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Leopardi, Giacomo

Giacomo Leopardi

1. Vita
Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798. E’ il primogenito del conte Monaldo e della marchesa
Adelaide Antici. L’infanzia del piccolo L. è segnata dal carattere arcigno della madre che si occupò del
patrimonio della famiglia a seguito del dissesto del patrimonio nel 1803. All’età di 10 anni è gia in grado di
scrivere composizioni in latino e piccole trattazioni filosofiche.

Più importante dell’insegnamento dei precettori su il rapporto con la biblioteca paterna, ricchissima di testi
di erudizione, cultura classica ma anche una buona rappresentanza di testi letterari, italiani e stranieri. Tra il
1809 e il 1816 hanno luogo quei “sette anni di studio matto e disperatissimo” che conferiranno alla cultura
di L. una vastità e sicurezza straordinarie. Giacomo si farà la mano traducendo i classici: Omero, Orazio,
Esiodo e Virgilio. Nascono in questo periodo le prime opere come “Storia dell’astronomia”, “Saggio sopra gli
errori popolari degli antichi” e l’ “Orazione agli italiani in occasione della liberazione del Piceno” in cui
l’autore segue gli orientamenti reazionari del padre esaltando il vecchio dispotismo illuminato e si propone
di distogliere gli italiani da aspirazioni patriottiche. Dedicatosi a studi filologici si impadronì del latino, del
greco, dell’ebraico e del sanscrito e si dedicò allo studio dell’evoluzione storica delle lingue. Nel 1816 si
colloca quella che L. definì “conversione letteraria”, il “passaggio dall’erudizione al bello”. L’autore
abbandona gli studi filologici e si entusiasma per i grandi poeti: Omero, Virgilio e Dante. Legge inoltre i
moderni: Rousseau, la vita di Alfieri, Werther e Ortis. Dopo aver letto la de Stael entra in contatto con la
cultura “romantica”. Risalgono a questo periodo “le Rimembranze” e la cantica “Appressamento alla
morte”. Nel 1817 ha inizio la corrispondenza con il letterato piacentino Pietro Giordani, nel dicembre dello
stesso anno si innamora per la prima volta della cugina Gertrude Cassi Lazzari. L’amicizia con Giordani
favorisce la rottura con le posizioni cattoliche della famiglia e nel 1818 L. comincia a organizzare la sua
formazione in un sistema teorico originale e coerente. Nel ’19 in seguito alla visita di Giordani a Recanati L.
sente il bisogno di fuggire da quella specie di prigione ma il suo tentativo di fuga viene sventato dal padre e
cade dunque in un abbattimento ancora più profondo. Tra il 1819-22 L. affida allo Zibaldone molte sue
riflessioni che segnano la sua “conversione filosofica”, ovvero l’adesione ad una concezione materialistica e
atea. Il ’19 è un anno di intense sperimentazioni letterarie e avviene, a detta di Leopardi, il passaggio dal
“bello al vero”. Nel 1822 si reca a Roma presso gli zii Antici ma l’ambiente non piace a L., dunque nel 1823
fa ritorno a Recanati e si dedicherà alla composizione delle Operette Morali. Nel ’25 si reca a Milano ove
scriverà un commento al Canzoniere petrarchesco, nonché due Crestomazie della prosa e della poesia. Qui
incontrerà il vecchio Monti mentre a Bologna, invece, frequenterà Giordani e si innamora della contessa
Malvezzi. Sarà poi a Firenze nel 1827 ma rifiutò di collaborare con la “Nuova Antologia” di Vieusseux.
Neanche Firenze piace al poeta e dunque l’anno seguente andrà a Pisa ove comporrà A Silvia e Il
Risorgimento. E’ nuovamente costretto a fare ritorno a Recanati a causa della sua indigenza e compone altri
quattro canti. Nel ’30 torna a Firenze grazie al sostegno economico degli amici fiorentini che gli consentirà
di vivere in Firenze per un anno. Si innamora di Fanny Targioni Tozzetti e intanto consolida la sua amicizia
con Antonio Ranieri. Leopardi e Ranieri si trasferiscono infine a Napoli. Le condizioni di salute di L. si
aggravano. Leopardi muore a Napoli nel 1837.

