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kAPPUNTI DI ARTE BIZANTINA I

“Storia della pittura bizantina” è un libro introduttivo

Per i 2 saggi: il prof metterà alcuni testi su moodle


Esame: orale online

Obiettivo del corso: insegnare agli studenti come analizzare un’opera d’arte, quali sono gli aspetti meritevoli
di un’analisi approfondita

Metodologia di lettura di un’opera figurativa: bisogna iniziare a parlare dall’assetto compositivo (ubicazione,
tecnica, datazione), ricodificare l’immagine (cosa rappresenta=iconologia)

*NB L’analisi stilistica è intimamente legata all’osservazione da vicino delle modalità tecniche esecutive. Per
compiere una analisi stilistica soddisfacente bisogna vedere da vicino le opere.

Partiremo dalla fondazione di Costantinopoli, poi ci sarà la rinascenza teodosiana, l’età di Giustiniano, il
culto delle immagini, l’iconoclastia, la rinascenza macedone, l’arte comnena, l’arte paleologa, caduta
dell’Impero Romano d’Oriente (1453).

Si affronterà anche l’aspetto storiografico Storiografia=storia degli studi di un argomento

L’attenzione verrà rivolta tanto alle opere monumentali (architettura, scultura, pittura murale e rupestre,
mosaici), che alle arti minori (oreficeria, avori, codici miniati e tessuti), evidenziando gli aspetti tecnico-
formali (componenti materiche, modalità esecutive, resa stilistica), i contenuti semantici (iconografia,
iscrizioni), i circuiti di produzione (ideazione, committenza, fruizione) e le questioni interpretative (funzione,
valore simbolico, valenze estetiche).

Fra le tematiche di fondo, particolare rilievo verrà dato ai seguenti argomenti:

1. La doppia polarità, ellenizzante e astrattizzante, del linguaggio figurativo bizantino l’arte


bizantina spesso guarda al passato, e soprattutto attraverso Alessandria d’Egitto (più che con
Costantinopoli) mantiene l’aspetto ellenistico è importante notare le rinascenze (le più
importanti sono Rinascenza teodosiana e Rinascenza macedone). Nel corso dei secoli nel contesto
di corte imperiale ci sono delle figure caratterizzate da una tendenza all’ellenismo, al classicismo.
2. L’opera d’arte intesa come riflesso della trascendenza: l’arte bizantina è il linguaggio artistico che ha
meglio rappresentato tale concetto, ossia vedere l’invisibile attraverso l’esaltazione della luce, la
purezza della materia prima, la rarefazione dei personaggi, etc.; e gli artisti sollecitati dai
committenti sono riusciti a catturare la luce in uno spazio fisico (come l’abside di una chiesa) es. i
mosaici a fondo oro catturavano l’attenzione dei fedeli ed elevavano il loro animo, e ammirando
quella luce si avvicinavano alla sfera celeste questo è un punto cardine dell’estetica bizantina
3. Il ruolo dell'artista nell'ambito del processo produttivo dell'opera d'arte ci sono pensieri elevati
come la trascendenza ma c’è anche l’aspetto pratico che rientra nelle dinamiche della produzione:
come l’artista operava, quanto emerge dalle fonde, lavoravano in autonomia o facevano parte di
cantieri? *NB Di solito erano operativi nei cantieri. Inoltre, se l’artista doveva comporre immagini a
mosaico egli era ispirato dalla trascendenza, era quindi un atto pratico ma anche religioso.
4. L’arte bizantina al di fuori delle frontiere dell’Impero Romano d’Oriente (acquisizioni, circolazione di
modelli, emulazioni) vedremo che ad esempio Venezia è il risultato del fenomeno di
esportazione dell’arte bizantina. È importante studiare tale arte perché questa si trova spesso in
Occidente (Venezia, Montecassino, Roma, etc.). ci son diversi casi di ambiti occidentali e quindi
latini in cui interviene la mano dell’artista bizantino. La produzione artistica bizantina contribuiva a
ornare anche chiese dell’occidente.
Per iniziare questo corso partiremo, non subito dall’inizio, ma da un’opera di arte bizantina del IX-X sec.
perché è un’opera tipicamente bizantina, in modo da avere sin da subito in mente le caratteristiche
fondamentali dell’arte bizantina. Tale opera emblematica della città di Costantinopoli (oggi Istanbul) è una
lunetta di mosaico che si trova sopra la porta imperiale della chiesa di Santa Sofia. *NB Si definisce lunetta
perché ha la forma di un semicerchio.

Mosaico della lunetta della porta imperiale di Santa Sofia, Costantinopoli, fine IX-inizio X sec.:

Premessa sul luogo: La chiesa di Santa Sofia a Istanbul è la chiesa bizantina più importante che ci sia.
Quest’estate tale chiesa è divenuta un luogo di culto islamico attivo (moschea), prima era comunque una
moschea ma era stata islamizzata dal momento in cui i turchi avevano conquistato Costantinopoli nel XV
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sec. ma poi con Ataturk, che fu il fondatore dello stato laico della Turchia, tale chiesa aveva acquisito lo
statuto di ente museale, perché Ataturk aveva riconosciuto il predominio del valore storico-artistico di tale
edificio. Quest’estate il presidente della repubblica turca ha deciso di ripristinare il culto islamico all’interno
di Santa Sofia. Nella chiesa ci sono però dei simboli religiosi cristiani, che sono quindi ora stati coperti da dei
veli bianchi, inoltre sono stati coperti anche i pavimenti con dei tappeti che servono per pregare. Questo
ripristino oblitera alcune parti originarie della chiesa. La chiesa di Santa Sofia, come la vediamo oggi, è una
ricostruzione risalente al VI sec. (infatti, esisteva anche prima del VI sec., ma era diversa da quella di oggi),
essa è la più importante chiesa bizantina perché è ad uso dell’imperatore e del patriarca, più precisamente
era ad uso del patriarca ma nelle cerimonie vi giungeva anche l’imperatore, infatti essa si trova vicino al
palazzo imperiale. All’interno ci sono mosaici commissionati da alcuni imperatori. Le porte di bronzo sono di
fattura paleobizantina (epoca di Giustiniano, quindi VI sec.). La lunetta di cui vogliamo parlare si trova nel
nartece. Tale mosaico si trova sopra la porta interna, ossia sopra la porta del muro perimetrale della chiesa.
Quante porte ci sono all’interno del nartece? 9. Però il mosaico che vediamo è realizzato sopra la porta più
importante, quella centrale. L’imperatore varcava questa porta nelle cerimonie solenni. Santa Sofia ha un
aspetto misto: di antica chiesa cristiana e moschea.

Datazione: Questo mosaico non è del VI sec. ma è di fine IX-inizio X sec. Precedentemente c’era già un
mosaico, ma tra IX e X sec. è stato deciso di porci un’immagine iconica ( parola che deriva da “icona”).

Iconografia:

Cristo, in trono benedicente, è il soggetto principale in quanto si trova al centro della lunetta. Il Cristo è
seduto su un trono con un grande cuscino, il trono ha un grande dossale (schienale), Cristo posa i piedi su
un piedistallo perché Cristo, in una posa solenne come questa, non può posare i piedi per terra, e quindi vi è
questo suppedaneoum su cui i personaggi importanti poggiano i piedi. Ad un certo punto si iniziò a
rappresentare gli imperatori similmente a Cristo in questa posizione, aprendo una sorta di rivalità tra i due.
Il trono si chiama “trono a lira” perché richiama questo strumento, tale trono lo rivediamo ad esempio
anche a Ravenna. C’è un interessante studio di Katler sull’evocazione, da parte del trono lira, del Cristo-
Orfeo nelle catacombe paleocristiane spesso cristo era associato ad Orfeo, Cristo che con la sua parola
ammansiva i fedeli come Orfeo faceva con gli animali tramite la sua lira, quindi l’origine del trono a lira
probabilmente è dovuta a Orfeo. In tale mosaico non c’è una simmetria perfetta, questa asimmetria serve a
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Il concetto di aureola non è un’entità fisica ma viene riprodotta, essa indica a volte l’aura sacrale di un
personaggio terreno che si trova tra la sfera celeste e quella empirica (come l’imperatore), ma più
spesso è utilizzata da personaggi celesti
conferire maggiore importanza alla figura dell’imperatore: è l’imperatore unico a reggere l’impero. Cristo è
raffigurato con l’aureola.

Le iscrizioni accanto alla testa del Cristo furono inserite successivamente, probabilmente tra XII-XIII sec. e
furono aggiunte con la cera, ciò spiega perché oggi ci resta solo la sagoma, comunque dalla sagoma
riusciamo a leggere ciò che c’era scritto, ossia “IC XC” che, trasliterando in latino, indicano la prima e l’ultima
lettera delle due parole “Iesous Christos”. Questa immagine colpisce per la sua fissità ma vengono evocati
dei gesti con le mani, che esprimono messaggi importanti e solenni:

- Con la mano sinistra (nostra destra) esibisce al pubblico un’iscrizione in un libro (il libro è spesso
connesso al Cristo in quanto egli è Verbo), tale iscrizione recita “Pace a voi. Io sono la luce del
mondo” (dai vangeli di Luca e Giovanni). La singolarità di questa iscrizione deriva dal fatto che
unisce due versetti. È raro trovare questa associazione di versetti, quindi c’è un ragionamento
dietro, d’altronde questa è un’opera di alto livello.
- Con la mano destra benedice; questo è un gesto precristiano, infatti è un gesto che l’imperatore
romano compiva nelle città in cui proclamava i suoi discorsi, è definito “gesto della allocutio” (che
significa “discorso solenne”). Quindi, anche se il Cristo ha le labbra serrate, egli sta facendo un
annuncio solenne (“Pace a voi. Sono la luce del mondo”).

Confronto iconografico con l’icona del Cristo del monte Sinai del VII sec. che è dipinta su di pennello ligneo:
Da questo confronto impariamo che a Bisanzio vi è una circolazione di modelli e spesso un rifarsi ai modelli
antichi. Vi è quindi una necessità di riprodurre l’immagine del Prototipo (=la prima immagine lasciata da
Cristo sulla Terra). Per i bizantini era estremamente importante che l’artista rispettasse la tradizione e non
modificasse l’icona. Una delle caratteristiche dell’arte bizantina è quella di adeguarsi alla tradizione, non per
mancanza d’inventiva ma per un fatto teologico molto radicato.

I due clipei che vediamo racchiudono ciascuno una figura. I clipei sono come una sorta di immagine
nell’immagine (astrazione, rarefazione dell’immagine, immagine che diventa incorporea, è come se non
fossero presenti in carne e ossa ma è presente la loro immagine) e convivono con la figura di Cristo che
iconograficamente ha dei richiami classici/di arte precedente (rinascenza, ritorno del classicismo) v. tema
binomio classicismo-astrazione.

1. Nel clipeo di destra vediamo l’immagine di un arcangelo, vi è chi lo considera Gabriele, chi Michele,
e chi lo considera semplicemente un arcangelo. È un arcangelo perché ha le ali, è imberbe, ha il
diàdema (nastro bianco tra i capelli), ha il manto bianco, quindi è senza dubbio una creatura celeste
e angelica, inoltre il fatto che abbia uno scettro in mano ci dice che un arcangelo. Chi sostiene che
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sia Gabriele sostiene che ci siano dei richiami all’Annunciazione; altri considerano tale arcangelo
come Michele perché egli viene invocato spesso nelle fonti che parlano di Santa Sofia, infatti c’è un
culto michaelico a Santa Sofia. Se è Gabriele si deve pensare che dietro all’Annunciazione c’è il
messaggio dell’incarnazione di Dio, e quindi in questo caso si vorrebbe porre in evidenza questo
aspetto. Possiamo dare legittimità a entrambe le ipotesi, ma rimane una questione aperta. Michele
era l’arcangelo che protegge Santa Sofia, inoltre egli traghetta le anime nel aldilà (psicobombo), se
l’arcangelo è Michele l’imperatore può aver commissionato tale opera pensando al momento del
proprio trapasso, e raccomandando la sua anima a Dio.
➔ Nel clipeo di sinistra vediamo Maria che ha le mani rivolte verso l’alto in un gesto che evoca la
preghiera e l’intercessione (riprende il gesto dell’orante). L’iconografia della Vergine è quella della
Vergine mediatrice che raccoglie la fede del fedele e lo aiuta a raggiungere la sfera celeste, ella
intercede il Cristo in favore dell’umanità; questa iconografia della Vergine si chiama “Vergine
aghiosoritissa” che deriva da aghia (=santa) + soros (=cassa) + issa (=suffisso femminile)
=”Vergine della santa cassa” tale iconografia ha preso questo nome perché in una chiesa di
Costantinopoli, non lontana da Santa Sofia, si trovava una cassa con la cintura di castità della
Vergine, sopra la quale si trovava il Prototipo di questa iconografia della Vergine Questo ricorda
che le icone nell’arte bizantina si tipicizzano nella tradizione iconografica e vengono replicati.
Inoltre, questa iconografia della Vergine la troviamo anche a Roma (es. Santa Maria in via Lata XII
sec.). La Vergine aghiosoritissa è un tipo iconografico antico e tipico dell’arte bizantina che già in
antichità si chiamava così.

L’imperatore è inginocchiato ed è l’unico personaggio vivente qui raffigurato. L’imperatore rappresentato


probabilmente è lo stesso che ha commissionato l’opera. Egli porta l’aureola perché a lui spetta il compito di
governare l’impero, e questo potere gli era conferito direttamente da Cristo, infatti si parla di teocrazia,
ossia l’imperatore governa grazie a un mandato di origine divina. L’imperatore non sempre ha l’aureola, ma
nel caso di una rappresentazione così solenne come questa in Santa Sofia, è giustificato. E anche in questa
aureola dell’imperatore c’è astrazione, perché è un modo convenzionale di rappresentare l’aura di luce di un
personaggio che è posizionato tra la terra e il cielo. Gli imperatori erano oggetto di divinizzazione, una volta
morti si celebrava l’apoteosi dell’imperatore, ossia la loro ascesa nell’empireo. Il gesto compiuto dalle mani
dell’imperatore si ricollega a quello della Vergine, infatti è un gesto di preghiera. Per quanto riguarda la
figura dell’imperatore, unica figura terrena, poteva essere riconoscibile dai contemporanei dell’epoca,
l’imperatore era la guida del popolo, perché era anche il capo militare. Vediamo che ad esempio anche la
modalità stilistica nella rappresentazione del volto dell’imperatore cambia rispetto a quella delle figure
ultraterrene: qui si vuole rappresentare l’imperatore com’era nella realtà, c’è un intento di ritratto. Vediamo
che ha i capelli raccolti in una treccia. È difficile identificare l’imperatore, si pensa sia Leone VI o il suo
predecessore, Basilio I. L’imperatore si prostra ai piedi del Cristo, però egli è in paradiso, sebbene comunque
probabilmente nella realtà fosse ancora in vita in quel periodo, così da commissionare l’opera. Questo è un
atto di umiltà, però allo stesso tempo appare aureolato e in uno spazio paradisiaco (in un certo senso è
quindi una falsa umiltà). Questo gesto deriva dal rito della “proskynesis” (=inchino) ed era ripetuto più volte
durante questa cerimonia, l’imperatore si prostrava difronte l’immagine di Cristo in santa Sofia durante le
cerimonie. Ci sono diversi gradi di inchino (la testa, il busto, ginocchia a terra e tutto busto, e a volte è
ancora più a terra). L’imperatore inoltre porta anche la corona. Le tessere sono più piccole in
corrispondenza del volto e più grandi nel resto, e sono anche di materiali diversi. La corona è stata
identificata come appartenente alla categoria dello stemma che è in parte in stoffa e in parte in metallo, è
una sorta di casco con una lamina anulare alla base e una croce sopra. Inoltre, il colore della stoffa cambiava
ad esempio nel periodo quaresimale. La veste con cui è vestito l’imperatore è quello utilizzato dagli
imperatori durante le cerimonie, è un mantello fissato con una fibula sulla spalla, esso ha ricami d’oro e
vicino alla manica è tutto d’oro. Questa concentrazione di oro sulla manica fa capire che si tratta di un
mantello perfetta semicircolare con un inserto quadrato doppio lungo il bordo rettilineo, che vediamo
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indossare anche da Giustiniano a San Vitale a Ravenna. Questa veste si chiama “clavide”, ed esisteva già in
età pregiustianea, era la veste imperiale e della corte imperiale, ovviamente quella dell’imperatore era più
ricca. Il quadrato si chiama “tablion” che significa “quadrangolare”. Vediamo la raffigurazione di Leone VI
con clavide e stemma anche in una moneta del IX-X sec. Oppure si potrebbe trattare del padre di Leone VI,
ossia Basilio I, di cui vediamo sempre una moneta che lo raffigura.

Inscrizione: Il figlio di Leone VI (Costantino VII Porfirogenito, detto così perché nato nell’anno del Porfido)
scrive, in un cerimoniale “De cerimonie”: “Davanti alle porte imperiali, i ceri accesi in mano, il basileus
compie tre inchini per rendere grazie a Dio”. Questa fonte ci fa capire che questa immagine ha anche una
valenza liturgica che rinvia a un atto cerimoniale che l’imperatore compie per rendere grazie a Cristo, chiede
a Cristo di poter essere accolto nel regno di Cristo, di poter quindi varcare la soglia della vita eterna. E
queste richieste erano tipiche nell’arte bizantina, abbiamo diverse fonti che le riportano e potremmo
definirle delle sorte di “ex voto” (=i fedeli facevano offerte alle divinità per chiedere protezione e salvezza).

Tecnica musiva: Un mosaico è un’opera molto complessa, i bizantini maturano una elevata capacità
nell’eseguire mosaici che vengono chiamati in altri luoghi es. nel VII-VIII sec. vengono chiamati in Siria,
oppure a Gerusalemme, oppure nel 1070 l’abate di Montecassino richiede artisti bizantini. Il mosaico è una
produzione aulica (=di altissima committenza). Inoltre, troviamo mosaici bizantini in luoghi molto lontani
fino ad arrivare alla cima del Sinai. Una tecnica particolarmente raffinata che evolve, si affina e a volte si
semplifica nel corso dei secoli. Si chiamano “filari di tessere”. Qui utilizzate di mosaico sia d’oro che
d’argento. L’argento è utilizzato con parsimonia nei mosaici perché le foglie d’argento sono più complicate
da tenere all’interno e inoltre si degrada di più dell’oro. Le tessere possono avere forme quadrate, tonde, a
scheggia, quindi c’è una eterogeneità. Vediamo immagine della tecnica musiva che è una tecnica antica, già
utilizzata dai romani, fino a un certo punto è simile a quella dell’affresco, poi però si mette ad un certo
punto della malta su cui si mettono delle tessere che riflettono la luce. Qui tessere d’argento usate
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soprattutto sulla tunica (v. braccio mano benedicente). Tra i filari di tessere che vediamo in questo mosaico
c’è moltissima malta, ossia i filari molto diradati., perché? Per 3 motivi:

1. Perché questo spazio non si vede dal basso


2. Le tessere d’oro riflettono la luce e creano una sorta di dinamismo e questo particolare
posizionamento delle tessere d’oro amplifica l’effetto della luce
3. Sappiamo che prima c’era un altro mosaico quindi in questo caso gli artisti ricevono la committenza,
distruggono il mosaico precedente e riutilizzano le tessere precedente, fanno quindi una sorta di
“economia delle tessere”, per non sprecarle.

Iconologia: L’aspetto principale del contenuto di tale mosaico è che esso è interpretabile come ex voto (gli
studiosi hanno studiato la vita di Leone VI e del figlio e hanno scoperto che Leone VI aveva avuto contrasti
con il patriarca), quindi c’è questo aspetto storico (rappresenta l’imperatore che si sottomette al Cristo ma
non c’è il nome dell’imperatore, e ciò non è comune), allora c’è anche un messaggio universale: non è Leone
VI in quanto persona che qui è rappresentato, è l’imperatore di Bisanzio. Forse l’imperatore che ha
commissionato l’opera ha pensato anche ai posteri, o ai suoi predecessori; ossia è l’imperatore in quanto
capo dell’impero e non solo Leone VI. Però il messaggio non cambia: è un manifesto della teocrazia, ma ha
un valore universale, e si fissa in uno spazio trascendentale, spazio che non è mutevole, è l’eterno presente
della trascendenza.

Lo spazio: In questo spazio abitano 2 figure, ossia Cristo e l’imperatore; è uno spazio che allude al giardino
paradisiaco, per questo ci sono delle visioni celesti (clipei), perché siamo in uno spazio trascendentale.
Inoltre, le strisce marroni della foto in realtà sono verdi (difetto della fotografia), e quindi indica proprio il
giardino paradisiaco. È uno spazio che ha una sua fisicità e con 3 fasce di verde. La prospettiva del trono non
è più quella classica e non è ancora quella rinascimentale (v. Panofsky). È un paesaggio che ha qualche
elemento di naturalismo ma è anche depurato di qualsiasi elemento che sarebbe stato, in questo caso,
superfluo (fiori, alberi, etc.) ciò è voluto: il fedele così si concentra sui personaggi e i loro gesti, altri
dettagli avrebbero distolto l’osservatore dalla contemplazione (*NB contemplazione=aspetto caratteristico
dell’arte bizantina) dell’immagine. Dobbiamo pensare che a quell’epoca le immagini erano pochissime,
questa solennità e rarefazione del paesaggio servivano a innescare un’attività di contemplazione che
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servivano a elevare lo spirito del fedele, avvicinarlo al mondo della trascendenza. Il fedele rimaneva
abbagliato dall’oro delle tessere e dal soggetto, questa era la rappresentazione del Cristo, quella era la
Vergine sono immagini che hanno una funzione fondamentale nella civiltà bizantina e colpiscono molto
l’immaginario dei contemporanei di allora. Le coordinate spazio-temporali di questa immagine sono
interessanti: ci sono due dimensioni temporali:

1. Tempo dell’eternità rappresentato da Cristo che dice di essere la luce del mondo è un’immagine
metastorica (=al di sopra della storia)
2. Tempo storico (ma reiterato anch’esso all’infinito) rappresentato dal rito liturgico riferimento a
un evento storico, perché questo fatto accadeva e soprattutto in quel luogo e in quel momento

Nell’iconografia bizantina quando si vuole alludere a un’icona l’immagine è circolare. Ma qui questi clipei
con la Vergine e l’arcangelo rimandano a un altro spazio, sono un’immagine nell’immagine. Perché? Per due
motivi:

1. C’è un aspetto di ordine pratico funzionale: abbiamo un semicerchio, una lunetta, e non sarebbe
stato molto armonico rappresentare arcangelo e Vergine con le stesse dimensioni del Cristo
2. C’è anche un altro motivo: l’aureola della vergine e dell’arcangelo è lo stesso medaglione (a volte
succede nell’arte bizantina), perché altrimenti si avrebbe una circonferenza nella circonferenza,
quindi si decide di solito di eliminare quella interna e aureolare tutta la figura.

Lo spazio è allo stesso tempo finito e infinito: finito perché limitato dalla lunetta, abbiamo una linea
dell’orizzonte, ma l’atmosfera d’oro rappresenta l’infinito, e in questo i bizantini sono dei maestri
ineguagliabili. Non sono solo tessere d’oro: sono tessere d’oro inclinate, poste a una certa distanza da loro,
creano una luce: riflettono la luce del sole ma anche quella delle lampade notturne. Il fedele aveva davvero
la sensazione di essere all’interno di uno spazio della trascendenza. L’opera d’arte bizantina è interpretata
come un riflesso della trascendenza, come un mezzo per avvicinarsi a Dio.

Artista: Non si sa chi sia l’artista che ha eseguito l’opera, solo in rari casi si conoscono i nomi (si sa il nome
del mosaicista che ha eseguito la Vergine in Santa Sofia, che si chiama Lazzaro), normalmente in nome come
queste il nome non è noto, anche perché non è fatto da una sola persona, ma è eseguito da un cantiere, che
ha eretto un ponteggio, su cui gli apprendisti sono saliti e hanno eseguiti le parti meno importanti, quelle
più importanti sono invece fatte dal maestro (es. volto di Cristo). L’opera artistica era comunque apprezzata,
anzi aveva una serie di valenze che toccano vari campi (ad esempio questa tocca i campi della religione,
liturgia, manifesto politico, richiama principio della teocrazia).

Lo stile: questo ductus formale, al di là dell’iconografia (dal VI al X sec. il Cristo è rappresentato allo stesso
modo) ma un po’ la figura cambia: a Bisanzio tra IX-X sec. si inizia a fare il volto di Cristo accostando chiazze
di colori diversi con toni di rosa e verde per creare delle ombre. Questa ricorrente ellenistica stilistica lo
ritroviamo in opera contemporanee prodotte a Costantinopoli nei codici miniati (è uno stile tipico della
Rinascenza macedone che si sviluppa all’interno della corte imperiale: più la committenza è alta, è
imperiale, più si richiama il classicismo, perché ci si vuole ricollegare alla tradizione, ai grandi dell’antichità).
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Massime dell’arte bizantina:

- Per percepire la vera anima dell’arte bizantina dobbiamo attendere almeno la fine del IV sec. d. C. a
corte.
- Costantinopoli fu fondata da Costantino.
- La deesis è un’iconografia che riporta Cristo in trono benedicente con la Vergine figura intera e San
Giovanni battista, a volte si può trovare una deesis locale dove al posto del Battista c’è un santo
particolarmente venerato localmente (es. San Marco).
- Se vi è una committenza imperiale l’imperatore, per tradizione (è addirittura una tradizione
romana), sceglie i mezzi (marmi, mosaico con tessere, etc.)
- L’arte bizantina si richiama sempre alla tradizione, non è arte d’improvvisazione.
- Sono spesso opere di artisti anonimi, che devono soddisfare l’esigenza della committenza.
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- Arte spesso caratterizzata da una dominante d’oro, che ha valenza simbolica, perché evoca la
trascendenza.
- È un’arte che s’imposta sul principio della geometria, della simmetria e dell’ordine.

L’impero bizantino:

Dura mille anni circa, dal IV sec. (fondazione di Costantinopoli) fino al XV sec. (1453), raggiungendo l’apogeo
nell’epoca di Giustiniano. Quindi era un regno molto esteso che durò per molti secoli. Costantinopoli fu
eletta capitale dell’Impero Romano da Costantino nel 330 ca. e successivamente, verso la fine del IV sec.,
con la morte di Teodosio l’impero viene diviso tra i figli Onorio (parte occidentale) e Arcadio (parte
orientale)

I bizantini anche nel XV sec. si considerano romani, perché quando si parla di impero bizantino si parla di
Impero Romano d’oriente. Nel 476 cadde l’Impero Romano d’Occidente che venne in parte poi
riconquistato da Giustiniano. Quando si parla di Giustiniano si parla anche di età d’oro perché egli è stato
l’imperatore che ha lasciato più il segno, anche in termini di committenze artistiche, campagne militari e
riforme.
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Nell’VIII sec. l’Islam conquista gran parte del Mediterraneo, in cui però permangono dei territori bizantini.
Per questo l’Islam spesso si scontra con l’impero bizantino.

Nell’XI sec l’impero bizantino si è ristretto ma ha comunque un ruolo fondamentale nel commercio tramite
le vie marittime e tramite la via della seta che collega oriente e occidente. Si sviluppa anche un legame
stretto con Venezia, motivo per cui a Venezia giunge tanto sapere artistico bizantino.

