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FISICA

Matematica utile:

1) Derivate di funzione di funzione (di funzioni composte)

Una funzione composta deriva dalla composizione di due funzioni, in sintesi si definisce applicando
la seconda funzione alle immagini della prima.

è una funzione composta e la sua derivata si ottiene derivando la funzione ''esterna'' (la f, il cui
argomento è però la funzione g) e moltiplicandola per la derivata della funzione ''interna'' (la g):

alcuni esempi:

Tabella con le derivate di alcune funzioni composte:


in fisica un modo alternativo per indicare la derivata è porre un punto sopra la funzione:

2) Equazioni differenziali

Formule risolutive per equazioni differenziali:


3) Trigonometria
Legge del decadimento radioattivo

Cinematica
Accelerazione in un moto con traiettoria curva (paragrafo Rosati – fisica generale, volume 1)

lo scopo della cinematica è determinare la funzione di moto

è una funzione di moto, variabile nel tempo, e rappresenta la legge oraria del moto
stesso

in quanto è discusso il moto di un punto materiale (di massa m, che si immagina concettualmente
concentrata tutta nel punto stesso) non è necessario conoscere le forze agenti su di esso
dato un vettore r=r(rx, ry, rz), questo si può scrivere anche secondo le sue componenti (dello spazio
tridimensionale) , che diventano dei vettori se associati al versore corrispondente:

r = rx ^i + ry ^j + rz ^k

una tangente, così come una normale sono componenti intrinseche del vettore e il vettore velocità
ha solo una componente tangenziale alla traiettoria

il punto P è dotato di una certa velocità, che ha un modulo e un versore:

dopo un certo periodo di tempo il punto P si è spostato sulla traiettoria è si trova ora in P1:

per trovare la legge oraria del moto si


può integrare due volte la accelerazione
(che è la derivata seconda della
funzione s(t)); infatti si ha che:

e dunque l'accelerazione è anche la


derivata prima della velocità

sapendo che

per ricavare l'accelerazione lo derivo:

in sostanza è la derivata di un prodotto


(il prodotto tra il modulo del vettore e il
suo versore)

l'operatore di derivazione riconosce solo le grandezze che variano nel tempo, e in questo caso a
variare sono sia il modulo del vettore velocità (istantanea) che la direzione del suo versore;
applicando la regola di derivazione del prodotto (D[fg]=f'g+fg') si ottiene:

inoltre il secondo membro indica che l'accelerazione ha due componenti, una tangenziale e una
centripeta (a differenza della velocità che è puramente tangenziale) in quanto:

quindi la derivata del versore T ha direzione della normale

per dimostrare questa perpendicolarità si considera T2, e lo si vede come il prodotto scalare TxT=1
(il prodotto scalare tra due vettori è uno scalare con modulo dato dal prodotto dei moduli dei due
vettori moltiplicati per il coseno dell'angolo tra essi interposto) e di questo prodotto scalare si fa il
differenziale

ricordando che le derivate secondo Leibniz sono viste come rapporto tra differenziali, data una
funzione y=f(x) il suo differenziale è dy=f'(x)dx; quindi il differenziale del prodotto scalare TxT è:

quindi, per quanto riguarda il secondo membro dell'espressione dell'accelerazione, si ha ora:

ma si può dimostrare che:

dove teta è l'angolo di variazione del versore T, e si può arrivare così a scrivere:

per dimostrare l'equivalenza tra l'angolo di variazione e il versore T si considera la traslazione dei
versore nei due istanti considerati sul punto di intersezione dei prolungamenti delle normali relative:

il punto P si muove lungo l'arco, ma


lo spostamento dal punto P a quello
P1 è sulla corda: in fisica però lo
spostamento è considerata la corda,
non l'arco su cui il punto materiale si
è mosso

il triangolo rettangolo ottenuto dalla


traslazione è:

e si ha che:

nell'infinitesimo invece ipotenusa, cateto e altezza si confondono e inoltre la corda arriva a


coincidere con l'arco; si può dunque scrivere:
considerando i moduli, e dividendo ogni membro per il differenziale dt si ottiene:

e dunque, derivando, si dimostra proprio che

inoltre, considerando uno spostamento infinitesimo, si ricava che esso equivale al raggio della
traiettoria (r) moltiplicata per la variazione infinitesima dell'angolo:

e quindi si ha che:

e a questo punto, sostituendo questo nella funzione dell'accelerazione si ha:

dove il rapporto tra la velocità al quadrato e il raggio della traiettoria rappresentano la componente
centripeta dell'accelerazione, la cui funzione completamente esplicitata è quindi:

per dimostrare che la velocità presenta la sola componente tangenziale si deve considerare che la
velocità è definita come la derivata prima della legge oraria, s(t); considerando il rapporto
incrementale (che definisce la velocità media):

si nota che che in due punti distanti il vettore velocità non coincide con la
traiettoria, ma se si facesse tendere Δt a zero (ottenendo così la velocità
istantanea) si avrebbe, passando nell'infinitesimo:
Cinematica del corpo rigido

si definisce corpo rigido quel corpo per il quale, presi tre punti
interni ad esso, le distanze tra questi punti rimangono costanti nel
tempo (anche se dovesse variare la posizione del corpo stesso)

il corpo rigido ha sei gradi di libertà, perché nonostante sia


determinato da nove componenti spaziali, devono essere
soddisfatte le tre condizioni di distanza (che devono mantenersi
appunto costanti per la definizione data), ricordando che la
distanza tra due punti è data da:

si parte considerando due sistemi di coordinate: uno inerziale (ovvero fermo o in moto rettilineo
uniforme) e uno solidale con il corpo

in sostanza ci si concentra su:

avendo:

il punto P, appartenente al corpo rigido rispetto agli assi spaziali ha coordinate P(x; y; z)

il vettore r' è la somma dei vettori r con zero ed r:

facendone la derivata si ottiene il vettore velocità:

ricordando che ds/dt fornisce la velocità (istantanea)

ricordando che un vettore si può scrivere anche secondo le sue componenti:

si può scrivere il vettore r secondo le sue componenti e la derivata


diviene:
tutto ciò che fa il corpo rigido (ruota, trasla….) lo fa anche il sistema di riferimento; x, y e z sono
costanti nel tempo mentre solo i versori variano (in direzione) – gli unici funzione del tempo sono i
versori e dunque l'operatore di derivazione agisce solo su di essi, si può dunque scrivere:

così come il versore T e la sua derivata erano perpendicolari tra loro, si ha in questo caso:

siccome la derivata di i è perpendicolare ad i stesso vuol dire che giace nello stesso piano
identificato dagli altri due versori, j e k; per una proprietà matematica si può esprimere i come una
combinazione lineare:

analogamente per gli altri due:

dove le lettere greche indicano dei parametri da determinare, ma ci sono sempre delle condizioni di
ortogonalità da rispettare:

considerando la prima equazione, e derivandolo rispetto il tempo, si ha:

a questo punto si sostituiscono a i e j i valori ottenuti dalle combinazioni lineari:

sviluppando si ottiene:

e si arriva a:
allo stesso modo si procede per le altre due equazioni e si arriva al sistema:
di questi sei parametri se ne scelgono tre, perché tre sono le condizioni da
rispettare (quelle di ortogonalità tra versori); si scelgono dunque {α; β; δ} e gli
altri parametri diventano, di conseguenza:

ora si possono scrivere le tre tre relazioni tra derivate di versori come:

si definisce ora il vettore omega (ω), di componenti:

e si ottiene, sostituendo:

queste tre equazioni rappresentano equazioni di


Poussant

per dimostrare questo si scrive il vettore gamma secondo le sue componenti:

e dunque si ottiene:

dove nel prodotto vettoriale compare il seno (e dunque i vettor i viene nullo, perché trattandosi di
vettori uguali hanno angolo di interposizione nullo, e il seno di zero è zero)

bisogna fare j vettor i e k vettor i: riferendosi alla figura si ha

e quindi:
ricordando che:

si dimostra proprio che

nella equazione esplicitante la velocità si sostituiscono i risultati ottenuti:

e si ha:

che diventa, in quanto il prodotto vettoriale non opera sui scalari:

e si ottiene infine:

che rappresenta la legge della cinematica di un corpo libero


(identificante un moto elicoidale)

per il significato fisico di questa relazione si ha: gamma vettor r rappresenta il termine di rotazione,
mentre v con zero quello di traslazione

Moto di un punto materiale in coordinate polari

dove φ rappresenta l'angolo polare e il punto


P non è più espresso in funzione delle sue
coordinate (x; y – se in due dimensioni) ma
dalle sue coordinate polari, ovvero il raggio
vettore (r) e l'angolo polare (φ)
considerando la situazione su una traiettoria s:

dove η e ρ rappresentano i versori che descrivono


le componenti tangenziale e radiale del moto del
punto P

dopo un tempo infinitesimo dt, durante il quale il punto P si è spostato lungo la traiettoria s, la
situazione diventa:

come già affrontato, il


punto P si sposta lungo la
traiettoria s, ovvero
sull'arco, ma lo
spostamento compiuto da P
a P' è lungo la corda
(fisicamente parlando),
problema che non si pone
visto che lavorando
nell'infinitesimo arco e
croda si ''confondono'',
ovvero:

quindi lo spostamento (lungo la corda) è:

con associati i vari versori: ρ per dr e η per rdφ (perché segue la s)

derivando rispetto al tempo lo spostamento si ottiene la velocità:

l'accelerazione si ottiene derivando la velocità:

ovvero il vettore ρ è perpendicolare a quello η e viceversa, η è perpendicolare a ρ; quindi:


e si potrà scrivere, svolgendo le opportune considerazioni sul verso:

questo perché, per quanto riguarda il primo caso (e analogamente si ha per il seconda) si ottiene:

per il vettore differenza modulo e direzione non costituiscono


un problema, l'unica cosa da determinare è il verso: si fa
costruendo il vettore opposto (-ρ in questo caso) e
sommandolo all'altro vettore, il dubbio si elimina perché per la
somma tra vettori anche il verso è determinato (una volta
applicata la regola del parallelogramma)

sostituendo quanto ottenuto nella equazione ottenuta, con l'obiettivo di eliminare le derivate dei
versori (essendo difficile esprimere variazioni direzionali vettoriali con una matematica ''semplice''),
e arrangiando i termini si arriva ad avere:

questa è anche l'espressione della forza gravitazionale, che tiene i pianeti in orbita attorno al sole;
poiché questa forza è sempre radiale il termine associato al versore η va supposto nullo (non ci può
essere una componente tangenziale), quindi:

e preso:

a dimostrazione di questo si deriva il prodotto r quadro omega:

fisicamente il termine r2 ha le dimensioni di una superficie (spostamento alla seconda: m2) mentre il
termine ώ quelle di un tempo alla meno uno (essendo la derivata rispetto al tempo di un angolo, che
essendo espresso in radianti non ha dimensioni – in quanto i radianti sono numeri puri, pertanto
adimensionali); quindi il prodotto r2ώ rappresenta una velocità areolare e si può dire dunque che:
considerando uno spostamento infinitesimo:

dove ds'' è un infinitesimo di ordine


superiore, ovvero ds+ds''=ds (perché rispetto
a ds, ds'' è trascurabile); essendo il triangolo
determinato da r, r e rdφ infinitesimo la sua
area si può esprimere come:

e derivando rispetto al tempo si ottiene:

quanto discusso rappresenta l seconda legge di Keplero: la velocità areolare è costante, ovvero il
raggio vettore descrive aree uguali in tempi uguali (che equivale a dire che ds/dt si mantiene
costante nel tempo)

