, trasmissibile, non presente dalla nascita, φύσει, a cui la virtù, nella sua
unicità (ταὐτόν ἐστι), fa riferimento. Il tema dell’unità della virtù è centrale nel Protagora
di Platone98 . Alcuni luoghi del dialogo, infatti, pongono la questione dell’unità dell’arete in
termini sorprendentemente affini, tanto da non lasciare dubbi. Riportiamo di seguito alcuni
esempi:

a) Prot. 329 e 2 - 330 a 1 πότερον οὖν, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ μεταλαμβάνουσιν οἱ ἄνθρωποι


τούτων τῶν τῆς ἀρετῆς μορίων οἱ μὲν ἄλλο, οἱ δὲ ἄλλο, ἢ ἀνάγκη, ἐάνπερ τις ἓν λάβῃ,
ἅπαντα ἔχειν; οὐδαμῶς, ἔφη, ἐπεὶ πολλοὶ ἀνδρεῖοί εἰσιν, ἄδικοι δέ, καὶ δίκαιοι αὖ,
σοφοὶ δὲ οὔ. ἔστιν γὰρ οὖν καὶ ταῦτα μόρια τῆς ἀρετῆς, ἔφην ἐγώ, σοφία τε καὶ
ἀνδρεία;

b) Prot. 330 b3 καὶ ἐγὼ εἶπον: οὐδὲν ἄρα ἐστὶν τῶν τῆς ἀρετῆς μορίων ἄλλο οἷον
ἐπιστήμη, οὐδ᾽ οἷον δικαιοσύνη, οὐδ᾽ οἷον ἀνδρεία, οὐδ᾽ οἷον σωφροσύνη, οὐδ᾽ οἷον
ὁσιότης (…)

Si noti come nel primo esempio (a) compaiano le stesse identiche virtù che Isocrate cita,
anche se in riferimento ad individui concreti, pertanto nella forma aggettivale . In b) si può
notare, invece, che le virtù espresse differiscono sia dalla virtù per eccellenza che
dall’ἐπιστήμη. Questa valutazione è interessante: se si ritorna a X, 1, al secondo foil della
Priamel, si legge che uno è l’ ἐπιστήμη. Il fatto che qui Isocrate metta in gioco non solo
l’ἀρετή, ma anche il sapere stabile, l’ἐπιστήμη, ci consente di avanzare un parallelo con il
nostro Carmide. In particolare μία δ᾽ ἐπιστήμη καθ᾽ ἁπάντων ἐστίν, ricorda molto da vicino
Ch. 166 c 1-2:

(…) ἀλλ᾽ αἱ μὲν ἄλλαι πᾶσαι ἄλλου εἰσὶν ἐπιστῆμαι, ἑαυτῶν δ᾽ οὔ, ἡ δὲ μόνη τῶν τε
ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη ἐστὶ καὶ αὐτὴ ἑαυτῆς.
Tutte le scienze sono scienze di qualcos’altro, non di se stesse, mentre essa sola è scienza delle altre
scienze e di se stessa.

96
Un ritratto della pratica eristica ci è offerto da Platone nell’Eutidemo (275c-277c).
97
In questo modo l’ipotesi di Dušanić sarebbe non da respingere nella sua interezza. Oltre a Tulli 2007, 95,
qui riconosce il volto di Platone anche Szlezák 1988, 467.
98
Sul tema dell’unità della virtù nel Protagora si veda Ferrari 2004, 292-300; Trabattoni 2004, 267-291. Cf.
anche Plat. Lach. 198 a. Sull’unità della virtù in Platone v. Kahn 1976, 21-39.
31
Come si ricorderà questa è una delle definizioni che vengono date da Crizia, in particolare la
IV99 .
È necessaria una precisazione. Per Protagora tutti partecipano indistintamente della
virtù politica (si ricordi a proposito il mito di Prometeo nella sezione iniziale del dialogo).
Questo è il presupposto per l’esistenza stessa delle città (323 a 1 - 4). Ma sebbene tutti
potenzialmente ne partecipino, essa non è presente in tutti allo stesso identico modo. Alcuni
infatti sono più votati ad essa. Tra quelli più propensi ad esercitare la virtù l’insegnamento
protagoreo può avere il massimo effetto100 . Egli è infatti, come egli stesso ammette, in
pieno possesso di questa virtù. Anche qui il riferimento di Isocrate X,1 al Protagora risulta
dunque puntuale, si legga in particolare Prot. 323 c 5 - 7:

(…) αὐτὴν οὐ φύσει ἡγοῦνται εἶναι οὐδ᾽ ἀπὸ τοῦ αὐτομάτου, ἀλλὰ διδακτόν τε καὶ ἐξ
ἐπιμελείας101 παραγίγνεσθαι ᾧ ἂν παραγίγνηται (…)

Una volta provata l’allusione al Protagora di Platone bisogna chiedersi: 1. è possibile


sulla base delle evidenze testuali avanzare l’ipotesi di una qualche relazione tra l’Elena e il
Carmide? ; 2. ci sono altri elementi in grado di verificare l’ipotesi? Per rispondere al
secondo quesito si potrebbe partire da un confronto delle rispettive cronologie, sia reali che
fittizie. Per quanto riguarda la cronologia fittizia del Protagora si prende solitamente come
riferimento l’età di Alcibiade, al quale fiorisce in pieno la barba (Prot. 309 a 4-5). Dunque
Alcibiade avrebbe più di 18 anni. Se Alcibiade, come è noto, partecipò alla battaglia di
Potidea nel 432 a.C., il suo efebato non deve essere stato posteriore al 433, come nota
Adorno102 . Si sarebbe nell’anno che precede la battaglia di Potidea, tra il 433 e il 432 a.C.
La cronologia del Carmide, come si ricorderà, non desterebbe problemi. Siamo subito dopo
la battaglia di Potidea del 432 a.C., battaglia in cui Socrate salvò la vita ad Alcibiade 103 .
Protagora e Carmide sono dunque vicini nella loro rappresentazione drammatica,
ambientati rispettivamente nel momento immediatamente precedente e immediatamente
successivo della battaglia. Ci sono ragioni per sostenere che le cronologie reali abbiano
anche un’ uguale vicinanza? Per il Carmide si parla dell’anno 382 a.C. come data di

99
supra, § I.I.
100
Sulla possibilità di acquisire una virtù che non si ha physei si veda Prot. 324 b 6; c 5.
101
Sull’importanza dell’epimeleia in relazione a Crizia v. infra, § III.1.4.
102
Adorno 1996, XXIV; Tulli 2012, 862.
103
v. Plat. Symp. 219 e-220 d. Anche se non manca chi mette in discussione che Alcibiade nel Simposio e
Socrate nel Carmide stiano riferendosi alla stessa battaglia (v. Planeaux 1999, 72-76. v. supra, 27 n. 80).
32
composizione. Tale ipotesi verrà a breve presa in esame 104 . Per il Protagora, invece, non si
hanno indizi cogenti per una valutazione esatta della data di composizione. A proposito
Adorno:

Difficile - non abbiamo dati storicamente probabili - è dire quando Platone abbia scritto il Protagora.
Riteniamo al tempo del Gorgia e del Menone: certo al tempo in cui Platone vedeva gran parte della
decadenza ateniese dovuta all’atteggiamento neo-gorgiano e neo-protagoreo, che si delineava con
l’insegnamento di Isocrate, fondatore di una scuola epidittico-retorica, nel 391 circa. Come il Gorgia,
anche il Protagora dovrebbe risalire agli anni tra il 390 e il 380. Non è che un’ipotesi105 .

Considerazioni per noi interessanti quelle di Adorno. Da un lato viene evidenziato il legame
tra il Protagora e la scuola di Isocrate, a sostegno della rete di allusioni che abbiamo
precedentemente messo in rilievo. Dall’altro si accenna ad un decennio, 390-380, all’interno
del quale cadrebbe la scrittura del Carmide. Uguale l’ipotesi di scrittura dell’Elena: lo stesso
decennio 390-380106 . Le ipotesi consentirebbero allora, con le dovute cautele, di fare
entrare il Carmide in questa rete di rapporti. Che alla base ci sia un contesto storico-
culturale affine lo dimostrano alcune evidenze testuali al di là di quelle, troppo poche,
evidenziate da Dušanić. La sophrosyne, termine chiave, la ritroviamo sia, più volte,
nell’Elena, sia, come è già noto, nel Protagora, insieme alle altre virtù che formano la
politike techne. Nell’Elena fa la sua comparsa in X,31 in riferimento a Teseo. Interessante
notare che nell’elogio delle virtù di Teseo compare per prima l’andreia, poi l’eusebeia, e
infine:

[…] τὴν δ᾽ ἄλλην ἀρετὴν καὶ τὴν σωφροσύνην ἔν τε τοῖς προειρημένοις καὶ μάλιστ᾽
ἐν οἷς τὴν πόλιν διῴκησεν.

Dietro τὴν δ᾽ ἄλλην ἀρετήν si potrebbe vedere l’unità della virtù di cui la sophrosyne fa
parte, insieme al coraggio e all’eusebeia. Qui sembra essere sotteso il principio dell’unità
della virtù del Protagora. Questo passo ha il merito inoltre di connettere la sophrosyne al
governo della città, dimostrandone ancora una volta la valenza politica, la stessa valenza che
ha nel Carmide. L’atteggiamento di sophrosyne, in altre parole, legittima il buon governo
della città, come è chiaramente espresso nell’utopia del buon governo del Carmide (171 d-

104
infra, § II.1.2.
105
Adorno 1996, XXVII.
106
Tulli 2007, 92, 95.
33
172 a 3). Notiamo pure un altro interessante dettaglio: il passo citato precede appena la
descrizione dell’agire politico di Teseo. Tale descrizione è citata da Dušanić come
riferimento polemico al Carmide. Per Dušanić ci sarebbe una polarizzazione tra la figura di
Teseo, eroe democratico per eccellenza, e quella di Crizia. elogiato nel Carmide e
indirettamente preso di mira in Elena X, 32-33. Dalla lettura dell’elogio di Teseo e da
qualche dettaglio che segue sono venuti alla luce alcuni indizi che da un lato possono
confermare come qui sia presente un riferimento ai Trenta e allo stesso Crizia 107, dall’altro,
però, smentiscono la polarità democrazia-tirannide evidenziata da Dušanić. In X, 32-33 si
legge:

[32] ὁρῶν γὰρ τοὺς βίᾳ τῶν πολιτῶν ἄρχειν ζητοῦντας ἑτέροις δουλεύοντας καὶ τοὺς
ἐπικίνδυνον τὸν βίον τοῖς ἄλλοις καθιστάντας αὐτοὺς περιδεῶς ζῶντας, καὶ πολεμεῖν
ἀναγκαζομένους μετὰ μὲν τῶν πολιτῶν πρὸς τοὺς ἐπιστρατευομένους, μετὰ δ᾽ ἄλλων
τινῶν πρὸς τοὺς συμπολιτευομένους, [33] ἔτι δὲ συλῶντας μὲν τὰ τῶν θεῶν,
ἀποκτείνοντας δὲ τοὺς βελτίστους τῶν πολιτῶν, ἀπιστοῦντας δὲ τοῖς οἰκειοτάτοις,
οὐδὲν δὲ ῥᾳθυμότερον ζῶντας τῶν ἐπὶ θανάτῳ συνειλημμένων, ἀλλὰ τὰ μὲν ἔξω
ζηλουμένους, αὐτοὺς δὲ παρ᾽ αὑτοῖς μᾶλλον τῶν ἄλλων λυπουμένους.

Teseo vedeva che quando si cerca di dominare con la violenza, βίᾳ, i cittadini, si è schiavi
degli altri. La presenza di βίᾳ richiamerebbe lo stesso termine che compare, come abbiamo
visto nel I capitolo 108 , con insintenza martellante alla fine del nostro dialogo e che proprio
per questo suo ricorrere con frequenza era stato interpretato come un elemento da un forte
valore simbolico. Dietro queste parole sembra essere vivo il ricordo della recente esperienza
della tirannide e del terrore che aveva portato i rappresentanti di tale governo a uccidere i
migliori dei cittadini (…ἀποκτείνοντας δὲ τοὺς βελτίστους τῶν πολιτῶν). L’agire politico di
Teseo si pone contro tutto questo. In che misura però l’elogio di Teseo e le stesse virtù
dell’eroe creano quella che per Dušanić è una contrapposizione radicale con ciò che emerge
dal Carmide e dalle definizioni che in esso vengono date della sophrosyne? Sono
rintracciabili, a nostro avviso, al contrario, alcuni punti di contatto tra le definizioni del
dialogo e la caratterizzazione del Teseo di Isocrate.

107
Bultrughini 1999, 311 e ss.. sostiene che l’allusione a Crizia, presenza sotterranea e scomoda, compaia
frequentemente nelle opere del IV secolo e in particolare in Isocrate. Ad. Una esplicita critica dei Trenta si
trova nell’Areopagitico (VII, 62-69), ma anche in XVI, 12-37-40-46-50; XVIII 16-17; 35-67; XXI 2; 11-12.
108
infra, § I.I.
34
a) In X, 25 Teseo è definito ad esempio padrone di se stesso (κύριος ὢν). Si ricorderà
di come le prime definizioni di Carmide cerchino di cogliere gli aspetti esteriori della
sophrosyne, aspetti che si collegano con la tradizione. Secondo la tradizione tale virtù è da
intendersi come autocontrollo. Manifestazioni di ciò sarebbero una compostezza e una
lentezza dell’agire (…σωφροσύνη εἶναι τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ ἡσυχῇ…, Ch.159 b
2 - 3). Dunque un carattere mite, lo stesso che si rintraccia nella caratterizzazione di
Carmide. Strettamente legato a queste manifestazioni è il pudore, l’aidos (εἶναι ὅπερ αἰδὼς
ἡ σωφροσύνη, 160 e 4 - 5). Teseo nell’essere kyrios di se stesso e nel possedere la
sophrosyne si pone in linea con la visione tradizionale di questa virtù 109 .
b) In X, 37 si sottolinea come nei costumi attuali restino tracce della sua mitezza:

(…) οὕτω γὰρ νομίμως καὶ καλῶς διῴκει τὴν πόλιν ὥστ᾽ ἔτι καὶ νῦν ἴχνος τῆς ἐκείνου
πραότητος ἐν τοῖς ἤθεσιν ἡμῶν καταλελεῖφθαι.

Il termine πραότης non è presente nel Carmide, ma non è difficile scorgere nelle definizioni
del giovane lo stesso identico atteggiamento approntato a pudore e lentezza dell’azione.
c) Per quanto riguarda il suo essere eroe democratico per eccellenza, riportiamo le
parole di Isocrate a proposito:

X, 36 τοσούτου δ᾽ ἐδέησεν ἀκόντων τι ποιεῖν τῶν πολιτῶν ὥσθ᾽ ὁ μὲν τὸν δῆμον
καθίστη κύριον τῆς πολιτείας, οἱ δὲ μόνον αὐτὸν ἄρχειν ἠξίουν, ἡγούμενοι πιστοτέραν
καὶ κοινοτέραν εἶναι τὴν ἐκείνου μοναρχίαν τῆς αὑτῶν δημοκρατίας. οὐ γὰρ ὥσπερ
ἕτεροι τοὺς μὲν πόνους ἄλλοις προσέταττε, τῶν δ᾽ ἡδονῶν αὐτὸς μόνος ἀπέλαυεν,
ἀλλὰ τοὺς μὲν κινδύνους ἰδίους ἐποιεῖτο, τὰς δ᾽ ὠφελείας ἅπασιν εἰς τὸ κοινὸν
ἀπεδίδου.

Secondo Isocrate, sebbene Teseo abbia eletto il popolo padrone della politica, i cittadini
ritennero lui solo degno di governare, ritenendo il suo governo monarchico maggiormente
affidabile e improntato al bene comune rispetto al loro governo democratico. Dunque Teseo
in virtù della sua sophrosyne è legittimato a governare allo stesso modo del sophron del
Carmide, che in virtù della sua superiorità è in grado di essere maggiormente utile al bene
comune. Questo consente una distribuzione paritaria dei vantaggi (ὠφελείας ἅπασιν εἰς τὸ

109
Anche Platone difinisce se stesso kyrios nella VII Lettera (324 b 9). In questo caso indicherebbe il
compimento della maggiore età, v. Knab 2006, 129, il quale sottolinea come tale utilizzo avesse valore
idiomatico.
35
κοινὸν ἀπεδίδου). L’ophelia è una conseguenza di questo agire anche nel Carmide, insieme
con la felicità110 . Solo chi è superiore, sembra di poter desumere, è legittimato a governare
proprio in virtù di questa superiorità. Un tale governo è preferibile ad un governo
democratico. La coincidenza di contenuto con l’utopia del buon governo del Carmide è
forte. Ma leggiamo ciò che segue:

[37] καὶ γάρ τοι διετέλεσε τὸν βίον οὐκ ἐπιβουλευόμενος ἀλλ᾽ ἀγαπώμενος, οὐδ᾽
ἐπακτῷ δυνάμει τὴν ἀρχὴν διαφυλάττων, ἀλλὰ τῇ τῶν πολιτῶν εὐνοίᾳ
δορυφορούμενος, τῇ μὲν ἐξουσίᾳ τυραννῶν, ταῖς δ᾽ εὐεργεσίαις δημαγωγῶν: οὕτω
γὰρ νομίμως καὶ καλῶς διῴκει τὴν πόλιν (…)

In queste righe si coglie l’ambivalenza dell’autorità di Teseo, il quale τῇ μὲν ἐξουσίᾳ


τυραννῶν, ταῖς δ᾽ εὐεργεσίαις δημαγωγῶν. Egli è sia tyrannos che demagogos. Tyrannos
perché indiscussa la sua autorità, demagogos in virtù delle euergesiai, delle buone azioni, e
dunque dei benefici nei confronti del popolo.
Sembra emergere qui uno sfondo comune, una visione etico-politica non nettamente
contrapposta, come vuole parte della critica, ma improntata ad un confronto costruttivo. Non
mancherebbero i punti di divergenza, ma parallelamente non mancherebbe il terreno del
dialogo e dell’incontro, rintracciabile a nostro avviso nella lettura parallera dell’elogio di
Teseo interno all’Elena e del Carmide, in alcuni suoi snodi fondamentali in cui si coglie
pienamente il valore politico del dialogo. Per il momento tale conclusione resta un’ipotesi,
suscettibile di critiche e approfondimenti, punto di partenza, forse, per un ripensamento di
certi rapporti che risentono di un pregiudizio di antichi e moderni. Lo stesso pregiudizio che
pesa sulla figura di Crizia111 .
Altra comparsa della sophrosyne nell’Elena la si ha subito dopo, in X, 38, in
riferimento alla stessa Elena.

τὴν δὴ γεννηθεῖσαν μὲν ὑπὸ Διός, κρατήσασαν δὲ τοιαύτης ἀρετῆς καὶ σωφροσύνης,
πῶς οὐκ ἐπαινεῖν χρὴ καὶ τιμᾶν καὶ νομίζειν πολὺ τῶν πώποτε γενομένων διενεγκεῖν;

110
Cf. Ch. 171 d 5-6: (…) μεγαλωστὶ ἂν ἡμῖν, φαμέν, ὠφέλιμον ἦν σώφροσιν εἶναι (…). L’agire secondo
sophrosyne produce non soltanto un utile collettivo, ma una distribuzione dei ruoli adeguata alle capacità di
ciascuno, come si legge in 171 e 1-2: (…) οὔτε γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν πράττειν ἃ μὴ ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽
ἐξευρίσκοντες τοὺς ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν παρεδίδομεν (…). Un tale agire genera felicità (Ch. 172 a 1-3):
ἁμαρτίας γὰρ ἐξῃρημένης, ὀρθότητος δὲ ἡγουμένης, ἐν πάσῃ πράξει καλῶς καὶ εὖ πράττειν ἀναγκαῖον τοὺς
οὕτω διακειμένους, τοὺς δὲ εὖ πράττοντας εὐδαίμονας εἶναι.
111
infra, § III.1.1.
36
Anche Elena, come Teseo, è in possesso delle stesse virtù politiche. Ma ci si potrebbe
chiedere se e in che modo la figura di Elena abbia una connessione con la politica e se
questa connessione sia rintracciabile all’interno del testo e ancora se abbia delle connessioni
con l’attualità. La risposta a questi tre interrogativi è affermativa. Lo stesso Tulli nota come
nella sezione finale dell’orazione (61-66) Elena diventi un simbolo positivo capace di
esprimere la comune politica, il comune impegno culturale dei Greci 112 . Attraverso la
caratterizzazione di Elena come sophron Isocrate esprime il suo ideale politico 113 . In
particolare in X, 67 – 68 viene sottolineato il ruolo di Elena nell’aver favorito una serie di
benefici. Oltre alle technai e alle philosophiai, a buon diritto potremmo pensare che Elena
sia la causa del fatto di non essere schiavi dei barbari. Troveremo infatti che gli Elleni,
raggiunta la concordia grazie a lei, fecero una spedizione comune contro i barbari, e
allora, per la prima volta, l’Europa eresse sull’Asia un trofeo di vittoria. Nella concordia
tra i Greci e nell’esigenza di una comune spedizione contro i Persiani si nascondono alcune
delle necessità politiche per Isocrate. Emergerebbe da qui il valore politico del discorso e il
suo legame stringente con l’attualità, passando attraverso un confronto con gli eventi che
hanno lasciato un segno, come il governo dei Trenta. Isocrate, allo stesso modo del Platone
del Carmide e del Protagora, si interroga sulla virtù politica. In entrambi priorità assoluta
che giustifica lo sforzo letterario è il presente nella sua dimensione politica dell’utilità. Se lo
scopo è coincidente e ugualmente coincidenti sono gli ideali su cui si sono formati,
differenti gli sviluppi del pensiero, da inquadrare nell’ottica di un dialogo, possibile, sulla
comune convinzione del ruolo chiave della filosofia114 .

112
Tulli 2007, 100. Sul ruolo politico di Elena - dell’Elena si veda anche Zajonz 2002, 38-40: Die Helene als
panhellenisches Manifest (la Zajonz sembra propendere per un’interpretazione non politica dell’orazione,
diversamente da Kennedy 1958, 77-83, confutato già da Heilbrunn 1977, 147-159.
113
Per l’ideale politico di Isocrate si veda nell’ampia bibliografia: Bringmann 1965; Mathieu 1966; Bearzot
1981, 97-104. Su Isocrate e l’Atene del IV sec. a.C. si veda Berlinzani 2006, 75-88.
114
Cf. Isocr. Antidosis XV 227-228: ἀλλὰ γὰρ οὕτω τινὲς ἀγνωμόνως ἔχουσιν ὥστ᾽ εἰδότες καὶ τοὺς ξένους
τοὺς ἀφικνουμένους καὶ τοὺς προεστῶτας τῆς παιδείας οὐδὲν κακὸν ἐπιτηδεύοντας, ἀλλ᾽ ἀπραγμονεστάτους
μὲν ὄντας τῶν ἐν τῇ πόλει καὶ πλείστην ἡσυχίαν ἄγοντας, προσέχοντας δὲ τὸν νοῦν σφίσιν αὐτοῖς καὶ τὰς
συνουσίας μετ᾽ ἀλλήλων ποιουμένους, ἔτι δὲ τὰ καθ᾽ ἡμέραν εὐτελέστατα καὶ κοσμιώτατα ζῶντας, καὶ τῶν
λόγων ἐπιθυμοῦντας οὐ τῶν ἐπὶ τοῖς ἰδίοις συμβολαίοις λεγομένων οὐδὲ τῶν λυπούντων τινάς, ἀλλὰ τῶν παρὰ
πᾶσιν ἀνθρώποις εὐδοκιμούντων, ὅμως τολμῶσι βλασφημεῖν περὶ αὐτῶν καὶ λέγειν ὡς ταύτην ποιοῦνται τὴν
μελέτην, ἵν᾽ ἐν τοῖς ἀγῶσι παρὰ τὸ δίκαιον πλεονεκτῶσι. Qui da un lato si nota l’ambiguità dell’atteggiamento
politico di Isocrate, dall’altro la vicinanza con alcuni punti chiave dell’ideologia aristocratica espressa e
sintetizzata nel Carmide. Il parallelo è stato già notato da Bultrighini 1999, 56. Per l’ambiguità
dell’atteggiamento di Isocrate si veda sempre Bultrighini 1999, 311 ss.
37
II.1.2 L’anno 382 a.C. e l’orazione XXVI di Lisia

Già Witte115 aveva posto l’attenzione sui numerosi punti di contatto tra l’orazione
XXVI di Lisia e il nostro Carmide. L’orazione Sulla dokimasia di Evandro ha il vantaggio
di essere databile con relativa precisione. Il 382 a.C. è l’anno in cui fu arconte eponimo
Evandro, contro cui si scaglia il logografo. Dunque, se si accetta l’identificazione di
Evandro arconte eponimo nell’anno 382/381 con l’Evandro dell’orazione, allora se ne
possiede la data esatta di composizione116 . In quell’anno candidato all’arcontato era, oltre
ad Evandro, Laodamante. L’orazione è stata commissionata da un cittadino amico di
Laodamante per cercare di bloccare la nomina di Evandro, a sua volta sostenuto dal politico
e retore Trasibulo di Collito. Il cittadino rivolge ad Evandro e al suo protettore Trasibulo
una serie di accuse relative alle simpatie oligarchiche e ai crimini commessi durante il
regime dei Trenta. Per il carattere personale delle accuse tale orazione è stata sempre
considerata negativamente. Weissenberger117 , nella sua analisi delle orazioni sulla
dokimasia del corpus di Lisia, ne ha riabilitato il contenuto, considerando le accuse non del
tutto menzognere.
Ma quale sarebbe il legame tra l’orazione di Lisia e il Carmide? E cosa induce Witte a
considerare una tale orazione addirittura una prova per la datazione del dialogo? In effetti i
punti di contatto non mancano. In alcuni casi sembra di essere davanti a veri e propri
riferimenti testuali, come nel caso della presenza dello slogan politico del ta heautou
prattein, che se non altro indica il riferimento ad uno stesso orizzonte politico. Lisia viene a
sapere da qualche imprecisato canale alcune delle argomentazioni che Evandro userà per
difendersi dalle accuse. Tra le argomentazioni una risulta a noi particolarmente familiare:

XXVI, 3 λέξειν δὲ (…) ὅτι αὐτὸς κόσμιός ἐστι καὶ οὐχ ὁρᾶται ποιῶν ἃ ἕτεροι ἐνταῦθα
τολμῶσιν, ἀλλὰ τὰ ἑαυτοῦ πράττειν ἀξιοῖ.

Per Witte il Carmide sarebbe stato composto prima dell’orazione. L’orazione conterebbe
insomma dei rimandi indiretti a quel lavoro. Per Dušanić, invece, il rapporto tra i due testi è

115
Witte 1970, 42-46. Erler (2007, 104) considera degna di attenzione (bemerkenswert) una delle osservazioni
di Witte, ossia quella secondo cui il nome astratto hesychiotes è presente, oltre che nel Carmide, solo in Lys.
XXVI,5 a cui il Carmide alluderebbe.
116
Sull’Orazione XXVI di Lisia si veda Medda 1995, 296 ss. La prima parte dell’orazione è perduta. Non si
dubita dell’autenticità del discorso.
117
Medda 1995, 298; Weissenberger 1987.
38
invertito. L’orazione sarebbe stata scritta prima del Carmide. Prova di ciò sarebbe nella
replica di Socrate a Carmide in 176 c 7:

βιάσῃ ἄρα, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ οὐδ᾽ ἀνάκρισίν μοι δώσεις;118

L’anakrisis a cui allude Socrate sarebbe un riferimento della dokimasia a cui viene
sottoposto Evandro in Lisia XXVI. I due termini possono infatti considerarsi sinonimi 119 .
Nonostante sia impossibile stabilire una relazione precisa tra i due testi, entrambi sono
il frutto di uno stesso contesto e dimostrano l’attualità nel IV sec. dei temi che si ritrovano
nel Carmide. Il dialogo dunque nasce negli anni che ruotano attorno al 382 a.C. 120 . A
questo punto è legittimo chiedersi:
a) quale fosse la situazione politica in quegli anni sia ad Atene, sia in Grecia più in
generale;
b) se il clima di quel periodo possa aver determinato la scelta dell’ambientazione del
dialogo e dei personaggi;
c) se di questo eventuale influsso ci siano indizi all’interno del testo del Carmide.

Partiamo dal punto a): la situazione del 382 a.C. in Grecia era delicata 121 . Una serie di
eventi cruciali, tra cui il processo contro il tebano Ismenia 122 , l’occupazione spartana di
Olinto e di Cadmea, rocca di Tebe, dovevano rendere l’atmosfera politica ateniese
particolarmente tesa. In particolare sugli eventi del presente, come nota Dušanić, si
presentava il ricordo vivo degli eventi del passato. Le operazioni congiunte di Atene e Tebe
nella penisola calcidica, come si vedrà in seguito, non potevano non ricordare la guerra del
Peloponneso e il ruolo di prophasis che aveva avuto la ribellione di Potidea. Ad essa, come
è noto, era seguita la reazione di Atene (e la vittoriosa battaglia del 432 a.C.). Vivo doveva
essere anche il ricordo del colpo di stato del 404 a.C. che segnava la fine della guerra del
Peloponneso. Il peso che gli eventi della fine del V sec. a.C. avevano nell’Atene del IV è
rintracciabile nei testi degli autori di cui ci stiamo occupando. Lo si tocca quasi con mano
leggendo le parole dell’orazione XXVI di Lisia e indirettamente, come abbiamo visto,

118
“Mi farai dunque violenza” dissi io “e non mi concederai neppure l’istruttoria?” (trad. Centrone B.).
119
Sull’equivalenza dei due termini si veda Harrison 1971, 202.
120
Non manca chi propone una diversa cronologia per il Carmide. Kahn propone una composizione più tarda e
lo colloca al 380 a.C. v. Kahn 1988, 541 ss.
121
Un recente contributo sulla storia della Grecia nel IV sec. a.C. è quello di Buckler 2008, a cui rimando. Si
veda anche Buckler 1980.
122
Su Ismenia v. Landucci Gattinoni 2000, 135-154.
39
leggendo l’elogio che Isocrate fa di Teseo. Le cause che avevano portato a porre in primo
piano il ricordo dell’oligarchia e la propaganda politica ad essa connessa sono da
rintracciarsi in eventi esterni alla città, come abbiamo precedentemente accennato. Proprio
nel 382 a.C. infatti il generale spartano Febida nel dirigersi verso Olinto compiva una
deviazione non casuale e non autorizzata passando per la strada che collega Platea a Tebe. I
Tebani, infatti, da tempo avevano avviato un politica antispartana, frutto dell’attività
diplomatica di personalità interne alla scena politica tebana come Ismenia e Androkleida.
All’interno di tali attività s’inserivano discussioni con Olinto nella penisola Calcidica per
un’alleanza. Parallelamente si muoveva Atene. Una potenziale alleanza tra Atene e Tebe
avrebbe costituito per Sparta una seria minaccia. La più seria dal tempo della guerra di
Corinto123 .
Allarmato dalla nascente ostilità tebana, il re Agesilao aveva ordinato a Febida di prendere
Cadmo di Tebe, se se ne fosse presentata l’occasione. A Tebe Febida s’incontrò con
Leonziade, capo della fazione spartana di Tebe, che diede la possibilità di introdurre le
truppe durante la celebrazione di una festività religiosa. L’accordo ebbe successo e Febida
non solo occupò Cadmo, ma catturò anche Ismenia insieme ad altri tebani dello stesso
partito, violando gli accordi della pace di Antalcida del 386 a.C., che sanciva, tra l’altro,
l’indipendenza delle poleis greche. 300 uomini dell’entourage di Ismenia, tra cui Pelopida,
riuscirono a fuggire verso Atene e lì, supportando la democrazia ateniese, progettarono la
liberazione della loro città. Da qui si comprende come gli Ateniesi fossero coinvolti. Inoltre
da parte della fazione democratica era vivo il ricordo del debito dei confronti di Tebe per
l’instaurazione della democrazia ad Atene. La città si divise nuovamente, come era
avvenuto negli anni della guerra del Peloponneso, tra coloro, filospartani, che proclamavano
un atteggiamento di apragmosyne da un punto di vista politico prima che etico, in altre
parole un atteggiamento anti imperialista. Dall’altra parte si ergevano i democratici, tra cui
Lisia e Isocrate, a favore di un supporto per la liberazione di Tebe, occupata dagli spartani.
Alla fine nel 379 a.C. i 300 esuli tebani ad Atene, organizzandosi con la fazione antispartana
della città, la liberarono. Da allora l’alleanza Atene-Tebe restò salda.
Non è difficile comprendere in quale dei due schieramenti fosse Platone.
Testimonianze della posizione di Platone e dell’Accademia in merito a quegli eventi ci
vengono dallo stesso corpus. In Teage 129 a-c , ad esempio, si esprime indirettamente il
giudizio negativo dell’Accademia nei confronti della liberazione di Tebe, giudizio che
quadra con la condanna di Ismenia in Men. 90 a. Preso atto di ciò veniamo al punto b),

123
395 - 387 a.C.
40
ossia: può il clima di quel periodo aver influenzato l’ambientazione e la scelta dei
personaggi? La risposta sembrerebbe essere affermativa. Abbiamo già visto come la
dokimasia di Evandro fosse un riflesso della vivacità e attualità del dibattito sui Trenta.
All’interno dell’orazione, infatti, il cliente di Lisia sosteneva Leodamante, presentato come
un perfetto democratico. Che il passato di Leodamante non fosse impeccabile e che questa
figura al contrario fosse controversa lo leggiamo da un passo della Retorica di Aristotele
(1400 a). Qui si afferma che in realtà il nome di Leodamante figurava sulla colonna
dell’infamia nell’Acropoli di Atene insieme ad altri nomi di uomini implicati nel colpo di
stato e che in seguito il suo nome era stato fatto cancellare. Nei cittadini il ricordo di quel
nome e di quel volto, connesso ad altri nomi ed altri volti come quello di Crizia e Carmide,
doveva essere vivo e fortemente evocativo.
In questo modo, per riassumere, si riapre il dibattito sui Trenta, influenzato sia da
vicende di quella che si potrebbe definire politica interna (elezione di Evandro o
Leodamante), sia di politica estera (liberazione di Tebe, trattative nella penisola calcidica, in
particolare con Olinto)124 . Allo stesso modo si recupera tutto il repertorio ideologico di una
fase che aveva preceduto le ostilità della guerra del Peloponneso, una fase di tensione e
scontro ideologico, che vede l’Atene democratica ad alimentare una politica di tipo
imperialista e quella oligarchica - filospartana contraria al conflitto con Sparta, contraria
all’imperialismo e a favore di un ripiegamento su se stessi. Si rivive l’atmosfera degli anni
in cui Crizia sviluppa ed elabora il suo pensiero, gli anni del to ta heaoutou prattein inteso
come fare ciò che è di propria competenza, ciò che riguarda l’individuo e dunque che
allontani dalla frenesia imperialista. L’anno cruciale in cui tutto questo ha già preso forma,
in cui lo scontro ideologico è vivo e altrettanto viva è la minaccia di un conflitto con Sparta
è il 432 a.C. Anno della battaglia di Potidea, cronologia fittizia del Carmide. L’anno del
dramma.
Ma veniamo al punto c) ossia: in quali punti il dialogo presenta allusioni più o meno
esplicite alla realtà storica che abbiamo appena descritto? Da questa domanda se ne genera
un’altra: nell’ottica della dinamica dialogica quale senso assume il dettaglio storico?
La risposta alla prima domanda è già indirettamente stata data. Già nell’introduzione al II
capitolo abbiamo citato i passi in cui il riferimento alla storia è forte 125 . L’importanza di
questi riferimenti accresce se se ne considera l’attualità. La seconda domanda è più delicata
124
Sulla persistenza del ricordo delle vicende dei Trenta e dell’anno 403 a.C. nel IV sec. a.C. e sulle strategie
letterarie con cui le diverse ideologie del secolo precedente vennero elaborate si veda Roscalla 2005, con
annessa bibiografia. In particolare si veda il cap. II sull’epitaffio del Menesseno e il IV sulla letteratura
socratica.
125
supra, 27 n. 79-80.
41
e ha a che fare con le modalità di fruizione del dialogo, visto come dramma. In seguito si
prenderà in esame il gioco dei personaggi all’interno del Carmide e le loro mutevoli
relazioni126 . Si noterà come mediante alcuni espedienti letterari, come l’uso dello stesso
genere dialogico, il lettore venga esortato ad entrare all’interno del testo attraverso un
processo che si potrebbe definire mimetico, in quanto porta all’immersione e
all’immedesimazione. Questo non implica che la letteratura, ed in particolare quella
dialogica, sia vincolata al rispetto di una ben precisa cronologia, nel caso del Carmide 432
a.C., o debba rendere palesi i riferimenti all’attualità, gli anni intorno al 382 a.C. Questo è
compito della storia. Come già aveva chiarito Aristotele, infatti, la letteratura tende
all’universale (to katholou), mentre la storia tende al particolare (to kath’hekaston)127 . Ciò
che conta in ambito letterario è la verosimiglianza, necessaria per il coinvolgimento del
lettore. Si può affermare che più verosimile è il dettaglio storico e la rilevanza dello stesso,
più forte sarà il coinvolgimento del lettore all’interno delle trame dialogiche. Il presentare
sotto forma di dramma personaggi reali la cui memoria era viva e pungente nel IV sec. e
vicende oggetto di dibattito quotidiano doveva creare una fortissima immersione all’interno
del testo, tanto forte da produrre un effetto simile a quello dell’epode128 .

II.1.3. Dopo Potidea: la prospettiva protrettica

Se tale era il contesto in cui il dialogo prende forma allora il Carmide doveva scuotere
già dall’incipit. Abbiamo infatti ricordato le operazioni parallele di Tebe e Atene nella
penisola Calcidica e i rischi di quelle operazioni nel fomentare un conflitto con Sparta. A
proposito Dušanić:

Platon’s evocation of the battle of 432 pointed out the risk of fresh inter-Greek hostilities on a large
scale but his comparison of the Calcidic problems of the years 432 and 382 may have had an even
more precise point: on both occasions, Potidaea wished, quite legitimately, to secede from an
oppressive League, and the attempts on the part of the League’s hegemon to prevent its secession led
(or, in 382/1 threatened to lead) the nation into a major war. In 432, the chief instigator of the
aggressive policy was Athens; in 382 and the previous year, that was Olynthus, to which Ismenias’
Thebans and Cephalus’ Athenians promised armed support129 .

126
infra, § IV.2.
127
cf. Aristot. Poet. cap. IX, 1451 b.
128
Per il valore metaforico dell’incantesimo nel Carmide v. infra, § IV.2.1.
129
Dušanić 2000, 61 n. 36.
42
Abbiamo ugualmente sottolineato come gli eventi del 382 a.C. e degli anni immediatamente
precedenti e successivi abbiano riaperto un dibattito politico che recuperava il repertorio
ideologico appartenuto alla fazioni in lotta nella seconda metà del V sec. a.C. A distanza di
circa mezzo secolo l’ideologia di Crizia e dei suoi avversari diventava attuale. La stessa
sophrosyne con il peso ideologico di cui è portatrice ritorna nel nostro Carmide e nell’Elena
di Isocrate, esplicitamente associata alla politica.
L’ideologia del Carmide è allora riflesso di un’ideolgia più antica, risalente al cuore
del V secolo. Per comprendere meglio gli aspetti fondamentali di questo background e per
tastarne l’autenticità, illuminante risulta un confronto con Tucidide, nella cui opera letteraria
si coglie pienamente il legame tra storia ed ideologia. Nel I libro delle Storie viene descritto,
come è noto, il contesto storico che precede la guerra del Peloponneso130 . Tra i fattori
scatenanti Tucidide ricorda la defezione di Potidea. Colonia corinzia, soggetta a pagare un
tributo alla lega delio attica, venne obbligata da Atene ad abbattere le sue mura.
Quest’ingiunzione procurò la reazione oltre che della città stessa, di Corinto, che mandò
degli ambasciatori a Sparta per ottenere nel caso di attacco da parte di Atene, un aiuto (I 58).
I capi spartani promisero che in caso di un attacco ateniese avrebbero invaso l’Attica.
Potidea passò alla ribellione aperta, appoggiata dal re di Macedonia Perdicca II. Gli Ateniesi
inviarono una spedizione al comando di Callia e altri quattro strateghi (I 61), mentre
Potideati e Peloponnesiaci, al comando di Aristeo, posero l’accampamento nel pressi di
Olinto131 . Callia mandò un contingente di alleati verso Olinto e una volta arrivato trovò i
nemici già schierati. Ebbe inizio la battaglia (I 62), che si concluse con una rapida vittoria
ateniese, nonostante la morte di Callia. Con l’arrivo dei rinforzi ateniesi comandati da
Formione, Potidea venne assediata da entrambi i lati. Il generale spartano Aristeo, ormai
consapevole dell’impossibilità della salvezza, fece la proposta di lasciare a Potidea solo 500
uomini e con il resto delle truppe ritornare in patria. La proposta, però, non ebbe successo (I
65). In questa situazione di tensione Sparta convocò un’assemblea a cui parteciparono
ambasciatori sia Corinzi che Ateniesi. Dopo aver ascoltato rispettivamente l’intervento degli
ambasciatori corinzi e di quelli ateniesi, gli Spartani si ritirarono, come di consueto, per
deliberare.
Nella cornice di questa assemblea interna, priva di sguardi estranei, viene
drammatizzato il discorso di Archidamo (I 79), compendio di ideologia spartana. Il discorso
di Archidamo è espressione della stessa ideologia del Carmide, come dimostrano alcuni

130
Sulle influenze ideologiche antipericlee e oligarchiche di Tucidide che traspaiono dalla sua narrazione
della cause della guerra si veda Giuliani 1999 (con bibliografia, 34 n. 22).
131
La stessa Olinto che, come si è detto, nel 382 sosterrà l’intervento di Sparta nella penisola calcidica.
43
forti punti di contatto. Già prima della presa della parola da parte di Archidamo viene
sottolineato, in I 79, il suo essere ξυνετός καὶ σώφρων:

παρελθὼν δὲ Ἀρχίδαμος ὁ βασιλεὺς αὐτῶν, ἀνὴρ καὶ ξυνετὸς δοκῶν εἶναι καὶ
σώφρων, ἔλεξε τοιάδε.

Già dalle prime battute compare l’invito alla sophrosyne, I 80 2:

εὕροιτε δ᾽ ἂν τόνδε περὶ οὗ νῦν βουλεύεσθε οὐκ ἂν ἐλάχιστον γενόμενον, εἰ


σωφρόνως τις αὐτὸν ἐκλογίζοιτο.

Vengono compiute alcune valutazioni sulla superiorità oggettiva degli Ateniesi e dunque sul
rischio di intraprendere con essi una guerra. La decisione di astenersi, dunque
l’apragmosyne, diventa così sinonimo di sophrosyne. Tale decisione non deve però
sconfinare nella totale assenza di attività che sfocerebbe nella prevaricazione (οὐ μὴν οὐδὲ
ἀναισθήτως αὐτοὺς κελεύω τούς τε ξυμμάχους ἡμῶν ἐᾶν βλάπτειν καὶ ἐπιβουλεύοντας μὴ
καταφωρᾶν I 82 1), ma piuttosto in un tipo di attività ponderata che consiste in ultima
analisi nel dedicarsi alle proprie cose, καὶ τὰ αὑτῶν ἅμα ἐκποριζώμεθα (I 82 2). In questo
contesto il dedicarsi alle proprie cose è da intendersi come il dedicarsi a preparare una
guerra, con calma e lentezza, come viene esplicitamente affermato in I 83 3: πορισώμεθα
οὖν πρῶτον αὐτήν (denari), (…) , οἵπερ δὲ καὶ τῶν ἀποβαινόντων τὸ πλέον ἐπ᾽ ἀμφότερα
τῆς αἰτίας ἕξομεν, οὗτοι καὶ καθ᾽ ἡσυχίαν τι αὐτῶν προΐδωμεν. E subito dopo viene
aggiunto: καὶ τὸ βραδὺ καὶ μέλλον, ὃ μέμφονται μάλιστα ἡμῶν, μὴ αἰσχύνεσθε (I 84 1),
non bisogna avere vergogna della lentezza. Tale attitudine caratteristica del mondo spartano
è sinonimo di sophrosyne (καὶ δύναται μάλιστα σωφροσύνη ἔμφρων τοῦτ᾽ εἶναι, I 84 2) ed
è definita anche una forma di eupragia132 . In virtù di questa eupragia gli Spartani non si
fanno possedere dalla hybris in caso di successo e d’altra parte non si lasciano abbattere
nelle sventure133 . L’agire spartano è in altre parole un agire equilibrato, κοσμίως, come si
evince dalla seguente argomentazione:

Tuc. I 84 3: πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι διὰ τὸ εὔκοσμον γιγνόμεθα, τὸ μὲν ὅτι αἰδὼς
σωφροσύνης πλεῖστον μετέχει, αἰσχύνης δὲ εὐψυχία, εὔβουλοι δὲ ἀμαθέστερον τῶν

132
v. Ch. 173 d.
133
Tuc. I 84 2, (…) μόνοι γὰρ δι᾽ αὐτὸ εὐπραγίαις τε οὐκ ἐξυβρίζομεν καὶ ξυμφοραῖς ἧσσον ἑτέρων εἴκομεν.
44
νόμων τῆς ὑπεροψίας παιδευόμενοι καὶ ξὺν χαλεπότητι σωφρονέστερον ἢ ὥστε αὐτῶν
ἀνηκουστεῖν, καὶ μὴ τὰ ἀχρεῖα ξυνετοὶ ἄγαν ὄντες τὰς τῶν πολεμίων παρασκευὰς
λόγῳ καλῶς μεμφόμενοι ἀνομοίως ἔργῳ ἐπεξιέναι, νομίζειν δὲ τάς τε διανοίας τῶν
πέλας παραπλησίους εἶναι καὶ τὰς προσπιπτούσας τύχας οὐ λόγῳ διαιρετάς.

Questa qualità dell’azione deriva infatti dall’agire διὰ τὸ εὔκοσμον, da uno stile di vita e da
un orientamento politico basati sull’ordine. Tale orientamento fa si che gli Spartani siano
contemporaneamente πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι. L’essere combattivi è il risultato di aidos e
sophrosyne: l’essere forniti di un sentimento come l’aidos, ossia senso dell’onore, significa,
all’interno dell’ideologia spartana, essere dotati di sophrosyne. Ugualmente la virtù bellica
per eccellenza, il coraggio, l’εὐψυχία, partecipa a sua volta dell’αἰσχύνη. L’educazione
ricevuta fa si che da un lato si rispettino le leggi e dall’altro non si diventi esperti nelle cose
inutili, τὰ ἀχρεῖα. Un’educazione inutile è quella che insegna a parole a poter disprezzare la
preparazione bellica del nemico pur non riuscendo nei fatti a saperlo eguagliare.
Tale educazione è stata sempre messa in pratica ottenendone utilità, per questo Archidamo
invita a non disprezzarla:

I 85 (…) ταύτας οὖν ἃς οἱ πατέρες τε ἡμῖν παρέδοσαν μελέτας καὶ αὐτοὶ διὰ παντὸς
ὠφελούμενοι ἔχομεν μὴ παρῶμεν μηδὲ ἐπειχθέντες ἐν βραχεῖ μορίῳ ἡμέρας περὶ
πολλῶν σωμάτων καὶ χρημάτων καὶ πόλεων καὶ δόξης βουλεύσωμεν, ἀλλὰ καθ᾽
ἡσυχίαν134 .

Si noti come compaiano i termini chiave di βραχύς ed ἡσυχία come esortazione ad un agire
ponderato, καθ᾽ ἡσυχίαν. Nel discorso di Stenelaida, che segue quello di Archidamo, viene
marcato nuovamente il carattere assennato del popolo di Sparta (… ἢν σωφρονῶμεν I 86 2),
in contrapposizione al popolo di Atene che essendo dalla parte del giusto per la vittoria sui
Persiani è passata alla parte del torto, mentre gli Spartani sono riusciti a mantenere negli
anni una coerenza nell’atteggiamento e nella condotta.
Tra il discorso di Archidamo nel I libro delle Storie di Tucidide e il Carmide di
Platone c’è una corrispondenza di motivi molto forte che lascia trasparire come Platone, al
momento di scrivere il Carmide, abbia attinto ad un repertorio ideologico di matrice
aristocratica e filospartana che il discorso di Archidamo sintetizza in maniera magistrale.
Soffermiamoci adesso su alcuni paralleli. Se di Archidamo in I 79 si dice ξυνετὸς δοκῶν

134
cf. Ch. 163 c.
45
εἶναι καὶ σώφρων, nel Carmide in 157 e 6 Crizia dice a Socrate: εὖ τοίνυν ἴσθι (…) ὅτι πάνυ
πολὺ δοκεῖ σωφρονέστατος εἶναι τῶν νυνί. Termini come sophron o il nome astratto
sophrosyne compaiono, inoltre, con non poca frequenza (I 79 1; 82 2; 84 2; 86 2). Ma ciò
che è ancora più interessante notare è che il concetto di sophrosyne è legato in Archidamo
ad altri concetti che poi si rintracciano puntualmente nel Carmide. Come si ricorderà135 , la I
definizione di Carmide della sophrosyne consisteva in τὸ κοσμίως πάντα πράττειν καὶ
ἡσυχῇ (Ch. 159 b). Tale atteggiamento consentirebbe agli Spartani di affrontare il nemico
non in maniera avventata, ma appunto καθ᾽ ἡσυχίαν (I 83 3; 85) 136. Ma il collegamenti si
estendono ancora. Bisogna considerare infatti il peso di due avverbi presenti nel testo del
Carmide a breve distanza tra di loro: κοσμίως (159 b 3); βραδέως 159 c 6; c 9; e 4; e 7; e
10). Partiamo dal secondo. La frequenza con cui compare è motivata dal fatto che Socrate,
nel confutare Carmide, fornisce una serie di esempi in cui l’agire appunto βραδέως risulta
più svantaggioso rispetto all’agire ταχέως. Questo vale, seguendo la confutazione di
Socrate, sia per lo scrivere, il leggere, ma anche per il lottare, il pugilato e tutte le attività del
corpo. Similmente per le attività che riguardano l’apprendimento, l’εὐμάθεια, e
l’intelligenza, l ἀγχίνοια. L’agire ἡσυχῇ è in altre parole un agire βραδέως, come dimostra il
fatto che i due concetti, della calma e della lentezza, vengono entrambi usati da Socrate per
la confutazione, senza distinzione. In 160 b 5, infine, vengono proprio accostati:

οὐκοῦν πάντα, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ Χαρμίδη, ἡμῖν καὶ τὰ περὶ τὴν ψυχὴν καὶ τὰ περὶ τὸ
σῶμα, τὰ τοῦ τάχους τε καὶ τῆς ὀξύτητος καλλίω φαίνεται ἢ τὰ τῆς βραδυτῆτός τε καὶ
ἡσυχιότητος;

Nel discorso di Archidamo compaiono gli stessi concetti di hesychia e bradytes accostati.
Come è stato già notato sopra137 Archidamo prima sottolinea la necessità di un agire καθ᾽
ἡσυχίαν e poi afferma: non bisogna avere vergogna (μὴ αἰσχύνεσθε) di quella che loro
definiscono con biasimo la nostra lentezza (τὸ βραδὺ) e la nostra esitazione. La stessa
esortazione compare alla fine del discorso: evitiamo di deliberare con tutta fretta (ἐν βραχεῖ
μορίῳ ἡμέρας) in poche ore, intorno alla sorte di tanti uomini, di tanti beni, di tante città,
del nostro buon nome: riflettiamo con calma (καθ᾽ ἡσυχίαν)138 . Sembrerebbe qui esserci un

135
supra, § I.1.
136
Il motivo dell’hesychia è presente anche nel discorso dei Corinzi che precede quello di
Archidamo. Gli Ateniesi vengono accusati della loro incapacità a stare tranquilli (I 70 2).
137
supra, 45.
138
La trad. è di L. Canfora. Per la citazione in greco v. supra, 45.
46
gioco di riferimenti incrociati. In un primo livello il discorso del re spartano si riferisce alle
accuse che gli Ateniesi fanno al suo popolo. Non bisogna vergognarsi, dunque, di ciò che è
una virtù. Il testo del Carmide sembra dialogare con quello di Tucidide. Le accuse da cui il
re spartano si difende ben si adattano, per il loro carattere generico, alla confutazione
socratica alla I definizione di Carmide. Confutazione che Socrate compie in un istante
immaginato da Platone contemporaneo (432, dopo la battaglia di Potidea). La stessa
definizione di Carmide si trova all’interno del testo tucidideo, in 84 2: καὶ δύναται μάλιστα
σωφροσύνη ἔμφρων τοῦτ᾽ εἶναι. il pronome si riferisce proprio alla lentezza 139 .
L’altro avverbio degno di interesse è κοσμίως. Significativo è infatti che compaia all’interno
della I definizione di Carmide. Accostato all’agire καθ᾽ ἡσυχίαν sta un’agire κοσμίως. Se
rivolgiamo lo sguardo nuovamente al testo di Tucidide notiamo come a breve distanza, dopo
l’esortazione alla calma e alla lentezza, si affermi: πολεμικοί τε καὶ εὔβουλοι διὰ τὸ
εὔκοσμον γιγνόμεθα140 . È proprio l’eukosmia, l’agire ordinato, che Carmide ha in mente
nella I definizione di sophrosyne. La calma e l’ordine vengono messi su un piano parallelo
dai due discorsi che stiamo osservando 141 . Il passaggio dalla I alla II definizione di Carmide
viene ugualmente illuminato dal discorso di Archidamo. Gli Spartani sono, infatti,
combattivi e saggi al tempo stesso: combattivi perché l’aidos partecipa della sophrosyne
(τὸ μὲν ὅτι αἰδὼς σωφροσύνης πλεῖστον μετέχει) e, d’altra parte, perché il coraggio
partecipa del timore del disonore (αἰσχύνης δὲ εὐψυχία); saggi perché educati in modo da
essere piuttosto semplici per arrivare a disprezzare le leggi ed in modo piuttosto duro per
arrivare a disobbedirle142. Incalzato da Socrate, come abbiamo visto nel I capitolo143 ,
Carmide giunge alla II definizione:

Ch.160 e 2 – 5, δοκεῖ τοίνυν μοι, ἔφη, αἰσχύνεσθαι ποιεῖν ἡ σωφροσύνη καὶ


αἰσχυντηλὸν τὸν ἄνθρωπον, καὶ εἶναι ὅπερ αἰδὼς ἡ σωφροσύνη.

La II definizione è articolata in due parti, strettamente connesse. Tra Tuc. I 84 e e Ch. 160 e
2 - 5 si può scorgere una struttura chiastica. Archidamo prima afferma che l’aidos partecipa
della sophrosyne e poi che il coraggio partecipa della aischyne. Platone mette in bocca a
Carmide entrambi i motivi, ma li inverte: per prima compare il motivo del pudore, ossia: la

139
supra, 36.
140
supra, 36.
141
Per l’eukosmia-eukosmos si veda anche Sol 4.32; Tuc. 6.42.1; Plat. Prot. 325 d; Symp. 193 a; Eur. Bac. 693.
Si veda inoltre Plat. Rp. 560d, in cui aidos, kosmos e sophrosyne sono messi in rapporto.
142
Per il testo greco v. supra, 36.
143
supra, § I.1.
47
sophrosyne consiste nell’agire modesto, non privo di pudore (αἰσχύνεσθαι ποιεῖν).
Successivamente, l’identificazione sophrosyne - aidos.
Un’ulteriore spia di una vicinanza tra i die testi si trova in I 85. Si è notato come qui
Archidamo ponga l’accento sull’utilità di un’azione ponderata. Il problema dell’ophelia
della sophrosyne è una delle costanti del dialogo. Infatti dall’inizio alla fine si percepisce
una tensione in tal senso: da un lato la consapevolezza indimostrata dell’utilità di una tale
virtù, dall’altro l’esigenza di fornire una dimostrazione dell’utile che ne deriva 144 .
Ricordiamo, per inciso, che la questione del vantaggio è presente anche nell’Elena di
Isocrate, nella sezione in cui l’agire politico del sophron Teseo diventa paradigma di un
corretto agire145 . Il tema dell’ophelia rende valida l’ipotesi di un dialogo con l’Archidamo
di Tucidide e con il corpus ideologico che le sue parole sottendono.
Infine il concetto di kosmos lo ritroviamo anche nell’orazione sulla dokimasia di Evandro di
Lisia (XXVI 3).

καὶ νυνὶ αὐτὸν ἀκούω ὑπὲρ μὲν τῶν αὐτοῦ κατηγορουμένων διὰ βραχέων
ἀπολογήσεσθαι, ἐπισύροντα τὰ πράγματα καὶ διακλέπτοντα τῇ ἀπολογίᾳ τὴν
κατηγορίαν, λέξειν δὲ ὡς πολλὰ εἰς τὴν πόλιν ἀνηλώκασι καὶ φιλοτίμως
λελῃτουργήκασι καὶ νίκας πολλὰς καὶ καλὰς ἐν δημοκρατίᾳ νενικήκασι, καὶ ὅτι αὐτὸς
κόσμιός ἐστι καὶ οὐχ ὁρᾶται ποιῶν ἃ ἕτεροι ἐνταῦθα τολμῶσιν, ἀλλὰ τὰ ἑαυτοῦ
πράττειν ἀξιοῖ.