Nel XII sec (età Comnena) i confini dell’impero bizantino si riducono ancora.
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Nel XIII sec. vi è la 4° crociata, mossa soprattutto dai Veneziani, fino all’occupazione di Costantinopoli, la
quale diviene dunque una città latina. Dal 1204 e per poco più di 50 anni Costantinopoli è sotto il dominio
dei crociati latini. L’impero bizantino si organizza dunque in 3 stati:

1. Trebisonda
2. Nicea
3. Epiro

L’impero bizantino nella metà del XV sec. possiede Costantinopoli e pochi altri territori, rispetto a prima.
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Nel 1453 i turchi selgiudichi occupano Bisanzio e pongono fine all’Impero Romano d’oriente. I cittadini
dell’impero si adeguano alle circostanze, molti monasteri sopravvivono, e molti centri artistici migrano e
non vengono annientati, quindi continuano a produrre arte bizantina, che però si chiama “arte post
bizantina”. Oggigiorno l’arte bizantina ha ancora una sua attualità perché la comunità ortodossa si ricollega
sempre alla tradizione es. l’iconografia delle icone rispetta i criteri tradizionali, e questo è dovuto a
quanto stabilito dal Secondo concilio di Nicea che dice che se si deve rappresentare il Cristo bisogna farlo
secondo i criteri imposti.

La periodizzazione dell’arte bizantina si divide in 3 macro-periodi:

1. Paleobizantina (fondazione di Costantinopoli 330-scoppio dell’iconoclastia VIII sec.)

Iconoclastia (726-787; 815-843) iconoclastia periodo storico durante cui si ordina la distruzione o
l’obliterazione dell’immagine sacra antropomorfa perché si stabilisce che la divinità non è rappresentabile
come figura umana

2. Arte bizantina al tempo delle dinastie (arte meso bizantina, arte medio bizantina) dei macedoni
(867-1056) e dei Comneni (1058-1185)

Occupazione latina di Costantinopoli a seguito della 4 crociata (1204-1261)

3. Arte bizantina al tempo dei Paleologhi (1261-1453)

Presa di Costantinopoli 1453

La fondazione di Costantinopoli:

Costantinopoli ha una posizione strategica. Nel periodo della tetrarchia (Diocleziano) vi erano 4 imperatori,
quindi non è una novità la scelta di Costantino di trasferire la corte imperiale al di fuori di Roma (città che
comunque maniere ruolo cardine), MA è una novità sta il fatto che ora la corte imperiale si trovi ad Oriente.
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Costantino sceglie Costantinopoli come nuova capitale; essa era già una città, quindi non era un terreno
incolto. Era una città greca di nome Bisanzio, venne poi romanizzata (=conquistata dai romani), e
successivamente Costantino vi trasferisce la corte imperiale.

Oggi Costantinopoli è in Turchia, e non ne è la capitale, ma conta milioni di abitanti e ha ancora un ruolo
fondamentale.

Le mura di Costantinopoli, conservate ancora oggi, risalgono a Teodosio II, quindi al V sec. d. C. ma NON
sono quelle di Costantino (v. mappa sotto). Negli altri 3 lati la città era difesa naturalmente dalle acque. La
città sorge in un crocevia tra Oriente e Occidente. Costantinopoli nei lati in cui è bagnata dal mare ha delle
mura minori.

Costantino (306-337) nacque nel 272 a Nasso (oggi Nis in Serbia). Nel 306 fu proclamato co-imperatore (uno
dei tetrarchi), ma tra 306-313 si avvia una guerra civile che si conclude con la vittoria di Costantino su
Massenzio (usurpatore) alle porte di Roma nella nota battaglia di Ponte Milvio (312). Nel 313 a seguito della
morte di Massimino Daia è proclamato augusto d’Occidente; nel medesimo anno emana l’editto di Milano
che sancisce la libertà di religione. Nel 324, dopo la disfatta del suo ultimo rivale, l’augusto d’Oriente Licinio,
Costantino diviene imperatore unico. Nel 330 Costantinopoli viene eletta nuova capitale dell’impero In
pochi anni la città di Bisanzio viene dotata delle infrastrutture necessarie per ricevere l’imperatore
nell’inaugurazione della nuova capitale (330).
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Bisanzio greca occupazione romana che la dota di un porto con Settimio Severo capitale Impero
Romano con Costantino

Costantino fa costruire 3 basiliche all’interno delle mura:

1. Santa Sofia (non è una santa ma è un omaggio alla santa sapienza)


2. Santa Irene oggi presenta un corpo di fabbrica del VII-VIII sec.
3. Santi Apostoli non resta più nulla ma abbiamo ancora molta documentazione Costantino
progetta anche una sua divinizzazione post-mortem, infatti fa costruire la chiesa dei Santi Apostoli
vedendosi come 13esimo apostolo, e per questo verrà sepolto qui

Costantino pochi anni prima aveva finanziato la costruzione di grandi basiliche a Roma ma era stato
costretto a costruirle al di fuori della città o in una zona periferica, perché si era scontrato con la resistenza
del Senato romano che era di tradizione pagana. Invece a Costantinopoli ordina la costruzione di tempi
cristiani all’interno della città. È una nuova Roma, che guarda a quella occidentale e la imita sotto tanti
aspetti, ma è una nuova Roma proiettata verso il mondo cristiano (che poi sarà quello medievale). Anche la
Roma occidentale verrà cristianizzata ma con un processo più lento.

*NB Quando si parla di palazzo imperiale ci si riferisce a un complesso di edifici in cui ci sono anche delle
chiese, tra cui la cappella palatina.

*NB Arte profana VS arte pagana: paganesimo è comunque una religione o più religioni insieme, mentre
profano vuol dire non religioso, che appartiene alla sfera civile.

Arte profana VS Arte pagana


Profano vuol dire non religioso, ossia appartenente Paganesimo è una religione o più religioni insieme.
alla sfera civile.
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L’ippodromo di Costantinopoli:

Vediamo una foto di una 70 di anni fa che documenta uno scavo archeologico nell’Ippodromo di
Costantinopoli.

Ippodromo significa “luogo della corsa dei cavalli”. Infatti, qui vi era un’area scoperta con delle gradinate.
Questo ippodromo fu concepito sotto Settimio Severo, ma ricette una vera e propria monumentalizzazione
(=riceve una sua importanza) sotto Costantino. L’ippodromo sarà, per tutti i secoli della civiltà bizantina, un
luogo estremamente importante non solo per le gare ma anche per il suo ruolo politico e sociale.
L’ippodromo è continuo al palazzo imperiale, infatti l’imperatore aveva un passaggio privato che lo
conduceva nella tribuna d’onore dell’ippodromo. L’ippodromo ospitava decine di migliaia di spettatori che
rendevano omaggio all’imperatore durante cerimonie e qui l’imperatore poteva anche pronunciare dei
discorsi. Oggi vediamo una sorta di giardino pubblico, mentre la strutta completa originale la si vede bene in
un’incisione del XVII sec.
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Gli ippodromi di tradizione romana hanno un tratto corto rettilineo (vedi lato dx dell’incisione) da cui
uscivano i carri, e un tratto corto circolare (vedi lato sx dell’incisione) che serviva per la corsa. Le
infrastrutture romane tardo antiche di Costantinopoli ricalcano quelle della Roma latina, ovviamente c’è un
legame tra l’ippodromo di Roma (Circo Massimo) e quello di Costantinopoli. Per quanto riguarda le
dimensioni: il circo Massimo è lungo 600 m e largo 640 m, mentre l’ippodromo di Costantinopoli è lungo
400 m; l’ippodromo di Costantinopoli corrisponde dunque ai 2/3 del circo Massimo, che rimane il più
grande ippodromo costruito dalla civiltà romana.

La struttura dell’ippodromo si articola in:

➔ Sphendone: nome che si attribuisce alla parte semicircolare con un doppio giro di colonne,
sphendone in greco significa fionda.
➔ Spina: nome che indica il tratto longitudinale che separa in due l’ippodromo, la spina è sopraelevata
e al di sopra vengono posti dei monumenti che sono dei trofei, servono ad esaltare la grandezza
dell’imperatore. Ogni trofeo ha una caratteristica propria, e l’idea è quella di sfoggiare monumenti
preziosi che a volte sono trofei di guerra, sono come dei cimeli, dei manufatti di pregio, a volte
molto antichi, e spesso provenienti da zone al di fuori delle frontiere dell’impero. L’allineamento al
centro serviva da spartiacque per creare due corsie necessarie per le gare delle quadrighe. L’impero
veniva esaltato attraverso anche il possedimento di cimeli appartenuti ad antiche civiltà che
simboleggiavano la forza dell’Impero Romano che prevaricava sugli altri regni; ma un altro punto di
forza dell’impero romano era anche quello di integrare il nemico, oltre che di sottometterlo. I popoli
sconfitti che rendevano omaggio all’imperatore diventavano cittadini dell’impero.
➔ I Carceres: sono la parte rettilinea da cui escono i carri dei cavalli, gli atleti etc. *NB l’ippodromo non
serviva solo per le corse dei cavalli, ma anche per altre gare atletiche, o parate con musica etc.
➔ Mete: sono le estremità della Spina, erano una sorta di contrassegno.
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I cavalli di San Marco:

I cavalli di San Marco si trovavano sopra l’arco principale dell’ippodromo, che era una sorta di arco di
trionfo. I cavalli appartenevano a una quadriga, quindi c’era anche la figura dell’auriga che teneva le redini
dei cavalli. Questo manufatto di bronzo d’orato oggi è a San Marco, fino a qualche anno fa erano in facciata,
ma oggi quelli autentici si trovano all’interno del museo di San Marco e quelli all’esterno sono una copia.
Questa quadriga è stata molto studiata, e ancora c’è chi la data all’epoca ellenistica e quindi la attribuisce a
un artista greco, e chi invece la attribuisce a una copia romana.
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L’ippodromo, da Costantino in poi, si arricchisce di antiche vestigia, ossia di pezzi appartenenti ad altre
civiltà antiche (egizia, greca etc.). Questo non è unico di Costantinopoli, ma è insito nel pensiero della
propaganda imperiale, per sottolineare la grandezza dell’impero che abbraccia tutte le civiltà. Ovviamente
qualcosa di questo valore viene colto anche dai veneziani che lo prendono nel XIII sec. e lo portano a
Venezia.

I monumenti della Spina che si trovano ancora in loco sono 3:

1. Colonna serpetina (tripode greco del V sec. a. C.): sembrerebbe una colonna tortile, ma in realtà è
più complessa. Si tratta di 3 serpenti attorcigliati su se stessi che nella parte superiore si
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divaricavano e mostravano le fauci aperte. Ci è giunta una miniatura ottomana in un codice del 1582
che ci mostra l’aspetto completo della colonna serpentina. Questa colonna era il supporto per un
tripode, ossia un braciere a tre gambe, in cui vi erano oli ed essenze che bruciavano. È un manufatto
che appartiene al V sec. a.C. Tale oggetto probabilmente si trovava nel santuario di Delfi e venne
trasportato, come antico cimelio, in epoca tardo antica (o sotto Costantino o qualche decennio
dopo) nell’ippodromo di Costantinopoli, ossia nel punto nevralgico della città. Una cosa interessante
è la testa di serpente rinvenuta in uno scavo archeologico.
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2. Obelisco “murato” (IV sec.): è in pietra, si chiama così perché è privo di decorazioni, è un obelisco
che non c’entra nulla con la civiltà egizia se non che ne richiama le forme. Risale probabilmente al IV
sec. inizialmente non era spoglio, ma doveva essere decorato. Infatti, delle fonti medievali dicono
che nel X sec., sotto Costantino VII, tale obelisco venne foderato di lamine dorate istoriate. Tali
lamine d’oro furono portate via durante la 4° crociata (1204). Esso presenta un’iscrizione, alla base
dell’obelisco, in trimetri giambici (=in versi).
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3. Obelisco di Teodosio I

Il porfido:

Il porfido è una roccia vulcanica appartenente alla classe dei graniti. Nella sua composizione cristallina può
avere diverse colorazioni, ma la più importante è quella porpora, da cui prende il nome (porfido in greco
significa porpora). Si possono vedere anche delle microsezioni in quarzo. Il porfido nel Medioevo era
conteso tra il potere del clero (vescovi e il papa) e gli imperatori/altri monarchi. È associato alla dignità
imperiale-regale, ed è spesso riutilizzato, soprattutto nel Medioevo ma anche successivamente, es. lo
ritroviamo anche nelle decorazioni delle chiese barocche.

Il porfido viene dalle cave in Egitto che si trovano nel deserto orientale tra il Nilo e il Mar Rosso. Le cave di
porfido interrompono la loro attività a partire dal VI sec. d.C. viene abbandonata la sua estrazione. Ma la
commercializzazione del porfido non si esaurisce con la chiusura delle cave, anzi aumenta di valore, grazie al
suo riuso. Il porfido è da studiare insieme alla simbologia della porpora. I porporati appartengono alla classe
senatoriale, lo stesso imperatore era l’unico che si poteva vestire in porpora secondo il Codice di
Giustiniano. La porpora è contesa tra impero e chiesa. Anche papa e vescovi spesso vestono la porpora.
Successivamente avremo anche codici manoscritti tinti di porpora perché sono codici imperiali. È una
simbologia che ricorre spesso. Nel corpus iuris civili viene vietato l’utilizzo della porpora da chi non
apparteneva alla famiglia imperiale.
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La Mese:

A Costantinopoli vi è un’asse che attraversa est-ovest la città, si chiama “Mese” (=”via di mezzo”). È la strada
lastricata affiancata da porticati con colonne intervallate da statue, è una strada interrrota da grandi aree
aperte, ossia da piazze, anch’esse a volte porticate e a volte con archi di trionfo. Era la via che gli imperatori
percorrevano quando arrivavano vittoriosi dalle campagne militari. La Mese partiva ad est e andava verso
ovest, si divarica in diversi assi viari che, a loro volta, passano attraverso le porte della cinta muraria
maggiore, e poi proseguono e prendono tutte le direzioni dell’impero, come nella Roma latina.

Come nella Roma latina, a Costantinopoli si trova il Mileon: un monumento che segna il punto d’inizio della
via trionfale e poi da lì tutte le vie si diramavano e raggiungevano tutte le porte dell’impero. Da “Mileon”
deriva l’espressione “pietra miliare”. La Mese attraversa il foro (=vasta spazio pubblico aperto, in cui si
trovavano templi, colonnati, fontane etc.) di Costantinopoli che fu fondato da Costantino. Costantino lo
chiamò “foro di Costantino”, in sua commemoraizone.
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Colonna di Costantino, foro di Costantino, IV sec.:

Vediamo tramite una ricostruzione virtuale come appariva il foro di Costantino con la colonna di Costantino.

Descrizione:

- Base: la base “a cipolla” è ottomana e fu costruita per tener dritta la colonna. Vediamo un disegno
in sezione che ci dà l’idea del basamento antico.
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- Fusto: si tratta della colonna onorifica in porfido di Costantino. In origine era una colonna alta 50 m,
ma nel tempo si è un po’ accorciata, infatti oggi non possiamo più vedere il suo coronamento. Un
tempo c’era una serie di colonne importanti nella città, infatti gli imperatori avevano questa
tradizione di rendere onore al padre con delle colonne onorifiche (=”rendere onore a”). Colonna
che si compone di 8 elementi in porfido, chiamati “tamburi”, che erano semplicemente sovrapposti,
infatti in antichità non c’era l’imbracatura metallica, la quale fu aggiunta successivamente per
prevenire danni da terremoti perché Istanbul è una zona molto sismica. La colonna è scandita da
una serie di festoni di foglie, ma in realtà sono corone imperiali; infatti, l’imperatore all’epoca era
divinizzato, perciò vi erano corone d’alloro. NON è una colonna istoriata come quella di Traiano, è
liscia tranne per queste corone, prevale quindi l’aspetto simbolico. Il porfido e la corona sono i
simboli per eccellenza dell’imperatore. I turchi la chiamano “colonna della pietra cerchiata” per le
ghirlande o “dalla pietra bruciata” per il porfido.
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- Coronamento: Costantino aveva concepito la colonna come sostegno di una sua statua, che non ci è
giunta. Siamo sicuri che si tratti della colonna di Costantino perché vi è un’iscrizione che celebra
Costantino Helios, ossia come imperatore-sole. Tale iscrizione è da leggere in rapporto alla statua
stessa. Egli non fu l’unico imperatore ad essere celebrato in tal modo, infatti prima di lui anche
Nerone fu celebrato come dio sole. Abbiamo testimonianze sicure dell’esistenza della statua di
Costantino rappresentato come dio sole, o come Apollo Elios. Già all’epoca di Costantino c’era
necessità di rifarsi ai predecessori, tra cui Nerone (vedi statua colossale Nerone-Helios).
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Confronto con Roma latina: ci richiama 2 colonne a Roma:

1. colonna di Traiano (piazza Venezia)


2. colonna di Marco Aurelio (piazza Colonna)
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Una carta geografica dell’Europa e del Mediterraneo del XII-XIII sec. nota come “tavola Peutingeriana” (
da Peutinger che ne era in possesso nel 1500) ci mostra un disegno della personificazione della città accanto
alla colonna onorifica di Costantino, simbolo identificativo di Costantinopoli.

Nel Foro di Costantino in origine si trovavano degli archi di trionfo nelle cui chiavi di volta si trovavano delle
teste di Medusa di dimensioni monumentali. Una delle quali oggi si trova nel Museo archeologico di
Istanbul, e un’altra è stata riutilizzata nella Cisterna della Basilica.

Per comprendere che l’alloro era uno dei simboli dell’impero insieme al porfido-porpora, possiamo vedere
le monete antiche che raffigurano Costantino da un lato e una corona d’alloro nell’altro.
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Sempre nelle monete antiche possiamo vedere anche altre raffigurazioni di Costantino-Helios.

Philadephion:

È un’altra piazza che si trova lungo la Mese, da cui poi la Mese si divarica. Questa piazza è importante
perché viene monumentalizzata dallo stesso Costantino. Philadephion vuol dire “amore fraterno/amore tra
fratelli”, tale toponimo deriva dal fatto che in questa piazza vi erano i famosi tetrarchi che oggi sono a
Venezia. Il Philadephion comprendeva due colonne gemelle tutte in porfido in cui vediamo i rilievi
raffiguranti le due coppie di tetrarchi, che vediamo oggi a San Marco.
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I tetrarchi:

Periodo storico: La tetrarchia (dal greco antico “quattro governatori”) è il modello di organizzazione
dell’Impero Romano sotto Diocleziano (293), in un governo collegiale di 4 imperatori. Questi rilievi
raffiguranti i tetrarchi risalgono a fine III-inizio IV sec.; infatti, Costantino ne promosse l’importazione
probabilmente dall’Egitto fino a Costantinopoli, quindi i tetrarchi sono un po’ più antichi dell’età di
Costantino.

Descrizione: Si tratta di due rilievi in porfido raffiguranti ciascuno una coppia di tetrarchi (= ossia i 4
imperatori che reggono in mano l’Impero Romano tra fine del III sec. - inizio IV sec). Questi 4 imperatori
coincidono con 2 augusti e 2 cesari (=sorta di augusti junior) (*NB Gli augusti nominavano i cesari).
L’amore fraterno a cui si riferisce il nome della piazza, parla di fratelli perché i soggetti qui sono
rappresentati simili nelle fattezze, ma, mentre gli augusti sono raffigurati con la barba, i cesari sono imberbi.
Questi rilievi erano una sorta di manifesto della tetrarchia. Oggi il porfido si è scheggiato in alcuni punti ma
mantiene la pulitura, ossia l’ultima levigatura dello scultore, quindi è un materiale molto resistente. I
tetrarchi sono vestiti con un mantello che non è una clavide ma si chiama paludamentum (di tradizione
romana); sotto di esso hanno una veste militare e una spada. La spada è provvista di fodero e ha
un’impugnatura zoomorfa che raffigura un’aquila, ossia l’allegoria della forza imperiale. Questo specifico
tipo di spada è la spatha dei romani. I tetrarchi indossano poi una lorica (=corazza) segmentata, una cintura,
dei sandali che era le calzature di IV sec. e dei berretti di tipo pannonico (da Pannonia, una regione in cui
nasce la moda di portare tale copricapo) gli imperatori non indossano la corona perché la tradizione di
rappresentarli con una corona è successiva. Questi berretti pannonici avevano una pietra preziosa
incastonata nei buchi che vediamo. Tali pietre costituivano un altro elemento prezioso oltre al porfido.
Questi impreziosimenti sono caratteristici dell’arte tardo romana.

*NB Per vedere un’altra rappresentazione del copricapo di tipo pannonico possiamo vedere la scena di
caccia della villa romana di piazza Armenia in Sicilia, in un dettaglio di mosaico pavimentale.
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Iconologia: per l’iconologia dell’opera bisogna valutare due aspetti:

1. L’esibizione della forza militare esprime il messaggio urgente della difesa dell’impero affidata agli
imperatori. Addirittura qui impugnano la spada, quasi per sguainarla e combattere. Colpisce la
reattività dei 4 uomini, pronti a intervenire per la difesa dell’impero.
2. L’augusto e il cesare si abbracciano e ciò richiama l’unità, proprio in un momento in cui l’unità
vacillava perché l’Impero Romano veniva minacciato.

Veneziani: i veneziani decisero di sacrificare la colonna e valorizzare la parte dei tetrarchi andando ad
assemblarli formando un angolo. Tale operazione di assemblaggio avvenne probabilmente qualche anno
dopo il 1204 (4° crociata). Il pezzo mancante dei tetrarchi oggi a Venezia, è stato trovato durante uno scavo
archeologico a Istanbul e oggi si trova al museo archeologico di Istanbul. Questo frammento mancante
costituisce la prova che i tetrarchi provengano da Costantinopoli.
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Confronto con ritratto di Ottaviano Augusto: la scultura di Ottaviano Augusto lo rappresenta con canoni
classici. Inoltre, vediamo che è ritratto con la clavide (=mantello). I tetrarchi denotano un travisamento dei
connotati classici (=qui non c’è più naturalezza). Alcuni in passato hanno parlato di involuzione e
imbarbarimento del ritratto imperiale.

➔ MA cosa è realmente successo? Perché vengono rappresentati in questa forma tozza? L’arte romana
ha subito un processo di evoluzione, per tanti anni si è parlato di involuzione, in senso negativo, ma
in realtà oggi la critica apprezza molto il gruppo scultoreo dei tetrarchi per diversi motivi:
1. Perché il porfido è più difficile da scolpire del marmo bianco
2. Perché tale gruppo presenta un’infinità di dettagli
3. Per la sua espressività

Da una parte c’è una estrema attenzione al dettaglio e dall’altra c’è l’abbandono della corretta
rappresentazione dell’anatomia umana (con corretta intendiamo naturalistica in termini classici). Su questi
due aspetti lo bizantinista Andrè Grabarre ha evidenziato nei tetrarchi:

1. Le sproporzioni
2. L’allontanamento dai canoni classici
3. L’attenzione al dettaglio
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I tetrarchi di Venezia non sono l’unica opera che assumeva tali caratteristiche, infatti facevano parte di una
tipologia di prodotti in porfido raffiguranti i tetrarchi. Vediamo anche:

Coppia di tetrarchi, Musei Vaticani, 300 d.C.:

Confronto con i tetrarchi di Venezia:

➔ Affinità:
1) Hanno iconografie non completamente identiche ma simili
2) Condividono il messaggio
3) Condividono il gesto dell’abbraccio
➔ Differenze:
1) Non hanno il berretto pannonico, ma hanno una corona d’alloro (come quelle della colonna di
Costantino). Questa corona presenta però una gemma incastonata, come il berretto pannonico dei
tetrarchi veneziani.
2) Non c’è spada
3) Hanno il globo dell’universo in mano, che è un’insegna imperiale che evoca l’universo, ecco perché
in pittura a volte sono rappresentati in azzurro e tempestati di stelle. È lo stesso globo che poi
entrerà a far parte delle insegne reali.

Iconologia: Non abbiamo modo di distinguere quali fossero le identità dell’augusto e del cesare, ma non c’è
tale intenzione: non si voleva rappresentare un individuo in particolare, ma si voleva rappresentare la figura
imperiale. Per lo stesso motivo le figure vengono raffigurate tra loro molto simili. In questi anni l’imperatore
ideale viene rappresentato come un individuo molto virile, per nulla aggraziato, con una tensione nello
sguardo, uno sguardo fisso e rivolto verso l’alto, e con delle rughe profonde sulla fronte. Questo tipo di
ritratto imperiale vuole sottolineare la forza militare del capo dell’impero. Non si può quindi parlare di
involuzione e semplice imbarbarimento del ritratto imperiale, perché ora prevarica il simbolo alla mimesis
naturalistica.

*NB Questi globi li troviamo anche in alcune pitture di epoca precristiana.


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Busto in porfido (Galerio?), Il Cairo, Museo Egizio, 305-311 d.C.:

Tra III e IV sec. giungono in Siria dei modelli provenienti dalla Persia e dall’Asia centrale. Tali modelli
riemergono anche nei sarcofagi e nelle raffigurazioni di personaggi dell’alta società.

Descrizione: Busto in porfido di un tetrarca, forse di Galerio (*NB porfido=simbolo imperiale). I capelli sono
una soluzione formale completamente diversa da quella che si usava ai tempi di Augusto, che avevano
invece l’intento di una resa naturalistica. La statua dell’imperatore abbandona gli intenti naturalistici a
favore della simbologia:

- in termini materiali (porfido-porpora)


- in termini stilistici (fronte corrucciata, sguardo severo, rughe segno di una attenzione-tensione)

Non è un imbarbarimento della statuaria imperiale, in questi scultori vi è un certo savoir faire: da un blocco
di porfido sono riusciti a riprodurre un’immagine che all’epoca era assolutamente necessaria e attuale,
prediligendo quindi la simbologia alla naturalezza.
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Una statua acefala al Kunsthistorisches Museum di Vienna raffigura l’imperatore con i suoi tipici connotati.

Queste statue venivano dipinte?

- Quelle in porfido non venivano dipinte perché ha prevalenza la materia stessa, al massimo venivano
inserite delle pietre per impreziosire ulteriormente il lavoro dell’artista.
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- Per quanto riguarda il resto delle sculture dipende: ci sono statue di piccole dimensioni che
presentano tracce di colore o tracce d’oro. Ma bisogna stare attenti, non è detto che le statue
fossero interamente dipinte, a volte poteva esserci solo qualche rifinitura.

Teodosio I (379-395):

Costantino muore nel 337 d.C. Nel 379 d.C. Teodosio I diviene imperatore unico. Sia Teodosio che
Costantino sono ricordati come “Grandi”. Teodosio I:

- si distingue per le sue imprese militari


- è l’ultimo imperatore a reggere in mano tutto l’impero
- con l’editto di Tessalonica 380 rende il cristianesimo religione di Stato

Dopo la morte di Teodosio I l’impero viene diviso tra i suoi due figli: Onorio e Arcadio Arcadio imperatore
d’oriente.

Si parla di “Rinascenza teodosiana” perché rispetto all’epoca dei tetrarchi e a quell’abbandono delle forme
classiche, in Teodosio registriamo una certa rinascenza classicheggiante-ellenizzante.