Dinamica
Dinamica del punto materiale non vincolato

Si basa sulla seconda legge della cinematica di Newton (F=ma) ed è una legge vettoriale, sulla
quale non si lavora ma che si proietta sugli assi

quindi:

diviso per m, quantità sicuramente positiva (è la massa del corpo):


e anche la quantità k/m è sicuramente positiva, e in matematica una quantità positiva si indica con
un quadrato:

ricordando che:

questa è una equazione differenziale omogenea, del secondo ordine, lineare, la cui incognita è la
funzione x=x(t); dalla teoria sulle equazioni differenziali si trova che la soluzione di questa è data
da:

che ha comunque un andamento oscillatorio (è un seno)

per verificarne la veridicità si deriva la x (per ottenere la derivata prima e seconda) e si sostituisce
alla equazione iniziale, per verificare che venga una identità (0=0):

e sostituendo:

che sono due quantità opposte:

si ottiene proprio una identità, dunque la soluzione è corretta

ci sono comunque due parametri da determinare, A e φ (essendo ω definito come k/m), perché la
soluzione è ottenuta tramite due integrazioni successive (sono presenti dunque due costanti),
ottenibili tramite le condizioni iniziali, che sono:

sapendo che:

rappresentante la velocità (derivata prima della legge oraria)

il sistema da risolvere diventa:


che è un sistema di due equazioni in due incognite (A e φ); per ottenere il parametro φ si divide la
prima equazione per la seconda, ottenendo:

e dunque:

si fa il controllo riferendosi alle dimensioni delle grandezze in esame:

che è effettivamente un numero puro, questo perché le dimensioni di omega sono:

quindi le dimensioni della costante k sono, partendo dalla relazione iniziale:

si ha quindi che:

dove le dimensioni della forza sono:

dividendolo per m, ottenendo quindi omega, le dimensioni sono:

perciò si ha:
si può trovare scritta anche nella forma (ricavabile dalle formule di bisezione) di:

Caduta di un grave in presenza di un termine di attrito

Man mano che il corpo cade la sua velocità aumenta e questo porta a generare una maggiore
resistenza dell'aria al suo movimento: aumenta ovvero l'attrito dell'aria, che diventa rilevante per
cadute molto protratte nel tempo (non trascurabile)

la legge che descrive il fenomeno è:

e si tratta di una equazione differenziale di secondo ordine, non omogenea, lineare, la cui soluzione
è data da (secondo la teoria delle equazioni differenziali):

anche in questo caso si controlla calcolando le derivate prima e seconda e sostituendole nella
equazione iniziale:

e sostituendo:
da cui:

mettendo in evidenza il termine esponenziale:

questa uguaglianza deve essere sempre verificata per qualsiasi valore di t, il che si verifica solo se i
due termini non esponenziali sono posti uguali a zero, ottenendo così un sistema dal quale si
ricavano due dei quattro parametri necessari:

a questo punto restano solo da determinare A e C, il che si fa sfruttando le condizioni iniziali:

si sono determinati quindi i quattro parametri, si ha quindi:

resta da verificare l'identità:

sostituendovi i valori trovati:

che diventa:
che è effettivamente una identità (0=0)

se si considera l'espressione della velocità, con i parametri cosi determinati:

ha un grafico del tipo:


dove il pezzo iniziale è quasi una retta,
questo perché a tempi molto piccoli,
ovvero poco dopo l'inizio della caduta,
la componente di attrito è trascurabile
rispetto agli altri parametri perché la
velocità è piccola, e si ha la sola
componente gravitazionale (ma=mg);
nel primo tratto la curva v=g e questa
coincidono (matematicamente si
dimostra calcolando il limite della
funzione velocità per x che tende a 0,
da destra)

infatti, nel caso di tempi infinitesimi, sempre per la serie di Taylor-Laurina si ha:

invece, a tempi molto grandi, quanto il fenomeno dura già da molto, la velocità raggiungerà un
massimo, che non potrà superare, determinato dalla sua massa, dalla costante di attrito e dalla forza
di gravità (matematicamente si vede calcolando il limite della funzione velocità per x tendente a più
infinito)

nell'infinitesimo si ha che:

in pratica rimane solo:

integrando una volta sola, ottenendo così la velocità, si ha:

Dinamica del punto materiale vincolato

Un punto si dice vincolato quando le sue coordinate devono soddisfare certe condizioni, e quindi
non tutte le posizioni dello spazio gli sono possibili.
Il vincolo in meccanica è rappresentato da una forza, chiamata reazione vincolare, della quale
bisogna tenere conto quanto si scrive la relazione F=ma, si ha quindi:
proiettata su un piano (l'unica cosa che si può fare con una legge vettoriale) da luogo a un sistema di
tre equazioni, che però ha ben sei incognite (infatti anche il vincolo R non è determinato ma va
trovato):
per la teoria matematica sui sistemi lineari, il teorema di Rouché -
Capelli si ha che un sistema di n incognite in k equazioni ha un
numero di soluzioni pari a:

quindi in questo caso le soluzioni sarebbero

aggiungendo due equazioni si avrebbero sempre sei equazioni, ma con cinque incognite, e il sistema
si semplificherebbe

una delle equazioni da aggiungere è F(x, y, z)=0 , rappresentante un piano; così facendo si fa
diventare il problema di statica, vincolando tutte e tre le posizioni che il punto può assumere e
consentendo di aggiungere solo un'altra condizione riguardante la posizione, ovvero G(x ,y, z)=0

ad esempio, facendo l'intersezione tra:

a questo punto, con l'aggiunta di queste due equazioni, il sistema è diventato:

e per il teorema di Rouché-Capelli ha infinite alla uno soluzioni

tutti questi vincoli sono BILATERALI ad uno spostamento e a una


direzione: possono cioè assumere anche lo spostamento e la direzione
opposta – rimangono tuttavia dei vincoli, e per questo motivo non si
possono staccare dalla traiettoria

dalla meccanica razionale, che si occupa di concetti di difficile


comprensione ma che se applicati funzionano (e ci si limita all'ultimo
aspetto), si ha che:

se nel caso classico si ha che:

valida quando sia dP che dt sono contemporaneamente non nulli

nella meccanica razionale si ha invece:

valida unicamente nel caso che dt sia nullo ma σP no

si ricordi la definizione di distanza tra due punti nello spazio (tridimensionale), si ha che:
se si immagina di dare a ogni quantità un incremento infinitesimo, del tipo:

e si sostituisce nella formula precedente si nota che questa rimane inalterata: questo significa che gli
spostamenti virtuali, pur essendo degli spostamenti, e quindi non nulli, nella realtà è come se non
accadessero (perché sono appunto virtuali) – in sostanza il punto rimane nella sua posizione

la sesta equazione risulta dunque essere:

in quanto i vettori si possono scomporre secondo le loro componenti la relazione precedente si può
scrivere anche come:

però essendo il punto P vincolato alla traiettoria, pur trattandosi di


spostamenti virtuali, una sua componente perpendicolare è
impensabile: non si può staccare dalla traiettoria (dunque la
componente perpendicolare è da trascurare)

inoltre, in quanto il prodotto scalare gode della proprietà


distributiva (rispetto alla somma), si può scrivere:

quanto discusso si può vedere considerando il caso del piano inclinato:

la forza peso (P=mg) si scompone nelle sue due


componenti, una tangenziale e l'altra normale, e la
reazione vincolare che si è soliti indicare è quella e
sola di componente perpendicolare, perché quella
parallela, come si è visto prima, è nulla

il significato fisico della:

è quindi che il vincolo non presenta la componente


parallela, ma solo quella perpendicolare

tutti questi vincoli sono anche detti vincoli privi di attrito, nel senso che lo stare sul piano non
interferisce con la natura del moto del corpo
un esempio è quello del pendolo semplice (chiamato così perché esiste anche il pendolo composto):

il vettore forza peso si scompone nelle sue


due componenti, quella tangenziale e
quella normale:

la parte tangenziale è data da:

quella normale, invece, da:

si ha quindi che:

ma considerando piccole oscillazioni, infinitesime, si può scrivere:

sempre a causa della serie di Taylor-McLaurin; si ha quindi:

ci sono però due incognite, il problema si risolve ricordandosi della relazione (di geometria
analitica) esistente tra arco e angolo, ottenendo quindi:

perché è s=Lφ

sostituendo si arriva a:

e quindi, dividendo per L (quantità sicuramente positiva) si ha:

che diventa:

e infine:

una equazione differenziale del secondo ordine, omogenea e lineare; la cui soluzione è data da:

la seconda relazione si usa invece per determinare la reazione vincolare:


Energia e lavoro
Lavoro

In meccanica il lavoro è definito come:

in forma differenziale, o, alternativamente, in forma integrale come:

potendosi scomporre la forza e gli spostamenti infinitesimi ds secondo le loro componenti si può
anche scrivere (ricordandosi che il prodotto scalare agisce solo sui vettori, e non sugli scalari) che:

dove fx e fy sono le componenti della forza F, mentre dx e dy sono quelli dello spostamento
infinitesimo ds – manca la componente z, perché per semplicità si sceglie di fermarsi al solo caso
nel piano (e non nelle tre dimensioni)

se l'integrando fosse una grandezza differenziale esatta le cose si semplificherebbero al massimo

intanto, presa una funzione u=u(x; y), si definisce differenziale totale di questa funzione un du tale
che:
nella cui espressione compaiono le derivate parziali – essendo u
funzione di due variabili si può derivare sia rispetto a una che rispetto
all'altra

in una derivata parziale si deriva solo rispetto a una incognita mentre l'altra è considerata come
fosse una costante – o moltiplicativa o additiva a seconda del caso; quindi, per esempio:

è la derivata parziale della funzione rispetto ad x

è la derivata parziale della stessa funzione, calcolata rispetto ad y

tornando alla espressione del differenziale totale, sia la derivata parziale di u rispetto ad x che
rispetto ad y rimane una funzione (sempre di due variabili) e si può dunque scrivere:

e quindi si ha, sostituendo:

a questo punto, secondo un teorema, condizione necessaria e sufficiente affinché un differenziale


totale sia anche un differenziale esatto è che deve succedere che:

quando questo accade significa che esiste una funzione, u, tale che:

ritornando ora all'integrale di linea esprimente il lavoro:

si ha che:

e la struttura è la stessa di quella di una differenziale totale, quindi si chiama du la funzione che sia:

e per vedere che non solo è un differenziale totale ma è anche uno esatto
si deve provare che sia:

fatto che si verifica nel caso la forza sia una forza conservativa (e una forza si
dice conservativa quando il lavoro svolto su un percorso dipende unicamente dai
punti iniziale e finale e non dalla traiettoria seguita per unirli)

per un teorema matematico si ottiene che:

diventa un integrale definito

dove a e b sono gli estremi degli infiniti percorsi che si possono seguire per andare dalla posizione a
alla posizione b; sviluppando si arriva a:

dove la funzione u è chiamata funzione potenziale (da non confondere con l'energia potenziale)

esempio: la forza gravitazionale

è una forza di attrazione, perché è presente il segno meno – il che sta ad indicare che il verso della
forza è si della stessa direzione del raggio ma ha verso opposto a quello convenzionalmente scelto
come verso positivo

di questa forza si calcola la componente x; partendo dalla definizione di vettore:


si ricava che il versore r è:

e sostituendo nella espressione


della forza precedente si
ottiene che:

il vettore r si può scrivere secondo le sue componenti:

e quindi si ottiene, limitandosi solo al piano, che:

se si vuole la sola componente relativa a x, ovvero fx, si ottiene che questa vale:

mentre la componente relativa a y è:

in questo caso:

le due componenti sono note, e per vedere se ci si trova di fronte ad


un differenziale esatto si fa il test relativo:

per il primo membro si ha che:

perché, applicando la regola di derivazione del prodotto si avrebbe:

mentre per il secondo membro si ha, analogamente:


perché applicando la stessa regola:

e si verifica che sono effettivamente uguali, quindi esiste una funzione u=u(x; y) – la funzione
potenziale – con le caratteristiche di avere:

e questa funzione u è:
che è una funzione di funzione – una funzione composta – poiché la r esprime la
distanza tra due punti nel piano ( √x +y
2 2
)
la sua derivata parziale, rispetto alla x, dunque è:

dove:

si ottiene dunque:

la difficoltà di calcolare un integrale di linea è stata evitata, perché nel caso di forze conservative le
cose si semplificano, proprio perché la differenziale totale è anche esatta e si può introdurre una
ulteriore funzione (u) che semplifica i calcoli da svolgere