Il cittadino che accusa Evandro anticipa e confuta quelli che sarebbero stati argomenti della
parte avversa, attuando in altre parole il procedimento della prokatalepsis146 . Questo
implica, come nota Medda, che l’accusa doveva essere già in possesso di quelli che
sarebbero stati gli argomenti della parte avversa. Sappiamo che Evandro veniva accusato di
aver parteggiato per gli oligarchi e di aver commessi dei crimini sotto i Trenta. La presenza
degli stessi motivi nel Carmide non è solo un indizio della relazione tra i due testi di cui
ancora si discute, ma fornisce una conferma indiretta del fatto che tali motivi erano parte del

144
Passi relativi all’ophelia nel Carmide : 163 c 3; 167 b 3; 171 d 1; d 6; 174 d 7; 174 d 8; e 2; 175 e 2. Anche
nel prologo dell’Elogio di Elena Isocrate pone l’accento sull’utilità del suo insegnamento rispetto alla
sofistica: (…) πολὺ κρεῖττόν ἐστι περὶ τῶν χρησίμων ἐπιεικῶς δοξάζειν ἢ περὶ τῶν ἀχρήστων ἀκριβῶς
ἐπίστασθαι, καὶ μικρὸν προέχειν ἐν τοῖς μεγάλοις μᾶλλον ἢ πολὺ διαφέρειν ἐν τοῖς μικροῖς καὶ τοῖς μηδὲν
πρὸς τὸν βίον ὠφελοῦσιν (X 5).
145
Supra, § II.1.1.
146
Cf. Medda 1995, 303 n. 4.
48
repertorio ideologico della fazione oligarchica 147 . Evandro dirà, ad esempio, che ha sempre
148
sostenuto le liturgie dimostrando una generosa ambizione (φιλοτίμως) . Se si ricorda,
Crizia è caratterizzato da Platone come φιλοτίμως in Ch. 162 c 2. Vicina al Carmide è anche
la seconda ipotesi di difesa: dirà…che lui personalmente, poi, è un cittadino disciplinato
(αὐτὸς κόσμιός ἐστι) e che non lo si vede certo fare ciò che altri si permettono di fare in
questa città, ma bada invece soltanto ai fatti suoi (τὰ ἑαυτοῦ πράττειν ἀξιοῖ).
A questo punto possiamo tirare le fila del nostro dicorso. Partendo dalle ipotesi di uno
storico, Dušanić, abbiamo osservato il dialogo del Carmide con l’Elena di Isocrate.
Successsivamente abbiamo passato in rassegna l’ipotesi che cerca di risalire alla cronologia
del Carmide sulla base dell’orazione XXVI di Lisia, orazione del 382 a.C. L’ipotesi
suggestiva e ci restituisce il quadro di una comune temperie, anche se non certa. Molto
interessante è stato trovare, infine, nel discorso di Archidamo, successivo alla battaglia di
Potidea, sorprendenti affinità col Carmide. Da questa rete di relazioni con autori
contemporanei a Platone e, ancora di più, con Tucidide il Carmide riceve luce ed entra a far
parte di un contesto ben definito. La dimensione storica, sebbene non trascurabile, è però
solo una delle facce di quella letteraria. Con terminologia aristotelica si potrebbe dire che il
dettaglio storico del Carmide non risponda al criterio del particolare (kat’hekaston), ma a
quello del verosimile (to eikon), punto di partenza per una dimensione, quella letteraria,
tendente all’universale (to katholou)149 .

II.2 L’eredità di Crizia

Nel Carmide, come abbiamo visto, si possono rintracciare più dimensioni storiche
interconnesse: quella complessa del IV secolo, l’attualità di Platone, e quella della seconda
metà del V, la cronologia fittizia, una fase che precede di poco la guerra del Peloponneso.
Abbiamo visto come il dialogo, osservato da diverse prospettive, mostri tutta una serie di
legami con la storia di Atene. Conseguenza di una tale costatazione vorrebbe essere una
lettura del dialogo che consideri la dimensione storico-politica come essenziale per una
corretta valutazione del dialogo. Così facendo parte delle problematiticità connesse alla
comprensione di alcuni snodi verrebbero meno.

147
A proposito di Lisia la Bearzot (2007, 87) scrive: l’oratoria giudiziaria lisiana è fortemente politicizzata e
si colloca in un’epoca di aspri contrasti ideologici: da qui il suo carattere di fonte privilegiata per
l’identificazione di una terminologia designante l’opposizione politica e le sue modalità d’azione. Per uno
studio sulla terminologia dell’opposizione in Lisia v. sembre Bearzot 2007, 87-100.
148
I passi in traduzione italiana seguono la traduzione di Medda 1995.
149
infra, § IV.2.4.
49
In questo paragrafo ci proponiamo di sottolineare il riflesso all’interno del Carmide
del dibattito apragmosyne-polypragmosyne e il legame tra questo dibattito, le personalità
che vi ruotano attorno, e la riflessione di Platone sull’Atene del suo tempo. Filo rosso tra
Crizia e Platone, tra V e IV secolo, la massima del fare le proprie cose che compare nel
Carmide come eredità di Crizia e che racchiude dentro di sé i termini di uno dei dibattiti più
importanti del V secolo. Crizia aveva a sua volta ereditato questa massima di origine,
verosimilmente, sapienziale, adattandola e rielaborandola in maniera originale.
All’innovazione di Crizia segue l’innovazione di Platone, compiuta partendo da premesse
criziane e attraverso l’arma potente dello strumento letterario150 . Utile sarà osservare, poi,
altri luoghi nel corpus (Timeo, Alcibiade I) in cui compare la massima. Quest’operazione
consentirà di apprezzare la dialettica tra l’eredità di Crizia e l’innovazione di Platone e
d’intuire dove stia il contributo originale del più giovane parente.
La rielaborazione che Platone compie nel IV secolo di temi cruciali che appartengono
al secolo precente non è un caso isolato. Si tratta di un processo comune ad altre figure di
intellettuali, come Isocrate, Lisia, Senofonte. In particolare Senofonte nei Memorabili
drammatizza un dialogo tra Carmide e Socrate le cui tematiche sono coincidenti a quella del
platonico Carmide, anche se diverse negli intenti. La caratterizzazione di Carmide quale
emerge dal ritratto di Senofonte presenta affinità notevoli con quella che emerge dalla
maschera corrispondente del Carmide, fornendone un indizio prezioso nel segno
dell’autenticità.
Il rapporto reale e forte tra il Crizia storico, figlio di Callestro, e il giovane Platone è
infine confermato, come vedremo, dalla preziosa testimonianza autobiografica della VII
Lettera, in particolare dalla sua sezione iniziale 151 .

II.2.1 Il to ta heautou prattein

La paternità di Crizia della massima del ta heautou prattein sembra essere nel
Carmide fatto noto già dall’iniziale provocazione di Carmide in 162 b 9:

οὐκ οἶδα μὰ Δία ἔγωγε, ἦ δ᾽ ὅς: ἀλλ᾽ ἴσως οὐδὲν κωλύει μηδὲ τὸν λέγοντα μηδὲν
εἰδέναι ὅτι ἐνόει. καὶ ἅμα ταῦτα λέγων ὑπεγέλα τε καὶ εἰς τὸν ριτίαν ἀπέβλεπεν.

150
Le modlità in cui Crizia si approccia alla letteratura per difinire attraverso di essa l’identità aristocratica
saranno esaminate nel cap. III. In partolare infra, § III.1.4; § III.2.1; § III.2.2.
151
infra, § II.2.2. Le riflessioni che seguono si pongono sulla scia di Bultrighini 1999, 47 ss.; Notomi 2000,
237-250; Capizzi 1984, 13-32.
50
La scena è dipinta con toni dolcemente realistici. Dopo aver lanciato la provocazione
Carmide ridacchiava e al contempo guardava Crizia. Tale provocazione spingerà Crizia ad
intervenire nella discussione, mosso dall’ira, come può esserlo un poeta nei confronti di un
attore che ha interpretato male le sue poesie (ὥσπερ ποιητὴς ὑποκριτῇ κακῶς διατιθέντι τὰ
ἑαυτοῦ ποιήματα, Ch. 162 d 2-3)152 . Socrate interviene cercando di smussare la collera di
Crizia: è naturale che Carmide non sappia rendere ragione della massima, data la giovane
età. È altrettanto naturale che Crizia ne sia esperto, data l’età e la cura dedicata a questa cose
(… σὲ δέ που εἰκὸς εἰδέναι καὶ ἡλικίας ἕνεκα καὶ ἐπιμελείας, Ch. 162 e 1-2)153 . Dalla
provocazione si arriverà all’esplicita esortazione di Socrate ad accettare (paradechomai) la
paternità della massima: εἰ οὖν συγχωρεῖς τοῦτ᾽ εἶναι σωφροσύνην ὅπερ οὑτοσὶ λέγει καὶ
παραδέχῃ τὸν λόγον, ἔγωγε πολὺ ἂν ἥδιον μετὰ σοῦ σκοποίμην εἴτ᾽ ἀληθὲς εἴτε μὴ τὸ
λεχθέν, 162 e 2-4.
Se per Battegazzore non ci sono dubbi sulla paternità di Crizia 154 , Raubitschek la fa
risalire a Pittaco155 . Quest’ultima ipotesi è tanto più probabile quanto più si considera
l’operazione da parte di Crizia di ridefinizione della tradizione. Se nei frammenti di Crizia
leggiamo, ad esempio, il riferimento ad Anacreonte e allusioni a Teognide, così come
l’importanza dell’eu phronuosi e della gnome156 , il Carmide presenta parallelamente una
figura di intellettuale-poeta a metà tra la vecchie e le nuove istanze 157 . In primo luogo
compare Anacreonte insieme a Solone, nella veste di capostipite della famiglia di Crizia-
Platone (Ch. 155 a 3 - 157 e 5-7). Inoltre il Crizia di Platone attinge al repertorio sapienziale
(sophrosyne come gignoskein heauton, Ch.164 d 4 ), dimostrando di saper ridefinire antichi
valori. Nella stessa direzione bisogna interpretare l’analisi critica del verso degli Erga di
Esiodo158 . Infine il carattere enigmatico della massima rimanda agli ambienti simposiali,
alle eterie aristocratiche in cui il fiorfiore dell’aristocrazia, tra cui Crizia, Carmide e
Alcibiade, si riuniva sfogando il suo sdegno per una situazione politica in via di

152
Si veda infra, § IV.2.2.
153
Per il motivo dell’epimeleia si veda infra, § III.1.4.
154
Battegazzore - Untersteiner 1962, 336; Tulli (2000, 264) pensa ad un’elegia, dato che la massima è
presentata come ainigma. Pohlenz 1913 (51-52) aveva pensato alle Homiliai.
155
Raubitschek 1958, 171-172; Tuckey 1968, 20. Diversamente Carter 1986, 19, che, poco verosimilmente, la
considera conio platonico.
156
infra, § III.2.1-2.
157
infra, § III.1.4.
158
infra, § III.2.2.
51
degenerazione159 . Tali elementi testuali, se osservati nel loro insieme, rendono credibile e
significativa l’ipotesi di Raubitschek.
Ora, dietro questa massima si celano delle forti implicazioni politiche 160 . Essa è infatti
connessa al vivace dibattito ateniese del V sec. a.C. tra apragmosyne e polypragmosyne , tra
un agire apragmon, ossia inoperoso, votato all’hesychia, e un agire frenetico, polypragmon,
avente come conseguenza da un punto di vista politico l’imperialismo 161 . È un dibattito
caratterizzato da una pluralità di forme, nel senso che investe sia la sfera privata che quella
pubblica.
Per quanto riguarda la politica estera, ad esempio, riflessi di tale dibattito si trovano in
Tucidide. In VI 87 2 l’ambasciatore ateniese a Camarina riconosce come l’attività politica
ateniese sia orientata alla polypragmosyne:

φαμὲν γὰρ ἄρχειν μὲν τῶν ἐκεῖ, ἵνα μὴ ὑπακούωμεν ἄλλου, ἐλευθεροῦν δὲ τὰ ἐνθάδε,
ὅπως μὴ ὑπ᾽ αὐτῶν βλαπτώμεθα, πολλὰ δ᾽ ἀναγκάζεσθαι πράσσειν, διότι καὶ πολλὰ
φυλασσόμεθα (…)

Poco più avanti (Tuc. VI 87 4) si legge:

ἐν παντὶ γὰρ πᾶς χωρίῳ, καὶ ᾧ μὴ ὑπάρχομεν, ὅ τε οἰόμενος ἀδικήσεσθαι καὶ ὁ


ἐπιβουλεύων διὰ τὸ ἑτοίμην ὑπεῖναι ἐλπίδα τῷ μὲν ἀντιτυχεῖν ἐπικουρίας ἀφ᾽ ἡμῶν,
τῷ δὲ εἰ ἥξομεν, μὴ ἀδεεῖ εἶναι κινδυνεύειν, ἀμφότεροι ἀναγκάζονται ὁ μὲν ἄκων
σωφρονεῖν, ὁ δ᾽ ἀπραγμόνως σῴζεσθαι.

Dal punto di vista dell’ambasciatore ateniese l’agire secondo sophrosyne è un’azione


necessaria e fatta contro voglia (ἄκων) da colui che crede di subire ingiustizia e da colui
che progetta di compierla (ὅ τε οἰόμενος ἀδικήσεσθαι καὶ ὁ ἐπιβουλεύων). Interessante
notare come nella logica imperialista, incarnata in questo caso dall’ambasciatore, la

159
Un accenno a queste società segrete in Capizzi 1984, 18. Sulle eterie, in certi casi vere e proprie società
segrete, si veda Thuc, VI 27, 3; 60, 1; VIII 49; 54,4. Aristoph. Eq. 475-8; Vesp. 344-5; 53.
160
A proposito di veda Bultrighini 1999, 47-62. Pohlenz 1913, 51 interpretava la massima come una sintesi del
relativismo morale del tiranno.
161
Adkins (1977, 301-327) fornisce numerosi esempi che documentano la vivacità di questo dibattito
nell’Atene del V sec. e l’uso di tali concetti da parte della fazione aristocratica con l’obiettivo di denigrare e
frenare l’azione del demos e dei demagoghi. v. inoltre Carter 1986, il cui obiettivo del volume è examine the
origins, so far as possible, and the various manifestations of this conter-movement, this apragmosyne-
quietism, or minding one’s own business; cf. anche Demont 1990. Per la connessione con l’atteggiamento di
apragmosyne che il fare le proprie cose comporta e per la strumentalizzazione del termine in ottica
antidemocratica in opposizione all’atteggiamento di polypragmosyne, tipico dell’imperialismo ateniese v. La
Malfa 1997, 13-42. Per un’ampia panoramica bibliografica su tale dibattito di veda Bultrighini 1999, 55.
52
sophrosyne sia sinonimo di apragmosyne ed entrambi i concetti concidano essenzialmente
con un quietismo dettato dalla necessità. La logica che qui ci viene presentata è antitetica
rispetto a quella aristocratica, ma il linguaggio che viene usato è lo stesso e le stesse le
polarità. Restiamo ancora all’interno della Guerra del Peloponneso. Nel cuore del I libro il
discorso di Archidamo (le cui affinità con l’ideale che emerge dal Carmide abbiamo
sottolineato precedentemente, § II.1.2) è preceduto da quello dei Corinzi e degli stessi
Ateniesi. Nel discorso dei Corinzi viene condannata da un lato l’inoperosità di Sparta, che
può essere riassunta nella frase: ἡσυχάζετε γάρ, μόνοι Ἑλλήνων, ὦ ακεδαιμόνιοι, οὐ τῇ
δυνάμει τινά, ἀλλὰ τῇ μελλήσει ἀμυνόμενοι, Th. I 69 4. Dall’altro lato fonte di condanna è
l’aggressività della politica ateniese . Essi infatti: μόνοι γὰρ ἔχουσί τε ὁμοίως καὶ
ἐλπίζουσιν ἃ ἂν ἐπινοήσωσι διὰ τὸ ταχεῖαν τὴν ἐπιχείρησιν ποιεῖσθαι ὧν ἂν γνῶσιν, Th. I 70
8 . L’agire velocemente come sinonimo di un’azione vantaggiosa ed efficiente rimanda alla
confutazione di Socrate della I definizione di sophrosyne nel Carmide162 . Da una
prospettiva imperialista la lentezza è una sventura: ξυμφοράν τε οὐχ ἧσσον ἡσυχίαν
ἀπράγμονα ἢ ἀσχολίαν ἐπίπονον, Th. I 70 8. Tutto il discorso dei Corinzi si svolge
esortando gli Spartani a prestare il loro aiuto a Potidea, colonia Corinzia assediata dagli
Ateniesi. Anche qui si coglie la polarità azione – inattività. Le strategie politiche di Atene e
Sparta, dalla prospettiva dei Corinzi, appaiono estremamente polarizzate.
Per quanto riguarda la politica interna, echi del dibattito si trovano nell’Ippolito di
Euripide163 . L’anno della rappresentazione della tragedia è il 428 a.C. La caratterizzazione
di Ippolito sembra risentire del clima di quegli anni. Come nota Carter, egli è un giovane
principe, dedito esclusivamente alla caccia e al culto di Artemide. Più volte egli definisce se
stesso sophron (vv. 993-95; 1006-7; 1100-1101; 1364-65)164 . La sua sophrosyne però ha
qualcosa di estremo, in quanto coincide con la scelta della castità 165 . L’attualità della sua
caratterizzazione la si deduce, ad esempio, dai versi 986-989:

ἐγὼ δ᾽ ἄκομψος εἰς ὄχλον δοῦναι λόγον,


ἐς ἥλικας δὲ κὠλίγους σοφώτερος:
ἔχει δὲ μοῖραν καὶ τόδ᾽: οἱ γὰρ ἐν σοφοῖς

162
Ch. 159 b ss.
163
v. Carter 1986, 52 e sgg. Sulla caratterizzazione di Ippolito nell’omonima tragedia di Euripide si veda
Devereux 1985. Il teatro riflette ampiamente questo dibattito tra attivismo e quietismo. A proposito Demont
1990, 115-180.
164
v. Halleran 1995, 45-46. A proposito della sophrosyne nell’Ippolito: no word is more fundamnetal to any
greek play then sophrosyne is to this one, and in no other play do words from this root appear so often, 45.
165
Sul fallimento della virtù e del pudore nell’Ippolito si veda Lombardi 2006, 29-47; Brillante 2006, 36-53 il
quale approfondisce l’aidos che caratterizza il personaggio di Fedra.
53
φαῦλοι παρ᾽ ὄχλῳ μουσικώτεροι λέγειν166 .

Questa affermazione rimanda al contesto delle eterie aristocratiche 167 . È solo in questi
ambienti ristretti che si pratica la vera sophrosyne, strettamente legata ad un atteggiamento
di sdegnoso distacco dalla vita attiva. Allo stesso contesto rimandano i vv. 993-999:

(…) εἰσορᾷς φάος τόδε


καὶ γαῖαν: ἐν τοῖσδ᾽ οὐκ ἔνεστ᾽ ἀνὴρ ἐμοῦ,
οὐδ᾽ ἢν σὺ μὴ φῇς, σωφρονέστερος γεγώς.
ἐπίσταμαι γὰρ πρῶτα μὲν θεοὺς σέβειν
φίλοις τε χρῆσθαι μὴ ἀδικεῖν πειρωμένοις
ἀλλ᾽ οἷσιν αἰδὼς μήτ᾽ ἐπαγγέλλειν κακὰ
μήτ᾽ ἀνθυπουργεῖν αἰσχρὰ τοῖσι χρωμένοις168

Ippolito, com’è noto, viene accusato da Teseo di aver abusato di Fedra e di averne causato
il suicidio. L’accusa di Teseo, a cui segue la difesa di Ippolito, si estende a coloro che hanno
le stesse caratteristiche (gente come te deve essere evitata da tutti: irretiscono con discorsi
superbi e intanto tramano infamie v. 955). Teseo fa alcuni riferimenti polemici: Ippolito si
dichiara sophron, tiene Orfeo per patrono e impazza con la sua cultura fumosa (952-54)169 .
Nella difesa Ippolito ribadisce la sua sophrosyne (vv. 994 - 95) e contemporaneamente
protegge la sua cerchia di amicizie. I suoi amici si vergognerebbero di fare richieste e
prestare servizi infami. Termine chiave nella difesa della sua cerchia di amicizie è

166
Io non sono abile a parlare davanti ad una folla, piuttosto a pochi coetanei. È naturale: i migliori a parlare
in pubblico sono quelli che tra i saggi vengono disprezzati (trad. Paduano G.). Cf. Plat. Symp. 175c; 194 a-b.
167
A proposito Paduano 2000, 109 n. 139: la recusatio era un luogo comune dell’autodifesa; in questo caso
tuttavia si lega a una concezione aristocratica ad elitaria, che disprezza la retotica come mezzo di persuasione
degli incolti. Come nota Susannetti 1997, la posizione di Euripide può essere accostata alle posizioni
polemiche di Platone nei confronti della retorica (v. Gor. 465 d ss.; Symp. 194 b-c).
168
Tu vedi il sole e la terra; tra l’uno e l’altra non c’è uomo più virtuoso di me, anche se tu non sei disposto a
riconoscerlo. Io so innanzi tutto venerare gli dei, e ho amici incapaci di far torto, che si vergognerebbero di
fare richieste o prestare servizi infami (…) (Trad G. Paduano).
169
L’adesione all’Orfismo da parte di Ippolito rimanda a contesti di tipo iniziatico, a cui rinvia anche
l’immagine del fumo (Susannetti 1997. 96), ed è connessa anche alla natura estrema della sophrosyne di
Ippolito, destinata al fallimento. Tale virtù infatti è praticata nella forma sublimata di un rigoroso ascetismo
(Lombardi 2006, 35). La vera sophrosyne però non sta nel mero compiersi di pratiche rituali e ascetiche
(Susannetti 1997, 97). La condanna dei grammata orfici si trova anche in Pl. Rp. II 364 d ss. Si può notare che
qui Teseo dipinge in maniera caricaturale le pratiche orfiche. Com’è noto, l’obiettivo di questa pratiche, che
includevano ascetismo e vegetarianesimo, era il raggiungimento dell’immortalità (athanatizein) v. Halleran
1995, 231. Come nota la Lombardi, la tradizione orfico-pitagorico-dionisiaca era ben radicata nel contesto
della polis. Anche nel Carmide si possono trovare riflessi di tale tradizione. Caratteristica dell’insegnamento
dei Traci di Zalmossi è infatti quella di apathanatizein, rendere immortali. v. Ch. 156 d 6; Centrone 1997, 230
n. 15.
54
l’αἰδώς170. L’onore nella sua ambiguità è l’ossessione di Fedra. Aidos e sophrosyne
nell’Ippolito sono strettamente legati, al punto che uno diventa la manifestazione dell’altro.
Il gioco consapevole con termini pregnanti dell’etica tradizionale lo si ritrova nel Carmide,
all’interno del gioco dei caratteri. Nel segno dell’attualità i vv. 1013-1020:

ἀλλ᾽ ὡς τυραννεῖν ἡδὺ τοῖσι σώφροσιν;


ἥκιστ᾽, † τὰς φρένας διέφθορεν
θνητῶν ὅσοισιν ἁνδάνει μοναρχία.
ἐγὼ δ᾽ ἀγῶνας μὲν κρατεῖν Ἑλληνικοὺς
πρῶτος θέλοιμ᾽ ἄν, ἐν πόλει δὲ δεύτερος
σὺν τοῖς ἀρίστοις εὐτυχεῖν ἀεὶ φίλοις:
πράσσειν τε γὰρ πάρεστι, κίνδυνός τ᾽ ἀπὼν
κρείσσω δίδωσι τῆς τυραννίδος χάριν171 .

Ippolito, nel difendersi dalle accuse di Teseo, previene un possibile insinuante sospetto del
padre: che possa aver abusato della matrigna per ottenere, attraverso questa relazione, il
governo della sua casa (v. 1010). Ma vano sarebbe ogni sospetto perché il potere non
esercita sulla persone sagge, τοῖσι σώφροσιν, alcuna attrattiva. Il potere distrugge il senno,
τὰς φρένας διέφθορεν… μοναρχία. Vincere è dolce se la competizione avviene all’interno
delle gare panelleniche, ma ἐν πόλει è preferibile la compagnia di aristoi philoi. Ciò è
legittimo: πράσσειν τε γὰρ πάρεστι172 . Si tratta di un’esplicita dichiarazione di
apragmosyne vista come preferibile ad un’azione politica. Correttamente Susannetti valuta
come le aspirazioni e le abitudini professate da Ippolito lasciano intravedere, al di là della
vicenda mitica, l’isolamento e la concentrazione in attività “nobili”, l’atteggiamento
elitario ed iniziatico che riesce sospetto od odioso all’uomo comune173 .

170
A proposito dell’aidos nell’Ippolito si veda Lombardi 2006, 42 ss. Nella rhesis Fedra sottolinea il carattere
ambivalente dell’aidos, Hipp. 385-86, riecheggiando così Esiodo Op. 317-319. Il valore sociale-politico di tale
virtù è riscontrabile nel mito di Prometeo del Protagora, in cui aidos e dike sono i prerequisiti per la crazione
della polis. Sull’aidos di Fedra si veda Brillante 2006.
171
Oppure sostieni che anche per gli animi virtuosi il potere ha delle attrattive? Io non lo credo; […] il potere
assoluto distrugge la ragione di chi se ne lascia sedurre. Quanto a me, io certo vorrei essere il primo nelle
gare panelleniche, ma in città voglio essere il secondo, godendo di buona fortuna e dell’affetto dei migliori. In
questo modo è possibile agire, e la mancanza di pericoli dà maggior piacere che non la sovranità (trad.
Paduano G.). Helleran 1995, 236, segue Markland nell’aggiungere un punto interrogativo dopo edy al v. 1013
(similmente Weil, Méridier, Stockert). Ai vv. 1014-15 il testo è corrotto. Barrett suggerisce come attacco del v.
1014 ἥκιστ᾽, ἐπεί τοι, che darebbe una certa plausibilità al testo, come sostiene Helleran 199, 237. Alcuni
(Weil, Nauck) espungono i versi 1012-15.
172
Cf. Soph. OT, 584-93; Eur. Ion. 598-99.
173
Susannetti 1997, 100; Paduano 1968, 326; Di Benedetto 1971, 303 ss.
55
Gli anni in cui l’Ippolito viene messo in scena sono i primi anni della guerra del
Peloponneso. L’opposizione a Pericle era già cessata 174 . In quegli anni compaiono sulla
scena personalità di bassa estrazione. Si tratta del ceto dei piccoli arricchiti rappresentato, ad
esempio, dal conciapelli Cleone175 . Dinanzi ad un tale fenomeno la nobiltà si chiude in se
stessa a definire il proprio codice di valori, in opposizione polare a quello democratico 176 .
Solo a partire dal 415, con la mutilazione delle Erme, quella che era teoria diventerà prassi.
Quella che era parola si farà azione.
Il Carmide è specchio fedele di quest’atmosfera politico-culturale, non a caso Carter
nota come alcuni aspetti della caratterizzazione di Ippolito in Euripide ricordino la
caratterizzazione di Carmide nell’omonimo dialogo. Sophrosyne, ristretta cerchia di
amicizie, etica filospartana: la temperie è la stessa 177 . Ippolito e Carmide, nella loro
bellezza e gioventù, sono due prodotti, se così si può dire, dell’educazione tradizionale 178 .
Nel sottolineare la forte affinità che si coglie tra l’Ippolito di Euripide e il Carmide di
Platone non si intende entrare nella questione ancora dibattuta relativa alla critica in
Euripide dell’intellettualismo socratico 179 . Ciò che qui si vuole mettere in evidenza è 1.
l’importanza di questo background per la comprensione del nostro dialogo; 2. la
coincidenza tra il background del Carmide, quello degli anni della formazione del giovane
Platone e quello in cui viene alla luce di l’Ippolito di Euripide180 . Platone è dunque
perfettamente consapevole delle implicazioni politiche della sophrosyne, di una massima
come quella del ta heautou prattein e della connessione di tale massima con il dibattito
relativo all’apragmosyne. A proposito della consapevolezza di Platone e dell’operazione che
compie nel tentativo di passare in rassegna un termine, come quello della sophrosyne, dotato
di forte pregnanza, illuminanti risultano le parole di Rademaker 181 :

174
v. Carter 1986, 70.
175
A proposito v. Capizzi 1984, 15 ss.
176
Espressione dello stato d’animo degli aristoi è la Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo-Senofonte, il cui
sdegnoso atteggiamento aristocratico e filospartano ricorda quello di Teognide. Il teatro di Aristofane diventa
anch’esso voce dell’insofferenza della classe aristocratica cf. ad es. Eq. 475-8; Vesp. 344-5; 953.
177
La connessione tra apragmosyne e sophrosyne, che caratterizza i personaggi di Ippolito e Carmide, la
ritroviamo in Aristofane poco dopo il 420 (Pax 1297; Av. 1432ss.). Bdelicleone è un personaggio che pur
all’interno della distorsione comica, rispecchia la stessa generazione di giovani apragmones.
178
Così come viene, ad esempio, espressa nel discorso giusto all’interno delle Nuvole di Aristofane (v. 961 ss.)
commendia del 423 a.C.
179
Lombardi 2006, 29 ss.; Paduano 1968, 275 ss; Di Benedetto 1971., 5 ss..
180
Non a caso centrale è in Euripide l’elaborazione del concetto di sophrosyne per cui si veda Gastaldi 1998,
208-209. In particolare: … le forze che si contrappongono all’interno dell’individio stesso emergono in primo
piano nelle tragedie di Euripide, e di conseguenza la riflessione sulla natura e sul ruolo della sophrosyne si
sottopone ad un’ulteriore importante elaborazione, 208. Il conflitto si fa tutto interno tra passione e ragione,
tra sophrosyne come autocontrollo e forza attrattiva del thymos. La Gastaldi nota come emblematici di questo
conflitto siano i personaggi di Medea e la Fedra dell’Ippolito.
181
Rademacker 2005, 3 ss.
56
A quick glance at the treatment of σωφροσύνη in Chrm. serves to suggest that its author is fully aware
of the astounding variety of ways in which the word can be used. Here, it would seem, is a
philosophical writer intent on giving a full account of the rich and complicated concept under
consideration. It seems equally clear that Plato not only leaves no stone unturned, but also intends to
take nothing for granted; Charmides seems to address virtually all traditional ideas concerning
σωφροσύνη, and to show that most of these are problematic.

Tale tensione tra vecchio e nuovo si percepisce nel gioco dei caratteri. Crizia, abituato ad
eccellere, si trova a disagio nell’ammettere la sua aporia e fa di tutto per nasconderla. Con
sicurezza definisce la sophrosyne. Alcuni elementi della sua caratterizzazione dimostrano
che ciò che manca in Crizia - lo si vedrà più chiaramente nel cap. IV - è la consapevolezza
del limite, la coscienza tutta socratica di ciò che non si sa. Qui è interessante notare che
alcuni aspetti della caratterizzazione di Crizia ricordino da vicino la hybris del dramma.
Tale caratteristica lo allontana dalla visione tradizionale della virtù in esame legata alla
moderazione, lasciando presagire, in una sorta di profezia post eventum, il fallimento
fattuale della sua ideologia. L’Ippolito, parallelamente, si risolve con un fallimento della
sophrosyne, sia di quella legata all’aidos, che caratterizza Fedra, sia di quella di tipo
ascetico che caratterizza Ippolito. Entrambi i personaggi peccano, anche se per vie diverse,
di hybris. A metà tra i due personaggi sta la nutrice a ricordare l’importanza della virtù nella
sua concezione tradizionale, quella del meden agan182 . A metà tra i due personaggi sta la
sapienza popolare, a marcare il limite dell’uomo. Da questo punto di vista la figura di
Ippolito, allora, è più vicina a quella di Crizia che a quella di Carmide: un troppo alto
concetto di sé ed una aprioristica convinzione di possedere la sophrosyne sfociano
irrimediabilmente nel fallimento di quella stessa virtù di cui si proclama il possesso.
Dunque il dibattito sull’utilità e sul senso della sophrosyne, vista da un lato come
onore dall’altro come sdegnosità aristocratica, è forte e sentito nell’Ippolito prima che nel
Carmide, così come la tensione tra teoria e prassi, apragmosyne e polypragmosyne183 .
Ora, il processo di critica-revisione della tradizione, che trova in Crizia e in Euripide
due snodi fondamentali, si riflette nel Carmide, ambientato proprio negli anni in cui questa
revisione era in atto. Platone, formandosi in quegli anni, eredita i termini del dibattito. Allo

182
Cf. Hipp. 264-266: οὕτω τὸ λίαν ἧσσον ἐπαινῶ/ τοῦ μηδὲν ἄγαν/ καὶ ξυμφήσουσι σοφοί μοι. Si veda anche
Hipp. v. 467. Come nota la Lombardi (2006, 31 n. 4) tale visione è espressa attraverso l’antica tradizione
sapienziale e la lirica arcaica. v. anche Gastaldi 1998b, 205 ss.
183
Tale tensione è a mio avviso percepibile dal confronto tra la parte iniziale e quella finale del dialogo.
L’elogio sentito della casata di Crizia-Carmide-Platone contrasta con l’allusione profetica alla violenza, che
compare nelle ultime battute del dialogo. Non è l’ideologia, basata su una tradizione di matrice soloniana, ad
essere messa in discussione, ma il risultato violento della sua messa in atto.
57
stesso modo dei suoi predecessori, l’eredità di Platone è affiancata ad un’operazione di
innovazione e revisione. Interessante, al fine di apprezzare questa operazione, può essere
allora gettare uno sguardo al IV libro della Repubblica, tenendo presente la profonda
differenza di contesto, la diversa maschera di Socrate e il carattere autonomo di ogni singolo
dialogo184 . Nel IV libro della Repubblica:
a) S’indaga sulla sophrosyne (IV, 430 d ss.) tenendo presente i contributi di Euripide alla
definizione di una tale virtù;
b) ricompare la massima, eredità di Crizia, del fare le proprie cose, come definizione di
giustizia185 ;
c) la massima di Crizia è messa in rapporto al limite.

a) La ricerca della sophrosyne nel IV della Repubblica prende le mosse dalla


tradizione. Secondo Socrate somiglia συμφωνίᾳ τινὶ καὶ ἁρμονίᾳ (430 e 1 - 2). Subito dopo
(430 e 5) è definita come κόσμος πού τις (…) καὶ ἡδονῶν τινων καὶ ἐπιθυμιῶν ἐγκράτεια.
Tale indagine, nota la Gastaldi:

(…) prende avvio da un’analisi che concerne la condizione dell’anima e che presuppone il riferimento
ad un insieme di dati acquisiti dalla tradizione culturale. La situazione che quelle formule evocano è
infatti la stessa delineata dalle eroine di Euripide: nell’anima è in atto una forza che si risolve a
vantaggio di chi esercita una forza superiore (…)186

Socrate definisce la sophrosyne partendo da una concezione tradizionale. La lotta all’interno


di sé stessi rimanda d’altra parte ai contesti delle tragedie di Euripide, al dilaniante dissidio
tra pulsioni e autocontrollo. Tale dimensione sembra essere ignorata nel Carmide. In realtà
essa è presente in alcuni aspetti della caratterizzazione di Crizia 187.
Proseguendo con la lettura di Rp. IV leggiamo che il controllo degli appetiti lo si trova in
pochi individui, ἐν ὀλίγοις, (…) καὶ τοῖς βέλτιστα μὲν φῦσιν, βέλτιστα δὲ παιδευθεῖσιν (431
c 6-7). Buona physis e buona trophe. Da ciò il sophron. Se da un lato immediato è pensare

184
Il confronto con le opere più mature di Platone è inevitabile data la corrispondenza di alcune tematiche, ma
ciò non implica la necessità della lettura di tali opere per la comprensione dei così detti dialoghi socratici.
Fortemente condivisibile ed equilibrata la posizione di Vegetti 2003, 66-85.
185
Nella Repubblica si tratta dunque di operare uno spostamento, trasferendo alla dikayosyne una serie di
valenze sempre connesse alla sophrosyne, Gastaldi 1998b, 232. A proposito anche Larson 1951, 395-414;
Rowe 1979, 336-44; Hazebroucq 1997, 184-188; Campese 1998, 285 ss..; de Luise - Farinetti 1998, 209 ss.;
Bultrighini 1999, 69 . Cf. Plat. Gor. 507 b-e; Prot. 323 a 5 ; 325 a 1. Sophrosyne e dikaiosyne sono
esplicitamente accostate da Callicle nel Gorgia (491 b–c). Cf. anche Alc. I, 134 c 10-12; Prot. 323 a 5; 325 a
1.
186
Gastaldi 1998, 211. Per il concetto di enkrateia in Platone v. Dorion 2007, 110-136.
187
infra, § IV.2.3.
58
al Protagora188 , dall’altro impossibile non vedere qui l’eredità di Crizia (es. 88 B9 DK):
nell’unione di physis e trophe come prerequisito per la sophrosyne si coglie la matrice
aristocratica del pensiero di Platone. Pochi i migliori. Nel Carmide ciò che distingue il
giovane è la sua origine. La sua physis, in altre parole, si lega a quella della sua famiglia.
Tale caratteristica ne determina la sua superiorità189 . Come Carmide, anche Ippolito. Il
giovane può manifestare la sua saggezza insieme a pochi coetanei (Hipp. v. 987). Tali
amici, liberi dall’errore, sono i migliori, gli aristoi (v. 1018). Una città governata da tale
eletta minoranza riceve per emanazione la stessa caratteristica (Rp. 431 d 7)190 . Fin qui si
può parlare di una consonanza tra il Socrate della Repubblica e il Crizia del Carmide. La
diversità dell’elaborazione la si coglie subito dopo. La sophrosyne non resta limitata a chi la
possiede (Rp. 432 a). Come una sinfonia si estende per tutta la città, passa dai governanti ai
governati, facendo cantare all’unisono i più deboli, i più forti e quelli di mezzo (432 a 3 - 4),
fino al punto da poter affermare:

ὀρθότατ᾽ ἂν φαῖμεν ταύτην τὴν ὁμόνοιαν σωφροσύνην εἶναι, χείρονός τε καὶ


ἀμείνονος κατὰ φύσιν συμφωνίαν ὁπότερον δεῖ ἄρχειν καὶ ἐν πόλει καὶ ἐν ἑνὶ ἑκάστῳ.
(Rp. IV, 432 a 6-8)

Come non ravvisare in questa descrizione dell’homonoia l’utopia del buon governo (Ch.
171 d)? In tale schizzo, se si ricorda, veniva ritratta l’attività del sophron. Se sapesse quali
cose sa e quali non sa (= limite) allora gran vantaggio verrebbe a loro stessi (= governanti) e
a coloro che sono governati (II e III ceto della Reubblica)191 . È proprio l’ideale della
homonoia, espressione di armonia tra la classi, ad essere rappresentato attraverso l’utopia
del buon governo. La virtù dei governanti, ciò che ne legittima l’azione di governo,
determina, per conseguenza, l’armonia dei governati e della città. Torneremo a breve su
questa sezione del Carmide (punto c). Il passo dalla virtù alla giustizia allora diventa breve.
La sophrosyne apre la strada alla definizione di dikaiosyne. L’obiettivo dei primi libri della
Repubblica troverà nel IV piena realizzazione 192 . Tale direzione della ricerca fornisce a
Socrate una traccia, ichnos, che permetta di dirigersi verso quel luogo dysbatos kai episkios,

188
Plat. Prot. 324 b 6-c 5.
189
Cf. Ch. 154 e; 157 d - e.
190
Per il parallelismo città-anima si veda Ferrari 2005.
191
L’affitità si coglie all’interno di una profonda differenza. Com’è noto peculiarità della Repubblica è la
tripartizione dell’anima e della polis. Nel Carmide, e nei dialoghi socratici in generale, è presente invece la
bipartizione tradizionale tra governanti e governati.
192
A proposito Vegetti 1998 vol. III , 11: il libro IV dell Repubblica costituisce la conclusione formale e
solidamente argomentata del grande dibattito sulla giustizia (...).
59
inaccessibile e oscuro (432 c 7), in cui si trova l’essenza della dikaiosyne. Veniamo pertanto
al punto b.
b) Ciò che sfugge e ha l’apparenza di impenetrabilità è forse qualcosa che sta vicino,
molto più di quanto si creda. La giustizia, in altre parole, già da tempo rotola davanti ai
piedi di Socrate e Glaucone (432 d 8). L’immagine della dikaiosyne che rotola
(kulindeisthai) o che, quasi come un animale, gioca a nascondersi nel bosco fino a divenire
invisibile (432 b 8) ha una forte carica teatrale e contribuisce ad aumentare la tensione del
passo. Tensione che culmina in 433 a 1 ss. La giustizia consiste in ciò che si è stabilito
bisogna fare quando si fonda una città o in qualche sua forma. Ma cosa si è stabilito?

ἐθέμεθα δὲ δήπου καὶ πολλάκις ἐλέγομεν, εἰ μέμνησαι, ὅτι ἕνα ἕκαστον ἓν δέοι
ἐπιτηδεύειν τῶν περὶ τὴν πόλιν, εἰς ὃ αὐτοῦ ἡ φύσις ἐπιτηδειοτάτη πεφυκυῖα εἴη.

Seguire la propria physis è l’essenza della giustizia. Ma il punto in cui culmina la ricerca,
l’apice della tensione, è la definizione seguente:

καὶ μὴν ὅτι γε τὸ τὰ αὑτοῦ πράττειν καὶ μὴ πολυπραγμονεῖν δικαιοσύνη ἐστί, καὶ
τοῦτο ἄλλων τε πολλῶν ἀκηκόαμεν καὶ αὐτοὶ πολλάκις εἰρήκαμεν.
(Rp. 433 a 8-b 2).

La giustizia consiste nel fare le proprie cose. Tale slogan ritorna con tutta la sua portata
rivoluzionaria. Qui è tangibile l’eredità criziana e contemporaneamente l’originale
interpretazione platonica. La meta della ricerca, la dikaiosyne, è incarnata dal principio che
riassumeva, per la sua intrinseca flessibilità, l’ideologia politica di Crizia193 . In questo
senso si comprende l’immagine teatrale che precede. Ciò che si cerca e a cui la dialettica
tende è in ultima analisi ciò che da sempre si ha davanti agli occhi: ὥσπερ οἱ ἐν ταῖς χερσὶν
ἔχοντες ζητοῦσιν ἐνίοτε ὃ ἔχουσιν, καὶ ἡμεῖς εἰς αὐτὸ μὲν οὐκ ἀπεβλέπομεν, δέ ποι
ἀπεσκοποῦμεν, ᾗ δὴ καὶ ἴσως ἡμᾶς (432 d 9 - e 2). L’oggetto della ricerca sfuggiva
(ἐλάνθανεν) perché l’indagine si svolgeva in avanti, πόρρω. Tale principio era realmente
stato sempre davanti agli occhi di Platone. Abbiamo infatti sottolineato come negli anni
della sua infanzia e della sua formazione il dibattito intorno al to ta heautou prattein in
relazione all’apragmonein fosse vivace. Qui nella Repubblica ritroviamo, a scanso di ogni

193
L’eredità di Crizia è trasparente, come nota Bultrighini (1999, 70) anche in Rp. VI 496 a ss. : colui che
pratica la filosofia, entrato in questa piccola schiera, osservando l’ingiustizia dilagante dei più, resta tranquillo
e si occupa delle proprie cose (ταῦτα πάντα λογισμῷ λαβών, ἡσυχίαν ἔχων καὶ τὰ αὑτοῦ πράττων, 496 d 5-6).
60
possibile equivoco, il ta heautou prattein come sinonimo del μὴ πολυπραγμονεῖν, ossia
dell’apragmosyne194 . Socrate afferma sia di averlo sentito da molti, sia di averlo detto più
volte. In questo senso il Carmide costituisce una chiave di volta. Nel dialogo infatti si trova
la massima, e dunque passa attraverso la bocca di Socrate, del suo vaglio dialettico.
Contemporaneamente viene fatta risalire esplicitamente a Crizia. Entrambe le proposizioni
coordinate di Rp. IV 433 a 9 - b 1, trovano allora un riscontro nel Carmide: si spiega in
questo modo l’aver ascoltato ἄλλων τε πολλῶν e l’aver detto πολλάκις. L’avverbio ha un
riscontro preciso. La massima, come vedremo a breve, non si trova soltanto nel Carmide,
ma compare significatvamete nell’Alcibiade I e nel Timeo. Il contesto in cui compare la
definizione della giustizia ci porta al punto c della nostra argomentazione.
c) La massima di Crizia in Rep. IV è messa in rapporto al limite, da intendersi come
capacità di porre un freno al proprio potere (autocontrollo) e dunque capacità di
settorializzare le competenze 195 . Ora, vorremmo far notare che sono due le sfumature
connesse al limite: una è di tipo etico ed introspettivo ed una è di tipo sociale, la prima ha a
che fare con l’autocontrollo, l’altra con l’agire politicamente corretto. Queste sfumature
sono di fatto conseguenziali e profondamente legate. Entrambe rientrano nel vasto campo
semantico della sophrosyne. Partiamo dalla prima sfumatura. In Rp. IV abbiamo visto come
la sophrosyne divenga ἡδονῶν τινων καὶ ἐπιθυμιῶν ἐγκράτεια (430 e 5). Nel Gorgia196
come è noto Callicle antepone il coraggio alla sophrosyne. Coloro che sono legittimati a
governare sono gli individui che possiedono tali caratteristiche (491 d). In risposta Socrate
pone l’accento sulla capacita dei governati di governare sé stessi (491 d 8):

(Σω) ἕνα ἕκαστον λέγω αὐτὸν ἑαυτοῦ ἄρχοντα: ἢ τοῦτο μὲν οὐδὲν δεῖ, αὐτὸν ἑαυτοῦ
ἄρχειν, τῶν δὲ ἄλλων;

Callicle non comprende il senso dell’obiezione di Socrate, il quale precisa quanto affermato
precedentemente:

194
A proposito Vegetti 2006, 582 n. 33: il linguaggio di questo passo sembra indicare l’intenzione di Platone
di raccordare la definizione di giustizia con il senso comune e le opinioni largamente condivise, sulla base
della diffusa ostilità verso la polypragmosyne, considerata un aspetto negativo dell’Atene periclea.
195
Da tener presente che nell’analisi incrociata della sophrosyne nel Carmide, drammatizzata attraverso il
personaggio di Crizia, e della sophrosyne in Fedra e Ippolito nell’Ippoito di Euripide eravamo arrivati alla
conclusione che ciò che determina il fallimento della messa in atto della virtù di cui si proclama il possesso è
l’assenza di senso del limite, la hybris. A proposito della settorializzazione delle competenze Bultrighini 1999,
69: la prospettiva platonica coinvolge e si concentra soprattutto sull’avversione all’assenza di
specializzazione nel sistema democratico(…) In Platone assume un rilievo centrale il tema delle competenze,
autentico rovello nella riflessione delle cerchie socratiche.
196
La Gastaldi (1998b, 224) valuta come nel Gorgia sia presente questo doppio ruolo della sophrosyne:
individuale e di relazione.
61
(Σω) οὐδὲν ποικίλον ἀλλ᾽ ὥσπερ οἱ πολλοί, σώφρονα ὄντα καὶ ἐγκρατῆ αὐτὸν ἑαυτοῦ,
τῶν ἡδονῶν καὶ ἐπιθυμιῶν ἄρχοντα τῶν ἐν ἑαυτῷ.

Se da una lato qui si nota la perfetta sovrapponibilità di questo passo con Rp. 430 e 5,
dall’altro si può notare come dietro quell’ὥσπερ οἱ πολλοί stia la conferma di come l’idea
del governo di sé fosse diffusa: οὐδὲν ποικίλον, niente d’intricato197 . Come è noto, Callicle
ribalta questa concezione tradizionale fino ad arrivare ad affermare che il comportamento
bello e giusto secondo natura deve essere quello di chi si abbandona incondizionatamente
alla soddisfazione dei desideri (492 a). Dalla prospettiva di Callicle giustizia e temperanza
costituiscono qualcosa di vergognoso. Nel Fedro 237 e - 238 a nella sezione iniziale del I
discorso di Socrate, recitato a capo velato, viene rappresentata la lotta interna all’individuio
tra due pricipi. L’uno è il desiderio innato di piacere, l’altro aspira al bene. Alla seconda si
dà il nome di sophrosyne alla prima quello di hybris. Tra le forme del desiderio l’eros è
quella che è generata dal piacere della bellezza. Al limite - sophrosyne si contrappone
l’assenza del limite - hybris. A questo punto è legittimo chiedersi se tale visione tradizionale
della sophrosyne come enkrateia in perfetta antitesi con la smoderatezza - la hybris - sia
presente nel Carmide e in che misura. Nella seconda sezione del dialogo è Socrate a porre
l’accento sulla consapevolezza, da parte di colui che possiede una scienza, di possedere tale
scienza. Socrate arriva ad ipotizzare che il medico possa agire saggiamente ed essere saggio,
ignorando di esserlo ( 164 c 5 - 6). Questa provocazione fa scattare la III definizione di
Crizia: sophrosyne come to gignoskein heauton. Qui si mostra questa tensione alla
conoscenza-dominio di sé198 . Ma chi conosce se stesso deve anche essere in grado di
esaminare cosa sa e cosa non sa.

ὁ ἄρα σώφρων μόνος αὐτός τε ἑαυτὸν γνώσεται καὶ οἷός τε ἔσται ἐξετάσαι τί τε
τυγχάνει εἰδὼς καὶ τί μή, καὶ τοὺς ἄλλους ὡσαύτως δυνατὸς ἔσται ἐπισκοπεῖν τί τις
οἶδεν καὶ οἴεται, εἴπερ οἶδεν, καὶ τί αὖ οἴεται μὲν εἰδέναι, οἶδεν δ᾽ οὔ, τῶν δὲ ἄλλων
οὐδείς: καὶ ἔστιν δὴ τοῦτο τὸ σωφρονεῖν τε καὶ σωφροσύνη καὶ τὸ ἑαυτὸν αὐτὸν
γιγνώσκειν, τὸ εἰδέναι ἅ τε οἶδεν καὶ ἃ μὴ οἶδεν. (Ch.167 a 1 -7)199

197
Cf Alc. I 122 a 4-7 . A proposito dell’educazione dei re persiani l’insegnante più saggio insegnerà a non
essere dominato dai piaceri: ὁ δὲ σωφρονέστατος μηδ᾽ ὑπὸ μιᾶς ἄρχεσθαι τῶν ἡδονῶν, ἵνα ἐλεύθερος εἶναι
ἐθίζηται καὶ ὄντως βασιλεύς, ἄρχων πρῶτον τῶν ἐν αὑτῷ ἀλλὰ μὴ δουλεύων (…). Sull’enkrateia v. anche
Xen. Mem. I 5; II 1. Su tale concetto in Senofonte e Platone si veda ora Dorion 2007, 119 ss.
198
Cf. Alc. I, 124 b 1-2.
199
Per l’affinità tra questo passo e l’etica antifontea dell’Homonoia v. infra, § III..2.2.
62
Solo il saggio ha questa peculiarità. Il σώφρων è in grado di trovare il limite prima in se
stesso (οἷός τε ἔσται ἐξετάσαι τί τε τυγχάνει εἰδὼς καὶ τί μή) e poi negli altri (καὶ τοὺς
ἄλλους ὡσαύτως). La quintessenza del σωφρονεῖν sta in questo : τὸ εἰδέναι ἅ τε οἶδεν καὶ ἃ
μὴ οἶδεν. Questo passo è centrale, come dimostra la presenza, subito dopo,
dell’esclamazione la terza al salvatore, spia di un discorso pregnante e risolutivo 200 . In
questo passo si nasconde la doppia valenza della sophrosyne e dunque le due sfumature
connesse al senso del limite. Conoscere se stessi significa anche e soprattutto sapere ciò che
non si sa. Si tratta di circoscrivere il proprio campo di azione. Ma cos’altro sarebbe
quest’operazione di circoscrizione del proprio agire se non un riflesso, il più immediato,
dell’enkrateia? Chi non è in grado di circoscrivere il proprio raggio d’azione si lascia andare
ai desideri, anche se smisurati in confronto alle proprie possibilità e potenzialità. Ma
compito del saggio non è solo questo. Egli non è solo in grado di circoscrivere il suo agire,
ma anche quello degli altri. In questo sta l’ophelia della sophrosyne. Si tratta in sostanza
dell’effetto sociale del possesso o meno della sophrosyne intesa come autocontrollo,
conoscenza di sé e del raggio delle proprie competenze. Il dialogo nella seconda sezione
prende tale direzione, riflesso del quale sono l’utopia politica e il sogno di Socrate. L’utopia
politica del Carmide ribadisce l’esigensa di una settorializzazione delle competenze come
riflesso di una conoscenza profonda di sé. Ma va anche oltre: ne mostra gli effetti.

(…) ἀναμάρτητοι201 γὰρ ἂν τὸν βίον διεζῶμεν αὐτοί τε καὶ οἱ τὴν σωφροσύνην
ἔχοντες καὶ οἱ ἄλλοι πάντες ὅσοι ὑφ᾽ ἡμῶν ἤρχοντο. οὔτε γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν
πράττειν ἃ μὴ ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽ ἐξευρίσκοντες τοὺς ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν
παρεδίδομεν, οὔτε τοῖς ἄλλοις ἐπετρέπομεν, ὧν ἤρχομεν, ἄλλο τι πράττειν ἢ ὅτι
πράττοντες ὀρθῶς ἔμελλον πράξειν - τοῦτο δ᾽ ἦν ἄν, οὗ ἐπιστήμην εἶχον - καὶ οὕτω
δὴ ὑπὸ σωφροσύνης οἰκία τε οἰκουμένη ἔμελλεν καλῶς οἰκεῖσθαι, πόλις τε
πολιτευομένη, καὶ ἄλλο πᾶν οὗ σωφροσύνη ἄρχοι (Ch. 171 d 1 - e 7)

Le consegunenze della sophrosyne non riguardano esclusivamente i possessori di questa


virtù, ma anche ὅσοι ὑφ᾽ ἡμῶν ἤρχοντο. Non intraprenderemo - dice Socrate - a fare infatti

200
supra, 18 n. 44.
201
L’essere liberi dall’errore (ἀναμάρτητοι) è peculiarità intrinseca del sophron che la maschera di Socrate
incarna nei c.d. dialoghi socratici. Alla base dell’intellettualismo socratico sta infatti la convizione che
nessuno commette il male volontariamente e che, qualora si commetta il male, questo avvenga per la non
conoscenza del bene. In altre parole, a differenza della visione tradizionale a cui si ritorna in qualche modo
nella Repubblica e nel Fedro, la visione del primo Socrate non pone una dicotomia tra la volontà e il desiderio,
ma un’unica volontà che aspira al bene. Cf. ad es. Men. 78 a-b; Prot. 358 a-359 a; Gorg. 460a-c; 466a-469c.
Sul Socrate storico e i primi dialoghi di Platone v. Penner 2002, 190-212.
63
ciò che non sappiamo, ma trovando coloro che sanno a questi lo affideremmo e non
daremmo agli altri su cui esercitiamo il potere qualcos’altro da fare rispetto a ciò che, nel
momento in cui lo fanno, siano in grado di compiere correttamente, e questo sarebbe ciò di
cui hanno scienza. E così una casa amministrata dalla saggezza sarebbe amministrata
bene, una città sarebbe governata bene e ogni altra cosa su cui la sophrosyne governi. In
Rp. IV 434 c Socrate sembra in parte riecheggiare l’utopia del Carmide:

χρηματιστικοῦ, ἐπικουρικοῦ, φυλακικοῦ γένους οἰκειοπραγία, ἑκάστου τούτων τὸ


αὑτοῦ πράττοντος ἐν πόλει, τοὐναντίον ἐκείνου δικαιοσύνη τ᾽ ἂν εἴη καὶ τὴν πόλιν
δικαίαν παρέχοι;

Oἰκειοπραγία è termine chiave che ben riassume il concetto della divisione dei compiti. La
giustizia consite nell’οἰκειοπραγία da parte degli uomini d’affari delle guardie e dei
difensori. τοὐναντίον ἐκείνου, contrariamente a quanto detto sopra. Ossia lo scambio delle
funzioni o la moltiplicazione delle funzioni da parte delle rispettive classi. Dall’individuo si
passa alla polis. Dal governo di sé, al governo di una città. L’interrelazione tra l’individuo e
la città viene ribadita subito dopo (434 e). Rispetto al Carmide qui si trova un moto inverso
che dall’esame della città (primi quattro libri della Repubblica) arriva all’interiorità.