Obelisco di Teodosio:

Teodosio fa erigere un obelisco di origine egiziana nella spina dell’ippodromo. È un obelisco in granito, con
due elementi in marmo come basamento, e in totale è alto circa 25 m. Il trasporto e l’erezione di questo fu
un’impresa estremamente complessa. Teodosio si è distinto per tale impresa ma poi è stato imitato
successivamente in epoca medievale, in epoca rinascimentale e anche dopo. Tale obelisco è quindi un
elemento di riuso che deriva dalla 18° dinastia egiziana, e quindi è un elemento del tutto estraneo al
linguaggio romano teodosiano. Viene portato dall’Egitto a Costantinopoli per volere di Teodosio. L’impresa
era volta ad amplificare la propaganda imperiale: l’imperatore vuole saldare la propria grandezza attraverso
le sue azioni, azioni stupefacenti proprio come questa. Il piedistallo in marmo risale alla fine del IV sec., e
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quindi è contemporaneo a Teodosio. Il piedistallo è composto da due corpi in marmo bianco venato di
grigio, estratto dalle cave dell’isola di Proconneso (il marmo più comune a Costantinopoli, e forse anche nel
resto dell’impero) caratterizzato da cristalli piuttosto grandi e con venature orizzontali grigie. Analizziamo i
due corpi che compongono il piedistallo:

1. Basamento rettangolare schiacciato nella parte inferiore:


Il basamento ospita due iscrizioni commemorative che esaltano l’impresa di innalzamento
dell’obelisco. Un’impresa titanica. E ospita due scene hic et nunc, ossia di quel luogo e quel
momento.
In due lati con le iscrizioni, una in greco e una in latino (sintomo di bilinguismo), esprimono lo stesso
concetto ma con espressioni in parte diverse (*NB nei secoli successivi ci sarà solo greco). Vediamo i
4 lati:
A) Iscrizione in latino lato sud-est:
“Fu difficile un tempo (per me) ricevuto l’ordine, obbedire ai sereni signori e perfino portare la
palma della vittoria dei tiranni estinti. Tutto però cede a Teodosio e alla sua progenie perenne. In tre
volte dieci giorni così fui vinto e domato, sotto la direzione di Proclo, innalzato alle aure celesti”
(traduzione di Paolo Liverani) caratteristiche:
i. è l’obelisco stesso che parla
ii. i tiranni di cui parla chi sono? sono uomini, che nella storia degli imperatori, si sono
autoeletti imperatori, ad es. Massenzio era considerato da Costantino un tiranno.
iii. Teodosio è il primo imperatore che riesce a domare l’obelisco.
iv. c’è anche un riferimento ai figli Arcadio e Onorio che avevano già riconoscimenti
importanti.

B) Iscrizione in greco lato sud-ovest:


“La colonna quadrilatera, che sempre qual peso giaceva a terra, solo l’imperatore Teodosio eresse,
egli che affidò il compito a Proclo e sorse una tale colonna in 32 giorni” (traduzione di Paolo
Liverani) caratteristiche:
i. Proclo era il prefetto della città dal 389 al 392, di conseguenza il piedistallo dell’obelisco
di Teodosio è stato realizzato in questi anni
ii. Spiega che era una colonna priva di basamento ma che grazie a Teodosio fu innalzata.
iii. Teodosio affidò tale compito a Proclo
iv. Per concludere l’innalzamento ci vollero 32 giorni.
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C) Lato nord-est:
È rappresentata l’erezione dell’obelisco in una vera e propria cronaca dell’impresa. Osserviamo la
forma incerta dell’ippodromo: abbiamo una prospettiva che è sia dall’alto che in verticale perché i
personaggi sono distribuiti in due file. Possiamo osservare le funi che sono servite per innalzare
l’obelisco. Vediamo anche 4 persone che con un argano tiravano su l’obelisco. Probabilmente
all’epoca era utilizzato anche bestiame per muovere l’argano, perché era richiesta tanta forza. La
stessa operazione la troviamo nell’innalzamento dell’obelisco di piazza San Pietro, voluto da papa
Sisto V, dipinto nella Sala degli Archivi Pontifici nella Biblioteca Vaticana nel XVII sec.
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D) Lato nord-ovest:
È rappresentata la gara con delle corse di quadrighe, che ci dice a cosa serviva l’ippodromo. Si vede
la spina con due obelischi, una colonna, una sorta di edicola che forse conteneva una statua.
Vediamo un’azione in movimento e dei personaggi che gesticolano e interagiscono con la corsa.
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2. Una sorta di cubo sopra al basamento:


- Tale elemento monolitico presenta 4 scene figurate in cui la scala proporzionale dei personaggi
cambia rispetto alla base sottostante, infatti abbiamo soggetti di dimensione più ampia. Esso è
caratterizzato anche da una certa omogeneità tra le facce, infatti tutte e 4 raffigurano il pubblico
dell’ippodromo attorno al catisma (la tribuna-loggia imperiale). Si tratta di scene rivolte all’attualità
ossia i giochi circensi e il suo pubblico. Le 4 facce presentano quindi soggetti riproducenti lo stesso
tema ma con delle varianti.

Il pubblico che vediamo qui raffigurato è ordinato secondo un principio gerarchico:


I. che culmina con il posizionamento al centro della famiglia imperiale, all’interno del catisma, che
funge da vero e proprio arco di trionfo che incornicia i soggetti più importanti.
II. Poco più in là dalla famiglia imperiale, ci sono le guardie e i funzionari.
III. Negli spazi più bassi ci sono i cittadini, musici e danzatrici.

Funzione di specchio: La base dell’obelisco si trova al centro della spina, ed esattamente di fronte
negli spalti vi era il catisma, quindi dalla tribuna i membri della famiglia imperiale si specchiavano in
una delle facce dell’elemento cubico dell’obelisco.

Il marmo nel tempo si è in parte eroso, ma non tanto da impedirci di apprezzare la bellezza della
plastica di epoca teodosiana. Vediamo i 4 lati:

A) Lato sud-ovest:
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- i personaggi all’interno del catisma si pensa siano Teodosio, Arcadio, Valentiniano II (non siamo in
piena tetrarchia, Teodosio è imperatore unico, ma si avvale dell’appoggio e della supervisione delle
diverse aree dell’impero assegnandole a esponenti della famiglia imperiale; infatti, Valentiniano II in
questi anni regge la parte occidentale dell’impero).
- Teodosio è il personaggio di maggiori dimensioni.
- Il personaggio più piccolo nel catisma, non lo è per importanza ma perché è il figlio più giovane di
Teodosio, ossia Onorio.
- Al di fuori della tribuna abbiamo soldati con scudi e lance. Poi ci sono i gradini e sotto il pubblico
che assiste.
- Vediamo un ritorno rispetto alla statuaria classica (ad es. nei panneggi più morbidi), ma dall’altro
abbiamo una presentazione paratattica di questi personaggi con l’allineamento delle teste (lo stesso
si trova nei sarcofaghi romani). Poi le balaustre sono troppo basse per i personaggi negli spalti
superiori, sebbene siano molto dettagliate, non sono realistiche per quanto riguarda quella che è la
natura di una balaustra, ossia impedire che le persone cadano. Quindi la figura umana è ben
rappresentata ma manca una logica e una coerenza nel rapporto figura-spazio.
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B) Lato nord-ovest:
- Qui non abbiamo gli spettatori nella parte inferiore, perché? Sono delle offerte da parte dei popoli
vinti, sono i cosiddetti barbari che vengono però inclusi nell’impero durante l’atto di sottomissione. I
dettagli iconografici di tali offerenti sono interessanti e permettono di ipotizzare la loro provenienza,
infatti la schiera di destra è diversa da quella di sinistra:
i. Popoli vinti a destra: particolari copricapi, barbe lunghe, capelli lunghi, pellicce:
probabilmente sono popolazioni germaniche del nord Europa.
ii. Popoli vinti a sinistra: non hanno pelliccia, hanno pantaloni aderenti, tunica corta, berretto
con punta arrotondata, si tratta di persiani. Anche i re magi nell’iconografia della natività
sono rappresentati così perché la tradizione vuole che i re magi venissero dall’Oriente e
vengono associati al regno più lontano d’Oriente, quello dei persiani. Questo berretto dei
persiani poi ha avuto una seconda vita perché diviene il berretto frigio associato alla
Rivoluzione francese. Tale berretto era associato a divinità orientali ben prima di Teodosio
(v. testa di Attis).
- Vediamo un ingrandimento dei soldati riconoscibili da lance e scudi in bassorilievo. Si assomigliano
molto nella pettinatura e nei volti imberbi, ma ci sono delle varianti eleganti che rendono più
naturalistica la rappresentazione, soprattutto nei 3 personaggi in primo piano.
- Nell’insieme le figure appaiono in un modo paratattico, quasi meccanico, e vi sono molte
incoerenze nel rapporto tra figura-spazio.

*NB Rinascenza teodosiana: siamo verso la fine del IV sec. e vediamo una rinascenza di elementi
classicheggianti nell’arte, MA vi è comunque una frattura profonda tra arte romana dei primi secoli e
questa fase avviata verso il medioevo. Tale frattura non consente a questi scultori di recuperare del tutto
il linguaggio classico (*alternarsi di forma e contenuto tipici nella storia).
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C) Lato sud est:


- Qui l’imperatore è raffigurato mentre dà inizio ai giochi circensi, alle corse dei cavalli, con danze e
musiche, infatti sono raffigurati anche strumenti musicali.
- L’imperatore è in piedi e porta in mano la corona d’alloro che incoronerà il vincitore della gara di
cavalli.
Vediamo dignitari in prima fila e militari in seconda fila (con lance) allo stesso liv. della famiglia
imperiale. I dignitari tengono in mano la mappula. La mappula, o mappa (in greco antico “mappa”)
è un pezzo di tessuto, una sorta di fazzoletto che imperatori, consoli o altri dignitari romani
mostravano in pubblico in occasione di spettacoli circensi per dare il segnale di inizio ai giochi. In
senso più ampio la mappula è interpretabile come simbolo di potere, esibito dal governante nella
mano destra, stretto in pugno col braccio alzato, come è possibile vedere nei dittici d’avorio e in
altre opere propagandistiche. In senso più pratico, essa serviva per asciugarsi dal sudore mentre si
assisteva durante la gara. Inoltre, i dignitari e l’imperatore stesso lo sollevavano per decretare la
vittoria a un auriga. La mappula la vediamo rappresentata anche in un dittico consolare d’Anastasio
in avorio del VI sec.
- Interessante la rappresentazione del registro inferiore con danzatori e danzatrici e musici che
suonano strumenti (a fiato o a manovella). Testimonianza di quali erano gli strumenti alla fine del IV
sec.
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D) Lato nord-est:
- È il lato più sobrio
- Qui compare un simbolo cristiano, che è l’unico in questo contesto profano. Si tratta di un
monogramma (Monogramma = selezione di lettere appartenenti a un nome che evocano quel
nome). Esso si compone della lettera “chi” (X) e “ro” (P) che corrispondono alle prime due lettere
del termine Christos. Si tratta di un monogramma definito “Chrismon” che è associabile al Cristo e al
suo trionfo attraverso il proprio martirio. Qui ci sono anche l’alfa e l’omega e simboleggiano l’inizio e
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la fine dei tempi, per dire che cristo si pone al centro dell’universo. La storia di tale monogramma
inizia con Costantino: secondo il biografo di Costantino, Eusebio, l’imperatore avrebbe visto in
sogno, nella vigilia della propria vittoria su Massenzio, questo segno. Dunque, questo è simbolo di
Cristo ma è anche emblema di vittoria. Infatti, qui viene esibito da delle vittorie alate (che derivano
dalla Nike greca classica). Il chrismon è circondato dalla corona d’alloro gemmata, simbolo
imperiale. D’altronde dall’editto di Tessalonica emanato da Teodosio, l’impero si basa sul principio
della teocrazia. Inoltre, qui il monogramma è raffigurato sul lavaro (=una piccola bandiera su un’asta
che veniva portata in battaglia). *NB Nei sec. successivi l’impero bizantino porterà in battaglia
l’icona di Cristo, e a volte della Vergine, ma in questo periodo era il chrismon il simbolo di Cristo che
veniva portato in battaglia.
- Andrè Grabarre parla di prospettiva rovesciata: è come se fossimo di fronte agli spalti
dell’Ippodromo, al centro dell’arena. Secondo questo principio dovremmo vedere i personaggi più
in basso più grandi e quelli in alto più piccoli, ma qui la prospettiva è rovesciata. Grabarre pensa che
tale scelta sia dovuta al voler sottolineare l’importanza dei personaggi a detrimento delle regole
della prospettiva. È un discorso interessante che interpreta il sovvertimento delle regole della
prospettiva. I personaggi in primo piano dovrebbero essere più grandi di quelli retrostanti, ma
invece musici e danzatrici occupano poco spazio. Tra l’altro c’è uno scarto tra le scene in movimento
(come nel basamento rettangolare) il registro narrativo è rimpicciolito rispetto agli altri personaggi.
- Isocefalia (=teste allineate tutte uguali) nel registro inferiore.
- Nel registro superiore la balaustra è corta e arriva quasi alle caviglie, non avrebbe senso, le
balaustre dovevano servire per non far cadere la gente. MA attenzione ai dettagli: es. balaustre,
ritratti etc. Tipico dell’arte tardo antica questa coesistenza tra una tendenza all’arte classica e
elementi che vanno verso un’arte simbolica che obbedisce a un principio di gerarchia e rigida
simmetria a detrimento del naturalismo.
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Foro di Teodosio/Forum Tauri:

Ipotesi di ricostruzione plastica del foro di Teodosio:


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Tale foro si trova sempre lungo la Mese. Esso è anche chiamato forum tauri Perché? Ci sono 2 ipotesi:

1. O deriva da Taurus,che fu un prefetto e personaggio stoico che morì nel 361


2. O deriva dal fatto che lì vicino si trovava un mercato di bestiame

Cosa ne resta oggi: non esiste più l’assetto architettonico della piazza, ma sono state trovate delle
testimonianze monumentali interessanti in frammenti di qualità elevata. Come:

1. Frammento della colonna di Teodosio:


Tale colonna cadde in pezzi sul terreno a seguito di una tempesta e all’inizio del XV sec., quando la
città era ormai ottomana, venne dunque riutilizzata per costruire un hammam (=un bagno termale)
sotto Bayezid II. Qui sono rappresentati soldati con scudi che raffigurano dei chrismon con alfa e
omega. Ritroviamo quindi degli esiti formali già riscontrati sulla base dell’obelisco di Teodosio, e
sono prova che appartengono alla stessa epoca e allo stesso contesto. Siamo nella categoria delle
colonne onorarie, che si chiamano anche colonne coclidi, ossia a forma di conchiglia, perché hanno
un fregio a spirale che non si interrompe mai, e che poi trova un riferimento chiaro nei rotoli di
pergamena, che prevede scene narrative che si srotolano in un continuum, a differenza del codex
che è un libro e che prevede che si debba voltar pagina.
In questo caso siamo davvero di fronte alla rinascenza Teodosiana: mentre la base dell’obelisco
rappresenta un tema di attualità che è già tardo antico, qui sono soggetti ripresi dalla tradizione
imperiale. In questo caso la colonna di Teodosio si rifaceva a imperatori dei primi secoli, come la
colonna di Traiano a Roma in piazza Venezia (313 d.C). C’è chi ipotizza che Teodosio abbia voluto
rifarsi a Traiano perché entrambi erano di origine ispana. La colonna traiana è alta 30 m mentre
quella di Teodosio era di 50 m. Erano tamburi sovrapposti l’uno all’altro. Queste colonne sono cave
e hanno una scala che le porta alla cima, per vedere in lontananza. Nel caso della colonna di Traiano
vi era una statua di Traiano sopra. Colonna che non ha funzione portante. La colonna onorifica
serve, come l’arco di trionfo, a esaltare la figura dell’imperatore. La colonna traiana rappresenta le
vittorie militari conseguite da traiano soprattutto contro i Daci in una narrazione continua. La
colonna di Teodosio ospitava vari temi:
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- Pace con Persiani


- Vittoria su goti
- Conquista Armenia
- Sconfitta degli ostrogoti
Vengono in aiuto per una ricostruzione ipotetica della colonna di Teodosio dei disegni: al Louvre
abbiamo disegni di Battista Franco che servono per ricostruire una scena di battaglia. Ci sono
diverse testimonianze materiali (diversi frammenti) e molte ipotesi che sono state costruite che ci
aiutano per una possibile ricostruzione.
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2. Resti degli archi di trionfo:


Tentativo di richiamare un motivo traianeo che forse già richiamava la clava erculea, che era
simbolo di forza, in questo caso imperiale. In una cisterna della città si trova una colonna di riuso
che proviene dal foro di Teodosio. Studio di Rudolf Naumann 1955 che ha proposto una
ricostruzione: sorta di arco di trionfo, sorta di catisma che rievoca il trionfo.
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Missorium di Teodosio I, Academia de la historia, Madrid, 387-388 d.C.:

Appartiene alla categoria dei Missoria, ossia piatti regalati dall’imperatore ai dignitari di corte, per ricordare
un evento. È un oggetto di oreficeria che fu scoperto in uno scavo. È una sorta di vassoio circolare in argento
di 74 cm di diametro che fu scoperto nel 1847 a sud ovest della Spagna, nella località di Almendralejo. La
Spagna faceva allora parte dell’Impero Romano, di cui Teodosio era imperatore unico. È stato trovato
spezzato in due, infatti presenta una frattura in diagonale.

Iconografia: il soggetto principale è Teodosio, al centro, in scala maggiore rispetto ai personaggi laterali, che
sono più piccoli perché subordinati all’importanza dell’imperatore. L’imperatore è all’interno di una tribuna
imperiale simile al catisma dell’ippodromo, anche qui la tribuna serve per celebrare l’imperatore e i
rappresentanti dell’impero: Onorio e Arcadio, e le guardie. Non c’è rapporto logico tra ricamo e andamento
della veste tipico aspetto arte tardo antica. I personaggi:
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- L’imperatore: porta la clavide con il tablion (quadrato). Egli è seduto su di un trono e ha aureola,
l’aureola simboleggia la luce divina. L’imperatore merita l’aureola perché è un personaggio tra
terra e cielo (ricollegato a dio-Helios). Per questo poggia anche i piedi su un piedistallo.
- A destra e a sinistra vediamo gli eredi dell’impero: a destra dell’imperatore probabilmente è
Arcadio che regge scettro e sfera (forse qui erano raffigurate anche le stelle), a sinistra
dell’imperatore potrebbe essere Onorio. Secondo altre interpretazioni potrebbero essere Arcadio e
Valentiniano II.
- A destra e sinistra troviamo le guardie come le abbiamo viste nell’obelisco di Teodosio: tipologia di
soldato giovane che troviamo alla base dell’obelisco di Teodosio (giovinezza=forza?).
- Al cospetto dell’imperatore c’è un dignitario che riceve da lui qualcosa, ossia un codicillo, un
diploma, un’investitura ricevuta dall’imperatore per un incarico ufficiale. In occasione del decennale
del regno di Teodosio.
- Nell’architettura vediamo degli esseri alati, che non sono ancora angeli, si tratta di eroti, o putti, che
alludono al potere dell’imperatore (*NB quando sono di età adulta e di sesso femminile si parla di
vittorie alate, in questo caso sono putti). Tali amorini fanno parte dell’antchità romana e riaffiorano
anche nell’arte tardoantica.
- Nella parte sottostante vediamo l’allegoria della personificazione di Tellus, recupero di forme
pagane che non interferiscono con il cristianesimo. Qui c’è l’esaltazione della terra, non della dea.
Terra intesa come produttività, come terra fertile. Infatti, la donna regge una cornucopia, che
rappresenta l’abbondanza, da cui sporge della frutta. Sono presenti anche spighe di grano e amorini
che sollevano verso l’imperatore dei frutti. Si vuole esaltare l’abbondanza, la ricchezza, la serenità
garantita dal governo di Teodosio.

Iconologia:

- Imperatore rappresentato un po’ come Cristo in trono, di dimensioni più grandi con aureola etc.
a un certo punto conflitto con immagine di Cristo, e imperatore si sentirà depauperato del suo
potere, e questa è una delle cause che porta allo scoppio dell’iconoclastia.
- L’imperatore è statico, è frontale, evoca una temporalità assoluta, eterna, sospesa nel tempo,
l’universalità del regno. L’autorità si manifesta anche nella staticità. Mentre a livello storico abbiamo
il dignitario, che è in movimento. Anche Onorio e Arcadio sono frontali e statici. Arcadio con scettro
e globo. L’autorità è sostenuta dai soldati, che sono comunque figure secondarie di contorno, ed
evocano la collettività perché non sono un’unica persona, quindi rappresentano tutto l’esercito. I
missoria esistevano già dai primi secoli dell’impero.
- Tellus c’è l’esaltazione della terra, non della dea. Terra intesa come produttività, come terra
fertile. Infatti, la donna regge una cornucopia, che rappresenta l’abbondanza, da cui sporge della
frutta. Sono presenti anche spighe di grano e amorini che sollevano verso l’imperatore dei frutti. Si
vuole esaltare l’abbondanza, la ricchezza, la serenità garantita dal governo di Teodosio.
Esiti formali : c’è sempre frattura con arte classica: da una parte abilmente riprodotti soggetti classici, e
dall’altra una sorta di incapacità di rappresentare in modo coerente l’anatomia e il rapporto figura-spazio.
Commento di Ernst Kitzinger: misuriamo distanza tra anca e ginocchio, è distanza smisurata, e la torsione
della donna è innaturale. I puttini sono perfettamente rappresentati. C’è un tentativo di imitare l’antichità
riuscito a metà, nei dettagli abilissimo, ma nella corretta anatomia del corpo c’è una capacità. È linguaggio
figurativo prodotto alla fine del IV sec. in un’arte di corte, quindi di fronte ai massimi esiti artistici.

Tecniche: diverse tecniche sono state utilizzate per la realizzazione di tale oggetto d’argento, che sono:

➔ Tecnica a rilievo nella lamina metallica (si chiama tecnica a sbalzo): il piatto veniva lavorato a
rovescio, con punte e martelli si rialzava la superficie, creando sottili giochi formali e di più o meno
alto e basso rilievo.
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➔ Tecnica di incisione

Iscrizione: corre tutto intorno al piatto e recita “Nostro Signore Teodosio, perpetuo Augusto nel giorno
felicissimo del decimo (anno di regno)”. Presenta abbreviazioni come “Perpet.Aug” sta per Perpetuo
Augusto.
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Riflessione di Grabarre: che si è soffermato sui due soldati che vediamo a sinistra:

1. il soldato in primo piano: è rappresentato in maniera incompiuta, perché nonostante la sua


completezza anatomica, è come se stesse fluttuando nel cielo un piede sembra fluttuare, mentre
l’altro sembra appoggiarsi in modo goffo al basamento della colonna dietro di lui.
2. il soldato in secondo piano: è rappresentato senza piedi, e sembra quasi fluttuare in aria davanti la
colonna retrostante.
➔ Non è corretto il rapporto tra figura e spazio, ossia tra figura e sfondo: ci si è allontanati dalla
mimesis della natura, dall’anatomia ben studiate che possiamo trovare invece nel classicismo.
Caratteristiche della fase bizantina teodosiana:

1. Predominio del principio della gerarchia: perciò Teodosio che è il personaggio più importante è al
centro, è più grande, ed è caratterizzato dalla fissità.
2. Certe incoerenze: come nel rapporto tra figure-spazio es. corpo disarticolato di Tellus, soldati
fluttuanti.
3. Rinascenze: Rispetto ai Tetrarchi, che sono di un secolo precedente, possiamo comunque vedere il
ritorno dell’arte classica, nei capitelli, nella personificazione della Terra, nei volti ( perché i volti
sono piuttosto plastici e atteggiati in modo armonico).
Un oggetto di questo tipo sembra rientrare nell’arte classica, dato che appartiene alla tradizione dei
missoria, ma se lo si osserva da vicino si notano questi dettagli che lo attribuiscono all’arte tardo antica,
ossia un’arte che è avviata verso un linguaggio figurativo che diventerà poi quello medievale (frontalità,
appiattimento, bidimensionalismo, sproporzioni).
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Tessalonica (oggi Salonicco):


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Tessalonica rispetto a Costantinopoli è più ad ovest e si trova in Grecia, infatti essa è la seconda città più
grande e importante della Grecia, dopo Atene. Il termine Salonicco deriva dal termine più antico
Tessalonica, che è anche quello più etimologicamente corretto.

L’etimologia di Tessalonica risale alla fondazione storica della città e vuol dire vuol dire “Tessalon Nike” (=la
vittoria dei Tessali, ossia degli abitanti della Tessaglia, una regione storica della Grecia). Tessalonica fu
fondata dal re macedone Cassandro il Macedone nel 315 a.C., che la chiamò così in onore della sua sposa
che si chiamava Tessalonica, la quale portava tale nome in memoria di una battaglia che i macedoni avevano
conseguito grazie al contributo dei Tessali. Inoltre, Cassandro era imparentato con Alessandro Magno che
regnò negli anni ’20 del IV sec. a.C., quindi in anni poco precedenti.

Tessalonica è una città marittima e fiorente perché beneficia dei traffici commerciali del bacino
Mediterraneo, e geograficamente si trova tra Roma e Costantinopoli. Tra queste due città i romani avevano
creato un asse viario importante per mettere in comunicazione queste due città e anche Costantinopoli e le
città dell’Asia. Tale asse viario:

- Tra Roma e Brindisi si chiama “via appia”


- Da Brindisi c’era un viaggio in mare che sbarcava a Durazzo
- Da Durazzo si percorreva la via Egnatia che arrivava fino Bisanzio, passando per Tessalonica. La via
Egnatia è una via romana che viene creata subito dopo la conquista romana della Macedonia, che
avviene nella seconda metà del II sec. a.C., più precisamente nel 146 a.C.

Tessalonica è stata attraversata da guerre, occupazioni, e calamità naturali. Un incendio importante risale al
1917 che ha distrutto molti edifici ma per fortuna è comunque una città che conserva un grande patrimonio
artistico tardoantico e bizantino. Nella cartina sottostante vediamo all’interno del rettangolo rosso il nucleo
antico della città dalla conquista dei romani. Noi ci soffermeremo proprio nell’area della città antica di
Salonicco, all’interno del riquadro rosso, delineata dalle mura antiche. Come Istanbul, anche Salonicco
conserva ancora oggi le mura antiche.
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Prima di Costantino:
Durante la Tetrarchia, tra il 293 e il 311, un augusto della parte orientale dell’impero è Galerio, di cui ci
rimane una moneta con il suo ritratto, che sceglie Tessalonica come sua sede imperiale.
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Anche in questa città si trovava:


- un ippodromo
- la sala del trono: che è introdotta da un’architettura antistante che ne caratterizza l’ingresso a
forcipe. La sala di per sé all’interno è polilobata ma all’esterno è un corpo architettonico ottagonale.
- una grande basilica civile (aula di rappresentanza regia)
- una grande residenza, di cui è stato messo in luce via via il mosaico pavimentale e tratti delle pareti
(pareti con meravigliosi decori con marmi policromi)

Arco di trionfo, Tessalonica:


Troviamo un arco di trionfo che attraversa la via Egnatia, molto particolare perché è un arco composito,
quindi composto da più arcate; l’arco celebra Galerio e le vittorie conseguite contro i Persiani. Ci è rimasto
1/4 dell’arco, perché in origine era un tetrapilon (=4 archi). Si tratta quindi di un arco di trionfo con 4 arcate,
infatti tetra significa 4 e pilon significa porta/passaggio/ingresso. Ciò che ci rimane riporta della scultura
plastica tardo antica che in alcuni punti è erosa e in altre parti è ben conservata. È un arco di trionfo che
ricollochiamo nella tradizione imperiale (pensiamo ad esempio all’Arco di Tito e di Settimio Severo a Roma,
ma ce ne sono molti nell’impero).
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Perché 4? Perché è un crocevia, infatti funge da spartiacque in quanto è un monumento a croce, che si
innesta sulla via Egnatia e su un passaggio perpendicolare che dal porto della città conduceva a un
mausoleo.