un esempio matematico:
e questo è un differenziale esatto perché si ha:

e sono appunto uguali, esiste dunque una funzione u tale che:

da queste si ricava u, presa la prima:


dove con φ(y) si indica la costante, poiché essendo
una derivata parziale rispetto alla x la y è
considerata come costante

per valutare il valore di questa costante, φ(y), si considera la seconda espressione:

e si ottiene infine:

ricavare la funzione potenziale

prima si era presa come definita la funzione potenziale (u), ora si vede da dove arriva questa
espressione: si ricorda che il differenziale totale che rappresenta l'integrando dell'integrale che
esprime il lavoro è anche esatto, come si è già visto facendone il test relativo; si ha dunque che:

e la verifica da fare è:

come dimostrato prima questa uguaglianza è effettivamente valida


esiste quindi una funzione u, tale che:

ora si ricava la funzione u, mettendo a sistema queste due espressioni (dove le due componenti della
forza gravitazionale sono già noti):

dalla prima espressione si ricava che:

e svolgendo l'integrale si ottiene:

quindi la funzione u si può scrivere come:

dove il termine fra parentesi quadre indica una


primitiva dell'integrando

dalla seconda espressione si ricava invece la φ(y):

facendo la derivata rispetto ad y di u

ma questo deve essere uguale anche alla componente in y della forza, che è essa stessa derivata
parziale di u rispetto a y:

dopo le opportune semplificazioni si ha: φ'(y)=0 – ovvero si trova che φ(y)=costante; perché la
derivata di una funzione costante è nulla. Prendendo questa costante uguale a zero (che si può fare,
essendo essa irrilevante nell'analisi differenziale: la derivata di una costante è zero), a questo punto
si ha che:
di solito le forze radiali sono tutte conservative, se si prende una forza non conservativa:

se si prende una forza costante e la si applica al punto


P, e la si scompone nelle sue componenti (x e y) si
ottiene:

dalle leggi della trigonometria si ricava inoltre che:

si ottiene dunque:

sostituendo:

ricordandosi la forma originaria dell'espressione integrale del lavoro:

si fa il solito test per valutare se questo differenziale totale sia anche esatto, deve risultare cioè che:

sviluppando le derivate parziali:

si osserva che non vengono uguali: il test è fallito – cioè non si tratta di un differenziale esatto ma è
solo totale, non ci sono semplificazioni possibili (come ci si aspettava, trattandosi di una forza non
conservativa)
se invece la forza applicata in P fosse stata definita come radiale:

le sue componenti sarebbero:

rifacendo la verifica:

si ha:

che sono effettivamente uguali, vuol dire che esiste una funzione u tale che:

per le proprietà di un triangolo rettangolo

dunque u è una funzione di un angolo; bisogna dunque determinarne il segno, poiché in


trigonometria un angolo può avere sia segno positivo (se va in senso antiorario) che negativo (se va
in senso orario):

per andare da A a B si possono seguire due percorsi, quello in senso


orario e quello in senso antiorario: l'angolo è lo stesso (90°) ma
cambia il segno

cosa che si riflette nel calcolo dell'integrale:

i due integrali danno risultati differenti, pur trattandosi dello stesso percorso: da A a B; questo si
spiega col fatto che la funzione arcotangente (la inversa della funzione tangente) è una funzione
POLIDROMA – a un valore della variabile dipendente corrispondono x valori di quella
indipendente; questo problema si risolverebbe se la funzione fosse monodroma (ovvero a un valore
della variabile dipendente corrispondente un solo valore di quella indipendente), cosa attuabili
considerando una restrizione del dominio della funzione tangente prima di invertirla (infatti, in
matematica, l'arcotangente assume solo i valori compresi tra -π/2 e +π/2)
Teorema delle forze vive

Il teorema delle forze vive riguarda il lavoro delle forze conservative: il lavoro compiuto dalla
risultante delle forze agenti su un corpo è uguale alla variazione di energia cinetica su quel corpo

dove con T si indica l'energia cinetica:

Essendo la forza in questione conservativa, si può partire subito dall'integrale definito – poiché il
differenziale totale è sicuramente anche esatto:

ci si concentra ora solo sul prodotto scalare v x v e si ha che:

e dunque, visto che il prodotto scalare gode della proprietà commutativa:

si ha quindi che:

a questo punto l'integrale diventa:

e dunque:

che era quello che si voleva dimostrare


Teorema della conservazione dell'energia

Per il teorema di conservazione dell'energia la somma di energia cinetica (T) e potenziale (V) – di
un sistema conservativo – si mantiene costante, ovvero:

si è trovato precedentemente che:

dove u è la funzione potenziale (con le caratteristiche già


affrontate precedentemente)

e quindi si ha che:

che si può scrivere, esplicitando le componenti a e b dalla stessa parte dell'uguaglianza e


evidenziando il segno positivo:

ma in meccanica la funzione potenziale, cambiata di segno, è l'energia potenziale (V) – quindi:

ad esempio, volendo trovare la velocità finale di uno sciatore:

per trovare la velocità con


la quale lo sciatore arriva in
fondo si applica il teorema
di conservazione
dell'energia, si avrebbe:

e ricavando la velocità:

lungo il percorso tutta l'energia potenziale si è trasformata in energia cinetica: l'energia che era
presente all'inizio della discesa dello sciatore è la stessa presente alla conclusione della stessa – ha
solo cambiato forma (in questo senso si dice che la somma di T e V si mantiene costante)
riprendendo in considerazione il caso del pendolo semplice, questa volta studiato applicando il
teorema della conservazione dell'energia, si avrebbe che:

dove l'angolo è una


funzione del tempo:

chiamata y0 la ordinata del punto di massima estensione del pendolo si ha:

ricordando che un cateto è uguale al prodotto della ipotenusa per l'angolo a esso (al cateto)
adiacente; invece, detta y l'ordinata del generico punto P, si ha:

in questo caso l'unica componente della forza si ha sull'asse delle ordinata:

essendo di fronte a una forza conservativa (la forza peso), ci si può domandare quale sia quella
forza che derivata rispetto alla componente y fa ottenere proprio la fy – e si ha che:

a questo punto si applica il teorema di conservazione dell'energia in due punti: in quello di massima
estensione (ovvero nel punto di inversione del moto: dove la velocità si azzera – e di conseguenza
l'energia cinetica è nulla) e nel generico punto P; deve valere:

ricordando che l'energia potenziale è la funzione potenziale


(u), cambiata di segno

quindi:

ricordando la relazione tra arco e corda (infinitesimi) si ha che:

in quanto la lunghezza del filo L è fissa, mentre l'angolo è funzione del tempo

che rappresenta la velocità, che elevata al quadrato diventa:


quindi, sostituendo:

e sviluppando:

esplicitando φ2:

e quindi si arriva ad avere che:

facendo un controllo dimensionale deve risultare che le dimensioni di φ' sono quelle di un tempo
alla meno 1; essendo i radianti adimensionali (sono numeri puri) le sue dimensioni dipendono solo
dalla componente (2g/L)1/2 – quindi:

come doveva essere

della φ' si cerca ora la derivata prima, e si ottiene – prestando attenzione allo sviluppa di questa
derivata composta:

ovvero:

ma essendo nell'infinitesimo:

e quindi:

perché la quantità g/L è sicuramente positiva

e questa è la tipica equazione differenziale del moto armonico, che presenta la soluzione già vista;
quindi il pendolo semplice, affrontato anche con il teorema della conservazione dell'energia riporta
alla equazione tipica del moto armonico
si prende ora come esempio il ''giro della morte'', visto da un sistema inerziale (ovvero un sistema
solidale con le stelle fisse: che si muove cioè rispetto ade esso di moto rettilineo uniforme):

per determinare quale velocità


debba avere il vagoncino per
rimanere attaccato alla rotaia si
applica il principio di
conservazione dell'energia, e si
prendono come positive tutte le
componenti dirette verso il
basso (e di conseguenza
negative quelle dirette verso
l'alto)

in A, quando il vagoncino entra nel ''giro della morte'' è presente la sola componente cinetica,
mentre in B, il massimo punto della traiettoria (oltrepassato il quale, se non si è staccato, il
vagoncino completa con successo il giro), oltre alla componente cinetica ne presenta anche una
potenziale (mgh); applicando dunque il teorema sulla conservazione dell'energia si ha:

quindi:

dove R non è da confondersi con la reazione vincolare ma


rappresenta il raggio della traiettoria curvilinea

ciò che si deve determinare è la velocità che il vagoncino deve avere in B di modo da esercitare
ancora una azione sulle rotaie e ricevere dunque da queste una reazione che lo tengano incollato alla
traiettoria – per il terzo principio della dinamica ad ogni azione corrisponde una reazione uguale (in
modulo e direzione) e contraria (ovvero opposta in verso e punto di applicazione)

quindi, ricordando che:

ed essendo nel caso di un moto centripeto si ha accelerazione centripeta (v2/R)

dove Fr rappresenta la forza di reazione vincolare

e quindi:

e affinché il vagoncino resti attaccato alla traiettoria questa quantità deve


essere positiva (ovvero, fisicamente: deve esistere)

si deve avere dunque:

ovvero:

e questa è al minima velocità che deve presentare il vagoncino per rimanere sulla traiettoria
a questo punto si determina questo valore, dalla prima equazione:

e dunque:

e si ottiene infine:

che rappresenta la velocità che il vagoncino deve avere in entrata per


completare con successo tutto il giro
Principio dei lavori virtuali

Il principio dei lavori virtuali deriva dalla dinamica dei sistemi, e afferma che il lavoro complessivo
delle n reazioni vincolari è uguale a zero per tutti i possibili spostamenti virtuali:

come si era visto nel caso del punto vincolato si aveva:

il cui significato fisico era che la reazione vincolare presentasse solo componente
perpendicolare alla traiettoria

ora si considera il caso del pendolo composto, nel quale le cose sono un po' più particolari:

con

le traiettorie dei pendoli descrivono delle


circonferenze:

ma è presente anche una condizione di allineamento: infatti nel pendolo composto i due pendoli si
devono muovere in maniera coordinata

ricordando i teoremi sui triangoli rettangoli si ha:

e dividendo membro a membro si ottiene:

che rappresenta la condizione di allineamento dei due pendoli

da un punto di vista fisico questo vuol dire che esistono due reazioni vincolari con componenti
tangenti alla traiettoria (R1 e R2) – per poter rispettare la condizione di allineamento infatti un
pendolo (il primo) deve avere velocità di oscillazione minore perché la sua frequenza è maggiore
mentre l'altro (il secondo), in quanto più lungo, deve avere velocità maggiore per stare al passo del
più veloce e raggiungere così un moto coordinato; sono si delle reazioni vincolari ma di tipo diverso
di quelle incontrate nel caso del punto materiale vincolato
Fluidodinamica
Statica dei liquidi

Nella statica dei liquidi il sistema non è in moto, dunque la legge della dinamica:

diventa, in quanto la componente cinetica è assente (il sistema è fermo):

e si ha dunque che:

dove la forza Fi è una forza di tipo attivo e si può quindi sostituire al posto del vincolo nella
espressione del lavoro virtuale – si ha quindi:

due tipici esempi di forze attive sono la forza peso e la forza di pressione

la naturale conseguenza di questo principio (dei lavori virtuali) è che l'acqua si dispone nei
contenitori sempre presentando una superficie piana senza imperfezioni allo stesso livello

nel caso dei vasi comunicanti:


se si provoca uno spostamento sulla prima
superficie (S1) questo si propaga anche sull'altra
superficie (S2), ma deve valere sempre il
principio di invariabilità del volume:

se cambia l'altezza della colonna d'acqua cambia


di conseguenza anche la sua energia potenziale;
si ha dunque:

in quanto si tratta del prodotto scalare di due vettori che hanno la stessa direzione (quindi l'angolo
interposto è 0 – il cui coseno vale uno); e per il principio dei lavori virtuali questa quantità deve
valere zero:

in fluidodinamica si preferisce però esprimere le masse come prodotto tra volume e densità (ρV),
quindi si ha:

esplicitando i volumi si ottiene:


fatte le dovute semplificazioni (anche usando
principio di invariabilità del volume) si ottiene:

ovvero le due colonne d'acqua devono possedere la stessa altezza


Legge di Stevino
il contenitore presenta un pistone che può' far scorrere
il liquido, di superficie infinitesima (ds), e su di esso
c'è una certa pressione – perché il pistone non venga
alterato da questa pressione gli si deve applicare una
forza uguale e contraria a quella esercitata dalla forza
di pressione della colonna d'acqua del contenitore

se a dF si fa fare uno spostamento infinitesimo dl –


dFdl – anche l'altezza della colonna d'acqua cambia di
conseguenza (o aumenta o diminuisce)

quindi si ha che:

ma deve semore valere il principio di invariabilità del volume, e quindi – dopo le opportune
semplificazioni – si ottiene:

l'espressione della legge di Stevino, che conoscendo densità del liquido e altezza della sua colonna
nel contenitore permette di calcolare la pressione