ὃ οὖν ἡμῖν ἐκεῖ ἐφάνη, ἐπαναφέρωμεν εἰς τὸν ἕνα, κἂν μὲν ὁμολογῆται, καλῶς ἕξει:
ἐὰν δέ τι ἄλλο ἐν τῷ ἑνὶ ἐμφαίνηται, πάλιν ἐπανιόντες ἐπὶ τὴν πόλιν βασανιοῦμεν, καὶ
τάχ᾽ ἂν παρ᾽ ἄλληλα σκοποῦντες καὶ τρίβοντες, ὥσπερ ἐκ πυρείων ἐκλάμψαι
ποιήσαιμεν τὴν δικαιοσύνην: καὶ φανερὰν γενομένην βεβαιωσόμεθα αὐτὴν παρ᾽ ἡμῖν
αὐτοῖς202 .

Il collegamento sophrosyne-homonoia nella sua dimensione interiore, dell’uno, e la stessa


qualità nella sua attuazione sociale è palese nel passo dell’ Alcibiade I in cui Socrate
afferma:

202
Quel che lì ci si è manifestato, trasferiamolo all’individuo: se ci sarà corrispondenza, tutto bene, se invece
nell’individuo si manifestasse una qualche differenza, riporteremo l’interrogazione sulla città e forse,
esaminandoli in parallelo e strofinandoli l’un l’altra, ne faremo sprigionare la scintilla della giustizia, come
da due legbnetti, e una volta divenuta visibile la consolideremo in noi stessi. (Trad. M. Vegetti). Sulla
relazione tra idividuo e polis nella Repubblica v. Ferrari 2005; Cantù 2011, 90-107.
64
Ebbene, questa concordia (homonoia) di cui tu parli che cos'è e cosa riguarda e quale arte la produce?
E l'arte che la produce per la città è la stessa che la produce anche per i privati, per ognuno nei
confronti di se stesso e nei confronti degli altri? (Alc. I 126 d 9-11)

Il passo s’inserisce non a caso nel contesto di riflessioni sulla settorializzazione del sapere.
La concordia si realizza nell’ambito di un’armonica divisione delle competenze 203 . Si può a
questo punto affermare che il sogno di Socrate sia passato da una porta di corno. Il governo
della sophrosyne è governo dell’οἰκειοπραγία.

εἰ γὰρ ὅτι μάλιστα ἡμῶν ἄρχοι ἡ σωφροσύνη, οὖσα οἵαν νῦν ὁριζόμεθα, ἄλλο τι κατὰ
τὰς ἐπιστήμας πάντ᾽ ἂν πράττοιτο, καὶ οὔτε τις κυβερνήτης φάσκων εἶναι, ὢν δὲ οὔ,
ἐξαπατῷ ἂν ἡμᾶς, οὔτε ἰατρὸς οὔτε στρατηγὸς οὔτ᾽ ἄλλος οὐδείς, προσποιούμενός τι
εἰδέναι ὃ μὴ οἶδεν, λανθάνοι ἄν (Ch. 173 a 8 – 4 b) .

Dal confronto tra il Carmide e il IV della Repubblica è stato possibile sia rendere
ragione di alcuni passi del dialogo, sia osservare in che modo Platone recuperi e riattualizzi
il dibattito del V secolo intorno alla giustizia e alla sophrosyne. Platone sembra mettere
l’accento sull’importanza del limite in rapporto all’individuo prima e poi, come
conseguenza, all’intera società. Limite come conoscenza di sé, di ciò che si sa e di ciò che
non si sa. Limite come capacità di affidare agli altri quello di cui non si ha competenza. Ora,
quest’ipotesi trova conferma se si getta uno sguardo ad altri luoghi del corpus in cui
compare il principio cardine del fare le proprie cose. In Timeo 72 a 4 - b 1 ad esempio si
legge:

(…) ἀλλ᾽ εὖ καὶ πάλαι λέγεται τὸ πράττειν καὶ γνῶναι τά τε αὑτοῦ καὶ ἑαυτὸν
σώφρονι μόνῳ προσήκειν. ὅθεν δὴ καὶ τὸ τῶν προφητῶν γένος ἐπὶ ταῖς ἐνθέοις
μαντείαις κριτὰς ἐπικαθιστάναι νόμος (…)204

Se osserviamo l’avverbio πάλαι riceviamo un’ulteriore conferma del carattere tradizionale


della definizione di Crizia nel Carmide. Da tempo si afferma che è tipico solo del saggio
fare e conoscere le proprie cose e se stesso. Si può rintracciare un gioco lessicale tra Tim. 72
a e Ch. 167 a 1.

203
infra,59.
204
Sull’esistenza della mantica cf. anche Ch. 173 c 3-7.
65
Tim. 72 a Ch. 167 a 1
(…) πάλαι λέγεται τὸ πράττειν καὶ γνῶναι ὁ ἄρα σώφρων μόνος αὐτός τε ἑαυτὸν
τά τε αὑτοῦ καὶ ἑαυτὸν σώφρονι μόνῳ γνώσεται (…)
προσήκειν.

Il passo del Carmide è tratto dall’utopia di cui si è discusso. Si nota la sorprendente


corrispondenza sulla peculiarità esclusiva del saggio (σώφρονι μόνῳ προσήκειν Tim. = ὁ
σώφρων μόνος Ch.) di conoscere se stesso (ἑαυτὸν…γνῶναι = ἑαυτὸν γνώσεται). Nel Timeo
però pertiene al sophron non solo la conoscenza di se stesso, ma anche τά αὑτοῦ, di ciò che
gli compete. All’interno della corrispondente sezione del Carmide manca questo secondo
riferimento. Avevamo già intuito come l’utopia 205 svelasse in qualche modo l’attuazione del
principio del fare le proprie cose, superando la dimensione letterale-egoistica che era stata
oggetto della confutazione socratica. Ad essa segue l’aporia che lascia tutto in una
dimensione di sospensione. Il confronto con il passo del Timeo risulta in tal senso
illuminante. Esso: 1. spiega l’utopia del buon governo, suggerendoci la doppia peculiarità
del saggio: conoscere se stesso e ciò che pertiene a se stesso, ta heautou; 2. conferma il
legame con le riflessioni su sophrosyne e giustizia come ta heautou prattein; 3. conferma
l’antichità di tale definizione 4. conferma la validità del principio della divisione delle
competenze (limite): soltanto i profeti, in virtù della loro conoscenza di sè stessi e dunque
della loro fysis, sono eletti ad interpreti delle predizioni divine.
Ritroviamo la stessa massima nell’Alcibiade I (127 c 1-3)206 , messa in bocca ad
Alcibiade, come intuizione che attende di essere dimostrata. Tra Alcibiade I e Carmide
troviamo numerose affinità: stessa cerchia aristocratica dei personaggi, stesso campo
d’indagine: sophrosyne, homonoia, dikaiosyne, ta heautou prattein207 . Si potrebbe parlare
di strutture speculari, perché, oltre le affinità, risaltano le differenze. Nell’Alcibiade I
manca, ad esempio, la drammatizzazione della cornice, mancano gli elementi che dipingono
lo scenario. Ricostruire nelle sue linee essenziali la struttura drammatica dell’Alcibiade I,
ciò che precede e ciò che segue il principio del to ta heautou prattein, è un’operazione
estremamente utile se si vuole comprendere alcuni delicati passaggi del Carmide. Ci
riferiamo in particolare al nesso che lega la dimensione individuale e quella sociale della

205
supra, § I.I.
206
Sulla questione della discussa autenticità del dialogo si veda Arrighetti 1995, 21 ss. ; Pradeau 1999, 24-29;
Denyer 2001, 14-24. Sul testo dell’Alcibiade I si veda Carlini 1964.
207
L’affinità con dialoghi Socratici quali il nostro Carmide o il Liside, è stata già sottolineata da Arrighetti
1995, 5.
66
sophrosyne (come è stato messo in rilievo dai passi di Repubblica IV e Timeo) e ai rischi
che il contrario della sophrosyne, la hybris, comporta.
L’avvio del dialogo è in medias res. Si parte dall’amore incondizionato di Socrate nei
confronti di Alcibiade. Amore che si fa avanti solo adesso, nel momento in cui molti amanti
di Alcibiade, scoraggiati dalla sua superbia, si ritirano208 . Hyperphronein (Alc. I 104 a 1) è
il verbo usato per descrivere il carattere orgoglioso del giovane. Diverse le ragioni della
superbia: bellezza, famiglia, parentele, amicizie e, soprattutto, tutela di Pericle. Il pretesto
del dialogo, ciò che ne dà l’avvio, è l’intenzione di Alcibiade di fare il suo esordio in
Assemblea, di rompere l’apragmosyne che aveva caratterizzato gli anni della sua
formazione. In questa situazione Alcibiade è proteso all’azione. Siamo intorno al 430 a.C.,
nei primi anni della guerra del Peloponneso 209 . L’ambizione del giovane non ha limiti (105
a ss): egli vuole confrontarsi con personaggi del calibro di Ciro e Serse. Sembra di scorgere,
all’ombra delle parole di Alcibiade, la smodatezza delle ambizioni di Callicle nel Gorgia210 .
Assenza del limite e potenzialità materiali: la combinazione di questi due fattori scioglie il
divieto del dio. Socrate può finalmente parlare con Alcibiade, egli è anzi l’unico che potrà
aiutarlo (105 d). In 106 c viene introdotta la questione delle competenze. Su quali argomenti
Alcibiade darà consigli agli Ateniesi? Su argomenti noti: περὶ ὧν ἄρ᾽ εἰδὼς τυγχάνεις,
ἀγαθὸς σύμβουλος εἶ, Alc. I 106 d 2. Dare consigli implica la conoscenza del giusto e
dell’ingiusto, che Alcibiade, come dovrà ammettere, non ha (109 d ss.). Egli tenta di trovare
una legittimazione al suo agire politico, spostando la conversazione dal giusto e l’ingiusto
all’utile211 . L’ignoranza di Alcibiade è, come quella di Crizia, la peggiore: quella di chi
crede di sapere e non sa.

(Σω) οὐκοῦν ἐλέχθη περὶ δικαίων καὶ ἀδίκων ὅτι Ἀλκιβιάδης ὁ καλὸς ὁ λεινίου οὐκ
ἐπίσταιτο, οἴοιτο δέ, καὶ μέλλοι εἰς ἐκκλησίαν ἐλθὼν συμβουλεύσειν Ἀθηναίοις περὶ
ὧν οὐδὲν οἶδεν; οὐ ταῦτ᾽ ἦν; (Alc. I 113 b 8 – 11)

La presunzione di sapere, la hybris, da parte di coloro che hanno potere è il tipo di ignoranza
più pericoloso in quanto maggiori possono essere le ripercussioni 212 . Non a caso in questa
sezione iniziale del dialogo, in cui si cerca di smontare la hybris del giovane, futuro, politico

208
cf. Alc. I, 103 b 4-5.
209
v. Arrighetti 1995, 13
210
v. Arrighetti 1995, 22.
211
cf. Alc. I 113 d 1-5.
212
Cf. Ch. 166 d; la divisione dell’ignoranza, vista come il contrario dello gnothi seauton, in tre tipi la si trova
nel Filebo (48 c 5 ss.). v. infra, 156 n. 504.
67
ateniese, compare un verso di Euripide. Non a caso dell’Ippolito213 . Tale sezione si
conclude con l’aporia di Alcibiade: ἀλλὰ μὰ τοὺς θεούς, ὦ Σώκρατες, οὐκ οἶδ᾽ ἔγωγε οὐδ᾽
ὅτι λέγω…(116 e 2 - 3). La differenza essenziale tra l’aporia di Alcibiade nell’Alcibiade I e
quella di Crizia nel Carmide è che il primo ammette il suo stato di ignoranza, il secondo lo
nasconde (Ch. 169 d 1). L’ammissione di non sapere libera il giovane dall’ignoranza di chi
crede di sapere e non sa e permette l’avvio della dialettica, la pars construens del dialogo.
Socrate enuncia un concetto che anticipa, allusivamente, il principio del ta heautou prattein:
nel trovarsi su una nave Alcibiade esprimerebbe le sue opinioni o sarebbe tranquillo
nell’affidarsi al timoniere 214 ? Τῷ κυβερνήτῃ è la risposta di Alcibiade. L’errore dell’azione
nasce nel voler fare qualcosa che non si sa. Nel voler superare i limiti delle proprie
competenze. Chiaro diventa allora il significato dello scambio di battute tra Crizia e Socrate
in Ch. 166 e 5- 9.

λέγω τοίνυν, ἦ δ᾽ ὅς, ὅτι μόνη τῶν ἄλλων ἐπιστημῶν αὐτή τε αὑτῆς ἐστιν καὶ τῶν
ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη.
οὐκοῦν, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη ἂν εἴη, εἴπερ καὶ ἐπιστήμης;
πάνυ γε, ἔφη.

La sophrosyne è scienza di se stessa e delle altre scienze. Ma non solo: essa è scienza della
non scienza. Scienza del limite tra ciò che si sa e ciò che non si sa. Se Alcibiade, pone
Socrate, pur non sapendo nulla dell’arte culinaria si mettesse a fare ipotesi in merito, allora
ne conseguirebbe l’errore (117 c 4 - 8). Nell’affidarsi a chi sa non si sbaglia, a patto che si
sia consapevoli di non sapere 215 . Coloro che non sanno (riconoscono il limite) si rimettono
a chi sa, ἄλλοις παραδιδόασι, 117 e 1. Coloro che sono caratterizzati da questo tipo di
ignoranza vivono ἀναμάρτητοι (= ἀναμάρτητοι γὰρ ἂν τὸν βίον διεζῶμεν, Ch. 171 d 5-7)
perché affidano (ἐπιτρέπειν) ad altri quello che non sanno. In sintesi: coscienza del limite, e
divisione delle competenze implica una vita esente da errori. Il vero errore: nella hybris,
nella presunzione di sapere216 .

213
cf. Alc. I 113 c 2-4: [Σω] τὸ τοῦ Εὐριπίδου ἄρα συμβαίνει, ὦ Ἀλκιβιάδη: σοῦ τάδε κινδυνεύεις, οὐκ ἐμοῦ
ἀκηκοέναι, οὐδ᾽ ἐγώ εἰμι ὁ ταῦτα λέγων, ἀλλὰ σύ, ἐμὲ δὲ αἰτιᾷ μάτην. cf. Eur. Hipp. 352.
214
Alc. I, 117 c 9 - d 3 = Ch. 173 b: all’interno del sogno di Socrate viene adottato lo stesso esempio del
kybernetes.
215
cf. Alc. I 117 d 4: [Σω] ἐννοεῖς οὖν ὅτι καὶ τὰ ἁμαρτήματα ἐν τῇ πράξει διὰ ταύτην τὴν ἄγνοιάν ἐστι, τὴν
τοῦ μὴ εἰδότα οἴεσθαι εἰδέναι;
216
cf. anche Plat. Ap. 33 c 3.
68
Alc. I 118 a 1 Ch. 166 d 2
(…) οἱ μὴ εἰδότες, οἰόμενοι δ᾽ εἰδέναι; (…) οἰόμενος μέν τι εἰδέναι, εἰδὼς δὲ μή.

Con chi bisogna confrontarsi se si vuole divenire migliori? Né con i politici greci, ancora
più incompetenti, né con gli altri popoli come i Persiani, ma con se stessi. Questi i veri
antagonisti: la propria interiorità. Gnothi seauton (124 a). Divenire migliori significa entrare
nel novero degli agathoi. Per agathoi s’intende coloro che hanno facoltà di governo in città:
τοὺς δυναμένους … ἄρχειν ἐν τῇ πόλει (125 b 9). In base a tale caratteristica, infatti, una
persona è agathos. Questo passaggio è tanto più essenziale quanto più rende evidente come
la conoscenza individuale vada a sfociare sempre, come conseguenza diretta, nella
dimensione politica e viceversa. L’imperativo morale di conoscere sé stessi, in altre parole,
sfocia nella facoltà di governo. Allo stesso modo, nel tentativo che segue di definire ciò che
rende gli uomini in grado di governare (dimensione politica) si approda alla necessità
dell’homonoia, oltre che tra i cittadini, di ognuno con se stesso (dimesione privata). Una
stessa peculiarità è rintracciabile, a proposito della sophrosyne, nella IV definizione di
Crizia (Ch. 166 c 1 - 2).

(Σω) ἣν δὲ δὴ σὺ λέγεις ὁμόνοιαν, τίς ἐστι καὶ περὶ τοῦ, καὶ τίς αὐτὴν τέχνη
παρασκευάζει; καὶ ἆρα ἥπερ πόλει, αὑτὴ καὶ ἰδιώτῃ, αὐτῷ τε πρὸς αὑτὸν καὶ πρὸς
ἄλλον; (Alc. I 126 d 8 - 10)
=
λέγω τοίνυν, ἦ δ᾽ ὅς, ὅτι μόνη τῶν ἄλλων ἐπιστημῶν αὐτή τε αὑτῆς ἐστιν καὶ τῶν
ἄλλων ἐπιστημῶν ἐπιστήμη (Ch. 166 e 1-2)

Cosa ci autorizza ad affiancare la descrizione dell’homonoia nell’Alcibiade I a quella della


sophrosyne nel Carmide? Si ricorderà che in Rp. IV, 432 a 6 - 8 homonoia e sophrosyne
sono considerate sinonimi217 . Bisogna immaginare una tensione costante tra ambito
pubblico e privato. L’Alcibiade I rende evidente e palese questa dialettica allo stesso modo
del Carmide e della Repubblica.
Il concetto di concordia si lega a sua volta a quello di philia. Ma per esserci tale sentimento
deve esserci necessariamente un accordo sulla divisione delle competenze (127 a ss.):

217
supra, 59.
69
(Ἀλ) ἀλλά μοι δοκεῖ καὶ κατὰ τοῦτ᾽ αὐτοῖς φιλία ἐγγίγνεσθαι, ὅτι τὰ αὑτῶν ἑκάτεροι
πράττουσιν.

Alcibiade intuisce che il ta heautou prattein genera philia. La difficoltà sta nel tentativo di
mettere insieme l’homonoia-philia e la differenza delle competenze, che non può generare
armonia, almeno su uno stesso ambito (la moglie non può essere d’accordo col marito in
materia di arte militare (127 a). L’incapacità di coordinare la differenza delle competenze
con l’armonia che da essa deriva conduce Alcibiade ad una seconda aporia: 127 d. La
differenza essenziale rispetto all’aporia di Crizia sta, come si è visto, nell’ammissione di
non sapere, dovuta alla giovane età di Alcibiade 218 .
Ritorna il Leitmotiv del prendersi cura di sé stessi, come base per un’azione politica (128 a).
Ma cosa s’intende per prendersi cura di sé stessi? (τί ἐστιν τὸ ἑαυτοῦ ἐπιμελεῖσθαι; 127 e 9).
Socrate avanza il parallelismo tra il prendersi cura di sé stessi e delle proprie cose (ἆρ᾽ ὅταν
τῶν αὑτοῦ ἐπιμελῆται, τότε καὶ αὑτοῦ; 128 a 2 - 3). Cosa s’intende per le proprie cose? La
propria mano, il proprio piede? Vengono dialetticamente poste delle distinzioni tra le
competenze tecniche e la cura di se stesso. Le due arti non coincidono (128 d 2 - 3). Da qui
si coglie un prezioso suggerimento per il Carmide: l’oggetto della sophrosyne si deve
cercare in un altro ambito, diverso da quello tecnico. Allora con quale arte (ποίᾳ) ci si può
prendere cura di se stessi? (128 d 11). Ogni artigiano adopera degli strumenti. L’uomo usa il
corpo. Ma il corpo è uno strumento. Che cos’è allora l’uomo?

So. Su questo punto ritengo che nessuno possa pensarla in modo diverso.
Alc. Su quale?
So. Che l’uomo sia almeno una di queste tre cose.
Alc. Quali cose?
So. Anima, corpo, o entrambe le cose insieme, in una inscindibile unità.
(Alc. I 130 a; trad. D. Puliga)

L’uomo governa il corpo, dunque non può essere corpo. L’uomo non può essere
quell’inscindibile unità perché in questo modo una delle due parti (il corpo) non potrebbe
governare se stessa. Allora l’uomo è anima. Prendersi cura di sé stessi vuol dire prendersi
cura di ciò che pertiene all’anima. Il sapere tecnico non implica il conoscere sé stessi:

218
Cf. Alc. I 127 d 9 – e3: (Σω) ἀλλὰ χρὴ θαρρεῖν. εἰ μὲν γὰρ αὐτὸ ᾔσθου πεπονθὼς πεντηκονταετής, χαλεπὸν
ἂν ἦν σοι ἐπιμεληθῆναι σαυτοῦ: νῦν δ᾽ ἣν ἔχεις ἡλικίαν, αὕτη ἐστὶν ἐν ᾗ δεῖ αὐτὸ αἰσθέσθαι. Fatti coraggio. Se
ti fossi accorto a 50 anni di essere in questa situazione, allora sarebbe stato un problema per te metterti a
pensare a te stesso. Adesso invece sei nell’età giusta per rendertene conto (trad. Puliga D.).
70
nessun medico o maestro di ginnastica o contadino conosce se stesso in quanto medico,
maetro di ginnastica, contadino (131 a 5) . Il sapere degli specialisti, quello delle varie
scienze, non implica la sophrosyne, che consiste, invece, nel gignoskein eaouton.

(Σω) εἰ ἄρα σωφροσύνη ἐστὶ τὸ ἑαυτὸν γιγνώσκειν, οὐδεὶς τούτων σώφρων κατὰ τὴν
τέχνην (Alc. I 131 b 4)
=
(…) σχεδὸν γάρ τι ἔγωγε αὐτὸ τοῦτό φημι εἶναι σωφροσύνην, τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν
(Ch. 164 d 3 -4)

Allora l’amore, il vero amore, non è amore del corpo, ma dell’anima (131 c 5-9). Dalla
lettura di questa sezione dell’Alcibiade I viene aggiunta una dimensione assente nel
Carmide che permette di comprendere la ragione dell’aporia finale. Capiamo che la
sophrosyne non può essere definita restando nell’ambito delle technai, ma elevandosi in una
superiore dimensione, quella che pertiene all’anima. Questa la dimensione di Socrate e del
suo amore. Gli altri vanno via quando il corpo sfiorisce. Chi non se ne va è chi è legato
all’anima. Socrate, a differenza degli altri amanti, resta. Egli è innamorato di Alcibiade, non
di quanto appartiene ad Alcibiade. Ma la conoscenza di ciò che costituisce l’essenza di
Alcibiade (la sua anima) implica la conoscenza di sé stessi.

(Σω) τίν᾽ οὖν ἂν τρόπον γνοῖμεν αὐτὸ (l’anima) ἐναργέστατα; ἐπειδὴ τοῦτο γνόντες,
ὡς ἔοικεν, καὶ ἡμᾶς αὐτοὺς γνωσόμεθα. (Alc. I, 132 c 7-9)

La spiegazione di tale passaggio viene fornita utilizzando la metafora della vista, perfetto
παράδειγμα (132 d ss.). Un occhio che voglia guardare se stesso deve guardare un altro
occhio. L’anima se vuole conoscere se stessa deve guardare in un'altra anima, nella parte in
cui dimora l’arete. Questa parte dell’anima ha somiglianza col divino 219 .

219
cf. Alc. I 133 c 4: (Σω) τῷ θεῷ ἄρα τοῦτ᾽ ἔοικεν αὐτῆς, καί τις εἰς τοῦτο βλέπων καὶ πᾶν τὸ θεῖον γνούς,
θεόν τε καὶ φρόνησιν, οὕτω καὶ ἑαυτὸν ἂν γνοίη μάλιστα. Se si pensa al catalogo dei riflessivi nel Carmide,
l’Alcibiade I fornisce a proposito una chiave risolutiva. Nel tentativo di dimostrare l’esistenza di una scienza di
se stessa e delle altre scienze, Socrate aveva attinto ad una gamma di esempi tratti dal mondo del sensibile. Il
primo esempio rigurdava la vista, l’opsis. Essa, come la conoscenza di sé stessi prospettata nell’Alcibiade, può
essere allora vista di sé e delle altre viste, come anche delle non viste (… ἑαυτῆς δὲ καὶ τῶν ἄλλων ὄψεων ὄψις
ἐστὶν καὶ μὴ ὄψεων ὡσαύτως, Ch. 166 c 10). Sebbene nel Carmide una tale argomentazione risulti
paradossale, abbiamo adesso gli strumenti per capire quale significato nasconda. In particolare l’espressione
vista delle non viste, se applicata all’episteme comporta la conoscenza di ciò che non si sa, del limite. la
questione sarà approfondita in seguito: infra, § III.2.2; § IV.2.3.
71
La tensione tra l’io e gli altri ritorna in 133 e ss. Chi non conosce le proprie cose e le
cose che appartengono a quest’ultime, non può conoscere le cose degli altri. Uno così non
può diventare un uomo politico: οὐκ ἄρ᾽ ἂν γένοιτο ὁ τοιοῦτος ἀνὴρ πολιτικός, 133 e 9.
Commetterà degli errori. Sarà infelice. La virtù prima va acquistata per se stessa e solo in un
secondo tempo messa in comune con gli altri cittadini. Chiunque abbia intenzione di
occuparsi di comandare non solo se stesso e ta heautou, ma la città e le cose della città, deve
prima di tutto conquistarsi la virtù220 . Non si tratta di procurare alla persona e allo stato
libertà o il potere di fare ciò che si vuole, ma δικαιοσύνην καὶ σωφροσύνην (134 c 10). In
questo modo si agisce in maniera gradita al dio. Da qui la felicità. Chi agisce in modo
ingiusto, in una realtà di tenebra, renderà la proprie azioni conformi a quella realtà. Se uno è
malato e non si affida al medico, ma pensa di poter fare ciò che vuole si rovinerà la salute.
Se a bordo di una nave ci fosse uno inesperto di nautica, ma che pensa di poter fare ciò che
vuole, i suoi compagni di viaggio potrebbero morire insieme a lui. In uno stato senza virtù,
conseguentemente, si vive male. È la virtù che si deve procurare allo stato per poter essere
felici, non il potere tirannico (135 b 3-5).
In conclusione, la situazione auspicabile per un uomo non in possesso della virtù, come
Alcibiade, è quella dell’essere schiavo di chi già la possiede. Questo implica uno scambio
delle parti : Socrate, da amante, diventa amato 221 . Alcibiade seguirà Socrate come se fosse
un bambino, mentre lo stesso gli sarà vicino come pedagogo 222 . Il dialogo si chiude con una
profezia post eventum. Come il Carmide, all’ombra della violenza. La forza dello Stato
potrà sopraffare, questo il timore, entrambi: ὀρρωδῶ δέ, οὔ τι τῇ σῇ φύσει ἀπιστῶν, ἀλλὰ
τὴν τῆς πόλεως ὁρῶν ῥώμην, μὴ ἐμοῦ τε καὶ σοῦ κρατήσῃ, 135 e 6-8.
L’Alcibiade I presenta, come abbiamo visto, una struttura speculare rispetto al
Carmide. Una lettura in parallelo dei due testi ci ha aiutato, mediante una serie di riferimenti
incrociati, a svelarne alcuni punti, la cui comprensione, specialmente nel Carmide, risultava
non immediata. Attraverso questi confronti abbiamo toccato con mano, inoltre, come la
dimensione dell’individuo e quella politica, nell’ottica della sophrosyne come autocontrollo,
homonoia e fare le proprie cose, siano indissolubilmente legate nel corpus di Platone, spie
di un’eredità salda.

220
cf. Alc. I 134 c 5-7: (Σω) αὐτῷ ἄρα σοὶ πρῶτον κτητέον ἀρετήν, καὶ ἄλλῳ ὃς μέλλει μὴ ἰδίᾳ μόνον αὑτοῦ τε
καὶ τῶν αὑτοῦ ἄρξειν καὶ ἐπιμελήσεσθαι, ἀλλὰ πόλεως καὶ τῶν τῆς πόλεως.
221
Lo scambio delle parti è un ulteriore elemento di connessione col Carmide verrà preso in esame nel IV cap.
(infra, § IV.2.1). La situazione di Alcibiade è affine a quella del giovane Carmide.
222
Alc. I 135 e: (So) Sei eccezionale! Il mio amore verso di te allora sarà in tutto simile a quello della
cicogna: dopo aver covato in te un amore alato, sarà esso poi, a sua volta, ad essere circondato di cure.
72
Se Crizia aveva attinto alla tradizione dei Sette Sapienti per riabilitare e riattualizzare un
repertorio funzionale ad un determinato tipo di messaggio, Platone eredita lo stesso
repertorio e lo innova, allo stesso modo in cui Crizia aveva innovato elementi della
tradizione223 . Egli accoglie e modifica, sulla scia di Crizia, ma anche di Euripide e del
grande dibattito del V secolo, il principio cardine del ta heautou prattein224 e in questo
processo il Carmide svolge un ruolo non indifferente. Ma Platone non è il solo che nel
panorama del IV secolo cerca di recuperare e riattualizzare un repertorio del secolo
precedente. Quest’operazione avviene parallelamente ad altre figure di intellettuali: grazie a
profili come quello di Isocrate, Lisia e Senofonte, oltre che Platone, echi del dibattito
apragmosyne-polypragmosyne, aristocrazia-democrazia, imperialismo-filolaconismo si
225
presentano con la stessa vivacità nel IV sec . . Non sorprende che quello che era stato uno
degli slogans chiave della propaganda del V secolo confermi, nel IV secolo, la sua portata
ideologica.
L’esempio più calzante è forse Xen. Mem. III.7226 . Qui la figura di Carmide compare
dopo quella di Glaucone, caratterizzato, alla maniera di Alcibiade, da una forte ambizione
(III, 6). Per contrastare ambizione e sicurezza di sé Socrate esorta il giovane Glaucone alla
conoscenza (III, 6, 16-18). La caratterizzazione di Carmide è opposta. È un giovane degno
di considerazione (ἀξιόλογος) e dotato di buone potenzialità tra coloro che si occupano di
politica: δυνατώτερον τῶν τὰ πολιτικὰ τότε πραττόντων, III, 7, 1. Contemporaneamente è
restio a parlare dinanzi al demos e ad occuparsi degli affari dello stato (… ὀκνοῦντα δὲ
προσιέναι τῷ δήμῳ καὶ τῶν τῆς πόλεως πραγμάτων ἐπιμελεῖσθαι). Socrate interroga
Carmide: che cosa ne penserebbe se colui che è in grado di vincere ai giochi olimpici si
rifiutasse di competere? ( = Eur. Hipp. 1013-20). Carmide risponde allora: δῆλον ὅτι, ἔφη,
μαλακόν τε καὶ δειλόν. Allo stesso modo coloro che, pur essendo capaci, si rifiutano di

223
L’eredità di Crizia è trasparente, come nota Bultrighini (1999, 70) anche in Rp. VI 496 a ss.: colui che
pratica la filosofia, entrato in questa piccola schiera, osservando l’ingiustizia dilagante dei più, resta tranquillo
e si occupa delle proprie cose (ταῦτα πάντα λογισμῷ λαβών, ἡσυχίαν ἔχων καὶ τὰ αὑτοῦ πράττων, 496 d 5-6).
224
Ritroviamo la massima anche in Pol. 307 e. Nel Lachete ritroviamo lo stesso principio, ma di polarità
opposta. Nella sezione iniziale del dialogo Melesia e Lisimaco lamentano l’educazione ricevuta dai loro padri,
che li hanno lasciati vivere nell’ozio, occupandosi invece delle questioni degli altri (τὰ δὲ τῶν ἄλλων
πράγματα ἔπραττον, Lach. 179 d 12). Centrone 1997, 316 n. 8, nota come quest’affermazione contrasta con
quanto detto nel Menone (94a), ossia che Aristide e Tucidide abbiano educato benissimo i loro figli. v. anche
Gor. 526 c 3. Per il contrasto tra una vita attiva e una contemplativa v. Alcibide in Symp. 216 a.
225
Cf. ad es. Lys. XXVI 3 (supra, § II.1.2); Isocr. Antidosis (XV 227). A proposito dell’operazione degli
intellettuali del IV secolo di veda Musti 19945, 481 ss; Musti 2003, 157 ss.; Demont 1990, 277-395.
226
Per un’analisi letteraria dei Memorabili si veda Gray 1998. Sulla posizione politica di Socrate nei
Memorabili si veda ora Gray 2011, 1-32, la quale sostiene che il Socrate del Memorabili sia fondamentalmente
democratico; McNamara 2009, 223-245, mostra come il Socrate di Senofonte sia un ritratto di un uomo
moderato che aspira a sua volta a moderare le aspirazioni dei suoli allievi. La conversazione con Carmide
(Mem. III.7) serve a Senofonte per dimostrare che he does not believe Socrates was responsible for the violent
actions of Charmides and or those of his others companions, such as Alcibiades and Critias (240).
73
partecipare alla vita politica. È il caso di Carmide. Socrate dichiara di aver osservato
l’indole del giovane nelle synousiai con altri uomini illustri. Lì Carmide, se consultato,
dimostrerebbe la sua capacità di giudizio e di critica . Difficile non pensare qui alla
caratterizzazione di Carmide da parte di Crizia 227 . Ma non è lo stesso conversare in privato
e parlare alla folla: aidos e phobos sono naturali dinanzi ad una molitudine di gente (Mem.
III 7, 4-5 = Eur. Hipp. 986-989). Socrate controbbatte alle argomentazioni di un Carmide
schivo ed equilibrato, il cui tono ricorda molto da vicino quello del dialogo di Platone.
L’assemblea non dovrebbe spaventare perché essa è composta da uomini di bassa estrazione
sociale (7,6) molto più incompetenti rispetto alle élites con cui Carmide intrattiene
abitualmente delle relazioni. Il discorso di Socrate culmina nell’esortazione finale:

ὠγαθέ, μὴ ἀγνόει σεαυτόν, μηδὲ ἁμάρτανε ἃ οἱ πλεῖστοι ἁμαρτάνουσιν: οἱ γὰρ πολλοὶ


ὡρμηκότες ἐπὶ τὸ σκοπεῖν τὰ τῶν ἄλλων πράγματα οὐ τρέπονται ἐπὶ τὸ ἑαυτοὺς
ἐξετάζειν. μὴ οὖν ἀπορρᾳθύμει τούτου, ἀλλὰ διατείνου μᾶλλον πρὸς τὸ σαυτῷ
προσέχειν. καὶ μὴ ἀμέλει τῶν τῆς πόλεως, εἴ τι δυνατόν ἐστι διὰ σὲ βέλτιον ἔχειν:
τούτων γὰρ καλῶς ἐχόντων οὐ μόνον οἱ ἄλλοι πολῖται, ἀλλὰ καὶ οἱ σοὶ φίλοι καὶ
αὐτὸς σὺ οὐκ ἐλάχιστα ὠφελήσῃ. (Xen. Mem. III 7,9)

Concentrati in uno spazio di poche righe troviamo, compendiate, le questioni principali del
nostro Carmide. La prospettiva è differente, ma i contenuti coincidono. Al culmine
dell’esortazione a partecipare attivamente alla politica della città, il Socrate di Senofonte
invita con enfasi Carmide a non ignorare se stesso e a non sbagliare dove gli altri sbagliano
(μὴ ἀγνόει σεαυτόν, μηδὲ ἁμάρτανε ἃ οἱ πλεῖστοι ἁμαρτάνουσιν). Ci si potrebbe aspettare a
questo punto che l’errore dei più, οἱ πλεῖστοι, stia nel trascurare le attività dello stato,
nell’apragmosyne. È esattamente l’opposto. L’errore dei più sta nell’occuparsi delle attività
altrui e nel trascurare le proprie (οὐ τρέπονται ἐπὶ τὸ ἑαυτοὺς ἐξετάζειν). Nel caso di
Carmide, dalla prospettiva del Socrate di Senofonte, ci sarebbe allora una perfetta
corrispondenza tra il conoscere se stesso e il prendere parte attiva alle decisioni dello stato,
εἴ τι δυνατόν ἐστι διὰ σὲ βέλτιον ἔχειν, se esso possa migliorare grazie al tuo contributo.
L’attività di Carmide porterebbe giovamento non solo ai cittadini, ma anche agli amici (οὐ
μόνον οἱ ἄλλοι πολῖται, ἀλλὰ καὶ οἱ σοὶ φίλοι καὶ αὐτὸς σὺ οὐκ ἐλάχιστα ὠφελήσῃ).

227
Il ritratto di Carmide che emerge da Xen.Mem. III 7 corrisponde nelle sue linee essenziali a quello del
giovane nel dialogo di Platone.
74
Ancora una volta ritroviamo la fusione del motivo dell’io e della società, legati dalla
prospettiva dell’utile generale. Sorprende come qui Socrate non senta neanche il bisogno di
giustificare la connessione logica tra l’occuparsi della politica e il conoscere se stesso. Nel
Carmide, al contrario, la connessione tra questi due ambiti è problematizzata e, come
sappiamo, lasciata in sospeso. Il Carmide di Platone e quello di Senofonte si fanno portatori
di una ideologia aristocratica che appartiene al secolo precedente e che nel IV secolo
diventa, al pari della tradizione letteraria più antica, patrimonio culturale condiviso, soggetto
ad una vivace rielaborazione nel segno dell’attualità.

II.2.2 La sezione iniziale della VII Lettera

Una conferma autobiografica dell’influenza diretta che Crizia ha esercitato sul


giovane Platone la troviamo nella VII Lettera. Non esiste a nostro avviso documento più
valido che possa restituirci, a conclusione di questo capitolo sul dialogo del Carmide con la
storia, la voce autentica dello stesso Platone. Nella sezione iniziale Platone racconta la sua
esperienza di coinvolgimento all’interno del governo dei Trenta e la successiva presa di
distanza. Bultrighini dimostra, e a ragione, come di fatto qui non si sconfessino i principi su
cui si basava la rivoluzione oligarchica. Ciò che viene sconfessato è lo sviluppo fattuale di
questa rivoluzione e la degenerazione di questa nel segno della violenza 228 . Leggiamone la
sezione iniziale 229 :

νέος ἐγώ ποτε ὢν πολλοῖς δὴ ταὐτὸν ἔπαθον: ᾠήθην, εἰ θᾶττον ἐμαυτοῦ γενοίμην
κύριος, ἐπὶ τὰ κοινὰ τῆς πόλεως εὐθὺς ἰέναι. καί μοι τύχαι τινὲς τῶν τῆς πόλεως
πραγμάτων τοιαίδε παρέπεσον. ὑπὸ πολλῶν γὰρ τῆς τότε πολιτείας λοιδορουμένης
μεταβολὴ γίγνεται, καὶ τῆς μεταβολῆς εἷς καὶ πεντήκοντά τινες ἄνδρες προύστησαν
ἄρχοντες, ἕνδεκα μὲν ἐν ἄστει, δέκα δ᾽ ἐν Πειραεῖ - περί τε ἀγορὰν ἑκάτεροι τούτων
ὅσα τ᾽ ἐν τοῖς ἄστεσι διοικεῖν ἔδει - τριάκοντα δὲ πάντων ἄρχοντες κατέστησαν
αὐτοκράτορες. τούτων δή τινες οἰκεῖοί τε ὄντες καὶ γνώριμοι ἐτύγχανον ἐμοί, καὶ δὴ
καὶ παρεκάλουν εὐθὺς ὡς ἐπὶ προσήκοντα πράγματά με. καὶ ἐγὼ θαυμαστὸν οὐδὲν
ἔπαθον ὑπὸ νεότητος: ᾠήθην γὰρ αὐτοὺς ἔκ τινος ἀδίκου βίου ἐπὶ δίκαιον τρόπον

228
v. Krentz 1982, 15 ss.; Bultrighini 1999, 302; Iannucci 2002, 10-11; Canfora 2013, 131 ss.; diversamente
Bertelli 2013, 261 ss. dubita dell’autenticità della VII Lettera e dell’orientamento oligarchico di Platone.
229
Per un commento recente sulla VII Lettera si veda Knab 2006. Per l’analisi di alcune problematiche
connesse alla VII Lettera ricordiamo Tulli 1989. Edizione di riferimento è quella di Isnardi Parente 2002. Cf.
anche Isnardi Parente 1970.
75
ἄγοντας διοικήσειν δὴ τὴν πόλιν, ὥστε αὐτοῖς σφόδρα προσεῖχον τὸν νοῦν, τί
πράξοιεν. (Ep. VII, 324 b 8 - d 6)

Qui viene ritratto un giovane Platone alle soglie dell’età adulta. Il desiderio di partecipare
attivamente alla vita politica della città (ᾠήθην… ἐπὶ τὰ κοινὰ τῆς πόλεως εὐθὺς ἰέναι)230
viene a coincidere con alcune τύχαι: la metabole oligarchica del 404 a.C. Tale rivolgimento
sembra un punto di arrivo di un processo di critica sistematica della democrazia, come si
desume dal genitivo assoluto: τῆς τότε πολιτείας λοιδορουμένης. Conosciamo il ruolo
chiave di Crizia e Carmide negli eventi del 404 a.C. Lo stesso Platone ammette senza
riserve la presenza di parenti e conoscenti tra i Trenta (τούτων δή τινες οἰκεῖοί τε ὄντες καὶ
γνώριμοι ἐτύγχανον ἐμοί, 324 d 1-2)231 . La loro presenza fa sì che Platone venga
naturalmente trascinato all’interno di tali vicende, ὡς ἐπὶ προσήκοντα πράγματα. Tali
riflessioni costituiscono un’ulteriore autobiografica conferma della formazione aristocratica
del giovane filosofo e di come la riflessione politica fosse centrale all’interno di queste
cerchie. Significativo ciò che segue (324 d 4-5) : da un lato abbiamo la costatazione
dell’ingiustizia del sistema politico precedente (… ἔκ τινος ἀδίκου βίου …), ossia quello
democratico, dall’altro la speranza che l’azione politica degli oligarchi possa operare un
pasaggio ἐπὶ δίκαιον τρόπον.
Da queste righe emerge un autoritratto di un Platone avente circa la stessa età di
Carmide nel dialogo omonimo. La fiducia nei confronti della rivoluzione operata dal cugino
e dallo zio viene qui giustificata come una conseguenza della giovane età 232 . Ma essa è
motivata da una reale sfiducia nel sistema presente, profondamente ingiusto e già da tempo
soggetto ad aspre critiche (324 c 2 - 3). Di quale sistema si sta parlando? Quello che aveva
seguito la rivoluzione oplitica del 411 a.C. 233 , ma ancora più in generale quello dell’Atene
democratica che aveva visto l’ascesa di nuovi ricchi e di umili persone al governo 234 . È un
malcontento che dura da anni e che assume via via toni sempre più aspri, di cui si fa
rappresentante Crizia, teorico del regime 235 . Platone nasce negli anni in cui questa critica

230
Canfora 2013, 132 n.225 sottolinea come ᾠήθην vuol dire volli, non volevo né avrei voluto: indica una
decisione tradotta in azione.
231
v. Knab 2006, 131-134; Canfora 2013, 133.
232
Alcuni hanno visto in queste riflessioni un rifiuto dell’ideologia aristocratica e un tentativo di giustificare
questo sbaglio giovanile (es. Quarta 1985). Nelle pagine seguenti si cercherà, sulla scia di Bultrighini, di
dimostrare il contrario.
233
v. Musti 2003, 130-174 per una sintetica ed efficace panramica storica.
234
Capizzi 1984, 16 ss.
235
v. Nemeth 2006, 38-39; Canfora 2013, 140. Non a caso l’attacco politico che caratterizzò il breve periodo
di governo di Crizia fu rivolto alla ricchezza, stando alle testimonianze di Isocrate (si veda a proposito Canfora
2013, 122-142). infra, § III.1
76
alla democrazia, questo crescente malcontento degli agathoi, si gonfia in maniera
direttamente proporzionale ad un atteggiamento imperialista di Atene. Atteggiamento che
sconfinerà, da un lato, nell’episodio della mutilazione delle Erme (415 a.C.) 236 , espressione
concreta del dissenso, dall’altro nel fallimento della spedizione in Sicilia voluta da
Alcibiade (415 a.C.). Il malcontento era qualcosa di realmente diffuso tra il ceto nobiliare,
così come sentito doveva essere il programma politico che faceva perno su slogan quali ta
heautou prattein, sophrosyne, polypragmosyne. Platone raggiunge la maturità in un
momento in cui tutto quello che fin dalla più tenera età aveva ascoltato all’interno di un
simposio tende all’azione. L’ideale si fa prassi, politica. Possiamo immaginare l’entusiasmo
forte accentuato dall’età. A questo entusiasmo segue una profondissima delusione, tanto da
far affermare:

(…) καὶ ὁρῶν δήπου τοὺς ἄνδρας ἐν χρόνῳ ὀλίγῳ χρυσὸν ἀποδείξαντας τὴν
ἔμπροσθεν πολιτείαν (…) (Ep. VII 324 d 7)

Quella che era speranza nella giustizia diventa orrore, violenza237 . Dinanzi alla piega
violenta del programma politico dei Trenta, Platone matura il suo distacco. L’evento che
condizionerà maggiormente la sua posizione sarà il tentativo di coinvolgere Socrate in
questa spirale di violenza, a prescindere dalla sua volontà.

(…) Σωκράτη, ὃν ἐγὼ σχεδὸν οὐκ ἂν αἰσχυνοίμην εἰπὼν δικαιότατον εἶναι τῶν τότε,
ἐπί τινα τῶν πολιτῶν μεθ᾽ ἑτέρων ἔπεμπον, βίᾳ ἄξοντα ὡς ἀποθανούμενον, ἵνα δὴ
μετέχοι τῶν πραγμάτων αὐτοῖς, εἴτε βούλοιτο εἴτε μή. (Ep. VII 324 e 1 - 325 a 2)

Socrate è messo davanti ad un’ingiunzione. Con violenza, βίᾳ, è obbligato a partecipare ad


un delitto di un cittadino 238, εἴτε βούλοιτο εἴτε μή. In altre parole, non gli è concessa la
facoltà di opporsi, anche se lui, la cui giustizia viene marcata appena sopra (324 e 2), non si
lascia persuadere a divenire complice di azioni nefande. Alcune evidenze testuali rinviano al
Carmide. Nella sezione finale del dialogo Socrate è costretto βίᾳ a divenire co-tutore di

236
cf. Thuc. I 107, 4; VI 28, 2; 60, 1.
237
Nella testimonianza di Senofonte (Ell. II 3, 24-26) Crizia, attaccando Teramente di fronte alla boule,
giustifica il ricorso alla violenza come qualcosa di inevitabile ovunque ci sono cambi di regime. Teramene si
era opposto all’uccisione esemplare di trenta meteci (v. Canfora 2013, 137).
238
v. Knab 2006, 136-37. L’episodio di Leone di Salamina è riportato anche in Plat. Ap. 32 c 4-e 1; Andoc. I
94; Lys. XII 52; XIII 44; Xen. Hell. II 3, 39; Mem. IV 4,3.
77
Carmide, insieme a Crizia. Tale decisione viene presa senza interpellare Socrate, tanto che
alla domanda che cosa pensate di fare? Carmide risponde:

οὗτοι, ἦν δ᾽ ἐγώ, τί βουλεύεσθον ποιεῖν; οὐδέν, ἔφη ὁ Χαρμίδης, ἀλλὰ βεβουλεύμεθα.


βιάσῃ ἄρα, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ οὐδ᾽ ἀνάκρισίν μοι δώσεις; ὡς βιασομένου, ἔφη, ἐπειδήπερ
ὅδε γε ἐπιτάττει: πρὸς ταῦτα σὺ αὖ βουλεύου ὅτι ποιήσεις (Ch. 176 c 5 - 8)

Il Carmide si chiude con il ricordo bruciante della delusione che seguì l’entusiasmo di
Platone. Con una parabola discendente, che dall’elogio della famiglia di appartenenza e
delle illustri radici declina in chiusura, fino a divenire cupo presagio di violenza ineluttabile,
allusione alla vicenda di un Socrate a cui non si lascia spazio decisionale. Nella VII Lettera
tutto questo viene narrato apertamente e dalla lettura di 324 e ss. si capisce che uno è
l’elemento che segnerà il distacco definitivo di Platone da una tale azione politica: il
tentativo di rendere Socrate complice di azioni nefande, indipendentemente dalla sua
volontà.
Alla delusione seguirà la caduta del regime: χρόνῳ δὲ οὐ πολλῷ μετέπεσε τὰ τῶν
τριάκοντά τε καὶ πᾶσα ἡ τότε πολιτεία, 325 a 5-7. Questa prima delusione non fa cessare il
desiderio di occuparsi di politica (325 a 7 - b 1). Come acutamente nota Bultrighini, qui non
c’è più traccia di idealità. Non si parla più di speranza di giustizia. Evento emblematico di
questo stato di cose: la condanna di Socrate per un’accusa, quella di empietà, tra tutte la
meno adatta (325 c1). La lettera delle leggi e i costumi vanno deteriorandosi a tal punto da
indurre Platone alla nausea.

τά τε τῶν νόμων γράμματα καὶ ἔθη διεφθείρετο καὶ ἐπεδίδου θαυμαστὸν ὅσον, ὥστε
με, τὸ πρῶτον πολλῆς μεστὸν ὄντα ὁρμῆς ἐπὶ τὸ πράττειν τὰ κοινά, βλέποντα εἰς
ταῦτα καὶ φερόμενα ὁρῶντα πάντῃ πάντως, τελευτῶντα ἰλιγγιᾶν. (Ep. VII 325 d 5 - e
3).

Tra le cause del disagio di Platone, come lui stesso confessa, non c’è soltanto la delusione
per l’assenza totale di principi, ma anche un’assenza fisica: quella di amici e compagni
fidati.

οὔτε γὰρ ἄνευ φίλων ἀνδρῶν καὶ ἑταίρων πιστῶν οἷόν τ᾽ εἶναι πράττειν (325 d 1-2)

78
È chiaro che la situazione risulta peggiore rispetto a quella prospettata all’inizio. Il
riferimento in questa sede ad amici e compagni fidati non può essere casuale e si collega
alla sezione precedente. Crizia e Carmide sono estrambi morti a Munichia. Platone è
circondato da un accelerato deterioramento delle leggi. Nonostante ciò , non viene meno il
desiderio di osservare la situazione, aspettando il momento opportuno per agire.

καὶ τοῦ μὲν σκοπεῖν μὴ ἀποστῆναι μή ποτε ἄμεινον ἂν γίγνοιτο περί τε αὐτὰ ταῦτα
καὶ δὴ καὶ περὶ τὴν πᾶσαν πολιτείαν, τοῦ δὲ πράττειν αὖ περιμένειν ἀεὶ καιρούς (325
e 3 - 326 a 2).

Sono questi gli anni in cui Platone scrive i suoi primi dialoghi. Un tale contesto, una tale
assenza di persone fidate e di principi, crea un vuoto parallelo alla sfiducia nella politica.
Tutte le città, senza eccezione di sorta, sono caratterizzate infatti da un sistema politico
negativo. Da questa situazione non c’e scampo. Platone parla di inguaribilità. L’unica
possibilità di colmare questo vuoto è la filosofia, una filosofia politica. Da una tale
costatazione, dobbiamo immaginare, prende avvio l’attività di scrittore (326 a 2 - b 4).
Da questa prospettiva si comprende molto nel Carmide, del nesso inscindibile che
lega, nelle trame del dialogo, politica, letteratura e filosofia. Negli anni che seguono la
doppia delusione, quella del governo dei Trenta e quella della democrazia restaurata,
Platone, come egli stesso dichiara, si volge a ciò che più manca: le radici, i principi. Crizia e
Carmide ricompaiono dal passato quasi a colmare questo vuoto, questa mancanza di punti di
riferimento. Significativo è anche il fatto che il dialogo venga ambientato in anni per
Platone lontani, anni che precedono la sua nascita239 . Sono gli anni in cui l’ideologia prende
forma attraverso e in virtù della letteratura, ossia grazie al dialogo intelligente con Solone,
Anacreonte e, anche se non compare nel Carmide, Teognide. Gli anni in cui si discute di
virtù. Platone guarda a questi principi, così dobbiamo immaginare, con un misto di
nostalgia, per il suo essere solo, privo di veri punti di riferimento, e con, verosimilmente,
anche una punta di rancore o forse di lucida consapevolezza che, se qualcosa andò storto,
bisogna indagarne le ragioni risalendo alle radici dell’ideologia. Non è l’ideologia di per sé
ad essere messa in discussione, ma le modalità della sua attuazione. L’aporia di Crizia, così
drammaticamente marcata, dimostra che qualcosa, all’interno di una condivisibile e sempre
presente eredità, mancava. Ciò che manca a Crizia è ciò che Socrate possiede: l’attitudine a
mettersi in discussione, la capacità circoscrivere il suo sapere e di riconoscerne i limiti.

239
Che si assume essere stata nel 427 a.C. (cf. Diog. III.2).
79
Questa consapevolezza emergerà solo dopo essere passati attraverso le turbolente vicende
politiche della I e della II metabole, ossia la rivoluzione dei Trenta e la restaurazione di
Trasibulo.
A questo punto ci si potrebbe chiedere: perché nella sezione iniziale della VII Lettera,
scritta da un Platone da immaginare maturo, che ripercorre gli anni della sua giovinezza,
Crizia e Carmide non vengono nominati esplicitamente? Perché le dichiarazioni sono
sostituite da allusioni? Si ha infatti l’impressione che il linguaggio usato sia allusivo. Tale
allusività ha favorito da parte della critica una lettura della VII Lettera come un rifiuto totale
dell’ideologia aristocratica. Bultrighini dimostra come qui non ci sia mai una sconfessione
dell’ideologia aristocratica a favore di una democratica. Riportiamo alcune argomentazioni:
1. se l’ideologia aristocratica venisse sconfessata a favore di quella democratica allora
l’espressione mi accorsi che in breve tempo questi uomini fecero apparire oro il governo di
prima ( … καὶ ὁρῶν δήπου τοὺς ἄνδρας ἐν χρόνῳ ὀλίγῳ χρυσὸν ἀποδείξαντας τὴν
ἔμπροσθεν πολιτείαν, 324 d 6-8) non si spiegherebbe. Tale paragone dimostra infatti che il
governo di prima non dovesse essere propriamente un granchè se addirittura venne fatto
apparire migliore; 2. in clima di restaurazione democratica Platone si sente nauseato dalla
realtà politica che lo circonda (325 e). Questo essere nauseato è stimolo e punto di partenza
per la scrittura dei dialoghi. Bultrighini riconduce l’allusività del lingiaggio al clima del IV
secolo , un clima di conformismo politico 240 . Il malcontento che si percepiva τινος ἀδίκου
βίου, doveva essere simile a quello che aveva preparato il terreno alla rivoluzione
oligarchica della fine del V secolo. In questo clima la parola si fa velata. Non ci si sbilancia
troppo per paura di essere accusati di essere antidemocratici. Ma l’ombra di Crizia è
presente in ogni dove. La si avverte ad esempio nelle accuse che l’anonimo cittadino
dell’orazione XXVI di Lisia fa ad Evandro, la si avverte nell’elogio di Teseo di Isocrate
X241 . A volte diventa esplicita denigrazione, come in Senofonte e nell’Areopagitico di
Isocrate, fino a formare un ritratto di un tiranno sanguinario, la cui efficacia arriverà a
superare i secoli e ad influenzare il giudizio della critica contemporanea242 . Tale ambiguo
atteggiamento, che da un lato sfocia nell’aperta condanna e dall’altro in un silenzio carico di

240
Bultrighini 1999, 308, (…) la questione è riconoscere l’influsso esercitato da Crizia, l’ideologo del
progetto dei Trenta, sulla sua formazione, su un sostrato di idee giovanili che non viene mai obliterato negli
sviluppi della sua riflessione. Di questo influsso Platone mostra un notevole grado di consapevolezza. Una
consapevolezza che tuttavia non era il caso di sbandierare in pieno IV secolo.
241
Isocrate è una figura emblematica per capire l’atteggiamento che si aveva in quegli anni nei confronti della
democrazia. La lettura che abbiamo dato dell’elogio di Teseo (supra, § II.1.3) è un esempio lampante
dell’ambiguità dell’atteggiamento di Isocrate. Se da un lato, infatti, egli non perde occasione per condannare i
delitti compiuti dai Trenta (cf. Areopagitico, VII ), assicurandosi così la facciata di un perfetto democratico,
dall’altro, velatamente, dimostra di condividere temi chiave della propaganda aristocratica.
242
infra, § III.1.2.
80
allusività, è una conseguenza della tremenda attualità di Crizia nel IV secolo. In questo
clima l’ombra di Crizia investe sia coloro, come Isocrate e Senofonte, che si accaniscono a
denigrare la sua figura, sia coloro, come Platone, che non si allineano all’operazione di
damnatio della memoria criziana, ma che con un magistrale uso dello strumento letterario
ne sottolineano la coerenza e l’attualità del messaggio.