2. Il sistema filosofico leopardiano


Si è a lungo negato che il pensiero di L. abbia una rilevanza filosofica. Esso mancherebbe infatti dei requisiti
necessari alla speculazione: 1) Sistematicità; 2) Coerenza; 3) Originalità. Solo dopo la II guerra mondiale
queste posizioni vengono superate riconoscendo l’importanza della speculazione leopardiana. Si corre però
un rischio diverso ma forse non meno grave: fare di L. un pensatore proprio perche non sistematico e non
coerente. Grande proprio perché aperto e privo di ideologie. Ciò significa adattare L. a categorie successive
di asistematicità concettuale o addirittura di disimpegno ideologico del nostro tempo. Luperini sostiene che
l’arte è sempre fondata sul pensiero filosofico. I due criteri guida sui quali L. tanta di adeguare le proprie
riflessioni sono la rispondenza alle esigenze profonde del’individuo ed ai caratteri della condizione umana in
sé considerata. Il “vero” che interessa a L. è il vero esistenziale dell’io ed è il vero sociale dei molti. Tutta
l’opera leopardiana si fonda su un “sistema di idee” contemporaneamente meditate e sviluppate il cui
processo di formazione, prima dell’approdo ai testi compiuti, si può seguire attraverso le pagine dello
Zibaldone. Tra il 1817-18 L. percepisce l’influenza di Rousseau. L’autore affronta un nodo problematico che
resterà sempre al fondo del suo pensiero: l’infelicità dell’uomo. Il poeta identifica la felicità con il piacere
sensibile e materiale ma l’uomo non desidera un piacere qualsiasi, bensì Il Piacere: aspira cioè ad una
piacere che sia infinito per estensione e per durata. Pertanto, siccome nessuno dei piaceri particolari,
goduti dall’uomo, può soddisfare questa esigenza, nasce in lui un senso di insoddisfazione perpetua, un
vuoto incolmabile dell’anima. Da questa tensione inappagata verso un piacere infinito che sempre gli
sfugge, nasce per L. l’infelicità dell’uomo, il senso della nullità di tutte le cose. L. si preoccupa di sottolineare
che ciò va inteso non in senso religioso e metafisico(come tensione verso un’infinità divina aldilà delle cose
contingenti) ma in senso puramente materiale.
L’uomo per L. è necessariamente infelice per costituzione, ma la natura che è concepita dall’autore come
madre benigna è provvidenzialmente attenta al bene delle sue creature, ha voluto sin dalle origini offrire un
rimedio all’uomo: l’immaginazione e l’illusione, grazie alle quali ha nascosto all’uomo le sue effettive
condizioni. Per questo gli uomini primitivi e gli antichi greci e romani, che erano più vicini alla natura(come
lo sono i fanciulli), e quindi capaci di illudersi e di immaginare. Il progresso della civiltà, opera della ragione
ha allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata, ha messo sotto i suoi occhi il “vero” e lo ha reso
infelice e ha abbandonato l’uomo ad una infelicità sempre più consapevole e insopportabile .
2.1 Pessimismo storico
La prima fase del pensiero di L. è costituita sull’antitesi tra Natura e Ragione, tra antichi e moderni. Gli
antichi alimentati di generose illusioni, erano capaci di azioni eroiche; la loro vita era più attiva e intensa.
Perciò essi erano più grandi di noi sia nella vita civile sia nella vita intellettuale. Il progresso della civiltà e
della ragione spegnendo le illusioni, ha spento ogni slancio magnanimo, ha reso i moderni incapaci di azioni
eroiche, ha generato viltà, meschinità, corruzione dei costumi. La colpa dell’infelicità è dunque attribuita
all’uomo stesso. L. dà un giudizio durissimo sulla civiltà dei suoi anni(cappa oppressiva della Restaurazione),
egli la vede dominata da inerzia e dal tedio, in particolare per l’Italia. Scaturisce da qui la tematica civile e
patriottica e ne deriva anche un atteggiamento titanico. Questa fase è stata definita “pessimismo storico”:
