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antecedenti…

Maria Isabella De Carli


Gravità senza peso: una testimonianza
Sandro Gorli
La Variazione nel pensiero compositivo di Franco Donatoni
Angelo Orcalli
Franco Donatoni e la generazione degli anni Venti
Rocco De Cia
Sulle difficoltà del comporre. Franco Donatoni attraverso i suoi scritti

…conseguenti

Franco DOnatoni. Gravità senza peso


Maria Grazia Sità
Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi)
Yotam Moshe Haber
Creative silence: Donatoni’s Per orchestra
Ingrid Pustijanac
Etwas ruhiger im Ausdruck… Elementi di poetica e osservazioni analitiche sulle opere
della fine degli anni Sessanta
Mario Baroni
Il maestro e la biondina. Franco Donatoni e il Duo pour Bruno
Sébastien Béranger
Spiri de Franco Donatoni, ou le développement organique d’un matériau historique
Candida Felici
Intertestualità e processi compositivi in …ed insieme bussarono e Rima di Franco
Donatoni
Pierre Michel
Répétition, périodicités et agencements verticaux dans Fili (pour flûte et piano, 1981)
de Franco Donatoni
Pierre Michel
Franco Donatoni: Tema (1981) pour douze instruments
Pierre Boulez
Franco Donatoni: Tema

Fr anco Donatoni
Bradley D. Decker
Preserving the fragment: Franco Donatoni’s Refrain, for eight instruments
Olivier Class

Gr avità senza peso


La flûte dans l’œuvre de Donatoni

A cur a di Candida Felici

€ 30 LIM Libreria Musicale Italiana


Quest’opera ha beneficiato della collaborazione della Casa della Musica di Parma, della
Fondazione Emarika (Vevey, Svizzera) e del LABEX GREAM nell’ambito del Program-
ma Investissements d’Avenir (Francia), numero di riferimento ANR-10-LBX-27

Tutti i documenti sono riprodotti per gentile concessione


© Hal Leonard MGB Srl – Milano:
Maria Grazia Sità, ess. 5, 7–9, 10b, 11–12
Sébastien Béranger, ess. 1, 2, 9, 10
Candida Felici, ess. 3, 6–9
Pierre Michel, Répétition, périodicités et agencements verticaux dans Fili (pour flûte et
piano, 1981) de Franco Donatoni, ess. 1–4, 7–8, Franco Donatoni: Tema (1981) pour
douze instruments, ess. 1–5
Pierre Boulez, ess. 1–4
Bradley D. Decker, ess. 4–8, 10–13, 15, 18–19
Olivier Class, ess. 1–18

© Sugarmusic S.p.A. – Edizioni Suvini Zerboni, Milano:


Yotam Moshe Haber, ess. 4, 9–13, 20–21, 23

© Universal Edition A.G., Wien:


Béla Bartók, 4. Streichquartett
© Copyright 1929, Universal Edition A.G., Wien/UE 34311
Copyright rinnovato nel 1956 da Boosey & Hawkes Inc., New York
Tutti i diritti negli USA sono posseduti e controllati da Boosey & Hawkes Inc., New York
Maria Grazia Sità, ess. 6a, b, c, 10a
Bradley D. Decker, es. 1

© Fondazione Paul Sacher, Basilea:


Ingrid Pustijanac, fig. 1a–b, 2, ess. 1, 3

Redazione, grafica e layout: Ugo Giani


In copertina: Franco Donatoni, Milano 1985. © Roberto Masotti / Lelli e Masotti Archivio, per
gentile concessione.
© 2015 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca
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chiviata in sistemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccanica, fotocopiata,
registrata o altro senza il permesso scritto dell’editore.

ISBN 978-88-7096-833-0
Franco Donatoni
Gravità senza peso
Atti del Convegno (Parma, 30 novembre 2013)

A cura di Candida Felici

Libreria Musicale Italiana


Sommario

Elenco delle abbreviazioni ix

Prefazione xi

antecedenti…

Maria Isabella De Carli


Gravità senza peso: una testimonianza 3

Sandro Gorli
La Variazione nel pensiero compositivo di Franco Donatoni 11

Angelo Orcalli
Franco Donatoni e la generazione degli anni Venti 19

Rocco De Cia
Sulle difficoltà del comporre. Franco Donatoni attraverso
i suoi scritti 47