II.3 Alcune riflessioni

È opportuno proporre alcune conclusioni. Attraverso l’analisi delle dimensioni storiche


del Carmide abbiamo osservato la fitta rete di relazioni in cui è immerso il dialogo.
Relazioni con l’attualità, con il passato recente e con quello remoto. Crizia, in virtù del suo
approccio con la tradizione e in virtù del suo ruolo politico, diventa una figura emblematica
ed evocativa, ponte tra V e IV secolo, difficile ma imprescindibile punto di confronto per gli
intellettuali della democrazia rinnovata, tra cui Platone. Leggendo la VII Lettera, autentica
voce di Platone, abbiamo notato come Crizia non venga mai condannato esplicitamente.
Queste considerazioni rendono legittimo riconoscere una certa continuità tra Crizia e
Platone, continuità che si pone parallelamente a quella generazionale.
Prendendo atto di ciò, ci si può chiedere in che misura la storia che ruota attorno al
dialogo può apportare un contributo significativo alla comprensione del ruolo di Crizia.
Sosteniamo che gli elementi di cornice non possano essere trascurati in un lavoro che si
pone come obiettivo la comprensione del volto di Crizia nel Carmide. Crizia si muove in un
contesto storico dalle coordinate ben definite e lo influenza nella misura in cui le sue azioni
avranno delle conseguenze e delle ripercussioni. Mettere in scena Crizia significa mettere in
scena da un lato la sua vicenda politica ed esistenziale, dall’altro un personaggio di
bruciante attualità. È chiaro che i soli elementi di contesto, insieme all’analisi della struttura
drammatica del dialogo, visto come nucleo dotato di vita autonoma, non bastano. Bisogna
andare oltre. Nella seconda parte del nostro lavoro i riflettori saranno puntati sul volto
autentico di Crizia politico e poeta243 . Elementi di cornice ed elementi che emergeranno
dalla voce frammentaria di Crizia andranno a confluire nella III parte del lavoro, aiutandoci
ad illuminarne la sua maschera, il senso del suo apparire sulla scena del dramma e il senso
della mimesis che si genera nel lettore dalla dialettica con Socrate244 .

243
Per le vicende biografiche di Crizia e le testimonianze infra, § III.1 per i frammenti infra, § III.2.
244
infra, § IV.2.
81
III. Crizia, la politica, la letteratura

Nelle pagine precedenti abbiamo osservato le peculiarità del Carmide e l’agire di


Crizia all’interno della struttura drammatica del dialogo 245 . Nel secondo capitolo abbiamo
visto come il dialogo sia perfetta espressione di un contesto storico nel quale Crizia ha un
ruolo di primo piano. Oggetto di questo terzo capitolo sarà Crizia uomo, la sua azione e la
sua parola poetica. Riteniamo infatti che per poter comprendere il senso di Crizia maschera
del Carmide sia necessario ed imprescindibile passare attraverso le testimonianze che
documentano la sua azione politica ed i frammenti che ne attestano l’attività letteraria. Alla
base di questo capitolo sta il seguente interrogativo: quanto del Crizia storico c’è nel Crizia
del Carmide? Ma la questione è più complessa. Parlare di Crizia storico significa infatti
andare incontro alla questione Crizia, ossia alla contraddittorietà di giudizi sulla sua
persona. Solo passando attraverso la realtà del personaggio, o quello che di essa si
percepisce, si potrà, in un secondo momento, apprezzare il Crizia di Platone, attore del
Carmide246 . I due aspetti della sua personalità, quello politico e quello letterario, verranno
sapientemente manipolati dalla penna di Platone, fino a far uscire un personaggio completo
e vivace, la cui pericolosità di alcuni tratti è sapientemente smussata dall’ironia e la cui
vicinanza con lo stesso Platone è suggellata dalle radici genealogiche 247 . Ma procediamo
con ordine. Per prima cosa forniremo un profilo della biografia di Crizia 248 , in seguito
leggeremo le testimonianze di Lisia e Senofonte249 . Vedremo come su di lui pesi tuttora un
pregiudizio di antichi e moderni, una damnatio memoriae, da annoverare tra le cause della

245
supra, § I.1.
246
infra, § IV.2.
247
Ch. 157 d 8 ss.
248
infra, § III.1.1.
249
infra, § III.1.2.
82
perdita della maggior parte della sua produzione letteraria 250 . Successivamente251 ne
osserveremo il profilo di poeta, leggendo alcuni giudizi degli antichi sul suo stile. Ci
soffermeremo poi sull’encomio di Crizia per Anacreonte (88 B1 DK), risposta ad un
encomio più antico, quello di Anacreonte per Crizia il Vecchio, a cui si allude nel
Carmide252 . Crizia intellettuale e poeta non dialoga solo con il passato. Fortissimi sono
infatti gli indizi di una sua presenza all’interno dei grandi dibattiti che animavano gli
intellettuali del V secolo, i sofisti. Con essi Crizia dialoga, non assumendone mai la veste.
Forte, si vedrà, l’influsso dell’etica di Antifonte e ugualmente forte il legame con
Prodico253 . Il Carmide, come uno specchio, riflette fedelmente il gioco di relazioni di Crizia
poeta.

III.1 Tracce biografiche

οἱ πολλοὶ οὐδὲν δέονται διηγήσεως, οἷον εἰ θέλεις Ἀχιλλέα ἐπαινεῖν(ἴσασι γὰρ πάντες τὰς πράξεις,
ἀλλὰ χρῆσθαι αὐταῖς δεῖ. ἐὰν δὲ ριτίαν, δεῖ: οὐ γὰρ πολλοὶ ἴσασιν. (Aristot. Rhet. III 16 1416b = 88
254
A14 DK = 25 GP ) .

Come emerge dalle parole di Aristotele, controverse le notizie sulla biografia di Crizia. Le
fonti più tarde, in particolare, risentono dell’immagine già cristallizzata del tiranno violento
e passionale formatasi nel IV sec. a.C. Qui di seguito riportiamo un schema che riassume in
ordine cronologico gli eventi salienti della biografia di Crizia e le rispettive fonti.

460 a.C. ca. Nascita di Crizia255 . Diog. III 1 = 88 A 2 DK = 10


GP
Plat. Tim. 20 a; 21 a = 88 A 3 DK
= 1 GP
Plat. Ch. 157 e = 88 A 2b DK = 3
GP

250
Il carattere negativo dei giudizi su Crizia e la contraddittorietà della sua figura si riflettono nella
contraddittorietà dei giudizi che vengono dati sul suo ruolo nel Carmide. v. infra, § IV.1.
251
infra, § III.1.3-4.
252
infra, § III.2.1.
253
Per il legame con Antifonte v. infra, § III.2.2 (a) ; per quello con Prodico § III.2.2 (b).
254
Quando si vuol lodare Achille, pochi hanno bisogno di spiegazioni, perché tutti conoscono le sue imprese e
basta dunque menzionarle. Nel caso di Crizia è invece necessario, perché non tutti lo conoscono. (Trad.
Bonazzi). v. Centanni 1997, 11 n. 4, secondo la quale qui Aristotele sembra alludere non tanto ad una
cancellazione della memoria di Crizia, quanto ad un oscuramento della sua buona fama.
255
Davies 1971, 326-328
83
415 a.C. Ingresso di Crizia sulla scena politica. Andoc. I, 47 = 88 A 5 DK
coinvolto nel processo contro gli
256
Ermocopidi .
411 a.C. Colpo di stato. Governo oligarca dei 400. [Dem.], LVIII, 67 = 88 A 6 DK
Crizia è incaricato di accogliere ad Eezionea lo
sbarco degli Spartani257 .
Crizia propone: 1. un decreto di condanna Lycurg. Leocr. 133 = 88 A 7 DK
postuma per Frinico, considerato traditore; 2. il
ritorno in patria di Alcibiade258 . Plut. Alc. 33,1= 88 B 5 DK
410/9a.C. o Esilio in Tessaglia 260 . Xen. Mem. I 2, 24 = 88 A 4 DK =
259
406 a.C. 4 GP

256
Iannucci 2002, 12.
257
Per una panoramica storica delle vicende della guerra civile si veda ora Canfora 2013; Bearzot 2013. Si
discute sull’autorità di quest’unica testimonianza dello Ps.-Demostene che attesterebbe la partecipazione attiva
di Crizia al governo dei 400. A proposito v. Avery 1963, 165 ss. (il cui intento è to deny that Critias was one
of the Four Hundred and to assert that the statement in Ps.Dem. contains a complete and not a partial
mistake); Adeleye 1974, 1 ss. si esprime a favore dell’autenticità della testimonianza, confutando Avery;
Bicknell 1972, 99: no reason to credit the assertion in a Pseudo-Demosthenic speech that Kritias had once
worked with the group, which included Phrynichos, that, contrary to Alkibiades’ intentions and interests, had
endeavoured to make Athens a narrow oligarchy and puppet of Sparta; Krentz 1982, 46; Ostwald 1986, 403:
he will have been sympathethic enough to the extremists of the 411 b.C. to support their fortifying Eezioneia,
but there is no evidence that he was a member of the Four Hundred; Lapini 1997, 215; Bultrighini 1999, 191-
194, il quale considera che l’autore della contro Teocrine si sia lasciato influenzare dal provvedimento varato
dai Trenta (e dunque da Crizia) contro Teramene, che escludeva dal corpo civico coloro che avessero abbattuto
la fortificazione di Eezionea (Cf. Arist. Ath. Pol.37, 1). Tale provvedimento non implicava la partecipazione
diretta di Crizia agli eventi del 411 a.C: l’autore della contro Teocrine, invece, basandosi su una rivalutazione
dell’iniziativa oligarchica ad Eezionea, che la norma ideata da Crizia per incriminare Teramene finiva per
implicare, può aver dedotto anche un intento apologetico del tiranno, (193) ; diversamente Iannucci (2002,
13- 14 n. 54) considera il provvedimento dei Trenta contro i democratici abbattitori del muro una prova della
partecipazione di Crizia. Tale partecipazione sarebbe poi causa dell’esilio di Crizia in Tessaglia. Németh 2006,
28-31 mette l’accento sul valore simbolico del nome di Crizia nel IV sec. a.C., al tempo in cui risale la
testimonianza: Kritia’s Name ist im 4. Jh.v. Chr. zu einem Begriff geworden, zum Begriff der prospartanischen
Oligarchen. In diesem Sinne waren die prospartanische Oligarchen tatsächlich oi peri Kritia. Possibilista
Jordović 2008, 35.
258
A proposito si veda Németh 2006, 31-34, il quale interpreta la condanna postuma di Frinico come un atto di
pura demagogia, mentre rifiuta l’ipotesi di un Crizia seguace di Alcibiade, parlando piuttosto di
collaborazione. Per il rapporto con Alcibiade e l’elegia per lui composta (Plut. Alcib. 3 = 88 B 5 DK = 2 GP )
cf. Lapini 1995, 1-14 (il quale considera ironica l’elegia composta da Crizia per il rientro in patria di
Alcibiade); infra, § III.2.2.
259
La testimonianza dei Memorabili di Senofonte non fornisce un’indicazione cronologica precisa. Come nota
Iannucci (2002, 14 n.55), l’ipotesi che l’esilio sia avvenuto nel 410-9 a.C. e che Cleofonte ne sia responsabile
si basa su Aristot. Rhet. I 1375b (= 88 A 8 DK = 7 GP ). Da Senofonte (Hell. II 3, 36) si deduce che al tempo
del processo contro gli strateghi delle Arginuse Crizia doveva essere in Tessaglia. Per la questione (della
datazione) dell’esilio si veda già Schleicher 1877, 14; Nestle 1948, 261; Sordi 1958, 142; Adeleye 1978, 64
ss.; Krentz 1982, 46, il quale, come la Sordi, pone l’esilio nel 406 a.C., in seguito al declino dell’immagine di
Alcibiade, allora in buoni rapporti con Crizia.
260
Le fonti danno informazioni contrastanti. Senofonte afferma che al tempo del processo delle Arginuse
Crizia si trovava in Tessaglia ad instaurare con Prometeo la democrazia armando i penesti contro i padroni.
Questa testimonianza è stata presa in passato come un segno dell’incoerenza ideologica di Crizia v. Trabattoni-
Bonazzi 2007, 378 n. 3. Per risolvere quest’impasse sono state avanzate diverse ipotesi: Sordi (1958, 141-6)
ipotizza che Crizia si sia recato in Tessaglia in seguito ad un invito da parte degli Alevadi, gli stessi che
ospitarono Gorgia. La sua partecipazione all’insurrezione dei penesti sarebbe volta ad abbattere le oligarchie
moderate nemiche degli Alevadi. Pochi anni dopo gli Alevadi furono sconfitti da Licofrone di Fere;
84
Xen. Hell. II 3, 15 = 88 A 10 DK
= 5 GP
Philostr. VS. I 16 = 88 A 1 DK =
11 GP
404 a.C. Governo dei Trenta 261 . Crizia è incaricato di Xen. Mem. II 3, 2 = 88 A 9 DK
redigere la costituzione, sotto l’egida spartana. Lys. XII, 43 = 88 A 11 DK
Philostr. VS. I 16 = 88 A 1 DK =
11 GP
Arist. Ath. Pol. 34,3
Crizia e Carmide sono posti al controllo del Plat. Ep. VII, 324c; Arist. Ath.
Pireo, all’interno di un gruppo di 10 membri. Pol. 35, 1; Xen. Hell. II 4, 19;
Plut. Lysan. 15,5.
Deriva violenta: processi, condanne262 . Xen. Hell. II 3, 13 ss; Lys. XXV,
19; Arist. Ath. Pol. 35, 4; Isocr.
Paneg. IV, 110-114
403 a.C. Crizia muore sul colle di Munichia, al Pireo, Xen. Hell. II 4, 8 = 88 A 12 DK
insieme al cugino Carmide, combattendo
contro i democratici capeggiati da Trasibulo.

III.1.2 Ragioni di una damnatio memoriae

L’ambiguità è il segno distintivo della biografia di Crizia. Dubbia e discussa la


partecipazione al colpo di stato del 411 ordito da Antifonte. La notizia è attestata da
un’unica fonte, lo pseudo Demostene, sulla cui attendibilità ancora si discute 263 . Dubbia la
natura della sua attività in Tessaglia durante l’esilio. Senofonte mette in bocca a Teramene
l’accusa di aver aiutato Prometeo ad instaurare la democrazia. Di segno opposto la

diversamente Canfora 1980, 88 ss., la cui ipotesi è che sotto il nome di Prometeo si nasconda Giasone di Fere:
se questa identificazione,come a me sembra, coglie nel segno, allora la famosa attività eversiva di Crizia in
Tessaglia si configura come un suo aiuto all’istaurazione della tirannide di Fere (sorta appunto con
Licofrone, padre di Giasone, intorno al 406); per uno status quaestionis v. Iannucci 2002, 14 n. 55; Németh
2006, 27-35; Jordović 2008, 37 ss. Nel segno opposto rispetto a Senofonte la testimonianza tarda di Filostrato
VS. I 16: rese più opprimenti le loro oligarchie, dialogando con i signori del posto, attaccando ogni forma di
governo democratico e calunniando gli Ateniesi, come coloro che più di ogni altro sono in errore. La diversa
natura della testimonianza può essere spiegata, come sostiene a ragione Iannucci, con l’intento da parte di
Filostrato di normalizzare l’attività di Crizia in esilio, rendendola coerente con la sua ideologia.
261
Sul governo dei Trenta si veda Lehmann 1972, 201–233; Gianfrancesco 1974, 20-35; Krentz 1982, 44-68;
in particolare: the Thirty intended to remake Athens on the model of Sparta, or rather of the model of an
idealized Sparta (p. 64). Più recentemente Németh 2006, 13-25.
262
Németh (2006, 38-39 ) parla a proposito di Metamorphose nel segno della violenza.
263
supra, 84 n. 257.
85
testimonianza più tarda di Filostrato, il quale, mosso forse dall’intento di rendere coerente
l’azione politica di Crizia con la sua ideologia, narra che lì Crizia avrebbe reso più potenti le
oligarchie Tessale264 . La deriva violenta della sua politica, le indiscriminate condanne che
avrebbero portato all’opposizione di Teramene, in seguito processato, sono gli unici dati che
difficilmente si potrebbe mettere in discussione, in quanto documentati da diverse fonti265 .
Lo stesso Platone, nella VII Lettera (324 d 7), narra in maniera esplicita questa
degenerazione del governo dei Trenta266 . Dubbio per finire è il divario, davvero troppo
netto, tra la valutazione della sua opera letteraria, l’elogio dello stile da un lato e la
condanna dell’azione politica dall’altro 267 . Questo giudizio schizofrenico che sdoppia il
letterato-poeta dall’uomo politico ha portato Filopono ad ipotizzare l’esistenza di due
Crizia: il Crizia dei Trenta e il Crizia sofista268 .
L’ambiguità delle fonti e del giudizio degli antichi si riflette attraverso i secoli e si
riconferma nel giudizio del moderni. Tale diversità di valutazione in merito alla figura di
Crizia continua, infatti, a dividere la critica. Viene da sé che la valutazione del carattere di
Crizia all’interno dei dialoghi, e in particolare del Carmide, debba necessariamente
confrontarsi con questa ambivalenza di fondo 269 . Tra i moderni il giudizio di condanna è
netto in Wilamowitz, giudizio che si estende, a differenza delle testimonianze antiche, sulle
fonti letterarie270 . Il pensiero di Crizia ne esce banalizzato e privo di originalità. Lévy vede
in lui un’incarnazione dell’idéologie de la puissance271 , caratteristica che lo avvicinerebbe
al Callicle del Gorgia. Ma semplicistico appare, come nota Bultrighini, ridurre il progetto di
Crizia ad una volontà egoistica di comando 272 . Noto il giudizio di De Sanctis, di
annullamento della morale 273 . Untersteiner 274 parla di individualismo esasperato. Ancora
meno concede Popper, che ne fa un nichilista275 .

264
supra, 84 n. 260.
265
supra, 85 n. 262.
266
Lehmann 1995, 145.
267
Questo divario si percepisce in maniera evidente all’interno della testimonianza di Filostrato, infra § III.I.3.
268
Cf. Philopon. De Anima, XV 89, 8 = 88 A 22 DK = 13 GP .
269
Per l’ambivalenza del giudizio sul ruolo di Crizia nel Carmide v. infra, § IV.1
270
infra, § I.1; Bultrighini 1999, 38 n. 70.
271
Lévy 1976, 143 ss.; 168 s.: Ainsi l’idéologie de la puissance, qui s’était incernée dans l’empire athénien ou
dans des ambitieux comme Alcibiade…ou Critias, se voit rejeter aussi bien sur le plan théorique que dans la
réalithé politique.
272
Bultrighini 1999, 40-41. Recentemente Eisenstadt (2008, 492-95) interpreta sotto questa luce la
caratterizzazione di Crizia nel Carmide.
273
De Sanctis 1942, 463 (sicchè in sostanza egli finì con l’essere travolto da quelle forze morali che aveva
ignorate o calpestate).
274
Battegazzore - Untersteiner 1962, 219-21
275
Popper 1973, 202-3; 259 (Crizia nichilista); 438-44 (risposta all’attacco di Levinson. Popper ribadisce la
convinzione dell’iniziale ammirazione di Platone per Crizia).
86
In tempi recenti, siamo alla fine del secolo scorso, contribuiti essenziali, come quello
della Centanni e di Bultrighini, hanno cercato di andare oltre e di spezzare questa repulsione
ideologica valutando l’ideologia di Crizia come una struttura coerente di pensiero. Andare
oltre significa andare alle radici del pregiudizio per capirne le motivazioni che lo hanno
creato, significa risalire alle ragioni degli autori contemporanei che hanno parlato di Crizia e
che ne hanno parlato in questo modo. Sono tre le fonti contemporanee a Crizia: Platone,
Lisia e Senofonte. A proposito la Centanni:

Dalle pagine di Platone, Lisia e Senofonte ricaviamo tre immagini diverse di Crizia, componibili
insieme soltanto sceverando i pochi dati valutabili come oggettivi dalle intenzioni apologetiche o
detrattorie della fonte276 .

In Platone Crizia compare, oltre che nel nostro Carmide, anche nel Protagora, nel Timeo-
Crizia e nello spurio Erissia. Sulla posizione di Platone nei confronti della memoria di
Crizia efficace la valutazione di Canfora:

Così Platone è divenuto comunque la sola voce dissonante rispetto alla damnatio di Crizia e del suo
meteorico esperimento di governo277 .

Prima di ritornare al Crizia di Platone soffermiamoci sulle altre due fonti coeve: Lisia e
Senofonte. Partiamo da Lisia. Come nota la Centanni 278 , la biografia di Lisia è condizionata
in maniera radicale da questo grande evento storico: l’oligarchia dei Trenta del 404/403 a.C.
Nella Contro Eratostene si legge come il padre, Cefalo, fosse un ricchissimo meteco e come
la famiglia in generale fosse inserita all’interno dell’Atene periclea. Nei mesi del regime
oligarchico tutto cambia. Il fratello di Lisia, Polemarco, viene condannato a morte. I beni
mobili e immobili della famiglia vengono confiscati. Com’è noto, Lisia stesso venne
arrestato, ma corrompendo uno dei Trenta, Pisone, riuscì a fuggire in esilio a Megara. Da lì
contribuirà al finanziamento dell’esercito di Trasubulo per la restaurazione della
democrazia. Nella battaglia di Munichia del 403 a.C. l’esercito democratico si scontrerà con
quello oligarchico. Lì Crizia e Carmide perderanno la vita. È discusso se al momento della
restaurazione della democrazia Lisia abbia ottenuto da Trasibulo la cittadinanza. In ogni

276
Centanni 1997, 33-34.
277
Canfora 2013, 138. In linea con i dialoghi di Platone rispetto alla figura di Crizia si pone l’Erissia, opera
nata all’interno dell’Accademia in cui Crizia svolge un ruolo di primo piano. L’immagine di un Crizia avverso
alla ricchezza e, al contrario, teso ad elogiare la sobrietà, si pone in contrasto rispetto all’immagine senofontea
di Crizia kleptistatos. v. Centanni 1997, 85. infra, 142 n. 466.
278
Centanni 1997, 51. Per uno studio recente su Lisia v. Bearzot 2007.
87
caso in quegli anni, secondo la tradizione per necessità economiche, avrebbe avviato
l’attività di logografo.
La Contro Eratostene, tra le prime opere di Lisia, è la più importante testimonianza diretta
sullo sconfitto regime (...) un vero e proprio atto d’accusa contro il regime tirannico279 . Ma
oltre a questa, una parte cospicua delle orazioni del corpus lysiacum contiene importanti
riferimenti agli anni della guerra civile. In alcuni casi si tratta difese di cittadini danneggiati
dal regime, in altri, come nel caso dell’orazione XXVI, di cittadini che erano stati in qualche
modo coinvolti in quegli eventi e che pertanto cercano di discolparsi dalle accuse di
collaborazionismo 280 . Negli anni che seguono la restaurazione democratica il clima di
sospetto che aveva caratterizzato le persecuzioni operate degli oligarchi non cambia nella
sostanza, anche se muta di segno. Nel contesto delle accuse e delle difese il repertorio
ideologico a cui si attinge resta lo stesso. Gli stessi slogans che avevano caratterizzato la
campagna politica di Crizia erano ancora tremendamente attuali. Lo si è visto, ad esempio,
osservando l’ambiguità dell’atteggiamento di Isocrate281 . Una stessa ambiguità è possibile
rintracciarla in Lisia. In particolare in XXV, 19282 . Erissimaco, l’imputato, deve difendersi
dall’accusa di aver partecipato al regime dei Trenta. È stato notato come qui l’argomento
non sia strettamente funzionale alla difesa di Erissimaco. Si potrebbe verosimilmente
trattare di uno spazio in cui Lisia esprime il suo pensiero. Qui si parte dalla costatazione, in
linea col Platone della VII Lettera, che la precedente democrazia fosse arrivata ad un alto
grado di corruzione. Se i Trenta, scrive Lisia, avessero punito soltanto questa gente, li
avreste definiti anche voi agathoi (εἰ μὲν οἱ τριάκοντα τούτους μόνους ἐτιμωροῦντο, ἄνδρας
ἀγαθοὺς καὶ ὑμεῖς ἂν αὐτοὺς ἡγεῖσθε). In queste parole si può scorgere una possibile
adesione iniziale di Lisia e di altri meteci 283 . Sono diverse le fonti che tradiscono la
genuinità degli intenti, alla cui base è da rintracciare l‘operazione teorica di Crizia284 .

279
Centanni 1997, 53.
280
Sull’orazione XXVI di Lisia v. supra, § II.1.2.
281
supra, § II.1.1.
282
Lys. XXV, 19 σκοπεῖν δὲ χρὴ καὶ ἐκ τῶνδε, ὦ ἄνδρες δικασταί. πάντες γὰρ ἐπίστασθε ὅτι ἐν τῇ προτέρᾳ
δημοκρατίᾳ τῶν τὰ τῆς πόλεως πραττόντων πολλοὶ μὲν τὰ δημόσια ἔκλεπτον, ἔνιοι δ᾽ ἐπὶ τοῖς ὑμετέροις
ἐδωροδόκουν, οἱ δὲ συκοφαντοῦντες τοὺς συμμάχους ἀφίστασαν. καὶ: νῦν δέ, ὅτε ὑπὲρ τῶν ἐκείνοις
ἡμαρτημένων τὸ πλῆθος κακῶς ποιεῖν ἠξίουν, ἠγανακτεῖτε, ἡγούμενοι δεινὸν εἶναι τὰ τῶν ὀλίγων ἀδικήματα
πάσῃ τῇ πόλει κοινὰ γίγνεσθαι. Per un introduzione sull’orazione XXV (Difesa contro l’accusa di aver
sovvertito a democrazia), una delle orazioni meglio riuscite dell’intera raccolta, v. Medda 1995, 268-273.
283
Che i progetti iniziali dei 30 non fossero negativi lo leggiamo da Krenzt 1982; Avezzù 1991, 18, il quale
sostiene che tutta l’impalcatura ideologica, ossia il disegno di rinnovamento, fosse da attribuire a Crizia in
persona; cf. anche Iannucci 2002, 15. Recentemente Centanni 2009, 423-428.
284
Cf. Oltre alla VII Lettera si veda anche Lisia XII 5; XII 43; Xen. Hell. II 3, 1.2; Aristot. Const. Ath. XXXV
2-4. L’impianto teorico che non mancava di suscitare consensi era incentrato su un’etica filo spartana, come si
legge da frammenti dello stesso Crizia. (cf. ad es. 88 B 6 = 4 GP ; B 8 DK = 6 GP ). Gli insegnamenti di
Socrate sembrano aver giocato un ruolo nell’elaborazione di questo progetto. A proposito Iannucci 2002, 21: I
Trenta, e Crizia soprattutto, intendevano attuare un progetto di rifondazione della città appreso alla scuola di
88
Un’ipotesi di Németh ci invita ad una parentesi sulla figura di Crizia teorico del
regime285 . Lo storico ipotizza una collaborazione Crizia-Caricle, essendo il primo
Theoretiker e il secondo Realpolitiker. L’attività di Crizia teorico del regime è legata, tra
l’altro, alla sua scrittura documentata di Politeai, spie di un’attività di riflessione sulle forme
di governo286 . L’aver scritto tali lavori sia in versi che in prosa, colloca Crizia a metà tra la
tradizione poetica e l’innovazione costituita dai trattati in prosa287 . All’interno di un’analisi
comparatistica del mosaico costituito dalle diverse costituzioni greche è la Politeia spartana
ad imporsi nel panorama di Crizia come punto di riferimento assoluto, paradigma su cui
innestare la teorizzazione della costituzione ateniese 288 . Il modello di Sparta si plasma sotto
la penna di Crizia per divenire modello di Atene. Quali fossero i pilastri del modello lo si
deduce dal frammento rimasto della costituzione del Lacedemoni289 : controllo degli eccessi,
misura, temperanza290 . Mediante un gioco di riferimenti, l’elogio della misura, della
compostezza, della sophrosyne in Crizia, diventano indirettamente elogio di Sparta, vista
come aspirazione e nostalgia di Atene, aspirazione in quanto modello, nostalgia in quanto
Sparta veniva percepita come l’Atene delle origini. Lo stesso nome di Sparta doveva
evocare tutto questo complesso di valori. In un contesto, quello della democrazia, che
vedeva i valori di nobiltà, controllo, sophrosyne sovvertiti, la risonanza di questa ideologia
doveva essere forte. Espressione di quest’ideologia radicale è l’Athenaion politeia dello
Pseudo Senofonte, opera di paternità incerta, da alcuni attribuita a Crizia 291 . L’ipotesi che fa

Socrate, con una spietata logica dottrinaria estranea agli insegnamenti del maestro di molti tra loro, ma che
ad essi, in ogni caso, sembra ispirarsi. Ma tra Crizia e Socrate c’è anche un divario sostanziale. Socrate è pur
sempre legato all’ambiente democratico. Come nota acutamente Bultrighini (1999, 310 n. 788) Socrate
rappresenta ancora un momento di coscienza critica, ma non di rottura con la polis democratica, rispetto alla
successiva evoluzione platonica: una evoluzione e una teoresi le cui direzioni sono prefigurate, e in parte
influenzate, dalle posizioni radicali di Crizia. Inoltre: è in gioco il superamento della polis, fatto solo
annunciato in Socrate, e potenzialmente compiuto, quale obiettivo primario in Crizia; Platone si mette in
sostanza sulla stessa via, partendo dalle stesse premesse di Crizia, le premesse cui fa riferimento la VII
Lettera (Bultrighini 1999, 310). Bultrighini si pone sulla scia di Musti 19945, 393 ss.
285
Németh 2006, 24 ss.
286
A proposito del genere delle Politeiai da Crizia ad Aristotele (e dell’idea della democrazia come politeia
caratterizzante Atene) v. recente contributo Centanni 2009, 423-440. Per la sostanziale unità in Crizia tra
letteratura e politica v. infra, § III.1.4.
287
Come le Politeiai, così tutta l’attività letteraria di Crizia presenta questo gioco dialettico con il passato. Tale
gioco, si vedra, è particolarmente apprezzabile nel Carmide. infra, § III.1.4.
288
La Centanni (2009, 426) fa notare il carattere dialettico - agonale delle relazioni tra polis e polis:
nell’immaginario aristocratico del V secolo Sparta rappresenta l’antico di Atene, la realizzazione che perdura
nel presente del modello della patrios politeia.
289
88 B 6 DK = 4 GP .
290
Centanni 2009, 427.
291
Le numerose affinità con l’ideologia rintracciabile da frammenti e testimonianze su Crizia (su cui già
Nestle 1949, 299ss.) hanno portato ad ipotizzare la paternità criziana del pamphlet. A proposito v. Thierfelder
1969, 79-82; Serra 1979; Canfora 1980,79-90; id. 2001; Lapini 1997; Iannucci 2002. 15 n. 58; 25 n. 106;
Centanni 2009,429. Ora: Bearzot - Landucci - Prandi 2011. A prescindere dall’irrisolta questione
dell’attribuzione, l’ambiente da cui l’opera proviene è sicuramente quello dell’Atene delle eterie aristocratiche,
lo stesso ambiente di Crizia, Carmide, Platone. Per le eterie nell’Atene del V sec. v. Sartori 1957.
89
di Crizia un Theoretiker prima che un tiranno va nella direzione di quello che riteniamo
essere il più autentico volto di Crizia: intellettuale, poeta, letterato.
Tornando a Lisia la Centanni nota acutamente come il nome di Crizia nel corpus delle
orazioni sia quasi del tutto assente. Compare qualche volta, sempre insieme a quello di
Teramene. Quest’ultimo, a differenza del primo, è bersaglio di accuse mirate 292 . La cautela
che Lisia avrebbe nel pronunciare direttamente il nome di Crizia e nell’accusarlo in maniera
diretta e che contemporaneamente porterebbe lo stesso Lisia ad accusare il maggior nemico
di Crizia, Teramene, sarebbe forse motivata dai rapporti di amicizia che intercorrevano tra la
famiglia di Cefalo e quella di Crizia-Platone. In Platone Lisia fa alcune, silenziose,
comparse. Nel Fedro, ad esempio, è di Lisia il discorso sull’eros che il giovane legge a
Socrate. Lisia non compare fisicamente, ma attraverso la lettura di un discorso scritto. La
Repubblica è ambientata nella casa di Cefalo al Pireo. Lisia, Eutidemo e il vecchio Cefalo
sono presenti. Anche qui Lisia è citato, ma resta in silenzio. All’inizio del Timeo, si ricorda
che il giorno prima, quando Socrate parlava della costituzione della città (= Repubblica),
erano presenti tra l’altro Timeo stesso, Ermocrate e Crizia. La continuità ideale e scenica tra
Timeo e Repubblica porta ad immaginare Crizia e Lisia in uno stesso contesto in cui si
discute di idealità. Entrambi ascoltatori muti, anche se non compresenti nella finzione
scenica293 . È stata avanzata l’ipotesi che l’ambientazione della Repubblica in casa del ricco
meteco Cefalo sia una sorta di omaggio da parte di Platone alla famiglia di Lisia,
violentemente danneggiata durante il regime oligarchico 294 . Attraverso la potenza dello
strumento letterario Platone farebbe una doppia operazione: da un lato recupererebbe
l’idealità che le delusioni politiche avevano cancellato, dall’altra passerebbe attraverso le
esperienze delle delusioni politiche per superarle.
In conclusione, sembra poter affermare che Lisia non contribuisca in alcun modo a
gettare fango sulla memoria di Crizia. Il silenzio con cui l’autore evita in maniera accorta di
pronunziare un nome che sicuramente doveva essere scomodo, può nondimeno essere un
segnale di un’iniziale vicinanza o almeno, come sembra di poter capire dai dialoghi di
Platone, di una frequentazione degli stessi ambienti, in una contesto in cui la parola si carica
di idealità.

292
es. Lys. XII 78. L’accusa contro Teramene coincide nella sostanza a quella messa in bocca a Crizia nelle
Elleniche di Senofonte (II, 3 32). Su Teramene in Lisia v. Bearzot 1997.
293
Il Timeo s’immagina essere avvenuto un giorno dopo il racconto sulla città ideale che Socrate compie nella
Repubblica. A proposito v. Brisson 1992, 10. v. anche David 1984, 33 – 53, secondo cui in Timeo-Crizia si
trova una rappresentazione drammatica dello stato ideale teorizzato nella Repubblica e rispondente al genere
della utopian literature.
294
Avezzù 1991, 39.
90
Ugualmente condizionata dall’esperienza politica dei Trenta è la biografia di
Senofonte. Cavaliere sotto il regime, dopo la restaurazione democratica si arruolò come
mercenario nell’esercito di Ciro, il quale si preparava al conflitto con il fratello Artaserse.
La scelta dell’esilio volontario doveva avere verosimilmente qualche relazione con la sua
partecipazione diretta come ipparco al governo dei Trenta 295 . Non è un caso che nel 399
a.C. gli arrivò un decreto ufficiale di esilio. Non farà più ritorno ad Atene. Tornato in Grecia
al seguito di Agesilao, si ritirò nell’Elide fino alla morte, avvenuta dopo il 360 a.C. È noto il
carattere poco obiettivo delle sue opere storiche, le Elleniche e l’Anabasi296 . Gli stessi
Memorabili sono mossi da un esplicito intento apologetico nei confronti di Socrate. È nei
Memorabili che si deve individuare un primo significativo momento nell’elaborazione del
mito negativo di Crizia297 , come si evince dal passo che segue:

ἀλλ᾽ ἔφη γε ὁ κατήγορος, Σωκράτει ὁμιλητὰ γενομένω ριτίας τε καὶ Ἀλκιβιάδης


πλεῖστα κακὰ τὴν πόλιν ἐποιησάτην. ριτίας μὲν γὰρ τῶν ἐν τῇ ὀλιγαρχίᾳ πάντων
πλεονεκτίστατός τε καὶ βιαιότατος ἐγένετο, Ἀλκιβιάδης δὲ αὖ τῶν ἐν τῇ δημοκρατίᾳ
πάντων ἀκρατέστατός τε καὶ ὑβριστότατος. ἐγὼ δ᾽, εἰ μέν τι κακὸν ἐκείνω τὴν πόλιν
ἐποιησάτην, οὐκ ἀπολογήσομαι: ὡς ἐγένετο διηγήσομαι. (Xen. Mem. I 2, 12-13 = A 4
DK 12 = 4 GP ).

Crizia appare il più ladro, il più violento, il più assassino di tutti gli oligarchi. Alcibiade è il
più intemperante, il più violento, il più sanguinario tra i democratici. L’intento, esplicito, è
quello di svincolare Socrate dall’accusa di aver influenzato direttamente Crizia e
Alcibiade298 . Senofonte cerca di definire i termini della relazione, τὴν δὲ πρὸς Σωκράτην
συνουσίαν αὐτοῖν, tra maestro e allievi degeneri. Significativo l’uso del verbo apologein.
Questa precisazione infatti, non li difenderò, lascerebbe supporre la presenza di una corrente
che andava nella direzione opposta, ossia in quella della difesa299. L’accusa operata da
Senofonte è funzionale ad un’altra apologia: quella di Socrate. Se innegabile era la
frequentazione tra il maestro e i due allievi, Senofonte ne marca il distacco successivo:

295
Centanni 1997 65; Per il rapporto di Senofonte con i Trenta si veda anche Dillery 1995, 138 ss.
296
Avezzù 1991, 10.
297
Centanni 1997, 66-67; Bultrighini 1999, 251 ss.
298
Isocrate (XI, 5) riferische che l’amicizia con Alcibiade era il principale capo d’accusa imputato a Socrate da
Policrate.
299
infra, § III.1.3.
91
δήλω δ᾽ ἐγενέσθην ἐξ ὧν ἐπραξάτην: ὡς γὰρ τάχιστα κρείττονε τῶν συγγιγνομένων
ἡγησάσθην εἶναι, εὐθὺς ἀποπηδήσαντε Σωκράτους ἐπραττέτην τὰ πολιτικά, ὧνπερ
ἕνεκα Σωκράτους ὠρεχθήτην. (Xen. Mem. I 2, 16)

ἀποπηδάω indica letteralmente il saltare giù. Marca efficacemente l’allontanamento non


solo ideologico, ma anche fisico, di Alcibiade e Crizia da Socrate. L’azione politica,
ἐπραττέτην τὰ πολιτικά, è allora da considerarsi successiva all’allontanamento e svincolata
da ogni possibile influenza socratica. La terminologia utilizzata da Senofonte rende palese il
suo intento: creare distinzioni radicali e polarizzate. Senso e fine ultimo di Alcibiade e
Crizia diventa così la politica, in vista della quale si erano avvicinati a Socrate. Il periodo di
discepolato dalla prospettiva di Senofonte diventa una parentesi tra il sorgere dell’ambizione
e la sua messa in atto. Essi sono infatti associati nel loro essere φιλοτιμοτάτω πάντων
Ἀθηναίων, i più ambiziosi tra tutti gli Ateniesi.

ἐγενέσθην μὲν γὰρ δὴ τὼ ἄνδρε τούτω φύσει φιλοτιμοτάτω πάντων Ἀθηναίων,


βουλομένω τε καὶ πάντων ὀνομαστοτάτω γενέσθαι. (Xen. Mem. I 2 14)

Connessa con l’ambizione è l’assenza di consapevolezza del limite e pertanto la volontà di


occuparsi di ogni cosa personalmente, πάντα δι᾽ ἑαυτῶν πράττεσθαι. Mancanza di senso del
limite, ambizione sfrenata, volontà di ottenere grande fama, sono concetti che rientrano nel
campo semantico della hybris, antitesi perfetta della sophrosyne300 . Nel capitolo precedente
abbiamo avuto modo di notare la polarità di questi due concetti, hybris e sophrosyne, e la
doppia valenza del senso del limite che la sophrosyne implica: interna, ossia rivolta
all’individuo, ed esterna, ossia indirizzata alla collettività 301 . La dimensione interna della
sophrosyne è quella inerente al dominio di sé e delle proprie passioni: l’enkrateia. Questo
passo dei Memorabili di Senofonte dimostra come questi concetti fossero condivisi. Crizia
ed Alcibiade vengono infatti ritratti come ambiziosi, tesi ad un’azione politica che non
conosce limiti (direzione esterna della hybris) e contemporaneamente incapaci di dominare
le loro passioni negative302 (dimensione connessa all’interiorità).

300
Sulla hybris v. Fisher 1992.
301
supra, § II.2.1.
302
Il motivo della hybris e dell’ epithumia in relazione al giovane Alcibiade rimanda al contesto del platonico
Alcibiade I. supra, § II.2.1.
92
καὶ ριτίας δὴ καὶ Ἀλκιβιάδης, ἕως μὲν Σωκράτει συνήστην, ἐδυνάσθην ἐκείνῳ
χρωμένω συμμάχῳ τῶν μὴ καλῶν ἐπιθυμιῶν κρατεῖν: ἐκείνου δ᾽ ἀπαλλαγέντε,
ριτίας μὲν φυγὼν εἰς Θετταλίαν ἐκεῖ συνῆν ἀνθρώποις ἀνομίᾳ μᾶλλον ἢ δικαιοσύνῃ
χρωμένοις (…) (Xen. Mem. I 2, 24).

Per Senofonte, la figura di Socrate fungeva da ago della bilancia, in quanto la sua influenza
teneva a freno le passioni. Una volta liberatesi dall’influenza Socratica, le passioni non
conoscono più ostacoli e s’incanalano nella direzione politica del comando. Senofonte, più
che sottolineare la continuità tra insegnamento filosofico e prassi politica, ne marca il
distacco. Ma se in Platone, e in particolare nel Carmide, avevamo rintracciato la stessa
antitesi tra sophrosyne e hybris, il contrasto tra la consapevolezza dei propri limiti e
l’ambizione, ciò che rende differente negli intenti e nella ratio il testo di Senofonte da
quello di Platone è la volontà senofontea di creare una polarità tra Crizia-Alcibiade da un
lato e Socrate dall’altro. In Platone è maggiore la tensione tra i personaggi, il dinamico
equilibrio creato grazie allo strumento letterario del dialogo, le geometrie cangianti delle
relazioni tra i caratteri. In particolare, per quanto riguarda il rapporto Crizia Socrate interno
al Carmide, non si può parlare di polarità netta, quanto piuttosto di tensioni differenti, di
gioco dialettico tra le parti, di parziali verità che vanno ricondotte ad una logica mimetica 303.
Queste tensioni e questi bilanciamenti sono assenti in Senofonte. Qui netto è il distacco, il
platonico gioco dei chiaroscuri diventa, inesorabilmente, gioco duale: bianco e nero. Nel
caso di Crizia, polo negativo, sembra che Senofonte si accanisca con particolare enfasi. Un
esempio efficace in questo senso risulta il famoso aneddoto senofonteo relativo alla
passione di Crizia per Eutidemo. Tale smodata passione di natura esclusivamente sessuale
avrebbe suscitato un plateale commento di Socrate

ριτίαν μὲν τοίνυν αἰσθανόμενος ἐρῶντα Εὐθυδήμου καὶ πειρῶντα χρῆσθαι, καθάπερ
οἱ πρὸς τἀφροδίσια τῶν σωμάτων ἀπολαύοντες, ἀπέτρεπε φάσκων ἀνελεύθερόν τε
εἶναι καὶ οὐ πρέπον ἀνδρὶ καλῷ κἀγαθῷ τὸν ἐρώμενον, ᾧ βούλεται πολλοῦ ἄξιος
φαίνεσθαι, προσαιτεῖν ὥσπερ τοὺς πτωχοὺς ἱκετεύοντα καὶ δεόμενον προσδοῦναι, καὶ
ταῦτα μηδενὸς ἀγαθοῦ. τοῦ δὲ ριτίου τοῖς τοιούτοις οὐχ ὑπακούοντος οὐδὲ
ἀποτρεπομένου, λέγεται τὸν Σωκράτην ἄλλων τε πολλῶν παρόντων καὶ τοῦ
Εὐθυδήμου εἰπεῖν ὅτι ὑικὸν αὐτῷ δοκοίη πάσχειν ὁ ριτίας, ἐπιθυμῶν Εὐθυδήμῳ
προσκνῆσθαι ὥσπερ τὰ ὕδια τοῖς λίθοις. (Xen. Mem. I 2, 29-30)

303
infra, § IV.2.
93
L’aneddoto, dotato di particolare efficacia visiva, e dunque di forte impatto, costituisce un
esempio efficace dell’operazione di Senofonte: porre una linea di demarcazione netta tra
Socrate e Crizia. In questo senso esso assume un valore quasi eziologico, in quanto origine
prima del conflitto. A questo episodio infatti sarebbe seguita l’ira di Crizia nei confronti del
maestro, ira che non sarebbe venuta meno e che avrebbe indotto Crizia, una volta al
governo, a colpire Socrate tramite la promulgazione di un decreto che vietava
l’insegnamento della logon techne304 .
Nella stessa direzione il ritratto di Crizia che emerge dalle Elleniche. Qui la figura di
Crizia appare in opposizione polare a Teramene. Se di quest’ultimo si cerca di fornire un
ritratto positivo, di Crizia, al contrario, emerge un’immagine totalmente scura. Tale
opposizione polare la si trova nei due discorsi che Senofonte mette in bocca rispettivamente
a Crizia e Teramene305 . La cornice è quella del processo contro quest’ultimo, che si
concluderà, come è noto, con la sua condanna a morte. Dalle prime battute del discorso di
Crizia emerge il legame con Sparta, con il cui aiuto è stato possibile instaurare questa
costituzione306 . Parallelamente viene criticata la democrazia, regime odioso:

ἡμεῖς δὲ γνόντες μὲν τοῖς οἵοις ἡμῖν τε καὶ ὑμῖν χαλεπὴν πολιτείαν εἶναι δημοκρατίαν
(…) (Xen. Hell. II 3, 25)

A tale costituzione Crizia oppone quella spartana la καλλίστη πολιτεία307 , modello per una
rifondazione di Atene. La radicalità del Crizia senofonteo emerge da considerazioni come la
seguente:

(…) καὶ ἐάν τινα αἰσθανώμεθα ἐναντίον τῇ ὀλιγαρχίᾳ, ὅσον δυνάμεθα ἐκποδὼν
ποιούμεθα: πολὺ δὲ μάλιστα δοκεῖ ἡμῖν δίκαιον εἶναι, εἴ τις ἡμῶν αὐτῶν λυμαίνεται
ταύτῃ τῇ καταστάσει, δίκην αὐτὸν διδόναι. (Xen. Hell. II 3, 26).

304
Xen Men. I 2, 31. ἐξ ὧν δὴ καὶ ἐμίσει τὸν Σωκράτην ὁ ριτίας, ὥστε καὶ ὅτε τῶν τριάκοντα ὢν νομοθέτης
μετὰ Χαρικλέους ἐγένετο, ἀπεμνημόνευσεν αὐτῷ καὶ ἐν τοῖς νόμοις ἔγραψε λόγων τέχνην μὴ διδάσκειν (…).
Senofonte è l’unica fonte in merito ad un tale decreto. Oltre al dubbio sulla reale promulgazione di questo
decreto, bisogna considerare che, qualora fosse stato realmente promulgato, esso sarebbe stato diretto
verosimilmente contro la logon techne insegnata dai sofisti. Problematico il rapporto Socrate-Crizia. Secondo
Iannucci (2002, 16) l’educazione di Crizia è da ricondurre a Socrate. In particolare il filolaconismo potrebbe
essere di derivazione socratica (Iannucci 2002, 19 n.74). D’altre parte, l’essere stato in rapporti con Crizia è
presentata come la causa della morte di Socrate (cf. Iannucci 2002, 19 n. 75).
305
Xen. Hell., II 3, 24-34; 35-50.
306
Xen. Hell. II 3, 25: γνόντες δὲ ὅτι ακεδαιμονίοις τοῖς περισώσασιν ἡμᾶς ὁ μὲν δῆμος οὔποτ᾽ ἂν φίλος
γένοιτο, οἱ δὲ βέλτιστοι ἀεὶ ἂν πιστοὶ διατελοῖεν, διὰ ταῦτα σὺν τῇ ακεδαιμονίων γνώμῃ τήνδε τὴν πολιτείαν
καθίσταμεν.
307
Xen. Hell. II 3, 34.
94
Non è contemplata la presenza di oppositori al regime (τινα ... ἐναντίον τῇ ὀλιγαρχίᾳ).
Chiunque si oppone viene fatto fuori. Ad ostacolare quest’orientamento politico, la deriva
violenta del regime, sarebbe l’azione politica di Teramene, esponente di un’oligarchia
moderata e di una politica di compromesso. L’assenza di radicalità fa sì che Teramene sia
visto da Crizia come un traditore e pertanto degno di punizione.

ὥστε οὐ μόνον ὡς ἐχθρῷ αὐτῷ προσήκει ἀλλὰ καὶ ὡς προδότῃ ὑμῶν τε καὶ ἡμῶν
διδόναι τὴν δίκην. (Xen. Hell. II 3, 29)

L’opportunismo della politica di Teramene fa sì che gli venga affibbiato il soprannome di


coturno308. Nella sezione finale del discorso Crizia compie una valutazione lucida
sull’inevitabilità delle vittime che ogni metabole comporta.

καὶ εἰσὶ μὲν δήπου πᾶσαι μεταβολαὶ πολιτειῶν θανατηφόροι, σὺ δὲ διὰ τὸ


εὐμετάβολος εἶναι πλείστοις μὲν μεταίτιος εἶ ἐξ ὀλιγαρχίας ὑπὸ τοῦ δήμου
ἀπολωλέναι, πλείστοις δ᾽ ἐκ δημοκρατίας ὑπὸ τῶν βελτιόνων. (Xen. Hell. II 3, 32)

Come si può notare, tale valutazione s’inserisce all’interno di una critica dell’opportunismo
di Teramene. Se la presenza di vittime è invitabile, l’atteggiamento di Teramene, il suo
essere εὐμετάβολος, ossia che cambia facilmente opinione, lo rende corresponsabile,
μεταίτιος, di moltissime vittime, sia di oligarchici per mano dei democratici, sia viceversa.
Nella VII Lettera309 Platone racconta la sua esperienza politica. La prima delusione connessa
all’esperienza dei Trenta e di suo cugino Crizia, la caduta del regime e la restaurazione
della democrazia. Nonostante la prima delusione, Platone sente ancora il desiderio
dell’azione politica (325 b 1). All’interno del racconto del rinnovato interesse per la politica
Platone afferma:

308
(…) ὅθεν δήπου καὶ κόθορνος ἐπικαλεῖται, Xen. Hell. II 3,30. Il coturno è il calzare utilizzato dagli attori
per apparire più grandi sulla scena, la connessione con la politica di Teramene deriva dal fatto che poteva
essere indifferentemente portato su entrambi i piedi.
309
Sulla sezione iniziale della VII Lettera in rapporto al Carmide si veda supra, § II.2.2.
95
ἦν οὖν καὶ ἐν ἐκείνοις ἅτε τεταραγμένοις πολλὰ γιγνόμενα ἅ τις ἂν δυσχεράνειεν, καὶ
οὐδέν τι θαυμαστὸν ἦν τιμωρίας ἐχθρῶν γίγνεσθαί τινών τισιν μείζους ἐν μεταβολαῖς
(…) (Plat. Ep. VII, 325 b 3 - 4 )310

La valutazione di Platone sull’inevitabilità (οὐδέν τι θαυμαστὸν) di vendette politiche


durante i colpi di stato richiama la stessa lucida valutazione di Crizia sulle morti connesse
alle μεταβολαί (εἰσὶ μὲν δήπου πᾶσαι μεταβολαὶ πολιτειῶν θανατηφόροι). Da ciò non si può
ovviamente dedurre una totale attendibilità del Crizia di Senofonte, quanto piuttosto la
radicalizzazione di alcuni autentici tratti della sua personalità. La presenza in Platone di una
valutazione affine va a confermare l’ipotesi di una vicinanza di Platone ad alcune posizioni
di Crizia 311 .
Al discorso di Crizia segue, nel racconto delle Elleniche, quello di Teramene. I punti
fondamentali della sua difesa sono i seguenti: 1. deresponsabilizzazione dall’accusa di aver
mandato a morte gli strateghi al processo delle Arginuse (3, 35); 2. difesa del proprio agire
politico, dovuto alla direzione repressiva e dittatoriale presa dal regime (3, 37 ss.). Caso
emblematico: morte di Leone di Salamina (3, 39); 3. opposizione all’esilio di Trasibulo,
Anito, Alcibiade; 4. tentativo di discolparsi dall’accusa di essere εὐμετάβολος: funzione di
moderazione e equilibrio nella politica ateniese degli ultimi anni (3, 45 ss.). Soffermiamoci
sul punto 2. La citazione dell’episodio di Leone di Salamina ci consente un ulteriore rinvio
alla sezione iniziale della VII Lettera312 . I Trenta cercano di coinvolgere Socrate nel
mandato di cattura di questo personaggio innocente. Socrate, al pari del Teramene di
Senofonte, si rifiuta di partecipare a quest’azione dissociandosi dai Trenta. È possibile che
qui Senofonte volesse intenzionalmente associare Teramene a Socrate facendone un
modello di virtù, contribuendo contemporaneamente a screditare Crizia, uno dei mandanti
dell’azione delittuosa. Nel gioco dei personaggi interno al testo ogni passaggio crea polarità.
Riportare un episodio noto e in stretta connessione con Socrate e accostare il
comportamento di Socrate a quello di Teramene contribuisce ad accentuare la virtù di
quest’ultimo e, al contempo, la kakia di Crizia. Nella stessa direzione il ritratto della morte
di Teramene. Anche qui ritroviamo l’affinità ideale con Socrate, affinità che si coglie nel

310
Anche in occasione di quello sconvolgimento avvennero molti fatti che ben potevano muovere a sdegno e
non era per nulla strano che, in una rivoluzione, le vendette degli avversari politici fossero maggiori (trad.
Antonio Carlini).
311
supra, § II.2.1.
312
Plat. Ep. VII, 325 a. supra, § II.2.2.
96
coraggio e nella presenza di spirito durante gli ultimi istanti di vita313 , anche qui ritroviamo
la stessa morte per cicuta. Diverso apparirà, sia nella dinamica che nelle funzionalità, il
gioco del personaggi all’interno del Carmide. Emergerà una dialettica, una tensione che in
Carmide, come vedremo, troverà un suo sfogo314 .
Ritornando a Senofonte, si può notare come il ritratto dei due leaders sia invertito
rispetto a quello di Lisia. È proprio dal confronto con la Contro Eratostene che si
comprende dove Senofonte tace e perché 315 . Dall’orazione di Lisia si legge, ad esempio,
che Teramene impone all’Assemblea di approvare la costituzione oligarchica (XII, 74)

Θηραμένης δέ, ὦ ἄνδρες δικασταί, καὶ τούτων ὑμᾶς αὐτοὺς μάρτυρας παρέξομαι,
εἶπεν ὅτι οὐδὲν αὐτῷ μέλοι τοῦ ὑμετέρου θορύβου, ἐπειδὴ πολλοὺς μὲν Ἀθηναίων
εἰδείη τοὺς τὰ ὅμοια πράττοντας αὑτῷ, δοκοῦντα δὲ υσάνδρῳ καὶ ακεδαιμονίοις
λέγοι.

Il contrasto col Teramene delle Elleniche è forte. Lì Teramene attribuisce alla libera volontà
dell’Assemblea l’approvazione della costituzione (τὴν μὲν γὰρ ἐπὶ τῶν τετρακοσίων
πολιτείαν καὶ αὐτὸς δήπου ὁ δῆμος ἐψηφίσατο, Hell. II 3, 45), mentre per Lisia (XII, 76)
πρότερον ᾔδεσαν τὰ μέλλοντα ἐν τῇ ἐκκλησία πραχθήσεσθαι, sapevano fin da prima come
si sarebbe svolta l’Assemblea. Egli è dunque perfettamente corresponsabile. Emerge una
figura opposta rispetto a quella di Senofonte. Connivente e δεινοτάτων ἔργων διδάσκαλος,
morto a causa della sua stessa malvagità 316 . Nel ritratto lisiano sembra di sentire l’eco delle
accuse di Crizia all’ex compagno di partito. Sul silenzio di Senofonte chiarisce Bultrighini:

Senofonte omette tutto quanto comporti una vera integrazione - e un ruolo protagonistico - di
Teramene nel regime dei Trenta, dalle premesse al concreto esercizio del potere. Non è tuttavia
l’apologia di Teramene (…) il vero obiettivo di Senofonte. A motivare le sue scelte è soprattutto la

313
Xen. Hell. II 3, 56. Costretto a bere la cicuta, Senofonte riferisce che avrebbe lasciato cadere l’ultima
goccia a terra, come nel gioco del cottabo, mirando a Crizia. A proposito Canfora 2013, 90: la scena del
cottabo (…) con le gocce di cicuta rimaste nella coppa non è solo minatoria (sinistro preannunzio di morte), è
anche un’allusione all’inconsistente ancorché ostentato stile “spartano” del capo dei Trenta: il gioco del
cottabo, di cui Crizia era appassionato, era bandito dagli austeri simposi spartani. Per la fortuna del mito di
Teramene e la sua associazione a Socrate v. infra, 98 n. 321.
314
infra, § IV.2.1-5.
315
Sulla Contro Eratostene si veda Avezzù G. 1991; Bearzot C. 1997, 1 - 61.
316
Cf. Lys. XII 78: καὶ τοσούτων καὶ ἑτέρων κακῶν καὶ αἰσχρῶν καὶ πάλαι καὶ νεωστὶ καὶ μικρῶν καὶ
μεγάλων αἰτίου γεγενημένου τολμήσουσιν αὑτοὺς φίλους ὄντας ἀποφαίνειν, οὐχ ὑπὲρ ὑμῶν ἀποθανόντος
Θηραμένους ἀλλ᾽ ὑπὲρ τῆς αὑτοῦ πονηρίας, καὶ δικαίως μὲν ἐν ὀλιγαρχίᾳ δίκην δόντος ἤδη γὰρ αὐτὴν
κατέλυσε, δικαίως δ᾽ ἂν ἐν δημοκρατίᾳ: δὶς γὰρ ὑμᾶς κατεδουλώσατο, τῶν μὲν παρόντων καταφρονῶν, τῶν δὲ
ἀπόντων ἐπιθυμῶν, καὶ τῷ καλλίστῳ ὀνόματι χρώμενος δεινοτάτων ἔργων διδάσκαλος καταστάς.
97
volontà di isolare il polo negativo dell’antitesi, e di concentrare responsabilità e discredito sul solo
Crizia317 .