nel senso che la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di un
allontanamento dalla condizione di originata felicità. Per i moderni vi sono tuttavia ancora dei margini per
recuperare le grandi illusioni degli antichi. Ciò è possibile attraverso l’azione e l’eroismo(All’Italia); e in
particolare attraverso il rischio e il disprezzo della vita (Ad un vincitore nel gioco del pallone). L’aspirazione
civile di alcune canzoni di questo periodo testimonia la fiducia nella recuperabilità dei grandi valori del
mondo.
2.2 Pessimismo cosmico
Negli anni tra il 1819-23 entra in crisi il “sistema della natura e delle illusioni”, a causa del modificarsi dei
vari elementi che lo sorreggono. In questi anni L. acquisisce un punto di vista materialistico ispirato al
meccanicismo settecentesco e viene respinta dal poeta l’esistenza di elementi spirituali. L’autore sostiene
che “il corpo è l’uomo” dunque il corpo pensa, è “materia pensante”. La causa dell’infelicità umana è
indicata nel rapporto tra il bisogno dell’individuo di essere felici e le possibilità di soddisfacimento obiettivo;
l’uomo aspira al piacere ma questo piacere è sempre superiore al piacere conseguito e conseguibile.
Essendo illimitato è destinato a non essere mai soddisfatto. Entrando in crisi il concetto di natura benigna L.
vede la natura come una forza che mira non al bene dei singoli individui ma alla conservazione della specie
e per questo può anche sacrificare il bene del singolo. Il male quindi non è un semplice accidente, ma
rientra nel piano stesso della natura, si rende conto anche che la natura ha messo nell’uomo quel desiderio
di felicità infinita senza dargli, però, i mezzi per soddisfarlo. In una fase intermedia L. cerca di uscire da
questa contraddizione attribuendo il male al fato e propone una concezione dualistica: Natura benigna e
Fato.
Ben presto rovescerà la sua concezione della natura(come emerge chiaramente nel Dialogo della Natura e
di un Islandese). La natura non più madre amorosa e provvidenziale diviene un meccanismo cieco,
indifferente dinnanzi alla sorte delle sue creature, la loro distruzione è legge essenziale, gli individui devono
perire per consentire la conservazione del mondo. Non è più una concezione finalistica ma meccanicistica e
materialistica. La natura non è più una madre amorosa e provvidenziale, ma meccanismo cieco, indifferente
dinnanzi alla sorte delle sue creature; meccanismo crudele in cui la sofferenza degli esseri e la loro
distruzione è legge essenziale per consentire la conservazione del mondo. La colpa dell’infelicità non è da
imputare più all’uomo stesso ma alla natura. L’autore presenta la natura, somma di leggi oggettive, come
una divinità malvagia che opera deliberatamente per far soffrire le sue creature. Coerentemente con
l’approdo materialistico muta anche il senso dell’infelicità umana: prima, in termini sensistici, era concepita
come l’assenza di piacere; ora l’infelicità è dovuta a mali esterni a cui nessuno può sfuggire: malattie,
morte, eventi atmosferici e cataclismi concorrono tutte a generare l’infelicità nell’uomo. Anche gli antichi,
pur essendo capaci di illudersi e immaginare, erano vittime del terribile male. Subentra dunque al
pessimismo storico della prima fase, un pessimismo cosmico. Nel senso che l’infelicità non è più legata ad
una condizione storica e relativa dell’uomo, ma ad una condizione assoluta, diviene un dato immutabile ed
eterno. L. abbandona la poesia civile e il titanismo ed assume un atteggiamento contemplativo, ironico e
distaccato. Il suo ideale non è più l’eroe antico ma il saggio antico, soprattutto quello stoico, la cui
caratteristica è l’atasarria. Ma la rassegnazione non è propria dell’indole di L., in cui tornerà l’atteggiamento
di protesta, di sfida al fato e alla natura (la ginestra.)

