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Premessa:
Il corpo umano è una macchina complessa e al contempo perfetta,
almeno per quanto concerne gli aspetti strettamente fisiologici, qualora si
escludano eventuali problematiche di origine genetica e strutturale. Si ritiene sia
possibile per tutti indistintamente ottenere il controllo degli equilibri tra strutture
ossee e masse muscolari, un compendio di forze, leve, pressioni aeree che
consentono di controllare l’equilibrio verticale, detto stazione eretta.
E’ necessario considerare che la maggior parte degli equilibri strutturali
del corpo umano hanno come fulcro la colonna vertebrale, il nostro vero e
proprio asse portante.
collo verso l’alto con conseguente restrizione dello spazio d’azione della laringe.
Inoltre si verifica l’indurimento del dorso linguale, unico possibile antagonista
della mandibola nel tentativo di ottenere una improbabile apertura della bocca,
punto fondamentale dell’emissione parlata e soprattutto cantata.
La muscolatura addominale si troverà ad essere costantemente in
tensione per contrastare la carenza di sostegno della colonna vertebrale,
rendendo impossibile l’apertura del diaframma, così come il suo successivo
innalzamento o la compartecipazione alla tecnica di appoggio (vedi
”L’appoggio”).
2. spalle chiuse: intese come curve verso l’interno della cassa toracica.
Questa condizione deve essere considerata scorretta in quanto limitante
nei confronti dell’atto inspiratorio come di quello fonatorio.
il protrarsi nel tempo di tale postura crea conseguenti curve cifotiche
sulla colonna vertebrale e determina un aspetto generale tipico della figura
depressiva, sintomatica dell’impossibilità di comunicare apertamente con il
mondo circostante, né attraverso la forma parlata, né in quella cantata.
che essa rappresenti, e qui si entra nel campo delle probabilità, il nostro stato
d’animo in quel preciso momento. Attenzione non stiamo parlando di quali
parole o frasi vengano cantate ma dell’incertezza o peggio della disistima con la
quale frasi di qualsiasi tipo vengano poste.
Allo stesso modo sarà sgradevole una proposta vocale carica di
presunzione e di superiorità, ed in tutta sincerità molti di noi cantanti, più o
meno umili, cadono frequentemente nella sensazione dell’auto compiacimento
vocale, in quella volontà di onnipotenza che cancella l’emozione nell’ascoltatore
generandone il successivo rifiuto. In fondo non ci interessa sentire quanto
qualcuno sia bravo se non comunica con noi, non ci interessa assistere alla sua
magnificenza, se non per brevi tratti di iniziale stupore.
I grandi della vocalità, ma se vogliamo dell’arte in genere, sono ricordati
per l’amore e l’umanità per la dolcezza e la follia, per l’idealismo e la
disperazione, addirittura per la debolezza espressa nelle loro opere, che
nascevano dal bisogno di comunicare stati d’animo e sensazioni del tutto
umane e normali.
Non c’è nel cantare nulla di divino, sennonché si classifichi come tale la
forma, ben sapendo tutti noi che i miracoli sono considerati tali in quanto capaci
di mutare l’inevitabile corso delle cose. In molti avremmo voluto che una
canzone cambiasse più di una cosa ma questo realmente non è mai accaduto,
grandi e piccole voci hanno narrato grandi e piccole storie, nulla di meno, nulla
di più…
Ecco come la presunta divinità del cantare sfumi in un alito di vento.
Sono le emozioni espresse e riconducibili all’ascoltatore a generare la
fortuna di un artista, la storia musicale insegna a tutti noi che cantanti con
estensioni del tutto irrilevanti hanno ottenuto spazi di livello mondiale grazie al
loro suono e alla loro capacità di comunicazione emotiva. Insomma credere in
se tanto da avere il coraggio di esprimersi, e pronti un istante dopo ad essere
umili, perché dare è il miglior modo per potersi aspettare di ricevere qualcosa