Piccolo arco di Galerio, Museo di Salonicco, fine III sec.:


Nel museo di Salonicco vi è un manufatto in marmo che chiamiamo “piccolo arco di Galerio” per
differenziarlo dal tetrapilon, e che rappresenta Galerio in un medaglione da una parte, e dall’altra un
medaglione con una figura femminile che non è sua moglie ma la personificazione della fortuna. Ciò per
farci capire che sotto Galerio, Tessalonica, che viene eletta capitale, assume delle sembianze di città
monumentale. All’interno tralci di vite che seguono la tradizione ellenistica: vediamo un vaso con le anse
che si chiama cantaros e questi grappoli d’uva che si intrecciano con un forte accento naturalistico, quindi
ancora un’arte classica.
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Mausoleo di Galerio, Tessalonica:


Mausoleo=edificio che serviva per la sepoltura di personaggi importanti, come gli imperatori.
L’etimologia deriva da Mausolo, che era re della Caria, che si era fatto costruire ad Alicarnasso una tomba
monumentale che era una delle meraviglie del mondo nell’antichità. Perciò le tombe monumentali vengono
chiamate mausolei.
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Storia: il mausoleo era stato costruito nei primissimi anni del IV sec. da Galerio per farlo diventare la sua
tomba funebre, anche se alla fine morì e fu seppellito in Serbia. Oggi il mausoleo è conosciuto come
la “rotonda di San Giorgio”, anche se il monumento nasce come un elemento profano (*Galerio è
precedente a Costantino), tra V e VI sec. viene cristianizzato e trasformato in un luogo di culto cristiano,
originariamente dedicato agli Angeli (in greco “asomatoi”, ossia coloro che non hanno corpo) e non San
Giorgio. Questo edificio non servì dunque mai da mausoleo, divenne una chiesa, e tra fine IV-prima metà
del V sec. viene decorato con l’apparato musivo. Nel 1430 la città cade in mano ai Turchi e la chiesa di San
Giorgio, come tutte le altre chiese, diventano moschee, fino a quando i greci ortodossi, nel 1912,
riconquistano la città. L’edificio tornerà ad essere chiesa, ma si lascia a futura memoria del suo essere stato
moschea il minareto, una struttura a forma di colonna, che serviva per invitare i musulmani alla preghiera
tramite il richiamo dell’imam. Nel grande incendio del 1917 non viene intaccato il mausoleo. Seguono molti
restauri. È un edificio ben studiato e valorizzato dallo stato greco.

Originariamente la struttura aveva una pianta centrale a perimetro circolare, composto da otto arcate, che
corrisponde ai tipici mausolei romani, ma probabilmente già tra VIII e IX sec. si aggiunge l’abside
rettangolare (che dentro riporta una pittura di XI sec.), sacrificando una parte dell’anello, corrispondente a
una arcata, per creare un coro/un’area presbiteriale.
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Per capire meglio vediamo due piantine:

1. A sinistra: vediamo il mausoleo come era stato concepito all’epoca di Galerio, che è un tipo di
mausoleo che si trova ancora nelle zone periferiche dell’antica Roma, che sono mausolei
leggermente più tardi di quello di Galiero a Tessalonica perché sono voluti da Costantino: es.
mausoleo di Santa Costanza. È una tipologia di mausolei circolari a pianta centrale, che si trovano
in diversi versanti dell’impero in fase tardo antica.
2. A destra: vediamo lo stesso mausoleo ma nel Medioevo, in cui vediamo l’aggiunta dell’abside.

Descrizione architettonica: Il diametro dell’edificio è di 24,5 m e lo spessore delle mura raggiunge quasi i 6,5
m. Tale edificio presenta una sorta di muro ad anello traforato da 8 arcate in origine, ma una è stata
sacrificata quando è stato costruito l’abside. Ad una certa altezza troviamo l’attacco della volta emisferica
che è una cupola, sotto la quale vediamo finestre a mezzaluna, poi grandi finestre sottostanti e al pian
terreno le arcate. C’è una scala a chiocciola per raggiungere la parte superiore. In passato l’edificio aveva un
intonaco bianco, dato al tempo dei turchi per ricoprire ciò che era cristiano, che oggi però non troviamo più
ma che possiamo vedere in una foto in bianco e nero. È provato che nella prima edizione, questo edificio,
avesse delle decorazioni con marmi policromi, infatti ci sono piccoli fori nella muratura interna, che ci
permettono di capire che lì si trovavano le grappe metalliche per fissare alla parete queste specchiature
marmoree. È quindi un edificio di lusso, corrispondente alla produzione dell’arte sontuaria di committenza
imperiale, tanto più che ci sono ampie porzioni di mosaico a fondo d’oro. L’imperatore sceglie, per l’edificio
che lo rappresenta nella vita ultraterrena (*non è cristiano ma già all’epoca di Galerio c’è l’idea
dell’imperatore come essere divino che quando muore raggiunge l’empireo), un’opera che utilizza i media
artistici più sofisticati e più preziosi e gli apparati decorativi più ricercati. I media artistici sofisticati di cui si
parla consistono:
- nel marmo tagliato in lastrine di diversi colori, come il porfido, marmo serpentino verde, marmo
verde di Tessaglia, marmo giallo tunisino, etc. copriva le pareti
- il mosaico, soprattutto a pasta vitrea, quindi molto luminoso grazie alle foglie d’oro decorava le
superfici concave (arcate del pian terreno, l’abside e la cupola)
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Tra la fine del IV e la prima metà del V sec. la Rotonda diventa chiesa e quindi viene decorata con soggetti
religiosi. Il mosaico sulla cupola, a predominanza d’oro, che oggi non possiamo vedere integralmente, oggi
riporta solo il medaglione e la base della cupola.
➔ Perché si sono conservate solo queste parti? Nel 1430 quando la chiesa è diventata moschea, i
musulami decisero di eliminare, in quella che è una sorta di damnatio memoriae:
1. il Cristo dal medaglione centrale
2. tutta la parte centrale della cupola dove si affollavano figure antropomorfe che raffiguranti
gli angeli (*il soggetto antropomorfo è incompatibile con la moschea).
Essi decisero però di mantenere l’anello d’oro della parte inferiore della cupola perché rispecchiante
il concetto di Paradiso non solo cristiano ma anche musulmano.
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Nel tempo ci furono diversi tentativi di ricostruzione dell’apparato iconografico del mausoleo, e soprattutto
della cupola. Il più famoso è quello del 1982 di Maria Sotiriou che realizzò un disegno rappresentate una
restituzione della decorazione della cupola che rinviava alla dimensione paradisiaca tramite soggetti
teofanici.

Descrizione iconografica:

Nel concetto di “chiesa bizantina” essa accoglie un riflesso della trascendenza, che è regolato da una
gerarchia di entità, di livelli e di spazi. *Per questo motivo, per quanto riguarda la decorazione del
mausoleo, partiremo ora dal basso per salire fino all’alto dell’edificio.

Il repertorio iconografico della chiesa allude all’ambiente paradisiaco, ma dal basso verso l’alto le
decorazioni gradualmente raffigurano soggetti sempre più importanti (fino a Cristo nel punto più alto e
centrale della cupola); in rapporto al crescendo dell’importanza dei soggetti, aumenta anche la luminosità
delle decorazioni, sebbene l’intero apparato decorativo sia a dominanza d’oro in quanto si tratta pur sempre
della raffigurazione di uno spazio divino. È quindi da sottolineare che i mosaici della parte inferiore sono pur
sempre subordinati al grande mosaico della cupola centrale, il quale ospitava soggetti teofanici
monumentali quali la rappresentazione di Cristo e di altre componenti della compagine celeste.
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Parte inferiore dell’edificio: troviamo ambienti più piccoli con volte a botte con decorazioni geometriche o
comunque con soggetti simbolici. A far da contraltare al soggetto iconico più importante al centro della
cupola, a livello inferiore abbiamo solo soggetti aniconici (=non iconoci) come frutta, uccelli, anatre, pavoni,
fiori. Vediamo una grande varietà di soggetti che mira a sottolineare la ricchezza del paradiso, quindi
vediamo uva, melograni, pere, etc. Si tratta di soggetti che solitamente si trovano nei mosaici pavimentali,
anche se in quel caso la dominante non è oro, ma si tratta di tessere generalmente in calcare. In una delle
volte a botte troviamo una croce di colore oro su uno sfondo realizzato principalmente con l’argento, qui
ritroviamo raffigurati dei soggetti aniconici come uccelli e stelle che mirano a inserire la croce all’interno di
un cielo, o comunque in uno spazio paradisiaco. In un’altra volta troviamo un motivo più semplice con dei
medaglioni intrecciati, motivo che possiamo sempre ritrovare nei mosaici pavimentali.
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Registro inferiore della cupola: oggi possiamo ancora vedere il registro inferiore del mosaico della cupola.
Esso potrebbe essere una delle prime espressioni dell’arte paleobizantina, che si scosta dunque dalla
tradizione classica perché gli edifici non hanno una credibilità spaziale, ma sono comunque rappresentati
con molta cura (rappresentazione di capitelli, balaustre, cupole, arcate, etc.) in un’atmosfera di
trascendenza. Si parla di atmosfera di trascendenza perché ad esempio si è scelto di rappresentare gli edifici
in oro su sfondo oro perché l’oro rappresenta, nell’estetica bizantina, il divino, la luce, la sapienza e la
bellezza divina. È dunque un’opera d’arte che affonda le radici nell’ellenismo, ma che è già bizantina perché
rinuncia alla plasticità delle figure e alla tridimensionalità in favore della ieraticità, della bidimensionalità e
della rarefazione dello spazio (non c’è vegetazione, non c’è un cielo atmosferico).

*Parole chiave:

Prima VS Dopo
• Plasticità delle figure • Ieraticità
• Tridimensionalità • Bidimensionalità
• Rarefazione dello spazio

Inizialmente il registro inferiore del mosaico della cupola era diviso in 8 compartimenti con una
delimitazione sovrastante che voleva alludere a un architrave ellenistico con decorazioni a dentelli e ovuli
che possiamo trovare nella scultura dei tempi ellenistici.
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Ciascun compartimento ospita un edificio non chiuso, come se fosse una sorta di padiglione in un giardino
principesco, è una sorta di architettura celeste che forse vuole alludere alla Gerusalemme celeste (città di
cui parla la Bibbia che è associata a una sorta di fortezza d’oro che accoglie le anime dei giusti in paradiso).
Questi edifici non sono del tutto disabitati, infatti vi troviamo delle figure umane che non furono eliminate
dai musulmani. Non si sa il vero motivo per cui i musulmani decisero di conservarle ma ci sono 2 ipotesi
principali:
1. perché forse furono coperte con dei panneggi al tempo dei turchi
2. perché non le ritenevano facenti riferimento a qualcosa di specifico, come invece avveniva con la
figura di Cristo
Queste figure rappresentano dei vescovi o dei santi, sono i cosiddetti “martiri/atleti di Cristo” (detti così
perché sia l’atleta che il martire hanno la corona d’alloro, che qui è tenuta in mano).

Dal punto di vista degli edifici architettonici, alcuni storici dell’arte, tra cui Ernst Kitzinger, hanno fatto
riferimento a precedenti romani come padiglioni e giardini principeschi. Un esempio potrebbe essere una
pittura pompeiana, che si trova oggi al Metropolitan di New York, che raffigura la Villa di Boscoreale del I
sec. a.C. Si tratta quindi di derivazioni classiche; MA, a differenza dell’arte classica, nella rotonda di San
Giorgio le architetture sono oro su fondo oro e non hanno più i colori e i chiaroscuri che possiamo percepire
nella pittura pompeiana.
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Sempre a livello architettonico ci sono molte citazioni dall’antico: dentelli, ovuli, cigni che evocano
bassorilievi molto elaborati, volte con piume di pavone, pavoni in carne e ossa, etc.

Il pavone è legato intimamente al paradiso e sin dall’antica Roma (anche repubblicana) erano legati al
concetto di resurrezione e passaggio nell’aldilà. Del pavone si diceva che la carne non fosse sottoposta al
processo di putrefazione e quindi era considerato, in qualche modo, immortale.

Il tutto è però inserito in una prospettiva irrealistica, perché questi edifici non suggeriscono un vero e
proprio spessore. Si trova anche qualche raro soggetto cristiano inserito in qualche decorazione
architettonica come il timpano che raffigura probabilmente l’ascensione di Cristo in una mandorla di luce o il
trapasso dei santi martiri al mondo dei cieli. Siamo in un mondo trascendentale che medita l’elevazione
dello spirito secondo un processo ascensionale che fonda le sue radici nella filosofia platonica, elevazione
dello spirito dal basso verso l’alto *Soprattutto Andrè Grabarre parla di questo aspetto appoggiandosi a
scritti neoplatonici, principalmente di Plotino.

Nel registro inferiore la dominante è oro, anche se troviamo alcuni dettagli in argento. Sono presenti,
inoltre, scorci prospettici ma sono piuttosto “empirici” e non coerenti nel rapporto tra figura e spazio. Lo
spazio è rarefatto, suntuoso, abitato da uccelli e umani rappresentati in posa frontale, statica e invitano alla
contemplazione, sono infatti delle immagini della santità che invitano il fedele alla preghiera. Troviamo
anche delle lampade ad olio tra gli intercolumni e tendaggi annodati (*i tendaggi annodati derivano dalla
decorazione ellenistica).
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Per quanto riguarda l’ordine compositivo, del registro inferiore della cupola, esso si articolava in 8
compartimenti, di cui se ne conservano solo 7 (*1 perduto causa costruzione abside) che presentano ampie
lacune; MA grazie ai disegni restitutivi ne abbiamo oggi una lettura chiara, e possiamo affermare che:
- Si tratta di un luogo paradisiaco che non rientra nello spazio reale, ma in quello della trascendenza;
vige quindi il principio della gerarchia e della simmetria delle immagini, infatti le ali degli edifici si
ripetono sempre in modo speculare.
- Gli edifici si ripetono in modo simile in tutti e 8 i compartimenti sono a 2 piani, hanno un nucleo
centrale con ai lati due ali con delle arcate e hanno, al centro del 1° livello, un soggetto dal forte
valore simbolico (in parte pervenutici e in parte ricostruiti), e al 2° livello delle edicole.
- I soggetti simbolici sono solo di 3 tipologie, che vengono poi ripetute in diverse edicole. Queste
tipologie sono:
1. Soggetto simbolico che è composto da:
a) Croce patente (=estremità svasate tipica del VI-VII sec.) gemmata
b) Colomba all’interno di un’aureola=Spirito Santo
c) Una vasca d’acqua ai piedi della croce, ossia una sorta di fonte battesimale
Lo storico dell’arte Torph è stato uno dei primi a interpretare tale simbolo come allusione al rito
battesimale e alla Trinità. (*Tale simbolo lo ritroviamo anche a Sant’Apollinare in Classe a Ravenna
su di un sarcofago).
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2. Soggetto simbolico antropomorfo: in ogni compartimento ci sono 2 figure, ma a volte c’è una terza
figura, che è un soggetto simbolico; essa si trova al centro e raffigura un vescovo/rappresentante
della chiesa che è vestito con un pallio o una casula che è il mantello circolare che indossava il
vescovo. Il vescovo è il pastore delle anime di una diocesi. Ovviamente queste figure sono proiettate
in una dimensione paradisiaca: è un vescovo che incarna la chiesa stessa, qui è quindi esaltata
l’istituzione della chiesa attraverso la persona del vescovo ma anche attraverso lo sfondo, il quale
richiama l’area absidale di una chiesa. Anche il gesto del vescovo è significativo: il gesto dell’orante
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è un gesto di antico significato, di origine precristiana (ci sono statue classiche romane che sono
in questa posizione e raffigurano antiche sacerdotesse). Il vescovo, dunque, è mediatore tra cielo e
terra, custode del suo gregge e in comunicazione con il trascendente.

3. Soggetto simbolico con etimasia:


Etimasia=preparazione del trono in attesa della seconda venuta del Cristo per portare i giusti in
paradiso e condannare i peccatori.
Qui l’etimasia è composta da: trono vuoto + un libro + simboli della passione di Cristo.
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Parlano dell’etimasia diverse fonti: il Vangelo di Matteo, gli Atti degli Apostoli (nel momento in cui
Cristo ascende al cielo), l’Apocalisse e tanti altri testi esegetici. Per il cristiano dei tempi nostri la
seconda venuta di Cristo, la fine dei tempi e l’Apocalisse sono percepiti come qualcosa che accadrà
tra molto tempo, in quel periodo si aveva un sentimento di imminenza di questo evento. Ci sono
stati poi tanti computi medievali nell’approssimarsi dell’anno 1000 in occidente sulla teoria di
un’imminente e programmata fine del mondo. Il tema dell’etimasia si trova spesso anche come
monito per i fedeli per mantenere la retta via, per tenersi pronti al giudizio di Cristo. “Ma il Signore
durerà per sempre, ha preparato il suo trono per il giudizio” (Salmo 9,7) i Salmi si trovano
nell’antico Testamento e la tradizione li attribuisce a David (*la tradizione cristiana utilizza ancora
fortemente i Salmi).

Accanto a questi soggetti simbolici troviamo in ogni compartimento 2 personaggi. Uno di questi è sempre
un martire: es. San Terino (martirizzato a Butrinto sotto l’imperatore Decio, 249-251) che portano la clamide
(*la clamide è vestita dai soldati/capi dell’esercito, quindi non solo dall’imperatore, ma anche dai martiri in
quanto “soldati” di Cristo perché danno la vita per lui). Un altro santo martire è san Basilisco. I martiri, come
i vescovi, si atteggiano ad oranti e sono come delle icone: rappresentano dei santi che si interpongono tra
terra e cielo, abitano in paradiso grazie al loro martirio, e dando la vita per Cristo ne diventano gli “atleti”
che vengono incoronati con la corona d’alloro e premiati con il paradiso. Questo gesto da orante, i martiri, lo
indirizzano a coloro che entrava in chiesa per intercedere per loro.
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Si tratta di ritratti tipicizzati: c’è la volontà di riprodurre il volto di ciascun santo, ma non si tratta del volto
reale, perché c’è sempre una tipizzazione dei personaggi (ad es. quelli anziani con barba lunga, i giovani con
la barba corta) ma c’è sempre una varatio: capelli biondi, capelli ricchi, occhi verdi, occhi neri, etc. ma si
tratta sempre e comunque di tipologie convenzionali. Ogni raffigurazione corrisponde a delle tradizioni
narrative che si trovano nelle passiones dei santi martiri. Il ritratto tipicizzato è un linguaggio stilistico che
quindi accomuna più categorie stilistiche vediamo un corrispondente nella plastica: ritratto di Arcadio,
Istanbul, Museo Archeologico, 387.390 d.C.: è realistico ma non come quello di Augusto, gli occhi sono
eccessivamente grandi. Nel mosaico non è rappresentato Arcadio, ma un santo. Si tratta di un tipo, di una
versione può essere riprodotto anche se indica soggetti diversi perché NON è un ritratto reale. Qui a San
Giorgio abbiamo un vero e proprio campionario dei ritratti tipo dell’epoca tardo antica. Poi, andando avanti
nei tempi, i volti dei personaggi iconici saranno sempre più bidimensionali e ieratici, MA qui abbiamo ancora
l’impressione di trovarci di fronte a persone umane realmente esistite, come se fossero quasi dei ritratti
veri. Ci sono anche sottili varianti tra i personaggi tipo che li differenziano di pochissimo.
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Tecniche esecutive: il mosaico è una tradizione antica, ad esempio ne parla Plinio nei suoi scritti, ma solo a
Bisanzio, con queste superfici auree che riflettono e generano e moltiplicano la luce, raggiunge il culmine
delle sue potenzialità. Si procedeva rapidamente per l’esecuzione dello sfondo con tessere più grandi,
mentre i volti erano pieni di dettagli, quindi, richiedevano molto tempo e tessere più piccole. Bisogna
valutare:
- La tessitura musiva: il mosaico consiste in una tecnica che prevede l’inserimento di tessere cubiche
(ma non solo) nella malta, che vengono disposte con andamenti particolari, ad esempio qui
vediamo che si sposano con i tratti somatici dei volti. È da sottolineare che le tessere non sempre
sono cubiche, infatti a volte sono quasi delle schegge (in caso si debba rappresentare un tratto
sottile). Ci sono inoltre accostamenti arditi di colore che ritroviamo anche nell’impressionismo e nel
puntinismo. Come mai si usano questi colori? I mosaicisti sapevano che l’occhio umano armonizza la
palette cromatica e quindi a una certa distanza si coglie l’ombra, la luminosità di un volto e non più
le macchie contrastanti.
- La natura dei materiali: le tessere sono per lo più di pasta vitrea o lapidea (=di calcare o marmo). Il
vetro conferisce un effetto traslucido e se la pelle è composta di tessere di vetro dà quasi
l’impressione di un velo di sudore, e quindi già dalla tradizione classica romana nasce la tradizione
di rappresentare l’incarnato con tessere di pietra. Quindi qui le tessere rosa-marroni sono di calcare,
mentre quelle gialle-arancioni sono di pasta vitrea. Evidenziamo che il globo oculare è bianco-
azzurrognolo, ed è in tessere vitree perché siccome l’occhio è bagnato deve essere lucido.

Registro centrale: Come si sono ricostruite le parti mancanti? Lo si può fare grazie ad alcuni frammenti
pervenutici in cui vediamo un giardino con dei piedi di personaggi. Inizialmente in questo giardino vi erano
molti angeli vestiti di bianco con sandali ai piedi, si è anche ipotizzato che fossero apostoli, ma se noi
prendiamo le unità di piedi ancora visibili e le moltiplichiamo per tutto lo spazio circolare otteniamo un
numero maggiore di 12, quindi l’ipotesi più probabile è che si trattasse di angeli che posano i piedi sull’erba
di uno spazio paradisiaco. Si creava così uno stacco tra registro sottostante su fondo oro e registro centrale
ambientato in un paesaggio aperto. Questa è una soluzione che i maestri mosaicisti tessalonicesi di V sec.
riprendono dalla tradizione romana tardo antica che provoca l’effetto di traumpeil, ossia un’illusione ottica
di sfondamento della parete. Kitizinger parla di questo effetto: l’occhio umano percepisce la parte inferiore
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come un registro pieno, d’oro, e sopra uno spazio aperto che allude all’infinito perché c’è un prato verde e
sopra un cielo azzurro. Questo effetto illusorio era rafforzato dal contrasto con il registro sottostante.
*Parola chiave: spazialità illusoria.

Iconograficamente: vediamo un cielo atmosferico con degli angeli che ruotano in un movimento rotatorio
attorno all’asse centrale della cupola. Gli angeli quasi compiono un girotondo attorno al soggetto centrale.
Dai piedi che ci sono giunti si capisce che i personaggi erano in movimento. Il battistero degli Ortodossi a
Ravenna obbedisce a uno schema compositivo simile a questo.

Iconologicamente: tutto ciò riflette la dimensione della trascendenza.


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Altri frammenti pervenutici si trovano a un livello più alto degli angeli, infatti raffigurano 4 figure di
arcangeli, che sono gerarchicamente sopra agli angeli. Gli arcangeli (che portano il diadema in testa) stanno
sostenendo l’universo senza mostrare fatica, e perciò si tratta di arcangeli cariatidi. Infatti, gli Atlanti
nell’antica Grecia sostenevano l’universo ma con sforzo fisico, mentre le Cariatidi sostenevano architravi,
etc. ma senza alcuno sforzo fisico (v. cariatidi ad esempio acropoli di Atene). Essi sostengono a ruota
l’universo, in cui si trovava il Cristo. Insieme agli angeli cariatidi si trova una fenice con aureola che porta in
becco un serpente un uccello mitico che appartiene alla mitologia greca che in antichità era associato
all’uccello che moriva e rinasceva ciclicamente dalle sue ceneri. Ovviamente tale mito fu riutilizzato dal
Cristianesimo che ne ha fatto una delle allegorie della resurrezione del Cristo. La santità è qui rappresentata
dall’aureola e dai raggi di luce, che si ricollegano anche alla tradizione di Cristo come divinità solare. Il
serpente nel becco incarna il male vinto dal bene. L’iconografia della fenice la troviamo spesso nel mondo
cristiano, ad es. anche in un mosaico pavimentale del V sec. che si trovava ad Antiochia e oggi è conservato
al Louvre. Simbolo della ressurrezione di Cristo, è inserito qui perché siamo vicino all’immagine
dell’universo che ruota, ossia siamo in una cosmogonia, cioè un’immagine che rappresenta il movimento
ciclico degli astri. Sono immagini che hanno origine pre cristiana, e che il cristianesimo riutilizza in chiave
cristologica.
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Medaglione centrale: è racchiuso in 3 anelli:


1. Una sorta di arcobaleno che è assoggettato alla figura dell’altissimo
2. Un festone di frutta e foglie che allude alla vittoria del martirio: Cristo porta la corona del martirio
che porta per aver salvato l’umanità
3. Il terzo livello, con le stelle, rappresenta il cielo dell’universo

Si tratta probabilmente dei cieli dell’universo, infatti secondo il pensiero medievale tra paradiso e terra c’era
l’empireo, rappresentato da diversi livelli di cieli.
Il soggetto centrale del medaglione è Cristo, che è il soggetto più importante, e per questo si trovava al
centro e nel punto più alto, dell’interno apparato iconografico. Dalla foto sottostante vediamo la traccia di
un disegno dirattamente sui mattoni, che serviva da disegno preparatorio che i mosaicisti tracciavano a
mano libera dopo aver fatto i cerchi (che vediamo) con il compasso.
Ci sono rimasti dei frammenti: il panneggio che si solleva, la mano del Cristo, l’aureola, e un’estremità di una
croce. Una croce a questa alezza può essere solo che una croce astileo (=su di un’asta). Queste croci sono
utilizzate dai vescovi. Si parla anche di “croce della vittoria” perché qui è esibita dal Cristo come vessillo. Il
mosaico aveva fondo argenteo per creare contrasto con l’oro e i colori dell’azzurro sottostante (*l’argento, in
realtà, crea una luce più intensa di quella dell’oro). Quindi si trattava di un cielo d’argento su cui si stagliava
il Cristo, ritratto nell’atto di oltrepassare il diaframma tra terra e paradiso; è il Cristo della ressurezione, è
Cristo che risorge dopo il suo sacrificio e per questo porta la croce della vittoria e compie il gesto del saluto
(*saluto che vuol dire salvezza). Quindi si tratta di Cristo che salva l’umanità attraverso il sacrificio di se
stesso. Egli attraversa questa apertura circolare: il Cristo in movimento dava quasi l’illusione di alzarsi e
scomparire. È un Cristo in movimento che sale ma idealmente anche scende, perché è un movimento in
verticale:
- sale perché è il Cristo della ressurezione
- scende per la seconda venuta
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È un’immagine di Cristo dalla doppia valenza: è un moto verticale che può essere inteso sia come moto
ascensionale (ressurrezione) che come moto discensionale (2° venuta).
Si nota che c’è uno scarto tra disegno sottostante e i frammenti rimastici dell’aureola del Cristo perché
ovviamente quello sotto era solo un abbozzo, quindi questo scarto non è un evento anormale.
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Sappiamo che per esigenze cultuali uno degli arconi è stato sfondato, tra VII-VIII sec., per creare un’abside.
Qui vi è un affresco absidale che non ha nulla a che vedere con il contesto musivo, ma è comunque degno di
nota. Esso risale probabilmente all’XI-XII sec. (epoca medio-bizantina) e riporta l’ascensione di Cristo
(*molte sono le testimonianze nell’Italia meridionale di ascensioni di Cristo, di derivazione bizantina, nelle
absidi). La composizione è divisa in 2 registri:
- in basso: Vergine orante con 12 apostoli
- in alto: Cristo in mandorla che ascende al cielo sorretto da angeli (*ipotesi personale: potrebbe
ricollegarsi al mosaico, infatti vediamo anche qui Cristo sorretto da angeli mentre ascende al cielo)
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Rilievo in marmo, IV-V sec., Berlino, Staatliche Museen: Altro esempio di etimasia ma in questo caso
vediamo cuscino + corona + colomba dello Spirito Santo (purtroppo mutila). Ci sono anche due agnelli che
simboleggiano i fedeli o gli apostoli.

Costantino:
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Costantino fortificò la città e la dotò di un porto ufficiale. Dopo essere divenuta città bizantina, questo
nucleo urbano si arricchì di diverse chiese (come San Giorgio, che prima era mausoleo ma tra fine IV- prima
metà V sec. divenne Rotonda di San Giorgio, chiesa cristiana).