…conseguenti

Maria Grazia Sità


Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) 91

Yotam Moshe Haber


Creative silence: Donatoni’s Per orchestra 115
Ingrid Pustijanac
Etwas ruhiger im Ausdruck… Elementi di poetica e osservazioni
analitiche sulle opere della fine degli anni Sessanta 153
∙ sommario ∙

Mario Baroni
Il maestro e la biondina. Franco Donatoni e il Duo pour Bruno 173

Sébastien Béranger
Spiri de Franco Donatoni, ou le développement organique d’un
matériau historique 205
Candida Felici
Intertestualità e processi compositivi in …ed insieme bussarono
e Rima di Franco Donatoni 233

Pierre Michel
Répétition, périodicités et agencements verticaux dans Fili
(pour flûte et piano, 1981) de Franco Donatoni 253
Pierre Michel
Franco Donatoni: Tema (1981) pour douze instruments 273

Pierre Boulez
Franco Donatoni: Tema 291

Bradley D. Decker
Preserving the fragment: Franco Donatoni’s Refrain, for eight
instruments 299

Olivier Class
La flûte dans l’œuvre de Donatoni 325

Bibliografia 349

Indice 361

∙ vi ∙
I seguenti saggi compresi nel presente volume sono apparsi in pubblicazioni
precedenti:

Mario Baroni, Il maestro e la biondina. Franco Donatoni e il Duo pour Bruno,


in Bruno Maderna. Studi e testimonianze, a c. di Rossana Dalmonte e Marco Rus-
so, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2004 (Quaderni di Musica/Realtà, 53), pp.
417–46.

Sébastien Béranger, Spiri de Franco Donatoni ou le développement organique


d’un matériau historique, «DEMéter», juin 2004, pp. 1–22, http://demeter.revue.
univ-lille3.fr/doc/beranger.pdf.

Pierre Michel, Franco Donatoni. Tema pour 12 instruments (1981), in Jean-Yves


Bosseur – Pierre Michel, Musiques contemporaines. Perspectives analytiques,
1950–1985, Minerve, Paris 2007 (Musique ouverte), pp. 197–206.

Bradley D. Decker, Preserving the Fragment: Franco Donatoni’s late Chamber


Music, «Perspectives of New Music», xlvi/2 (2008), pp. 159–89.
Elenco delle abbreviazioni

Donatoni, Antecedente X Franco Donatoni, Antecedente X. Sulle difficoltà del


comporre, Adelphi, Milano 1980.

Donatoni, Entretien avec François- Donatoni, Entretien avec François-Bernard Mâche,


Bernard Mâche in François-Bernard Mâche, Les mal entendus,
compositeurs des Années 70, «La Revue musicale»,
314–315 (1978), p. 49–52.

Donatoni, Il sigaro di Armando Donatoni, Il sigaro di Armando. Scritti 1964–1982, a


c. di Piero Santi, Spirali Edizioni, Milano 1982.

Donatoni, In-Oltre Donatoni, In-Oltre, Edizioni L’Obliquo, Brescia


1988.

Donatoni, Presenza di Bartók Donatoni, Presenza di Bartók (1981), in Id., Il sigaro


di Armando, pp. 87–91.

Donatoni, Processo e figura Donatoni, Processo e figura (1981), in Id., Il sigaro di


Armando, pp. 83–6, ristampato con una integrazione
in «I Quaderni della Civica Scuola di Musica», vi/13
(1986), pp. 69–73 (nel presente volume si fa riferimen-
to a quest’ultima versione).

Donatoni, Questo Donatoni, Questo, Adelphi, Milano 1970.

Donatoni, Un’autobiografia Donatoni, Un’autobiografia dell’autore raccontata


da Enzo Restagno, in Donatoni, a c. di Enzo Restagno,
EDT, Torino 1990, pp. 3–74.

Donatoni, Une halte subjective Donatoni, Une halte subjective, «Musique en jeux»,
20 (1975), pp. 15–20.

Borio, La poetica della figura Gianmario Borio, Franco Donatonis Streichquar-


tett The Heart’s eye. Zur Ästhetik figurativer Musik,
«Melos», il/3 (1987), pp. 2–16; traduzione it. La poe-
tica della figura nella recente produzione di Donatoni,
«Quaderni di Musica Nuova», ii (1988), a c. di Giu-
lio Castagnoli, pp. 43–55, ristampato in Donatoni, a
c. di Enzo Restagno, EDT, Torino 1990, pp. 224–36
(nel presente volume si fa riferimento a quest’ultima
versione).
∙ Elenco delle abbreviazioni ∙

Cresti, Franco Donatoni Renzo Cresti, Franco Donatoni. Studio monogra-


fico sulla musica e la poetica di Franco Donatoni in
relazione alle problematiche filosofiche e musicali dagli
anni ’50 a oggi, Suvini Zerboni, Milano 1982.