2.3 Natura e civiltà


Alla condanna della civiltà si sostituisce una considerazione di essa positiva e negativa allo stesso tempo: da
una parte la civiltà è l’arma attraverso la quale l’uomo ha smascherato la verità della propria condizione,
recuperando la dignità della coscienza. Ne segue l’esaltazione del razionalismo europeo che va dal
rinascimento al ‘700 ed a una condanna ad ogni forma di religione ed al Medioevo. D’altra parte la civiltà,
sottraendo l’uomo al dominio delle forze naturali e delle illusioni lo ha reso più egoista e più fragile. Le
società moderne vedono una lotta disperata per l’affermazione individuale, una lotta di tutti contro tutti.
Nel 1830 torna in primo piano l’esigenza dell’impegno civile.Lo sforzo degli esseri umani de essere rivolto a
soccorrersi scambievolmente: gli uomini consapevoli del male comune e del nemico comune(la natura),
devono allearsi(creando una >) per ridurre il più possibile il dolore di tutti gli uomini e accrescere la felicità
consentita dal loro stato bio-fisico.
3. La poetica
Il “discorso di un italiano intorno alla poesia romantica” è l’opera in l’autore espone la sua poetica e i punti
più essenziali della stessa. Leopardi la inviò all’editore Stella nel marzo del 1818, in risposta ad un articolo di
Ludovico di Breme. Il rifiuto delle teorie romantiche riguarda il rapporto tra poesia e sensi. Egli denuncia i
Romantici per aver ricercato “la poesia dal visibile all’invisibile” e “dalle cose alle idee”. I Romantici tagliano
il legame tra poesia e natura. Per L. la poesia deve essere capace di servirsi dei sensi per provocare un
effetto forte nel lettore. L’origine di ogni emozione risiede nel rapporto con la natura, più facile presso gli
antichi, L. cita due passi che gli sono molto cari: una similitudine di Omero che descrive un notturno lunare
e un episodio dell’Eneide, in cui il canto di Circe giunge ai troiani da lontano, sul mare nel buio della notte. I
moderni per L., invece, hanno perduto questa capacità immaginosa e fanciullesca. Grazie a Madame de
Stael riprende una distinzione proposta da Schiller tra poesia ed immaginazione e poesia sentimentale. Ai
moderni che si sono allontanati dalla natura per colpa della ragione, e per questo disincantati e infelici, è
preclusa questo tipo di poesia; ad essi non resta che una poesia nutrita di sentimenti, filosofica, che nasce
dalla consapevolezza del vero e dell’infelicità.Alla poesia spetta garantire il vero e proprio bisogno
dell’uomo di illudersi, di immaginare e di fantasticare.
3.1 La poetica del vago e dell’indefinito
La “teoria del piacere” elaborata nel 1820 è il punto di avvio della sua poetica. Lo sviluppo delle sue
meditazioni si può seguire nello Zibaldone. La realtà immaginata costituisce un’alternativa alla realtà
esistente che è infelicità e noia. Ciò che stimola l’immaginazione a costruire questa realtà parallela in cui
l’uomo trova illusorio appagamento è tutto “vago e indefinito”. L. passa dunque in rassegna, in chiave
sensista tutti gli aspetti della realtà sensibile che per il loro carattere indefinito possiedono questa forza
suggestiva. La teoria del vago e dell’indefinito si fonda della realtà sensibile attraverso la teoria del suono e
della visione.
1. Teoria della visione: è piacevole la vista impedita da un ostacolo(una siepe o un albero)in quanto in luogo
della vista lavora l’immaginazione.
2. Teoria del suono: suoni suggestivi perché vaghi(un canto che giunge dall’esterno e si allontana piano
piano)
3.2 Il bello poetico
A questo punto della meditazione di L. si verifica la svolta fondamentale e la teoria fondamentale del vago e
dell’indefinito si aggancia alla teoria poetica. Nell’ottobre 1821 riprende il discorso affermando “quello che
ho detto sull’idea dell’infinito si deve intendere non solo nel naturale ma nelle loro imitazioni fatte dalla
pittura, dalla musica e dalla poesia”. Il bello poetico per L. consiste nel vago e nell’indefinito e si manifesta
sottoforma di immagini come quelle elencate nella teoria della visione e del suono. L. aggiunge anche una
considerazione importante: queste immagini ci appaiono cosi suggestive per le emozioni che ci hanno
suscitate da bambini. La “rimembranza” diviene pertanto essenziale al sentimento poetico. Poetica
dell’indefinito e della rimembranza si fondono: la poesia non è che recupero della visione immaginosa della
fanciullezza attraverso la memoria, nascono così capolavori come le “Ricordanze” e “a Silvia”.