Chiesa di Hosios David, Tessalonica:

Descrizione architettonica: È una chiesa paleobizantina di fine V-inizio VI sec. di dimensioni piuttosto
contenute intitolata a San David Hosios, essa è situata nella parte alta della città su un pendio. Questa
chiesa fu convertita in moschea, come molti luoghi di culto cristiani, nel momento in cui Tessalonica divenne
ottomana; quando l’impero ottomano cadde la chiesa ritornò ad essere un luogo di culto per la religione
cristiana greco ortodossa, essa è tutt’ora una chiesa che viene utilizzata. Nel tempo questo edificio ha subito
grandi alterazioni; vediamo il confronto tra la pianta attuale e quella dell’edificio primitivo:

- a sinistra vediamo la pianta dell’edificio attuale


- a destra vediamo la pianta dell’edificio primitivo: per la prima volta ci troviamo di fronte a un
edificio religioso bizantino che ha delle caratteristiche diverse rispetto agli edifici paleocristiani
dell’Occidente in cui era diffusa la pianta basilicale, in realtà anche a Bisanzio tale pianta ha una sua
fortuna, ma non è questo il caso. Qui vediamo un edificio che una pianta centrale con croce greca
inscritta in un quadrato. La linea tratteggiata della pianta ci dice che ci sono 5 cupole al centro,
mentre nei bracci della croce ci sono 4 volte a botte (sono a botte perché non sono a crociata,
altrimenti ci sarebbe stata una X). Nell’edificio ci sono anche delle nicchie, delle porte e, nell’abside,
un finestrato che sembra una bifora. La zona presbiteriale è un po’ sollevata. Nella situazione
attuale è crollata la cupola.
*Ancora oggi l’architettura chiesastica bizantina è contraddistinta da pianta simile con: 1 cupola
centrale + 4 cupolette ai lati. Questo tipo di soluzione nasce intorno al IX sec. nella prima età
macedone e risponde anche alle esigenze per l’organizzazione della liturgia, infatti i 4 ambienti con
volte a botte erano utilizzati come ambienti di servizio (per riporre le tovaglie, etc.).

All’interno dell’edificio oggi vediamo pareti in pietra, ma nel V sec. le pietre non erano a vista; possiamo
ipotizzare che dal momento che fu scelto il media artistico più prezioso per l’abside, ossia il mosaico (che ci
è giunto quasi interamente), probabilmente le pareti in origine erano ricoperte di marmo. Si sono trovate
anche tracce di pittura risalenti al XII sec. Oggi si è perso 1/3 della chiesa e si deve entrare non più di fronte
ma lateralmente.
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Storia: L’intitolazione a san David (santo dell’antico testamento che compone i salmi) è moderna, infatti
risale al 1921, quando viene riconvertita al culto cristiano ortodosso. In un testo del IX sec. questo edificio ci
viene descritto come katholikon (=chiesa principale di un complesso monastico ortodosso) del monastero di
latomu (=delle cave di pietra), probabilmente perché accanto al monastero vi erano delle cave di pietra.
Probabilmente inizialmente la chiesa era intitolata al Cristo salvatore.
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Descrizione mosaico absidale: decorazione integra tranne una lacuna nella parte bassa e il bordo inferiore.

Il mosaico si sposa soprattutto con le superfici concave (cupole, cupole, absidi) ed è indicato quando si
vuole esaltare il fenomeno della rifrazione della luce.

Iconografia e iconologia: c’è un rapporto gerarchico tra le figure:

- Cristo: è protagonista del mosaico (infatti si trova al centro ed è il più grande di tutti). È all’interno di
una sfera di luce (*in questo caso NON è una mandorla ma una vera e propria sfera), circondato da
raggi luminosi. Il senso è proprio quello di una sfera di luce che evoca una teofania
(=apparizione/visione divina). Egli è seduto su un arcobaleno che gli fa da trono (*nelle sacre
scritture è scritto che l’altissimo si siede sull’arcobaleno: es. Isaia 6,1 “Il cielo è il mio trono, la terra
lo sgabello dei miei piedi”; es. Apocalisse 4,3 “Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a
diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono”). Con la mano destra
compie il gesto del saluto che deriva da salus che in latino significa salvezza; si tratta dunque del
Cristo salvatore, che ritorna alla fine dei tempi (2° venuta). Nella mano sinistra tiene un cartiglio che
presenta un’iscrizione in greco. La sfera di luce è trasparente e ciò ci permette di vedere
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completamente le figure dei tetramorfi che lo circondano. Cristo è vestito secondo la moda antica:
chitone rosso (tunica) + imation azzurro (mantello) + polsini + clavi (=bande d’oro che attraversano
la tunica). Il chitone lo ritroviamo nella statuaria classica greco-classica. Il rosso e il blu sono colori
che sono legati al potere regale e alla divinità (es. la vergine Maria è sempre rappresentata con
questi colori). Inoltre Cristo porta un’aureola crucisignata d’oro.
- Tetramorfo: Attorno al Cristo ci sono 4 figure con i vangeli (libri rossi), si tratta del tetramorfo (=i
simboli degli evangelisti). Leone-Marco, Aquila-Giovanni, Bue/Toro/Vitello-Luca, Angelo-Matteo.
Questo tipo di teofania composta dal Cristo in trono circondato dai tetramorfi è un’iconografia
chiamata *“maiestas domini” (=maestà del Signore), che trova un riscontro nelle Sacre Scritture. Le
ali degli evangelisti, che si vedono attraverso sfera luminosa, hanno degli occhi che rappresentano la
potenza di questi tetramorfi che vedono tutto. Aureola di Matteo con tessere d’argento.

*Maiestas domini=rappresentazione teofanica di Cristo in trono, reggente il libro o il rotolo nella mano
sinistra, la destra benedicente o sollevata con il palmo aperto in segno di annuncio, circondato da
un'aureola di luce e dal tetramorfo.

Fonti letterarie “Tetramorfo”:

- Ezechiele 1, 4-10 (fonte più antica): “Io guardavo ed ecco un uragano avanzare dal settentrione,
una grande nube e un turbinio di fuoco (...). al centro apparve la figura di 4 esseri animati (...).
Ognuno dei 4 aveva fattezze d’uomo; poi fattezze di leone a destra, fattezze di toro a sinistra e,
ognuno dei 4, fattezze d’aquila” Antico Testamento: non si parla quindi ancora di Evangelisti,
è solo successivamente che gli evangelisti vengono associati ai tetramorfi.
- Apocalisse di Giovanni 4, 6-8: “Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a
cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti
e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un
vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre
vola. E quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi;
giorno e notte non cessano di ripetere: Santo, Santo, Santo il signore Dio, l'onnipotente, colui
che era, che è e che viene!” Nuovo Testamento

- 2 santi: presentano tratti fisionomici del volto diversi e non hanno il nome riportato:
1. A sinistra: abbiamo un santo con toga e aureola d’oro profilata di rosso; il suo gesto delle mani
esprime sorpresa per la visione e deferenza al cospetto del divino, in più compie un inchino
come gesto di sottomissione e omaggio. Si pensa sia un padre dell’Antico Testamento perché
riporta i tratti tipici di un vegliardo (barba e capelli lunghi e grigi), ci sono 2 ipotesi:
a. Ezechiele: perché le iscrizioni e i soggetti (soprattutto il mare pescoso) del mosaico alludono
a scritti di questo profeta (es. Ezechiele 43, 2 “Ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva
dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque e la terra
risplendeva della sua gloria”; es. Ezechiele 47, 12 “Lungo il fiume, su una riva e sull’altra,
crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui fronde non appassiranno: i loro frutti non
cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro
frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina”).
b. Zaccaria: è il padre di Giovanni Battista, è un santo molto venerato, era sacerdote del tempio
ebraico
2. A destra: vi è un santo seduto su sorta di trono, ha un atteggiamento pensoso e meditativo, che
è collegato all’iscrizione del libro che esibisce. Diverse ipotesi sulla sua identità:
a. Pietro: perché i suoi tratti richiamano la figura dell’apostolo Pietro (età matura, capelli e
barba grigio-bianchi, barba di media lunghezza)
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b. Abacuc: perché è un profeta che scrive “ La maestà ricopre i cieli, delle sue lodi è piena la
terra, il suo splendore è come la luce”.
c. Giovanni: perché c’è riferimento all’Apocalisse e al tetramorfo

Paesaggio: Questa visione irrompe in un paesaggio naturale (*non abbiamo ambiente rarefatto con fondo
oro), apparentemente terrestre ma in realtà è sempre paradisiaco. Costituito da rocce tagliate a gradini
formula interessante che si trova a Ravenna più o meno nello stesso periodo (es. san Vitale, mausoleo Galla
Placidia). Caseggiati in lontananza. Cielo atmosferico con azzurro e cupole. Vegetazione simbolo di
abbondanza della terra. Vediamo che alla base della calotta absidale ci sono delle rocce attraversate da 4
fiumi, questo rappresenta la montagna del paradiso (di cui parla il secondo libro della Genesi) e i 4 fiumi del
paradiso (*l’esegetica ha individuato questi 4 fiumi sulla terra) che rappresentano la fede che irriga la Terra.
È rappresentato anche il mare con i pesci, simbolo di abbondanza delle acque. C’è poi un elemento
antropomorfo che è nell’acqua e ha i colori dell’acqua, egli è la personificazione delle acqua, una
derivazione dell’arte greca e dell’arte romana (*nel missorium di Madrid abbiamo visto personificazione
della terra L’arte cristiana, soprattutto bizantina, eredita dall’arte greca la tendenza alla personificazione
di entità naturali o astratte (virtù etc.)).
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Iscrizioni:

- Cartiglio del Cristo: “E si dirà in quel giorno: ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato perché ci
salvasse: questi è il signore in cui abbiamo sperato, rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”
(Isaia, 25, 9). È una profezia di Isaia (*Isaia profeta antico testamento).
- Libro del santo a destra: “Questa è la casa onorabilissima, fonte di vita che accoglie e nutre le
anime di coloro che credono”. Fa riferimento alla chiesa di Hosios David come casa fonte di vita che
accoglie e nutre anime dei fedeli.
- Iscrizione monumentale: “Questa è la casa onorabilissima, fonte di vita che accoglie e nure le
anime di coloro che credono1. Avendo promesso ho vinto, e vincendo ho pagato per intero2. Per la
benedizione di colei il cui nome è noto a Dio3”. È un’iscrizione realizzata con tessere d’argento su
sfondo rosso/porpora (*all’epoca esistevano dei codici con della porpora sopra o che erano tinti
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nella porpora che erano il supporto più sofisticato per la committenza imperiale e vescovile).
Questa iscrizione è volutamente criptica.
1. 1° frase: la abbiamo incontrata nel libro del personaggio di destra, e qui viene ripetuta.
2. 2° frase: allusione a Cristo che ha promesso la salvezza e ha vinto pagando con prezzo del suo
sacrificio.
3. 3° frase: fa riferimento alla committente che è una donna e che umilmente rende omaggio a
Cristo senza esibire il suo nome, il nome è noto solo a Dio. Non si sa chi è colei, ma vi è una
leggenda interessante fiorita intorno a questa committenza segreta in età medievale: secondo
un autore greco dell’XI-XII sec., un egumeno (=equivalente dell’abate, nel monastero greco-
ortodosso) che si chiamava Ignazio da Tessalonica, la committente del mosaico era Teodora,
figlia dell’imperatore non cristiano Massimiano, chiede al padre di costruire per lei uno
stabilimento termale in questo punto della città, ma, quando lei si converte al Cristianesimo,
chiede, di nascosto dal padre, a degli artisti di raffigurare questo mosaico, che inizialmente
raffigurava la Vergine che miracolosamente (1° miracolo) divenne Cristo. Il padre scopre che la
figlia è diventata cristiana e che venera questa immagine di cristo, Massimiano ordina di
bruciare la chiesa, ma grazie a uno strato di intonaco si salva (2° miracolo). Nel IX sec.
l’imperatore Leone V, finita l’iconoclastia, scopre, sotto uno strato di intonaco, il mosaico (3°
miracolo). Quest’ultimo probabilmente è un fatto vero, perché il mosaico in epoca iconoclasta
fu probabilmente coperto da uno strato di intonaco. Si intrecciano elementi storici e leggendari.
*La decorazione del bordo superiore del mosaico è a fondo rosso con gemme colorate alternate
a delle perle (*motivo diffuso nei mosaici absidali che non si trova soltanto in oriente ma anche
in occidente dall’epoca paleocristiana in poi).

*NB È la committenza che suggerisce l’apparato iconografico. È senz’altro un progetto elaborato dalla
committenza, non solo chi finanzia l’opera ma anche dalla cerchia attorno al committente che può essere
composta da eruditi e uomini di chiesa. C’è da dire però che a Bisanzio in un ambiente monastico a volte
l’artista è un monaco, e ci sono degli artisti monaci, soprattutto miniatori. Comunque per i mosaici non è
MAI un singolo artista, ma una squadra che comprende anche dei pittori, perché si inseriscono le tesere
solo dopo aver inserito intonaco e avere dipinto l’abbozzo anche con pennello. Qui ci sono tanti riferimenti
letterari perché c’è dietro un ragionamento, uno studio, d’altronde la posta in gioco è alta perché si
rappresenta l’invisibile, la trascendenza, non è come rappresentare un paesaggio che è pura imitazione
della natura.

Il concetto di iconostasi si sviluppa in età mediobizantina.

Teodosio II:

Ritorniamo a Costantinopoli e passiamo all’epoca di Teodosio II. Teodosio II regna dal 408 al 450 e a lui si
deve la più grande opera di fortificazione mai realizzata nell’impero bizantino, ossia le mura di
Costantinopoli.

Scultura di Teodosio II: con capelli ordinati, diadema che evidentemente ha perso delle paste vitree o pietre
preziose incastonate. Il naso è di restauro. Occhi molto grandi e pupille scavate con il trapano.
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Mura di Teodosio II, Costantinopoli: si tratta di una doppia cinta di mura che raggiunge 5,5 km. e si posiziona
a 1,5 km a ovest rispetto alle mura di Costantino. Le mura di Teodosio II furono restaurate anche in modo
piuttosto massiccio (*la teoria del restauro si deve a cesare brandi (XX sec.) che stabilì che si dovesse
restaurare rispettando l’integrità dell’opera; ma qui non si è rispettato molto tale principio, anche se le mura
mantengono comunque la loro facciata antica). Sono costellate da 96 torri merlate e spesso poligonali
(ottagonali o esagonali) e che sono sempre a 2 piani: la parte superiore aveva scopo militare, la parte
inferiore serviva da magazzino e stoccaggio sia di materiale bellico che di altro tipo. Dal lato interno queste
mura misurano 5 m di spessore, hanno 12 m di altezza, e nella parte esterna hanno 2 m di spessore. Tra
mura interne ed esterne passano circa 15 m di distanza. Esternamente c’era anche un profondo fossato.
Sono mura che per tanti secoli hanno reso Costantinopoli inviolabile, infatti la prima disfatta si registra solo
con la 4° crociata nel 1204. Con Teodosio II vengono costruite delle mura anche sui lati del mare, ma più
basse perché è la città difesa naturalmente dal mare. Lungo le mura di Teodosio II ci sono una serie di porte
antiche, di cui la più famosa è la porta aurea, che è quella più a sud della città e che si rivolge a Ovest. Altre
porte sono: la porta di Peghè/di Silivri, la porta di Belgrado, la porta di Carisio.
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San Giovanni di Studion, Costantinopoli, metà V sec:


Etimologia dell’intitolazione della chiesa:
- Teodoro: termine che proviene da San Teodoro Studita che era l’egumeno (=capo dei monaci,
equivalente dell’abate cattolico) del monastero di Studion in età successiva alla fondazione della
chiesa, ossia tra l’VIII e il IX sec.; qui è immortalato in un mosaico di XI sec. I suoi scritti (che si
occupano principalmente di contraddire gli iconoclasti) fanno parte della patristica greca.
- Studion: termine che proviene da colui che aveva finanziato la chiesa: il patrizio e console Studios,
che aveva promosso la costruzione di questa basilica a sud-ovest della città.
*NB L’imperatore nominava due consoli, uno d’occidente e uno d’oriente, che avevano in mano
l’amministrazione civile e militare della città.
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Descrizione: Si tratta di una chiesa a pianta basilicale a tre navate, pianta che esiste fin dall’origine
nell’oriente cristiano, è la pianta più comune in questo periodo (V-VI sec.) non solo a Costantinopoli ma
anche in Siria, in Palestina, in Giordania, etc. L’edificio non si è conservato del tutto, ma possiamo ancora
oggi vederlo. Anche qui troviamo un minareto, ossia un elemento appartenente all’architettura islamica, ed
è anche la prova del fatto che dopo la Conquista di Costantinopoli gli ottomani hanno trasformato questo
edificio di culto cristiano in moschea. La basilica mantiene in piedi uno dei due colonnati, composto da sette
colonne (NON di riuso ma fatte appositamente) di marmo verde di Tessaglia (marmo che ritroviamo anche a
Venezia) con un architrave rettilineo ancora in piedi; lo stesso colonnato c’era anche sull’altro lato. Si tratta
di una basilica a tre navate, con una navata centrale più ampia, con un ingresso in controfacciata
comunicante con un nartece (=portico a colonne o pilastri); è sicuro che oltre al nartece davanti ci fosse un
atrio, quindi uno spazio porticato aperto su 4 lati. Parte del nartece si è conservata. Interessanti sono la
muratura composta dall’alternarsi di mattoni e di pietra calcarea bianca e l’abside poligonale all’esterno e
semicircolare all’interno (soluzione per rafforzare la struttura) che appartiene alla fase primitiva di V sec. Il
nartece comunicava con due ambienti laterali mediante i quali si aveva accesso al 2° piano delle navate
laterali, infatti a San Giovanni in Studion aveva, sin dall’origine, le tribune, ossia un 2° piano, a destra e a
sinistra, in corrispondenza delle navate laterali. Le colonne esterne hanno un livello qualitativo
estremamente alto: hanno un capitello di origine corinzie, già evoluto, infatti le foglie di acanti appaiono
traforate (utilizzano il trapano a manovella). Questi capitelli corinzi evoluti li ritroviamo anche a Santa Sofia.
È una forma di astrazione dell’elemento naturale dell’acanto a vantaggio dell’ornamentazione. Mentre qui è
presente un apparato scultoreo, ad Hosios David era completamente assente, d’altronde qui abbiamo un
edificio di dimensioni maggiori che si trova nella capitale. Tale apparato scultoreo riprende la tradizione
ellenistica con architravi decorati con dentelli, ovuli, foglie, e viene anche introdotto il simbolo della croce. È
rimasta la porta centrale, che ha la cornice di marmo ancora piuttosto integra. Il pavimento in marmi
policromi è rimasto ma risale all’XI sec. In fondo non si comprende più l’assetto liturgico, ma sicuramente
c’era una gradinata a gradini concentrici (che ritroviamo in Santa Sofia a Costantinopoli e, per fare un
esempio a noi vicino, a Santa Maria dell’Assunta a Torcello), realizzata affinché il vescovo si potesse sedere
nel punto più alto, e gli altri ecclesiastici attorno a lui a semicerchio in punti più bassi; lo spazio presbiteriale
era sopraelevato ed è stata rinvenuta una cripta cruciforme sottostante (sotto il presbiterio).
Preziosissime sono le fonti figurative che ci danno un’idea dello stato conservativo rispetto quello attuale:
una foto storica ci mostra l’abside con le sue decorazioni in stile ottomano, probabilmente successiva
all’incendio del 1920; mentre un acquerello (non precisissimo) di Antonios Manarakis ci dà un’idea di come
poteva essere la chiesa quando era ancora frequentata come moschea, e ci mostra le tribune sopra le
navate laterali con le colonne in marmo verde di Tessaglia con i loro capitelli particolari. A partire dal ‘700, la
chiesa è colpita da una serie di spiacevoli vicissitudini, infatti nel 1776 un terremoto determina il crollo del
colonnato di destra, poi c’è un secondo terremoto nel 1824; nel 1908 crolla il tetto e nel 1920 c’è un
incendio.
Chiesa di Santa Sofia, Costantinopoli, V sec.:
La chiesa attuale è una ricostruzione del VI sec, anche se è stato Costantino a promuovere la sua
costruzione; gli scavi archeologici hanno messo in luce un edificio riconducibile piuttosto al V sec che non al
III sec., quindi a Costantino possiamo semmai attribuire l’iniziativa di fondarla. Ora parleremo di Santa Sofia
prima di Giustiniano, quindi prima del VI sec.
Nella pianta le linee riproducono la chiesa prima della sua ricostruzione sotto Giustiniano, quindi una
basilica a 5 navate, con abside esterno poligonale e atrio; mentre le linee tratteggiate ci mostrano com’è
adesso.
Della chiesa originale restano le tracce dei propilei (=“davanti alle porte”), ossia una struttura architettonica
monumentale composta da colonne e architravi, realizzati per nobilitare l’ingresso principale di mura di
cinta, di un tempio o di una chiesa; questi di Santa Sofia ricordano molto il kathisma dell’ippodromo, che
ritroviamo anche nel missorium di Teodosio I. Vediamo un frontone, che è un coronamento architettonico a
sviluppi orizzontali, di forma triangolare o arcuata, generalmente più largo che alto, composto da un
timpano con cornice modanata; in questo caso si parla di un frontone siriaco, dove la base non è orizzontale
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su tutta la lunghezza, ma presenta un arco al centro. Questa struttura, in epoca rinascimentale, verrà
chiamata serliana, dall’architetto Serlio.
Antistante all’attuale Basilica, possiamo vedere uno scavo archeologico della chiesa originale, che ci mostra
perfettamente conservata la scalinata in marmo e l’intercolumneo con dei blocchi di marmo di Proconneso
caduti a terra, oggi disposti nel giardino del Museo archeologico, che assomigliano molto a quelli già trovati
nella chiesa di San Giovanni.

Anicia Giuliana (462-528):


È la figlia dell’imperatore d’Occidente, Anicio Olibrio (che ha regnato solo nel 472), e di Placidia (nipote di
Galla Placidia, nonché figlia di Valentiniano III). Ella vive a Costantinopoli e risiedeva nel Grande Palazzo
reale, è una cristiana ed è una donna che si impegna sia nella promozione di edifici di culto, sia a favore
dell’indigenti (=bisognosi). Abbiamo un suo ritratto esposto al Metropolitan. A lei è legato il codice miniato
che segue:

CODEX VS VOLUMEN
È un antenato del nostro libro In antico era un rotolo
È un manoscritto composto da fogli di pergamena e
rilegati tra di loro

*NB la carta non esisteva ancora, all’epoca si utilizzava la pergamena, realizzata con la pelle trattata di certi
animali. Quelle più pregiate erano di feti o di animali appena nati, più sottile e bianca era la pagina più
pregiata era.

*NB i manoscritti sono sempre inventariati:


- ms. = manoscritto
- gr. = greco
- f.1v = ci troviamo di fronte al foglio 1 verso (d’avanti)
- f.1r = ci troviamo di fronte al foglio 1 recto (dietro)

Dioscoride di Vienna, Nationalbibliotek di Vienna

Etimologia del nome:


- Dioscoride: era un medico greco del I sec d.C., che aveva scritto un trattato scientifico, una sorta di
erbario di medicina, che in questo caso è stato ricopiato nel VI sec. e illustrato con miniature. La
destinataria, più che la committente, è Giuliana Anicia, che è rappresentata in una miniatura.
- Di Vienna: si trova nella Biblioteca Nazionale di Vienna. l’ex biblioteca dell’impero austro-ungarico.
Nel XVI sec si attesta che il manoscritto è ancora a Costantinopoli, ma nel ‘500 arriva nelle mani
dell’imperatore d’Austria Massimiliano II, che lo acquista e poi verrà ceduto alla biblioteca di
Vienna.

Descrizione: è un codice miniato di 431 fogli grandi 37 cm x 30 cm. Pagine che illustrano più di 400
illustrazioni (quasi una per pagina), che sono a piena pagina o vicino al testo.
F. 6v: vediamo la miniatura di Giuliana Anicia:
➔ Perché Giuliana Anicia è rappresentata e quale è il suo ruolo nel codice? Sembrerebbe che il codice
sia stato offerto a Giuliana Anicia dai cittadini di Costantinopoli per ringraziarla della sua attività
caritatevole e forse anche per aver costruito una chiesa. All’interno della miniatura è esaltata come
membro della famiglia imperiale. Il soggetto è inserito in un disegno (una sorta di nodo di
Salomone) che possiamo trovare tante volte nell’arte medievale occidentale e orientale, che
potrebbe avere un significato cosmogonico-magico perché è una sorta di stella a 8 punte all’interno
di un cerchio, di un ottagono. Questa treccia continua crea dei triangoli in porpora-rossi con una
scrittura d’oro e in ogni triangolo troviamo delle lettere, che formano il nome Giuliana, scritto per
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esaltare la sua dignità imperiale, infatti è scritto in porpora e lo si inserisce in una forma geometrica
che allude all’universo, grazie al cerchio e all’ottagono che rinviano alla perfezione del cosmo. Negli
spazi di risulta ci sono soggetti paganeggianti, come eroti/putti/cupidi (che ritroviamo nel
Missorium di Teodosio I), tratti dal repertorio antico. Il tutto è sottolineato da una linea di rosso
scarlatto, intorno alla cornice. Al centro viene rappresentata la Giuliana, seduta su di un trono con
braccioli che sembrano grifoni, ella è ammantata d’oro, con tunica azzurra e corona e scarpe di
porpora. Intorno, ci sono delle figure estremamente interessanti che rappresentano delle
personificazioni di Virtù (non sono figure storiche ma sono figure mitologiche, sono delle entità
astratte):
1. Figura femminile a destra (la nostra destra) c’è la Prudenza
2. Figura femminile a sinistra la Magnanimità
3. Sotto vi è un putto/infante nudo che tiene un libro rappresenta la Gratitudine delle arti:
infatti leggiamo che c’è scritto “Eucarestia tecnon” (Eucarestia=rendere grazie; tecnon=termine
generale per arti) le arti sono grate a Giuliana che ha finanziato artisti commissionando
opere d’arte
4. Figura femminile inginocchiata ai piedi della principessa (vicino al puttino) è l’Amante della
costruzione
*NB Conosciamo i vari soggetti grazie alle iscrizioni che possiamo ancora vedere.
La principessa poggia i piedi su una sorta di sgabello (“suppedaneum”), e davanti ci sono due canestri, che
probabilmente raffigurano le offerte che la magnanima Giuliana Anicia aveva raccolto per i poveri, infatti
sembrerebbe di distinguere del grano.
Le iscrizioni sono leggibili su due livelli: tramite una lettura ravvicinata che ci consente di capire i singoli
soggetti studiandoli e guardandoli attentamente, ma anche di impatto perché un lettore colto può cogliere il
significato di questi sfogliando semplicemente il manoscritto; questo perché anche senza le iscrizioni, si
percepisce che ci troviamo di fronte a un’imperatrice, grazie alla centralità, frontalità, la proskynesis, la
ricchezza delle vesti, i colori imperiali, l’oro, le ancelle che le sono accanto. Si tratta di un’immagine
onorifica, celebrativa, mentre le altre due sono di tipo narrativo, scientifico.