Donatoni, 1990 Donatoni, a c. di Enzo Restagno, EDT, Torino 1990.

Halbreich, Tre capolavori orchestrali Harry Halbreich, Tre capolavori orchestrali di


Franco Donatoni. “Voci” – “Duo pour Bruno” – “Arie”,
in Donatoni, 1990, pp. 194–214.

Piencikowski, Salvacondotto Robert Piencikowski, Sauf conduit: Analyse


d’Etwas ruihger im Ausdruck de Franco Donatoni,
«Entretemps», i/2 (1986), pp. 75–86; traduzione it. Sal-
vacondotto. Analisi di “Etwas ruhiger im Ausdruck”,
in Donatoni, 1990, pp. 147–58 (nel presente volume si
fa riferimento a quest’ultima versione).

∙ x ∙
Prefazione

Questo volume riunisce i saggi del primo convegno dedicato alla figura
di Franco Donatoni, tenutosi a Parma il 30 novembre 2013 (frutto del-
la collaborazione tra Casa della Musica, Università di Parma e Associa-
zione Dynamis Ensemble). Oltre alle relazioni del convegno, il presente
volume include alcuni saggi significativi con l’intento di riunire i frutti
delle ricerche più recenti su Donatoni, considerando che l’ultimo volume
interamente dedicato a questo autore risale ormai a venticinque anni fa
(Donatoni, a cura di Enzo Restagno, EDT, Torino 1990).
Gravità senza peso deriva dal titolo del saggio che inaugura il volume,
scritto da Maria Isabella De Carli; a sua volta tratto dalle Lezioni Ameri-
cane di Italo Calvino, ci è parso rappresenti mirabilmente il duplice volto
della musica e della figura di Donatoni, il rigore, spinto talvolta fino alla
soglia dell’autolesionismo, e la leggerezza del gioco, simbolo ricorrente
del comporre nelle parole dell’autore.
Il volume consta di due ampie sezioni, intitolate rispettivamente Ante-
cedenti… e …Conseguenti, due termini particolarmente cari a Donatoni,
che sfuggono a una definizione univoca; tuttavia egli ce ne ha offerto più
d’una nei suoi due libri Questo (1970) e Antecedente X (1980): l’anteceden-
te è «sogno, intuizione, immagine, visione, idea, fabulazione, fantastiche-
ria, riflessione» (Questo, p. 22); «vero formante delle forme, l’antecedente
non usurpa il luogo della musica: ad essa assegna […] il suo proprio luogo
e ne regge il cammino, in ancellare, dimessa prossimità. Ombra anteriore,
all’opera è priore e dell’autore è testimone» (Antecedente X, p. 28); «né
antecedente né conseguente sono musica, ma solo la rappresentazione di
essa che appare nel compositore e nella composizione composta» (Ante-
cedente X, p. 29). Abbiamo dunque incluso nella sezione Antecedenti…
scritti sulla poetica dell’autore, convinti che nel suo insieme inestricabile
l’antecedente comprenda tutto il vissuto e l’esperito, sia esso proprio di
una biografia interiore o esteriore. Nella prima parte compaiono quindi
saggi sul suo pensiero compositivo in genere e in particolare sulla rela-
zione tra compositore e interprete (Maria Isabella De Carli), sulla tecnica
della variazione come archetipo del comporre (Sandro Gorli), sulla figura
∙ Prefazione ∙