3.3 Funzione sociale della poesia – Romantici e Leopardi


• Leopardi: la poesia deve tenere desti dei modi di sentire caratteristici dell’uomo e ben sviluppati nel
mondo antico(immaginazione, virtù, valori morali), che rischierebbero di atrofizzarsi nel mondo moderno .
• Romantici: la letteratura deve essere introdotta nel generale bisogno del rinnovamento. La letteratura è al
servizio del cambiamento, facendone uno strumento di trasformazione. Ciò implica il coinvolgimento del
pubblico che deve essere conquistato per mezzo di nuovi mezzi espressivi.
4. Lo Zibaldone di pensieri
All’età di diciannove anni Leopardi inizia a depositare le proprie riflessioni in un quaderno che forma il
primo nucleo narrativo di quello che lui stesso avrebbe chiamato Zibaldone di pensieri. Il titolo si riferisce
alla varietà disordinata di temi affrontati e al carattere frammentario e provvisorio. Esso si compine di 4526
pagine e verrà pubblicato postumo a cura del Carducci. Quest’opera non nasce per la pubblicazione. E’ una
specie di diario intellettuale in cui l’autore non manca di annotare anche episodi autobiografici. Tra le
pagine dello Zibaldone L. fissa anche le proprie riflessione di studio, non mancano pensieri di carattere
tecnico-filologico e tecnico-linguistico. Vi sono poi riflessioni intorno a questioni letterarie, filosofiche e di
costume. Gli appunti servono a fissare un ricordo e a raccogliere materiale in vista di opere organiche da
scrivere. Si tratta insomma di un immenso e disordinato laboratorio intellettuale. Lo Zibaldone rappresenta
un immenso e disordinato laboratorio intellettuale, il campo privilegiato per indagare i pensieri dell’autore.
Ognuno degli assi portanti della sua opera, poesie incluse, trova qui un’accurata trattazione. Il pensiero di
Leopardi appare nello Zibaldone in evoluzione continua.La scrittura di quest’opera resta lontana da quella
ardua delle prose leopardiane, così come resta a sua volta diversa da quella diretta e colloquiale delle
lettere. Essa di colloca in una dimensione di non-finito in sé originale e del tutto assente nelle altre zone
dell’opera leopardiana.
5. Le Operette morali
Il 1824 è l’anno delle Operette morali. Leopardi scrive 20 prose di taglio satirico in forma di discorso o di
dialogo. La prima edizione contiene solo venti operette, nel ’25 ne fu composta un’altra,mentre ne furono
composte due nel ’27 e altre due nel ’32. L’edizione definitiva, esce a cura di Ranieri e contiene 24 operette
essendone stata eliminata una secondo la volontà ultima dell’autore. Esse sono prose di argomento
filosofico ma come emerge da un passo dello Zibaldone del 1820 non si tratta di filosofia puramente
teorica, l’autore vuole > la sua >. Alla base della scrittura vi è lo stesso impegno morale delle canzoni ma
espresso con strumenti e linguaggi differenti; l’impegno si riflette già nel titolo, nell’aggettivo “morali”,
mentre il diminutivo “operette” non si rifà solo al taglio breve dei testi ma anche all’impostazione lontana
dalla serietà dotta del trattato filosofico. Le armi del ridicolo sono qui usate a fini seri: attaccare i costumi, le
idee correnti e gli stereotipi della sua epoca. Molte delle operette sono dialoghi i cui interlocutori sono
creature immaginose o mitologiche; in altri casi si tratta di personaggi storici oppure di personaggi storici
mescolati a personaggi fantastici. In alcune operette dialogiche l’interlocutore è proiezione dell’autore
stesso.
5.1 Temi
I temi trattati sono quelli portanti del pensiero leopardiano: l’infelicità dell’uomo, l’impossibilità del piacere,
la noia, la natura, il dolore. Ma tutto ciò non comporta un’aura di tetraggine e cupezza, grazie alla lucidità e
al distacco ironico con cui L. contempla il Vero. Questa lucidità si traduce in una prosa d’arte di
straordinaria levità, percossa da vibrazioni intense come avviene nel vagheggiamento delle illusioni
fanciullesche in “storia del genere umano” o con la requisitoria contro la crudeltà della natura in “dialogo
della natura e di un islandese”. Escono da questo quadro le operette più tarde come il “dialogo di Plotino e
Porfirio” o il “dialogo di Tristano e di un amico” in cui tutto è pervaso da un’aura di pietà e solidarietà
comune. Nell’ambito delle operette morali può essere ascritta anche un’epistola in versi “al Conte Carlo
Pepoli”, raccolta nei canti in cui il poeta analizza il suo stato di aridità ed enuncia il proposito di dedicarsi
unicamente all’investigazione dell’ “acerbo vero”.