F. 4v: dove vediamo Dioscoride e la scoperta della mandragora. La mandragora è una radice che
curiosamente assume delle forme quasi dai tratti umani e quindi nel Medioevo è stato attribuito a questa
radice un potere magico; è attribuita a Dioscoride la scoperta della mandragora, che è un veleno, infatti qui
vediamo un cane morto dopo averla mangiato; accanto c’è Euresis, ossia la personificazione della scoperta.
È interessante che in un mondo bizantino cristianizzato emergano tradizioni antiche inerenti al paganesimo,
che alludono ad antiche personificazioni (come Euresis). Molto raffinata è la cornice con una sorta di spettro
irridescente che abbiamo trovato anche nel mosaico della Rotonda di San Giorgio, con i diversi colori a
scacchiera, un aspetto ornamentale di origine antica. Poi qualcuno ha decifrato i soggetti scrivendo a penna
nera nel foglio, probabilmente è la mano di qualcuno di moderno. I caratteri autentici sono quelli in bianco
su sfondo azzurro. Dal punto di vista figurativo siamo di fronte a un’arte tardo antica, non vediamo qui i
segni del processo astrattizzante che invece abbiamo colto nel mosaico della Rotonda di San Giorgio. Qui
abbiamo una tradizione, d’altra parte si tratta di una trascrizione di un testo più antico, quindi magari anche
le miniature riprendono i disegni antichi.
C’è un’altra miniatura che rappresenta Dioscoride a destra che sfoglia un codice, mentre a sinistra c’è un
miniatore che ha appuntato con dei chiodini su una tavola una pagina di pergamena e con un pennello sta
copiando la mandragora, tenuta in mano dalla personificazione femminile dell’Epinoia, ossia del pensiero o
dell’attenzione; sono rappresentati il cavalletto, i colori, i pennelli. Intorno viene realizzata un’architettura un
po’ fittizia, con una nicchia a conchiglia che inquadra la personificazione della mandragora.

Chiesa di San Polieucto, Costantinopoli, 524-527: fu commissionata da Giuliana Anicia. Oggi restano solo
delle evidenze murarie riscoperte negli anni 60 del XX sec.
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Etimologia: San Polieucto è un martire che secondo la sua Passio fu martirizzato a Militene (oggi città turca,
Imalatia).

Descrizione: Dagli studi condotti principalmente da Richard Harrison, è stata chiarita la questione
dell’originaria fisionomia di tale edificio. Harrison ha disegnato le piante dei resti da cui vediamo che si
trattava di edificio con una grande navata centrale (“naos”), in cui si trovava la solea (=una sorta di
passerella liturgica che consentiva al clero di attraversare la navata centrale) delimitata da plutei (=parapetti
marmorei). “Ambo” nella pianta indica che c’era un ambone (=struttura liturgica sopraelevata su cui si
posizionava il celebrante per le sacre letture). Erano presenti, inoltre, due navate laterali con delle tribune
(*ricorda San Giovanni in Studion); vi era anche il nartece. Il naos presenta delle arcate a emiciclo
sovrapposte (*fa pensare a San Vitale a Ravenna, d’altronde qui siamo qualche decennio prima di S. Vitale),
coronate da una cupola. Inoltre, tra cupola e arcate, c’era anche un grande timpano perforato da finestre. Si
è arrivati a questa ipotesi restitutiva grazie a degli studi sulle murature e sui resti dell’apparato decorativo
che hanno dimostrato che vengono seguiti degli elementi concavi. Tale chiesa si impone nello spazio
monumentale di Costantinopoli come precedente di Santa Sofia.
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La chiesa è crollata intorno all’anno 1000, e quindi già in epoca medievale viene abbandonata e spogliata
dei marmi che vengono riutilizzati sia dagli stessi bizantini in età macedone che, poi, dai latini che occupano
la città per un breve periodo, a seguito della 4° crociata. Ci sono molte informazioni, che ci sono giunte, sulla
ricchezza dell’apparato decorativo (tessere d’oro e d’argento etc.). La pianta si chiarisce grazie anche a una
restituzione policroma di Harrison, che è pur sempre sommaria perché si basa su uno studio archeologico,
ma che in parte è anche uno studio filologico, perché si basa su una fonte, che si trova nell’Antologia
Palatina, che descrive in modo poetico l’apparato decorativo di San Polieucto. Il color giallo dell’acquarello
evoca l’oro dei mosaici, mentre le pareti bianche sono un riferimento al rivestimento marmoreo. È stato
disegnato anche l’apparato liturgico (emiciclo absidale con gradini per seggio vescovile e clero). Vediamo
anche il cosiddetto templon (=antecedente dell’iconostasi), ossia una barriera liturgica (arricchita qui da un
colonnato e un architrave) che delimita lo spazio destinato esclusivamente al clero. È una chiesa
commissionata da Giuliana Anicia che è menzionata da un’inscrizione lungo le arcate che faceva riferimento
all’opera e alla magnanimità di Giuliana (*ricorda personificazione della Magnanimità di Giuliana nel
Dioscoride di Vienna). Tale iscrizione ci è pervenuta in modo frammentario, ma la abbiamo completa grazie
a delle fonti.
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Sono stati ritrovati dei frammenti marmorei (marmo di Proconneso) che presentano dettagli classici, come
l’apparente naturalezza dei dettagli vegetali; diciamo apparente perché il tutto si distribuisce con estrema
eleganza che supera l’armonia naturale per arrivare a un ordine ideale, che è quello divino. Vediamo anche
la scelta di far coincidere la ruota di un pavone con l’arcata, tra l’altro il pavone è legato alla trascendenza,
anche per gli oculi tra le piume della coda che vengono fin dall’antico associati a una potenza
soprannaturale che tutto vede, un po’ come il tetramorfo. L’elemento della vite invece è espressione di
chiesa vivificante, di Eden. I buchini che vediamo sono stati fatti con il trapano, che serviva a fare dei fori che
creassero dei gradevoli effetti di chiaro-scuro. Ci sono pervenuti pezzi delle arcate e blocchi di pilastri. I
cavatori hanno creato un doppio piano: un piano aggettante con le foglie e un piano soprastante in cui la
superficie era lasciata quasi scabra.
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I cosiddetti pilastri acritani di San Marco che la tradizione vuole che vengano da San Giovanni d’Acri (in
Palestina), in realtà, come è emerso negli anni ’60, provengono dalla chiesa di San Polieucto a
Costantinopoli. Vediamo che questi pilastri presentano superfici estremamente decorate (che catturavano la
luce in modo diverso da oggi, perché oggi sono esterni ma in origine erano interne); il bianco cristallino del
marmo di Proconneso riflette moltissimo la luce. Vediamo nei capitelli il lavoro certosino fatto con il trapano
che serviva a esaltare la luce. Anche sui pilastri il tema più frequente è quello della vigna, che scaturisce da
dei vasi antichi chiamati “cantari”. Si tratta di elementi classici (es. ricordo del capitello corinzio nella parte
soprastante) ma il tutto è fortemente stilizzato; c’è quindi un processo di astrazione per cui prevale
l’elemento ornamentale. Ci sono anche dei monogrammi (alcuni decifrati e altri no) relativi al contesto
imperiale costantinopolitano. Va aggiunto che ci furono degli apporti di artisti persiani-sasanidi (la Persia nel
V sec. era già regno Sasanide (attuale Iran)), ne sono esempio i motivi poliformi e soprattutto i capitelli.
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A san Marco ci sono anche dei capitelli che derivano da San Polieucto, con cui possiamo istituire un
confronto con un capitello della medesima chiesa che è conservato al Museo Archeologico di Istanbul, da
cui osserviamo che sono identici, per cui entrambi derivano da San Polieucto. Vediamo qui raffigurata una
sorta di albero della vita/albero paradisiaco, estremamente stilizzato e simmetrico, che è un ornamento
della tradizione dell’arte sasanide non solo in scultura ma anche in stoffe etc.

San Poieucto aveva al suo interno anche elementi marmorei con paste vitree (azzurre) e pietre preziose
come le ametiste (viola). Gli incavi consentono di affermare che tutto questo pilastrino fosse ricoperto di
pietre preziose e paste vitree. Ci sono anche elementi in marmi policromi (porfido, marmo verde di
Tessaglia, etc.). Ma si sono trovati anche elementi in madreperla, in avorio, etc.
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Rinvenuto un blocco con palma fruttifera con datteri e motivi sasanidi fi fiori cuneiformi, elemento di
dimensioni enormi che corrisponde più o meno alle dimensioni dell’elemento superiore dei pilastri acritani
a Venezia.
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Vediamo un confronto tra 3 elementi provenienti dal fregio interno di san Polieucto, che hanno luoghi di
conservazione significativi: presentano tutti e 3 lo stesso motivo decorativo e ciò attesta che provengono da
San Polieucto. Si trovano:

1. Chiesa di Cristo Pantocratore: riutilizzato come ornamento


2. Castello Sforzesco: probabilmente preso da un collezionista e poi in qualche modo è entrato nella
collezione del castello sforzesco
3. In situ

Fonte: Leggiamo il brano di un epigramma che è stato trascritto nell’Antologia Palatina (=raccolta di versi
bizantini, tramandati per iscritto, che erano a volte presentati in spazi fisici, come in questo caso) da cui
leggiamo l’iscrizione che si trovava all’interno di San Polieucto:

“Come s’eleva su fondamenta profondamente radicate, balzando dal suolo e inseguendo gli astri del cielo!
[parla dello slancio architettonico verticale della chiesa di San Polieucto] Come si va estendendo da oriente
ad occidente, sfavillando qua e là sui fianchi, agli indicibili bagliori di Fetonte [evoca Fetonte, il dio del
fuoco]. Sui due lati della navata mediana colonne erette su colonne [doppio registro di colonne] incrollabili
sostengono i raggi di una cupola dal soffitto dorato [mosaico d’oro], mentre a destra e a sinistra nicchie che
s’aprono a volta, generano un lume, sempre mobile, di luna [allusione alle due possibilità di creare luce
ll’interno dell’edificio: luce argentea-luce lunare, luce oro-luce solare, questo per dire che vi erano anche
part d’argento]. I muri dirimpetto nei loro percorsi infiniti si fasciano con prati divini di minerali [pietre
preziose come ametiste che evocano un prato fiorito paradisiaco], che la natura ha fatto fiorire negli abissi
della roccia e di cui celava lo splendore, serbandoli alla dimora di Dio come dono di Giuliana, perché ella
portasse a termine l’opera portentosa, spinta a questa farica dai puri impulsi del cuore. Quale cantore di
sapienza muovendo il rapido passo verso i soffi di Zefiro, con l’ausilio di cento occhi [rifeimento ai pavoni
esibiti nelle conche], coglierà da ambi i lati le multiformi creazioni d'arte, vedendo brillare l'edificio,
tutt’intorno, un piano sull'altro, dove si può vedere gran meraviglia anche di sacre pitture [soggetti cristiani]
sulla volta dell’atrio: come il saggio Costantino fuggendo gli idoli spense l’empio furore e trovò la luce della
Trinità purificando le membra nell'acqua. Tale è l'opera che Giuliana, dopo innumerevoli sciame di prove
[viene sottolineata la fatica di concepire e realizzare un’opera del genere nel VI sec.], portò a termine per
l’anima dei propri genitori, per la propria vita, per le generazioni future e presenti [allusione all’opera come
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ex voto: Anicia finanzia l’opera, che richiede delle fatiche, per l’anima dei suoi genitori, per la propria vita e
per la comunità dei cristiani]”.

➔ Anicia ha commissionato tale chiesa e nel progetto era compresa la celebrazione della bellezza della
chiesa e della magnanimità della committente. È stato chiesto dunque a poeta di corte di comporre
un componimento poetico che esaltasse in eterno, scolpito nel marmo, la bellezza del monumento
e la missione portata a termine dalla committente. Leggendo l’epigramma dell’Antologia Palatina
(anche chiamata Antologia greca) ci troviamo di fronte a un’ekphrasis (=componimento
letterario/poetico che descrive la bellezza di un’opera d’arte), che è una tradizione antica.

Giustiniano (527-565):

Giustiniano si impone per la propria abilità politica e le strategie militari che consentono all’Impero Romano
d’Oriente di riconquistare ampie parti dell’impero d’Occidente (nella penisola italica, in quella iberica e
nell’africa settentrionale); infatti, sotto il suo regno l’impero bizantino raggiunge la sua massima estensione.
Giustiniano riforma anche il corpus delle leggi romane (Corpus iuris civilis) e si interessa anche alla
committenza di opere artistiche, che sono da interpretare come propaganda imperiale. Qui lo vediamo
ritratto in un mosaico nella chiesa di San Vitale a Ravenna, un ritratto a lui contemporaneo.
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Santa Sofia, VI sec.:

Storia: Santa Sofia è l’elemento più rappresentativo dell’età giustinianea, nonché massima espressione
dell’arte e dell’architettura bizantina, dato che non ha eguali e fu apprezzata anche dagli occidentali (sia in
età medievale che successivamente). È una chiesa che viene ricostruita ex novo sulle ceneri di una chiesa
precedente che andò bruciata durante la rivolta di Nika. Sedata la rivolta di Nika, l’imperatore Giustiniano
invita Isidoro di Mileto e Antemio di Tralles (che erano 2 architetti, matematici e astronomi che venivano
dalla Kariaan, ossia una regione della costa occidentale della Turchia) per concepire la nuova Santa Sofia.

Rivolta di Nika (532):

A gennaio del 532 si verificano delle sommosse a Costantinopoli che nascono all’interno dell’ippodromo:

Cause:

1. Sono in parte alimentate dalle tifoserie per le squadre rivali a cui appartenevano i cocchieri (es.
ci è nota la forte rivalità storica tra la squadra dei verdi e quella degli azzurri); anche i senatori e
l’imperatore stesso appoggiavano le squadre che prediligevano, di conseguenza, dietro tali
tifoserie, si celavano anche risentimenti politici.
2. Problemi economici: sia i cittadini costantinopolitani che i contadini delle zone limitrofe
partecipano a questi scontri per ribellarsi al fisco che imponeva tasse sempre più pressanti.

Il biografo di Giustiniano (Procopio di Cesarea) racconta che c’è una rivolta contro Giustiniano che porta
alla nomina di un usurpatore dell’imperatore che viene nominato dal popolo: Ipazio, figlio di Anastasio
(un imperatore di poco precedente); Giustiniano pensa di fuggire ma la moglie Teodora si rifiuta di
fuggire in esilio e quindi si negozia una pace che comporta comunque la soppressione sanguinosa di 30
mila civili. Durante le rivolte vengono appiccati numerosi incendi in luoghi pubblici, tra cui l’Augustaion,
l’ippodromo e la Santa Sofia (di V sec.)
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Nel corso dei secoli Santa Sofia ha subito delle modifiche, dovute principalmente alla sua trasformazione in
moschea con l’arrivo degli Ottomani. Dopo la caduta dell’impero ottomano (dopo la WWI) venne istituito lo
stato laico della Turchia e quindi Santa Sofia divenne ente museale, in cui comunque rimasero le insegne
della moschea. Nell’estate 2020 Santa Sofia è tornata a essere moschea e quindi oggetto di ridecorazione,
anche se il governo turco non ha eliminato i mosaici, ma o li ha lasciati a vista (in caso non interferissero con
il culto musulmano) o li ha coperti con delle tende.
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Descrizione architettonica:

➔ La pianta: nell’immagine sottostante vediamo a sinistra la pianta della Santa Sofia precedente a
Giustiniano (in cui la parte tratteggiata segna però la pianta giustinianea, per permetterci un
confronto), mentre a destra si trova invece la pianta giustinianea della Santa Sofia, in cui le parti
tratteggiate segnano le volte (se sono a X indicano volte a crociera, se c’è una curva è una volta a
botte, se c’è una circonferenza è una cupola, se è una semicirconferenza è un’abside o una
semicupola). Ci sono elementi di continuità con la pianta della chiesa di San Polieucto ma anche
aspetti unici di Santa Sofia. La pianta è rettangolare con 3 navate e termina con un’abside che
esternamente è poligonale e ricalca quello della chiesa precedente. Il naos è sormontato da una
cupola e le ali laterali hanno due piani (il 2° piano presenta delle tribune con possenti colonne con
capitelli). Sono inoltre presenti un atrio di ingresso (=struttura semiaperta con 4 portici ai lati), un
nartece doppio (quindi si parla di esonartece per la parte interna e di endonartece per la parte
esterna) e delle esedre/emicicli (2 ai lati dell’abside e 2 ai lati d’ingresso). Quello che colpisce nella
pianta sono i 4 pilastri angolari imponenti su cui pesa tutta la struttura (cupola, semicupole, pareti
diaframma tra naos e navate laterali, etc.); essi misurano 25 m (lunghezza) x 15 m.
Si tratta di un edificio molto grande ma non più grande delle basiliche costantinopolitane a Roma
(es. San Pietro e San Giovanni in Laterano). La pianta misura 70 m x 77 m. L’altezza è uno dei motivi
per cui Santa Sofia non ha equali, infatti l’altezza massima che qui si tocca è di circa 56 m. Questa
altezza suggerisce uno spazio illimitato, infatti, secondo l’estetica bizantina l’interno di una chiesa
deve riprodurre una sorta di raggio luminoso proveniente dal divino che consista in una proiezione
sulla terra dello spazio della trascendenza, ossia uno spazio paradisiaco che non ha limiti perché
esiste al di fuori dello spazio e del tempo fisico. Obiettivo raggiunto non solo grazie alla vastità del
naos di Santa Sofia, ma anche grazie all’esaltazione della luce che proviene dalla decorazione
musiva dorata e dalla luce (solare che entra dalle finestre e artificiale che deriva dalle lampade ad
olio). Questa magnificenza era fatta anche per impressionare gli analfabeti, ossia coloro che non
avevano gli strumenti per comprendere il messaggio evangelico. Dobbiamo pensare che all’epoca
spettacoli del genere erano molto rari, se non unici. L’esperienza estetica come quella di entrare in
Santa Sofia magari capitava una volta nella vita, soprattutto se venivano da luoghi lontani. Al tempo
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entrare in Santa Sofia colpiva tutti i sensi: l’udito era colpito dai canti, l’olfatto dall’incenso
(=assimilato al profumo del paradiso), la vista per lo spettacolo eccezionale di questi spazi
sterminati. Una partecipazione totale al rito.

Vediamo la sezione (=lo spaccato di un edificio, che può essere longitudinale o trasversale)
longitudinale di Santa Sofia da cui evinciamo che a differenza di un tetto semplice qui abbiamo un
sistema di volte, c’è qui tutta la tradizione dell’edilizia romana, ma che qui è evoluta. I romani
sapevano fare le cupole es. pantheon. Fu una committenza di Giustiniano ma comunque fu
coinvolto anche il patriarca di Costantinopoli perché è una chiesa che afferisce al patriarcato (non è
all’interno del palazzo imperiale). Ricordiamoci del precedente di San Polieucto, edificio con cupola
già presente a Costantinopoli. Qui vediamo un sistema gerarchico e quasi a cascata di una cupola
centrale alta che è spalleggiata da due semicupole che vediamo a destra e a sinistra, la cupola
poggia sui pilastri, il pilastro riceve la spinta dalla semicupola, all’interno delle semicupole si aprono
le absidi delle esedre/emicicli. Le pareti diaframma sono forate (da qui il nome che hanno, perché
sono più i vuoti che i pieni). Un edificio con pilastri così solidi potrebbe anche non avere questa
parete. Il timpano qui è uno spazio semicricolare forato da finestre sotto la cupola. Decorazione
domina oro e marmi scolpiti. Tutte queste aperture disorientavano l’osservatore che non aveva la
percezione del limite dello spazio. Le due semicupole presentano a loro volta due semicupole.
Accanto alle cupole ci sono delle volte a botte, dove da una parte tale volta a botte termina con il
bema (=zona presbiteriale/abside).
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Vediamo la pianta trasversale di Santa Sofia: da cui vediamo le navate laterali con tribune al piano
superiore.

L’edificio di Santa Sofia non aveva funzione di cappella palatina ma aveva comunque funzione di
palazzo, perché era solito ospitare i membri della famiglia imperiale a partire da Giustiniano (fino al
1453). Giustiniano e sua moglie Teodora sedevano al piano superiore e verosimilmente sulla
sinistra, da cui osservavano le funzioni dall’alto. Sappiamo di altri sovrani che sedevano al secondo
piano: es. Carlo Magno nella cappella palatina di Aquisgrana; Ruggero II normanno cappella
palatina in Sicilia. Era dunque una tradizione dell’epoca.
➔ Fonte: la fonte più importante è un componimento poetico di Paolo Silenziario (520-575) intitolata
“La descrizione di Santa Sofia” di 1130 versi in esametro (=metro greco per eccellenza). Egli era
dunque il Silenziario di corte (=ufficiale di corte incaricato, durante il tardo impero, di far rispettare
l’ordine e il silenzio durante le cerimonie presiedute dall’imperatore) ma era anche un poeta; fu
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infatti Giustiniano a chiedergli di comporre un poema che esaltasse Santa Sofia. Paolo Silenziario
fece quindi una vera e propria ekphrasis, che presenta quindi formule retoriche, perifrasi, etc.
➔ La cupola: Si voleva rappresentare in terra lo spazio paradisiaco che era pensato come una sfera,
infatti in epoca bizantina spesso ci sono dei riferimenti alla cupola come “volta del cielo”. La cupola
di Santa Sofia presenta 40 costoloni, quindi non è liscia ma ha delle nervature. Inoltre, ha 40
finestre alla base che formano una sorta di corona di luce. La cupola è di 31 m ma non è quella del
537, perché nel 557 ca. la cupola crolla. Perché? Perché Costantinopoli è zona sismica e
probabilmente, dato che i lavori per la costruzione di Santa Sofia sono andati talmente di fretta
(solo 5 anni), le malte non avevano fatto presa all’interno dei pilastri. Comunque, la cupola che si
vede è comunque giustinianea: è infatti databile a qualche decennio dopo la prima, ma fu costruita
con un raggio un po’ più piccolo e una forma un po’ più bombata. Silenziario descrive la cupola così:
“Sotto l’ornamento aggettante, un’alzata di marmo ha modellato un cammino circolare
angustamente delimitato, dove l’addetto alle luci, intrepido, fa il giro e accende i sacri lumi.
Sollevandosi al di sopra nello spazio infinito, un elmo si avvolge da ogni parte come una sfera e,
come un cielo luminoso, protegge la copertura della dimora. Sulla sommità della cima l’artista
disegno la croce custode della città. [...] Nel centro del cerchio, l’immagine della croce è dipinta con
tessere minute, affinché il Salvatore dell’universo intero salvi il tempio e lo custodisca per sempre”.
Quindi al centro di questa grande cupola al tempo di Giustiniano vi era una grande croce a mosaico,
che nel IX sec. fu sostituita dal busto di Cristo (post-iconoclastia). Paolo Silenziario descrive la croce
al centro della cupola: “Nel centro del cerchio, l’immagine della croce è dipinta con tessere minute,
affinché il Salvatore dell’universo intero salvi il tempio e lo custodisca per sempre”. Al centro della
cupola oggi si trova un’iscrizione araba che contiene una preghiera ad Allah, si tratta di un’iscrizione
in calligrafia, ossia in bella scrittura, quindi ha doppia funzione:
1. Funzione di preghiera
2. Funzione estetica.

➔ Decorazione: si divide in due parti:


1. oro in concomitanza delle cupole, delle volte e dei tratti superiori delle pareti riflette una
luce aurea che richiama la divinità
2. marmi policromi nella parte inferiore i marmi traforati esaltano la luce creando contrasti di
chiaro-scuro
Perché non si fa tutto a mosaico? Principalmente perché siccome il mosaico è composto da
tessere di vetro con foglie d’oro che erano dunque molto fragili, si doveva evitare che venisse
danneggiato in casi di urti di qualcuno, per evitare ciò si decide dunque di mettere il marmo nella
parte bassa, che è molto più resistente. Altro motivo è che il mosaico a fondo oro cattura la luce
ancora di più se è su superfici concave.
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Il giallo che vediamo però oggi non è più oro perché sono passati secoli e alcune parti si sono
danneggiate da sé e in altri casi sono stati eliminati durante l’impero ottomano perché non
combaciavano con la religione musulmana. La parte gialla è quindi oggi dovuta a un intonaco di
fattura ottomana di diverse edizioni, che sicuramente vuole richiamare la superficie aurea
perduta. Molto del materiale per decorare Santa Sofia è originario, ossia è del VI sec., anche se i
mosaici hanno subito modifiche e integrazioni già. È impossibile non notare le somiglianze tra
Santa Sofia e San Marco di Venezia, perché quest’ultima prende Santa Sofia come modello.

Il programma iconografico del tempo di Giustiniano era completamente aniconico (come croci,
motivi geometrici, ed esaltazione delle venature marmoree che creano quasi delle figure). Perché
Giustiniano in un’epoca in cui non ci sono scontri sulle immagini, come poi sarà con l’iconoclastia,
sceglie un importante programma figurativo a San Vitale a Ravenna, ma qui lo sceglie aniconico? Si
tratta di una scelta legata al fatto che una parte della chiesa preferiva non rischiare di essere
sottoposta a critiche per colpa della raffigurazione di Cristo in forma umana. Il dibattito che
riguardava quale artista potesse davvero sentirsi autorizzato a rappresentare l’immagine di Cristo,
e quale fosse il vero ritratto di Cristo, c’è sempre stato, sin dagli albori della storia della chiesa. Qui,
inoltre, su questi dibattiti, incide anche il monofisismo, abbracciato forse da Teodora.

Monofisismo:

corrente teologica del Cristianesimo, particolarmente diffusa tra V e VI sec., in alcune regioni dell’impero
bizantino, soprattutto in Siria e in Egitto. Contestando il concilio di Calcedonia (451) che aveva
riconosciuto in Cristo la coesistenza di due nature (umana e divina) in una sola persona, i monofisisti
attribuivano a Cristo una sola natura (derivante dall’unione indissolubile della divinità e dell’umanità) e
una sola persona. È proprio il monofisismo che alimenta molto dell’aniconismo dell’arte bizantina di
questi secoli.

Vediamo dunque quali sono questi soggetti aniconici:


a. La croce è il simbolo più ricorrente in Santa Sofia e sintetizza la natura umana e divina di Cristo:
divina perché è d’oro ed è quindi una croce del trionfo del martirio; umana perché è lo
strumento del martirio che ricorda l’esperienza di dio sulla terra. *NB le croci non sono state
necessariamente eliminate in epoca di dominazione islamica, ma piuttosto camuffate, infatti in
alcuni casi traspare la croce sottostante all’intonaco.
b. Nell’incrocio delle volte a crociera vi è il monogramma iesus cristus che include anche la croce
(si trova anche a San Vitale a Ravenna)
c. Vigne nei sottarchi

Altre parti del mosaico dell’età di Giustiniano sono stati riscoperti nel corso dell’800 quando i fratelli Fossati
furono chiamati dal sultano per restaurare Santa Sofia. Fortunatamente ci sono giunti primi i loro disegni,
schizzi e cromolitografie che ci riportano alcune parti del mosaico bizantino. *Restauri veri e propri ci sono
stati quando Istanbul diventò città dello Stato Turco e Santa Sofia divenne museo (porte aperte a studiosi e
restauratori).
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➔ I Marmi: Marmi magistralmente disposti per conferire effetto ornamentale alle superfici. Quando ci
sono delle simmetrie queste si chiamano specchiature: artificio umano che permetteva di
evidenziare le venature del marmo mettendo le lastre in modo artistico. Es. blocco diviso in più
lastre che poi creano disegni artistici con le venature. Come si ottengono specchiature marmoree:
dal blocco di marmo si creano più lastre che presentano la stessa venatura, poi queste si
dispongono ad arte creando degli oggetti di simmetria e specularità. Silenziario elenca varietà
incredibile di marmi. Durante la decorazione di Santa Sofia l’impero era all’apogeo, vengono
prelevati marmi da tantissimi luoghi, che ci sono in parte, e pur sempre in modo poetico, grazie a
Paolo Silenziario (*gli specialisti hanno studiato anche queste cave di provenienza). Es. di marmi:
marmo proconneso, marmo iazio, marmo pavonazzetto. Es. blocco diviso in più lastre che poi
creano disegni artistici con le venature. Paolo Silenziario era consapevole di questo arteficio umano
atto a evidenziare le venature del marmo. Marmi che quasi formano una figura. Paolo Silenziario
scrive a riguardo: “Sulla parete di marmo levigato risplendono ovunque disegni artisticamente
variati: li produssero le gole del Proconneso circondato dal mare. La connessione dei marmi
finemente tagliati somiglia alla pittura: qui, infatti, su lastre quadrate e ottagonali, vedrai le
venature riunite in un decoro: connesse in tal modo le lastre imitano la bellezza di immagini
viventi”. La connessione dei marmi somiglia alla pittura: le venature divengono disegno dal
momento in cui si utilizza il principio della simmetria. È un mondo che deriva dalla creazione divina
naturale ma è anche esaltato dall’artificio dell’uomo, infatti un concetto tipico dell’arte medievale e
bizantina è che l’arte serva a esaltare la bellezza che è già presente nel creato, perché tutto è creato
da Dio. Questo discorso dei marmi vale ancora di più a Santa Sofia perché qui si decide, prima del IX
sec., di mettere solo decorazioni aniconiche.