di Donatoni alla luce del più vasto contesto delle principali correnti di
pensiero del dopoguerra (Angelo Orcalli), infine sugli scritti di Donatoni
(Rocco De Cia). Questi ultimi appaiono oggi ai nostri occhi non solo oc-
casioni di enunciazione di poetica, ma anche opere dotate di un’autono-
ma dignità letteraria: in ogni caso esse si rivelano strumenti indispensabili
per qualsivoglia tentativo di comprensione — pur nella loro difficoltà —
della figura di Donatoni nel panorama musicale della seconda metà del
Novecento.
La seconda parte del volume, …Conseguenti, comprende invece una
serie di saggi di taglio analitico, che si susseguono secondo la cronolo-
gia delle opere trattate. La sezione non ha alcuna pretesa esaustiva, ma
i saggi ci permettono di tracciare le principali linee di tendenza che si
sono succedute nel corso della sua carriera compositiva. Donatoni stesso
ha più volte analizzato a ritroso il suo percorso creativo, sottolineandone
le grandi fratture ma cogliendone anche i nessi, le relazioni sotterranee,
come nel caso dell’apparente contrasto tra periodo dell’indeterminazio-
ne (prima metà degli anni Sessanta) e quello immediatamente successivo
dell’automatismo combinatorio, l’uno testimonianza della scissione tra
materiale e atto compositivo, l’altro dell’«abbandono al materiale» (L’au-
tomatismo combinatorio, p. 80). Donatoni ci avverte che in realtà entram-
bi mostrano il rifiuto dell’autorialità, della volontà formante dell’autore:
nel periodo dei procedimenti automatici «il fatto che la partitura stabilisca
le note in tutti i parametri non significa una volontà organizzativa mag-
giore di quando le stabilivo approssimativamente» e «l’indeterminazione
in Etwas ruigher im Ausdruck esiste malgrado la determinazione grafica»
(Il materiale in opera, pp. 110–111). In realtà entrambi i periodi sono ca-
ratterizzati dal tentativo di «scardinare l’opera nella sua monolitica unità»
attraverso una «analisi demolitrice» (Il materiale in opera, p. 111). Yotam
Moshe Haber nella sua analisi di Per orchestra (1962), culmine del periodo
dell’indeterminazione, ne sottolinea appunto da una parte il debito nei
confronti del serialismo integrale praticato nel periodo di ‘apprendistato’,
dall’altra i legami con la poetica dei procedimenti automatici che caratte-
rizzerà opere successive come Etwas ruhiger im Ausdruck (1967).
Le analisi a posteriori del proprio operato da parte dell’autore non van-
no tuttavia sempre assunte in maniera acritica; la prima fase compositiva,
che Donatoni bolla come fase di apprendistato, caratterizzata dall’influsso
di Bartók, è indagata nel saggio di Maria Grazia Sità, che mette in luce il
contesto musicale degli anni Cinquanta in cui tale infatuazione si situa (la
∙ xii ∙
∙ Prefazione ∙

bartokkite di un giovane Donatok), ma anche gli elementi del linguaggio


di Bartók che continuarono ad agire in profondità nel corso degli anni,
come lo stesso Donatoni ammise in un saggio degli anni Ottanta (Presen-
za di Bartók).
Lo studio delle opere di Donatoni, soprattutto di quelle successive agli
anni Settanta, non può purtroppo avvalersi dell’esame degli schizzi e degli
abbozzi, che il compositore distruggeva sistematicamente; fino a quell’e-
poca tuttavia esiste un numero, seppur esiguo, di materiali precomposi-
tivi, presi in esame nei saggi di Ingrid Pustijanac (per l’analisi di Etwas
ruhiger im Ausdruck e Souvenir, entrambi del 1967, e di Estratto, del 1969)
e di Mario Baroni (per l’analisi di Duo pour Bruno, 1974–75).
La prassi di far germinare un’opera da composizioni precedenti di altri
autori o dello stesso Donatoni travalica le differenze esistenti tra i diversi
periodi per diventare cifra costante del comporre donatoniano: la crea-
zione musicale come trasformazione della materia, una materia spesso
già data, è concetto cruciale della sua poetica, come pure lo è l’idea della
singola composizione come frammento di un’opera più vasta che com-
prende tutta l’attività creativa di un autore. Donatoni tuttavia non ritiene
che una somma di frammenti possa costituire una totalità: «la momenta-
neità, la effimerità del frammento sono tali che non gli può essere conces-
so di costituirsi come totalità nella loro somma» (Il tempo del comporre, p.
13). Numerosissime composizioni di Donatoni (come le già citate Etwas
ruhiger e Souvenir) sono nate dal materiale già formalizzato in un’opera
precedente; i modi in cui si attua tale relazione di derivazione sono in-
dagati nel saggio della scrivente, che verte sulla filiazione di Rima (1983)
da …ed insieme bussarono (1978). L’analisi degli ‘antecedenti’ permette
almeno in parte di supplire all’assenza di schizzi e di materiali preparato-
ri. I processi compositivi (i codici, secondo la terminologia donatoniana)
possono essere meglio indagati proprio attraverso l’esame delle modalità
di trasformazione del materiale preesistente; del resto lo stesso Donatoni
scrive che accade che «il conseguente divenga, talvolta, un generatore di
antecedenti» (Antecedente X, p. 26).
A cominciare da Spiri (1977), analizzato da Sébastien Béranger, si inau-
gura una nuova fase, in cui la bilancia pende verso il polo della leggerezza
piuttosto che verso quello della gravità, il periodo definito gioioso; i codici
si fanno meno rigorosi, l’intuizione trova un posto stabile tra i termini
prediletti, così come la figura, cui Donatoni dedica un saggio significativo
dal titolo Processo e figura. Il concetto di figura è strettamente connesso
∙ xiii ∙
∙ Prefazione ∙