Ma quale sarebbe la ragione profonda di questa faziosità di Senofonte? Il quadro che


emerge dalle Elleniche mostra come all’interno dei vertici ci fossero due schieramenti
contrapposti: un’ala moderata, con a capo Teramene, e una radicale e violenta, con a capo
Crizia. Mostrando questa spaccatura interna Senofonte svincolerebbe se stesso, allo stesso
modo di Teramene, dall’accusa di connivenza 318 . Ma c’è dell’altro. Sappiamo come il
promotore dell’azione politica di Crizia fosse Lisandro, rivale di quello stesso Agesilao
elogiato da Senofonte319 . Motivi e risentimenti personali stanno alla base delle scelte di
Senofonte. Al di là delle ragioni personali che lo spinsero ad operare questa parzializzazione
dei fatti, il suo racconto s’impose ed influenzò tutta la tradizione successiva. Il mito positivo
di Teramene, simbolo, insieme a Socrate, di coerenza fino alla morte, ebbe fortuna: lo
ritroviamo, infatti, in Diodoro Siculo 320 , dipendente da Eforo. Diodoro accoglie la
tradizione secondo cui Teramene sarebbe stato un discepolo di Socrate321 .
Per riassumere, nelle pagine di Senofonte si trovano le basi del mito negativo di
Crizia. L’immagine che s’impone risulta astratta, quasi caricaturale. Alla radicalità dei
giudizi non corrisponde nessuna descrizione di un concreto episodio di assassinio o
efferatezza, direttamente ascrivibile alla figura di Crizia. Il mito s’impone fino a rendere
troppo esigue le tracce dell’esistenza di una tradizione differente, positiva, su Crizia. Il
tentativo di bilanciarne il giudizio, attuato da Platone, rimane pertanto voce isolata e non
sempre compresa. Il pregiudizio si forma e si consolida restando così saldo da frenare
qualsiasi tentativo di un’analisi più attenta delle fonti. La forza della damnatio impedisce in
certi casi, anche ai nostri giorni, di osservare la maschera di Crizia con sguardo libero da
griglie mentali. Difficile afferrare Crizia, ma non impossibile. Liberandosi da alcune

317
Bultrighini 1999, 253.
318
Krentz 1982, 145 ss. nota giustamente come Senofonte sia stato cavaliere al tempo dei Trenta. Denigrare il
regime rispondeva dunque non solo ad un intento apologetico nei confronti di Socrate, ma anche ad un
tentativo di liberare se stesso dalle fondate accuse da parte dei democratici di aver collaborato durante il
regime oligarchico. Senofonte fu escluso dalla restaurata democrazia ed esiliato in quanto collaboratore dei
Trenta. L’ex allievo di Socrate cerca di ricondurre tutta la responsabilità del fallimento del regime e delle
accuse rivolte contro Socrate a Crizia ed Alcibiade. v. Centanni 1997, 71 ss.
319
Bultrighini 1999, 253 n. 653; Bommelaer 1981, 238 ss; Tuplin 1993, 45 s.
320
cf. Diod. XIV.
321
Un’ulteriore sublimazione filosofica, per usare un espressione di Canfora, del mito di Teramene la troviamo
in Cicerone, Tusc. I, 96-97; 100. Per il parallelismo Socrate-Teramene cf. in particolare Cic. Tusc. 97: Chi
giudica essere la morte un male non potrebbe esaltare questa serenità degna di uno spirito sommo nel
momento stesso del trapasso. Ed ecco, pochi anni dopo, Socrate entrare nella stessa prigione, eccolo davanti
alla stessa tazza: vittima della iniquità dei giudici così come Teramene lo era stato della iniquità dei tiranni.
A proposito v. Canfora 2013, 92-94.
98
sovrastrutture emergerà una coerenza ideologica che accompagnerà Crizia fino alla morte.
Anche se l’esperimento politico si risolverà, come dovette costatare lo stesso Platone, in un
fallimento, tuttavia la coerenza del pensiero, l’incisività dell’opera letteraria, l’abilità di
innovare nella tradizione restano caratteristiche di Crizia, vive nella memoria di eredi e
sostenitori322 .

III.1.3 Crizia bifronte: l’elogio dello stile

κάκιστος ἀνθρώπων ἔμοιγε φαίνεται ξυμπάντων, ὧν ἐπὶ κακίᾳ ὄνομα.


Il più malvagio di tutti gli uomini, tra quelli che hanno fama di malvagità.

In Filostrato, che eredita la tradizione senofontea su Crizia, il giudizio appassionato si carica


di tinte ancora più fosche 323 . Tale lapidaria sentenza risente palesemente della tradizione
inaugurata da Senofonte. Le informazioni che Filostrato fornisce sono di particolare
interesse. All’interno di questa testimonianza confluiscono diverse tradizioni relative a
Crizia, la condanna del tiranno e la lode del poeta, accostate in un tentativo difficile di
creare unità. È possibile suddividere la testimonianza di Filostrato in due blocchi isolati. Il
primo blocco riassume gli elementi della biografia e si chiude con un giudizio lapidario
sulla sua attività politica. Il secondo blocco, nettamente contrapposto al primo, riguarda la
valutazione dello stile di Crizia e della sua poetica. Vediamone più in dettaglio il contenuto.
Con particolare enfasi, in apertura, Filostrato definisce Crizia κακός. La causa di tale κακία
non è tanto l’aver rovesciato la democrazia di Atene, essa infatti si sarebbe rovesciata da
sola, quanto l’aver parteggiato per gli Spartani, l’aver tradito i luoghi sacri e l’aver fatto
abbattere le mura per opera di Lisandro (κακός … ἐπεὶ λαμπρῶς μὲν ἐλακώνισε, προὐδίδου
δὲ τὰ ἱερά, καθῄρει δὲ διὰ υσάνδρου τὰ τείχη …) . Si ricorda poi la sua crudeltà, ὠμότης,
e la sua efferatezza, μιαιφονία. Ingiustificabile appare l’attività in Tessaglia 324 . Se infatti
fosse stato ἀπαίδευτος, privo d’istruzione, allora le compagnie lì frequentate sarebbero state
la causa della sua corruzione. La sua educazione fu, al contrario, delle più eccellenti:

322
Che una tradizione apologetica su Crizia esistesse lo testimonia Schol. Aeschin. I 39 = 88 A13 DK (…)
sulla tomba di Crizia, uno dei Trenta, raffigurarono l’Oligarchia con una fiaccola che dà fuoco alla
Democrazia, e vi aggiunsero la seguente iscrizione: “questa è la tomba di uomini nobili, che il maledetto
popolo di Atene per poco tempo trattennero dalla tracotanza. Sullo scolio si veda infra, § III.1.3.
323
Il giudizio è tratto dalle Vite dei Sofisti I, 16, II. Per una recente traduzione con commento delle Vite dei
Sofisti di Filostrato v. Civiletti 2002. Sul coinvolgimento di Filostrato nel giudicare Crizia v. Schimtz 2009,
60-61, recente raccolta di studi su Filostrato. Com’è noto il retore della seconda sofistica dedica nelle Vite dei
Sofisti un’intera sezione a Crizia. Al giudizio di Filostrato che fa di Crizia un sofista si deve la presenza di
Crizia nella raccolta die Fragmente der Vorsokratiker di Diels-Kranz.
324
Sull’attività in Tessaglia si veda supra § III.1.
99
ἐπεὶ δὲ ἄριστα μὲν ἦν πεπαιδευμένος, γνώμας δὲ πλείστας ἑρμηνεύων, ἐς Δρωπίδην δ᾽
ἀναφέρων, ὃς μετὰ Σόλωνα Ἀθηναίοις ἦρξεν, οὐκ ἂν διαφύγοι παρὰ τοῖς πολλοῖς
αἰτίαν τὸ μὴ οὐ κακίᾳ φύσεως ἁμαρτεῖν ταῦτα.

Filostrato ricorda l’educazione aristocratica di Crizia e la nobile discendenza, ἐς Δρωπίδην


δ᾽ ἀναφέρων, ὃς μετὰ Σόλωνα Ἀθηναίοις ἦρξεν, che risaliva a Dropide, arconte ad Atene
dopo Solone. La causa allora dei suoi errori è, secondo Filostrato, una κακία φύσεως, una
malvagità connaturata. Elemento di ulteriore stranezza è, per Filostrato, il non essersi
assimilato a Socrate, ᾧ πλεῖστα δὴ συνεφιλοσόφησε σοφωτάτῳ τε καὶ δικαιοτάτῳ τῶν ἐφ᾽
ἑαυτοῦ δόξαντι, l’uomo ritenuto più saggio e più giusto di tutti, con il quale aveva
intrattenuto moltissime conversazioni filosofiche. Subito dopo ritorna il motivo della
Tessaglia e dei Tessali che, sebbene prima considerati potenziali corruttori, vengono qui
riabilitati. Neppur’essi infatti erano privi di una qualche forma di sapienza in quanto
ἐγοργίαζον, gorgizzavano. Vengono confrontate l’attività di Gorgia e quella di Crizia in
Tessaglia325 : se il primo aveva esercitato una certa influenza positiva sulle città piccole e
grandi, il secondo invece non aveva dato alcuna ἐπίδειξις, dimostrazione, della propria
sapienza, ma piuttosto aveva reso più oppressive le loro oligarchie dialogando con i signori
del posto (βαρυτέρας δ᾽ αὐτοῖς ἐποίει τὰς ὀλιγαρχίας διαλεγόμενος τοῖς ἐκεῖ δυνατοῖς).
Paradossale e sentenziosa la conclusione di Filostrato:

ὥστε ἐνθυμουμένῳ ταῦτα ριτίας ἂν εἴη Θετταλοὺς διεφθορὼς μᾶλλον ἢ ριτίαν


Θετταλοί.

Velocemente si accenna alla morte per mano di Trasibulo e di coloro che s’impegnarono a
ripristinare la democrazia. Alla fine del resoconto biografico Filostrato fa la seguente
considerazione, a suggellare il giudizio negativo:

δοκεῖ δ᾽ ἐνίοις ἀνὴρ ἀγαθὸς γενέσθαι παρὰ τὴν τελευτήν, ἐπειδὴ ἐνταφίῳ τῇ
τυραννίδι ἐχρήσατο: ἐμοὶ δὲ ἀποπεφάνθω μηδένα ἀνθρώπων καλῶς δὴ ἀποθανεῖν
ὑπὲρ ὧν οὐκ ὀρθῶς εἵλετο, δι᾽ ἅ μοι δοκεῖ καὶ ἡ σοφία τοῦ ἀνδρὸς καὶ τὰ
φροντίσματα ἧττον σπουδασθῆναι τοῖς Ἕλλησιν: εἰ γὰρ μὴ ὁμολογήσει ὁ λόγος τῷ
ἤθει, ἀλλοτρίᾳ τῇ γλώττῃ δόξομεν φθέγγεσθαι, ὥσπερ οἱ αὐλοί.

325
Per l’ammirazione dei Tessali nei confronti di Gorgia cf. Men 70 a-b; Phil. Ep. 73 = 84 A35 DK.
100
l giudizio negativo di Filostrato si pone in contrasto con un altro filone (δοκεῖ δ᾽ ἐνίοις) che
tende a considerare Crizia ἀνὴρ ἀγαθός in virtù della sua morte in battaglia. Nessun uomo,
sentenzia Filostrato, muore di una bella morte ὑπὲρ ὧν οὐκ ὀρθῶς εἵλετο, qualora scelga
delle cause non giuste. Questa, in ultima analisi, la ragione della damnatio: la mancanza di
corrispondenza tra il logos, la sua parola poetica, e l’ethos, la sua personalità. A ciò seguono
valutazioni sullo stile: τὴν δὲ ἰδέαν τοῦ λόγου (…). Il δε marca lo stacco netto,
l’opposizione, rispetto a ciò che precede e dà l’avvio al secondo blocco della testimonianza
di Filostrato. Crizia è sentenzioso e ricco di concetti, δογματίας ὁ ριτίας καὶ πολυγνώμων.
Riportiamo il passo:

τὴν δὲ ἰδέαν τοῦ λόγου δογματίας ὁ ριτίας καὶ πολυγνώμων σεμνολογῆσαί τε


ἱκανώτατος οὐ τὴν διθυραμβώδη σεμνολογίαν, οὐδὲ καταφεύγουσαν ἐς τὰ ἐκ
ποιητικῆς ὀνόματα, ἀλλ᾽ ἐκ τῶν κυριωτάτων συγκειμένην καὶ κατὰ φύσιν ἔχουσαν.
ὁρῶ τὸν ἄνδρα καὶ βραχυλογοῦντα ἱκανῶς καὶ δεινῶς καθαπτόμενον ἐν ἀπολογίας
ἤθει, ἀττικίζοντά τε οὐκ ἀκρατῶς, οὐδὲ ἐκφύλως - τὸ γὰρ ἀπειρόκαλον ἐν τῷ
ἀττικίζειν βάρβαρον - ἀλλ᾽ ὥσπερ ἀκτίνων αὐγαὶ τὰ Ἀττικὰ ὀνόματα διαφαίνεται τοῦ
λόγου. καὶ τὸ ἀσυνδέτως δὲ χωρίῳ προσβαλεῖν ριτίου ὥρα, καὶ τὸ παραδόξως μὲν
ἐνθυμηθῆναι, παραδόξως δ᾽ ἀπαγγεῖλαι ριτίου ἀγών, τὸ δὲ τοῦ λόγου πνεῦμα
ἐλλιπέστερον μέν, ἡδὺ δὲ καὶ λεῖον, ὥσπερ τοῦ Ζεφύρου ἡ αὔρα.

Con una sorprendente differenza di tono, qui si elogia la σεμνολογία, ossia il carattere
enfatico peculiare dello stile di Crizia. Si tratta di un’enfasi che nasce dalla scelta dei
termini più appropriati e che si ha naturalmente (κατὰ φύσιν ἔχουσαν). Ugualmente degni di
lode sono la brachilogia e l’ἀττικίζειν, che fa risplendere le sue parole nel discorso come
raggi di sole (ὥσπερ ἀκτίνων αὐγαὶ τὰ Ἀττικὰ ὀνόματα διαφαίνεται τοῦ λόγου). Finezza di
Crizia, ριτίου ὥρα, è poi l’uso della figura retorica dell’asindeto, suo sforzo il carattere
originale dell’invenzione e dell’esposizione letteraria. Il soffio del suo periodare è poi dolce
e scorrevole, ὥσπερ τοῦ Ζεφύρου ἡ αὔρα.
Il contrasto tra la prima e la seconda sezione emerge già da una prima lettura. La lode
dello stile, della σεμνολογία che nasce dalle scelta del termini più appropriati, la
padronanza dell’ἀττικίζειν e ancora il riconoscimento dell’originalità dell’invenzione
letteraria e dell’espressione sono tutti elementi che contrastano fortemente con la malvagità
connaturata del tiranno. Emerge un divario nella valutazione della persona di Crizia nella

101
sua globalità. La sua malvagità, la corruzione dei costumi e l’ingiustizia non vengono messi
in discussione, vengono anzi affermati con passione. Ugualmente enfatica è la lode dell’idea
della letteratura criziana, improntata ad equilibrio. La radicalità e ambiguità dei giudizi su
Crizia è riflesso dell’ambiguità della tradizione. All’interno di una tradizione che nasce già
problematica Filostrato tenta di coniugare, con uno sforzo notevole, filoni differenti
ricostruendo a posteriori un’immagine unitaria, ma il cui ethos non si accorda al logos. Si
tratta di uno sdoppiamento non fisico ma, si potrebbe dire, psicologico.

Se la parola non si accorda al carattere sembreremmo parlare, come flauti, una lingua che non è la
326
nostra .

Il passo sopra citato funge da cerniera tra le due differenti metà di Crizia (stando
all’interpretazione filostratea). Affermando ciò Filostrato non tiene conto del principio che
sta alla base della tradizione letteraria greca, che vuole la corrispondenza tra ethos e logos.
Si tratta della tradizione sulla mimesis letteraria che in Platone trova, ancor prima di
Aristotele, una sua teorizzazione 327 . L’immagine dei flauti, strumenti musicali passivi, che
suonano ἀλλοτρίᾳ τῇ γλώττῃ implica l’idea dello sdoppiamento interno alla personalità e
dunque una scissione tra ciò che si è realmente e ciò che si manifesta, ὥσπερ οἱ αὐλοί,
attraverso l’espressione letteraria. La parola poetica di Crizia diventerebbe secondo
Filostrato falsa manifestazione del carattere. Rinnegando l’identificazione ethos - logos
Filostrato dissocia Crizia dal principio della mimesis, base a sua volta del biografismo
interno all’Accademia328 . Se ciò fosse vero tutta la produzione letteraria di Crizia avrebbe
un carattere di finzione, artificioso. Impossibile sarebbe allora quel senso di naturalezza che
la lettura di Crizia, stando sempre a Filostrato, comunica. Ermogene 329 considera
caratteristica fondante della poetica di Crizia non solo la cura formale, la sentenziosità e la
grandezza dello stile, ma anche la tensione verso il pithanon e l’alethinon. È la dimensione
dell’autenticità che dona grandezza allo stile. Si potrebbe allora dire che ciò che rende lo
stile di Crizia degno di lode è la sua autenticità. Filostrato compie uno sforzo notevole,
tentando di conciliare due tradizioni. Nella prima sezione della testimonianza egli sembra

326
Per il contesto della citazione v. supra, p. precedente. Cf. inoltre Aesch. Contr.Ctes. 229; Plat. Lach. 188d
(accostamento psyche-ethos).
327
Cf. Halliwell 2005, 43-63.
328
In base a tale principio dall’opera letteraria era possibile desumere elementi di natura biografica, in quanto
l’arte è riflesso di sé. Sul biografismo di età ellenistica v. Erler - Schorn 2007.
329
Hermogenes de ideis B 401 25 Rabe = 88 A19 DK.. Una recente edizione critica è quella di Patillon 2012.
Sulla retorica di Ermogene di veda Patillon 2010. Sulla testimonianza di Ermogene in rapporto a Crizia v.
Centanni 1997, 94 (confronto tra lo stile di Crizia e quello di Gorgia).
102
seguire la tradizione inaugurata da Senofonte. Alla base delle riflessioni sull’educazione la
fonte sembra, invece, essere Platone330 , così come platonica è la tradizione che vuole Crizia
poeta331 .
Le ragioni di questa operazione vanno rintracciate nel contesto storico - culturale in
cui visse Filostrato (172-247 d.C.). Com’è noto, egli è un rappresentante della seconda
sofistica332 . Dalla sezione dedicata ad Erode Attico, interna alle Vite dei sofisti, Filostrato ci
informa che fu quest’ultimo nella prima metà del II sec d.C. a rivalutare l’opera e la figura
di Crizia. Nel descrivere lo stile di Erode Attico, Filostrato utilizza il verbo κριτιάζειν (VS II
1, XIV) che rinvia al γοργίαζειν della testimonianza relativa a Crizia 333. L’utilizzo di questo
verbo implica l’assunzione di Crizia quale paradigma, come si evince dalla seguente
considerazione:

προσέκειτο μὲν γὰρ πᾶσι τοῖς παλαιοῖς, τῷ δὲ ριτίᾳ καὶ προσετετήκει καὶ παρήγαγεν
αὐτὸν ἐς ἤθη Ἑλλήνων τέως ἀμελούμενον καὶ περιορώμενον. Phil. VS II 1, XIV = 88
A21 DK = 11 GP

Come viene sottolineato dal verbo προστήκομαι, Erode si sarebbe dedicato intensamente e
con passione ad un’operazione di riabilitazione della figura di Crizia e della sua attività
letteraria. È stato notato334 come da lì sia nata una vera e propria moda relativa a Crizia, che
assurge a paradigma dello stile attico. Questo implica da un lato l’accessibilità di alcune
opere integrali di Crizia al tempo di Erode Attico, dall’altro favorisce la conservazione di
frammenti di queste opere. Ma nel contesto di questo rinnovato e acceso interesse per
l’opera e lo stile di Crizia, la testimonianza di Filopono risulta la più spiazzante.

Se intenda il Crizia che fu dei Trenta e che frequentò Socrate, non è chiaro. Per alcuni infatti vi fu un
altro sofista, a cui, come sostiene Alessandro, vanno riferiti gli scritti superstiti: quello dei Trenta
invece non scrisse altro che le Costituzioni in versi. (Philop. De anima 89,8 = 88 A 22DK = 13 GP )

330
Ad es. la discendenza da Dropide e la vicinanza con Solone sono dati ricavabili in prima istanza daTim. 20
d.
331
A proposito v. Regali 2006, 65-88.
332
Sulla seconda sofistica si veda Anderson 1993. Su Filostrato Anderson 1986.
333
Per la somiglianza tra lo stile di Erode Attico e quello di Crizia v. Civiletti 2002, 528, n. 140, con annessa
bibliografia.
334
Centanni 1997, 90 ss. Non a caso gli autori che citano Crizia, come Sesto Empirico, Ateneo, Frinico,
Ermogene, Clemente Alessandrino, sono in qualche modo collegati ad Erode Attico e provengono da un’area
alessandrina. In particolare Ateneo, Frinico, Polluce provengono dalla colonia nilotica di Naucrati. Che
Frinico fosse anche un ammiratore di Crizia lo leggiamo da Fozio, Bibl. 101 b 9.
103
Filopono, attivo ad Alessandria nel VI secolo, riporta un’opinione risalente ad Alessandro di
Afrodisia, attivo nel II secolo, l’epoca di Filostrato e della seconda sofistica. Nel VII secolo
non si è più in grado di distinguere se il Crizia dei Trenta sia da identificare con il Crizia
sofista, ὠς Ἀλέξανδρος λέγει. Dunque Alessandro arriva a postulare l’esistenza di due
Crizia differenti, il tiranno, che avrebbe scritto solo le Costituzioni in versi, e il sofista, a cui
sarebbe da attribuire la restante parte del corpus che va sotto il nome di Crizia 335 . Se
l’ipotesi di Filopono - Alessandro appare estrema, tuttavia risulta giustificabile. Nel
momento in cui infatti, Erode solleva il velo scuro scoprendo la limpidezza dello stile di
Crizia e rendendo visibile a tutti le sue peculiarità, i retori del II secolo si trovarono davanti
a quella che si potrebbe definire la questione Crizia, una sorta di rompicapo che contiene
all’interno di uno stesso nome giudizi inconciliabili. Dinanzi ad un tale apparentemente
irrisolvibile problema si prendono direzioni differenti. C’è chi, come Alessandro, pensa di
risolvere la questione rendendo la dualità della tradizione dualità fisica e c’è chi, come
Filostrato, cerca un espediente, il rapporto ethos-logos, per ribadire l’unità della figura,
all’interno della dualità psicologica. Queste le ragioni dell’operazione di Filostrato.
L’ipotesi di una querelle è antica336 . In questa cornice Filostrato tenta di mettere insieme
tradizioni differenti confermando pertanto l’esistenza stessa di diverse tradizioni. Le spie di
una tradizione encomiastica su Crizia sono numerose, ma una, in particolare, non lascia
spazio ad equivoci. Dopo aver accennato alla morte di Crizia per mano di Trasibulo,
Filostrato afferma:

δοκεῖ δ᾽ ἐνίοις ἀνὴρ ἀγαθὸς γενέσθαι παρὰ τὴν τελευτήν, ἐπειδὴ ἐνταφίῳ τῇ τυραννίδι
ἐχρήσατο (…)
Ad alcuni, infatti, Crizia sembra un aner agathos per aver fatto della tirannide la sua tomba.

335
A proposito Bultrighini 1999, 254-257.
336
Platnauer 19652, 144 s. sostiene una frequentazione diretta di Filostrato e Alessandro di Afrodisia
all’interno del circolo di intellettuali riunitisi intorno a Giulia Domna. Platnauer menziona come appartenenti
al circolo Galeno, Diogene Laerzio, Ulpiano e afferma: the characteristics of this assembly are clearly
marked. To begin with we noticed the excess of erudition over purely literary gifts. Ben s’inserisce all’interno
di questi interessi la questione Crizia. Sebbene l’ipotesi sia suggestiva non ci sono prove sufficienti per
dimostrare la presenza di Alessandro di Afrodisia all’iterno del circolo. Bowersock (1969, 103-104) ha
dimostrato che le uniche testimonianze dell’esistenza del circolo sono quelle di Filostrato (Vit. Apoll. I 3) e di
Cassio Dione (75. 15, 6-7). Da queste testimonianze non si può dedurre alcuna informazione su chi
partecipasse effettivamente al circolo.
104
Bultrighini dimostra che il termine entaphion e il suo uso metaforico risalgono a
Simonide337. Qui si fa uso di un simbolismo condiviso che fa della morte in battaglia per
ideali una bella morte. All’interno delle testimonianze, si può trovare una traccia della stessa
tradizione in uno scolio alla contro Timarco di Eschine338 :

Anche questa è una prova del governo dei Trenta. Infatti dopo che Crizia, uno dei Trenta, morì,
eressero sul suo sepolcro Oligarchia che, con in mano una fiaccola, dà fuoco a Democrazia e incisero
queste parole:
questo è il sepolcro di uomini buoni, che il maledetto
demos degli ateniesi trattennero per qualche tempo dalla tracotanza (hybris).

Qui la metafora del sepolcro diventa effettivo mnema, luogo fisico in cui si onorava la
memoria di Crizia. Dibattuta è la questione della reale esistenza di un tale sepolcro 339 .
Prescindendo dalla reale esistenza o meno, ciò che conta qui sottolineare è la presenza e la
persistenza di una trazione nobilitante, che fa di Crizia un aner agathos, la cui memoria
arriva fino a Filostrato340 .
Dalla lettura di Filostrato e insieme dalla testimonianza dello scolio ad Eschine
emergono segnali forti del filone apologetico ed encomiastico dell’attività politico-letteraria
di Crizia, paradigma di coerenza. Lo scolio è anche spia dell’eredità che Crizia, morendo,
lascia. Un’eredità non solo ideologica, ma anche letteraria. L’immagine dell’Oligarchia che
dà fuoco alla Democrazia infatti, se da un lato esprime una chiara ed inequivocabile
posizione politica, dall’altro tradisce un particolare approccio con la tradizione che gli eredi
di Crizia, tra cui inseriamo Platone, hanno accolto. Il concetto di hybris viene qui associato
al demos341 , contrariamente alla maggior parte della tradizione che vuole il motivo della
hybris associato a monarchia e tirannia342 . La peculiarità che Crizia lascia in eredità sta nel
prendere modelli tradizionali, come la tradizione della fiaccola, simbolo della luminosità

337
Bultrighini 1999, 320 ss. La stessa espressione della tirannide come veste funebre la si trova in Isocrate a
proposito di Dionisio I, Archid. (6) 45. Alla tradizione isocratea si contrappone Plutarco (an seni res publ. ger.
1, Mor. 783 d-e).
338
Schol. Aeschin. I 39, Dilts, 22 = 88 A 13 DK. Anche in Lys. XXV, 19 compare la formula andres agathoi
in riferimento ai Trenta.
339
Musti-Pulcini 1996, 298 n. 30. In particolare: anche se il gruppo scultoreo non fosse mai stato realizzato,
resterebbe il riflesso comunque di una tradizione iconografica: la statua ipotizzata dallo scolio costituirebbe
un momento della tradizione iconografica e dell’immaginario relativo. A favore dell’esistenza fisica del
sepolcro Bultrighini 1999, 316 ss.
340
I primi a dare avvio a tale tradizione saranno stati verosimilmente coloro che al fianco di Crizia e Carmide
avevano combattuto a Munichia nel 403 a.C.: i secessionisti di Eleusi. Lys. XII 54 ss.; Xen. Hell. II 4 23-24 e
28; Arist. Ath. Pol. 38,1 e 39; Diod. XIV 33, 5-6 = GP 9; Iust. V 10, 4-7.
341
Come già in Erodoto (III 81, 21) aveva fatto Megabizo, sostenitore dell’Oligarchia. Il paragone è di Fisher
1992, 127 s.
342
Fisher 1992, 128. Per i diversi partiti nella politica greca si veda Bearzot-Landucci 2008.
105
democratica, e del sepolcro, simbolo di una morte degna di un aner agathos, cambiandoli di
segno o rinnovandoli con particolare originalità. Così l’Oligarchia s’impossessa della
simbologia connessa alla fiaccola 343 e la morte di un leader oligarchico diventa una morte
da onorare. Crizia allora diventa un modello, un paradeigma, da una duplice prospettiva: la
sua morte riflette e lascia in eredità non soltanto la sua ideologia politica, ma anche la sua
poetica. Il suo approccio innovativo con la tradizione, la capacità di reinventare moduli
stereotipati, caratterizzano, da quello che è possibile osservare dai frammenti rimasti, il suo
fare letteratura e questo stesso approccio viene ereditato da coloro che, lui vivente, lo
avevano appoggiato e ne avevano condiviso l’ideologia.

III.1.4 La voce del Carmide

Le peculiarità della letteratura di Crizia che spinsero gli esponenti della seconda
sofistica a farne un paradeigma sono di tipo stilistico, riflesso del gusto dell’epoca. Si
apprezza la purezza dello stile attico, la sentenziosità di matrice laconica e l’originalità344 .
Ermogene345 fa eco a Filostrato nel definire il suo stile σεμνός, solenne, e διηρμένος πρὸς
ὂγκον, che s’innalza all’enfasi. La precisione formale, quasi estrema, non arriva
all’esasperazione come nel caso di Antifonte346 , argomenta Ermogene. Chiarezza,
grandezza e precisione sono caratteristiche del suo periodare. L’elogio dello stile di
Ermogene può, nella sostanza, essere sovrapposto a quello di Filostrato. Ma rispetto a
Filostrato, Ermogene, come si è visto, sottolinea un’ulteriore caratteristica della produzione
criziana: la tendenza alla persuasione e al vero (ἔχει δὲ ... τὸ αλήθινόν τε καὶ πιθανόν).
L’accuratezza quasi esasperante unita alla chiarezza sono sostanzialmente funzionali al
raggiungimento del vero. La tensione verso l’αλήθινον è ciò che rende la poesia di Crizia
equilibrata, caratterizzata da un’enfasi e una precisione formale che non sfociano mai
nell’eccesso, conferendo all’insieme un’impressione di naturalezza tale da giustificare le
metafore filostratee come τοῦ Ζεφύρου ἡ αὔρα e ἀκτίνων αὐγαί. La tensione verso il vero
caratterizza la maschera di Crizia nel Timeo (20 d) e nel Crizia347 , mentre alcuni elementi
caratterizzanti la prassi letteraria di Crizia sottolineati da Ermogene e Filostrato sono

343
Musti - Pulcini 1996, 300: … quella fiaccola che Democrazia fieramente suole ostentare, nell’esecutore del
rilievo viene messa in mano ad Oligarchia per dare fuoco a Demokratia con l’incinerazione. Cf. Musti -
Pulcini 1996, 301 ss. per riferimento per riscontri vascolari e materiali di tale iconografia.
344
cf. Philosrat. Ep. 73 = 88 A17b DK; Cic. De orat. II 23, 93 = 88 A17a DK; Dionys. Lys. 2 = 88 A18 DK;
Phrynich. Praepar. Sophist. (Phot. Bibl. 158.) = 88 A20 DK.
345
supra, n. 329.
346
Per la vicinanza stilistica e ideologica di Crizia ad Antifonte v. infra, § III.2.2.
347
infra, § IV.1.1.
106
presenti nella caratterizzazione del personaggio all’interno del Carmide. Di seguito
isoleremo tre blocchi tematici, in cui sarà possibile apprezzare la corrispondenza tra le
descrizioni di Ermogene e Filostrato e il Crizia attore del Carmide:

1) ἐπιμέλεια. = Ch. 162 e


2) σεμνολογία, sentenziosità e gioco con la tradizione. = Ch. 164 d (γνῶθι σαυτόν)
3) esempi d’ἀττικίζειν: catalogo di Polluce = Ch. 163 b 5 - 8

1) Sia Ermogene che Filostrato nell’elogiare lo stile di Crizia mettono l’accento sulla
cura formale. Se Filostrato sottolinea come causa della σεμνολογία di Crizia la scelta
ottenuta naturalmente dei termini più appropriati (σεμνολογίαν … ἐκ τῶν κυριωτάτων
συγκειμένην καὶ κατὰ φύσιν ἔχουσαν). Ermogene parla di un’ἐπιμέλεια, e dunque di
un’accuratezza, estrema.

Preciso oltre misura (ἐπιμελὴς δὲ ὢν οὐ μετρίως), non utilizza solamente questa qualità, né arriva fino
alla nausea come Antifonte nella ricerca della precisione, ma quanto basta per raggiungere attraverso
ciò il vero (ὤστε μετέχειν καὶ κατὰ τοῡτο τοῡ αληθοῡς).

La precisione, come è stato già notato, sarebbe funzionale a Crizia al raggiungimento del
vero. Dunque non un’attenzione formale fine a se stessa, ma improntata alla verità e alla
naturalezza. Tale aspetto caratterizzante l’attività letteraria di Crizia è messo in risalto da
Socrate nel Carmide. In 162 d 7 ss. Crizia si sostituisce a Carmide come principale
interlocutore del dialogo 348 . Al centro della dialettica sta la massima del fare le proprie
cose, enunciata da Carmide come definizione di sophrosyne. Crizia è chiamato in causa
perché sua è in qualche modo la sentenza. Carmide non è in grado di dare una spiegazione
adeguata del contenuto suscitando così la collera di Crizia, allo stesso modo di un poeta nei
confronti di un cattivo interprete della sua opera. Dinanzi alla reazione di Crizia Socrate
esclama:

ἀλλ᾽, ὦ βέλτιστε, ἔφην ἐγώ, ριτία, τοῦτον μὲν οὐδὲν θαυμαστὸν ἀγνοεῖν τηλικοῦτον
ὄντα: σὲ δέ που εἰκὸς εἰδέναι καὶ ἡλικίας ἕνεκα καὶ ἐπιμελείας. (Ch. 162 e 1 - 2)

348
supra, § I.1.
107
È naturale che Crizia sappia rendere conto di ciò sia per l’età che per la cura dedicata a tali
cose. Da Stobeo (Stob. III 29, 1 = 88 B9 DK = 9 West) abbiamo una nota citazione di Crizia
che conferma la centralità dell’ἐπιμέλεια.

ἐκ μελέτης πλείους ἢ φύσεως ἀγαθοί


349
I buoni più numerosi per studio che per natura .

Probabilmente dietro l’ἐπιμἐλεια di Crizia, che emerge dalla bocca di Socrate come cifra
distintiva della sua attività, non si deve esclusivamente intendere, come comunemente viene
fatto, uno sforzo di tipo filosofico 350 . Riteniamo che qui Socrate si riferisca ad un esercizio
di tipo letterario, uno sforzo verso la precisione e l’adeguamento della parola al messaggio
da veicolare. Un messaggio tendente all’alethinon e al pithanon, come si ricava da
Ermogene. Questa ipotesi ci viene da indizi interni al Carmide. Per prima cosa la reazione di
Crizia è paragonata a quella di un poeta (162 d 1-2). Successivamente Crizia dà una prova
concreta dell’ἐπιμἐλεια che dedica nello studio della lingua. Infatti compie la distinzione tra
poiein e prattein – poiein ed ergazesthai sulla base del v. 311 degli Erga di Esiodo. Il fatto
che Socrate successivamente citi Prodico come padre della tecnica della sinonimica
utilizzata da Crizia, dà la conferma che il campo in cui si agisce è quello della critica
letteraria. Similmente nell’Alcibiade I (128 a ss.) si affronta il problema del to heautou
epimelesthai, del prendersi cura di sé stessi351. Dal momento che l’uomo non può essere
corpo, perché in questo modo non potrebbe prendersi cura di se stesso, e non è neanche
un’unità di corpo e anima, perché in questo modo una delle due parti non potrebbe
governare se stessa, allora si arriva alla conclusione che l’uomo è anima. Prendersi cura di
sé stessi allora significa prendersi cura di ciò che pertiene all’anima. Dal Carmide veniamo
a sapere che l’anima si cura con un rimedio ben preciso: con i bei discorsi (157 a). Il to
heautou epimelesthai viene a coincidere con l’incantesimo letterario.

349
Con questo frammento siamo verosimilmente nell’ambito del dibattito sofistico sull’insegnabilità della
virtù e sull’importanza della paideia, che in Platone trova una trattazione completa nel Protagora e nel
Menone. Su tale tema si veda Bonazzi 2010, 115-126; Trabattoni-Bonazzi 2007, 390 n.8; Iannucci 2002, 58-
59. Cf. Crizia 88 B40 DK se tu stesso ti esercitassi (askeseisas) ad avere un intelletto acuto non avresti
minimamente subito ingiustizia da loro in questo modo. Anche Antifonte fa dell’insegnabilità della virtù e
dell’educazione una bandiera della superiorità aristocratica cf. Antiphon. apud Stob. II 31, 39 = 87 B60 DK.
(v. infra, § III.2.2 rapporto Crizia Antifonte). L’importanza dello sforzo e dell’applicazione si trova anche in
Prodico, nell’Eracle al bivio (=DK 84 B 2). Per Crizia e Prodico v. infra § III.2.2. Cf. inoltre Protagoras apud
Anecd. Par. I 171, 31 de Hippomacho B 3 = 80 B3 DK; Democrit. Apud Stob. III 66 = 68 B 242 DK.
350
Witte 1970, 77 parla di Erfahrung in philosophischen Dingen o ancora più genericamente di Ausbildung.
351
supra, § II.2.1.
108
2) Quanto alla sentenziosità Filostrato utilizza l’aggettivo δογματίας, da intendersi nel
senso di sentenzioso. Tale termine risulta essere un hapax creato forse per definire l’attività
di Crizia in ciò che più la caratterizza. Il carattere sentenzioso ne fa scaturire una particolare
solennità, che Filostrato definisce σεμνολογία. Nel testo di Ermogene troviamo un puntuale
riscontro. Compare infatti l’aggettivo corrispondente σεμνός. Queste due caratteristiche,
sentenziosità e solennità, portano Ermogene ad usare la definizione σαφής τῷ μεγέθει, unita
all’aggettivo εὐκρινής: la precisione si accompagna alla solennità. Clemente Alessandrino
(Str. 115 = 88 B19 DK) riporta una citazione dal Piritoo, che si suole attribuire a Crizia,
anche se la questione è controversa352 . Tale citazione risulta un bell’esempio di σεμνολογία
criziana:

tu, che ti generi da solo, che mescoli


la natura del tutto nel turbine etereo,
intorno a te danzano senza posa la luce e la tenebrosa
notte cangiante, e la folla infinita di stelle. (trad. Bonazzi)

Più volte nei frammenti s’intuisce una solennità di fondo accompagnata da una forte
incisività, nonostante la natura frammentaria delle citazioni. Illuminante è la testimonianza
dello scolio al v. 264 dell’Ippolito di Euripide353 . Nell’opera euripidea in cui si trova la
maggiore occorrenza del termine sophrosyne354 , è la nutrice ad incarnare l’etica tradizionale
che si esprime attraverso le massime della tradizione sapienziale, come la nota μηδὲν ἄγαν.
Così commenta lo scoliasta:

È di uno dei sette saggi il detto nulla di troppo, che alcuni come Crizia attribuiscono a Chilone:“Era
spartano il sapiente Chilone, che disse nulla di troppo (μηδὲν ἄγαν): al kairos appartengono tutte le
cose belle (καιρῷ πάντα πρόσεστι καλά.)”.

La brevità della frase può essere ricondotta alla peculiarità criziana della brachilogia,
ricordata da Filostrato. La testimonianza dello scoliasta fornisce delle conferme alle
valutazioni dei due neosofisti. Ritroviamo l’incisività solenne di matrice spartana, terra di
Chilone. Ma non solo. Lo scolio ci permette di apprezzare come Crizia inserisse delle
innovazioni sulla scia della tradizione sapienziale. Alla massima del μηδὲν ἄγαν, infatti,

352
Il Piritoo farebbe parte di una tetralogia comprendente anche Tennes, Radamanto e Sisifo. Si tratta di fatto
di una tetralogia “creata” da Wilamowitz (1875, 161 e 166 ss). L’ipotesi è stata seguita da Snell e Diels -
Kranz. Vedi infra, § III.2.
353
= 88 B7 DK = 7 West.
354
supra, § II.2.1.
109
Crizia ne aggiunge una: καιρῷ πάντα πρόσεστι καλά. La profondità della sua educazione gli
consente di entrare nei moduli tradizionali per rinnovarli e renderli attuali, nella cornice di
un’etica aristocratica355 . Ma la conoscenza della tradizione legittima Crizia a sferrare delle
critiche, come mostra la testimonianza di Eliano (V.H., X 13 Dilts)356 : Crizia
rimprovererebbe ad Archiloco di aver diffuso una cattiva fama di sé, diffondendo la notizia
di essere figlio di una schiava. Ma la cosa più vergognosa, τὸ ἔτι τούτων αἴσχιον, sarebbe
l’aver abbandonato lo scudo. Crizia non esita a cambiare le regole, quando lo ritiene
necessario.
Uno stesso orientamento si può osservare nell’azione scenica della maschera di Crizia
nel Carmide. Le caratteristiche di semnologia e brachilogia si apprezzano nelle definizioni
di Crizia della sophrosyne, virtù tradizionale per eccellenza, legata al codice etico spartano .
La sentenza del ta heautou prattein, in particolare, per il suo carattere solenne e stringato,
suona come un enigma (Ch. 160 c 9; 162 a 10)357 . Ma la tradizione enigmatica per
eccellenza è quella oracolare. Non a caso osserviamo Crizia rifarsi a questa tradizione:

σχεδὸν γάρ τι ἔγωγε αὐτὸ τοῦτό φημι εἶναι σωφροσύνην, τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν, καὶ
συμφέρομαι τῷ ἐν Δελφοῖς ἀναθέντι τὸ τοιοῦτον γράμμα. (Ch. 164 d 3 – 6)

Crizia fa eco in questo modo ad una tradizione arcaica e solenne. Il legame è messo ben in
evidenza dall’uso del verbo συμφέρομαι. Dopo aver asserito il legame con la tradizione
oracolare, Crizia comincia ad interpretare l’iscrizione delfica. Secondo la sua
interpretazione, tale iscrizione andrebbe vista come un saluto del dio al posto del saluto
convenzionale χαῖρε, sii lieto. Infatti il dio, secondo Crizia, ritiene più giusto esortare al
sophronein, piuttosto che al χαῖρειν (164 d e 1-2). Allo stesso modo della massima del fare
le proprie cose, l’iscrizione delfica, voce del dio, è enigmatica, un indovinello:
αἰνιγματωδέστερον δὲ δή, ὡς μάντις, λέγει, (Ch. 164 e 6). Subito dopo Crizia afferma:

355
A proposito dell’etic aristocratica in Crizia v. Angiò 1989, 141-148; Angiò 1993, 187-195.
356
= 88 B44 DK = 32 GP : αἰτιᾶται ριτίας Ἀρχίλοχον ὅτι κάκιστα ἑαυτὸν εἶπεν. ῾εἰ γὰρ μή, φησὶν, ἐκεῖνος
τοιαύτην δόξαν ὑπὲρ ἑαυτοῦ ἐς τοὺς Ἕλληνας ἐξήνεγκεν, οὐκ ἂν ἐπυθόμεθα ἡμεῖς οὔτε ὅτι Ἐνιποῦς υἱὸς ἦν
τῆς δούλης, οὔθ᾽ ὅτι καταλιπὼν Πάρον διὰ πενίαν καὶ ἀπορίαν ἦλθεν ἐς Θάσον, οὔθ᾽ ὅτι ἐλθὼν τοῖς ἐνταῦθα
ἐχθρὸς ἐγένετο, οὔτε μὴν ὅτι ὁμοίως τοὺς φίλους καὶ τοὺς ἐχθροὺς κακῶς ἔλεγε. πρὸς δὲ τούτοισ᾽ ἦ δ᾽ ὃς
῾οὔτε ὅτι μοιχὸς ἦν ᾔδειμεν ἂν εἰ μὴ παρ᾽ αὐτοῦ μαθόντες, οὔτε ὅτι λάγνος καὶ ὑβριστής, καὶ τὸ ἔτι τούτων
αἴσχιον, ὅτι τὴν ἀσπίδα ἀπέβαλεν. οὐκ ἀγαθὸς ἄρα ἦν ὁ Ἀρχίλοχος μάρτυς ἑαυτῷ, τοιοῦτον κλέος ἀπολιπὼν
καὶ τοιαύτην ἑαυτῷ φήμην.᾿ ταῦτα οὐκ ἐγὼ Ἀρχίλοχον αἰτιῶμαι, ἀλλὰ ριτίας. Per Eliano l’edizione critica di
riferimento è quella di Dilts 1974. Per un’edizione con commento v. Wilson 1997.
357
supra, § II.2.1. Halliwell (2011a, 161 ss.) sottolinea il carattere oracolare-enigmatico della poesia, sulla cui
interpretazione deve vertere la ricerca filosofica. Nell’Apologia (21b) si trova lo stesso tentativo da parte di
Socrate di interpretare le parole enigmatiche del dio.
110
τὸ γὰρ Γνῶθι σαυτόν καὶ τὸ Σωφρόνει ἔστιν μὲν ταὐτόν, ὡς τὰ γράμματά φησιν καὶ
ἐγώ. (Ch. 165 a 1)

La sua autorità viene messa sullo stesso piano della tradizione. L’esser saggio e il conoscere
se stesso sono sinonimi, in base a quello che dicono le iscrizioni ed io stesso358 . Da qui ha
origine un excursus che critica coloro che hanno successivamente posto le altre iscrizioni,
come μηδὲν ἄγαν ed Ἐγγύη πάρα δ᾽ ἄτη, cauzione è pronta rovina. Loro infatti non
avevano compreso che il conosci te stesso non fosse un consiglio, ma un saluto del dio 359 .
Come giustamente nota Centrone360 , qui emerge la pretenziosità intellettuale di Crizia, che
non esita a mettersi sullo stesso livello della tradizione più antica criticandola ed applicando
nuove originali interpretazioni361 . In questa digressione apparentemente priva di senso si
coglie una caratteristica essenziale del profilo poetico di Crizia. Che la massima del μηδὲν
ἄγαν fosse stata oggetto di epimelieia e di studio da parte di Crizia lo troviamo testimoniato
dallo scolio all’Ippolito (88 B7 DK). Anche in questo caso abbiamo apprezzato l’operazione
di innovazione all’interno di una tradizione metabolizzata e rifunzionalizzata. Il fatto che
questa stessa massima compaia nel Carmide, insieme ad altre che risalgono alla stessa
tradizione sapienziale, ci spinge ad ipotizzare che l’excursus, sebbene non funzionale ai fini
della logica del dialogo, sia però funzionale alla comprensione dell’autenticità della
maschera di Crizia dipinta da Platone362 .

3) Alle radici della riscoperta di Crizia stanno dunque le sue peculiarità letterarie. Ma
ciò che negli ambienti eruditi alessandrini suscitò maggiore interesse fu lo sperimentalismo
della lingua, il gusto per hapax e neologismi, per quelli che Filostrato definirà atticismi
splendenti come raggi di sole. Crizia diventa paradeigma dell’attikizein363 . L’esempio forse

358
Iannucci 2002, § 2.5 parla di senso politico nel riferimento a Delfi. A proposito del legame di Crizia con
questa tradizione v. Gastaldi 1998b, 205-37.
359
Ch. 165 a 4 - 7: καὶ γὰρ οὗτοι συμβουλὴν ᾠήθησαν εἶναι τὸ Γνῶθι σαυτόν, ἀλλ᾽ οὐ τῶν εἰσιόντων ἕνεκεν
ὑπὸ τοῦ θεοῦ πρόσρησιν: εἶθ᾽ ἵνα δὴ καὶ σφεῖς μηδὲν ἧττον συμβουλὰς χρησίμους ἀναθεῖεν, ταῦτα γράψαντες
ἀνέθεσαν.
360
Centrone 1997, 264 n. 52.
361
Il carattere enigmatico e sentenzioso della poetica di Crizia, il cui riflesso è nel Carmide, se da un lato si
rifà ad una tale tradizione, dall’altro anticipa l per alcuni versi la poetica alessandrina, come nota la Centanni
1997, 107: (…) l’oscurità che deriva alla poesia criziana dalle metafore, dalle perifrasi, dalle ridondanze, più
che essere accostabile ad un modello compositivo arcaico, di ascendenza pindarica, anticipa piuttosto il gusto
alessandrino del grippo, l’espressione lessicale o metaforica ricercata e dotta, che solletica l’intelligenza
enigmistica del lettore e va decrittata come un enigma. A differenza dell’opinione della Centanni, qui si ritiene
che Crizia sia allo stesso tempo accostabile a modelli arcaici e innovatore all’interno di questi modelli.
362
Nel IV cap. si cercherà infatti di comprendere, alla luce delle riflessioni su Crizia poeta e politico, il senso
della maschera di Crizia nel Carmide.
363
Come si ricava anche da Dionis. Lys. 9, 11 ss. Us.-Raderm = 88 A18 DK = 28 GP ; Phrynich. Praepar.
Sophist. = 88 A20 DK. = 42 GP .
111
più emblematico è il catalogo dei nomi di mestieri tramandatoci da Polluce 364 , forse
appartenenti ad un’Athenaion politeia365 . L’elenco366 è all’interno di una serie di
testimonianze tramandateci dallo stesso autore relative ad espressioni particolari usate da
Crizia. Le testimonianze Β53-63 lasciano intuire uno schizzo della dinamica vita ateniese,
caratterizzata da vizi come l’avarizia (Β56) o l’eccesso del bere (Β59) a cui si contrappone
l’ambiente simposiale (B57). La seconda sezione delle testimonianze (88 B64-70 DK) ci
presenta un elenco di mestieri artigianali, come quello di incisore di anelli, δακτυλιογλύφοι
(66) o venditore di corde musicali, χορδοπώλης (67), fino ad arrivare al lungo elenco dei
venditori di bronzo, ferraioli, fruttivendoli etc., χαλκοπῶλαι, σιδηροπῶλαι, λαχανοπῶλαι
κτλ. (B70). Nonostante si tratti per lo più di singoli termini, dalla loro estrema precisione si
deduce facilmente che il tono del passo sia ironico. Siamo infatti in presenza di una critica
dei nuovi ricchi, contro cui l’aristocrazia manifestava il proprio sdegno 367 . Ciò che emerge
dai frammenti di Polluce è, per usare un’espressione di Bultrighini, una rappresentazione
nera e grottesca dell’Atene democratica periclea. Negli ultimi anni si è sottolineato come
l’innovazione linguistica di cui Crizia fa sfoggio non sia dovuta ad una mera manifestazione
della propria erudizione, ma piuttosto sia funzionale ad una campagna politica. Qui si vuole
sottolineare come lo sperimentalismo linguistico non debba essere visto come strumento per
la realizzazione di un disegno politico già prestabilito e a cui tutta l’opera letteraria tende.
Al contrario i procedimenti letterari di Crizia, il suo fare letteratura, hanno validità in sé in
quanto parte integrante dell’identità aristocratica di Crizia e della sua cerchia. In altre
parole, qui si sostiene che letteratura e politica non siano da porre su piani differenti, ma
piuttosto su uno stesso piano. Nelle operazioni di critica e produzione letteraria osservabili
nel Carmide sta già il raggiungimento di un obbiettivo: la creazione di un’identità. Se in un
secondo tempo la teoria diventerà prassi, ciò non significa che il fine ultimo dell’operazione
letteraria sia politico, ma che tra le due componenti esista una dialettica e un rapporto di
vicinanza tale da rendere privo di senso parlare di dicotomia o dualità.
In un luogo del Carmide è possibile rintracciare, all’interno dell’argomentazione di
Crizia, una sorta di catalogo molto più ridotto nei contenuti, ma possibile indizio per capirne
il contesto. Come è noto, dopo che Crizia prende la parola nel dialogo, sostituendosi a

364
Sofista originario di Naucrati, contemporaneo di Frinico e Filostrato, autore di un’opera lessicografica,
l’Onomasticon. Per l’Onomasticon di Polluce si veda recentemente Bearzot-Landucci-Zecchini 2007.
L’edizione critica di riferimento è ancora quella di Bethe 1900 (libri I-V); Bethe 1931 (Libri VI-X).
365
v. Iannucci 2002, 74; Avezzù 1991, 19.
366
= 88 B53-73 DK. Al DK faranno riferimento i numeri delle testimonianze di seguito riportate.
367
Bultrighini 1999, 88: il movente profondo di questo impegno criziano anche sul piano linguistico risiede
ancora nella condanna e nel rifiuto degli aspetti di consumismo collegati alla struttura socioeconomica
ateniese, e ancora in funzione della contrapposizione alla severa frugalità spartana.
112
Carmide (163 a), cerca di spiegare il senso del ta heautou prattein come sinonimo di
sophrosyne, applicando una distinzione tra prattein e poiein e poi tra ergazesthai e poiein.
L’ergon in base ad Esiodo non è una vergogna, al contrario del poiein, che indicherebbe
un’azione di tipo manuale. All’interno dell’ergazesthai non rientrano le attività degli
artigiani.

(…) οὐδέ γε τὸ ἐργάζεσθαι καὶ τὸ ποιεῖν. ἔμαθον γὰρ παρ᾽ Ἡσιόδου, ὃς ἔφη ἔργον δ᾽
οὐδὲν εἶναι ὄνειδος. οἴει οὖν αὐτόν, εἰ τὰ τοιαῦτα ἔργα ἐκάλει καὶ ἐργάζεσθαι καὶ
πράττειν, οἷα νυνδὴ σὺ ἔλεγες, οὐδενὶ ἂν ὄνειδος φάναι εἶναι σκυτοτομοῦντι ἢ
ταριχοπωλοῦντι ἢ ἐπ᾽ οἰκήματος καθημένῳ; οὐκ οἴεσθαί γε χρή (…) Ch. 163 b 3 - 8

All’interno dell’argomentazione volta a distinguere τὰ καλῶς τε καὶ ὠφελίμως ποιούμενα


ἔργα dalle ἔργα che costituiscono ὄνειδος, Crizia inserisce un piccolo elenco di mestieri, che
include il ciabattino, il pesciaiolo e colui che lavora in un bordello. Tale stringato elenco
ben si adatta a quello tramandatoci dall’Onimasticon di Polluce per due ragioni. La prima è
che il termine ταριχοπωλοῦντι ben corrisponde alla lista dei venditori di Polluce da un punto
di vista strutturale: ταριχοπώλης infatti è strutturalmente affine a χαλκοπῶλαι, σιδηροπῶλαι,
λαχανοπῶλαι κτλ., anche se non si trova in Polluce. Allo stesso modo dei nomi del catalogo
di Polluce, però, il termine è un hapax. La seconda ragione è di contesto. Ricostruendo il
contesto, Bultrighini parla correttamente di rappresentazione grottesca di Atene da parte di
un aristocratico. Ora, il passo del Carmide ci fornisce un potenziale contesto in cui l’elenco
potrebbe trovare posto. È il contesto di una critica letteraria finalizzata a porre delle
distinzioni tra l’identità aristocratica, opera bella e utile, e l’attività manuale del piccolo
ceto, al contrario fonte di vergogna. Ma quali sarebbero le attività non infamanti e al
contrario belle e utili? Le attività che Crizia esalta sono verosimilmente attività di tipo
intellettuale e letterario, di cui lui stesso dà una prova. Ciò che Crizia sembra condannare è
la settorializzazione del sapere, a cui contrappone un sapere tradizionale, quello degli
aristoi. In altre parole se l’attività popolare era settorializzata e priva di valore in sé, quella
degli aristoi è un attività superiore in virtù dell’unità del sapere che promulga 368 . Il Crizia
del Carmide è verosimilmente lo stesso Crizia intellettuale dei frammenti di Polluce, che
disprezza i nuovi ricchi e i nuovi mestieri, che si fa veicolo di un messaggio tendente alla
368
Ciò che Crizia disprezza e deride è il sapere specializzato e in questo senso si pone in linea con il Socrate
dei dialoghi Socratici, teso a ribadire l’unità della virtù. A dimostrare la centralità del tema il fatto che Socrate
nel Carmide ritornerà più volte, allusivamente, sul discorso relativo alla divisione delle competenze e
all’importanza di una settorializzazione del sapere per il buon funzionamento della società. Ad un Crizia
teorico, Platone contrappone un Socrate che cerca di innestare la teoria nella prassi. infra, § IV.2.3.
113
conoscenza di sé e fa della sophrosyne emblema dell’identità di classe. Il Crizia del
Carmide è intellettuale e letterato, prima che politico o tiranno. Non ci sono tracce infatti
nella sua caratterizzazione di una sua immediata volontà all’azione. Come si vedrà meglio
nel capitolo successivo, in cui si analizzerà lo scambio di battute tra Crizia e Socrate, è
Socrate che spinge il dialogo in una dimensione politica, mentre Crizia, al contrario, tenta di
dare all’elenchos una direzione volta all’interiorità. È Socrate che parla dell’utopia del buon
governo. È Socrate che parla dell’ophelia, l’utile che dalla sophrosyne deriva. La direzione
politica del dialogo non è causata da Crizia, ma da Socrate. Questo è un dato che bisogna
tenere presente nel momento in cui si legge il Carmide. La fama ambigua di Crizia continua
ad impedire l’osservazione limpida della sua messa in scena.
Dal confronto tra il Crizia del Carmide e alcune testimonianze su Crizia è emersa una
figura di intellettuale che non teme di criticare innovando. Un Crizia con solide basi, ma con
un particolare gusto del nuovo. Questa dialettica tra vecchio e nuovo è ciò che emerge dal
Crizia di Platone e contemporaneamente è ciò che Platone, forse più di ogni altra cosa,
eredita da Crizia. Al contrario di come sostiene Filostrato, che vuole l’educazione di alto
livello di Crizia vana e di nessuna utilità, il Crizia di Platone e dei frammenti è in grado di
mettere a frutto con straordinaria creatività tutto ciò che l’educazione gli ha consentito di
apprendere. Solo all’interno di questa dimensione dotta si sviluppa la cifra distintiva
dell’originalità, filo rosso che contraddistingue la multiforme attività letteraria di Crizia.