Legge di Pascal

secondo la legge di Pascal in ogni


punto del recipiente la pressione è
uguale – e si trova applicando sempre il
principio dei lavori virtuali

Legge di Archimede

preso un recipiente contenente acqua, si pensa – solo a


livello teorico (è concettuale) – di poter separare una
sfera d'acqua e di poterla legare ad un dinamometro:
non si osserverebbe niente di rilevante perché il liquido
attorno alla sfera reagisce in modo tale da annullarne la
forza peso
se invece la sfera fosse di ferro, sempre delle stesse dimensioni, la reazione del liquido sarebbe la
stessa:

quindi si definisce la forza di Archimede come:

e la forza di Archimede è una forza che agisce dal


basso verso l'alto con una intensità pari al peso del
volume di liquido spostato

considerando l'esempio dell'iceberg:

la parte emersa è solo la minima


parte del volume totale; per
spiegare questo si considera la
spinta di Archimede e bisogna
conoscere le tre densità – di
acqua, ghiaccio e mare:

il peso dell'iceberg è invece:

e dunque, in questo caso, la spinta di Archimede vale:

dove VI rappresenta il volume immerso dell'iceberg e VT quello


totale

svolte le opportune semplificazioni si trova che:

come si trova sviluppando i calcoli il volume dell'iceberg immerso rappresenta


quasi il 90% di quello totale
altro esempio è quello della corona di Hiero (o Geronte, alla latina):

Geronte ordinò a Archimede di valutare la composizione percentuale della corona d'oro che aveva
commissionato a un fabbro, pensando di esserne stato fregato – con aggiunta di una percentuale di
argento (con il quale l'oro forma facilmente una lega); quindi Archimede fa due pesate, una all'aria –
trovando che la corona pesa 10kg – e una in acqua – notando che ''perde'' un peso di 6,27N

il fatto che in acqua la corona perda 6,27N di peso significa che la spinta di Archimede è proprio
6,27N

queste unità sono nel sistema metrico mks (metro, kilogrammo, secondo) – volendole trasformare in
quello cgs (centimetro, grammo, secondo) si usano le opportune conversioni:

quindi:

che è il volume totale della corona

il sistema da risolvere è:

sapendo che la densità dell'argento è circa la metà di quella dell'oro si trova che l'oro rappresenta
solo il 75% della corona, il 25% della quale è argento
Dinamica dei fluidi ideali

Si definisce come fluido ideale il fluido che non presenta attrito, il cui moto è un moto stazionario e
in cui l'eventuale lavoro agente sul liquido (dovuto alle pareti del contenitore in cui esso si trova) è
sempre nullo, perché la forza e lo spostamento sono sempre perpendicolari tra loro

ogni particella ha una velocità che è sia funzione dello spazio,


che del tempo: il valore di v può cambiare nel tempo

però nel caso di un fluido ideale la dipendenza dal tempo non esiste: la velocità è costante e il moto
è stazionario

Legge di Bernoulli

Partendo dal principio delle forze vive:

dove tipiche forze attive sono la forza di pressione e la forza gravitazionale

preso un tubo di flusso, ovvero una idealizzazione teorica di un condotto dove passa il fluido
considerato e composto interamente da quel fluido, immaginato composto tutto da acqua:

si considerando due sezioni del


tubo (S1 e S2), poste a due livelli
differenti (h1 e h2) rispetto al livello
preso come riferimento (h=0)

il liquido che nel tempuscolo dt


attraversa la prima sezione è:

ovvero riesce a attraversare la


sezione solo il liquido che si trova
nel cilindro di altezza dt e base S1

e per il principio di invariabilità del volume si deve avere lo stesso in S2:

sulle due superfici agiscono due pressioni, p1 e p2, dove la seconda ha verso opposto rispetto alla
prima: in caso contrario il tubo si svuoterebbe (perché l'acqua sarebbe spinta a fluire solo in una
direzione) e verrebbe meno l'ipotesi di tubo di flusso (pieno di acqua)

quindi il lavoro di pressione è:

si effettua il controllo dimensionale, e si deve trovare che è effettivamente una pressione:


e quindi:

che è effettivamente una pressione

questo per quanto riguarda la componente di pressione, ma essendoci un livello è presente anche
una relativa alla energia potenziale – la cui variazione in questo caso corrisponde al lavoro delle
forze gravitazionali:

per il teorema delle forze vive, secondo il quale il lavoro di un corpo corrisponde alla variazione di
energia cinetica di quel corpo, si ha:

in cui la prima componente rappresenta la energia potenziale, la seconda la pressione

arrangiando i termini si ottiene:

rappresenta il trinomio invariante di


Bernoulli, principio di conservazione

si nota che sono tutte quante delle pressioni, dove in ρgh si riconosce la legge di Stevino, mentre per

si può fare il controllo dimensionale:

che è effettivamente una pressione

questo trinomio si scrive di solito in termini di altezze:

dove l'altezza piezometrica è quella che dovrebbe avere un liquido perché abbia proprio la pressione
p – si ricava dalla legge di Stevino: ρgh=p , e quindi h=p/ρg

e questo era il teorema di Bernoulli per i liquidi ideali


Sistema pratico (o sistema degli ingegneri):

se nel MKS le grandezze erano LMT (lunghezza, massa, tempo) nel sistema pratico le grandezze
sono LFT, ovvero al posto della massa presente la forza (la massa è quindi considerata come una
grandezza derivata – dal secondo principio della dinamica di Newton, F=ma)

preso 1kg massa, esso pesa nel MKS 10N – mentre nel sistema pratico equivale ad 1kg peso: quindi
si ha che 1kgm=10N e 1kgp=10N – si ha dunque che:

ovvero l'unità di misura della massa nel sistema pratico è


10 volte l'unità di massa del sistema MKS

anche per quanto riguarda la pressione ci sono diverse unità di misura che la esprimono:

Paradosso idrodinamico

Considerando il trinomio invariante di Bernoulli, su base delle altezze:

nel caso le quote considerate siano grosso modo uguali si possono semplificare e, separando
pressione e velocità (semplificando g) si ottiene:

e quindi:

dunque se p2-p1 è maggiore di zero, ovvero se nel punto due la pressione è maggiore che nel punto
uno, si ha che anche v12-v22 è maggiore di zero e quindi che v1 è maggiore di v2 – ovvero il punto
che presenta pressione minore ha una velocità maggiore e viceversa
Dinamica dei fluidi reali

Nei fluidi reali è presente attrito e il liquido si considera composto da piani, infinitesimamente
vicini gli uni agli altri e ognuno con la sua velocità

si può avere che il raggio del tubo


può assumere valori compresi tra:

dove 0 rappresenta il diametro del


tubo e R il raggio massimo, si ha
che:

ovvero la velocità è massima nel piano centrale mentre e nulla in quello a


contatto con la parete del tubo – cosa che si vede bene anche osservando
un fiume: sulle rive la velocità è praticamente nulla mentre nel centro è
massima

in questi piani infinitesimamente vicini ogni piano a velocità maggiore tende a trascinare il piano a
velocità minore adiacente, e questo, a sua volta, tende a rallentare il piano a velocità maggiore
(secondo il terzo principio della dinamica); tra i vari piani, inoltre, non sono possibili scambi di
particelle di liquido perché esse hanno una e una sola direzione, quella parallela alla velocità. Tutto
questo si chiama moto laminare.

La rappresentazione dei vettori velocità dei vari piani è del tipo:

e si dimostra sperimentalmente che per mantenere questo tipo di moto (il


moto laminare), e che il piano a velocità maggiore tenda a accelerare quello
a velocità minore e viceversa, deve risultare, secondo la legge di Navier:

dove la forza è una forza per unità di superficie e η rappresenta la costante


di viscosità del liquido

questa legge può essere scritta anche esplicitando la superficie:

nella dinamica dei sistemi esistono due equazioni cardinali – anch'esse derivate dal secondo
principio della dinamica (F=ma), ma scritte in maniera differente – e per trovare la velocità del
liquido si parte dalla prima di esse, cioè dalla prima legge cardinale della dinamica dei sistemi:

dove R è la risultante delle forze esterne (e) e Q rappresenta la quantità di moto:

la cui derivata risulta essere:

e si ha:

dunque deve essere:


e le forze esterne sono in questo caso la forza di pressione e la forza di Navier

per quanto riguarda la forza di pressione:

come nel modello della


legge di Bernoulli si
hanno due pressioni che
si contrastano, perché in
caso contrario il tubo si
svuoterebbe di tutta
l'acqua

si prende in considerazione la corona circolare presente tra le due circonferenze, basi dei due
cilindri interni al tubo:

la superficie di questa corona circolare è la differenza tra le aree delle


due circonferenze che la determinano:

quindi la superficie della corona circolare risulta essere:

la forza di pressione è:

si ha dunque che:

per quanto riguarda la forza di Navier, per mantenere lo stato di cose, la legge prevede che ci siano
una forza di accelerazione e una di d'accelerazione:

è presente il segno meno perché facc deve essere positiva, essendo una forza di accelerazione,
essendo il segno della derivata è negativo, questo perché:

disegnando il grafico della velocità in funzione della


distanza del piano dal centro del tubo (r) si ha che è
rappresentato da una retta decrescente, la cui pendenza,
la derivata appunto (dv/dr), è negativa
ora bisogna considerare il liquido ad un piano posto a distanza r+dr, ovvero il piano in cui il liquido
è più lento e tende a deaccelerare il piano a velocità maggiore (quello con r); il valore si può
estrapolare matematicamente, dato che si conosce il valore della funzione in r (che è facc), e il suo
valore in r+dr si torva sviluppando una serie e supponendo che la funzione sia regolare in quella
infinitesima variazione

nel caso generale si avrebbe:

quindi nel nostro caso si ha:

dove dr rappresenta x-x0

e dunque la somma algebrica tra le due componenti, accelerativa e deaccelerativa, diventa,


ricordandosi di cambiare di segno una perché hanno versi opposti (in questo caso cambiamo quello
della prima, facendola diventare positiva):

dunque, a questo punto, la risultante delle forze esterne è:

ovvero:

rimane:

si possono integrare entrambi i termini: se sono uguali a zero loro lo devono essere anche le loro
primitive

dove A è una costante di integrazione

dividendo per r e integrando nuovamente:


si ottiene:

dove A e B sono costanti che derivano da due


integrazioni successive

ricordandosi che i valori che può assumere r sono:

quando r assume il valore 0 si ha che:

ovvero ln0 non esiste; quindi in fisica, per ovviare a questo inconveniente, si pone A=0 e rimane:

quando invece r=R la velocità è zero:

si ha dunque che:

riportata nella espressione iniziale si ottiene che:

dalla quale si può ricavare la espressione della velocità:

dove la variabile è la r e la velocità è una v(r)

e questa è la espressione esplicita della funzione velocità

la legge di Poiseuille fornisce invece la portata del tubo:

ovvero la portata è il volume transitante nella sezione nell'unità di tempo

dimensionalmente si ha che:

e quindi si può scrivere anche come:

dunque la portata di un liquido reale è:

sviluppando i calcoli si arriva a vedere che la portata è proporzionale a r4, quindi anche piccole
strozzature del tubo comportano grandi cali della sua portata
Termodinamica
Lo scopo della termodinamica è quello di trasformare il calore (che in pratica non p altro che una
energia) in lavoro meccanico. Per esempio in una locomotiva l'acqua è riscaldata e portata a
ebollizione e i vapori sono convogliati, sotto pressione, in dei tubi andando a muovere delle leve
che poi fanno muovere la locomotiva (esercitando di fatto un lavoro meccanico)

Un sistema termodinamico, dove per sistema termodinamico si intende una macchina dove al limite
è presente un gas e che è descritto dalle tre variabili di pressione, volume e temperatura (dove in
realtà solo due sono variabili in senso stretto, essendo la terza fissata tramite la legge dei gas
perfetti), quando si trasforma dando luogo a variazioni intrinseche (ovvero quelle che riguardano il
sistema stesso, e possono quindi coinvolgere variazioni di pressione, volume e temperatura) ed
estrinseche (riguardanti l'ambiente che circonda il sistema, e possono essere assorbimento o
cedimento di calore o aumento e diminuzione del lavoro meccanico – sono cioè delle variazioni di
energia) definisce delle trasformazioni puramente termodinamiche.