• Storia del genere umano: Le Operette si aprono con la “Storia del genere umano”, una prosa che narra in
prospettiva mitica e allegorica le vicende dell’umanità. Essa, posta all’inizio di tutta la raccolta funge da
proemio, raccogliendo la prospettiva filosofica leopardiana. Qui L. mostra la prima fase del suo
pensiero(causa dell’infelicità è indicata nelle pagine dello Zibaldone sulla teoria del piacere), la tendenza a
un piacere infinito, inappagabile.Causa della decadenza storica dell’umanità sta nella cognizione del Vero
che, cancellando le illusioni, rende gli uomini meschini, egoisti e incapaci di grandi azioni. Bisogna però
vedere la storicità dell’infelicità pur sempre sullo sfondo di una infelicità universale. Emerge inoltre la
concezione provvidenziale della Natura: i mali esterni fisici rientrano nel suo piano, per far risaltare il pregio
del bene e far dimenticare agli uomini la loro noia. Posti dagli dei in un mondo senza varietà, gli uomini si
annoiano al punto di arrivare a uccidersi. Gli dei rendono allora più variato l’aspetto delle cose e Giove
sparge dolori e malattie, infondendo desideri nuovi per soddisfare i quali gli uomini siano costretti a fatiche
inaudite. Sparge successivamente alcuni “fantasmi”, quali Giustizia, Virtù, Gloria e Amor Patrio. Essi
risultano migliori e duraturi ma gli uomini divennero però crudeli e malvagi desiderando di conoscere la
verità. Infine Giove manda fra gli uomini la Verità, richiamando a sé tutti gli altri geni ma per non rendere
troppo dura la vita agli esseri umani lascia sulla terra Amore.Consolati dal’amore gli uomini da quel
momento vivono nella più completa infelicità, benché tentino di rifiutare ciò che la verità insegna loro.
Resta solo la possibilità che si venga visitati dall’amore celeste, una divinità che consola gli esseri meritevoli
delle miserie della vita.
• Dialogo della Natura e di un Islandese: il tema dell’infelicità trova massima esplicazione nel dialogo che un
islandese intrattiene con la natura. L’islandese ha fuggito per tutta la vita la natura convinto che essa renda
gli uomini infelici. Infine si imbatte nella Natura stessa, un’inquietante e gigantesca figura di donna. Dal
dialogo emerge il totale disinteresse della Natura al bene e al male degli uomini. E’ la Natura stessa ad
affermare le leggi di un rigoroso materialismo: la scomparsa di questo o di quell’altro individuo non tange
minimamente l’interesse della Natura.
• Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie: in questo dialogo viene affrontato il tema della morte.
L’operetta si apre, eccezionalmente, con un testo poetico, il Coro di morti nello studio di Federico Ruysch. I
morti dichiarono di fuggire la vita come da vivi fuggivano la morte e di essere più al sicuro dai mali
dell’esistenza. Con i morti, concluso il loro coro comincia a dialogare lo scienziato Federico Ruysch. La
conclusione è che la morte è più un evento piacevole che doloroso, riducendo la sensibilità e perciò il
desiderio del piacere viene meno anche la facoltà di soffrire. Le curiosità del vivo riguardano l’esperienza
del morire e della morte ma le risposte sono insoddisfacenti, l’esperienza del morire non si accompagna ad
alcuna sensazione fisica; la morte è l’assenza di dolore. In riferimento alla teoria del piacere, la morte è un
evento piuttosto piacevole che doloroso, toglie la facoltà di soffrire e di percepire l’insoddisfazione del
desiderio.
• Dialogo di Plotino e Porfirio : in questo dialogo si affronta la questione del suicidio. Plotino si è reso conto
che l’amico ha intenzione di uccidersi e pertanto tenta di dissuaderlo. I due filosofi convergono però in un
giudizio radicalmente negativo: solamente la noia rappresenta adeguatamente l’insensatezza dell’esistenza
umana. Plotino adduce vari argomenti contro il suicidio ma Porfirio li smonta tutti. Plotino nega che il
suicidio sia contro natura in quanto la condizione stessa dell’uomo lo è. La posizione di L. nei confronti del
suicidio è problematica.Plotino e Porfirio sono entrambi proiezioni di L. stesso che porta avanti istanze
contrapposte. Tesi a favore del suicidio:Porfirio è sostenitore del suicidio, nelle sue battute sono ripetuti
tutti i motivi del pessimismo leopardiano; la vanità di tutte le cose; la noia; la natura e il fato nemici del
genere umano. La morte si presenta come farmaco a tutti i mali. La polemica contro Platone e la sua teoria
dei premi e delle pene dell’aldilà la scia trasparire la consueta poetica contro la religione e i suoi effetti
nefasti. Tesi contro il suicidio: la tesi principale che Plotino adduce è il dolore che causerebbe alle persone
care. L. aveva sempre sostenuto che la sua filosofia non professava l’odio per l’uomo ma al contrario
all’amore per la creatura irrimediabilmente infelice. Nel finale dell’operetta si manifesta a pieno questo
atteggiamento di pietà verso i propri simili, che genera il bisogno di solidarietà. Questa operetta apre la
strada alla riflessione della “Ginestra”.
• Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passegere:Insieme al dialogo di Tristano e di un amico
furono composte nel ’32. Esso è un ipotetico dialogo tra un venditore di calendari e un passante. Il
venditore propone un punto di vista ottimistico della vita dicendo al passante che l’anno venturo sarà più
bello dei precedenti. Il passante invece gli contrappone una visione pessimistica: l’unico piacere è quello
che sta nel futuro, perché il piacere consiste nell’attesa.
• Dialogo di Tristano e di un amico: Tristano finge dialogando, con l’amico che lo accusa di eccessivo
pessimismo, di aver cambiato parere e di aver infine aderito all’ottimismo delle ideologie dominanti. In
questa Operetta L. prende chiaramente le distanze dalla cultura contemporanea, rivendicandole con
ironia.Questo rifiuto si accompagna ad un sentimento di pietà e di adesione alle sorti del genere umano.