III.2 I frammenti e il Carmide: tracce di poetica

L’originalità della letteratura di Crizia si apprezza già a partire dall’osservazione della


varietà, la Vielseitigkeit per citare Nestle369, della sua produzione. Di seguito riteniamo utile
riportare in forma schematica le tracce della produzione letteraria di Crizia e, quando
possibile, il genere a cui appartiene370 . Subito dopo ci soffermeremo sul componimento in
esametri per Anacreonte (88 B1 DK) e, successivamente, sulla dialettica tra l’etica di Crizia,
desumibile dai frammenti, e quella di Antifonte e Prodico. Costante sarà lo sguardo al Crizia
del Carmide nel rapporto con l’autentica voce di Crizia.

369
Nestle 1949, 305.
370
Lo schema ripropone a grandi linee quello proposto da Diels-Kranz, con leggere modifiche.
114
FRAMMENTI POETICI

Esametri Ad Anacreonte 88 B1 DK = 8 GP
Elegie 88 B2 DK = 1 GP
Ad Alcibiade: 88 B4 DK371 = 4 West
88 B5 DK = 5 West
Costituzioni in versi Costituzione degli Spartani:
88 B6 DK = 4 GP = 6 West
B7 DK = 5 GP
B8 DK = 6 GP
B9 DK = 7 GP
372
Drammi Tennes 88B 11-12 DK
Radamanto373 88B 13-15 DK
Piritoo374 88B 15a-24 DK
Sisifo dramma satiresco375 88 B25 DK
Drammi incerti 88 B26-27-28-29
FRAMMENTI IN PROSA

Costituzione degli Ateniesi 88 B53-73 (?) DK


Costituzione dei Tessali 88 B 31 DK
Costituzione degli Spartani 88 B32-37 DK
Definizioni 88 B39 DK
Conversazioni 88 B40-41a DK
376
Sulla natura dell’amore o sulle altre virtù 88 B 42 DK
Frammenti da scritti in prosa dal titolo incerto 88 B45-73 DK
Frammenti spuri o dubbi 88 B74-75 DK

371
v. Nestle 1948 253–320, 259–261; Lapini 1995, 1-14; 111-130.
372
L’ipotesi di attribuzione dei drammi spuri di Euripide a Crizia risale a Wilamowitz (1959 5, 161 e 166 ss) il
quale “crea” una tetralogia, attribuendo a Crizia i drammi spuri di Euripide. Alcune affinità tra Crizia e
Euripide sono messe in rilievo da Angiò 1993, 185-193. Sulle tragedie di Crizia si veda Centanni 1997, 187 ss.
373
Manca la trama, anche se c’è chi ha creduto di poterla ricostruire. A proposito si veda Trabattoni Bonazzi
2007, 393 n. 15.
374
Su due frammenti papiracei attribuibili al Piritoo di Crizia v. Carlini 2012, 183-194.
375
Per la questione aperta dell’attribuzione ad Euripide o a Crizia del frammento del Sisifo v. Centanni 1997,
144 ss.
376
Nestle 1949, 293 ipotizza che la definizione di sophrosyne come ta heautou prattein possa appartenere a
quest’opera, a differenza di Wilamowitz che l’associava alle Definizioni o alle Conversazioni.
115
III.2.1 Anacreonte

Ciò che unisce questo prospetto policromatico è la capacità di giocare con i moduli
tradizionali. Ciò si nota già a partire dal componimento esametrico per Anacreonte (B1 DK
= 8 GP ), tramandatoci da Ateneo (XIII 600 d), di cui riportiamo i primi quattro versi:

τὸν δὲ γυναικείων μελέων πλέξαντα πότ᾽ ᾠδὰς


ἡδὺν Ἀνακρείοντα Τέως εἰς Ἑλλάδ᾽ ἀνῆγεν,
συμποσίων ἐρέθισμα, γυναικῶν ἠπερόπευμα,
αὐλῶν ἀντίπαλον, φιλοβάρβιτον, ἡδύν, ἄλυπον.

Tuozzo377 ha notato il peso che il frammento esametrico in onore di Anacreonte ha per il


Carmide. In Carmide 157 e Socrate elogia la casata di Crizia e del giovane in quanto a sua
volta elogiata da Solone, Anacreonte e molti altri.

ἥ τε γὰρ πατρῴα ὑμῖν οἰκία, ἡ ριτίου τοῦ Δρωπίδου, καὶ ὑπὸ Ἀνακρέοντος καὶ ὑπὸ
Σόλωνος καὶ ὑπ᾽ ἄλλων πολλῶν ποιητῶν, ὡς διαφέρουσα κάλλει τε καὶ ἀρετῇ καὶ τῇ
ἄλλῃ λεγομένῃ εὐδαιμονίᾳ (Ch. 157 e 5 - a 1)

Dunque compare il nome di Anacreonte in riferimento alla famiglia di Crizia. Un aneddoto


riportato da uno scolio ad Eschilo tramanda infatti che Anacreonte soggiornò in Attica per
amore di Crizia (ossia Dropide, avo paterno di Crizia)378 . Come si vedrà meglio nel
capitolo successivo, il motivo della poesia svolge un ruolo fondamentale nella prima parte
del dialogo, prima dell’avvio dell’elenchos379 . Il riferimento di Socrate a Solone e
Anacreonte non è casuale in questa sezione, come non casuali sono i riferimenti reiterati alla
tradizione poetica. In particolare si mette l’accento sulla natura encomiastica dei
componimenti dei poeti arcaici (ἐγκεκωμιασμένη παραδέδοται ἡμῖν). Nel frammento 88 B1
DK = 8 GP Crizia risponde all’encomio con l’encomio. Tale operazione presenta alcune
peculiarità. Da un lato il frammento si pone in linea con la tradizione su Anacreonte,
συμποσίων ἐρέθισμα, γυναικῶν ἠπερόπευμα, αὐλῶν ἀντίπαλον, φιλοβάρβιτον, ἡδύν,

377
Tuozzo 2011, 75 ss.
378
Cf. Schol. Aesch. Prom. 130 = 88 A2 DK. Iannucci (2011, 85) considera la testimonianza dello scolio un
pettegolezzo autoschediastico.
379
infra, § IV.2.1.
116
ἄλυπον. Se i temi sono quelli simposiali-elegiaci380 , il metro è quello dell’epica. Un tale
sconvolgente capovolgimento dell’orizzonte di attesa potrebbe indurre a pensare ad un
carattere ironico dell’elogio. In più, il confronto tra il frammento B6 DK = 4 GP in cui si
elogia il simposio spartano caratterizzato da misura nel bere autocontrollo e sophrosyne, le
virtù condivise ed espresse da Carmide, potrebbe fare pensare che l’elogio non debba essere
preso seriamente. Tra il carattere equilibrato del simposio spartano e lo schizzo veloce del
simposio di matrice ionica ci sono delle evidenti contraddizioni. Negli esametri per
Anacreonte si fa riferimento ai brindisi, ai cori di donne e al gioco del cottabo (vv. 5-10).
Nell’elegia per Sparta tali brindisi di derivazione lidia (v.20) vengono condannati, così
come la presenza di donne che rendono il simposio una oikotribes dapane. A tutto ciò si
contrappone il costume spartano basato sull’equilibrio. La misura nel bere comporta una
φιλοφροσύνην γλῶσσαν μέτριόν τε γέλωτα (v.17). Compaiono in questa sede le
personificazioni di virtù cardine dell’etica spartana come la Sophrosyne e l’Eusebeia. Il
modello di quest’elegia è quella di Teognide (West 467-496) , come dimostrano diverse
corrispondenze lessicali381 . Paradigma opposto e dunque negativo sarebbe il simposio di
derivazione orientale, connesso alla figura di Anacreonte382 . Il poeta di Teo è definito tra
l’altro αὐλῶν ἀντίπαλον, φιλοβάρβιτον, in linea con la tradizione che vuole Anacreonte
inventore dello strumento383 . Un frammento degli encomi di Pindaro ci mostra come
l’effetto del βάρβιτον fosse quello di rendere il thumos amblys, l’animo debole.

Βαρβι[τί]ξαι θυμὸν αμβλὺν ὄντα καὶ φωνὰν ἐν οἴνω (Pind. 124 d Snell-Maelher)

380
È stato notato (Angiò 1993, 188) come Crizia non fosse il solo a rifarsi a tematiche simposiali nel panorama
dell’Atene del V sec. Figure come Ione di Chio ed Eveno di Paro avevano scritto versi elegiaci con
destinazione simposiale. L’approccio di Crizia risulta straordinariamente innovativo. All’interno delle
tematiche simposiali egli inserisce l’attualità, risalendo in questo alle radici del genere. Nel farlo si permette di
sovvertire le regole interne ai generi. In questo modi Anacreonte viene lodato all’interno di una composizione
esametrica e non, come ci si aspetterebbe, elegiaca. L’elegia viene recuperata per Alcibiade, ma in un modo
che rompe ancora l’orizzonte di attesa.
381
Nell’Elegia West 467 ss. si invita alla moderazione nel simposio. Chi oltrepassa la misura del bere non è
più padrone né della propria lingua né della propria mente, parla in maniera avventata (μυθεῑται δ’ἀπάλαμνα
v. 481), dicendo cose turpi per i sobri, non si vergogna di fare ciò quando è ubriaco. Se prima era σώφρων,
ora è instupidito. Si noti in particolare come la mancanza di aidos sia qui associata alla perdita di sophrosyne.
Associazione che ritorna nel Carmide. Su B 6 = 4 GP si veda Iannucci 2002, 81 ss. Il filolaconismo è uno dei
tanti fili che unisce Platone a Crizia e Socrate. Sull’influenza della cultura spartana in Platone v. Schofield
2006, 35 ss. il focus è sulla Repubblica, ma si fanno accenni al Crizia. Per l’influsso di Sparta in Platone si
veda anche De Brasi 2013. Per un recente studio monografico su Teognide v. Selle 2008.
382
Similmente Iannucci (2011, 80) parla di ritratto parodico di Anacreonte. Lear (2008, 47-76) contrappone
Anacreonte e Teognide, esserdo il primo più lascivo e privo di controllo.
383
v. Brancacci 2009, 334. In età ellenistica lo storico Neante di Cizico ne attribuirà infatti l’invenzione ad
Anacreonte (Ath. IV 175 ss.). Sulla funzione del barbiton nell’Atene classica v. Maas - Snyder 1989, 113-
128.
117
Per Pindaro (125 Snell –Maelher) l’inventore dello strumento è Terpandro di Lesbo, che
trasse ispirazione dai banchetti dei Lidi.
L’ambiente a cui fa riferimento Pindaro a proposito del βάρβιτον è l’ambiente del simposio
descritto da Crizia in B1 = 8 GP e criticato dallo stesso in B6 = 4 GP (si parla dei Lidi)
come paradigma negativo da contrapporre a quello spartano. Queste corrispondenze
potrebbero in un primo momento far pensare ad un gioco ironico in B1. Di per sé l’ironia
in Crizia risulterebbe compatibile con la sua prassi letteraria. Nell’elegia dedicata ad
Alcibiade B4 DK = 2 GP² , ad esempio, Crizia non esita a rompere l’orizzonte di attesa. Dal
momento che il nome di Alcibiade non è compatibile con la struttura metrica elegiaca,
Crizia modifica il metro adottando quello giambico. In questo modo afferma di aver
recuperato una correttezza metrica proprio nel momento in cui si è permesso di violare le
leggi di genere. Nel caso di dell’elegia B4 DK = 2 GP² l’innovazione è doppia: da un lato si
recupera la dimensione attuale dell’elegia simposiale, dall’altro si alterano consapevolmente
le leggi di genere384 . Diverse le testimonianze di un’operazione di critica e d’innovazione
della tradizione metrica e musicale attribuita a Crizia 385 . Ritornando agli esametri per
Anacreonte, ci potrebbero essere degli indizi (uso del metro, motivo dell’elogio) a favore di
un falso encomio. Qui si sostiene il contrario. Riteniamo che ci siano elementi sufficienti
per dimostrare la serietà del frammento in esametri. Un primo suggerimento viene dallo
stesso Anacreonte. Il simposio da lui cantato, nonostante la raffinatezza che lo
contraddistingue, non è privo di misura. Dallo stesso Anacreonte infatti si legge:

No, non così, non questo


fragore di schiamazzi!
Non cerchiamo di fare una bevuta scitica!
Sorseggiamo, fra dolci
386
musiche d’inni (ἀλλὰ καλοῖς ὑποπίνοντες ἐν ὔμνοις)
(trad. F.M. Pontani)

La chiave di volta risulta la doppia caratterizzazione di Anacreonte da parte di Crizia come


αὐλῶν ἀντίπαλον, φιλοβάρβιτον. La presenza di questo verso inserisce Crizia all’interno del
dibattito sulla musica in corso nel V secolo 387 . Parallelamente ad una settorializzazione dei

384
Sul frammenti alcibiadei di Crizia v. supra, n. 373.
385
cf. 88 B3 DK (metrum dactylicum hexametrum inventum primitus ab Orpheo Critias asserit); 88 B 56 DK.
386
cf. 33 Gentili (vv. 7-11) = 11 a-b PMG. Anacreonte è infatti inserito nella tradizione del buon simposio
insieme a Teognide (479-498 West). Per la tradizione simposiale v. Bielohlawek 1983, 95-116.
387
Cf. Brancacci 2009, 332-335; Mosconi 2008, 11-70.
118
mestieri si assiste ad una specializzazione del settore musicale. In altre parole, la musica,
prima appannaggio esclusivo della classe aristocratica, diventa adesso accessibile alle altre
classi. Quello che era il dilettantismo aristocratico viene superato dal virtuosismo della
nuova musica388 . Il carattere semplice ed equilibrato della musica antica viene sostituito da
quello multitonale e virtuosistico della musica contemporanea 389 . L’aristocrazia perdeva il
suo primato nell’ambito musicale. La reazione condivisa e diffusa è allora quella di uno
sdegno nei confronti della nuova musica, a cui si contrappone la semplicità e la solennità di
quella tradizionale, performata nel simposio paradigmatico come cornice dell’elemento
poetico. Un riflesso di questo dibattito lo si trova nel Discorso giusto delle Nuvole di
Aristofane (Nub. v. 961 ss.). La musica tradizionale, supporto al logos, è legata a termini
quali eutaxia e kosmos. La terminologia è la stessa presente nel Carmide. Nel nostro dialogo
infatti si può ampiamente apprezzare la ricorrenza di termini che rinviano alla sfera
dell’ordine e dalla tranquillità: la sfera della sophrosyne390 . La musica del popolo è, al
contrario, quella che eccita gli animi. Lo strumento che contribuisce a far sorgere le passioni
è proprio l’aulos, legato alla sfera dionisiaca 391 . Platone nel III della Repubblica (399d)
escluderà esplicitamente lo strumento dalla paideia dello stato ideale. Un passo tratto dalla
Politica di Aristotele chiarisce il rapporto ambiguo degli Ateniesi con l’aulos:

(…) a Sparta il corego suonava egli stesso l’aulos al coro e così anche ad Atene s’introdusse quest’uso
sicché la maggior parte dei liberi si dedicò a quest’arte (…) ma più tardi fu respinta quando se ne ebbe
esperienza e si fu in grado di giudicare meglio quel che promuove la virtù e quel che non la promuove.
(Aristot. H7. 1341 a 32-9).

In un primo momento l’apprendimento dello strumento diventa parte integrante della


paideia. Questa affermazione giustifica la testimonianza di Cameleonte secondo cui Crizia,
tra i più illustri Ateniesi, era in grado di suonare l’aulos392 . Successivamente se ne
compresero i rischi e da parte degli aristocratici. In questa cornice va inquadrata l’allusione
di Crizia ad Anacreonte αὐλῶν ἀντίπαλον. Al centro dell’attività di Crizia sta infatti la
parola poetica, il logos e il mythos dei poeti, che legittima la superiorità politica e allo stesso
modo il cambiamento, l’innovazione. L’aulos frena la parola poetica, vero senso del
simposio. Anacreonte, come Alceo e Saffo legato ad uno strumento a corde, permette, a

388
Sulla Nuova Musica si veda Csapo 2004, 207 ss.
389
Nota è la critica che fa Platone a questo tipo di musica (Csapo 2004, 236). La semplicità della musica
simposiale è parte integrante dello stile di vita e dell’identità aristocratica.
390
Cf. Ps.Senofonte, Ath. Pol. 5.
391
Sull’aulos v. Provenza 2009, 280-301; sull’aulos nel Simposio di Platone v. Lynch 2013, 219 ss.
392
Athen. IV 184 d = 88 A14 DK.
119
livello potenziale, l’espressione poetica. Abbiamo accennato prima a B6 = 4 GP²,
frammento che descrive come paradigmatico il simposio di Sparta. I giovani spartani
bevono per condurre tutte le menti ad una speranza allegra (vv.15-16) e ἔς τε
φιλοφροσύνην γλῶσσαν μέτριόν τε γέλωτα, verso una lingua orientata alla saggezza e
verso un sorriso equilibrato. La parola non diventa oscura e confusa, non degenera nel
vaneggiamento. Platone riflette questo processo di allontanamento dall’aulos a favore della
priorità del logos. In Symp. (176 a 5 - e 10) si affronta la questione del buon simposio,
caratterizzato da misura nel bere. Agatone sottolinea la dannosità di un bere smisurato e
Erissimaco propone si seguire il suo consiglio:

ἐπειδὴ τοίνυν, φάναι τὸν Ἐρυξίμαχον, τοῦτο μὲν δέδοκται, πίνειν ὅσον ἂν ἕκαστος
βούληται, ἐπάναγκες δὲ μηδὲν εἶναι, τὸ μετὰ τοῦτο εἰσηγοῦμαι τὴν μὲν ἄρτι
εἰσελθοῦσαν αὐλητρίδα χαίρειν ἐᾶν, αὐλοῦσαν ἑαυτῇ ἢ ἂν βούληται ταῖς γυναιξὶ ταῖς
ἔνδον, καὶ δι᾽ οἵων λόγων, εἰ βούλεσθε, ἐθέλω ὑμῖν εἰσηγήσασθαι. (Symp. 176 e)

Erissimaco propone di lasciar andare le suonatrici di flauto per lasciare spazio ai logoi (ἡμᾶς
δὲ διὰ λόγων ἀλλήλοις συνεῖναι τὸ τήμερον) e dunque ad uno spazio di rappresentazione e
fruizione della parola poetica. Similmente nel Protagora, alla fine dell’interpretazione del
carme simonideo, Socrate esorta Protagora a tornare al discorso precedente. È la gente non
educata che sceglie la ἀλλοτρίαν φωνὴν τὴν τῶν αὐλῶν. Mentre dove si vedranno uomini
καλοὶ κἀγαθοί καὶ πεπαιδευμένοι, non si vedranno suonatrici di flauto (347 d) e subito dopo
incalza:

αὐτοὶ δ᾽ ἑαυτοῖς σύνεισιν δι᾽ ἑαυτῶν, ἐν τοῖς ἑαυτῶν λόγοις πεῖραν ἀλλήλων
λαμβάνοντες καὶ διδόντες (Prot. 348 a 1 - 2)393

Il paradigma in atto di quello che per Platone è il simposio ideale lo si trova nel Timeo.
Nella cornice del Timeo infatti si ribadisce il carattere straordinario di uomini quali Timeo e
Crizia. Le osservazioni che vengono fatte si collegano al simposio paradigmatico, cornice
della rappresentazione letteraria, di una letteratura che non sia passiva riproduzione del
passato, ma che attraverso mnemosyne recuperi il passato dando voce al presente. La
maschera di Crizia presenta delle caratteristiche in linea con quelle desumibili dai
frammenti e dal Carmide. Crizia compare come narratore di un poema in esametri

393
Regali 2012, 26.
120
sull’Atene arcaica il cui racconto deriva da Solone, ma che Solone non scrisse 394 . Il legame
con Solone e con la tradizione letteraria, la veste di poeta con l’obiettivo di reinventare
Atene sulla base dei costumi di un tempo e del modello spartano, sono tutti elementi che
troviamo nel Crizia del Carmide e in ciò che ci resta dei frammenti. Egli non lascia
passivamente parlare i poeti, ma ne reinventa la tradizione, legandosi sempre all’attualità ma
mantenendo una fitta trama di allusioni.
Dal confronto con i frammenti comincia ad emergere una figura coerente di
intellettuale e poeta che getta luce sulla dialettica interna al Carmide e sulla sezione iniziale
che ne precede l’elenchos. Il quadro si compone nel segno della coerenza e questo avviene
dopo essere passati attraverso la maschera scomoda e fittizia del tiranno. In questo modo
l’operazione di unificazione di due tradizioni, il simposio ionico e quello spartano, non
dovrebbe più apparire contraddittoria. Il Crizia autentico, che si riflette nel Crizia di Platone,
ha come cuore della sua attività Atene: si guarda al passato ideale, incarnato da figure quali
Solone e Anacreonte, per disegnare attraverso la letteratura, il futuro. La creazione della
costituzione Ateniese, rielaborazione del passato, legittima Crizia a guardare, confrontare,
criticare tradizioni differenti395 . Atene non è Sparta. La funzione paradigmatica di Sparta, il
carattere equilibrato del suo simposio che lascia spazio ad una lingua che ama il sapere, può
così conciliarsi con la raffinatezza del simposio ionico, a patto che esso sia improntato alla
sophrosyne396 .

III.2.2 Echi della sofistica nella produzione di Crizia

Nonostante il giudizio di Filostrato, Crizia non fu mai un sofista397 . I rapporti con i


sofisti furono tuttavia strettissimi398 . Per quanto riguarda il Crizia del Carmide, alcuni
interpreti moderni hanno visto dei riflessi di un edonismo o di una volontà di potere di
matrice sofistica. Diversamente Tuozzo sostiene, a ragione:

394
Sulla cornice del Timeo e sul ruolo di Crizia si vedano i contributi di Erler 1998, 5-28; Arrighetti 2006 in
particolare 194 ss.
395
Non sorprende più allora la testimonianza di Ateneo (Ath. 4 184 d = 88 A14 DK) che riporta la notizia di
un Crizia, insieme ad altri Ateniesi, in grado di suonare l’aulos.
396
Analogamente Platone non esita ad elogiare la stessa tradizione di derivazione ionica (si pensi alla lode di
Saffo e Anacreonte in Pheadr. 235 c) pur mantenendo una palese ammirazione per gli ideali laconici per cui
De Brasi 2013.
397
Per Crizia e la sofistica Patzer 1974, 3-19; Momigliano 1976, 466-467; Jordović 2008, 34; Scholten 2003,
228. Brancacci 2009, 325: (…) il tiranno, che pure non può essere considerato un sofista nel senso proprio,
(...) è vicino alla sofistica per il suo vivo interesse per questioni non solo politiche, ma anche etnografiche,
storico-letterarie e poetiche (…). Per una panoramica sulla sofistica v. Classen 1976.
398
Le fonti ricordano in particolare l’influenza di Gorgia (Filostrato, A 17b) e il legame con Antifonte.
121
I propose … not to presuppose that Plato’s Critias is a proponent either of sophistic hedonism or of
sophistic will-to-power. Critias was not a sophist; he was a poet, thinker, and social theorist. The
fragments that we possess of his work reveal something of his social, cultural, and political views 399 .

La presenza di correnti interpretative che vedono in Crizia tracce di volontà di potenza


risente ancora del pregiudizio di derivazione senofontea. Al contrario, una lettura priva di
questo preconcetto mostra chiaramente l’aspetto intellettuale di Crizia nel Carmide e il suo
legame con la poesia. Soltanto in questo senso si può parlare di legami con la sofistica,
intesa come panorama culturale dell’epoca. Dalla lettura del Carmide si può desumere una
particolare vicinanza con due esponenti del movimento della sofistica:

a) Antifonte400 ;
b) Prodico e le nuove tecniche di critica letteraria da lui introdotte.

a) Antifonte

Sembrerebbe oramai condivisa l’ipotesi di chi identifica Antifonte sofista e Antifonte


retore, anche se la questione è ancora aperta401 . Se le due personalità, come si propende a
credere, sono da identificare, ne viene fuori una figura di intellettuale a tutto tondo, che
sembra presentare notevoli punti di contatto con il Crizia dei frammenti e con quello del
Carmide. Per quanto riguarda il suo profilo biografico, la sua attività prevalente sembra
essere stata di tipo intellettuale, almeno fino al 411 a.C. quando ebbe un ruolo di primo
piano nell’organizzazione del complotto oligarchico. Noto il giudizio di Tucidide:

Tuc. VIII 68, 1 ὁ μέντοι ἅπαν τὸ πρᾶγμα ξυνθεὶς ὅτῳ τρόπῳ κατέστη ἐς τοῦτο καὶ ἐκ
πλείστου ἐπιμεληθεὶς Ἀντιφῶν ἦν ἀνὴρ Ἀθηναίων τῶν καθ᾽ ἑαυτὸν ἀρετῇ τε οὐδενὸς
ὕστερος καὶ κράτιστος ἐνθυμηθῆναι γενόμενος καὶ ἃ γνοίη εἰπεῖν, καὶ ἐς μὲν δῆμον οὐ
παριὼν οὐδ᾽ ἐς ἄλλον ἀγῶνα ἑκούσιος οὐδένα, ἀλλ᾽ ὑπόπτως τῷ πλήθει διὰ δόξαν
δεινότητος διακείμενος, τοὺς μέντοι ἀγωνιζομένους καὶ ἐν δικαστηρίῳ καὶ ἐν δήμῳ
πλεῖστα εἷς ἀνήρ, ὅστις ξυμβουλεύσαιτό τι, δυνάμενος ὠφελεῖν.

399
Tuozzo 2011, 70. Tra gli interpreti moderni che vedono nel Crizia del Carmide un sofista Haebroucq 1997.
400
Antifonte e Crizia vengono esplicitamente accostati in: 88 A 16 DK (Ps.Plutarco); A18 (Ermogene sulla
solennità); B40 (Galeno).
401
Gagarin 2002, 38-52; una sintesi in Bonazzi 2010, 156-158. Pendrick (2002, 1-26) propone gli argomenti
dei separatisti.
122
Il tentativo del colpo di stato fallì anche per il mancato appoggio di Sparta. Antifonte,
nonostante la bellezza del discorso che tenne in sua difesa, (ἄριστα τῶν μέχρι ἐμοῦ ὑπὲρ
αὐτῶν τούτων αἰτιαθείς, ὡς ξυγκατέστησε) fu condannato a morte.
Già la vicenda esistenziale di Crizia sembra riecheggiare quella di Antifonte, per
orientamento politico, per un’attività di elaborazione teorica e per la conversione da una
situazione di apragmosyne ad una volta all’azione. Ma le connessioni si estendono.
Percorrendo le linee essenziali del suo pensiero, Antifonte appare strenuo oppositore del
nomos di matrice democratica, teorico dell’etica aristocratica dell’homonoia, la concordia,
titolo di una delle sue opere principali 402 . La riflessione di Antifonte parte dalla
constatazione dell’uguaglianza biologica di tutti gli esseri umani. Da ciò deriva non
un’uguaglianza di diritti, ma uno stato di guerra di tutti contro tutti, che vanifica l’azione del
nomos. In aperta opposizione alla fiducia democratica nel nomos, Antifonte ritiene che
l’unica soluzione sia focalizzarsi sulla propria individualità. L’io diventa il centro della sua
riflessione etica. Ovviamente qui non si parla dell’io della massa, ma dell’io degli agathoi
affinato attraverso l’educazione. A proposito Bultrighini 403 :

Come nella Verità, così anche nella Concordia, l’oggetto privilegiato della riflessione di Antifonte
sembra essere l’individuo particolare, che è altra cosa rispetto al cittadino del mondo della polis o agli
essere umani in astratto di cui troppo spesso parlano i filosofi.

Il ripiegamento verso l’interiorità, verso il perfezionamento della propria gnome in


opposizione alla massa inconsapevole è, in sintesi, il cuore dell’Homonoia. Un concetto
tradizionale assume così una forte coloritura politica 404 e diventa funzionale al disegno di
un’identità di classe. Quest’operazione anticipa per certi versi quella di Crizia, al punto da
rendere legittimo pensare ad una vera e propria continuità e ad un substrato antifonteo nella
sua attività intellettuale e poetica. Bonazzi ne suggerisce il confronto:

La testimonianza di Crizia, l’oligarca per eccellenza che a più riprese insiste sulla virtù spartana della
disciplina e del controllo di sé, costituisce un parallelo interessante e troppo spesso trascurato: ma
come nel caso di Antifonte, il problema non è più quello di ribadire un’anacronistica superiorità di
natura per pochi, ma di ripensare ai fondamenti di un’ideologia oligarchica capace di esercitare
un’efficace opposizione antidemocratica405 .

402
Insieme all’Aletheia. La coerenza tra le sue opere principali è ben dimostrata da Bonazzi 2006, 117-139.
403
Bultrighini 2010, 124.
404
Moulakis 1973.
405
Bonazzi 2006, 137.
123
Non potendo in questa sede trattare l’argomento in maniera esaustiva, abbiamo identificato
alcuni nuclei tematici desumibili dai frammenti di Antifonte e da quelli di Crizia. Si noterà
come in alcuni casi l’azione di Crizia nel Carmide si ponga in linea con l’etica di Antifonte.

Antifonte Crizia

A)Giudizio sullo stile. 87 A2 DK (Ermogene) 88A6 DK = 4 GP


solennità. 87 B 44a DK (Filostrato)
B)Arte del non soffrire 87 A 6 DK 88 B 1 DK = 8 GP (v.4)
Ch. 157 a
C)Gnome; phronesis 87 B1; B2; B3 DK 88 B39 (conoscono gli uomini
abituati ad esser sani nell’intelletto);
40; B 21 (dal Piritoo. La fortuna è
alleata a chi ben pensa); B28
(terribile quando chi non ha senno
sembra saggio)
D) sophrosyne come 87 A44c; 87 B58-59 DK 88B 22 DK
conoscenza di sé e degli
altri.

E)Interpretazione oracoli 87B79 DK 88 B7 DK

A) Ermogene fa seguire alla sezione dedicata ad Antifonte quella dedicata a Crizia,


sottolineandone l’affinità stilistica. Troviamo una solennità e una sentenziosità tali da
rendere la sua scrittura asaphes, oscura. Ma Antifonte, a differenza di Crizia, manca di
autenticità. Il carattere sentenzioso dell’Homonoia antifontea è sottolineato anche da
Filostrato insieme agli onomata poietika. La parola poetica fa scaturire sentenze di tipo
filosofico. Dell’affinità stilistica tra Crizia e Antifonte si erano accorti anche gli antichi.
Precedentemente abbiamo visto come il carattere solenne delle definizioni di Crizia nel
Carmide sia riflesso della solennità autentica della sua produzione letteraria 406 .

B) Una testimonianza dello Ps.-Plutarco (Vit. X orat. 1) riferisce dell’interesse


poetico di Antifonte, il quale avrebbe composto anche tragedie, e aggiunge:

406
supra, § III.1.4.
124
(…) mentre si dedicava alla poesia, compose anche un’Arte del non soffrire (τέχνην ὰλυπίας), una
terapia come quelle che i medici prescrivono ai malati. Allestito un locale nei pressi dell’agorà di
Corinto, proclamò pubblicamente di poter curare con i discorsi chi provava dolore e, apprese le cause,
consolava chi soffriva (…)

Nel Carmide, come si ricorderà, Crizia propone a Socrate di attrarre Carmide con un piccolo
trucco: fargli credere che Socrate sia in possesso del pharmakon per curare il mal di testa di
cui il giovane soffre (Ch. 155 b). Socrate decide di stare al gioco e fa credere a Carmide di
essere in possesso del farmaco, la cui somministrazione richiede, in aggiunta, un
incantesimo (155 e 5-8)407 . Più avanti Socrate riporta gli insegnamenti di Zalmossi. Il re dei
Traci sostiene che l’anima si cura con certi incantesimi e questi incantesimi sono i bei
discorsi (Ch. 157 a). Socrate sembrerebbe qui alludere all’opera di Antifonte, anche se il
significato da attribuire al potere curativo dei discorsi va ben oltre l’allusione 408 .
Anche in Crizia si ritrova il concetto di alypia. Nel componimento esametrico per
Anacreonte il poeta viene lodato per essere, come abbiamo visto, amante della lira, ma
anche ἡδύν, ἄλυπον, dolce, privo di affanni (v. 4). L’Angiò ha notato la ripresa da parte di
Crizia dell’ideale dell’alypia, sulla quale teorizzava Antifonte409 . Nonostante il carattere
aneddotico del passo dello Ps.Plutarco si può dedurre l’importanza del logos per Antifonte.
Il concetto di alypia rientra nella sfera dei valori legati alla sophrosyne e al buon simposio.
In Crizia l’alypia si oppone alla sofferenza che l’abbandono ai piaceri comporta410 .

C) La sorprendente affinità dei frammenti connessi alla gnome è stata recentemente


sottolineata da Bonazzi411 . La conoscenza di sé diventa caratteristica del sophron
aristocratico e ne legittima la superiorità. Già Galeno accostava due frammenti di Antifonte
e Crizia relativi alla gnome:

Crizia 88 B40 Antifonte 87 B1


Se ti esercitassi ad avere un intelletto acuto non … come anche Antifonte nel I libro della Verità,
avresti minimamente subιto ingiustizia da loro. quando dice “conoscendo queste cose saprai che non
Spessissimo in questo libro delle conversazioni e nel esiste nulla di singolo secondo esso [il logos?] né

407
sul valore dell’incantesimo si parlerà in seguitο (infra, § IV.2.1).
408
infra, cap. IV.
409
Angiò 1993, 192.
410
Cf. 88 B6 DK = 4 GP vv. 16-17: αἱ γάρ ὑπὲρ τὸ μέτρον κυλίκων προπόσεις παραχρῆμα / τέρψασαι
λυποῦσ᾽ εἰς τὸν ἅπαντα χρόνον.
411
Bonazzi 2006, 117-39.
125
secondo divide l’intelletto dalle sensazioni come delle cose che con la vista (opsei) vede chi vede più
anche Antifonte (…) lontano, né delle cose che con la mente (gnome)
conosce chi conosce più a fondo. (Trad. M. Bonazzi)

Il punto di contatto tra le due citazioni sta secondo Galeno in un’operazione di divisione e
contrapposizione tra la gnome e le aistheseis, l’intelletto e le sensazioni. Il processo di
diairesis richiama il noto metodo di Prodico della diairesis ton onomaton, utilizzato da
Crizia per operazioni di critica letteraria. Per quanto riguarda invece il rapporto tra la gnome
e le sensazioni un riflesso di tale dibattito si può trovare ancora una volta nel Carmide. Nel
tentativo di definire la sophrosyne Crizia, in linea con Antifonte, mette in primo piano
l’individuo, collegando la sfera della sophrosyne a quella della gnome attraverso
l’interpretazione dell’oracolo delfico gnothi seauton412 . La terza definizione è ancora
rivolta all’interiorità e fa della sophrosyne una scienza di se stessa e delle altre scienze (166
c). Questa definizione introduce il problema della riflessività dell’episteme in questione413 .
Socrate partendo dalla definizione di Crizia della sophrosyne come scienza di se stessa e
delle altre scienze applica questa stessa definizione in altri campi, en allois (167 c 5)
dimostrandone l’impossibilità. In altre parole Socrate connette la sfera dell’episteme in
questione con quella delle sensazioni (opsis, akoe, aistheseis) e delle affezioni (desiderio,
volontà, amore, paura) fino ad arrivare alla doxa, la più vicina alla gnome nella climax che
dalle sensazioni porta all’episteme, ma sempre in qualche modo connessa al mondo esterno.
In tutti questi casi è impossibile che ci sia una sensazione che sia sensazione di se stessa e
delle altre sensazioni. L’attegiamento di Crizia in questa sezione della dialettica è di
sostanziale passività. Crizia non è in grado di operare delle distinzioni tra sensazioni-
affezioni e sophrosyne, da cui l’aporia (169 a). La passività di Crizia è tanto più soprendente
quanto più si considera la testimonianza di Galeno: all’interno delle Conversazioni Crizia
avrebbe operato delle distinzioni tra sensazioni e facoltà dell’intelletto. Sempre Galeno
riporta un passo di Crizia in cui si comprende la centralità della gnome, organo della
conoscenza, in opposizione alle sensazioni414 . Non ci sono ragioni per dubitare che Crizia si
fosse realmente occupato di temi del genere. Nella rappresentazione di Crizia nel Carmide

412
Antifonte è conosciuto per le sue attività di interpretazione dei sogni secondo tecniche affini
all’interpretazione degli oracoli. v. infra, punto E.
413
Si veda punto D per la questione dei riflessivi, ma anche supra, § I.I; infra, § IV.2.3.
414
Anche qui Nestle 1949,291 sottolinea la dipendenza da Antifonte: Wir werden wohl kaum fehlgehen, wenn
wir als Quelle seiner erkenntnistheoretischen Äußerungen aber den Sophisten Antiphon annehmen.
126
però egli non possiede la capacità di operare queste distinzioni il che porta Socrate ad
affermare:

μεγάλου δή τινος, ὦ φίλε, ἀνδρὸς δεῖ, ὅστις τοῦτο κατὰ πάντων ἱκανῶς διαιρήσεται,
πότερον οὐδὲν τῶν ὄντων τὴν αὑτοῦ δύναμιν αὐτὸ πρὸς ἑαυτὸ πέφυκεν ἔχειν [πλὴν
ἐπιστήμης], ἀλλὰ πρὸς ἄλλο, ἢ τὰ μέν, τὰ δ᾽ οὔ. Ch. 169 a 1-5.

Solo un megalos aner sarebbe capace secondo Socrate operare le adeguate distinzioni.
L’aporia di Socrate porta Crizia in aporia (169 c). Alla base dell’impasse l’incapacità di
Crizia di distinguere (dielesthai) ciò che Socrate gli chiede.

ἅτε οὖν εὐδοκιμῶν ἑκάστοτε, ᾐσχύνετο τοὺς παρόντας, καὶ οὔτε συγχωρῆσαί μοι
ἤθελεν ἀδύνατος εἶναι διελέσθαι ἃ προυκαλούμην αὐτόν, ἔλεγέν τε οὐδὲν σαφές,
ἐπικαλύπτων τὴν ἀπορίαν. Ch. 169 c 6 - d 1

L’unica soluzione per mascherare la sua incompetenza in materia è balbettare qualcosa di


οὐδὲν σαφές, ἐπικαλύπτων τὴν ἀπορίαν. A questo punto bisogna chiedersi: siamo in
presenza di una pungente ironia socratica volta a smascherare l’ignoranza di Crizia in
questioni che, alla luce della testimonianza di Galeno, si presupponeva fossero di sua
competenza? La questione dell’aporia di Crizia in effetti ne svela il limite, come vedremo
successivamente415 . L’allusione alla diairesis tra gnome e aisthesis da parte di Socrate
conferma la vicinanza tra gli argomenti trattati nel Carmide e le tracce della produzione di
Crizia. La pluralità degli indizi va nel segno di una notevole verosimiglianza della finzione
scenica del dialogo. Socrate adegua le tematiche scelte all’orizzonte dell’interlocutore che
gli sta di fronte.
Un esempio ulteriore della centralità della gnome in Crizia, eredità di Antifonte, e
delle corrispondenze tra temi criziani e azione del Carmide ci viene dai resti delle tragedie
di Crizia416 . In particolare soffermiamoci su un frammento (88 B28 DK) tramandatoci da
Stobeo (III 23, 1) e aus unbestimmten Dramen:

δεινὸν δ΄ὄταν τις μὴ φρονῶν δοκῇ φρονεῑν


terribile quando chi non ha senno sembra saggio

415
infra, § IV.2.
416
v. supra, 25 punto C.
127
Trattandosi di un frammento di provenienza incerta qualsiasi considerazione può risultare
estrema e di carattere speculativo. Con cautela si può avanzare un parallelo con il Carmide.
Nella sezione della I confutazione di Socrate alla definizione della sophrosyne come il fare
le proprie cose, Socrate porta la conversazione sulla consapevolezza di agire saggiamente
da parte di chi compie un’azione saggia. In altre parole, si tratta della questione della
consapevolezza, da parte di chi è saggio, di essere saggio.

τόδε γε μέντοι, ἦν δ᾽ ἐγώ, θαυμάζω, εἰ σωφρονοῦντας ἀνθρώπους ἡγῇ σὺ ἀγνοεῖν ὅτι


σωφρονοῦσιν. (Ch.164 a 2-3)

Se si guarda al breve frammento di Crizia, si vede come i termini siano invertiti rispetto al
Carmide. Nel frammento viene condannata la falsa presunzione o meglio apparenza del
saggio, mentre nel Carmide si discute della mancata consapevolezza di chi è saggio, ma non
lo sa. La questione per Crizia è impossibile, perché, come dirà subito dopo, prerogativa del
sophron è la conoscenza di sé stessi (164 c 7 ss.). Interessante notare che qui la reazione di
Crizia è netta e sentita, al punto che egli dà la sua disposizione a ritrattare qualcosa detta in
precedenza piuttosto che concedere mai che un uomo che non conosce se stesso sia saggio.
(… μᾶλλον ἤ ποτε συγχωρήσαιμ᾽ ἂν ἀγνοοῦντα αὐτὸν ἑαυτὸν ἄνθρωπον σωφρονεῖν, 164 d
2-3). La radicalità di quest’affermazione fa eco nella sostanza a quel δεινόν del frammento
B28. Nonostante sia impossibile affermare che qui ci sia un’allusione diretta di Platone alla
tragedia di Crizia a cui appartiene il frammento, tuttavia è interessante notare che il verso
portatoci da Stobeo tocchi una delle tematiche cruciali del dialogo: quella della
consapevolezza di sapere da parte di chi sa e di non sapere da parte di chi non sa, tematica
ugualmente legata al Socrate dell’Apologia e dei dialoghi socratici. Le provocazioni di
Socrate assumono uno spessore maggiore se si considera che anche Crizia si era occupato di
tematiche del genere.

D) Nel II capitolo si è discusso del concetto tradizionale di sophrosyne come controllo


delle proprie pulsioni e dunque come enkrateia417 . Tale concetto torna in Platone nel IV
della Repubblica, ma abbiamo osservato come tracce di questa visione siano presenti già nel
Carmide, anche se più nascoste ed in un contesto profondamente differente. Se nella
Repubblica la sophrosyne s’identifica con il fare le proprie cose inteso come controllo di sé
e consapevolezza delle proprie competenze, nel Carmide il tema del limite del proprio agire,

417
supra, § II.2.1
128
sia nel senso del controllo delle pulsioni, sia nel senso del limite delle proprie competenze,
viene lasciato ad uno stato di problematicità e sospensione, uno stato aporetico. Tuttavia la
direzione della dialettica lascia intuire come questi concetti fossero familiari ed
estremamente vicini a Crizia. Ora, è verosimile ipotizzare che anche in queste riflessioni
abbia giocato un ruolo la morale dell’Homonoia di Antifonte, sintetizzata dal frammento 87
B58 DK:

Nessuno potrebbe giudicare più rettamente la saggezza (sophrosyne) altrui di chi si corazza rispetto
ai piaceri immediati del desiderio ed è capace di dominare e vincere se stesso. Chi è pronto a dare
gratificazione immediata al proprio desiderio, vuole il peggio invece del meglio

In questo frammento si toccano i temi principali del nostro dialogo. Si discute di ciò che
legittima qualcuno a giudicare la sophrosyne degli altri. Si discute di cosa rende il saggio
differente e superiore rispetto al comune cittadino. Ne chiarisce il senso e la coloritura
politica Bonazzi (2006, 136,137):

La concordia si configura allora come la capacità di prendersi cura di se stessi e degli altri, moderandone le
pulsioni violente ed irrazionali. (…) ovviamente una simile tesi si rivolge potenzialmente a tutti gli uomini, ma non
è difficile comprendere che il concetto potesse essere sfruttato dalla parte oligarchica, come un potente strumento
di critica contro la presunta libertà democratica (…) in opposizione a questa sfrenatezza si ergono i moderati, i
sapienti gli intelligenti di Antifonte, coloro che non hanno bisogno delle leggi per governare se stessi e gli altri.

Nel Carmide Crizia definisce la sophrosyne come la sola tra le scienze ad essere scienza di
se stessa e delle altre scienze (166 c 1-2; e 5-6). Se si dà per scontata l’uguaglianza sophron
= sophrosyne e contemporaneamente si guarda al frammento di Antifonte, la complessa
questione dei riflessivi comincia ad apparire meno ostica. La conoscenza di sé abilita
l’individuo a giudicare la sophrosyne altrui. Ma il saggio è colui che sa dominare e vincere
se stesso. Questa peculiarità lo abilità a giudicare gli altri. In altre parole, la sua sophrosyne
riguarda se stesso, nella misura in cui egli è capace di conoscersi e dominarsi, e gli altri,
nella misura in cui egli è capace di giudicare (krinein) negli altri la presenza o meno della
virtù. Un’eco alle parole di Antifonte la troviamo nel Socrate del Carmide:

ὁ ἄρα σώφρων μόνος αὐτός τε ἑαυτὸν γνώσεται καὶ οἷός τε ἔσται ἐξετάσαι τί τε
τυγχάνει εἰδὼς καὶ τί μή, καὶ τοὺς ἄλλους ὡσαύτως δυνατὸς ἔσται ἐπισκοπεῖν τί τις
οἶδεν καὶ οἴεται, εἴπερ οἶδεν, καὶ τί αὖ οἴεται μὲν εἰδέναι, οἶδεν δ᾽ οὔ, τῶν δὲ ἄλλων
οὐδείς (Ch. 167 a 1-5)

129
Qui si ritrova il saggio dipinto come colui che conosce se stesso (αὐτός ἑαυτὸν γνώσεται) e,
in virtù di questa conoscenza, conosce e giudica la conoscenza degli altri, di ciò che sanno e
di ciò che non sanno. Nella caratterizzazione del σώφρων manca però il motivo antifonteo
del dominio si sé, da affiancare alla conoscenza. A partire da questa definizione s’introduce
il catalogo delle sensazioni-affezioni che sono sensazioni di se stesse e delle altre sensazioni
(167 b ss.)418 . In apertura della sezione dei riflessivi, inoltre, troviamo l’invocazione la
terza al salvatore, spia di un ragionamento decisivo 419 . Questa sezione è decisiva perché
conduce all’aporia di Crizia, svolta nella dinamica dialogica. Crizia è incapace, come si è
visto, di operare le opportune distinzioni tra la sfera della sophrosyne, episteme
caratterizzato da riflessività, e le sensazioni-affezioni che non possiedono questa peculiarità.
Utilizzando le parole di Antifonte, Crizia non è in grado di giudicare rettamente la
sophrosyne. Qualcosa manca. E Antifonte ci svela cosa: la capacità di dominare se stesso.
Crizia manca dell’antifonteo dominio di sé. La sua mancanza di sophrosyne trova un
segnale esterno nella sua mancanza di controllo. Se si ripercorre il dialogo si nota come
Crizia, pur spingendo la conversazione in una dimensione interiore, non parlerà mai di
controllo si sé, ma di conoscenza di sé. Torneremo sulla dialettica interna al testo nel
capitolo successivo 420 . Per il momento notiamo come il merito di Crizia stia nel mettere in
primo piano l’importanza dell’individuo, sulla scia di Antifonte. Ma per il Crizia del
Carmide la conoscenza di sé non coincide automaticamente con il controllo di sé. Si può
apprezzare la matrice antifontea del suo ragionamento, ma il controllo manca. E non manca
soltanto nelle definizioni e dunque nella sostanza delle argomentazioni, manca nella
caratterizzazione del personaggio, nella sua azione scenica. Crizia non è capace di contenere
la sua ira verso Carmide, accusato di una cattiva interpretazione letteraria del verso (169 d
1-2), ed è incapace di riconoscere dinanzi a se stesso e agli altri il limite del suo sapere (169
c 3 – d 1 ).

E) Tra le attività che caratterizzarono la personalità di Antifonte c’è quella di


interprete dei sogni. Sulla natura di questa attività illumina un passo tratto dal de divinatione
di Cicerone (I 51 116):

hic magna quaedam exoritur neque ea naturalis, sed artificiosa somniorum Antiphontis interpretatio
eodemque modo et oraclorum et vaticinationum. Sunt enim explanatores, ut grammatici poetarum.

418
A proposito del catalogo v. supra punto C.
419
supra, § I.1
420
infra, § IV.2. Indizi interni alla dielettica mostrano il limite di Crizia e forniscono elementi essenziali per la
sua caratterizzazione.
130
Il passo di Cicerone ci chiarisce la natura dell’interpretazione dei sogni di Antifonte. Essa ha
lo stesso carattere dell’interpretazione degli oracoli e dei vaticini. L’attività interpretativa è
nella sostanza affine a quella della critica letteraria, ut grammatici poetarum. Quest’analogia
consente di accostare l’attività d’interpretazione letteraria di Crizia a quella di Antifonte.
Abbiamo avuto modo di notare le modalità d’interpretazione dell’oracolo di Delfi nel
Carmide421 e parallelamente le tecniche per l’interpretazione del ta heautou prattein,
definito da Socrate un enigma422 e dunque dalla natura affine a quella di un oracolo o di un
sogno. Negli stessi frammenti è presente il riflesso di un’attività di critica nel confronti della
tradizione oracolare423 . Le modalità di interpretazione dell’oracolo di Delfi sono le stesse
utilizzate per interpretare la massima del fare le proprie cose. Tali attività si possono
ricondurre a quelle di critica letteraria. Ora, Cicerone accosta l’attività di interpretazione dei
sogni di Antifonte, anch’essi per natura enigmatici, a quella utilizzata dai grammatici per
l’interpretazione delle poesie. L’interpretazione di Antifonte coincide, allora, stando a
Cicerone, nell natura nelle modalità e negli strumenti utilizzati, a quella compiuta da Crizia.
L’attività interpretativa rientra all’interno di un vasto progetto di revisione della tradizione
le cui fondamenta, sia come intenti, sia come modalità di azione, si possono ritracciare
nell’opera letteraria di Antifonte, retore e sofista, intellettuale e poeta, prima che politico,
sulle cui orme crediamo si ponga il giovane Crizia.

b) Prodico

Il legame di Crizia con Prodico è strettamente connesso all’operazione di critica


letteraria. L’allusione a Prodico compare nel Carmide, a seguito dell’interpretazione della
massima del to ta heautou prattein attraverso il v. 311 degli Erga di Esiodo (Ch. 163 d)424 :
ἔργον δ᾽ οὐδὲν ὄνειδος. Crizia compie delle distinzioni tra prattein e poiein, poiein ed
ergazesthai425 . Il campo semantico del prattein viene accostato a quello dell’ergazesthai. Il

421
supra, § III.1.4.
422
Ch. 161 c 9; 162 a 10.
423
supra, § III.1.4.
424
L’operazione di critica letteraria presenta delle affinità con l’interpretazione del carme Simonideo nel
Protagora, per cui v. supra, 14 n. 30. All’inizio dell’operazione di critica letteraria nel Protagora è presente,
significativamente, l’elogio di Sparta (De Brasi 2013, 73). Suscita dei dubbi l’ipotesi di Mayhew 2011, 144-
145, che scorge in questo passo una indiretta critica di Platone a Prodico. Il verso 311 degli Erga ha un valore
aggiunto, in quanto utilizzato da Socrate nel discorso in sua difesa, come si legge da ciò che rimane
dell’Accusa contro Socrate di Policrate. A proposito Graziosi 2010, 120 ss.
425
Poco convincente la tesi di Brennan 2012, 240-50, il quale sostiene che attraverso la diairesis tra prattein e
poiein Crizia cada in contraddizione.
131
poiema, il prodotto che deriva dall’azione del poiein, può essere fonte di vergogna, ma mai
l’ergon.

(…) ἀλλὰ καὶ ἐκεῖνος οἶμαι ποίησιν πράξεως καὶ ἐργασίας ἄλλο ἐνόμιζεν, καὶ ποίημα
μὲν γίγνεσθαι ὄνειδος ἐνίοτε, ὅταν μὴ μετὰ τοῦ καλοῦ γίγνηται, ἔργον δὲ οὐδέποτε
οὐδὲν ὄνειδος: τὰ γὰρ καλῶς τε καὶ ὠφελίμως ποιούμενα ἔργα ἐκάλει, καὶ ἐργασίας τε
καὶ πράξεις τὰς τοιαύτας ποιήσεις. φάναι δέ γε χρὴ καὶ οἰκεῖα μόνα τὰ τοιαῦτα
ἡγεῖσθαι αὐτόν, τὰ δὲ βλαβερὰ πάντα ἀλλότρια: ὥστε καὶ Ἡσίοδον χρὴ οἴεσθαι καὶ
ἄλλον ὅστις φρόνιμος τὸν τὰ αὑτοῦ πράττοντα τοῦτον σώφρονα καλεῖν. (Ch. 163 b 8 -
c 8)

Socrate risponde affermando di aver ascoltato migliaia di volte Prodico περὶ ὀνομάτων
διαιροῦντος426 ed esorta poi Crizia ad imporre il nome che vuole, a patto di far capire a cosa
si riferisca427 .
Il gioco lessicale di Crizia, il passaggio dal prattein all’ergazesthai, tradisce
un’elaborazione ben più profonda di ciò che può sembrare in superficie e al contempo svela
una vicinanza con Prodico che va al di là della mera acquisizione della tecnica della
diairesis ton anomaton. L’ergon risulta un concetto chiave: esso compare a più riprese
all’interno dell’apologo di Eracle al bivio di Prodico428 insieme al motivo del fare le proprie
cose. Nell’apologo si racconta che Eracle, trovandosi nella fase di passaggio dall’infanzia
all’età adulta, sedeva in un posto tranquillo, incerto su quale strada prendere: quella della
virtù o quella del vizio. Allora gli si palesarono due donne, la prima distinta nell’aspetto e di
nobile origine, bella nella naturalezza del colorito, nell’aidos nello sguardo, nella
sophrosyne nel portamento, con una veste bianca 429 , l’altra imbellettata, truccata in viso e
vestita in maniera provocante. Siamo in presenza delle raffigurazioni di Arete e Kakia.
Quest’ultima cerca di conquistare Eracle con un discorso sui piaceri del momento, quelli
conquistati facilmente e senza fatica, pesando piuttosto sulla fatica degli altri, per il
godimento costante. Chiamata Felicità dagli amici, Vizio dai detrattori (Xen. Mem. II.1, 26).