Il piano di lavoro della termodinamica è il cosiddetto piano P (ovvero in funzione di pressione e


volume), chiamato anche piano di Clapeyron.

In una trasformazione isoterma il prodotto tra pressione e volume, a temperatura costante, è una
costante – e nel piano PV è rappresentato da una iperbole equilatera:

in sostanza si ha un aumento del


volume: è una espansione

siccome si ha una espansione la temperatura tenderebbe a diminuire, perché rimanga costante (come
deve essere in una trasformazione isoterma) l'ambiente deve cedere calore al sistema
termodinamico; questo calore è un calore positivo, che il sistema trasforma in lavoro meccanico

durante questa trasformazione è fatto un lavoro, che in meccanica si è visto essere:

nella sua forma più semplice

in termodinamica le variabili più utili per descrivere il fenomeno sono però pressione, volume e
temperatura; si divide e moltiplica dunque per una superficie e si ottiene:

in forma differenziale
ricordando che:

e che quindi:

sostituendo si ha:

e integrando ambo i membri:

si ottiene:

che rappresenta il lavoro di una trasformazione isoterma

questo lavoro è un lavoro positivo in quanto il numero di moli (n) è positivo per definizione, la
temperatura è indicata in gradi Kelvin (e non può quindi assumere valori negativi), R è la costante
dei gas (un valore positivo) e siccome VB è maggiore di VA il loro rapporto è un numero maggiore di
uno e quindi il suo logaritmo è positivo

il significato fisico di questo lavoro positivo è che il lavoro è trasferito dal sistema termodinamico
all'ambiente esterno, fosse stato negativo sarebbe stato dall'ambiente al sistema; mentre il calore si
definisce positivo se è ceduto dall'ambiente al sistema, viceversa negativo

altra trasformazione è la trasformazione adiabatica, nella quale non c'è nessun scambio di calore tra
sistema ed ambiente; si ha dunque che:

la combinazione di una espansione isoterma,


espansione adiabatica, compressione
isoterma e compressione adiabatica
rappresenta il ciclo di Carnot, che è un ciclo
chiuso (ritorna al punto di partenza e riinizia
da capo)
Secondo il primo principio della termodinamica (o principio di equivalenza) si ha che:

ovvero:

dove j è una costante dipendente solo dalle unità di misura usate, si può fare quindi in
modo che valga 1 – e in tal caso si ha:

che può anche essere scritta nella forma:

come si vedrà con il secondo principio della termodinamica, una parte del calore il sistema lo
restituisce all'ambiente e quindi ci saranno dei limiti alla sommatoria – nella quale dovranno
comparire anche dei termini negativi

questo per quanto riguarda una trasformazione ciclica chiusa, per una trasformazione
termodinamica aperta (come ad esempio una trasformazione isoterma) si ha:

dove ΔU rappresenta una funzione, che si chiama energia interna del sistema; questa funzione però
non si conosce precisamente ma ha delle caratteristiche: è una funzione di stato, ovvero,
matematicamente, la sua variazione dipende solo dal valore che la funzione assume nello stato
iniziale e finale, e non da come sia il percorso effettuato tra di essi

la funzione U è variabile di una (al più due) tra pressione, volume e temperatura; per stabilire con
certezza quale sia c'è la esperienza di Joule – che è una trasformazione adiabatica nella quale non
viene compiuto lavoro:

essendo la trasformazione adiabatica


si ha ΔQ=0, essendo inoltre senza
lavoro si ha anche che dL=0 ; segue
dunque che, per il primo principio
della termodinamica: ΔU=0

mettendo del gas nel contenitore A e


aprendo il rubinetto, che si immagina
abbia una apertura che lo lascia
passare molecola per molecola, esso
si sposta in B – senza però compiere
lavoro perché è costretto a passare
una molecola per volta
i tre parametri di pressione, volume e temperatura sono, in un primo caso:

anche il volume assume un certo valore, dove per VI si intende VA+VB e per VF sempre VA+VB :

ma la sua variazione è nulla

la situazione si può vedere anche in una seconda maniera, mantenendo tutto invariato tranne il
modo di esprimere il volume – che in questo caso è visto all'inizio solo come VA mentre alla fine è
VA+VB . Ma questo cambiamento è irrilevante perché U è una funzione di stato e comunque si
ragioni gli stati iniziale e finale del gas sono gli stessi; quindi:

non risente di come varia il volume, ne di come varia la pressione

delle tre variabili, quella che sicuramente non è variata in questa trasformazione è la temperatura:
quindi l'energia interna per un gas ideale è una funzione della temperatura

nel caso della isoterma, per il primo principio della termodinamica si ha:

perché ΔU=0 , in quanto la temperatura è costante essendo


la energia interna una funzione della temperatura stessa – è
una U(T), come ricavato dalla esperienza di Joule

dalla termologia (che studia i calori specifici) si ha la legge:

dove cs rappresenta il calore specifico – definito come il calore necessario per


aumentare di un grado unitario la temperatura di un grammo della sostanza

se si ha una trasformazione a volume costante, segue che dV=0 e di conseguenza dU=dQ e dunque
si ha:

dove il calore specifico è un calore specifico a volume costante

la relazione che si usa per vedere la dipendenza della energia interna dalla
temperatura

così come c'è il calore specifico a volume costante, c'è anche il calore specifico a pressione costante
– e sono legati da una relazione:

dove R è la costante dei gas perfetti


Espressione di una trasformazione adiabatica

In una trasformazione adiabatica si ha che ΔQ=0 e quindi:

ma si ha anche che:

dividendo il secondo membro per il peso molecolare si ottiene:

e si pone n=1 e CV è il calore specifico molare (ovvero riferito ad una mole)

ora, dalla legge di stato dei gas ideali, si ha che PV=RT (perché si è posto n=1); se ne fa il
differenziale totale e si ottiene:

e si ricava il termine in dT:

e si sostituisce in:

ottenendo:

e separando i termini in pdV da quelli in Vdp si arriva a:

dove:

e quindi:

semplificando R e riarrangiando i termini:

dove il rapporto tra calori specifici si può indicare con K, essendo costante, un numero solitamente
maggiore di 1 in quanto spesso – per uno stesso materiale – il calore specifico a pressione costante è
maggiore di quello a volume costante; si ha quindi una differenziale a variabili separabili che
diventa:
integrando:

si ottiene:

ovvero:

e dunque:

da cui si ottiene:

che è l'espressione analitica di una trasformazione adiabatica

nel piano PV si rappresenta come:

dove, essendo K maggiore di uno, la retta ha una pendenza


maggiore che nel caso di quella rappresentante una
trasformazione isoterma in quanto il termine contenente il
volume ha più peso essendo elevato a K

altro modo di esprimere questa relazione è quello di esplicitare la pressione:

e quindi:
Per quanto riguarda il secondo principio della termodinamica, esistono due enunciati – che
comunque trattano lo stesso fenomeno:
-dicitura di Clausius: è impossibile trasportare del calore da un corpo più freddo ad uno più caldo
spontaneamente (è possibile solo se si fornisce un lavoro esterno)
-enunciato di Kelvin: è impossibile una trasformazione termodinamica il cui unico risultato è quello
di prendere da un solo termostato del calore e trasformarlo interamente in lavoro meccanico (ovvero
una macchina termica non potrà mai avere un rendimento del 100%, perché un certo calore sarà
dissipato comunque nell'ambiente)

Per vedere che questi due enunciati esprimano effettivamente lo stesso principio (il secondo
principio della termodinamica) si pensa, concettualmente, di andare contro le ipotesi di uno,
verificando che facendo ciò si va necessariamente contro le ipotesi dell'altro:

se si prende una macchina


termodinamica e si sposta del
calore dal termostato 2 a T2 al
termostato 1 a T1>T2 – con un
lavoro esterno nullo (perché deve
essere un fenomeno spontaneo) –
si va contro l'enunciato di
Clausius, perché si avrebbe un
trasferimento di calore da un
corpo più freddo a uno più caldo;
se invece si prende una macchina
reale si avrebbe che il termostato
2 da e riceve la stessa quantità di
calore (Q2) e quindi in
termodinamica è come se non
esistesse: di questa macchina
rimarrebbe dunque solo il
termostato 1 che riceve un calore
e lo trasforma interamente in
lavoro meccanico (contro Kelvin)

si vede quindi che i due enunciati trattano dello stesso fenomeno, perché andando contro uno si va
anche contro l'altro – analogamente se si partisse dal principio di Kelvin

Il lavoro di una trasformazione adiabatica è proporzionale a ΔT:

essendo VB>VA si tratta di una espansione, e


si ha inoltre che la curva della espansione
adiabatica poggia su due isoterme a
temperature differenti

essendo il lavoro proporzionale a ΔT si ha


che:
in una compressione adiabatica il lavoro è negativo, mentre è positivo in una espansione – essendo
però uguali in valore assoluto la loro somma è nulla: ecco perché il lavoro totale svolto durante un
ciclo di Carnot dipende esclusivamente dal lavoro delle due isoterme (di espansione e di
compressione):

il lavoro di quella di espansione è dato da:

mentre di quella di compressione:

quindi la somma è:

si può dimostrare che questo vale:

ovvero è una funzione dei volumi della sola espansione:


spariscono quelli della compressione

ricordando che:

ovvero:

per la prima adiabatica si ha:

e per la seconda:

dividendo membro a membro:

ovvero, semplificando e sistemando:


si può scrivere quindi:

e il lavoro totale diventa:

per quanto riguarda invece il rendimento di una macchina termodinamica si ha:

in quanto in una isoterma si ha ΔL=ΔQ poiché ΔU=0 (in quanto la


temperatura è costante)

che si può trovare anche nella forma:

che deriva da:

quindi per aumentare il rendimento di una macchina termodinamica si deve aumentare T1 – ovvero
la temperatura del termostato dal quale si prende il calore – perché T2 è la temperatura
dell'ambiente, sulla quale non si può agire; comunque si operi sarà un rendimento sempre minore di
uno, perché T1>T2
il secondo principio della termodinamica ha anche una rappresentazione matematica:

chiamata diseguaglianza di Clausius

nelle trasformazioni reversibili si considera l'uguale, in quelle irreversibili solo il minore; questa
dicitura è equivalente a quelle del tipo:

rappresentazione di un ciclo chiuso reversibile


(ovvero si può andare da A a B tramite ognuna
delle due strade e in ognuna delle due possibili
direzioni), al quale si applica il secondo principio
della termodinamica:

esplicitando si ottiene:

il meno si può eliminare invertendo il cammino del percorso (una delle proprietà degli integrali):

il che vuol dire che la quantità dQ/T è indipendente dal cammino percorso, ovvero è una funzione
di stato: la ENTROPIA – che è definita da:

definizione di validità generale, sia per le trasformazioni reversibili che irreversibili, ma che non
può essere applicata come partenza nel calcolo dell'entropia nel caso delle trasformazione
irreversibili – si avrebbe infatti, considerando una situazione analoga a quella della esperienza di
Joule, con due contenitori di uguale volume separati da un foro molecolare, in uno dei quali è
presente un gas ideale a una certa pressione e temperatura che ne occupa tutto il volume; il quale in
seguito fluisce molecola per molecola tramite il foro – non compiendo di fatto lavoro meccanico –
determinando una trasformazione adiabatica (quindi con dQ=0 e pdV=0):
se volendo calcolare l'entropia si partisse dalla definizione di questa:
ovvero da ΔS=ΔQ/T si avrebbe ΔS=0 perché è zero ΔQ (in quanto è una
trasformazione adiabatica) – questo risultato è però gravemente erroneo,
perché si è calcolata l'entropia per una trasformazione irreversibile come
se fosse reversibile; essendo l'entropia una funzione di stato dipende
unicamente dallo stato iniziale e finale, e non dal cammino percorso, si
può quindi pensare di andare dallo stato iniziale a quello finale
seguendo una trasformazione isoterma – essendo la temperatura costante
durante il processo, si parte dunque applicando il primo principio della
termodinamica:

che per l'isoterma diventa:

perché la temperatura è costante e quindi si ha ΔU=0

si conosce anche il lavoro di una isoterma, dato da:

e quindi:

dunque l'entropia è:

ma essendo:

perché il volume totale (V2 – presente alla fine) è il doppio di quello iniziale
(V1), perché i due contenitori hanno lo stesso volume

si ha:
Espressione della entropia di un gas perfetto

lo stato iniziale, A, è identificato da due parametri di volume e temperatura, mentre quello finale da
due variabili di volume e temperatura:

ricordando il primo principio della termodinamica:

e l'espressione della entropia:

si trova:

ma essendo:

si ha:

dalla legge dei gas perfetti si ricava che P/T=R/V e quindi:

ottenendo:

se si moltiplica e divide R per CV (calore specifico molare a volume costante):

dove con K si indica il rapporto Cp/CV

si ha ora:

e applicando una proprietà dei logaritmi:


che equivale a scrivere:

e applicando ancora una proprietà dei logaritmi (la somma di logaritmi di base uguale equivale al
logaritmo del prodotto degli argomenti):

in questa situazione lo stato iniziale è in forma parametrica (dipende da parametri noti – se ne


conoscono la temperatura, il volume iniziale e K, che è stato definito come il rapporto tra Cp/CV): è
perciò una costante – e il logaritmo di una costante rimane una costante; perciò l'espressione
dell'entropia di un gas perfetto è:

nel caso di una adiabatica anche il termine TVK-1 è costante – e per questo si dice che le
trasformazioni adiabatiche sono isoentropiche – e si avrebbe:

Trasformazioni irreversibili

in questo caso il ciclo è irreversibile, perché uno


dei due camini è irreversibile – non si può quindi
seguire un percorso a ritroso secondo il cammino
γ1

si ha dunque, secondo la diseguaglianza di


Clausius:

ovvero, esplicitando:

si ha che:
ovvero:

dunque si arriva a:

in un sistema isolato, quale è l'universo – che contiene tutta la materia esistente e non ha nulla
all'esterno - , non si può avere un trasferimento di calore con l'esterno (perché essendo isolato non
interagisce per definizione, e nel caso dell'universo non avrebbe neanche con cosa da interagire
essendo stato questo definito come tutta la materia esistente): si tratta dunque di un sistema
adiabatico – per il quale ΔQ=0 e dunque è nullo anche l'integrale a secondo membro della
espressione dell'entropia, si ha quindi:

ovvero:

quindi l'entropia dello stato finale del sistema è maggiore di quella iniziale: si ha che l'entropia
dell'universo è in continuo aumento

Esempio pratico

Si abbia un corpo A a temperatura T1 e una capacità termica C1 (dove la capacità termica è definita
come massa per calore specifico); si abbia poi un corpo B a T2>T1 e con una C2=C1=C – in questo
caso la temperatura finale è data dalla media aritmetica delle due temperature ((T1+T2)/2), ma solo
perché le due capacità termiche sono uguali. Essendo:

e:

in quanto:

si ha:

l'entropia del corpo A è dunque:


mentre l'entropia del corpo B è:

volendo trovare l'entropia totale si ha:

ovvero:

quindi:

e:

ottenendo nuovamente:

si è in presenza di un processo irreversibile: il trasferimento di calore è possibile spontaneamente


dal corpo più caldo a quello più freddo, e non viceversa – e questa è la riprova dell'enunciato di
Clausius sul secondo principio della termodinamica
Elettrologia
Lo scopo della elettrostatica è determinare l'espressione del campo elettrico, e le cariche che lo
generano.

Carica elettrica

Alle grandezze fondamentali del sistema MKS se ne aggiunge una nuova, la carica elettrica (Q) e si
ha dunque il sistema MKSC (dove C sta per Coulomb) – dove le grandezze sono LMTQ; invece nel
sistema CGS:

la legge di Coulomb diventa, in quanto per questioni legate alle unità di misura
si ha k=1 :

dove si ricorda che k è:

essendo ε0 la permeattività del vuoto

quindi si ha che:

ovvero le unità di misura di q sono:

Campo elettrico

Lo scopo primario della elettrologia è determinare il campo elettrico, che è per definizione dato dal
rapporto tra la forza elettrica (di Coulomb) e una carica q:

il campo elettrico generato da una carica q posizionata in un certo punto O è:

che deriva da:

dove q0 è la carica di prova, usualmente considerata unitaria e positiva – che viene usata per sondare
il campo elettrico generato dalla carica sorgente (q)

la forma vettoriale dell'espressione del campo elettrico è invece:


dove P indica il punto in cui è posizionata la carica sonda mentre O è il punto nel quale si trova la
carica sorgente; il versore va quindi da P ad O e si ha dunque che il campo dipende dalla distanza
alla quale è posta la carica sonda, è meglio scriver quindi:

per evidenziare la dipendenza del campo dalla distanza a cui è


posta la carica sonda

si vede chiaramente che il campo elettrico è un campo vettoriale, e il versore – da come è già stato
definito – non è altro che un vettore unitario giacente su r

la conversione tra unità di misura MKSC (C – Coulomb) e CGS (franklin) è data da:

dove c è la velocità della luce

Potenziale elettrico

Il potenziale in un punto è definito come il lavoro compiuto dalle forze del campo per trasportare
una carica unitaria positiva da un punto P all'infinito

trattandosi di analisi infinitesimale


l'arco PP' si confonde con la corda PP' e
si trova dunque che il lavoro è:

ma il campo elettrico è definito come


forza/carica, e una forza per un ds
fornisce un lavoro: quindi questo è un
lavoro per unità di carica
ovvero:

che diventa:

ed essendo:

si può scrivere:
e si ottiene che il potenziale vale:

dove q indica la carica sorgente (del campo elettrico)

campo elettrico, che può essere espresso anche come:

essendo stato il versore definito come:

e si ha una configurazione di questo tipo:

se si prende la componente x del campo (e si ha


in maniera analoga per le altre due componenti, y
e z) si può dimostrare che:

se derivata rispetto ad x fornisce esattamente il


campo elettrico:

si troverà che una carica può essere distribuita solo sulla superficie del corpo, se conduttore, o in
tutto il volume, se dielettrico, e si avranno quindi:

dove σ rappresenta una distribuzione superficiale di carica

e:

nel caso dielettrico: è un integrale di volume

da:

si ha una struttura simile al caso delle forze conservative

il campo elettrico, dovuto a cariche elettriche statiche, è un campo conservativo – si dimostra


ovvero che esiste una funzione che derivata fornisce il campo elettrico (e questa funzione
risulterebbe essere -U); dunque – nei due casi di carica distribuita sulla superficie o sul volume – si
avrebbe:

con questa impostazione una carica positiva darebbe luogo ad un potenziale


negativo, mentre una negativa darebbe luogo ad uno positivo – volendo avere
il contrario, per congruenza tra segni delle cariche, si cambia di segno la
funzione U

e si ottiene:
e a questa funzione U si da il nome di potenziale elettrico – indicato con V:

con la seguente dicitura il campo elettrico può essere espresso come il gradiente negativo di V:

dove il gradiente è un operatore, che si indica simbolicamente con la lettere greca nabla:

che è un operatore vettoriale differenziale:

vettoriale perché contiene i versori i, j e k – differenziale perché sono presenti anche le derivate,
viste come rapporto tra differenziali (derivate viste secondo la definizione di Leibniz):

e quindi si può scrivere anche:

però l'operatore nabla non agisce solo sulle grandezze scalari, ma anche su quelle vettoriali; quindi
quando agisce sul campo elettrico (che è vettoriale) può agire sia scalarmente che vettorialmente –
quando agisce scalarmente su una grandezza vettoriale il risultato è uno scalare, e non si chiama più
gradiente ma divergenza:

quando invece agisce vettorialmente sul campo elettrico il risultato è una grandezza vettoriale, e in
questo caso si chiama rotore; si ha:

quindi si ha che:
Disco uniformemente elettrizzato

Si abbia un disco, di spessore infinitesimo, uniformemente carico – ovvero con una distribuzione
superficiale di carica costante:

volendo calcolare il valore del campo


elettrico nel punto P si utilizza:

sapendo che il potenziale è:

disegnando due circonferenze internamente al disco si viene a determinare una corona circolare –
nel disegno evidenziata in verde – di superficie:

si ha dunque che:
che dimensionalmente risulta effettivamente una superficie, essendo il prodotto
di due lunghezze

la quantità di carica nella corona circolare è data dal prodotto tra la superficie della stessa e la
distribuzione superficiale di carica:

si ha dunque per il potenziale:

facendone l'integrale:

ottenendo:

le linee di forza del campo elettrico sono perpendicolari al disco e hanno una sola direzione: x; si ha
quindi solo da fare:

si trasforma quindi a da parametro a variabile (x) e si ha:


si ha inoltre che la componente del campo in x è:

e coinciderà con il campo, non essendoci le componenti y e z

sviluppando i calcoli della derivata si ottiene:

ricordando che l'angolo piano è definito come:

ovvero è determinato dal rapporto tra l'arco AB e il raggio della


circonferenza – è dunque per definizione un numero puro (essendo
definito dal rapporto di due lunghezze), e questo fatto è indicato
tramite i radianti

per quanto riguarda invece l'angolo solido si deve considerare non una circonferenza ma una sfera:

si definisce angolo solido come il rapporto tra la superficie della


calotta sferica ricavata dalla sfera e il raggio della sfera al quadrato: è
una definizione di angolo tridimensionale

la calotta sferica è una parte della sfera determinata da un taglio operato sulla sfera stessa:

la superficie della calotta sferica è data dal prodotto della sua


altezza, h, e dalla circonferenza della sfera che la calotta stessa
determina

per dimostrare che questa quantità sia effettivamente un angolo solido:


sulla traccia del disco iniziale si abbia una circonferenza: questa determina una calotta sferica di
altezza h=l-x e raggio R (ovvero il raggio del disco stesso):

e la superficie della calotta è:

dove 2πl è la circonferenza cui appartiene la


calotta

l'angolo solido è quindi:

dove R è il raggio della circonferenza,


ovvero, in questo caso, l

si ha:

ma essendo l l'ipotenusa di un triangolo rettangolo vale:

si ha quindi:

e mettendo in evidenza 2π:

e si è così dimostrato che questa grandezza è proprio l'angolo solido

si ha quindi:

che in forma
vettoriale è:

il massimo valore dell'angolo solido si ha quando l'intera sfera è considerata alla stregua di una
calotta sferica: essendo la superficie della sfera 4πR2 si ha:

quando invece il punto P coincide con il punto O il campo diventa:


Sfera conduttrice

Per sfera conduttrice si intenda una sfera di rame, ed essendo conduttrice che sia piena o vuota non
è rilevante in quanto la carica si distribuisce solamente sulla superficie esterna

la figura RR'SS' è una corona circolare tridimensionale, la cui superficie è:

si sa già che il potenziale vale:

e per trovare r si applica il teorema di Carnot:

si ha quindi:

integrando:

se si integrasse in d(-2aRcosθ) l'integrale sarebbe immediato – si fa dunque il differenziale di questa


quantità:

dunque:

dove si è moltiplicato e diviso per 2aR e lo si è


portato a numeratore nell'integrale

si ha:
si controlla quale sia effettivamente la primitiva derivando il denominatore dell'integrando:

serve un mezzo, che è già presente fuori dall'integrale a denominatore: lo si porta quindi dentro
l'integrale

e a questo punto si ha:

la sfera conduttrice uniformemente carica si comporta dunque come se tutta la carica fosse
concentrata nel suo centro (nel punto O) e il campo elettrico vale quindi:

se invece il punto P fosse stato interno alla sfera si avrebbe (a+R)-(R-a) invece di (a+R)-(a-R):

moltiplicando e dividendo per R questa quantità si mette in evidenza che:

come prima, è il rapporto tra la carica totale ed il raggio

ed è anche una quantità costante essendo tutte quantità costanti quelle che vi compaiono (il raggio
della sfera è costante e la distribuzione di carica superficiale pure): da questo risulta che all'interno
della sfera il potenziale è costante mentre il campo elettrico nullo:
Dipolo elettrico

In elettrostatica un dipolo elettrico è un sistema composto da due cariche elettriche uguali in


modulo ma di segno opposto, separate da una distanza costante nel tempo.