6. I Paralipomeni della Batracomiomachia


La prova più impegnata e alta nel registro satirico è costituita dai Paralipomeni della Batracomiomachia, un
breve poemetto eroicomico di otto canti in ottave, incompiuto. L. lo compose tra il 1831 e il 1835. La
pubblicazione avvenne, postuma, a Parigi nel 1842 ma non riscosse molto successo a causa delle
divagazioni filosofiche e delle rappresentazioni antieroiche delle guerre risorgimentali, solo dopo la seconda
guerra mondiale fu rivalutata e apprezzata. Il termine “paralipomeni” significa mentre “batracomiomachia”
significa , ed è il titolo di un poemetto pseudo omerico che L. tradusse in gioventù. Il titolo allude all’intento
dell’autore di voler riprendere e proseguire l’opera. L’argomento del racconto è la scontro tra i topi,
abitanti di Topaia e i granchi invasori. Dietro il racconto fiabesco si cela il valore allegorico della trattazione.
Nei granchi, presentati senza alcuna simpatia, è possibile ravvisare gli austriaci; mentre nei topi, talvolta
generosi ma anche molto ingenui, gli italiani. Nelle vicende sono presentati gli eventi storici che vanno dal
1815 al 1821, cioè il clima oppressivo della Restaurazione, voluto dalla Santa Alleanza ed i moti
insurrezionali del 1820-21 e del 1830-31. I paralipomeni rappresentano un ulteriore tassello alla polemica
leopardiana verso il presente. Del nostro risorgimento nazionale egli delinea i limiti di fondo: la tendenza ai
compromessi con i vecchi interessi, il velleitarismo e l’opportunismo. Lo stile si distende in un andamento
discorsivo ampio e divertito con l’alternanza di momenti avventurosi, di punte ferocemente caricaturali, di
polemica e di digressioni filosofiche.

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