426
Cf. per Prodico e il metodo dell’ortotes ton onomaton anche Cratyl. 384 b; Prot. 337 a; 340a; Men. 75 e;
Euthyd. 277 e ss.; Lach. 197 b; Ch. 163 a ss.; Aristot. Top. B 6 112b 22;
427
(…) καὶ γὰρ Προδίκου μυρία τινὰ ἀκήκοα περὶ ὀνομάτων διαιροῦντος. ἀλλ᾽ ἐγώ σοι τίθεσθαι μὲν τῶν
ὀνομάτων δίδωμι ὅπῃ ἂν βούλῃ ἕκαστον: δήλου δὲ μόνον ἐφ᾽ ὅτι ἂν φέρῃς τοὔνομα ὅτι ἂν λέγῃς. (Ch. 163 d 4
- 7).
428
Xen. Mem. II 1, 20-34; cf. Plat. Symp. 177 b; Schol. Aristoph. Nub. 361. A proposito si veda Musti 1995,
109 ss. che analizza l’etica di Prodico in contrapposizione a quella democratica periclea.
429
Xen. Mem. II.1, 22 … τὴν μὲν ἑτέραν εὐπρεπῆ τε ἰδεῖν καὶ ἐλευθέριον φύσει, κεκοσμημένην τὸ μὲν σῶμα
καθαρότητι, τὰ δὲ ὄμματα αἰδοῖ, τὸ δὲ σχῆμα σωφροσύνῃ, ἐσθῆτι δὲ λευκῇ (…).
132
A questo discorso segue quello di Arete, la cui analisi lessicale risulta di particolare
interesse. La Virtù esordisce lodando la famiglia di Eracle e la physis del giovane,
manifestatasi durante la sua paideia. Seguire la virtù significa poi compiere belle e nobili
imprese (τῶν καλῶν καὶ σεμνῶν ἀγαθὸν ἐργάτην γενέσθαι).

(…) καὶ ἐγὼ ἥκω πρὸς σέ, ὦ Ἡράκλεις, εἰδυῖα τοὺς γεννήσαντάς σε καὶ τὴν φύσιν τὴν
σὴν ἐν τῇ παιδείᾳ καταμαθοῦσα, ἐξ ὧν ἐλπίζω, εἰ τὴν πρὸς ἐμὲ ὁδὸν τράποιο, σφόδρ᾽
ἄν σε τῶν καλῶν καὶ σεμνῶν ἀγαθὸν ἐργάτην γενέσθαι καὶ ἐμὲ ἔτι πολὺ ἐντιμοτέραν
καὶ ἐπ᾽ ἀγαθοῖς διαπρεπεστέραν φανῆναι. (Xen. Mem. II 1, 27)

Il discorso di Arete è veritiero e non ingannevole: gli dei non concedono all’uomo niente di
bello senza fatica e senza applicazione.

τῶν γὰρ ὄντων ἀγαθῶν καὶ καλῶν οὐδὲν ἄνευ πόνου καὶ ἐπιμελείας θεοὶ διδόασιν
ἀνθρώποις … (Xen. Mem. II 1, 28).

Centrale per il raggiungimento del kalon ergon è l’ἐπιμέλεια, l’applicazione, valida in


qualsiasi settore. Se, ad esempio, si vuole essere forti nel corpo, bisogna imparare a
sottometterlo alla gnome (τῇ γνώμῃ ὑπηρετεῖν ἐθιστέον) esercitandolo con fatica e sudore:

(…) εἰ δὲ καὶ τῷ σώματι βούλει δυνατὸς εἶναι, τῇ γνώμῃ ὑπηρετεῖν ἐθιστέον τὸ σῶμα
καὶ γυμναστέον σὺν πόνοις καὶ ἱδρῶτι (Xen. Mem. II 1, 28)

Le affinità con il nostro Carmide sono notevoli. Sin dall’inizio l’apparizione della Virtù
richiama le definizioni della sophrosyne di Carmide. La stessa personificazione dell’Arete è
caratterizzata da sophrosyne e aidos. Tra i motivi dell’elogio di Eracle quello della nobiltà
di nascita e dell’educazione ricevuta, che permettono al giovane di compiere belle e nobili
imprese, il che riporta al motivo dell’ergon430 . Ma per il raggiungimento della virtù è
necessaria l’epimeleia, altro concetto caro al nostro dialogo 431 . L’epimeleia si può
esercitare in tutti gli ambiti (dalle relazioni umane alle attività) ed è indispensabile per

430
Il kalon ergon ricompare in 31;32. nessuna bella impresa si compie senza l’ausilio della virtù.
431
L’epimeleia compare nel Carmide in riferimento ad un’attività letteraria. v. § III.1.4.
133
ottenere gli obiettivi prefissi. Grazie all’epimeleia il corpo si può sottomettere alla gnome432.
Nella sezione finale dell’Eracle al Bivio (Xen. Mem. II I, 31). La Virtù si rivolge al Vizio:

(…) ἀθάνατος δὲ οὖσα ἐκ θεῶν μὲν ἀπέρριψαι, ὑπὸ δὲ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀτιμάζῃ:
τοῦ δὲ πάντων ἡδίστου ἀκούσματος, ἐπαίνου σεαυτῆς, ἀνήκοος εἶ, καὶ τοῦ πάντων
ἡδίστου θεάματος ἀθέατος: οὐδὲν γὰρ πώποτε σεαυτῆς ἔργον καλὸν τεθέασαι.

Il Vizio, anche se immortale, sarà sempre respinto dagli dei e disprezzato dagli uomini. Ciò
che manca al vizio è ciò che in assoluto è più dolce ascoltare, una lode di sé, e ciò che in
assoluto è più dolce a vedere: qualcosa che sia ergon di sé stessi. Qui compare il motivo
dell’ergon in rapporto al concetto del fare le proprie cose, nel senso di compiere, attraverso
un’azione virtuosa e soprattutto attraverso uno sforzo costante (epimeleia), un kalon ergon.
La definizione di Crizia si lega allo stesso orizzonte di Prodico, riflesso, a sua volta
dell’etica esiodea. In questo gioco di corrispondenze si capisce molto del Carmide.
Affiancata all’azione prodotto della propria virtù, sta l’epainos, la lode. L’elemento
encomiastico assume un rilievo enorme, in quanto compimento stesso della virtù. La
centralità dell’encomio è motivo cruciale nella parte iniziale del dialogo, attraverso un gioco
incrociato di elogi: Crizia elogia Carmide e Socrate, legandosi all’elogio di Crizia, compie a
sua volta l’elogio della famiglia di Crizia e Carmide, sottolineandone il legame con encomi
ben più antichi: quelli di Solone e di Anacreonte, insieme a quelli di altri poeti433 . La
centralità dell’elemento poetico come compimento del kalon ergon e come legame con il
passato si ritrova, puntualmente, nell’Eracle di Prodico, in una sorta di scenario astratto ed
idilliaco, in cui gli effetti della virtù si manifestano nel dolce sonno e nelle azioni di anziani
e giovani:

I giovani si rallegrano per le lodi dei più anziani, gli anziani gioiscono del rispetto dei giovani.
Ricordano con piacere le imprese degli antichi, godono nel compiere bene le azioni presenti (ἡδέως
μὲν τῶν παλαιῶν πράξεων μέμνηνται, εὖ δὲ τὰς παρούσας ἥδονται πράττοντες), grazie a me sono cari

432
Nestle 1949, 273 s. partendo dal frammento di Crizia 88 B9 DK (i buoni più per esercizio che per natura)
fornisce alcuni interessanti paralleli sull’inportanza dell’esercizio (ponos, epimeleia, askesis) in Epicarmo,
Tucidide, Protagora, Antifonte, Platone etc. Lo sforzo è essenziale sia nell’ambito fisico (cf. Crizia 88 B 32
DK), che in quello intellettuale.
433
Ch. 155 a; 157 e. L’importanza dell’encomio che deriva da un’azione paradigmatica la sia coglie ad
esempiο nella testimonianza di Eliano (88 B44 DK). Crizia critica Anacreonte perché le sue azioni non avendo
valore paradigmatico non possono essere elogiate. La centralità dell’encomio visto come compimento del
kalon ergon giustifica la centralità data alla fama, che si coglie in altri frammenti (v Radamanto 88 B15 DK).
Anche nel Carmide Crizia antepone la fama alla ricerca della verità che comporterebbe l’ammissione
dell’aporia. La centralità dell’elemento encomiastico nel Carmide in rapporto alla poetica di Platone è stata
messa in rilievo da Tulli 2000, 259-264.
134
agli dei, diletti agli amici, stimati in patria. E quando giunga il termine stabilito dal destino, non
giacciono nell’oblio senza onori, ma fioriscono ricordati in eterno nei canti (μετὰ μνήμης τὸν ἀεὶ
χρόνον ὑμνούμενοι θάλλουσι)434 .

Ciò che lega passato e presente è il canto nella dimensione dell’encomio. Il giovane gode
nell’essere elogiato dall’anziano e contemporaneamente gioisce nel racconto a carattere
encomiastico delle imprese del passato. Riflesso dell’eu prattein è, come nell’utopia del
buon governo del Carmide, l’eudaimonein435 . Nel X della Repubblica (607 a) Platone
riabilita una forma di mimesis, oggetto di una precedente condanna nel III libro436 . Non a
caso la mimesis che risulta compatibile con la paideia della città ideale è proprio quella
degli inni e degli encomi. In questo Platone si pone in linea con la tradizione aristocratica
che trova uno snodo nell’elaborazione di Crizia e di Prodico. Entrambi, a loro volta, si
rifanno ad Esiodo 437 . Negli Erga Esiodo si sofferma chiaramente sull’importanza
dell’ergon, del lavoro. La sezione relativa al lavoro è preceduta da un noto passo (Erga vv.
289-97)438 .

Davanti alla prosperità sudore hanno messo gli dèi


[290] Immortali: per quella lungo e arduo è il sentiero
e aspro dapprima, ma quando sei giunto alla cima
ti diventa facile allora, pur essendo difficile.
L’uomo migliore è colui che tutto capisce da sé,
sapendo ciò che in seguito e infine meglio sarà;
[295] capace è anche colui che obbedisce a chi bene gli parla:
ma chi non sa capire da sé né ciò che sente da altri
si pone nel cuore, quello è un uomo da poco. (trad. G. Arrighetti)

434
Xen. Mem. II 1, 33. καὶ οἱ μὲν νέοι τοῖς τῶν πρεσβυτέρων ἐπαίνοις χαίρουσιν, οἱ δὲ γεραίτεροι ταῖς τῶν
νέων τιμαῖς ἀγάλλονται: καὶ ἡδέως μὲν τῶν παλαιῶν πράξεων μέμνηνται, εὖ δὲ τὰς παρούσας ἥδονται
πράττοντες, δι᾽ ἐμὲ φίλοι μὲν θεοῖς ὄντες, ἀγαπητοὶ δὲ φίλοις, τίμιοι δὲ πατρίσιν: ὅταν δ᾽ ἔλθῃ τὸ πεπρωμένον
τέλος, οὐ μετὰ λήθης ἄτιμοι κεῖνται, ἀλλὰ μετὰ μνήμης τὸν ἀεὶ χρόνον ὑμνούμενοι θάλλουσι.
435
Ch. 172 a.
436
Sulla condanna della mimesis nel III della Repubblica e sul legame di Platone con la tradizione v. Halliwell
2011b, 241-266; Tulli 2013, 314-318. Su teoria e prassi letteraria in Platone si veda Giuliano 2005.
437
A proposito dell’utilizzo di Esiodo, Erga 287-319 da parte di Produco e della cerchia Socratica si veda
Wolfsdorf 2008, 1-18; Sansone 2004, 125-142.
438
Hes. Erga vv. 289-97: τῆς δ᾽ ἀρετῆς ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν -ἀθάνατοι: μακρὸς δὲ καὶ ὄρθιος
οἶμος ἐς αὐτὴν - καὶ τρηχὺς τὸ πρῶτον: ἐπὴν δ᾽ εἰς ἄκρον ἵκηται, - ῥηιδίη δὴ ἔπειτα πέλει, χαλεπή περ ἐοῦσα.
- οὗτος μὲν πανάριστος, ὃς αὐτὸς πάντα νοήσῃ - φρασσάμενος, τά κ᾽ ἔπειτα καὶ ἐς τέλος ᾖσιν ἀμείνω: -
ἐσθλὸς δ᾽ αὖ κἀκεῖνος, ὃς εὖ εἰπόντι πίθηται: - ὃς δέ κε μήτ᾽ αὐτὸς νοέῃ μήτ᾽ ἄλλου ἀκούων - ἐν θυμῷ
βάλληται, ὃ δ᾽ αὖτ᾽ ἀχρήιος ἀνήρ. Riprese dell’etica dello sforzo per il raggiungimento della virtù in Platone
Prot. 340 d; Rp. 340 c-d; Leg. 718 c.
135
Questi versi hanno un’importanza cruciale nella ridefinizione dell’etica aristocratica operata
dagli intellettuali del V secolo, tra cui Crizia. Arrighetti nota in particolare l’importanza del
v. 293. Si accenna infatti alla priorità dell’individuo in rapporto a se stesso, concetto ripreso
al verso 296. A partire da questo momento nella coscienza letteraria dei Greci emerge
l’importanza dell’individuo, fatto che avrà delle ripercussioni forti sul piano della poetica 439
e della percezione di un’identità. Un aner agathos è un uomo capace di comprendere da sé.
Tale capacità è fondamentale per la creazione di un proprio ergon. Nella stessa direzione si
pone il celebre prologo della Teogonia di Esiodo con la nota scena dell’investitura poetica
di Esiodo da parte delle Muse. Qui l’io del poeta trova per la prima volta un suo spazio ed
un suo ruolo440 .
Questi versi dovevano essere oggetto di profonde interpretazioni da parte degli
intellettuali e dei poeti dell’élite, protesi nello sforzo di ridefinire la propria identità e di
riabilitare la superiorità degli aristoi rispetto alla massa, ignorante ed inconsapevole 441 .
Dalla comprensione autonoma (ὃς … αὐτὸς νοέῃ … Erga, v 296) si passa alla
comprensione-conoscenza di sé (si pensi alla centralità della gnome in Crizia, Antifonte,
Prodico). L’elemento poetico è il mezzo di questo processo di elaborazione e creazione di
un’identità di classe, ma ne costituisce anche il compimento. Il punto di arrivo ideale,
infatti, per l’agathos aner è quello dell’azione paradigmatica che trova compimento
nell’encomio, in ciò che è più dolce ascoltare. Non si tratta di una tendenza astratta e
appena percepibile, ma di un fenomeno di notevoli proporzioni e condiviso da una fetta,
sebbene minoritaria, di società. L’eco di questo fenomeno è, a nostro avviso, chiaramente
percepibile attraverso il gioco dei personaggi nel Carmide. La rappresentazione drammatica
del dialogo mostra, attraverso lo specchio della dialettica socratica, anche i lati negativi e le
contraddizioni di questa classe intellettuale, ma risulta nel complesso estremamente
autentica e verosimile. Crizia maestro di virtù, sulla scia di Antifonte ed in linea con
Prodico, non esita ed elogiare Carmide (motivo dell’epainos), a farsi campione del kalon
ergon in virtù di un’epimeleia intesa come sforzo letterario, a riabilitare la centralità della
gnome, la consapevolezza dell’individuo nei confronti di se stesso. Carmide attraverso la
penna di Platone diventa il giovane Eracle, a metà tra l’infanzia e l’età adulta, che manifesta

439
Arrighetti G. 1985, 71-72. (…) ecco che allora il pensiero, la personale riflessione, il consiglio esperto del
poeta possono manifestarsi apertamente, in prima persona e direttamente. La conseguenza sul piano della
poetica, è la rottura ormai completa con la convenzione che voleva i contenuti della poesia ispirati e suggeriti
dalla divinità … quello che il poeta dice qui appare rivendicarlo come frutto del proprio pensiero.
440
Hes. Th. vv. 22-34.
441
Al passo degli Erga che abbiamo riportato segue la sezione dedicata all’importanza dell’ergon. È a questa
sezione che Crizia si rifà per la sua interpretazione del ta heaotou prattein.
136
nei gesti e nelle parole la virtù oggetto di insegnamento. La sua azione scenica somiglia, al
contempo, alla caratterizzazione della Virtù di Prodico, che manifesta aidos nello sguardo e
sophrosyne nel portamento442 .
Doverosa in conclusione di questa analisi una certa cautela: Prodico parla qui
attraverso Senofonte, come lo stesso si premura di sottolineare. Non ci sono ragioni per
dubitare della correttezza della sostanza del discorso. La precisazione di Senofonte
sull’utilizzo di un linguaggio maggiormente poetico in Prodico serve a noi come conferma
della centralità dell’elaborazione letteraria all’interno di un definito orizzonte culturale 443 .

οὕτω πως διώκει Πρόδικος τὴν ὑπ᾽ Ἀρετῆς Ἡρακλέους παίδευσιν: ἐκόσμησε μέντοι
τὰς γνώμας ἔτι μεγαλειοτέροις ῥήμασιν ἢ ἐγὼ νῦν. (Xen. Mem. II 1, 34)

La vicinanza tra Crizia e Prodico trova una conferma ulteriore in uno scambio di
battute interno al Protagora di Platone (336d7-337a7)444 . Nella logica del dialogo Crizia ha
un ruolo di non molta rilevanza. Rilevante ai nostri occhi è però la sua funzione di
moderatore, elemento significativo di caratterizzazione del personaggio.

(…) ὦ Πρόδικε καὶ Ἱππία, αλλίας μὲν δοκεῖ μοι μάλα πρὸς Πρωταγόρου εἶναι,
Ἀλκιβιάδης δὲ ἀεὶ φιλόνικός ἐστι πρὸς ὃ ἂν ὁρμήσῃ: ἡμᾶς δὲ οὐδὲν δεῖ συμφιλονικεῖν
οὔτε Σωκράτει οὔτε Πρωταγόρᾳ, ἀλλὰ κοινῇ ἀμφοτέρων δεῖσθαι μὴ μεταξὺ διαλῦσαι
τὴν συνουσίαν.

Il dialogo, la συνουσία, è una maggiore priorità rispetto al συμφιλονικεῖν, al parteggiare ora


per Protagora, ora per Socrate. All’intervento di Crizia segue quello di Prodico:

εἰπόντος δὲ αὐτοῦ ταῦτα, ὁ Πρόδικος, καλῶς μοι, ἔφη, δοκεῖς λέγειν, ὦ ριτία: χρὴ
γὰρ τοὺς ἐν τοιοῖσδε λόγοις παραγιγνομένους κοινοὺς μὲν εἶναι ἀμφοῖν τοῖν
διαλεγομένοιν ἀκροατάς, ἴσους δὲ μή - ἔστιν γὰρ οὐ ταὐτόν: κοινῇ μὲν γὰρ ἀκοῦσαι

442
Xen. Mem. II 1, 22.
443
A proposito Musti 1995, 110: è evidente che Senofonte, un Socratico, mette in gioco idee proprie
dell’eudemonismo etico; eudaimonia - arete è il nesso socratico; non sorprende nè che Senofonte registri così
articolatamente la posizione di Prodico, né che l’idea di Prodico che Senofonte diffonde sia permeata da un
forte moralismo (…).
444
Butrighini 1999, 64 s.; Centanni 1997, 44. Anche nello spurio Erissia si trova una consonanza tra Crizia e
Prodico cf. ad es. Erissia, 397 c-e; 398 c – 399 a. A proposito Mayhew 2011, 223 – 229. Sull’Erissia infra, §
142 n. 466.
137
δεῖ ἀμφοτέρων, μὴ ἴσον δὲ νεῖμαι ἑκατέρῳ, ἀλλὰ τῷ μὲν σοφωτέρῳ πλέον, τῷ δὲ
ἀμαθεστέρῳ ἔλαττον. (Prot. 337 a 1- 6)445

Bultrighini coglie nella terminologia utilizzata da Prodico un carattere di allusività, una


nascosta ed implicita avversione all’isonomia, principio democratico per eccellenza, in
favore di una necessità di giudicare secondo il merito (ἀλλὰ τῷ μὲν σοφωτέρῳ πλέον, τῷ δὲ
ἀμαθεστέρῳ ἔλαττον). Tra persone caratterizzate da buona physis e buona trophe s’inserisce
un ulteriore fattore discriminante: la maggiore o minore sophia dell’uno rispetto all’altro. Su
una base necessaria, quella della nobiltà di nascita, s’inserisce la differenza. La superiorità
dell’uno rispetto all’altro è dettata dalla volontà maggiore o minore di seguire la non facile
strada della virtù. In queste parole si coglie la profonda discrepanza tra l’etica aristocratica,
di cui si fanno portavoce Crizia e Prodico, e quella democratica. La prima si basa sulla
differenza e sul merito maggiore dell’uno rispetto al suo simile, l’etica democratica si basa
sul principio dell’isonomia, dell’uguaglianza della legge. L’intervento di Prodico prosegue
con ulteriori distinzioni. Qui si vede bene come il metodo della diairesis ton onomaton fosse
funzionale alla trasmissione di un messaggio di natura antidemocratica. Allo stesso modo la
distinzione di poien ed ergazesthai serve a Crizia a veicolare, attraverso la voce dei poeti e
dei sapienti, lo stesso rivoluzionario messaggio.
In conclusione, la vicinanza Crizia - Prodico, sottolineata più volte dallo stesso
Platone, conferma l’immagine di Crizia del Carmide poeta ed intellettuale, che lentamente
sta prendendo forma. Se la tradizione ci ha consegnato un Crizia bifronte446 , illustre poeta e
atroce tiranno, nel ritratto che emerge dal Carmide possiamo dire fin da ora che l’ambiguità
è assente. Il Crizia del Carmide è un’unica compatta personalità anche se non priva di
contraddizioni. Molto esigue, lo si vedrà, le tracce del tiranno. Vive, al contrario, le prove di
un’identità solida di intellettuale - poeta, profondo conoscitore della tradizione letteraria
greca, dall’epica arcaica alla tradizione oracolare, capace di servirsi di questa stessa
tradizione per creare una nuova poetica compiuta in se stessa e volta ridisegnare un’identità
di classe.

445
Mayhew 2011, 132 sottolinea come l’uso di ison nel senso di indiscriminatamente non doveva essere
comune nel greco del V secolo e intravede in questa distinzione una possibile crtica di Platone. Diversamente,
qui si crede che la connotazione politica di questo termine contribuisca a connotare realisticamente la
caratterizzazione di Prodico nel Protagora.
446
Già Nestle 1949, 81-107.

138
IV. Il gioco del personaggi e la mimesis

Alla fine di questo percorso si ritorna al nostro Carmide con una diversa prospettiva.
La ricerca del vero Crizia ha illuminato alcuni snodi del dialogo che altrimenti ci sarebbero
rimasti oscuri e di contro il Carmide ha contribuito ha delineare un profilo di Crizia la cui
identità poetica riveste un’importanza primaria. La questione Crizia, come vedremo più in
dettaglio, può in sostanza essere risolta se si conferisce priorità all’elemento poetico
piuttosto che a quello politico, cosa che soltanto una piccolissima parte della critica ha
cominciato a fare447 . Con la coscienza forte di una consonanza tra le diverse maschere di
Crizia in Platone e tra il Crizia di Platone e il vero Crizia, possiamo adesso focalizzarci
nuovamente sul Carmide, cercando di fornire una spiegazione delle dinamiche interne del
dialogo, del gioco dei personaggi, per citare in traduzione il titolo del noto saggio della
Blondell448, e della mimesis che da essi si genera. Si vedrà come in queste dinamiche interne
il ruolo di Crizia449 sia essenziale per il raggiungimento della funzione drammatica e
filosofica del dialogo: vivere l’aporia che la mimesis genera450 .

IV. 1 I Crizia nel Carmide - I Crizia di Platone

Come è facile immaginare, la tormentosa e secolare questione Crizia si trasferisce con


tutta la sua intrinseca contraddittorietà nel dibattito che si crea intorno all’interpretazione del
ruolo di Crizia nel Carmide. Innumerevoli le posizioni. Qui ne ricordiamo alcune,
emblematiche. Si passa da coloro, come Dušanić451 , che vedono nel Carmide un’apologia

447
Fondamentali i già citati contributi di Arrighetti 2006; Erler 1998, 5-28; Tulli 2000, 259-264; Regali 2006,
65-88; Regali 2012 in linea con i quali si pone il presente lavoro.
448
Blondell 2002.
449
Per uno studio focalizzato sull’importanza degli interlocutori di Socrate v. Beversluis 2000 (in particolare
pp. 135-159 su Crizia nel Carmide).
450
infra, § IV.I.3.
451
Dušanić 2000, 53-63.
139
di Crizia, a coloro, come Schmidt452 , che esagera nel credere che il pensiero di Crizia sia il
pensiero di Platone stesso. Diversamente Notomi453 sottolinea il fatto che, sebbene Crizia
sia un punto di partenza per la filosofia politica di Platone, egli non possieda la sophrosyne.
Guthrie considera irrisolvibile la questione più generale relativa al rapporto tra il Crizia
platonico e il Crizia storico e al rapporto Crizia-Platone454 . Ad Erler 455 va il merito di porre
in continuità la caratterizzazione di Crizia nel Carmide e quella dello stesso in Timeo Crizia.
A Tuozzo quello di riconoscere come la fama prevalentemente negativa di Crizia abbia
influenzato la lettura neutrale del Carmide e della sua produzione letteraria456 . Sul fronte
opposto c’è chi vede nel Crizia del Carmide solo ed esclusivamente il tiranno. Come
Press457 secondo cui l’obiettivo dell’elenchos socratico nel Carmide sarebbe quello di
rivelare l’ignoranza di Crizia e la sua assenza di sophrosyne. Posizioni come quella recente
di Lampert o di Eisenstadt sono un esempio evidente di come la questione sia tuttora aperta
e controversa. Per quest’ultimo infatti Crizia nel Carmide mostra esclusivamente delle
palesi tendenze tiranniche 458 .
I punti essenziali della questione Crizia erano già stati messi ben in evidenza dalla
critica più antica. Già Wilamowitz-Moellendorff considerava da un lato come il giudizio sul
Crizia di Platone sia tra i moderni più negativo rispetto alla sua rappresentazione da parte di
Platone459 : da un lato Crizia non possiede autocontrollo e dunque sophrosyne, dall’altro
sarebbe sbagliato appiattire il suo carattere a quello di un Jasager o di un rechthaberich.

Selbsverständlich ist er kein Maßvoller, serbstbeherrschter Mensch, besitzt die Tugend der Sophrosyne
nicht, über die Sokrates und Charmides gereden haben, die sie beide besitzen, und die er demnach in
seiner Weise auffasst. Aber er ist durchaus kein rechthaberischer, um die Wahrheit unbekümmerten
Sophist. Ein bloßer Jasager freilich auch nicht; er passt dem Gegner auf den Dienst und lässt ihm einen

452
Schmidt 1985.
453
Notomi 2000, 249-250.
454
Gurthie 1969, 298 s. (There is a mystery here which the evidence does not allow us to solve completely,
299)
455
Erler 1998, 5-28.
456
Tuozzo 2011, 6 e 53 ss. a cui rimando per una più approfondita panoramica sulle valutazioni di Crizia nel
Carmide.
457
Press 2002, 252-65.
458
Lampert 2010, 147 ss.; Eisenstadt 2008, 492-95. A causa di queste ambizioni per Eisenstadt si comprende
l’iniziale rifiuto da parte di Crizia di riconoscere la paternità della massima del ta heautou prattein. Svelare la
paternità sarebbe come svelare le proprie egoistiche ambizioni di governo. Eisenstadt suggerisce il parallelo tra
la massima e Leggi IX 875 b 1-7, in cui viene descritto l’autocrate egoista e ambizioso utilizzando il termine
idiopragia, hapax la cui relazione con il ta heautou prattein è evidente. Sul carattere tirannico di Crizia v.
anche Stern 1999, 399-412.
459
Wilamowitz 19595, 144: Seltsamerweise wirkt das Verdammungsurteil über den Reaktionär auch bei den
Modernen noch so weit nach, dass sie den platonische Kritias sehr viel ungünstiger auffassen, als er gemeint
ist.
140
Fechterstreich nicht durch; er hatte ja selbst über ethische Fragen geschrieben, vielleicht sogar in
Gesprächsform. Aber um das Suchen der Wahrheit ist es ihm auch ernst (166 a),

Nel restituire dignità al personaggio la posizione di Wilamowitz sembra equilibrata. Ancora


di più quella di Nestle460 , a cui va il merito di aver riconosciuto il talento letterario di Crizia
e lo sforzo di voler creare un’immagine il più possibile unitaria al di là delle testimonianze
stridenti, anche se poi considera la letteratura di Crizia priva di originalità 461 .
Dall’apologia ad una totale condanna, la questione parrebbe davvero irrisolvibile. Una
cosa salta agli occhi nelle valutazioni sia sul Crizia del Carmide sia sul Crizia storico: nella
maggior parte delle interpretazioni si valuta il suo ruolo politico e solo secondariamente e di
sfuggita quello intellettuale. Wilamowitz aveva condannato come poco originale e di nessun
valore la sua opera letteraria, Nestle ne aveva visto il valore e sottolineato il talento ma
l’aveva ugualmente bollata come poco originale. Anche i recenti contributi volti a riabilitare
il profilo autentico di Crizia462 non riescono a fare a meno della pesantissima e scura
maschera del tiranno. È questa la ragione per cui si guarda con sgomento al Crizia di
Platone cercando di venire a capo di una evidente contraddizione. Se si guardasse a Crizia
come poeta e solo successivamente, negli ultimi anni della sua vita, come teorico del
regime, la contraddizione scomparirebbe. Qui non si vuole eclissare una parte della vita di
Crizia, cadendo in tentazioni apologetiche. Si tratta di mettere il poeta e l’uomo di lettere, in
termini sia cronologici che d’identità, prima del tiranno. In questo modo il nodo si scioglie e
i diversi ritratti di Crizia in Platone si legano in un immagine se non perfettamente unitaria
almeno consonante. Non sorprende più allora la moderazione di cui si fa portavoce il Crizia
del Protagora463 , ma soprattutto non sorprende più il ruolo di poeta di Crizia in Timeo e
Crizia, a cui è affidato rispettivamente il racconto di Altlantide e delle antiche gesta di
Atene464. L’importanza che l’elemento poetico assume nella caratterizzazione di Crizia nel
Carmide trova dunque una sua conferma nella caratterizzazione di Crizia nei dialoghi più
tardi come Timeo e Crizia465 . Crizia è poeta e lo è già nel Carmide.

460
Nestle 1948, 253-320.
461
Nestle 1948, 319.
462
Come i più volte citati contributi di Bultrighini 1999 (su cui Németh 2004, 373-374) e di Centanni 1997.
463
Cf. Prot. 336 d 7 ss.; supra, § III.2.2.
464
In Tim. 19 e ss. Crizia è annoverato tra coloro che per natura ed educazione partecipano di politica e
filosofia. La caratterizzazione positiva trova un fattore di continuità con il Crizia del Carmide nel riferimento a
Solone (cf. Tim. 21e-25e). Si crea così una continuità generazionale nel segno della poesia che da Solone,
passando per Crizia, arriva fino a Platone. v. Regali 2012, 28.. La mimesis letteraria positiva (mito di
Atlantide) è affidata al suo sangue. v. anche Tulli 1994. Erler 1998, 5 ss.
465
In questo modo la stessa dibattuta questione dell’identità del Crizia di Timeo e Crizia riceve degli stimoli
forti a favore dell’identità di questa figura nel corpus. A proposito Rosenmeyer 1949, 404-410; Tulli 1994, 95
n. 1; Regali 2012, 61-2. Sul Crizia si veda Nesselrath 2006 (traduzione e commento) e Clay 1996, 49-54.
141
Non sorprende, infine, il ritratto che di Crizia si dà nel dialogo spurio dell’Erissia,
testimonianza preziosa in quanto espressione di un’opinione condivisa nell’Accademia 466 .

IV.2 Il gioco dei personaggi

Ritorniamo al Carmide con l’occhio di uno spettatore a teatro467 . Osserveremo le


dinamiche interne dei tre personaggi, il loro caratterizzarsi vicendevolmente. Cercheremo,
per quanto possibile, di cogliere il gioco fittissimo di richiami interni, da affiancare al gioco
di richiami alla letteratura di Crizia, le manovre socratiche nel pilotare la conversazione
verso un orizzonte politico, l’ironia fresca di Carmide nel provocare Crizia fino a suscitarne
l’ingresso collerico, la dialettica di Crizia, l’orizzonte letterario della sua attività, i suoi punti
di forza e il limite verso il quale cerca di spingerlo Socrate. Vedremo come le tensioni
interne al testo porteranno alla fine del dialogo ad un ribaltamento dei ruoli e ad una
ridefinizione del triangolo Carmide-Crizia-Socrate. È in queste dinamiche interne che è
possibile cogliere la caratterizzazione di Crizia nel Carmide: la sua azione scenica,
disegnata con elementi di forte teatralità, da sola non basta. Crizia non si capisce soltanto
attraverso Crizia. Crizia si capisce attraverso Carmide, la cui azione è tutta un tentativo di
imitazione del maestro, e soprattutto attraverso Socrate che nel manovrare la dialettica
riesce a far venir fuori le principali caratteristiche della sua persona, limiti e punti di forza.
Entrambi, come in un frastagliato gioco di specchi, ne riflettono l’immagine.
Dal punto di vista del gioco dei caratteri, il dialogo si può suddividere in tre grandi
blocchi. Il primo è quello introduttivo che precede la dialettica, in cui i personaggi fanno il
loro ingresso sulla scena definendo le loro relazioni. Il secondo blocco è quello della
dialettica Carmide-Socrate, che segue la vivace scena introduttiva, mentre il terzo è quello

466
Per l’ Erissia v. Centanni 1997, 85; Donato 2013. Si tratta di un’operetta spuria compilata nell’Accademia,
che riprende e ricapitola il pensiero platonico sull’essenza della saggezza. In questo dialogo il ruolo di Crizia è
accostabile a quello che svolge nel Carmide . Il dialogo sarebbe una conferma di una tradizione benevola sulla
figura di Crizia. Egli marca una distanza del saggio nei confronti della ricchezza e non bisogna dimenticare
che proprio l’avidità di possesso di ricchezze costituiva una delle accuse principali rivolte da Senofonte e Lisia
contro i Trenta. L’immagine che viene fuori risulta tanto dissonante rispetto a quella della vulgata
storiografica, quanto armonizzabile con l’immagine complessiva di Crizia in Platone. Per la caratterizzazione
di Crizia nell’Erissia v. Gartmann 1949, 57 ss.; Donato 2013, 183 ss. (in particolare n. 87). Alcuni paralleli
con il Carmide: in Erissia, 403 d8, assistiamo ad un ingresso spaccone di Crizia (v. Donato 2013, 169);
Erissia, come Carmide, vanta una parentela con Crizia (cf. Erissia 396d2); il Crizia dell’Erissia, come quello
del Carmide, presenta tratti caricaturali; centrale l’elemento poetico per il Crizia dell’Erissia (a proposito
Donato 2013, 185 ss.). Si riscontra lo stesso uso spregiudicato del mezzo poetico, a metà tra tradizione ad
innovazione. Per una diversa interpretazione v. Laurenti 1969, 7-52. Per una recente edizione dei dialoghi
spuri v. Aronadio 2008. Per il personaggio di Erissia v. Nails 2002, 142-43.
467
Blondell 2002, 1-52. Per la funzione della dialettica nel Carmide v. Schmid 2002, 235-251. Per
l’importanza della caratterizzazione dei personaggi all’interno della dialettica v. Coventry 1990, 174-196.
142
della densa dialettica Crizia-Socrate, che si spinge quasi fino alla fine del dialogo, fino al
punto cruciale in cui Carmide rompe il silenzio portando, come vedremo, ad un ribaltamento
dei ruoli.

IV.2.1 La cornice drammatica

Il dialogo si apre con una scena che pullula di personaggi nella cornice della palestra
Taurea (153 a). L’ingresso di Socrate ἐξ ἀπροσδοκήτου (153 b 1) agita tutti i personaggi, i
quali cominciano improvvisamente a salutare Socrate, chi da una parte chi dall’altra 468 . Da
questo blocco indistinto di caratteri senza volto spicca Cherefonte, in uno stato di evidente
stravolgimento, μανικὸς ὤν, per l’emozione che la vista di Socrate gli aveva procurato. Gli
prende la mano e comincia ad interrogarlo sugli esiti della battaglia mentre lo accompagna a
sedere, invitandolo a prendere posto vicino Crizia che fa così il suo ingresso nella scena
(153 c). Dopo aver parlato della battaglia, fino a quando ne avemmo abbastanza (153 d),
Socrate interroga Crizia sulla presenza di bei giovani ad Atene. Crizia, prima di rispondere,
rivolge lo sguardo in direzione della porta notando un fitto gruppo di ragazzi che s’insultano
vicendevolmente, in un atteggiamento di agitazione. Non sono altro che πρόδρομοί καὶ
ἐρασταὶ (154 a 4 - 5) di colui che è il più bello in assoluto e che ormai sta per entrare. A
differenza dell’ingresso ex abrupto di Socrate, mentre Crizia è già sulla scena, l’ingresso di
Carmide è preceduto da una forte suspance. Si crea un’aura di attesa che agita il gruppo di
giovani amanti in lotta, forse, per le attenzioni del più bello. Socrate da parte sua si definisce
λευκὴ στάθμη (154 b 9), corda bianca nei confronti dei belli: tutti i giovani gli sembrano
tali. Carmide appare come un’epifania divina quasi nello stesso momento in cui Socrate
pronuncia queste parole rivolto a Crizia. L’ingresso di Carmide ha infatti qualcosa di
straordinario.

(…) ἀτὰρ οὖν δὴ καὶ τότε ἐκεῖνος ἐμοὶ θαυμαστὸς ἐφάνη τό τε μέγεθος καὶ τὸ κάλλος,
οἱ δὲ δὴ ἄλλοι πάντες ἐρᾶν ἔμοιγε ἐδόκουν αὐτοῦ (Ch. 154 b 10 - 2).

Il carattere straordinario della sua statura e della sua bellezza crea una sorta di incantamento
collettivo (οὕτως ἐκπεπληγμένοι τε καὶ τεθορυβημένοι ἦσαν, ἡνίκ᾽ εἰσῄε 154 c 3) .
Impossibile non amarlo e non restare colpiti e turbati al suo ingresso. Giovani e meno

468
Ch. 153 b (…) καί με ὡς εἶδον εἰσιόντα ἐξ ἀπροσδοκήτου, εὐθὺς πόρρωθεν ἠσπάζοντο ἄλλος ἄλλοθεν
(…).
143
giovani indirizzano a lui lo sguardo, davvero tutti, anche il più piccolo, contemplandolo
ὥσπερ ἄγαλμα. Al momento dell’ingresso tutta la tensione dei personaggi (insieme a quella
degli spettatori - lettori) si focalizza sul personaggio di Carmide che riceve i connotati della
straordinarietà. Socrate, corda bianca, non può non ricevere il fascino di questa straordinaria
bellezza. A partire da questo momento le numerose comparse che affollano la palestra
scompaiono. I riflettori restano puntati solo sui tre personaggi principali. Socrate comincia a
porre le basi della dialettica ponendo la questione della bellezza dell’anima che, combinata a
quella del corpo, renderebbe il giovane ἄμαχον (154 d 7). Ma il confronto Carmide-Socrate
è preceduto da alcuni elementi essenziali per la comprensione del ruolo di Crizia. La stessa
dialettica, in un secondo tempo, fornirà, come vedremo, significativi elementi di
caratterizzazione preparando il terreno per la seconda dialettica. Seguiamo il testo con
ordine. In 155 e 8 - a 1 Crizia caratterizza Carmide:

(…) καὶ πάνυ γε, ἔφη ὁ ριτίας, ἐπεί τοι καὶ ἔστιν φιλόσοφός τε καί, ὡς δοκεῖ ἄλλοις
τε καὶ ἑαυτῷ, πάνυ ποιητικός.

Nel descrivere Carmide Crizia applica al giovane le sue categorie. Carmide incarna il
perfetto allievo di Crizia. Le qualità degne di lode riguardano l’attività filosofica e quella
poetica. Non trascurabile l’uso da parte di Crizia del riflessivo ἑαυτῷ (155 a 1), che implica
una consapevolezza da parte di Carmide del proprio valore poetico. Sia le qualità poetiche
che l’autoconsapevolezza sono caratteristiche fondanti dell’identità di Crizia che lo stesso
riflette sul giovane. Socrate fa eco a Crizia nel sottolineare la centralità della competenza
poetica e nel farlo mette in gioco le radici genealogiche, ciò che lega la famiglia di Crizia-
Carmide-Platone a Solone469 . Dalla συγγένεια con Solone discende un legame con
l’elemento poetico, nucleo intorno al quale si disegna l’identità della famiglia. La centralità
della poesia si lega alla centralità del motivo encomiastico: Crizia elogia Carmide, Socrate
elogia la famiglia di Crizia e Carmide, che a sua volta è stata encomiata da Solone,
Anacreonte ed altri poeti470 . La funzione dell’elogio in Ch. 155 a è dunque duplice: da un
lato serve a caratterizzare la maschera di Crizia, dall’altro fa di Carmide un riflesso di
questa maschera, un prodotto dell’educazione criziana. Socrate per il momento non esercita
alcuna influenza, ma al contrario è soggiogato dal fascino di Carmide, come un cervo

469
Ch. 155 a 2-3 τοῦτο μέν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ φίλε ριτία, πόρρωθεν ὑμῖν τὸ καλὸν ὑπάρχει ἀπὸ τῆς Σόλωνος
συγγενείας.
470
v. § III.2.2 per la centralità dell’encomio. Queste riflessioni si pongono sulla scia del contributo di Tulli
2000.
144
davanti ad un leone471 . Si tratta di un fascino dettato dalla bellezza esteriore. Socrate si
sente eroticamente attratto al punto da essere gettato in aporia alla vista di ciò che Carmide
ha sotto il mantello 472 . Sul ruolo di Socrate in questa prima parte del dialogo utile risulta un
confronto con Symp. 221 e ss. Qui Alcibiade tesse la lode di Socrate, lodando il suo
coraggio in battaglia e la sua unicità, l’atopia di Socrate e dei suoi discorsi. Non esiste
nessun uomo per Alcibiade che possa essere paragonato a Socrate. L’unico parallelo
possibile è con i Sileni o i Satiri. Ai Sileni che si aprono somigliano i suoi discorsi: ridicoli
in un primo momento, ma all’interno divinissimi e pieni di immagini della virtù
(αγάλματ’ἀρετῆς, 222a 4). Per Alcibiade la lode di Socrate coicide con le stesse ragioni per
cui lo biasima e aggiunge:

οὐκ ἐμὲ μόνον ταῦτα πεποίηκεν, ἀλλὰ καὶ Χαρμίδην τὸν Γλαύκωνος καὶ Εὐθύδημον
τὸν Διοκλέους καὶ ἄλλους πάνυ πολλούς, οὓς οὗτος ἐξαπατῶν ὡς ἐραστὴς παιδικὰ
μᾶλλον αὐτὸς καθίσταται ἀντ᾽ ἐραστοῦ. (Symp. 222 b 1-4)

Grazie alle parole di Alcibiade si comprende il gioco di Socrate in questa prima parte del
dialogo, a cui seguirà, alla fine del dialogo, un’inversione dei ruoli. Allo stesso modo di
Alcibiade, Carmide, anche se inconsapevolmente, finirà dentro la trappola di Socrate e da
amato diventera amante e bisognoso dell’insegnamento socratico.
Anche se a stento, μόγις (155 e 3), con uno sforzo che nasconde un’ironia di fondo,
Socrate riesce a trovare la forza per superare il momento di confusione introducendo il
motivo dell’incantesimo da associare al φάρμακον contro l’emicrania del giovane, secondo
una concezione olistica della medicina di derivazione orientale, che associa il corpo
all’anima473 . L’entusiasmo di Carmide nell’approvare il ragionamento di Socrate dà a
quest’ultimo coraggio:

κἀγὼ ἀκούσας αὐτοῦ ἐπαινέσαντος ἀνεθάρρησά τε, καί μοι κατὰ σμικρὸν πάλιν ἡ
θρασύτης συνηγείρετο, καὶ ἀνεζωπυρούμην (156 d 1-3)

È l’epainos la ragione del recupero del controllo di sé da parte di Socrate, a conferma della
centralità della lode in questa prima parte del dialogo. Il motivo dell’epode che qui

471
Il parallelo è tratto da una citazione del poeta Cidia di cui possediamo solo questo frammento: εὐλαβεῖσθαι
μὴ κατέναντα λέοντος νεβρὸν ἐλθόντα μοῖραν αἱρεῖσθαι κρεῶν (Ch. 155 d 6-7).
472
Ch. 155 d.
473
Su Zalmossi e la medicina nel Carmide v. Brisson 2000, 278-286.; Murphy 2000, 287-295.
145
s’introduce è centrale nel dialogo e non trascurabile. Più volte compare nei dialoghi
l’incantesimo come φάρμακον del corpo e dell’anima474 . Più avanti (157 a 3-5) veniamo a
scoprire come l’epode di fatto consista nei bei discorsi475 . Da tali discorsi, dall’incanto che
producono, si genera nell’anima la sophrosyne e da questa la salute nel resto del corpo:

(…) ἐκ δὲ τῶν τοιούτων λόγων ἐν ταῖς ψυχαῖς σωφροσύνην ἐγγίγνεσθαι, ἧς


ἐγγενομένης καὶ παρούσης ῥᾴδιον ἤδη εἶναι τὴν ὑγίειαν καὶ τῇ κεφαλῇ καὶ τῷ ἄλλῳ
σώματι πορίζειν (Ch. 157 a 5-6).

La comparsa dell’incantesimo poco prima dell’avvio della dialettica non è casuale.


Szlezák476 associa l’epode del Carmide alla stessa dialettica, mentre il pharmakon sarebbe
metafora per la conoscenza. Senza la dialettica ogni insegnamento sarebbe vano. La
dialettica abilita in altre parole, alla ricezione del sapere.

Lesen wir im Charmides (…) dass die Vergabe eines „Heilmittels“ ( der Ausdruck steht metaphorisch
für „Erkenntiss“) ohne inreichende Vorbereitung „keinen Nutzen“ für den Rezipienten brächte477 .

Il merito di Szlezák sta nel riconoscere all’interno dell’incantesimo un’esortazione ad un


logos filosofico478 . L’incanto è una caratteristica legata alla produzione letteraria fin dai
tempi di Omero, come giustamente sottolinea la Blondell 479 .
Nel Protagora, ad esempio, Socrate è incantato a seguito del discorso di Protagora, al punto
da restare, dopo la fine del discorso, in uno stato contemplativo, desideroso di ascoltarlo
ancora.

Protagora, dopo aver pronunciato un così eloquente discorso, tacque. Ed io, incantato (κεκηλημένος),
rimasi ancora a lungo a contemplarlo come se ancora parlasse e desideroso di ascoltarlo (Prot. 328 d
3-6. Trad. F. Andorno) .

474
Ch. 176a;176b; Tht 149d; Men. 80a; Rep X (v. a proposito Halliwell 2011a, 199 n. 95); Phaedo 77e.
475
Anche Antifonte, secondo la testimonianza dello Ps.Plutarco, avrebbe scritto un’ alypia techne basata sulla
credenza nel potere curativo del logos. v. supra, § III.2.2.
476
Szlezák 2004, 186. v. anche Szlezák 2000, 337-348.
477
Szlezák 2004, 186. Lo stesso invita ad un confronto con Ep. VII 341 d-e.
478
Szlezák riconosce inoltre l’importanza della rappresentazione drammatica, mettendola in rapporto con la
mimesis e con il carattere fortemente mimetico del dialogo: il contenuto non può prescindere dalla forma. Ma
in Szlezák la dimensione dell’oralità diventa preponderante rispetto a quella letteraria. La scrittura, in altre
parole, è solo un mezzo per condurre ad un insegnamento il cui nucleo è comunicabile solo per via orale. Così
facendo l’elemento letterario assume una posizione subordinata. Qui si sostiene diversamente la centralità
dell’elemento letterario, centrale nella filosofia platonica.
479
Blondell 2002, 80 ss. conia a proposito il termine di mimetic pedagogy, in quanto lo scopo ultimo della
mimesis è di natura paideutica, fin dalle origini (si pensi al ruolo dei cantori nei poemi omerici, come Femio e
Demodoco). Su incantamento e catarsi come conseguenza dell’ascolto dell’aulos v. Provenza 2009, 280-301.
146
La malia che l’arte produce ha un potere talmente forte da portare gli uomini a trascurare
tutto il resto, come avvenne alle cicale, prima uomini, il cui mito viene raccontato nel
Fedro480 . Ma rispetto all’incanto di cui è vittima Socrate dopo l’ascolto di Protagora, le
cicale hanno la funzione di esortare al dialegesthai e di vegliare affinchè non si ceda alla
loro malia lasciando la mente immobile (δι᾽ ἀργίαν τῆς διανοίας, Phaedr. 259 a 3).
Ugualmente positivo risulta l’epode del Carmide, in quanto avente la peculiarità di generare
sophrosyne nell’animo. Esso ha un potere curativo e salvifico 481 . L’incanto a cui spinge
Socrate si traduce in un invito ad entrare in una dimensione mimetica, di ricettività estrema,
una dimensione appunto di incantamento, unica possibilità per sperimentare gli effetti
positivi della dialettica.
Ora, dal punto di vista di Crizia, Carmide è già in possesso della sophrosyne e dunque,
implicitamente, non bisognoso dell’incantesimo. Interrogato da Socrate (158 c) Carmide
risponde di non riuscire a valutare se sia o meno in possesso di questa virtù, rischiando o di
essere superbo, nel caso in cui se ne dichiari in possesso, o di negare l’ammissione di Crizia,
nel caso in cui affermi di non possederla. Il non sapere del giovane, il suo aporein, consente
l’avvio della prima dialettica.

IV.2.2 Dialegesthai di Socrate con Carmide (158 c 5 - 162 b 11)

Carmide agisce sulla scena cercando di essere voce di Crizia. La sua giovane parola si
ferma in superficie: le definizioni di Carmide riguardano le manifestazioni esteriori della
sophrosyne. In linea con la sua parola sarà la sua azione scenica. Di seguito gli snodi
fondamentali.
Poco prima dell’inizio della dialettica Carmide arrossisce (ἀνερυθριάσας οὖν ὁ
Χαρμίδης … , 158 c 5). Il rossore anticipa con le azioni la sua parola, ossia la seconda
definizione: sophrosyne come aidos (160 e 3-5). Per prima cosa Carmide definisce la
sophrosyne come un’agire κοσμίως … καὶ ἡσυχῇ (159 b). Dopo aver dimostrato che nella
maggioranza delle azioni la velocità è preferibile alla lentezza, Socrate invita Carmide a
guardare dentro di sé.

480
Phedr. 259 a 1 e sgg. v. Ferrari 1987.
481
Platone stesso mette in guardia dai rischi della mimesis. Nota la condanna della mimesis nel III della
Repubblica per cui v. Halliwell 2011b. Sempre nella Repubblica Platone arriva a riabilitare una forma di
mimesis, il cui impatto paideutico sia positivo: quella che si genera dagli inni e dagli encomi (Rp. X 607 a).
Sulla mimesis si veda inoltre Halliwell 2002; id. 2005.
147
πάλιν τοίνυν, ἦν δ᾽ ἐγώ, ὦ Χαρμίδη, μᾶλλον προσέχων τὸν νοῦν καὶ εἰς σεαυτὸν
ἐμβλέψας, ἐννοήσας ὁποῖόν τινά σε ποιεῖ ἡ σωφροσύνη παροῦσα καὶ ποία τις οὖσα
τοιοῦτον ἀπεργάζοιτο ἄν (Ch. 160 d 5-8)

Quest’esortazione ci aiuta a comprendere a pieno la caratterizzazione di Socrate come


corda bianca, le cui parole sono plasmate sull’orizzonte dell’interlocutore, riflettendone
caratteristiche e limiti. Se infatti nel confronto con Carmide Socrate spinge ad un’indagine
orientata verso l’interiorità, nella dialettica con Crizia la tendenza di Socrate sarà
esattamente contraria. Egli cercherà di condurre il dialogo in una dimensione esteriore e
politica, contrapponendosi al tentativo di Crizia di definire la sophrosyne esclusivamente
come autoconoscenza. Nella prima dialettica spinge dunque verso l’interno, diversamente a
quello che avverrà nella seconda dialettica. Carmide prova a compiere uno sforzo in
direzione dell’interiorità, generando la seconda definizione (160 e 3-5). Nonostante la
manifesta volontà di scendere ad un livello più profondo, Carmide non riuscirà a superare il
livello superficiale. Il repertorio a cui il giovane attinge è quello tradizionale, familiare al
lettore appartenente allo stesso ambiente di Crizia. La sostanza delle definizioni, unita alla
teatralità del suo ingresso e al carattere soprannaturale della sua bellezza, sono tutti
elementi che orientano l’immedesimazione del lettore verso Carmide.
Nella seconda parte della dialettica di Carmide con Socrate si comprende come essa
abbia qualcosa di fittizio. Una sorta di teatro nel teatro. Carmide imita, non riuscendo alla
fine nel suo intento, il più anziano parente, mentre Socrate utilizza per questa seconda
confutazione l’autorità di Omero, prendendo Od. XVII 347 e decontestualizzando il verso.
L’utilizzo di Omero da parte di Socrate richiama quello di Esiodo da parte di Crizia.
L’argomentazione di Crizia però, rispetto a quella socratica, risulta molto più articolata e
intimamente coerente482 . Curioso notare che dinanzi all’utilizzo del verso di Esiodo e dalla
diairesis di matrice prodicea da parte di Crizia, Socrate assumerà un atteggiamento
confutatorio483 . Inoltre in questa prima parte della dialettica sono del tutto assenti
indicazioni di metodo da parte di Socrate, al contrario frequenti nel dialegesthai con
Crizia484 . Questa significativa assenza, unita alla natura superficiale della confutazione
socratica, farebbe pensare ad una teatralità di questo primo blocco del dialogo. Ciò non
implica un carattere di finzione della maschera di Socrate, quanto piuttosto un adeguamento

482
supra, § III.2.2.
483
Anche nel Protagora (347 b 8) Socrate contesta l’utilizzo strumentale della poesia ed invita Protagora a
lasciare canti e versi e tornare all’indagine.
484
infra, § IV.2.3.
148
di Socrate al livello di Carmide e al carattere teatrale della presenza scenica di Carmide.
Che qui il giovane stia recitando un ruolo non suo diventa palese nel momemento in cui
assumerà, come un attore, le parole sentite da qualcun altro.

ἄρτι γὰρ ἀνεμνήσθην - ὃ ἤδη του ἤκουσα λέγοντος - ὅτι σωφροσύνη ἂν εἴη τὸ τὰ
ἑαυτοῦ πράττειν. σκόπει οὖν τοῦτο εἰ ὀρθῶς σοι δοκεῖ λέγειν ὁ λέγων.
καὶ ἐγώ, ὦ μιαρέ, ἔφην, ριτίου τοῦδε ἀκήκοας αὐτὸ ἢ ἄλλου του τῶν σοφῶν
(Ch. 161 b 5-c 1).

Ironicamente Carmide afferma di aver sentito da qualcuno questa definizione, non


svelandone l’identità. Il carattere fittizio e teatrale della prima dialettica - teatro nel teatro -
comincia a svelarsi nel momento in cui Carmide prende in prestito una definizione
appartenente a Crizia. Se prima aveva cercato di imitare Crizia adesso tradisce la sua
operazione: le sue parole diventano una copia delle parole del maestro. Inizialmente Crizia
nega la paternità della massima (161 c), cercando di mantenere ancora il silenzio e tradendo
così la sua volontà di eclissarsi lasciando parlare Carmide, riflesso dei suoi insegnamenti.
Ma Carmide è pur sempre un allievo di un grande poeta. Forse il migliore, ma pur sempre
subordinato. Il gioco teatrale tocca il suo momento estremo in 162 b 9- 11. Non riuscendo a
spiegare il senso profondo della massima, Carmide rompe definitivamente la finzione con
una provocazione: nulla impedisce che colui che ha detto queste parole non ne sapesse il
significato. Dicendo questo ridacchiava guardando verso Crizia. Diventa impossibile
mantenere la finzione e Crizia rompe il silenzio 485 , svelando il gioco di maschere. La sua
reazione vale come conferma:

(…) ὁ δ᾽ οὐκ ἠνέσχετο, ἀλλά μοι ἔδοξεν ὀργισθῆναι αὐτῷ ὥσπερ ποιητὴς ὑποκριτῇ
κακῶς διατιθέντι τὰ ἑαυτοῦ ποιήματα (Ch. 162 d 2-3)

La reazione di Crizia è quella di un poeta nel confronti di un cattivo interprete. Riceviamo


una conferma della mimesis di Carmide, che si era sforzato di divenire Crizia fino ad
assumerne le stesse parole. Carmide come ὑποκριτής , interprete di Crizia che a sua volta è
interprete della poesia più antica. Ma l’utilizzo della metafora tratta dal mondo letterario ha
una doppia valenza. Carmide è attore, ma è anche interprete. Questa seconda sfumatura del
termine si connette con la caratterizzazione di Crizia come poeta, la cui sostanza degli

485
Anche Nicia nel Lachete subentra in un secondo momento (194 c 7).
149
insegnamenti è quella, come si comprende bene da ciò che segue, inerente la produzione e
la critica letteraria. Dal punto di vista di Crizia Carmide deve ancora acquisire le sottili
tecniche di interpretazione letteraria. Ciò che segue (162 e) non è altro che un assaggio
avente funzione paradigmatica dell’attività prevalente di Crizia ai tempi dell’ambientazione
del dialogo, una prova dell’epimeleia486 che Crizia ha dedicato alla letteratura.
L’ingresso di Crizia segna una svolta e viene a coincidere con il silenzio di Carmide.
Carmide si eclissa: da cattivo attore - cattivo interprete, diventa spettatore. L’eclissarsi di
Carmide ha un effetto forte da un punto di vista mimetico. Il lettore, che era stato portato a
identificarsi con Carmide per tutta una serie di espedienti letterari (ingresso teatrale,
straordinaria bellezza, pudore, equilibrio), adesso è portato a ritirarsi nello stesso silenzio
ricettivo in cui si trova il giovane. Carmide, in altre parole, invita il lettore ad assistere alla
dialettica tra due grandi, sospendendo il giudizio.