Ci sono anche marmi lavorati a traforo come mai prima era stato fatto, es. i capitelli ellenistici di età
giustinianea sono come cesti di vimini che portano all’estremo l’astrazione dell’acanto con netti
chiari-scuri. Il processo di astrazione (iniziato già nel V sec.) coinvolge qui anche l’architrave
soprastante: abbiamo un registro ornamentale esornativo che va a detrimento della visibilità
dell’elemento strutturale, non si capisce dove finisce capitello e inizia architrave soprastante. Questi
capitelli sono ionici e corinzi allo stesso tempo: volute tipiche dei capitelli ionici, e acanto/fogliame
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tipico dei capitelli corinzi (*NB non è che c’è un’involuzione dal punto di vista del sapere artistico,
perché i laboratori giustinianei dominano perfettamente l’arte della scultura). Nei capitelli si trovano
i monogrammi dei nomi di Giustiniano e di Teodora. Ci sono anche dei capitelli fusi insieme: due
colonne abbinate con un unico capitello, che svolgono anche la funzione di imposta (il capitello è
più piatto e l’imposta superiore occupa uno spazio maggiore).

Erano presenti anche delle colonne di porfido (*il porfido era utilizzato sia per imperatori che per
Cristo, in questo caso utilizzato per casa di Cristo, luogo paradisiaco).

➔ Arredo liturgico: non ci è pervenuto ma fortunatamente abbiamo molte fonti storiche del VI sec.
che ci permettono di ricostruire graficamente l’arredo liturgico di Santa Sofia nel Vi sec. Da cui
evinciamo che si strutturava nel seguente modo:
a. Il bema era recintato da una barriera che prende il nome di templon (antenato dell’iconostasi)
ossia una barriera liturgica che separa il bema dal resto del naos, costituita da una recinzione
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bassa composta da plutei (=lastre marmoree) incastrate a pilastrini, talvolta sormontata da un


architrave sorretto da colonnine (*solo nelle chiese più importanti, è il caso di Santa Sofia) tra
cui inizialmente si trovavano dei tendaggi ma dall’XI sec. in poi, questi spazi vuoti tra le colonne,
saranno riempi con un numero variabile di icone, per questo verrà chiamata “iconostasi”.
b. Nel bema vi era un synthronon [:siutronon=trono comune] ossia una serie di banchi sovrapposti
di forma semicircolare e raggio degradante dall’alto verso il basso, generalmente rivestiti in
marmo, disposti lungo l’emiciclo dell’abside, utilizzati dai membri del clero per le funzioni
liturgiche. Il posto più alto e centrale era destinato al vescovo (o al patriarca nel caso di Santa
Sofia e di altre chiese particolari) e spesso occupato dalla cattedra. Paolo Silenziario lo descrive
così: “La conca di mezzo recinge i seggi dei sacerdoti e i gradini ricurvi; ed essa, serrando la loro
fila inferiore, li riporta più vicino al centro, al livello del suolo. I gradini salendo, aumentano a
poco a poco il loro raggio fino ai seggi d’argento, e, a mano a mano che crescono i cerchi,
descrivono curve sempre più aperte”. Un esempio a noi vicino di synthronon è a Torcello.
c. Vi era un ciborio d’altare ossia un’edicola (in marmo, pietra, stucco o metallo) posta a
protezione dell’altare.
d. C’era anche un ambone, ossia una struttura in marmo composta da una piattaforma
sopraelevata, provvista di un parapetto e accessibile tramite scale, utilizzata dal celebrante per
la lettura del vangelo o delle omelie. Una passerella delimitata da dei plutei collegava il bema
all’ambone. Inoltre, l’ambone aveva due scale (*che spesso si trovano in amboni tardo antichi):
una per andare verso l’altare e l’altra per comunicare con il naos, perché a volte il celebrante
attraversava il naos. Sopra coronavano l’ambone delle croci e delle lampade ad olio di metallo
d’orato o argentato.
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➔ L’illuminazione artificiale: nella parte alta dell’edificio vi è un corridoio delimitato da una balaustra
di bronzo (perfettamente conservata) che serviva per raggiungere le manopole che permettevano di
allungare e accorciare le catene dei lampadari, affinché si abbassassero (e poi si rialzassero) per
accendervi le lampade a olio che servivano per le cerimonie notturne. Paolo Silenziario scrive: “E
infatti l’accorta saggezza dei miei sovrani fece distendere collegate da innumerevoli ganci
spiraliformi, lunghe attorte catene di bronzo che cadono dall’aggettante bordo di marmo, sul cui
dorso l’altero tempio poggia la base della sua cupola. Le catene scivolando, dovunque, dalla fascia
gigantesca, insieme precipitano verso terra; ma, prima di raggiungere il pavimento, ad una certa
altezza, frenano il loro cammino e formano un coro uguale. A ciascuna catena l’artista attaccò dischi
d’argento sospesi nell’aria a mo’ di corona, intorno ai confini circolari dello spazio centrale; così,
discendendo dal loro alto cammino, spuntano un cerchio sopra la testa degli uomini. Un artista
molto esperto traforò tutti i dischi con il ferro, affinché ricevano steli di vetro forgiato al fuoco e vasi
di luce notturna siano sospesi sopra gli uomini”. Si trattava dunque di dischi traforati con vuoti
circolari all’interno dei quali vi erano vasetti di vetro che contenevano le lampade a olio. Anche oggi
ci sono questi i vasetti di vetro ma sono elettrificati, anche se a differenza dei candelabri oggi
presenti in Santa Sofia, quelli bizantini erano dei veri e propri dischi metallici. Questo tipo di
candelari si chiamava polycandelon (=più candele). Abbiamo un esempio di polycandelon del VI sec.
che proviene dal Museo di Antalia (sulla costa della Turchia), da cui vediamo come a ogni foro
corrisponde un lume.
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*NB le moschee di XV sec. imiteranno la pianta di Santa Sofia e basilicale.

Icona dei Sant i Sergio e Bacco, Kiev, Museo d’arte Khanenko, VI sec.: i santi Sergio e Bacco sono due santi
martiri dell’Impero Romano, che erano venerati insieme perché erano compagni di esercito che furono
martirizzati in Siria; inoltre, la Siria in antico era chiamata Sergiopoli, proprio per San Sergio. vediamo qui
un’icona antica dei santi Sergio e Bacco che probabilmente si trovava in origine nel monastero di Santa
Caterina del Sinai, ma che oggi si trova al museo di Kiev (Ucraina). Vediamo che i due santi sono
rappresentati come fratelli (aspetto simile), come soldati (con clamide) e come santi (con aureole).

Chiesa dei Santi Sergio e Bacco, Costantinopoli, 527-536:

Storia: l’edificio è commissionato da Giustiniano e Teodora nel 527 (*prima della rivolta di Nika) in un punto
della città di proprietà privata dell’imperatore, ove sorgeva il palazzo del Bukoleion (=termine che deriva
probabilmente dal fatto che il palazzo presentava due animali nell’ingresso: un bue e un leone) anche
chiamato Palazzo di Ornisda (=un principe persiano che si rifugiò a Costantinopoli al tempo di Costantino e
qui fece edificare il suo palazzo). L’edificio è oggi ben conservato ma se ne è persa la decorazione musiva
che decorava gli interni. Anche questa chiesa fu convertita in moschea (*si vedono minareto e pinnacolo al
sommo della cupola). *NB le moschee di XV sec. imiteranno la pianta di Santa Sofia e basilicale.
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Pianta: La pianta un po’ irregolare ma probabilmente ciò è dovuto ai dislivelli del terreno. Notiamo che,
come santa Sofia, anche la chiesa di San Sergio e Bacco obbedisce è un edificio a doppio involucro. Si tratta
di un edificio con pianta centrale, con una cupola che è sorretta da 8 pilastri e il tutto è circondato da un
perimetro quadrangolare. L’abside è poligonale esternamente (come san Giovanni in Studoin e a Santa
Sofia), vi è un nartece che precede l’ingresso all’edificio. Il nucleo centrale è delimitato da strutture che
costituiscono un ottagono (8 numero sacro?) regolare e anche qui, come a Santa Sofia, troviamo le
esedre/emicicli con colonnati, sia nel piano inferiore che in quello superiore. La cupola complessa è detta “a
ombrello” perché è costituita da 16 spicchi (numero doppio all’ottagono sottostante) piatti e curvi. La
struttura architettonica è completamente del VI sec. Ci sono marmi che risalgono alla fase giustinianea (es.
colonne) mentre dei mosaici non c’è più traccia. La pianta è armonica perché vi è sempre idea di creare uno
spazio che invia alla trascendenza/armonia celeste/perfezione del cosmo (*i principi della santa Sofia li
ritroviamo anche qui ma in scala minore). Sicuramente vi erano mosaici a fondo oro. La campata che dà
sull’abside è diversa rispetto agli altri lati dell’ottagono perché questa era più importante. Grandi arcate
sorrette dai pilastri, che ospitano pareti a diaframma, rette da arcate della parte superiore e da un
architrave rettilineo con colonne sottostanti nella parte inferiore.
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Decorazione: l’intonaco è moderno e di gusto ottomano. Sono presenti diverse varietà di marmi per le
colonne, es. marmo verde di Tessaglia. Capitelli traforati (*scultura a giorno) che forse sono della stessa
bottega di quelli di santa Sofia, o comunque sono molto simili. Croci, monogramma iesus cristus che include
anche la croce come a Santa Sofia, e altri motivi geometrici. Qui troviamo delle lastre sotto l’architrave.
Cornici di sapore classicheggiante ma comunque obbediscono al linguaggio formale tardo antico, per cui la
foglia c’è ma è estremamente stilizzata, piegata a un’esigenza puramente ornamentale. Il marmo
giustinianeo era stato poi ricoperto con policromia posteriore, poi tolta. Capitelli con monogrammi di
Teodora e Giustiniano come a Santa Sofia. Capitello-imposta come a Santa Sofia.
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Iscrizione: si è conservata un’iscrizione in greco scolpita a rilievo nel marmo e che percorre a metà altezza il
naos. Essa dice: “Altri sovrani hanno onorato esseri morali, le cui opere sono state inutili, ma il nostro
sovrano Giustiniano, per incoraggiare la fede, con un superbo edificio rende omaggio a Sergio, servo di Dio,
creatore dell’universo, lui (Sergio) che né le fiamme, né la spada, né le altre torture hanno potuto
sconfiggere, e il cui amore per Dio ha soverchiato la morte e meritato la dimora celeste attraverso il sangue
versato. Possa egli in tutte le situazioni proteggere l’impero del sovrano dall’occhio vigile e accrescere il
potere di Teodora, incoronata da Dio, colei la cui fede fa risplendere lo spirito e la cui pena appare
infaticabile nello sforzo di nutrire gli indigenti”. cita Teodora che si è adoperata a vantaggio degli
indigenti/poveri (*spesso alle figure femminili dell’impero spetta questo compito), inoltre l’iscrizione attesta
il culto di San Sergio e Bacco, e ci dà il nome del committente.

San Vitale, Ravenna, 547 ca.:

Edificio a pianta centrale con cupola, edificio a doppio involucro, con nucleo centrale in qualche modo
indipendente dal perimetro. Ha due ambienti laterali, nonché un nartece non in asse con abside. Doppio
registro di colonne al piano terra e al piano superiore. Tribuna tutta intorno. Legame con edifici giustinianei
di Costantinopoli. Raffigurazione di Teodora e Giustiniano.
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Il Monte Sinai:

il Sinai si trova in Medio Oriente, è una sorta di penisola triangolare, perché “recentemente” è stata solcata
dal canale di Suez, ma in origine era poco accessibile. Era comunque una montagna frequentata da
pellegrini ed eremiti perché da tempi immemorabili è associata alla presenza divina. Qui Mosè ricevette le
tavole della legge e calpestò il roveto ardente. Questa penisola ha una montagna che prende il suo nome
che è il monte Sinai.
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Monastero di Santa Caterina, Monte Sinai, VI sec.:

Storia: Vediamo monastero cristiano di Santa Caterina che sorge nel IV sec. d.C. sul monte Sinai per volere di
Giustiniano. Sicuramente in precedenza in loco vi era già un luogo di culto. Il monastero di Santa Caterina
sembra una sorta di cittadella fortificata, e si trova su quello che tradizionalmente considerato il punto in cui
Mosè calpestò il roveto ardente. NON è una chiesa trasformata in moschea, ma è una chiesa ancora
funzionante. Serie di sovrastrutture, decorazioni e arredo cristiano ortodosso, che ci impedisce di vedere,
entrando, bene l’abside.

Decorazione musiva: Abside con icone abbastanza recenti, dietro all’iconostasi possiamo osservare il
mosaico iconico dell’età di Giustiniano. Scelta iconografica attestata anche in Italia meridionale: cattedrale
di Napoli nel VI sec. qualche decennio dopo questo. È lo stesso tema che troviamo nell’abside di
Sant’Apollinare in classe, ossia il tema della trasfigurazione, un episodio narrato dai vangeli. Siamo sempre
in anni Giustiniani, anche se un po’ dopo Santa Sofia e San Vitale. Riflettiamo sulla complessità, per un
cantiere musivo, di arrivare in cima al monte Sinai. Maestri, mosaicisti, e pittori bizantini forse arrivavano da
Costantinopoli, o comunque da un centro di produzione importante. Cosa si decora di una chiesa a mosaici
quando non si hanno tempo e mezzi per decorarla tutta? Si decora l’abside e la parete absidale (lo stesso lo
vediamo a Roma, o a Sant’Apollinare a Ravenna, quest’ultimo non ha mai avuto mosaico lungo le navate).
Nulla di strano per questa scelta decorativa. Marmi che esaltano il disegno delle venature come a Santa
Sofia. Il soggetto principale è quello del catino absidale, ossia la trasfigurazione (=Cristo si fa accompagnare
da appostili Pietro, Giacomo e giovani su una montagna, che la tradizione vuole sia il monte Tabor della
Palestina. Gli apostoli accecati da un bagliore, si voltano e vedono che Cristo emana luce, le sue vesti
diventano bianche e appaiono in cielo due profeti: Mosè ed Elia). Probabilmente fu scelto questo tema
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perché ci troviamo su un’altura che geograficamente avvicina l’uomo a Dio. Mosè è a dx e Elia a sx. La scena
si tratta di una visione: Cristo è uomo e dio contemporaneamente. Cristo è raffigurato in una mandorla di
luce, con la mano benedicente, mentre dei raggi di luce dietro di lui sono trasparenti (*utilizzate tessere
d’argento). Cristo è al centro ovviamente. Qui il tema è storico: si estrae dalla narrazione dei vangeli, ed è
reso in un modo emblematico, perché qui abbiamo l’esibizione della doppia natura del Cristo. Il paesaggio
naturale sparisce (mentre a san Apollinare in classe abbiamo giardino). Mantiene un qualcosa di fisico
perché terreno verde alla base MA rarefatto. I gesti degli apostoli rappresentano lo sconvolgimento.
Personaggi riconoscibili dalle iscrizioni onomastiche. Le parole del vangelo si concludono con la frase di
Pietro che dice “Maestro che bello trovarsi qui, costruiamo una tenda per te, una Mosè e una per Elia”
c’è un’antica tradizione di pellegrinaggio in quelle che sono le ipotetiche 3 tende dalla trasfigurazione, ma in
realtà questa era una visione, quindi Mosè ed Elia non erano in carne e ossa, non potevano avere delle
tende. I personaggi sono rappresentati nella loro tridimensionalità, un’anatomia che in qualche modo
fuoriesce dallo sfondo. I profeti sembrano ancora delle statue. Però c’è la scelta che va in senso opposto
dello sfondo oro. I 3 personaggi sembrano fluttuare nel vuoto: rapporto figura-spazio incoerente
coesistenza della componente astrattizzante e di quella naturalistica. Mosaico restaurato da restauratori
dell’Istituto centrale del restauro italiano. Tessere d’oro volutamente disposte in senso diagonale perché
questo allettamento ne esalta la rifrazione della luce. Elia e Mosè con barba e capelli lunghi e manto di
pelliccia (*come il Battista veniva rappresentato, in quanto Battista personaggio cerniera tra i due
testamenti e santo eremita). Catino absidale circondato da serie di medaglioni di santi, vescovi e dello
stesso imperatore. Es. Paolo riprodotto secondo tradizione ritrattistica. Nella parete absidale vediamo una
raffigurazione musiva simmetrica. Vediamo due arcangeli con insegne del potere celeste (che sono anche
quelle imperiali terrestri) scettro (che è più una croce alta) e globo, sostituiscono le vittorie alate classiche.
Al centro agnus dei (=cristo divino sacrificato sull’altare, trionfo di cristo attraverso martirio). Negli angoli c
sono 2 medaglioni con Giovanni Battista e la Vergine Maria. Nelle ali degli arcangeli piume del pavone. La
sfera dell’universo rappresenta l’universo cristianizzato perché ha una croce. Nella parte superiore vediamo
una finestra bifora con intorno una decorazione monumentale. Vediamo a sinistra nella parte alta Mosè e il
roveto ardente. Dio lo invita ad attraversarlo senza timore senza sandali, e non si brucia. Questo roveto
ardente è rappresentato anche a San Vitale a Ravenna. Nella parte destra vediamo Mosè che riceve le
tavole della legge (Esodo 20, 2-17). Tavole che poi saranno inserite nell’arca dell’alleanza che poi sarà
portata nel tempio di Gerusalemme. L’iscrizione che vediamo richiama il roseto ardente e la consegna
tavole.
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Il monastero del Sinai importante anche perché custodisce collezione importante di icone antiche. I
monasteri si dotavano di molte icone perché gli stessi monaci dipingevano le icone, oltre che i manoscritti.
Le icone di solito sono di Cristo e della Vergine su un supporto ligneo mobile. La particolarità del nucleo più
antico conservato a Santa Caterina nel Sinai, è che sono state eseguite a encausto (=bruciare) in cui i
pigmenti sono distesi a pennello con la cera come legante. I colori sono per questo pastosi e brillanti e
restituiscono un volto realistico. Pittura a encausto (=dal greco “in brucio”; antica tecnica facente uso di
pigmenti stemperati nella cera liquida distesi a caldo sul supporto) tecnica nota a greci e romani perché ne
parla Plinio, poi dall’VIII-XIX sec. scopare Rimane confinata all’antichità e tarda antichità; più volte si è
tentato di recuperare la ricetta ma se ne è persa la memoria.

Icona di Pietro, Santa Caterina, Sinai, VI-VII sec.: Icona di Pietro con tipica iconografia, ma qui quasi un
ritratto vero. Ritratto a mezzobusto che riprende tradizione antica. Ritratto che consentiva al fedele di avere
un dialogo a tu per tu col santo, era come se il santo attraverso il ritratto si mostrasse in carne e ossa. Pietro
porta nella mano destra le chiavi del Paradiso, suo tipico attributo. Ha anche la croce a stile del martirio,
simbolo di vittoria, conquistata con il prezzo della vita. Scenario di gusto tardoantico, architettura
classicheggiante. Inserisce il personaggio in una sorta di quinta di teatro. Sopra ci sono 3 medaglioni. Misura
93 cm x 53 ed è con la tecnica dell’encausto, per questo la pittura è ben salda e corposa. I 3 medaglioni
riportano: Cristo al centro, a destra Vergine, e a sx c’è chi dice sia Giovanni Evangelista, chi giovane Mosè,
altri dicono Demetrio. Non si sa chi sia precisamente perché non c’è iscrizione. Questi medaglioni lasciano
intendere che questi 3 personaggi appartengono a un’altra dimensione, che appartiene alla trascendenza,
ma partecipano comunque al mostrarsi di Pietro, ma da una sorta di finestra circolare. Aureola che assorbe
quella intorno al volto, il Cristo non ha l’aureola, ma lo è la finestra, che diviene quindi una sorta di nimbo.
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Il precedente immediato delle icone del Sinai sono dei ritratti su tavola noti come “ritratti del Fayyum” che si
trovano in Egitto inserite sulle mummie, ma riprendono una tradizione romana (*Egitto romanizzato nel II
sec. d.C.).
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Icona della Vergine con bambino, monastero di Santa Caterina, Sinai, VI sec.: Vergine con tratti davvero
corporei, purtroppo volto rovinato. Tradizione ellenistica con labbra carnose della Vergine, posizione
apparentemente naturale e un po’ di 3/4 che sottolinea il realismo, bambino con testa rotonda, bambino
che ha un suo peso.

Icona della Vergine con Bambino in trono tra angeli e santi, Monastero di Santa Caterina, Sinai, VI-VII sec. :
Kitzinger dice che qui ci sono 2 diversi stili perché abbiamo in primo piano la Vergine con bambino in trono
e i santi che hanno una resa più realistica rispetto ai due angeli retrostanti, che sono diafani, e quasi di
scorcio, e sembrerebbe di vedere la mano di un altro artista, invece Kitzinger spiega che l’opera è unitaria.
Qui abbiamo due versioni stilistiche perché ci sono 2 finalità: i personaggi in primo piano sono delle figure
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iconiche che intercettano lo sguardo del fedele, il fedele si rivolge a tu per tu con i santi per consegnare loro
le proprie preghiere; mentre, nello spazio retrostante, abbiamo due esseri angelici che guardano la mano
destra del signore (dextera domini), Dio verrà rappresentato solo in età tarda (ad eccezione delle scene
della Creazione dove è rappresentato come Cristo). Dio in genere non è rappresentato completamente, ma
solo mediante la sua mano. I due santi sono Giorgio e Teodoro, due santi soldati martiri talvolta raffigurati a
cavallo e avvolte in piedi. Teodoro a sinistra e Giorgio a destra. Hanno della corte imperiale (tablion).

Icona di Cristo, Monastero di Santa Caterina, Sinai, VI-VII sec.: icona più antica del Cristo (dopo quella del
Vaticano a Roma ma di cui non rimane che quasi un’ombra); è un volto studiatissimo, ci sono leggere
asimmetrie che servono a renderli più credibile, volto risultato di una riflessione e vari tentativi per
avvicinarsi a un più possibile che era accetta come vera fisionomia del cristo, ma non da tutti. Un cristo
particolare, di tipo semitico: capelli lunghi, barba semilunghi, leggere asimmetrie, sguardo intenso. Dipinta
su encausto.
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Confronto con un ritratto di Cristo del VI-VII sec. nella catacomba di Ponziano a Roma dove qualcuno ha
dipinto con pittura lo stesso volto. Dal Sinai a Roma, da Costantinopoli a ad altri versanti dell’impero
cristiano, circolava questa iconografia del Cristo tra VI-VII sec. (barba che tende a nostra destra, canna
nasale lunga, leggera asimmetria dei grandi occhi, mano atteggiata nello stesso modo, scollo della veste
simile, libro atteggiato allo stesso modo). Questo confronto attesta l’aderenza a un prototipo (=una prima
versione più antica miracolosamente tramandata e miracolosamente prodotta, infatti fiorirono leggende
che parlavano della trasmissione miracolosa del volto del Cristo sulla terra prima che egli compia il suo
sacrificio) per un fatto religioso: non ci si poteva discostare dal modello perché all’artista spettava di
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replicare il vero volto di Cristo. Una di queste icone, forse musiva, era issata sopra la porta del palazzo
imperiale di Costantinopoli, e la rimozione di questa icona segna l’inizio dell’iconoclastia nel 726.

Icona, Monastero di Santa Caterina, Monte Sinai, tempera su tavola, 940 ca.: qui è rappresentata la
leggenda del Mandylion, e più precisamente il re Abgar con il mandylion, vediamo qui il messo che riporta
l’immagine del volto di Cristo.

La leggenda del Mandylon (=in greco significa panno/fazzoletto): il re Abgar (re di Edessa) contemporaneo al
Cristo, chiese al Cristo un suo ritratto perché si era ammalato e voleva una sorta di icona in casa per
rivolgere le sue preghiere. Allora il Cristo si asciugò il volto su di un panno, su cui lasciò l’impronta, e lo
avrebbe, tramite il messo, consegnato al re Abgar. Questa immagine coincide con il prototipo (=il vero
ritratto) del volto di Cristo, secondo la tradizione bizantina. Inoltre, di conseguenza il mandylon entra a far
parte dell’iconografia bizantina grazie all’esibizione di un panno con il volto del Cristo diviene tradizione
bizantina dal VII al XX sec., cioè la prassi di portare in battaglia il vessillo di Cristo, che svolgeva funzione
protettiva per tutto l’esercito e l’impero. Interessante anche questa funzione duplice che ha l’icona: l’icona
serviva ad uso privato (custodita in casa) oppure essere usata a scopo collettivo (es. portata a protezione
dell’esercito, o issate sulle porte delle città richiama una prassi antica dell’idolo che protegge la città: la
Pallade Atena che veniva posta dai greci a protezione delle città).
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Per legittimare ulteriormente la rappresentazione del volto di Cristo, come quello della vergine Maria,
fioriscono delle leggende; oltre a quella del mandylion ce n’è una anche della Vergine con il bambino in
braccio: iconografia della ogititria: si tratta di una vergine con bambino, di ¾, con cristo che benedice e si
rivolge verso la madre. Si chiama odiditria perché il prototipo di questa icona si conservava nel monastero
degli Odigoi (=”le guide”) a Costantinopoli. Leggenda vuole che sia stato l’evangelista luca a fare il ritratto
alla vergine con il suo bambino.
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Le icone del Sinai di VI-VII sec. mostrano un prodotto artistico che serve ad alimentare la fede popolare. Una
fede che si basa su un dialogo diretto tra colui che prega e la trascendenza per il tramite del personaggio
celeste (che può essere Cristo, la Vergine, o dei santi). Kitzinger scrive “Culto delle immagini” in cui spiega
che questo fenomeno raggiunge il vertice nel VII sec., ossia prima dello scoppio dell’iconoclastia che è una
reazione all’eccesso del culto delle immagini: queste icone vengono venerate con pratiche considerate dai
teologi eccessive, vicine all’idolatria (=adorazione dell’immagine come in antico si faceva con le statue delle
divinità), perché queste icone venivano omaggiate attraverso baci, carezze, inchini, ci si parlava per chiedere
un aiuto. Erano pratiche religiose mescolate a fenomeni di superstizione.

La proliferazione delle icone nel VII sec. è un fenomeno ben documentato: le icone sono prodotte nei
monasteri, che per questa produzione ricavano ingenti guadagni dato che le icone erano venerate da un
numero sempre maggiore di fedeli. I monasteri divennero una “minaccia” per le autorità ecclesiastiche, che
si vedono contendere questi flussi di fedeli con le loro offerte che si indirizzano sempre più verso monasteri
o santuari. Le icone non sono solo su supporti lignei (quindi icone mobili), ci sono anche icone di più piccolo
formato e di altri materiali (es. avorio), ma ci sono anche testimonianze di immagini iconiche dipinte nelle
chiese. Vediamo es. di immagini iconiche nella chiesa di San Demetrio a Salonicco.