Di questa distribuzione di carica, di tipo dipolo elettrica, si vuole calcolare il potenziale in un punto
P; per le cose dette in precedenza il potenziale sarà:

nella trattazione infinitesimale si può approssimare:

e si ha quindi:

dove con P si indica il momento dipolare

si può scrivere anche:

da quanto detto segue che il campo elettrico di una distribuzione di tipo dipolo elettrica non varia
secondo un termine q/r2 ma secondo uno q/r3 essendo il potenziale del tipo k/r2 (e non k/r)

e quindi si ha che:
il vettore P si può scrivere secondo le sue componenti:

perché c'è solo lungo la direzione y

si ha che:

dove anche il vettore r può essere scritto secondo le sue componenti (in questo caso x e y):

si ha dunque per il potenziale:

e su questo si applica E=-grad(V): c'è da calcolare Ex ed Ey

a questo punto si sono ottenute le componenti del campo, che risulta essere dunque:

ovvero:

sviluppando il radicando:

messa sotto forma di r si ha:

che diventa:

si ha dunque:

il radicando rimasto si può vedere come:

e il campo risulta essere:


dalla figura:

si ha che:

e quindi:

il campo è infine:
Il teorema di Gauss

Il teorema di Gauss, afferma che i campi vettoriali radiali dipendenti dal reciproco del quadrato
della distanza dall'origine hanno un flusso attraverso una qualunque superficie chiusa che dipende
solo dalla carica in essa contenuta ed è indipendente dalla posizione interna delle cariche che lo
generano:

se sono presenti più cariche

se c'è un continuo di carica

per definizione queste espressioni enunciano il flusso del vettore campo dove n è la normale alla
superficie

si definisce flusso elementare del campo u


attraverso la superficie ds come:

il flusso totale è invece dato da:

se si traslano queste considerazioni al caso del campo elettrico si ha che:

per convenzione si ha n uscente dalla superficie

dove la superficie è convessa:

perché se fosse stata concava si avrebbero dei contributi, quelli


presenti nella conca, che si annullerebbero (essendo per
definizione uguali ed opposti) determinando un risultato minore di
quello reale
e con Q si intendono le cariche interne alla superficie, perché se fossero esterne:

si avrebbe lo stesso
problema del caso della
superficie concava

dal teorema di Gauss discendono alcuni corollari, il più importante dei quali afferma che all'interno
di un conduttore (per esempio una sfera piena di rame) non ci sono cariche e anche che è nulla la
componente tangenziale del campo – è diversa da zero solo la componente normale alla superficie;
questo vuol dire, fisicamente, che gli elettroni – quando si elettrizza un conduttore – si dispongono
sulla superficie dello stesso. Questo fatto si usa anche per definire un conduttore, che è tale da avere
solo cariche distribuite sulla sua superficie e una componente del flusso tangenziale nulla

preso un conduttore in quiete, ovvero con E=0 e dunque V=costante si ha:

mettendo delle cariche sulla superficie quelle positive si


muovono verso punti di potenziale negativo (che si creano
quando si aggiungono le cariche stesse in quanto la
superficie non è più equipotenziale), mentre quelle negative
verso zone positive; e perché ci sia questo moto di cariche
bisogna che si fornisca una forza (che è data dal campo
elettrico), ricordando il principio dei lavori virtuali:

che afferma che se il campo è scomposto in due componenti l'unica che può esistere è quella
perpendicolare, si ha infatti:

e dovendo essere zero questa quantità, è possibile solo se la componente tangenziale è nulla

si ha dunque che se n è la normale alla superficie l'unica componente del campo che si considera è
quella lungo la normale
Equazioni di Maxwell per il campo elettrico

secondo il teorema di Gauss si ha:

applicando il teorema della divergenza si può trasformare l'integrale di superficie in uno di volume
e viceversa – in questo caso:

per una proprietà degli integrali di volume si può scrivere che:

e non potendo essere nullo il volume ha da essere nullo l'integrando:

che rappresenta la prima equazione di Maxwell per la elettrostatica

la seconda equazione di Maxwell deriva dal fatto che il campo elettrico è un campo conservativo,
ovvero la sua circuitazione è nulla:

applicando il teorema di Stokes si trasforma l'integrale di linea in uno di superficie:

e anche in questo caso si considera che non può essere nulla la superficie, e ricordando che il rotore
di E equivale al prodotto scalare tra l'operatore nabla ed il vettore campo elettrico si può vedere
E x n come un vettore (è la proiezione di E lungo n) – quindi si che ha rot(E) x n è la proiezione di
questo vettore lungo la normale, quantità che non può essere nulla: l'unica cosa che può essere nulla
è il rotore di E:

e questa è al seconda equazione di Maxwell per il campo elettrostatico

e per trovare il campo elettrico da queste due equazioni esse si devono mettere a sistema:

il campo è conservativo:

il rotore non cambia, ma la divergenza si:

dove e0 è la carica di
polarizzazione: e0=-div(π)
teorema di Gauss
si ha quindi:

ovvero:

ed infine si ottiene:
Dielettrici

Nelle trattazioni precedenti si è calcolato il campo elettrico in spazi vuoti, ora lo si considera in uno
spazio contenente materiale polarizzabile (dielettrico); in un dielettrico in presenza di un campo
elettrico si instaurano delle cariche positive e negative, solo se però il campo elettrico è preesistente

si dimostra che la somma delle cariche interne presenti in un dielettrico è nulla: un dielettrico è
neutro

un dielettrico, quando la distanza tra le cariche è grande, si comporta come un dipolo elettrico e si
ha che:

dove P è il momento dipolare elettrico, d la distanza tra le cariche ed e la carica elementare

in questi casi vale dunque, anche per il dielettrico:

La polarizzazione si ha a causa delle cariche elettriche preesistenti: si genera un altro campo


elettrico oltre a quello delle cariche preesistenti

ogni elemento di volume del dielettrico è proporzionale, tramite il vettore pi greco (che rappresenta
il vettore di polarizzabilità elettrica), ad un momento di dipolo

la distribuzione superficiale di carica è definita come:

e il potenziale come:
rappresenta gli infiniti punti del dielettrico che
hanno componente x', y' e z'

la distanza r, tra un punto esterno al dielettrico P ed uno interno, è:

l'operatore gradiente opera su r, in quanto questo contiene le variabili x, x', y, y', z e z' :

il meno sparisce e si ha un gradiente positivo: è tutto uguale, l'unica cosa differente è che si
moltiplica per -1 (perché in questo caso si è fatta la derivata parziale di x', che viene -1, e non di x,
essendo arbitrario quale scegliere)

nell'espressione del potenziale si è messo πdv al posto di P perché il dielettrico a grandi distanze si
comporta come un dipolo elettrico; volendo ricavare il potenziale dal suo differenziale si integra:

risolvendolo si ottengono sei grandezze discrete continue – il potenziale è solo funzione di x, y e z e


non di x', y' e z' che spariscono durante l'integrazione (perché non sono variabili ma valori dati)

si dimostra che:

quindi:

essendo la divergenza di P' opera su x', y' e


z', mentre la divergenza di P non vede il
vettore π in quanto opera su x, y e z
applicando il teorema della divergenza si passa dall'integrale di volume a quello di superficie:

dove è un prodotto scalare quello tra π e n:

e si ha che:

si ha dunque:

e da questo si vede che il dielettrico genera una distribuzione di carica di tipo sigma, cioè
distribuzione di carica superficiale – quindi il campo elettrico di un dielettrico polarizzato è uguale
a quello dato da una distribuzione di carica superficiale sigma

è il campo elettrico dato, che si aggiunge a quello delle cariche preesistenti

dove omega è l'angolo solido

da

si ha:

il campo totale del dielettrico, D, è:

ed essendo π definito anche come:

dove chi rappresenta la suscettività del dielettrico

dove con D si indica il vettore di induzione elettrica


Elettrodinamica

L'elettrodinamica è lo studio del campo magnetico generato da correnti elettriche, mentre la


magnetostatica è lo studio del campo magnetico dovuto a materiali ferromagnetici; anche per il
campo magnetico esiste una legge analoga a quella di Coulomb per il campo elettrico:

dove m1 è una massa magnetica o positiva o negativa (e a seconda di questo


m2 è di segno opposto: non esiste infatti l'unipolo magnetico)

Infatti nel fenomeno del magnetismo esistono soltanto cariche elettriche polarizzate; sarà sempre
presente un polo negativo e uno positivo (un nord ed un sud), per quanto si possa provare a separare
in due un magnete le parti ottenute si organizzano nuovamente in uno stato polarizzato

Il campo magnetico statico è un campo conservativo, come lo è il campo elettrico, e ciò vuol dire
che anche dalla circuitazione del campo magnetico si ottiene:

una differenza si riscontra nella formulazione della prima legge di Maxwell, ricordando dal caso
dielettrico:

dove con ρ0 sono le cariche derivanti dalla polarizzazione

nella elettrostatica si aveva:

mentre per il caso magnetostatico si ha:

dove I è il vettore di polarizzazione magnetico; si ha:

e quindi:

e non 4π come nel caso del campo elettrico

si è capito che un circuito percorso da corrente genera un campo magnetico grazie alla esperienza di
Oersted, ovvero: un circuito disposto in parallelo al meridiano terrestre (l'allineazione è garantita da
una bussola) è disposto vicino ad una bussola – se si chiude il circuito e si lascia scorrere la corrente
non si verifica nulla; se invece quando si chiude il circuito la bussola è posizionata sopra (o sotto) il
circuito si osserva che quest'ultima ruota di 90° (il verso di rotazione dipende dal verso della
corrente).
Questo significa che il campo elettrico genera un campo magnetico che giace su un piano
perpendicolare al piano ove giace il filo attraversato dalla corrente – e ha verso dato dalla regola
della mano destra

il campo magnetico generato da un filo


indefinitamente lungo e di piccola sezione,
percorso da corrente, non è un campo radiale –
come il campo elettrico – ma le sue linee di
forza sono delle circonferenze concentriche con
il filo percorso da corrente che giacono su piani
perpendicolari al filo stesso

questo è invece il campo magnetico generato da un


magnete, che può essere evidenziato ponendo della
limatura di ferro in sua prossimità e osservando
come questa si dispone: all'esterno le linee di forza
hanno direzione nord sud, mentre all'interno del
magnete sud-nord

