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LE TRE PREROGATIVE DEL SUONO

(allietare, curare e... disturbare)


Hector Berlioz, l’autore della famosa Symphonie Fantastique, poneva la musica al disopra di
tutte le arti ed emozioni affermando: «La musica può dare l’idea dell’amore e non viceversa».
Inutile dire che l'aggettivo “buona” (musica) era sottinteso; perché i suoni delle incerte
esercitazioni di esercizi o studi possono anche tradursi in “disamore” e fastidio.
A riprova del negativo impatto musicale verso gli ascoltatori di approssimative esecuzioni, in
Campania si dice: “Meglio ave' 'nu male vicino ca 'nu principiante'i viulin”. Nel resto d'Italia:
“Dio ti salvi da un cattivo vicino, e da un principiante di violino”.
Questo proverbio, frutto della fantasiosa saggezza popolare, la dice lunga sulle conseguenze
provocate dalle prime esercitazioni di uno strumentista. Sia che si tratti di corde vuote degli
archi, tambureggiamenti di batteristi o “note tenute” degli strumenti a fiato.
Durante il periodo bellico, le esercitazioni con note lunghe degli ottoni attiravano invettive e
maledizioni; perché venivano scambiate per il lugubre ululato delle sirene che annunciavano
i bombardamenti. Così, allora come adesso, i principianti non vedono l'ora di superare, o
addirittura saltare, la fase tecnica iniziale degli studi per passare a brani più gratificanti.
Ovviamente, in queste situazioni di sconforto dei giovanissimi, gli insegnanti che
propongono improbabili esecuzioni di concerti fin dagli esami d'ammissione, trovano una
totale "complicità" negli stessi allievi. Con grande soddisfazione dei cosiddetti “praticoni” per
i quali «Non è necessario stressarsi con la tecnica perché, per acquisirla e migliorarla, basta
suonare!». Quest'avversione verso un tipo di preparazione, indispensabile per non porre
limiti alla creatività, è spesso determinata dallo studio di tabelle, o formule matematiche, da
ripetere a memoria e solo “in battere”, fino alla paranoia. E, a tale proposito, Schumann
diceva: «Passare ore ed ore con esercizi puramente meccanici è più o meno come se, ogni
giorno, ci si sforzasse di ripetere sempre più velocemente l'alfabeto». Del resto, è
scientificamente provato, attraverso il controllo dell'attività cerebrale, che la musica può
provocare benessere, ma anche malessere e sconforto, poiché l'effetto delle vibrazioni
musicali agisce direttamente su alcune funzioni vitali del nostro organismo, quali la
respirazione e il battito cardiaco. Perciò, riuscire a trovare ed eseguire esercizi e studi
piacevoli, musicali e formativi, può essere vantaggioso anche… per la salute.
La differenza fra esercizio e studio, sta nel fatto che al primo si dà il significato di semplice
esercitazione, per acquisire i mezzi tecnici da utilizzare poi nel secondo. Ciò, però, non
significa che la semplice esercitazione non debba essere piacevole e musicale.
Il termine "studio” si deve a Francesco Durante, compositore e didatta napoletano, che
verso la metà del 18° secolo (1700 ) indicò, per la prima volta con questo nome, dei brani
didattici per canto. Questa denominazione, ripresa poi in tutte le lingue, racchiude i
significati di applicazione tecnica, analisi, attività e ricerca interpretativa.
Si può dunque affermare che lo studio è un brano musicale, scritto a scopo didattico, nel
quale si può mettere in pratica la tecnica acquisita con gli esercizi.
Tutti i più famosi musicisti hanno scritto studi: da Chopin e Liszt a Debussy, Stravinski e
Bartok. Ma anche tanti altri, altrettanto famosi come Brahms, Czerny e Clementi, si sono
occupati dell'evoluzione tecnica, dedicando interi e interessanti trattati ai “modesti” esercizi.
Questo, perché anche la semplice esercitazione, richiede impegno e musicalità. E, a
conferma di queste affermazioni, abbiamo un altro ammonimento dell'autore del famoso
Sogno: «È meglio suonare bene e con espressività dei brani facili che eseguire
mediocremente composizioni difficili».
Alla luce di questa realtà, sorge spontanea una domanda: «Se per acquisire la tecnica, fosse
stato sufficiente suonare solo studi, sonate e concerti, questi veri e propri miti della musica
si sarebbero scomodati a scrivere dei semplici esercizi?».

G. H. Schultz, il creatore della famosa tecnica di rilassamento, conosciuta come “Training


autogeno”, dice che «L'anima e la vita della musica risiedono nel ritmo». E che anima, vita e
ritmo ci può essere in esercitazioni basate su formule da ripetere ossessivamente solo in
battere?

Quando si diceva «Faccio la professione libera» era un eufemismo


che serviva per nascondere la condizione di disoccupato.
Uno strumentista, però, non è mai disoccupato in assoluto; perché fra
matrimoni, feste rionali o scritture temporanee, riesce sempre a guadagnare
qualcosa.
Una prassi disdicevoe, dettata dal bisogno, era quella cel “cambio”.
In pratica, chi aveva già accettato un ingaggio, ad esempio un matrimonio o
serata, se riceveva una proposta più redditizia, “bruciava” l'impegno già
assunto, per il quale inviava un collega, e accettava. Naturalmente, il collega
che lo doveva sostituire doveva essere più scarso, dal punto di vista
professionale, per non rovinare la reputazione dello scambista.
Una sera mio padre, in previsione di qualche cambio, iniziò a insegnare gli
accompagnamenti ritmici a me e mio fratello Aldo, iniziando da “Amapola”, una
famosa canzone a tempo di rumba.
Era didattica spicciola per imitazione.
Oggi, in molti casi, la didattica spicciola non è neanche per imitazione, ma solo
per esposizione orale.

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