Chiesa di San Demetrio, Tessalonica/Salonicco, VI-VII sec.: grande chiesa a pianta basilicale. Presenta una
muratura per lo più moderna perché è stata vittima dell’incendio del 1917, in cui si persero molte
decorazioni interne ma non completamente; fu poi restaurata.

San Demetrio era santo martire martirizzato a Sirnio, il suo corpo nel V sec. viene portato a Salonicco, ove
fiorisce un culto legato a questo santo, il cui centro si trova in questa chiesa.

È rimasto un mosaico con immagine iconica di San Demetrio rappresentato bidimensionalmente come in
un’icona su legno. Notiamo posizione del mosaico: non è sulle superfici più importanti, perché? Perché non
vi era più spazio: il resto delle superfici era già occupato da tante altre immagini musive: a San Demtrio
infatti non c’è un’unica regia, ogni donatore stanzia una somma da solo o associandosi ad altri e promuove
la realizzazione di un mosaico o di un pannello. Qui vediamo san Demetrio soldato, per questo ha la
clamide. Le mani e l’aureola d’oro esaltano la sacralità del personaggio. I donatori sono qui rappresentati e
sono di giovane età, ma forse i veri committenti erano i genitori di questi ragazzi, che hanno commissionato
l’opera per proteggere i loro figli, affinchè San Demtrio intercedesse per la loro famiglia. Si chiamano
immagini votivi, offerte in ex voto. Sembrerebbe che il chierico, il personaggio più adulto, stia
accompagnando il giovane da San Demetrio. San Demetrio è un’immagine iconica, guarda l’osservatore,
funziona anche per la collettività ma è promossa da un singolo. Sulla sinistra c’erano altre figure ma sono
andate perdute.
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Dentro San Demetrio vi erano molte altre immagini iconiche: es. un pannello in cui abbiamo la rara
raffigurazione di bambini (nella società medievale contavano poco i bambini), qui ci sono stati genitori che
hanno finanziato l’opera probabilmente per proteggere i loro figli. Il santo ha la mano su uno di loro. Sono
sicuramente figli di una famiglia aristocratica. L’altra mano del santo è atteggiata in preghiera, è un gesto
che indica l’intercessione. Santi che si interpongono come intermediari tra il fedele e dio. Il santo guarda il
fedele, accoglie la preghiera e la indirizza con la mano verso l’alto, verso dio. Questo santo non è
riconosciuto, ma probabilmente è Giorgio per l’iconografia.

C’era anche San Sergio: una curiosità è che alcuni santi martiri portano al collo una catena chiamata
Maniakion, che è una catena d’oro con gemme portata al collo dalle guardie imperiali come distintivo di alto
rango.
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L’iconoclastia è una reazione all’eccesso delle pratiche cultuali legate alle icone, eccesso visto come una
minaccia da parte di alcune istituzioni della chiesa (sono tanti monasteri che si arricchiscono attraverso le
offerte continue dei fedeli), ci sono anche dei discorsi che non riguardano solo conflitti di poteri economici,
ma anche motivi teologici: c’è chi continua a preferire la rappresentazione di Cristo attraverso la croce
perché continua a pensare che sia impossibile rappresentare il vero volto di Cristo, della Vergine e dei santi.
Ci sono quindi questioni teologiche, sociali-politiche. Anche l’imperatore a un certo punto sposa questa tesi
iconoclasta perché anche l’imperatore era soggetto a un culto delle proprie immagini. Quindi l’imperatore
all’inizio dell’VIII sec. inizia a vedere con sospetto questo eccesso di culto nei confronti del ritratto del Cristo,
e non del proprio. Immagine del cristo che era stata addirittura posta sulla porta del palazzo imperiale.

Iconoclasti è un movimento che consiste nella condanna e quindi nella distruzione o nell’occultazione delle
immagini che rappresentano la figura umana del Cristo, della vergine, dei santi, ma più in generale soggetti
antropomorfi all’interno di spazi sacri. Il movimento iconoclasta ha due momenti di prevalenza sul
movimento iconodulo (anche se poi prevarrà alla fine quest’ultimo):

- 730-787 1° ondata
- 815-843 2° ondata

L’imperatore che si lascia convincere della necessità di vietare l’esibizione dell’immagine del Cristo, della
Vergine e dei Santi è l’imperatore Leone III l’Isaurico (=veniva dall’Isaura, una piccola regione della Turchia)
e suo figlio Costantino V.

Nel mediterraneo sono solo 3 le religioni monoteiste: Ebraismo, Cristianesimo e Islam. L’Islam mantiene la
linea aniconica in fatto di rappresentazione del Sacro, e questo è un argomento importante per capire le
cause dell’iconoclastia e dei movimenti aniconici dei secoli precedenti. Anche l’ebraismo sceglie espressioni
aniconiche all’interno delle sinagoghe. Nei popoli del Mediterraneo c’è dunque una certa riluttanza a
rappresentare il sacro.

Leone III promuove un’azione che segna lo scoppio dell’iconoclastia: nel 726 distruzione dell’icona di cristo
esposta sopra l’ingresso monumentale (porta della Chalkè) del Gran Palazzo di Costantinopoli.
Conseguenza: sconcerto tra gli uomini di fede. L’immagini che si trovava qui probabilmente era identica a
quella del Sinai. Nel 730 Leone III e Costantino V promulgano un editto iconoclasta con cui vietano la
rappresentazione di Cristo, Vergine e Santi, e distruzione delle icone preesistenti. Questo provoca guerre
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civili, scontri, morti. NON è un passaggio indolore. È anche interessante la reazione dei papi occidentali che
prendono una posizione e inviano lettere cercando di intermediare. Si crea anche una prima spaccatura tra
chiesa Occidentale e Orientale (scisma nel 1054). Nel 753 Costantino V indice il Concilio di Hieria (città
dell’Anatolia) per condannare la venerazione delle sacre immagini. Qui sono convocati tutti i vescovi che
discuto quali sono i motivi dottrinali che portano a questa soluzione. La dottrina iconoclasta del Concilio di
Hieria (753) è estratta dagli atti del 2° concilio di Nicea (787) che commenta quelli del primo concilio, ne
vediamo alcuni punti:

- “Se qualcuno cerca di circoscrivere con colori materiali in effigi umane l’incircoscritta essenza e
esistenza di Dio, per il fatto che si è incarnato, e non riconosce invece come Dio, Lui che anche dopo
l’incarnazione resta non di meno incircoscritto: anatema (=sia condannato)” *l’essenza di Dio è
incircoscrivibile, non si può con colori materiali sminuire l’essenza divina

Abbiamo testimonianza dell’arte iconoclasta? Sì, non sono tantissime ma ci restano delle opere iconoclaste,
ovviamente, gli iconoclasti selezionano dei simboli che esprimono la divinità e anche l’umanità di Dio. Il
simbolo per eccellenza è la croce.

Chiesa di Sant’Irene, Costantinopoli, VI-VIII sec.: chiesa fondata da Costantino, sorge vicino a Santa Sofia, fu
incendiata durante la rivolta di Nika, fu ricostruita da Giustiniano con una cupola minore. È l’unica chiesa di
Costantinopoli che conserva l’atrio paleobizantino. In parte distrutta nell’VIII sec. a causa di un terremoto e
quindi in parte ricostruita. Sant’Irene eretta in onore della pace (mentre Santa Sofia in onore della
Sapienza). Riprende in parte Santa Sofia: grandi timpani, pareti diaframma forati da finestre, cupola, c’è
però cupola intermedia tra nartece e naos. Oggi è utilizzata come sala di concerti, quindi non chiesa e non
moschea. Si è conservato bene il sytronon e il mosaico absidale. Il mosaico absidale presenta una croce in
uno spazio paradisiaco: fondo oro. Croce simbolo del trionfo ed evocazione del martirio, nonché simbolo
delle due nature del Cristo. Vi è un’iscrizione musiva che corre attorno all’abside, è un salmo di David
(Antico testamento) 64, 6-7: “Con i prodigi della tua giustizia, tu ci rispondi, o Dio, nostra salvezza, speranza
dei confini della terra e dei mari lontani. Tu rendi saldi i monti con la tua forza, cinto di potenza”.
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Gullu Dere (Cappadocia), chiesa n° 5, IX sec.: pittura rupestre (=su roccia) con croci di diversi colori. Roccia
tenera scavata sin dall’antichità in epoca bizantina, e qui sin dall’antico trovano rifugio monaci, che
allestiscono i Cappadocia moltissimi monasteri. Non si contano, nella Cappadocia, le chiese; ancora oggi ne
vengono scoperte di nuove. Alcune di queste pitture sono attribuite all’epoca iconoclasta: motivi geometrici,
floreali e grandi croci. Vediamo l’abside della chiesa di Grullu Dere: croce su delle stelle, quindi croce che si
staglia al centro dell’universo.
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Nel 787 Irene indice, insieme a suo figlio Costantino VI, il 2° Concilio di Nicea (VII Concilio ecumenico
chiamato ecumenico perché riuniva i rappresentanti di tutta la chiesa cristiana, quindi anche gli occidentali).
L’imperatore era il figlio, che era di minore età, quindi intercede la madre Irene. Nell’ambito del 2° concilio
di Nicea si stabiliscono le ragioni per cui è possibile rappresentare con i mezzi artistici il volto di Cristo, della
Vergine e dei Santi. Si stabilisce non solo perché lo si può fare, ma anche perché è utile farlo. Il 2° concilio di
Nicea è fondamentale come precedente per il Concilio di Trento in cui saranno in parte ripresi questi temi. Il
secondo Concilio di Nicea (787) afferma la necessità di venerare le immagini sacre e le sacre reliquie.
Afferma inoltre, che la devozione non è rivolta all’immagine o alla reliquia in sé, bensì, attraverso di esse,
alla persona che rappresentano (Cristo, la Vergine, i santi). Oggi Nicea si chiama Izinik.

Ci sono delle raffigurazioni artistiche di epoca tarda (XVII sec.) che raffigurano il Concilio di Nicea. Leggiamo
dei decreti che si stabiliscono nel secondo concilio di Nicea:

- “... Noi definiamo con ogni precisione e diligenza che, accanto all’immagine della preziosa e
vivificante croce, le sante e venerabili icone, fatte di colori, di pietre preziose o di altro materiale
adatto, vengano innalzate nelle sante chiese di Dio e applicate sui sacri vasi e paramenti, su muri e
tavole, nelle case e nelle strade; che siano icone del Signore, Dio e salvatore nostro Gesù Cristo e
dell’immacolata Signora nostra, santa Madre di Dio, di tutti i santi e degli uomini venerabili”.
- “Quanto più di continuo, infatti, [i soggetti sacri] vengono visti attraverso le rappresentazioni
iconiche, tanto più coloro ce le guardano vengono innalzati al ricordo e all’ardente desiderio dei
prototipi (...). L’onore tributato all’icona, infatti, passa al suo modello (cit. tratta da San Basilio)”.
l’immagine è un veicolo di fede per il fedele, è un canale di comunicazione tra il fedele e la
trascendenza. La citazione di San Basilio significa che se io prego l’immagine la mia preghiera arriva
al Cristo, alla Vergine, al Santo rappresentato.

Le immagini bizantine che a volte sembrano ripetitive, sono fedeli ai prototipi per motivi dottrinali, ma
l’artista ha la possibilità di esprimere il proprio talento attraverso le modalità tecniche-esecutive e attraverso
piccole varianti.
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C’è l’arte iconoclasta ma c’è anche traccia di questi “cambi di rotta”: dall’immagine iconica, all’introduzione
della croce, al ritorno del culto delle immagini. Es. la chiesa della Dormizione (=morte della Vergine) è una
chiesa che custodisce la memoria del passaggio dell’iconoclastia.

Mosaico absidale della chiesa della Dormizione, Nicea, VI-IX sec.: il mosaico absidale fu realizzato nel Vi sec.
poi modificato in epoca iconoclasta, e poi ripristinato nel IX sec. tutto questo si vede solo attraverso
fotografie perché la chiesa fu devastata da un incendio all’inizio del ‘900. L’abside rappresentava spazio
paradisiaco con banda del terreno e oro del cielo, dei raggi di luce con la mano di Dio e un’iscrizione che fa
riferimento al dogma dell’incarnazione: “Generato nel suo ventre fecondo”, e sotto abbiamo Vergine con
bambino. L’abside è preceduta da una volta a botte con trono dell’etimasia al centro e due coppie di
arcangeli ai lati: gli arcangeli sono vestiti come imperatori perché esibiscono forza militare, fungono qui da
guardiani del tempio e della rappresentazione sacra nell’abside. Sono arcangeli dai volti ellenizzanti,
risalgono probabilmente al VI-VII sec. quindi a questo revival dell’ellenismo di cui parla Kitzinger. L’immagine
centrale dell’abside presenta la vergine con il bambino ma se facciamo attenzione notiamo una
discontinuità sul tessuto musivo a fondo oro che fa capire che prima della realizzazione di questo soggetto si
trovava una croce. Vediamo un grafico di Paul Underwood che nel 1959 traccia la sagoma di questa figura e
ricostruisce la croce che era stata posta in epoca iconoclasta. In realtà i tratta di 3 fasi:

1. VII sec.: mosaico con fondo oro e vergine e bambino al centro


2. VIII sec. viene eliminata la Vergine con bambino e inserita la croce
3. Si ripristina l’immagine della Vergine con bambino, non è quella antica perché era andata perduta, e
quindi è in una nuova versione. databile o tra la pausa tra le 2 ondate dell’iconoclastia o dopo la
seconda ondata, quando prevarrà definitivamente il movimento iconodulo.
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2° ondata iconoclasta: nell’815 Leone V l’Armeno convoca un sinodo iconoclasta a Santa Sofia.

*NB L’iconoclastia ha lasciato tracce anche sulle monete: i numismatici possono dimostrare che in queste 2
fasi troviamo in un lato l’immagine dell’imperatore e nell’altro non più l’immagine di Cristo, ma della croce.

Si deve sempre a una donna, un’imperatrice, il ripristino definitivo del culto delle immagini: si tratta di
Teodora che nell’843 ristabilisce il culto delle immagini. Nel 11 marzo 843 si muove una processione indetta
dall’imperatrice Teodora per la festa dell’Ortodossia (=”la retta fede”) in cui viene riportata l’icona della
Vergine dal monastero delle Blachernae (nord di Costantinopoli) fino a Santa Sofia. C’è uno scritto che si
legge ogni anno durante questa festa, si chiama Synodikon (=testo liturgico letto durante la festa
dell’Ortodossia, ossia la prima domenica di Quaresima): “... Così noi pensiamo, affermiamo e predichiamo
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Cristo nostro vero Dio e i suoi Santi. Li veneriamo nelle parole, negli scritti, nelle riflessioni, nei sacrifici, nei
tempi e nelle immagini. Adoriamo e veneriamo Cristo come Dio e Maestro”.

Viene ripristinata inoltre l’icona di Cristo sulla porta imperiale (Chalkè) e dall’843 gli iconoclasti saranno
sconfitti per sempre, non ritorneranno mai più in auge. Abbiamo anche rappresentazioni in cui si condanna
l’iconoclastia e gli iconoclasti:

- Salterio di Chludov, La crocifissione e due iconoclasti che ricoprono di calce un’icona di Cristo,
Seconda metà del IX sec.: la spugna viene associata alla spugna che l’iconoclasta intingeva nella
calce per scialbare (=nascondere) le icone. L’iconoclasta è rappresentata come un demonio: capelli
neri irsuti, la faccia è perduta perché qualcuno ha grattato la faccia perché vi aveva visto il demonio
(si tratta di damnatio memoriae). L’iscrizione greca dice “Questi mescolano acqua e calce sul volto
di Cristo” e poi c’è scritto anche “iconomachi” (un sinonimo di iconoclasti). In altre pagine c’è Pietro
che calpesta Simon Mago, e viene fatto un parallelismo tra il Vangelo e la situazione
attuale/recente: infatti sotto è rappresentato il patriarca Niceforo (iconodulo) che calpesta l’ex
patriarca Giovanni (iconoclasta) e che era accusato di peculato (=di aver preso le sue posizioni
dietro compenso in denaro), e ci sono dei tondini che simboleggiano le monete che cadono a terra.
Niceforo ha in mano l’icona del Cristo. Ce ne sono molte altre.
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Santa Sofia dopo l’iconoclastia:

Gli iconoduli vogliono condannare l’operato fatto dagli iconoclasti. La processione della festa dell’Ortodossia
con Teodora 31 marzo 853 poco dopo appaiono in Santa Sofia delle immagini iconiche. Non in un unico
intervento musivo, ma gradualmente a partire dalla seconda metà del IX sec. in poi, Santa Sofia si
arricchisce di immagini iconiche.

La tecnica musiva consente delle manipolazioni: si taglia una parte del mosaico, si dispone il nuovo
intonaco, si dispongono le nuove tessere e da lontano non si legge la cesura tra i due mosaici.
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Mosaico della calotta absidale: Nel IX sec. viene inserita un’immagine a mosaico da un artista che fu
chiamato proprio per compiere questa opera, di cui conosciamo anche il nome: pittore Lazzaro (sepolto in
un cimitero costantinopolitano) accompagnato da una squadra di mosaicisti. Egli elimina la croce e la
rimpiazza con una vergine con bambino. L’abside non prevedeva un soggetto iconico, infatti ci sono le
finestre, infatti la figura della vergine fluttua un po’ nel vuoto. Non sappiamo la data dell’anno preciso ma
sappiamo che è intorno all’867. Non p un intervento che riguarda solo inserimento vergine con bambino,
ma anche inserimento di 2 arcangeli (rimane solo 1) e una grande iscrizione (che conosciamo del tutto ma di
cui che ne resta solo un frammento iscrizione che fa riferimento all’iconoclastia). Dal punto di vista
formale siamo di fronte a un rinnovato classicismo (volto classicheggiante-ellenizzante con tratti piuttosto
tridimensionali) siamo negli anni della Rinascenza Macedone che inizia con Basilio I, che dà avvio a
questa dinastia di imperatori che regna dal IX all’XI sec. L’arcangelo ha la clamide con tablion, quindi abito di
corte e contemporaneamente uniforme militare dei capi dell’esercito, e ha le insegne imperiali: la sfera e il
labaro/lo stendardo. Questi due arcangeli erano Michele e Gabriele (quando sono rappresentati in coppia si
tratte sempre di loro due) e proteggevano la figura della vergine in trono con bambino, e questa protezione
degli arcangeli sarà quasi una costante delle chiese bizantine anche in epoche successive. L’iscrizione recita
“Le immagini che gli impostori avevano qui abbattuto, i pii imperatori hanno ripristinato” (*la leggiamo
completa nell’Antologia Palatina) l’imperatore macedone del tempo (probabilmente Basilio I) voleva
ribadire questo concetto. C’è un’omelia per la Vergine scritta da Fozio (che fu il patriarca di Costantinopoli
dall’8... all 8..) che legge egli stesso in Santa Sofia la prima volta che viene letta in assoluto e sembra far
riferimento al mosaico della calatta absidale; l’omelia recita: “A tal punto infatti le labbra sono state dipinte
con colori così uguali alla carne [...] il loro silenzio non appare affatto inerte, né la bellezza dell’immagine
sembra un’imitazione, ma si direbbe piuttosto che sia il vero archetipo. [Cristo è venuto a noi nella carne ed
è nato tra le braccia della Madre sua. Questo si vede e viene confermato e proclamato dalle pitture, che
sono l’insegnamento impartito tramite la testimonianza oculare ]” Fozio riprende i dettami del concilio
di Nicea: questo volto voleva essere il vero volto della Vergine. Il volto della Vergine ha un volto dai tratti
classicheggianti (es. labbra carnose). Vestito di bambino Gesù ha tessere sia oro che argento. Il trono non ha
il dossale quindi la figura della vergine si staglia direttamente su fondo oro. Il manto della vergine
(maphorion), calzari rossi che poggiano su un piedistallo.
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Anche lungo il naos vengono inseriti soggetti iconici, più precisamente lungo due grandi timpani delle pareti
diaframma. Inserita serie di personaggi adattandosi sempre a superficie preesistente: si tratta di padri della
chiesa nel timpano nord e profeti nel timpano sud. Personaggi in posa stante nel registro inferiore, e poi
nella parte superiore vengono inseriti tra le finestre angeli e iscrizioni, di cui si sa solo dalle fonti perché non
ci sono giunti. I padri della chiesa coloro che hanno composto preghiere, riti, omelie; i padri della chiesa
sono un po’ le colonne portanti della chiesa stessa. Es. Ignazio il Giovane morì nell’867 e qui lo vediamo con
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l’aureola, di conseguenza possiamo dire che probabilmente questi mosaici furono realizzati poco dopo la
sua morte. C’è un richiamo anche dei codici miniati risalenti alla Rinascenza macedone: es. Omeliario di
Gregoriano Nazianzeno, Paris, BNF, ms. gr. 510 (880-883) (*un padre della chiesa del IV sec. nato nella
regione della Cappadocia, nonché maestro di San Girolamo): iconografia identica di uno dei padri della
chiesa, il soggetto è diverso ma stessa tipologia (*ritratto tipicizzato) espressione dello stesso linguaggio
artistico.
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Nei 4 pennacchi della cupola si aggiungono dei serafini (=uno degli esseri alati più vicini a Dio insieme ai
cherubini). I serafini per tradizione hanno 3 paia di ali che di solito nascondono tutto il corpo, anche se a
volte spuntano i piedi, ma non è questo il caso. Leggiamo il libro di Isaia 6, 1-4, che descrive i serafini:
“Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto
riempivano il tempio. Attorno a lui stavano dei serafini, ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con
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due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro “Santo, Santo, santo è il Signore degli
eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria.” Vibravano gli stipiti delle porte alla voce di colui che gridava,
mentre il tempio si riempiva di fumo.”

*NB “Santo Santo Santo” nella liturgia bizantina si chiama triagrion.

In questo intervento musivo viene inserita anche l’immagine zenitale (=al centro della cupola) dove viene
eliminata la croce e inserito il busto di Cristo. Questi soggetti vengono rifatti nel XIV sec. (lo sappiamo dai
disegni dei fratelli Fossati). Il serafino che vediamo è un’opera di XIV sec. ma è una versione successiva di
una prima versione dei serafini e del busto di cristo che risalgono al IX sec.

Nell’endonartece si trovano 9 porte di cui la maggiore è la porta imperiale, su cui nel IX sec. viene inserita la
lunetta con cristo in trono, un imperatore in proskynesis [proskiunesis] e due clipei, che andava a sostituirsi
a una croce.
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Il percorso dell’imperatore nelle celebrazioni solenni:


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Mosaici tribuna nord: sotto uno strato di intonaco ottomano con decorazioni aniconiche, sono state trovate
delle immagini iconiche risalenti sempre al 912-913 ca. perché si tratta dell’imperatore bizantino Alessandro
III, fratello di Leone VI il Saggio. Il personaggio è riconoscibile grazie a un’iscrizione e dei monogrammi
cruciformi in greco che compongono una frase “Signore, aiuta il tuo servo Alessandro, ortodosso [=nella
giusta fede], sovrano fedelissimo [=molto pio]” è una richiesta d’aiuto, quindi un’ex voto. Alessandro III
ha una veste imperiale che è l’alternativa alla clamide, ossia il loros (=elemento della veste imperale,
consistente in un’ampia e lunga stola ricamata con fili d’oro e ornata di perle e pietre preziose, avvolta
attorno al corpo in più giri in modo che una delle due estremità possa essere sollevata dall’avambraccio
sinistro. Spesso raffigurato, per traslazione simbolica, anche sopra la tunica degli arcangeli). Il fatto che
questo loros fosse avvolto più volte attorno al corpo è ricollegato al desiderio di rievocare il sudario di
Cristo: vuole significare che, per quanto importante il ruolo dell’imperatore sulla terra, esso ha un potere
limitato perché egli è mortale. Lo spazio è paradisiaco. L’imperatore ha aureola. In mano porta l’akakia
(=sacchetto cilindrico di stoffa in porpora e oro, contenente terra o cenere, tenuto in pugno dall’imperatore
in occasione delle cerimonie solenni come simolo di umiltà in quanto essere mortale) segno della
caducità della vita. L’imperatore ha la corona e dei pendilia (=perle e pietre preziose che pendono ai lati
della corona).

(*le tribune al secondo piano sono solo su 3 lati perché in quello dell’abside non c’è il secondo piano). Le
tribune erano destinate ad accogliere personaggi importanti (famiglia imperiale).
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Vestibolo di Santa Sofia: i mosaici giustinianei con le croci vengono eliminati per far posto a una
rappresentazione iconica. Questa porta viene per tradizione chiamata “la porta bella”. Non abbiamo una
datazione precisa, ma forse può essere databile attorno al regno di Basilio II (976-1025). Qui c’è una
stilizzazione dei ritratti. Abbiamo al centro vergine con bambino su trono. Le iscrizioni significano “Mether
teu” (=madre di Dio). Ai lati ci sono due imperatori con loros e corona con due modellini in mano: quello a
sinistra è Giustiniano con il modellino di Santa Sofia, mentre a destra abbiamo Costantino che tiene in mano
Costantinopoli identificabili anche dalle iscrizioni. L’imperatore committente non rappresenta se stesso
ma i suoi predecessori più illustri, che sono diventati nel tempo dei santi per la chiesa ortodossa (*già a San
Pietro a Roma vi era una rappresentazione dell’imperatore con il modellino della chiesa, e questo sarò un
must per i secoli successivi). Presenta la stessa iconografia della Vergine della calotta absidale, ma quella è
più ellenizzante, mentre questa della porta bella è più grafica, con più linee di contorno (soprattutto in
Cristo).
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Nella tribuna sud ci sono opere musive votive degli imperatori che risalgono sempre all’età macedone:

- Coppia imperiale che omaggia Cristo: si tratta di “Zoe, l’augusta molto pia” (recita l’iscrizione) a
destra, e il marito “Costantino, autocrate, credente in Cristo di Dio, imperatore dei Romani, il
Monomaco”. Il mosaico risale al primo o al secondo marito di Zoe, e quando Zoe si è sposata col
terzo si è voluto aggiornare il mosaico. Contemporaneamente sono stati aggiornati anche il viso di
Zoe e di Cristo. In mano Costantino porta il sacchetto d’oro, simbolo di un’offerta che fa per la chiesa
(apokomania). Zoe consegna un atto di prelazione
- Abbiamo affianco un mosaico di età comnena: Giovanni Comneno e sua moglie Irene (di origine
nordica). Iscrizione “Giovanni credente in Cristo figlio di Dio, imperatore, porfirogenito, autocrate
dei romani, il Comneno”. “Irene l’augusta moglie pia”. Lei come Zoe consegna un atto di prelazione.
Accanto c’è il figlio Alessio, che muore giovane.
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Tribuna sud: ultimo mosaico scoperto in Santa Sofia che è una Deesis (=richiesta, preghiera; termine in uso
dal XIX sec. in poi in rifeirmento all’immagine del Cristo in trono, raffigurato in posa frontale, affiancato dalla
Vwergine e da Battista che a lui si rivolgono con mani e braccia sollevate, nella preghiera di intercessione
per la salvezza del genere umano. Spesso si trova in occasione di riti funebri) di età comnena, più
precisamente del XIII sec. La pittura e i mosaici di età comnena sono caratterizzati da un forte pathos,
emerge la tristezza, la passione nel volto della vergine e del battista che prefigurano il sacrificio di Cristo. Le
tessere del fondo non sono state disposte in modo lineare ma compongono un disegno, una sorta di
artificio che è distintivo dei mosaici dal XIII sec. in poi. Altra caratteristica importante dell’epoca sono le
lumeggiature bianche nei volti, che si trovano sia nelle pitture che ne mosaici.
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