Dal fatto che l'ago ruota di 90° si deduce la legge di Biot-Savart, che fornisce il campo magnetico
per un circuito rettilineo indefinito di piccola sezione percorso da corrente; intanto la statica è
basata su due regole:
- la risultante delle forze agenti su un corpo deve essere nulla: R=0
- deve essere nulla anche la risultante dei momenti delle forze agenti: M=0

dove per momento di una forza si intende

e si definisce momento della forza f, applicata a P rispetto al


centro di riduzione O, la quantità:

e per ricavare la legge di Biot-Savart ci si serve di questa


definizione di momento di una forza
ricordando che il campo magnetico magnetostatico è definito come:

si ha:

l'ago è tangente alla curva (che rappresenta il


circuito che genera il campo magnetico) e alle
sue punte sono presenti due masse magnetiche
(ovviamente di segno opposto: non esiste il
monopolo magnetico) – si ha inoltre che l'angolo
tra raggio e forza è di 90°, perché si lavora
sempre nell'infinitamente piccolo – dove le rette
tendono a confondersi (a diventare
perpendicolari)

se l'ago non si muove devono valere contemporaneamente R=0 e M=0, partendo da quest'ultima si
ha:

ricordando che H=f/m si ha:

ed essendo inoltre:

si può scrivere:

e semplificando m si ottiene:

e questo esprime una proporzionalità inversa tra il campo magnetico e la distanza a cui si trova il
punto P nel quale si vuole trovare il valore del campo:

dalla legge di Biot-Savart si ha che:

se si pone k=2λ si ottiene:


volendo trovare le dimensioni di lambda:

e quindi:

si ha dunque che:

ovvero:

le dimensioni di λ sono l'inverso di quelle di una velocità

si può scrivere dunque che λ vale 1/c e si ha:

questo se si usa il sistema di misura CGS misto – o di Gauss-Nernst

nel definire una misura si ha:

ovvero la vecchia misura (m) è k volte quella nuova (m') – mentre l'unità di misura della nuova
misura è k volte l'unità di misura della vecchia misura

si può quindi lavorare toccando le formule, che esprimono solo in che sistema di misura si sta
operando (il fenomeno non cambia):

se si cambiano le misure dell'intensità di corrente, i, si ha:

dove la vecchia misura è c volte più grande della nuovamente

oppure si pone:

ottenendo in questo modo:


con:

e questo sistema è chiamato sistema CGS elettromagnetico,


perché non si sono toccate le misure magnetiche

alternativamente si poteva lavorare sulle misure di H:

se si pone:

si ha:

da cui derivano:

e questo è il sistema di misura CGS


elettrostatico

riassumendo, i tre possibili sistemi di misura sono:

e al variare del valore attribuito a lambda si cade in diversi sistemi:

in conclusione per la quantità di carica si può avere:


I° legge di Laplace

La prima legge di Laplace è una ipotesi (una intuizione), senza correlazione sperimentale, ma che se
applicata si vede funzionare e consente di trovare il vettore di induzione magnetica H in un punto P
esterno ad un circuito percorso da una corrente di intensità I:

si ha che:

che viene formulata


come, in forma
differenziale:

la forma integrale è invece:

che può essere scritta anche come:

essendo:

da questa relazione si può trovare il campo magnetico nel punto P; nell'integrando è presente un
prodotto vettoriale: vuol dire che nei calcoli si deve scomporre questo vettore nelle sue componenti

dato un normale prodotto vettoriale:

il suo risultato è un vettore di modulo |a||b|senα, direzione data dalla perpendicolare al piano
indicato dai due vettori e verso dato dalla regola della mano destra

per trovare le componenti si fa il determinante:

e applicando le regole matematiche relative al calcolo dei determinanti:


ottenendo:

il meno presente nella espressione della seconda componente deriva dal fato che la formula generale
del calcolo dei determinanti è del tipo:

dove i indica la riga e j la colonna

la riga è sempre determinata, quindi i è unitario, mentre a variare e j: quando j è dispari l'esponente
diventa pari e il meno sparisce – mentre se j è pari l'esponente viene dispari e il meno rimanere

i modi con cui sono chiamate queste leggi in paesi diversi:

essendo questa legge ipotetica, senza correlazione sperimentale, la prima legge di Laplace viene
applicata ad un filo rettilineo indefinito percorso da corrente (di cui ho già trovato il vettore H) –
ricavando nuovamente il vettore H e verificando se risulta quello aspettato

sulla sezione di un filo (ingrandita), al cui interno si


immagina presente un tubo di flusso, le cui due sezioni,
di area sigma sono a distanza dl e determinano un
elemento di volume:
essendo l'equazione di continuità della corrente elettrica:

dove ρ indica la densità di carica elettrica di volume

la corrente si dice stazionaria se la quantità di carica che passa nella sezione nel tempo T è costante
e quindi si ha:

avendo per la corrente stazionaria:

che indica la densità di corrente e si scrive:

ammettendo che la corrente sia stazionaria in questa condizione si ha:

e assumendo λ=1 e portando i nell'integrale si ottiene:

ed essendo:

si ha:

e si può scrivere:

ottenendo:

avendo che:

nel nostro caso si ha:


e dato che:

perché l'operatore nabla non vede il j perché in esso non compaiono ne x ne y

si ha:

e l'integrale diventa:

che nel nostro caso si può scrivere, dato che l'operatore deriva coordinate diverse da quelle su cui
opera l'integrale, come:

e si ha infine la relazione:
Lamina Magnetica

Il campo magnetico di un circuito qualsiasi è comparabile al campo magnetico di una lamina


magnetica con determinate caratteristiche

questa configurazione deriva dalla applicazione al


punto P della grandezza δ – e questo si fa agli infiniti
punti presenti – ottenendo così un'altra superficie a
distanza δ; mettendo una carica magnetica positiva su
questa superficie, per il fenomeno dell'induzione
sull'altra si genera la carica opposta:

si è formata così una lamina magnetica in ogni punto della quale si può individuare sia una carica
positiva, che la relativa carica negativa – similmente al caso del dipolo elettrico: solo che in questo
caso si ha il momento di dipolo magnetico:

a caratterizzare la lamina c'è una quantità, la potenza della lamina magnetica, definita come:

dove sigma è la densità di carica magnetica di superficie e delta la distanza tra le due
facce della lamina

si può scrivere:

il potenziale di un dipolo magnetico, analogamente a quello di un dipolo elettrico, è:

si ha:

ed essendo:

perché per definizione i versori hanno modulo unitario

si ottiene:

che è il potenziale magnetico di una lamina:

dal quale si ricava facilmente il campo magnetico


Principio di equivalenza (teorema della circuitazione)

Il principio di equivalenza aiuta perché fare un integrale di linea non è agevole; inoltre il campo
magnetico di un circuito qualsiasi è comparabile al campo magnetico di una lamina magnetica che
possiede determinate caratteristiche (teorema della circuitazione), che sono: il contorno della lamina
deve coincidere con quello del circuito e la potenza della lamina deve essere uguale alla intensità di
corrente che attraversa il circuito.

Per il potenziale si ha:

e in generale:

avendo λ=1 (ovvero nel CGS) si ha che il campo magnetico è dato da:

avendo un circuito, circondato da una lamina (che si prende avente l'interfaccia positiva uscente dal
piano in quanto la corrente circola in verso antiorario), si ha un punto P a distanza r che presenta
una carica magnetica positiva – esclusivamente a livello teorico, perché in realtà il monopolo
magnetico non esistente
si ha dunque:

a tutti i punti di questo circuito si fa


fare uno spostamento infinitesimo dP,
ottenendo così un circuito analogo a
distanza infinitesima:

nell'integrando si ha:

e scambiando i due vettori del prodotto vettoriale


(che anticommuta) si ottiene:
è presente un doppio prodotto misto: si ha che scambiando i due vettori il risultato non cambia

ottenendo:

ovvero:

e il prodotto scalare tra due versori (che hanno modulo unitario)


fornisce il coseno dell'angolo tra essi interposto
si ha così:

e questa altro non è che la definizione di angolo solido

quindi l'integrando è solamente un dω, si ha:

ovvero:

un risultato uguale si ottiene se si applica alla lamina magnetica – con le caratteristiche determinate
in precedenza – la stessa configurazione:
Circuitazione del vettore campo magnetico

Le equazioni di Maxwell davano come risultato rot(E)=0 nel caso elettrostatico, mentre si ha
rot(H)=0 in quello magnetostatico – in quanto entrambi i campi sono conservativi; inoltre si aveva
che div(E)=4πρ nel caso elettrostatico – valido per le cariche vere (ovvero quelle preesistenti) – che
per i materiali polarizzabili diventava:

con:

dal quale si ricavava che:

nel campo magnetico la situazione non cambia, solo che le cariche presenti non sono preesistenti
ma derivano da polarizzazione, quindi:

con:

e I vettore di polarizzazione magnetica

portando fuori dall'integrale -div(I) si ottiene:

perché non sono più presenti le cariche vere

essendo H+4πI il vettore di induzione magnetica B si ha:

e questo nella magnetostatica significa che nel volume ispezionato non sono mai
presenti cariche elettriche vere (ma solo polarizzabili)

la circuitazione del campo magnetico H dovuto a correnti è diverso da zero (a differenza di quella
del campo elettrico, che è nulla) e si dimostra essere:

e si avrà che il vettore di induzione magnetica totale dovuto a correnti sia:

dove H0 è la componente dovuta alla corrente e il secondo termine


quello dovuto alla materia polarizzabile
ovvero:

ma il vettore B risultante dalla polarizzazione è costante


e pertanto la sua divergenza risulta nulla
essendo inoltre H=rot(A) si ha:

ma la divergenza di un rotore è sempre nulla:


Solenoide

Un solenoide è un apparato cilindrico attorno al quale è avvolto un circuito percorso da corrente che
induce un campo magnetico.

Volendo trovare il campo magnetico (H) in un punto P – giacente sull'asse del cilindro – si fa
appello al principio di equivalenza e si può vedere il campo di questo solenoide come quello di una
lamina magnetica: in questo caso le basi del cilindro – essendo il potenziale in un punto interno del
cilindro nullo perché il vettore I e la normale sono ortogonali tra loro

dal disco uniformemente elettrizzato si aveva che:

e nel caso del campo magnetico si ha una forma analoga:

per la potenza della lamina si aveva inoltre:

e per il principio di equivalenza doveva essere:

si ha quindi:

dove delta rappresenta una lunghezza:

con L lunghezza solenoide e N numero delle spire che lo formano

quindi:

e si ha:
e dunque:

con il segno negativo perché le lamine hanno cariche opposte e


il secondo angolo solido è più piccolo del primo

Per valutare il campo magnetico internamente al solenoide si considera invece di separare in due il
solenoide e porre un punto P in mezzo alle due parti ottenute a una distanza infinitesima da
ciascuna:

il campo magnetico in P è:

e si ha:

il 2π è il valore del primo angolo solido, in quanto il punto si trova infinitamente vicino alle
superfici e quindi si ha un valore medio rispetto a quello massimo che l'angolo solido può assumere
(ovvero 4π) – considerando anche la normale, di segno opposto, si ha uniformemente nei segni:

quindi il campo totale è:

ottenendo:

e si ha infine, ponendo n=N/L :

nel sistema pratico (o internazionale) si ha λ=4π e quindi:

ovvero:

da questa deriva una nuova misura del campo magnetico: l'ampere-spira/metro


per trovare la relazione con le misure nel (CGS)em si trasforma in valori del CGS:
e

si ha:

ovvero:

dove l'unità di misura nel CGS è l'Oersted

per la forza (magnetica) si avevano le seguenti formule:

volendo ricavare la seconda dalla prima si agisce sulla formula – e quindi si cambia la misura (non
l'unità):

relazione sulla misura

relazione sulle unità

per la forza si ha:

per la massa (magnetica):

per ricavare la costante k, che non si conosce, si parte ricordando che:

e quindi si ha:

con:

e si ottiene:

ovvero:

partendo quindi da:


sostituendo si ha:

e dunque:

e si è così ottenuto proprio:

la formula per la forza magnetica nel sistema internazionale

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