IV.2.3 Dialegesthai di Crizia con Socrate (162 d 7 - 175 a 7)

E la dialettica comincia proprio come ci si aspettava dalla ricostruzione delle


precedenti dinamiche. Crizia in veste di maestro dà un assaggio della sua attività, quella in
cui investe il suo tempo: la critica e la rielaborazione letteraria. Carmide lo si immagina
proteso a cogliere gli insegnamenti di Crizia. Attraverso l’articolazione della seconda
dialettica sarà possibile trovare conferme ulteriori della tesi di Crizia poeta. In particolare è
la maschera di Socrate, nella sua neutralità, lo strumento primario per la comprensione di
Crizia. Nell’articolazione del testo diventerà chiaro come Socrate tenti di spingere Crizia
verso il suo limite, portandolo faccia a faccia, in un gioco di tensioni, con ciò che a lui
manca. Il secondo strumento per la comprensione di Crizia sulla scena è l’azione stessa di
Crizia, che troverà un suo momento culminante nella scena dell’aporia, dalle tinte
fortemente teatrali. Di seguito, gli snodi principali della seconda dialettica.
È stato già più volte notato nel corso del lavoro l’importanza di Ch. 163 a ss. Il saggio
di critica letteraria dal valore paradigmatico è perfetta espressione dell’identità di Crizia e
del gioco di relazioni dell’intellettuale con la realtà del suo tempo. In particolare: il carattere
enigmatico e quasi oracolare della massima rinvia ad Antifonte e alle sue interpretazioni dei
sogni e al contempo rinvia al vero Crizia che interpreta massime della tradizione

486
supra, § III.1.4. Il termine compare un’altra volta nel dialogo (156 e) a proposito dei medici greci che
trascurerebbero, a differenza dei Traci, l’anima nel curare il corpo. La cura dell’anima si ottieni con i kaloi
logoi. Nonostante il passaggio non sia immediato anche qui l’epimeleia è connessa al logos filosofico-
letterario.
150
sapienziale487 ; la presenza del piccolo catalogo dei mestieri rimanda all’elenco di mestieri
umili tramandatoci da Polluce e contemporaneamente ce ne fornisce un background
altamente verosimile488 ; le divisioni, le diaireseis, attraverso l’utilizzo strumentale di
Esiodo, marcano e confermano il legame con Prodico, reso palese dalla stessa voce di
Socrate e che trova conferme ulteriori sia nel Protagora sia nella lettura dell’Eracle al
bivio489 .
Nel passaggio dalla prima alla seconda definizione Crizia risulta estremamente
coerente. Avendo dimostrato il valore positivo dell’ergon, la sophrosyne diventa praxis ton
agathon (163 e 10), ossia il kalon ergon di cui parla Prodico 490 . A questo punto, come nota
Beversluis491 , Socrate manipola la conversazione, mettendo in bocca a Crizia parole che
non sono di Crizia492 . Nel farlo Socrate insegue uno scopo ben preciso. In 164 a introduce
infatti la delicata questione della consapevolezza di sapere da parte di chi è saggio e agisce
saggiamente493 . Crizia non si rende conto del pericolo delle parole di Socrate e della
direzione che egli vuole far prendere alla dialettica nel mettere in gioco il problema della
consapevolezza. Precedentemente abbiamo messo in evidenza come questo tema fosse
particolarmente caro a Crizia. La conferma si avrebbe da un frammento tramandatoci da
Stobeo tratto da una imprecisata tragedia 494 . Parte essenziale dell’etica criziana è la
conoscenza di se stesso da parte di chi è saggio. L’importanza di questi temi si riflette nel
Crizia del Carmide conferendogli grande autenticità. In particolare in 164 c 7 ss. Crizia è
disposto a ritrattare qualcuna delle affermazioni dette in precedenza piuttosto che convenire
che un uomo che ignori se stesso sia saggio.
L’importanza di questo concetto viene ribadita dalla III definizione: la sophrosyne
come τὸ γιγνώσκειν ἑαυτόν (164 d 4). Di seguito Crizia ci fornisce un ulteriore prezioso
esempio di critica letteraria, ulteriore indizio nel segno dell’autenticità della maschera 495 . Il
modo in cui si recupera l’oracolo di Delfi e lo si reinterpreta chiarisce, infatti, l’approccio di
Crizia con la tradizione. Un approccio critico, che non teme l’innovazione e la forte
provocazione. Crizia non teme di mettere la sua opinione sullo stesso piano di quella della

487
Per Antifonte § III.2.2. Per l’interpretazione di Crizia delle massime della tradizione sapienziale § III.1.4.
488
supra, § III.1.4.
489
supra, § III.2.2.
490
supra, § III.2.2.
491
Beversluis 2000, 144 (…) Socrates abruptly changes the subject (…).
492
Ch. 164 a 1-2, θαυμάζω, εἰ σωφρονοῦντας ἀνθρώπους ἡγῇ σὺ ἀγνοεῖν ὅτι σωφρονοῦσιν.
493
Cf. anche Ch. 166 d..
494
Stob. III 23,1 (terribile quando chi non ha senno sembra saggio). v. supra, § III.2.2.
495
Questa sezione riflette un atteggiamento di Crizia nel segno dell’autenticità. È possibile infatti trovare un
riscontro dei temi trattati nei frammenti di Crizia (supra, § III.1.4; § III.2). Per l’autenticità e la coerenza delle
argomentazioni di Crizia v. Tuozzo 2000, 296-305. Come Crizia, anche Protagora presenta nell’omonimo
dialogo un’azione improntata all’autenticità. Si veda a proposito Bertagna 2012, 91-100.
151
sapienza più antica (165 a 1) e non teme di ipotizzare senza riserve la mancata
comprensione da parte dei saggi del saluto del dio. Coloro che apposero le successive
iscrizioni presso Delfi credettero erroneamente che lo Gnothi seauton fosse un saluto del dio
e non un consiglio: καὶ γὰρ οὗτοι συμβουλὴν ᾠήθησαν εἶναι τὸ Γνῶθι σαυτόν, ἀλλ᾽ οὐ τῶν
εἰσιόντων ἕνεκεν ὑπὸ τοῦ θεοῦ πρόσρησιν, Ch. 165 a 4-6. Le successive interpretazioni,
infatti, sarebbero per Crizia frutto di un fraintendimento.
Socrate non assente né dissente, affermando di non sapere (165 b 5-c 1).
L’indicazione prettamente socratica segnala che qui, a differenza del confronto con
Carmide, la conversazione si attesti ad un livello più alto a maggiormente autentico.
Nell’indagine che segue s’introduce il concetto di episteme e dell’utile che l’episteme
produce. In altre parole Socrate cerca di effettuare un parallelismo tra technai come
medicina ed architettura, ognuna delle quali è una scienza avente un utile ben preciso, e la
sophrosyne, scienza di se stessa (concetto implicato dalla definizione precedente). Anche
qui Crizia si dimostra all’altezza della situazione, in quanto perfettamente consapevole della
differenza che intercorre tra le altre scienze e la scienza in questione. Da 165 e 2-5 si coglie
lo spessore del personaggio.

ἀλλ᾽, ὦ Σώκρατες, ἔφη, οὐκ ὀρθῶς ζητεῖς. οὐ γὰρ ὁμοία αὕτη πέφυκεν ταῖς ἄλλαις
ἐπιστήμαις, οὐδέ γε αἱ ἄλλαι ἀλλήλαις: σὺ δ᾽ ὡς ὁμοίων οὐσῶν ποιῇ τὴν ζήτησιν.

L’errore di Socrate sta nel fare la ricerca come se fossero le stesse. Caratteristica della
sophrosyne è l’essere, essa sola, scienza di se stessa e delle altre scienze. La caratteristica
predominante è proprio quella della riflessività. Crizia è perfettamente in grado di
smascherare l’operazione della dialettica socratica fino al punto da affermare:

καὶ ταῦτά σε πολλοῦ δεῖ λεληθέναι, ἀλλὰ γὰρ οἶμαι ὃ ἄρτι οὐκ ἔφησθα ποιεῖν, τοῦτο
ποιεῖς: ἐμὲ γὰρ ἐπιχειρεῖς ἐλέγχειν, ἐάσας περὶ οὗ ὁ λόγος ἐστίν (Ch. 166 c 3-6)

Socrate ha realmente finora cercato di confutare Crizia, pur condividendone gli argomenti, e
realmente sta cercando di portare la conversazione verso una ben precisa direzione. Davanti
all’evidenza Socrate riconosce di star facendo così, ma aggiunge che la ragione che lo
spinge a farlo è il timore di credere di sapere, pur non sapendo. Anche qui si riprende
puntualmente il frammento di Stobeo.

152
οἷον, ἦν δ᾽ ἐγώ, ποιεῖς ἡγούμενος, εἰ ὅτι μάλιστα σὲ ἐλέγχω, ἄλλου τινὸς ἕνεκα
ἐλέγχειν ἢ οὗπερ ἕνεκα κἂν ἐμαυτὸν διερευνῴμην τί λέγω, φοβούμενος μή ποτε λάθω
οἰόμενος μέν τι εἰδέναι, εἰδὼς δὲ μή (Ch. 166 c 7-d 2)

Beversluis496 , a proposito di questo passo in cui Socrate cerca di giustificare il suo


atteggiamento confutatorio, parla di mancanza di serietà da parte di Socrate. Al contrario si
sostiene che qui Socrate agisca in maniera conforme alla sua caratterizzazione, ossia
modellando le sue parole sulla base dell’interlocutore che ha di fronte. Subito dopo Socrate
esorta a ritornare all’indagine, focalizzandosi sul logos (166 e 1-2). La vicinanza delle
parole di Socrate all’etica criziana, unita all’importanza che per lo stesso Crizia aveva il
logos497 , ci lascia credere che qui Crizia acconsenta sinceramente e con convinzione ad
assecondare le complesse e geniali manipolazioni socratiche. La sua risposta, ancora una
volta, ci fornisce un elemento di caratterizzazione:

ἀλλά, ἔφη, ποιήσω οὕτω: δοκεῖς γάρ μοι μέτρια λέγειν (Ch. 166 e 3)

Crizia riesce fino ad un certo livello a far fronte a Socrate, restando saldamente ancorato alle
proprie convinzioni. Nell’approvare le parole di Socrate, infatti, applica le proprie
categorie498 : il termine μέτρια rimanda alla moderazione, concetto insito nella sophrosyne e
presente nei frammenti. La metriotes è centrale nell’orizzonte culturale di Crizia (cf.
Costituzione degli Spartani, 88 B6 DK = 4 GP2 = 6 West) e rientra nell’ideale di matrice
teognidea del buon simposio 499 .
Dallo scambio di battute è venuto fuori come Crizia fino a questo momento ponga
delle definizioni in linea con il suo pensiero, estremamente coerenti e legate l’una all’altra.

496
Beversluis 2000, 149. Sull’ironia socratica v. Sedley 2002, 37-57, che analizza l’ironia di Socrate dal punto
di vista dei commentatori antichi; Ferrari 2008, 1-33. Un tentativo di interpretare le dichiarazioni di sapere e
non sapere da parte del Socrate dei dialoghi c.d. socratici viene fatto da Wofsdorf 2004b, 75-142. W. tiene
conto giustamente della dimesione retorica del constesto, che varia da un dialogo all’altro, e degli interessi
drammaturgici dell’autore. Il ruolo di Socrate risponde ad un intento in ultima analisi pedagogico, che mette in
primo piano il logos letterario-filosofico, come si evince dalle sue dichiarazioni. Socrate è dunque funzionale
alla logica di Platone e, secondo Wolfsdorf (1999, 13-24), è anche Mouth-Piece dell’autore nella misura in cui
risponde all’inteto pedagogico dei dialoghi della prima fase. Per la questione di Socrate come portavoce del
pensiero di Platone si veda Press 2000.
497
supra, § III.2.1.
498
Petrucci (2013, 389-393), a proposio della caratterizzazzione di Socrate da parte di Alcibiade alla fine nel
Simposio, parla di gioco di specchi. Sebbene nel Carmide non sia possibile trovare una sezione singola in cui
si compie una caratterizzazione, è possibile tuttavia ravvisare lo stesso gioco di specchi tra Crizia e Socrate. Il
passo in questione ne è un esempio.
499
Del simposio paradigmatico si discute in rapporto al componimento esametrico per Anacreonte v. supra, §
III.2.1.
153
Questo avviene fino a 166 e 4-6, momento in cui viene ripresa ed espressa in termini chiari
la IV definizione della sophrosyne: scienza di se stessa e delle altre scienze. La risposta di
Socrate conduce al cuore del dialogo:

οὐκοῦν, ἦν δ᾽ ἐγώ, καὶ ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη ἂν εἴη, εἴπερ καὶ ἐπιστήμης;


(Ch. 166 e 7-8)

Nel riprendere la definizione di Crizia, Socrate aggiunge consapevolmente una piccola


variante: il motivo del sapere negativo. Il saggio non è solo cosciente di ciò che sa, ma
anche di ciò che non sa. A partire dalla coscienza del limite del suo sapere egli è in grado di
giudicare anche il limite del sapere altrui500 . La sophrosyne non è soltanto conoscenza
riflessiva, ma legittima anche a giudicare gli altri. In questa doppia valenza si colgono qui le
implicazioni politiche della virtù in esame. Il possessore di questa vistù infatti è legittimato
a governare su tutti coloro che non la possiedono. Socrate spinge intenzionalmente il
dialogo in questa direzione facendo della sophrosyne (167 c) una scienza delle altre scienze
e della non scienza. Ora, sarà l’aggiunta della dimensione negativa del sapere a mandare
Crizia in aporia. Siamo in presenza di un punto di svolta, come ci conferma l’invocazione a
Zeus soter, spia del carattere cruciale di ciò che segue501 . Fino a questo momento Crizia è
perfettamente in piedi, ma pur nella sua lucidità non riesce a dare il giusto peso all’aggiunta
di Socrate. Non è consapevole di star cadendo in una metaforica trappola. Fino a questo
momento le relazioni tra i personaggi non sono mutate: Crizia ha spinto il dialogo verso una
dimensione interiore di autoconoscenza, mentre Socrate ha mostrato di voler indirizzare il
discorso verso una dimensione esteriore, quella del vantaggio, dell’utile sociale della
scienza in esame. All’interno di questo gioco di tensioni Carmide, nel suo silenzio ricettivo,
resta ancora sotto l’orbita del suo tutore, apparentemente inattaccabile. Da qui a poco le
dinamiche muteranno.
Il metodo utilizzato da Socrate per far cadere Crizia è quello dell’analogia. Se prima
aveva posto sullo stesso piano la sophrosyne e le altre scienze, adesso effettua degli
azzardati parallelismi tra la sophrosyne e le sensazioni-affezioni, incurante
dell’avvertimento di Crizia di porre questo sapere su un piano differente. In altre parole si
mette in pratica l’equazione: se la sophrosyne è scienza di se stessa e delle altre scienze

500
Per il contributo del frammento di Antifonte alla comprensione di questa sezione del dialogo v. supra, §
III.2.2.
501
supra, § I.1 n. 44.
154
allora anche la vista l’udito e le sensazioni tutte possono essere sensazioni di loro stesse e
delle altre sensazioni.

Sophrosyne = scienza di se stessa delle altre scienza e della non scienza =>

vista = vista di se stessa delle altre viste e delle non viste =>

lo stesso per l’udito, le sensazioni in generale, e poi desiderio volontà amore paura502

Dalle sensazioni si passa dunque alle affezioni e da queste alle grandezze fino ad arrivare
all’impasse. Soltanto un megalos aner sarebbe in grado di operare le opportune distinzioni
(169 a), arrivando a capire quale delle scienze-sensazioni-affezioni abbia la propria facoltà
ascrivibile a se stessa e quale no.
L’aporia di Socrate, per un gioco di riflessi, diventa aporia di Crizia 503 .

καὶ ὁ ριτίας ἀκούσας ταῦτα καὶ ἰδών με ἀποροῦντα, ὥσπερ οἱ τοὺς χασμωμένους
καταντικρὺ ὁρῶντες ταὐτὸν τοῦτο συμπάσχουσιν, κἀκεῖνος ἔδοξέ μοι ὑπ᾽ ἐμοῦ
ἀποροῦντος ἀναγκασθῆναι καὶ αὐτὸς ἁλῶναι ὑπὸ ἀπορίας. (Ch. 169 c 3-6)

Il parallelo con lo sbadiglio diventa una metafora per la mimesis che si riflette nell’altro,
allo stesso modo di coloro che vedendo sbadigliare coloro che sono di fronte, sbadigliano a
loro volta. Quello che succede a Socrate e a Crizia succede parallelamente a Carmide, nel

502
La critica ha sempre messo in evidenza la difficoltà di far fronte a questo passo e in effetti è innegabile una
certa concettosità. Lo sguardo alla produzione di Crizia e al gioco di relazioni che Crizia intesse con i suoi
contemporanei ha fatto venire alla luce dei collegamenti che ci hanno permesso di carpire il senso di questa
sezione del dialogo. Il problema della riflessività cessa di apparire incomprensiibile se si tiene e mente:
1. la testimonianza di Antifonte che Socrate calca precedentemente, inerente alla facoltà del saggio di
conoscere se stesso e gli altri. Attraverso la tecnica dell’analogia questa testimonianza viene trasposta su
differenti piani. Questa necessità nasce dalle tensioni interne al testo. Socrate fin dalla dialettica con Carmide,
spinge il dialogo ad una dimensione esteriore, la dimensione collettiva dell’ophelia, che la sophrosyne
comporta. Essendo una virtù politica la sophrosyne, a differenza delle altre virtù, contiene in se stessa questa
doppia dimensione. Se Crizia si concentra su ciò che caratterizza l’io del sophron, ossia la conoscenza di sé
stessi (dimensione interiore), Socrate compie uno spostamento dalla conoscenza di sé stessi alla conoscenza
degli altri, per poi compiere un ulteriore passo in avanti: dalla conoscenza di sé e degli altri alla non
conoscenza, a ciò che non si sa. Al sapere positivo, viene affiancato il sapere negativo di Socrate, il classico
sapere di non sapere; 2. la testimonianza di Galeno (88 B40 DK; supra, § III.2.2) sulle distinzioni che Crizia
nelle Conversazioni avrebbe compiuto tra le aistheseis e la gnome. L’impasse è infatti generata da un’evidente
incapacità di operare distinzioni. Solo un megalos aner è in grado di distinguere quale episteme abbia la
propria facoltà ascrivibile a se stessa e quale invece no. Ora, Crizia in qualche momento della sua carriera si
occupato di queste distinzioni e Platone doveva esserne sicuramente a conoscenza nel momento in cui scrive il
Carmide. Alludendo a queste distinzioni Socrate allude probabilmente ad una questione di cui Crizia si era
direttamente occupato.
503
Cf. anche Men. 80a; Tht. 149a-b.
155
suo silenzio, e anche al lettore, che lentamente, insieme a Carmide, comincia a distaccarsi
dall’orbita di Crizia per avvicinarsi a quella di Socrate. Questo passaggio e la reazione che
ne segue è il più importante per la caratterizzazione del personaggio. Ora, bisogna chiedersi:
cosa impedisce a Crizia di rispondere con la sicurezza che lo contraddistingue? Questo
quesito ne implica un altro: cosa desidera Socrate da Crizia? La risposta a questa seconda
domanda la si trova in 169 b 5 ss.

σὺ οὖν, ὦ παῖ αλλαίσχρου - τίθεσαι γὰρ σωφροσύνην τοῦτ᾽ εἶναι, ἐπιστήμην


ἐπιστήμης καὶ δὴ καὶ ἀνεπιστημοσύνης - πρῶτον μὲν τοῦτο ἔνδειξαι, ὅτι δυνατὸν
ἀποδεῖξαί σε ὃ νυνδὴ ἔλεγον, ἔπειτα πρὸς τῷ δυνατῷ ὅτι καὶ ὠφέλιμον: κἀμὲ τάχ᾽ ἂν
ἀποπληρώσαις ὡς ὀρθῶς λέγεις περὶ σωφροσύνης ὃ ἔστιν.

Socrate chiede a Crizia di dimostrare: 1. l’esistenza di un sapere che, oltre ad essere


riflessivo, sia anche negativo; 2. una volta appurata l’esistenza di un tale sapere, di
dimostrarne l’utilità per la società (πρὸς τῷ δυνατῷ ὅτι καὶ ὠφέλιμον). Cosa impedisce
allora a Crizia di adempiere a questa richiesta? A nostro avviso la risposta la si trova nella
rappresentazione drammatica dell’aporia che segue.

(…) Crizia, abituato a distinguersi in ogni occasione, si vergognava di fronte ai presenti e non voleva
riconoscere di non essere in grado di compiere le divisioni che gli avevo chiesto, né disse nulla di
chiaro, nascondendo l’aporia (Ch,166 c 6-d 2) .

Rappresentazione drammatica dell’aporia di Crizia (169 c 3 - d 2)


=> fornisce elementi di caratterizzazione
=> svela attraverso la caratterizzazione le ragioni dell’aporein

Crizia non è in grado di fornire una soluzione all’aporia di Socrate, applicando il metodo
della diairesis. Al contempo non è in grado di ammettere di non sapere. La caratterizzazione
drammatica dell’aporia ci mostra il limite di Crizia. Socrate gli aveva chiesto una
dimostrazione (quesito 1) di un’episteme anapistemosynes. Dimostrare un sapere negativo
significa essere in grado di riconoscere di non sapere sia dinanzi a se stesso, sia dinanzi agli
altri. Crizia non è in grado di compiere questo passo e di ammettere il limite della sua
conoscenza. Attraverso la rappresentazione di Crizia sulla scena diventa allora chiaro cosa
manca a Crizia per superare l’aporia: una limitazione del sapere, un riconoscimento della
156
propria anepistemosyne504 . Riconoscendo questo si aprirebbe anche la possibilità di
risolvere il quesito n. 2: l’utile sociale di un tale sapere. È la capacita di porsi e porre un
limite al sapere proprio e altrui la chiave per l’utilità sociale e collettiva della sophrosyne505.
In Socrate la coscienza dell’utilità è forte anche se non può arrivare ad una certezza
razionale, dimostrata attraverso la dialettica. La convinzione diventa perciò presagio
veritiero (τὴν γὰρ οὖν δὴ σωφροσύνην ὠφέλιμόν τι καὶ ἀγαθὸν μαντεύομαι εἶναι, 169 b 4-
5).
Il presagio assumerà i contorni di un sogno (173 a) che non a caso è incentrato sulla capacità
di giudicare il limite del sapere altrui, la capacità di valutare la competenza dei vari saperi
evitando l’inganno. Da dove si genera l’inganno? Dal voler superare i confini del proprio
sapere, dall’incapacità di giudicare ciò che si sa e ciò che non si sa e di agire con la
coscienza di questo limite. Nella stessa direzione l’utopia del buon governo (171 d 1 ss.). Il
possesso della sophrosyne libera dall’errore e questo avviene per la seguente ragione:

γὰρ ἂν αὐτοὶ ἐπεχειροῦμεν πράττειν ἃ μὴ ἠπιστάμεθα, ἀλλ᾽ ἐξευρίσκοντες τοὺς


ἐπισταμένους ἐκείνοις ἂν παρεδίδομεν, οὔτε τοῖς ἄλλοις ἐπετρέπομεν, ὧν ἤρχομεν,
ἄλλο τι πράττειν ἢ ὅτι πράττοντες ὀρθῶς ἔμελλον πράξειν ( … ) Ch. 171 e 1-4

Si tratta ancora di riconoscere il proprio limite, non intraprendendo azioni di cui non si ha
competenza, e di riconoscere il limite altrui, affidando gli incarichi in rapporto alle diverse
competenze. In questa seconda parte della dialettica Socrate mette continuamente l’accento
sul sapere negativo, da affiancare a quello positivo, mentre Crizia sembra non essere più in
grado di smascherare, come prima aveva fatto, l’operazione socratica.
La conferma di questa interpretazione, che vede il limite di Crizia nell’incapacità di
riconoscere il limite del suo sapere, ci viene dal primo scambio di battute successivo alla
drammatizzazione dell’aporia. Concedendo l’esistenza di una scienza della scienza, per
quale motivo dovrebbe essere maggiormente possibile sapere ciò che uno sa e ciò che uno

504
Sui pericoli di questo tipo d’ignoranza e sui rischi connessi cf. Filebo 48 c ss. si tratta della c.d. ignoranza
del terzo tipo, che caratterizza le persone convinte di possedere una conoscenza di sé pur essendone prive. In
particolare odiosa risulta questo tipo di ignoranza se caratterizza personaggi forti e capaci di agire (Phil. 49 b
7-c 5), odiosa per coloro che ne subiscono l’effetto. Dietro questi personaggi la Nightingale (1995, 88-89)
riconosce i caratteri tragici. Potenzialemente Crizia potrebbe generare una mimesis negativa (Blondell, op.cit.
). La pericolosità intrinseca al personaggio Crizia è attenuata da strumenti letterari come l’ironia (sull’ironia
come mezzo per scongiurare una mimesis negativa v. Blundell 1992, 166. Qui si aggiunge che i rischi di una
potenziale mimesis negativa sono annullati favorendo l’identificazione del lettore con Carmide v. infra, §
IV.2.4-5. La Nightingale (2010, 13-16) sottolinea come la mancanza di self-knowledge da parte di Crizia, ossia
la sua mancanza di consapevolezza di non sapere, conduce all’aporia. Qui si sostiene invece che Crizia
possiede una forma di conscenza, ma soltanto nella dimensione positiva.
505
Palese questa accezione nel IV della Repubblica. Per cui supra, § II.2.1 (55-62).
157
non sa? Questo infatti, prosegue Socrate, dicevamo essere il conoscere sé stessi e l’esser
saggio. O no? (169 d 5 - 8). Di seguito la risposta di Crizia:

πάνυ γε, ἦ δ᾽ ὅς, καὶ συμβαίνει γέ που, ὦ Σώκρατες. εἰ γάρ τις ἔχει ἐπιστήμην ἣ αὐτὴ
αὑτὴν γιγνώσκει, τοιοῦτος ἂν αὐτὸς εἴη οἷόνπερ ἐστὶν ὃ ἔχει: ὥσπερ ὅταν τάχος τις
ἔχῃ, ταχύς, καὶ ὅταν κάλλος, καλός, καὶ ὅταν γνῶσιν, γιγνώσκων, ὅταν δὲ δὴ γνῶσιν
αὐτὴν αὑτῆς τις ἔχῃ, γιγνώσκων που αὐτὸς ἑαυτὸν τότε ἔσται. (169 d 9 - e 5).

Se una scienza è scienza di se stessa allora ne consegue che chi possiede questa scienza
conoscerà se stesso. Allo stesso modo di chi possiede la velocità ed è veloce, la bellezza ed
è bello. In questa argomentazione Crizia non inserisce il sapere negativo, dimostrando di
non aver colto le allusioni socratiche ad un sapere di non sapere. Il sapere di Crizia non è
capace di essere circoscritto e pertanto non può essere vantaggioso. Sebbene Socrate torni
più volte sull’argomento, Crizia non arriva a compiere il passo che vada nel segno della
divisione delle competenze.
Un ulteriore esempio lo si trova alla fine del dialogo. Crizia è approdato (174 b) alla V
ed ultima definizione, la sophrosyne come scienza del bene e del male506 . Socrate incalza
sulla questione dell’utilità della sophrosyne come scienza del bene e del male e Crizia
risponde:

τί δ᾽, ἦ δ᾽ ὅς, οὐκ ἂν αὕτη ὠφελοῖ; εἰ γὰρ ὅτι μάλιστα ἐστὶν ἡ σωφροσύνη, ἐπιστατεῖ
δὲ καὶ ταῖς ἄλλαις ἐπιστήμαις, καὶ ταύτης δήπου ἂν ἄρχουσα τῆς περὶ τἀγαθὸν
ἐπιστήμης ὠφελοῖ ἂν ἡμᾶς (Ch. 174 d 8 - e 3)

Il vantaggio deriva dunque dalla superiorità della scienza delle scienze, τῶν ἐπιστημῶν
ἐπιστήμη. Essendo in una posizione privilegiata è naturale per Crizia che essa presieda alla
scienza del bene (ἄρχουσα τῆς περὶ τἀγαθὸν ἐπιστήμης). Da ciò l’utilità. Anche nelle battute
finali del dialogo è del tutto assente dalle parole di Crizia il sapere negativo, unico sapere da
cui discende il vero utile. Non a caso Socrate risponde:

ἦ κἂν ὑγιαίνειν ποιοῖ, ἦν δ᾽ ἐγώ, αὕτη, ἀλλ᾽ οὐχ ἡ ἰατρική; καὶ τἆλλα τὰ τῶν τεχνῶν
αὕτη ἂν ποιοῖ, καὶ οὐχ αἱ ἄλλαι τὸ αὑτῆς ἔργον ἑκάστη; ἢ οὐ πάλαι διεμαρτυρόμεθα
ὅτι ἐπιστήμης μόνον ἐστὶν καὶ, ἄλλου δὲ οὐδενός: οὐχ οὕτω; (Ch. 174 e ).

506
Punto di arrivo dei dialoghi socratici. Cf. ad es. Lach. 199 c.
158
È chiaro che la sophrosyne, pur essendo scienza delle altre scienze, non può acquisire il
sapere tecnico e specializzato delle singole technai, come quella medica. In altre parole, il
sophron non è colui che pretende di essere medico, ma colui che riconosca per prima cosa la
sua incompetenza in medicina (ἀνεπιστημοσύνης ἐπιστήμη) poi, in un secondo tempo,
riconosca la competenza del medico e affidi ad esso il compito di curare, da cui l’utile 507 .
Alla fine del dialogo la situazione è la seguente: Crizia, pur essendo in aporia, non lo
ammette. Socrate addossa su di sé la colpa della direzione paradossale in cui è approdata la
dialettica: arrivare a considerare la sophrosyne qualcosa di svantaggioso (175 d). Sebbene il
limite sia di Crizia, Socrate lo attribuisce a se stesso, secondo un procedimento comune a
molti dialoghi508 . Nella prima parte della dialettica Crizia ha agito in maniera coerente al
suo profilo autentico di poeta, mostrando le sue acute capacità di critica letteraria, il suo
approccio con la tradizione, la lucidità del pensiero che lo porta a smascherare l’operazione
di confutazione socratica, l’interesse per l’individuo ed una conoscenza riflessiva di matrice
aristocratica. La dialettica assume una direzione diversa, come abbiamo visto, nel momento
il cui Socrate introduce il concetto del sapere di non sapere, ἐπιστήμη ἀνεπιστημοσύνης.
Nonostante le numerose allusioni, Crizia non si mostrerà all’altezza di operare le dovute
diaireseis. Non a caso Socrate indirizza la conversazione verso questa direzione. La scelta
degli argomenti infatti, fin dalla prima dialettica con Carmide è legata all’interlocutore.
Socrate pone a Crizia temi che erano di Crizia. Socrate è uno specchio. Mette in luce le
caratteristiche di chi gli sta di fronte, ma anche i limiti. Crizia viene portato a confrontarsi
con se stesso e con il suo limite, ossia l’incapacità di riconoscere il limite del suo sapere e di
dominare la sua azione. Come già detto, la rappresentazione drammatica dell’aporia di
Crizia è il punto in cui si coglie al meglio la sua caratterizzazione e il suo ruolo nella
dinamica del dialogo. Il limite di Crizia non sta solo nel non saper distinguere ciò che sa da
ciò che non sa, ma anche nell’incapacità di porsi un autocontrollo, come si nota nella scena
della sostituzione dell’interlocutore, anch’essa dai toni fortemente drammatici. Il dramma
consente, come si è visto, di mettere in risalto alcuni elementi a supporto dell’incapacità di
Crizia di definire la sophrosyne. Secondo la logica dell’intellettualismo socratico è però
l’incapacità di dare una definizione della virtù in esame la vera prova della mancanza di
possesso di tale virtù509 .

507
Cf. Ch. 171 e.
508
Cf. La. 190 e 7–9; 191 c7-8; Hp.Mi. 372 d; 376c.
509
Sulla priorità della definizione nel Socrate dei primi dialoghi v. Benson 1990, 19-65.
159
IV.2.4 Rottura del silenzio e ridefinizione dei ruoli (176 a 6 - d 5)

Quando Carmide riprende la parola la situazione è profondamente mutata. I ruoli non


sono più gli stessi. Il punto di sospensione in cui è arrivata la conversazione provoca un
ridisegnamento dei ruoli. Ciò che cambia è la posizione di Carmide in rapporto ai due
grandi. Prima Carmide era una maschera di Crizia, ne imitava i gesti e le parole. Adesso,
dopo il silenzio ricettivo in cui lo ha rilegato la dialettica, Carmide non è più solo
dipendente da Crizia, ma diventa anche dipendente da Socrate. Ritorna l’incantesimo a
disegnare il motivo della Ringkomposition. Carmide non è in grado di valutare se possieda o
meno la sophrosyne. Come potrei infatti sapere ciò che nemmeno voi siete stati capaci di
scoprire cosa mai sia? (176 a 6-8). E poi continua:

ἐγὼ μέντοι οὐ πάνυ σοι πείθομαι, καὶ ἐμαυτόν, ὦ Σώκρατες, πάνυ οἶμαι δεῖσθαι τῆς
ἐπῳδῆς, καὶ τό γ᾽ ἐμὸν οὐδὲν κωλύει ἐπᾴδεσθαι ὑπὸ σοῦ ὅσαι ἡμέραι, ἕως ἂν φῇς σὺ
ἱκανῶς ἔχειν (Ch. 176 b 1-4)

Carmide coglie il gioco ironico di Socrate e contemporaneamente dichiara di avere


assolutamente bisogno dell’incantesimo. Quel πάνυ tradisce un grande entusiasmo. Carmide
è perfettamente all’interno dell’aporia, ma a differenza di Crizia vive a fondo l’aporia.
Vivere l’aporia, dichiarare di aver bisogno dell’incantesimo, significa aprirsi all’incanto che
la letteratura filosofica di Platone genera 510 . Carmide compie un significativo spostamento
dall’orbita di Crizia a quella di Socrate. Adesso si trova perfettamente in mezzo. Da un lato
è legato al vincolo di ubbidienza nei confronti dei Crizia, dall’altro ha subito il fascino che
la dialettica Crizia - Socrate, piccolo assaggio di incantesimo, ha generato. Carmide diventa
amante di Socrate nella misura in si dichiara disposto a seguirlo giorno per giorno fino a
quando sia necessario. Socrate, da amante e vittima della straordinaria bellezza di Carmide,
diventa amato. Con Carmide e come Carmide anche il lettore, la cui identificazione con il
giovane è stata favorita da alcuni strumenti letterari511 , dovrebbe manifestare la sua
intenzione di fruire della dialettica, incantesimo che si compie attraverso il logos.
Alla fine del dialogo avviene quella che si potrebbe definire una biforcazione che solo
la letteratura rende possibile. Alla ricerca filosofica nel suo stadio potenziale si contrappone
il peso della dimensione storica nella sua tragicità. Il Carmide storico non si allontanerà mai

510
infra, § IV.2.5.
511
Non ultime le allusioni ad un anonimo interlocutore in lui Lampert (2010, 235) riconosce lo stesso Platone.
160
del tutto dall’orbita del maestro (176 b 9-c 2), mentre il Crizia storico non resterà il grande
poeta apragmon focalizzato sulla propria interiorità. Le cose, com’è noto, andranno
diversamente e la direzione che prenderanno gli eventi sarà quella della violenza, come
segnala, in maniera allarmante la presenza delle tre forme verbali in chiusura connesse alla
violenza (βιάσῃ, 176 c7; βιασομένου, 176 c 8; βιαζομένῳ, 176 d 2). La violenza è anche
quella della costrizione nei confronti di Socrate a cui, per citare il Carmide, non resta
nessuna decisione, come ci testimonia il Platone della VII Lettera512 . Ma se da un lato c’è la
storia, immodificabile nella sua tragicità, dall’altro c’è la letteratura. Essa sola consente di
far diventare Carmide modello e paradigma per il lettore. Le speranze nel giovane Carmide
sono vane, ma, attraverso lo strumento letterario, le speranze di un incantesimo si estendono
a tutti coloro che, come Carmide, sono disposti a vivere l’aporia.

IV.2.5 Un tentativo d’interpretazione: mimesis e aporia

Carmide insieme al lettore sperimenta in prima persona l’aporia, intesa come stadio
iniziale della ricerca filosofica, che porta il personaggio, in genere il fruitore di un dialogo, a
liberarsi della struttura cristallizzata che costituisce il bagaglio culturale, i valori della
tradizione e le posizioni politiche. Dopo aver assistito al duello, Carmide compie ciò che
Platone chiede al lettore. Sospendendo il giudizio diviene terreno fertile della ricerca
filosofica, metaforicamente espressa attraverso l’incantesimo letterario. L’incantesimo è
legato, come si è visto513 , alla mimesis. L’invito all’incantesimo è l’invito a lasciarsi
conquistare dai bei discorsi. In un’interpretazione del dialogo che mette l’accento
sull’elemento mimetico intrinseco al logos letterario-filosofico trova spiegazione anche
l’aporia. Un approccio mimetico al dialogo consente di vivere l’aporia, ossia di
sperimentarne la sua funzione, che coincide con la funzione dell’intero dialogo. Per vivere
l’aporia bisogna immergersi nel testo, entrare, come abbiamo cercato di fare, all’interno
delle dinamiche dei personaggi e all’interno delle loro tensioni. Queste dinamiche
conducono a Carmide. Specchio letterario di uno stadio del pensiero, il giovane parente di
Platone, nella sua incorrotta e pura bellezza, nella sua indole nobile e poetica, è la
caratterizzazione drammatica dell’aporia, specchio su cui riflettere l’alchimia interiore che
dall’aporia si genera514 .

512
Plat. Ep. VII, 324 e 1 ss. supra, § II.2.2.
513
supra, § IV.2.1.
514
Cf. Phaedr. 276 b (Socrate pone un contrasto tra giardino di Adone, i cui frutti vengono gettati nell’acqua, e
un terreno adatto, ossia - come si legge più avanti, 276 e 4 ss, - un’anima disposta a farsi impiantare i semi di
161
Conclusioni

Nel capitolo finale di questo lavoro abbiamo cercato di afferrare il ruolo di Crizia
all’interno del gioco dei personaggi del Carmide. È stato possibile capire l’azione di Crizia
attraverso la maschera di Socrate - corda bianca (154 b 9), la cui passività permette di
riflettere le caratteristiche principali dell’interlocutore che gli sta di fronte. Grazie alla
dialettica con Socrate sono emersi una serie di elementi di caratterizzazione, come
l’attenzione per la critica letteraria, con cui Crizia fa il suo ingresso nell’elenchos,
dimostrando di essere in grado di applicare, in maniera funzionale alla trasmissione di un
preciso messaggio, moderne tecniche d’interpretazione come la diairesis ton onomaton di
Prodico. Con quest’ultimo Crizia ha un rapporto che va al di là del mero utilizzo di una
tecnica e che si lega invece ad un codice di valori elaborato e reso attuale attraverso il
riutilizzo di Esiodo515 . Sempre dal confronto con Socrate è emerso l’interesse di Crizia per
la dimensione individuale del sapere, che lo porta a far coincidere la sophrosyne con il
precetto delfico dello gnothi seauton (Ch. 164 d 3-4). Tale attenzione per l’io e per la gnome
lo avvicina ad un’altra figura di intellettuale e politico dell’epoca: Antifonte di Ramnunte516
. È emersa inoltre la capacità di Crizia di porsi con estrema disinvoltura nel solco della
tradizione, equiparando la propria opinione a quella della tradizione più arcaica e fornendo
un’interpretazione originale di elementi tradizionali come le massime dei Sette Sapienti517 .
Dal dialegesthai tra Crizia e Socrate è venuto fuori come gli interessi di Crizia siano lontani
dalla politica e piuttosto incentrati sull’aristocratica apragmosyne. Socrate, al contrario,
cerca di porre in primo piano l’utilità politica e sociale del sapere di cui si cerca una
definizione. Infine abbiamo messo in risalto l’irascibilità del personaggio a cui si affianca,

discorsi dotati d’episteme da cui germoglieranno, in altre indoli, altri discorsi ancora, facendo in modo che il
seme sia immortale e che chi lo possieda sia felice).
515
Per il legame con Prodico v. supra, § III.2.2.
516
Per il legame con Antifonte v. supra, § III.2.2.
517
Ch. 164 d. supra, § III.1.4.
162
sul piano dell’intelletto, l’imbarazzo nel riconoscere dinanzi a Socrate e ai presenti il
proprio aporein518 .
Valutati nella loro globalità e tenendo presente le tensioni interne al testo questi
elementi ci mostrano una figura di intellettuale convinto di possedere un sapere che in realtà
non possiede. Crizia non è in grado di trovare una definizione di sophrosyne. E per il
Socrate dei dialoghi cosiddetti socratici questo equivale a non possederla 519 . Egli è un polo
negativo rispetto a Socrate. Al non sapere di Socrate, Crizia oppone un sapere solido e
inattaccabile, un sapere di cui Crizia è consapevole e che non è disposto a mettere in
discussione, anche se questo implica nascondere l’aporia. La grande scienza si scontra con
l’ignoranza socratica. Se Crizia teme di apparire ignorante di fronte agli altri, Socrate, al
contrario, teme di apparire in possesso di un sapere che in realtà non ha. L’impossibilità di
Crizia di adempiere alla richiesta socratica è dovuta, in parte, alla natura positiva del sapere
che lui propone. Il limite di Crizia è svelato in maniera inconfutabile dagli elementi
drammatici: l’incapacità di contenere l’ira nei confronti di Carmide e la drammatizzazione
dell’aporia sono, a nostro avviso, segnali forti che svelano l’assenza di sophrosyne, virtù
che nell’ottica tradizionale coincide proprio con l’enkrateia, con l’autocontrollo 520 .
La tensione che si genera dalla dialettica con Socrate confluisce e trova una soluzione
in Carmide. All’interno delle mutevoli relazioni tra i personaggi crediamo, infatti, che la
figura di Carmide sia quella verso cui, in un ottica mimetica, s’indirizza l’attenzione del
lettore. L’identificazione con Carmide è favorita da tutta una serie di espedienti letterari, tra
cui l’ingresso straordinario (Ch. 154 b 10 ss.) e il silenzio carico di attenzione durante una
parte consistente del dialogo, silenzio rotto solo alla fine per dichiarare la necessità
dell’incantesimo (Ch. 176 a 6 ss.). Tale identificazione permette di vivere, insieme a
Carmide, l’aporia e l’apertura alla ricerca che una tale esperienza comporta521 .
Se all’interno di questa logica il ruolo di Crizia è antitetico rispetto a quello di Socrate,
ciò non implica, come conseguenza, una caratterizzazione negativa del suo personaggio.
Rispetto alla caratterizzazione che di Crizia fornisce Senofonte nelle Elleniche522 , il ritratto
di Crizia nel Carmide presenta una maggiore complessità psicologica. Rispetto alla
contrapposizione radicale tra il Crizia senofonteo, dipinto in maniera assolutamente
negativa, e il personaggio di Teramene, polo positivo ed emblema di virtù, il ritratto che
esce dalla penna di Platone è più variegato e a tinte chiaroscure. Il Crizia del Carmide è una
518
supra, § IV.2.3.
519
A proposito si veda, tra l’altro, Benson 1990, 19-65.
520
supra, § II.2.1.
521
supra, § IV.2.4-5.
522
supra, § III.1.2.
163
complessa personalità d’intellettuale e poeta, in possesso di un sapere solido e capace, fino
ad un certo livello, di far fronte alla dialettica socratica e di smascherarne gli intenti523 .
Difficile diventa allora scorgere nel Crizia del Carmide le tracce del tiranno. Negli anni in
cui è ambientato il dialogo Crizia è lontano dalla politica e in piena apragmosyne524 .
Soltanto in un secondo tempo la situazione muterà e gli intellettuali come Crizia, che
facevano dell’inattività il loro cavallo di battaglia e che disegnavano su di essa la loro
identità, trovano le condizioni favorevoli per far divenire l’ideologia azione 525 . Ma anche
nel momento in cui Crizia si approccia alla politica lo fa come canuto intellettuale. Dalla
lettura delle fonti (Xen. Mem. II 3,2; Lys. XII, 43; Arist. Ath. Pol. 34,3); è emerso
chiaramente come il primo compito attribuito a Crizia sia quello della scrittura della
costituzione526 . Un compito, come è stato sottolineato da Németh, che ne fa un
Theoretiker527 . La sua prassi letteraria, fino a quel momento messa a frutto attraverso un
rapporto dialettico con la tradizione, diventa funzionale alla creazione della costituzione di
Atene e dunque alla politica. Alle soglie di questa attività il giovane Platone, come lui stesso
testimonia, si accende di entusiasmo 528 .
In linea può essere letto il ruolo di Crizia nel Timeo e nel Crizia529 . Nel Timeo viene
affidato a Crizia il compito di raccontare l’Atene ideale, città in grado di opporsi
all’espansionismo di Atlantide. Il racconto, udito da Crizia il Vecchio che a sua volta lo
aveva udito da Solone, viene rielaborato e narrato da Crizia 530 . Tale racconto seguirà nel
Crizia (108c ss.), concludendosi con il mito di Atlantide. La maschera di Crizia nel Timeo-
Crizia presenta dei tratti ascrivibili già al Crizia del Carmide: il legame con Solone, che è
anche legame critico con la tradizione, oltre che rapporto di parentela 531 , la natura teorica
della sua attività, la competenza di tipo filosofico e politico che lo abilita, a differenza di
poeti e sofisti, a diventare portavoce di questo antichissimo racconto 532 . Crizia è narratore e
poeta. Significativa in questo senso l’invocazione a Mnemosyne in apertura del racconto di
Atlantide nel Crizia (Crit. 108 c-d). La questione è complessa e dibattuta ed esula dagli
intenti di questo lavoro. Qui ci limitiamo ad osservare l’importanza delle consonanze tra i

523
supra, § IV.2.3.
524
Per il dibattito intorno ad apragmosyne e polypragmosyne v. supra, § II.2.1.
525
Carter 1986, 74.
526
supra, § III.1.
527
Németh 2006, 24 ss. supra, § III.1.1.
528
supra, § II.2.2.
529
supra, 141 n. 464.
530
Plat. Tim. 20 e ss. Si veda a proposito David 1984, 39 ss.; Erler 1998, 8 ss.; Arrighetti 2006, 194 ss.; Regali
2012, 60 ss.
531
Per il legame con Solone cf. Ch. 155a .
532
Il racconto dell’Atene delle origini viene narrato a Solone dai sacerdoti egiziani. A proposito David 1984,
33 ss.
164
Crizia di Platone che, nonostante la profonda differenza di contesto, vanno nel segno di
un’autenticità del ritratto di questo fondamentale personaggio all’interno del corpus.
L’ipotesi di un Crizia fondamentalmente poeta è resa valida da un confronto con la
sua produzione letteraria. I frammenti superstiti hanno fornito alcuni indispensabili indizi
della prassi letteraria di Crizia e degli intenti di tale prassi 533 . Oltre ai frammenti, utili sono
risultate le testimonianze della seconda sofistica su Crizia, che, se da un lato restituiscono
all’epoca moderna una questione fortemente problematica, dall’altro hanno il merito di
mettere l’accento sull’abilità letteraria di Crizia e sulle caratteristiche essenziali del suo fare
letteratura534 . Tra le caratteristiche principali che Filostrato ed Ermogene mettono in rilievo
emerge la cura formale, la semnologia e l’originalità dell’invenzione. Ora, dal confronto
incrociato del Crizia del Carmide e di quello autentico dei frammenti è stato possibile
trovare dei riscontri puntuali delle caratteristiche che, secondo l’opinione dei retori della
seconda sofistica, sono costitutive della letteratura di Crizia 535 :

a) Tanto nella letteratura di Crizia, quanto nel Carmide abbiamo trovato un riscontro
dell’interesse per la cura formale, l’epimeleia. In particolare in Ch. 162 e e in Crizia 88 B9
DK.

b) La semnologia si apprezza nelle diverse definizioni che Crizia dà della sophrosyne nel
Carmide536 . Diversi frammenti, poi, lasciano trasparire una solennità di fondo unita alla
sentenziosità, ricordiamo ad esempio 88 B7 DK, in cui alla massima del μηδὲν ἄγαν, creata
dal sapiente Chilone, Crizia ne accosta una di sua creazione: καιρῷ πάντα πρόσεστι καλά537.

c) L’originalità, infine, che ne fa un rappresentante dell’atticismo, è testimoniata, tra l’altro,


da tutta una serie di termini che Polluce attribuisce a Crizia (88 B64-70 DK). A tali termini
se ne lega uno presente nel nostro dialogo. In Ch. 163 b, sezione di critica letteraria, viene
interpretata, attraverso Esiodo, la massima del to ta heautou prattein. Lì compare un piccolo
catalogo di mestieri: οὐδενὶ ἂν ὄνειδος φάναι εἶναι σκυτοτομοῦντι ἢ ταριχοπωλοῦντι ἢ ἐπ᾽
οἰκήματος καθημένῳ; οὐκ οἴεσθαί γε χρή … (Ch. 163 b 3 – 8). ταριχοπωλοῦντι è un
termine che per struttura e semantica richiama molto da vicino i nomi del più esteso
catalogo dei mestieri tramandatoci da Polluce, che si ipotizza appartenesse ad un’Athenaion
533
supra, § III.1.3-4; § III.2.1-2.
534
supra, § III.1.3.
535
supra, § III.1.4.
536
supra, § I.1.
537
supra, § III.1.4.
165
Politeia di cui non è rimasta traccia 538 . Tra i termini elencati troviamo infatti χαλκοπῶλαι,
σιδηροπῶλαι, λαχανοπῶλαι κτλ. Il pesciaiolo del Carmide è, come i venditori
dell’Onomasticon di Polluce, un hapax. Aver rintracciato all’interno del Carmide un
termine che per struttura e per semantica richiama l’elenco di Polluce induce a credere
all’autenticità della maschera di Crizia nel Carmide e contemporaneamente fornisce un
suggerimento per l’interpretazione del contesto nel quale questa sequenza di nomi doveva
comparire. Un contesto, verosimilmente, di critica letteraria affine a quello di Ch. 164 b.
All’interno di un tale contesto troviamo Crizia alle prese con delle polarizzazioni tra
l’attività aristocratica, di cui si marca la superiorità e l’unità, e l’attività degli artigiani e dei
venditori, estremamente specializzata e per questo fonte di vergogna.
L’ethos che emerge da questo contesto è comune ad altre figure nel panorama
intellettuale dell’epoca. Come abbiamo accennato, sono due le figure che ebbero un
notevole influsso sulla riflessione e la prassi della letteratura di Crizia: Prodico, il cui nome
compare nel nostro dialogo a seguito della sezione della critica letteraria (Ch. 164 d 4) e
Antifonte, la cui Homonoia, in ciò che ne rimane, mostra un’aderenza forte alle tematiche
del nostro dialogo. Dalle vicende biografiche all’etica sono notevoli i punti di contatto tra
Crizia e Antifonte539 . Tra questi anche l’attività d’interpretazione. Cicerone (De divinatione
I 51 116) testimonia l’attività d’interpretazione dei sogni di Antifonte. Tale attività coincide
con l’interpretazione degli oracoli, campo familiare a Crizia. Questo genere di
interpretazione coincide con l’interpretazione di un testo letterario: sunt enim explanatores
ut grammatici poetarum540 .
Prodico è accostato a Crizia anche in Prot. 336d7-337a7. All’intervento di Prodico segue
quello di Crizia, che dimostra di porsi in linea con l’ideologia aristocratica prodicea541 . Se
Crizia utilizza in maniera consapevole il metodo della sinonimica, metodo innovativo
introdotto dallo stesso Prodico, il sofista di contro mostra dai frammenti, e dall’apologo di
Eracle al bivio tramandatoci da Senofonte (Xen. Mem. II 1, 20-34) di contribuire ad un
processo di creazione, sulla base dell’etica tradizionale, di un’identità aristocratica. Ruolo
chiave, in questo processo, è quello della letteratura. Conoscere la letteratura del passato,
saperla interpretare e contemporaneamente saperne creare e inventare di nuova diventa parte
costitutiva della formazione aristocratica. La prassi letteraria diventa sostanza dell’identità
aristocratica, ma anche mezzo attraverso il quale essa si realizza. Abbiamo visto nell’Eracle

538
supra, 112 n. 365.
539
supra, 124.
540
supra, § III.2.2.
541
supra, § III.2.2.
166
al bivio di Prodico (Xen. Mem. II I, 31) come ciò che la Virtù rinfaccia al Vizio è di essere
priva di ciò che in assoluto è più dolce ascoltare (τοῦ δὲ πάντων ἡδίστου ἀκούσματος): una
lode si sé, ἔπαινος σεαυτῆς. Si loda nella speranza forte di venire a sua volta lodati. Se
l’epainos diventa un punto di arrivo di un percorso di crescita, la letteratura aristocratica per
eccellenza diventa quella degli encomi. La letteratura encomiastica è un genere caro al
Crizia dei frammenti e a quello del Carmide. Tra i frammenti ricordiamo il componimento
in esametri in cui si loda Anacreonte (88 B1 DK = 8 GP ) e nel Carmide ricordiamo
l’encomio che Crizia compie di Carmide (Ch. 155a), quello che Socrate compie della
famiglia di Crizia e Carmide lodata a sua volta (ἐγκεκωμιασμένη) da Solone, Anacreonte e
da molti altri poeti (Ch. 157 d).
Su questa scia si pone Platone. La centralità dell’encomio la si ritrova in particolare nel X
della Repubblica. Lì l’encomio, accanto all’inno, è l’unica forma di mimesis letteraria che
Platone, attraverso Socrate, concede nella città ideale 542 .
Questo il quadro di relazioni che emerge dal Carmide. Crizia è un intellettuale a tutto
tondo. Il processo di rivalutazione dell’io avviato da Antifonte trova in questa affascinante
personalità una tale evoluzione ed un tale affinamento da portare lo stesso Crizia ad avere
un altissimo concetto di sé, un io senza limiti in cui non trova posto la dimensione etica
dell’autocontrollo e quella psicologica del riconoscimento di ciò che non si sa. È con questo
grande concetto di sé che Crizia si approccia alla politica. Innegabile una deriva violenta nel
governo dei Trenta e altrettanto innegabile un ruolo centrale di Crizia all’interno di questi
eventi543 . Ma sarebbe un errore voler identificare il fulcro della vicenda esistenziale di
Crizia e della sua riflessione ed elaborazione letteraria in quella che è la fase finale della sua
attività. La morte in battaglia lega Crizia in maniera inequivocabile ad episodi di violenza e,
insieme a Crizia, il più giovane Carmide, che metterà al primo piano l’obbedienza al
maestro piuttosto che l’incantesimo letterario che dalla dialettica con Socrate si genera544 .
Crizia allora non fu il tiranno sanguinario che Senofonte vuole far credere? La
questione è ancora aperta e di difficile soluzione. In altre parole, non è possibile valutare
quanto del furore e della cieca violenza del tiranno sia ascrivibile a Crizia. Tale questione
continuerà ancora a dividere la critica e a condizionare l’interpretazione della letteratura di
questo brillante poeta. I moderni spesso, allo stesso modo di Carmide (Ch. 162 d) si rivelano
cattivi interpreti della sua opera. Ma ciò che Crizia fece o non fece durante il governo dei

542
supra, § III.2.2. Regali 2012, 32 ss. Per la critica della poesia e della sofistica nel X della Repubblica si
veda recentemente Notomi 2001, 299-326.
543
supra, § III.1.
544
Si allude a quest’obbedienza alla fine del dialogo, in Ch. 176c.
167
Trenta, le morti ingiuste e i processi sommari, il periodo di terrore e la costrizione esercitata
sugli altri politici, è questione che pertiene ad una parte, quella finale, della vita di Crizia.
Noi in questa sede ci siamo occupati del Carmide e dunque di un giovane Crizia distante da
ogni possibile fallimento o tirannia, disposto a discorrere con Socrate, di ritorno dalla
battaglia di Potidea, della sostanza e dell’utilità della sophrosyne.
Lontano da ogni violenza il Crizia del Carmide, insieme alle maschere corrispondenti
di Crizia nel Protagora, nel Timeo e nel Crizia, ricorda, riecheggiando le convinzioni
profonde del grande filosofo, il valore e la centralità della letteratura, mezzo e compimento
di un ergon heautou.

168
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