con l’ambito della percezione; la figuratività offre all’opera nuovi spiragli


comunicativi, in cui percezione e memoria permettono di cogliere l’unità
della composizione, ovvero la sua forma. L’affiorare della figura consente
di recuperare al comporre l’attività formante e al momento dell’ascolto
una nuova dimensione di senso. Fili, Tema (si vedano le analisi di Pierre
Michel), Refrain (indagato da Bradley Decker) rappresentano altrettanti
frutti del nuovo approccio gioioso (e giocoso). L’interesse per il flauto, da
solo o insieme ad altri strumenti, in questa ultima fase dell’opera creativa
donatoniana è indagato nel saggio di Olivier Class, che ne coglie stilemi
e gesti ricorrenti, oltre a determinate predilezioni di ordine timbrico. In
ultimo, il breve scritto di Pierre Boulez — la trascrizione di un film sulla
musica del Novecento, protagonisti appunto Pierre Boulez e l’Ensemble
Intercontemporain1 — ci ricorda come Donatoni sia rimasto legato ai
mezzi strumentali propri della prima metà del secolo; i suoi contatti con
la musica elettronica sono limitatissimi (tuttavia con esiti interessanti,
come nel caso del Quartetto III) e altrettanto si può dire per l’esplorazio-
ne del rumore e di nuove tecniche di produzione del suono (limitate per
lo più alle opere del periodo dell’indeterminazione, si pensi ai glissatori in
Per orchestra). Tuttavia l’uso degli strumenti tradizionali può non essere
tradizionale, ci ricorda Boulez, che descrive come precise scelte nelle suc-
cessioni intervallari, nella collocazione registrica, nell’andamento tempo-
rale, nella dinamica possano caratterizzare i pannelli in cui si articolano le
composizioni donatoniane in modo da generare una scrittura ora traspa-
rente e figurativamente connotata, ora, al contrario, nebulosa e indistinta,
una scrittura che orienta l’ascolto non verso il singolo gesto o figura, ma
verso una percezione globale dell’evento sonoro.
Molto resta da indagare sull’opera e il pensiero di Donatoni; ci auguria-
mo che questo volume possa servire da stimolo per ulteriori ricerche, che
prendano in esame anche i materiali precompositivi preservati presso la
Fondazione Sacher di Basilea, la stretta relazione tra scrittura musicale e
scrittura letteraria, il rapporto con il teatro, la relazione con le esperienze
musicali contemporanee e delle generazioni successive, la sua figura di
didatta e molto altro ancora.

1. Boulez. XXème siècle: Matériau, serie di sei film, v, Nat Lilenstien (realizzazione), Pierre Bou-
lez, Ensemble Intercontemporain, © FR3, La Sept, Caméras Continentales, Ircam-Centre
Pompidou, Ensemble Intercontemporain, 1988.

∙ xiv ∙
∙ Prefazione ∙

Perché questo volume prendesse forma e vedesse la luce sono stati fon-
damentali la collaborazione, lo stimolo e l’aiuto di molte persone, tra i
quali in primo luogo Marco Capra, che ha sostenuto e accolto la giornata
di studi nella Casa della Musica di Parma; senza il suo contributo sempli-
cemente non vi sarebbe stato alcun convegno; Javier Torres Maldonado e
Fabrizio Fanticini, che hanno attivamente collaborato alla sua organizza-
zione; il GREAM dell’Università di Strasburgo e la fondazione Emarika,
che hanno sostenuto la pubblicazione del presente volume; Maria Isabella
De Carli, Sandro Gorli e Pierre Michel che sono stati prodighi di consigli,
mi hanno fornito informazioni, chiarimenti e preziosi materiali; le case
editrici Ricordi, Suvini Zerboni e Universal che hanno gentilmente au-
torizzato la pubblicazione degli esempi musicali; la Fondazione Sacher di
Basilea che ha consentito la pubblicazione degli schizzi. A tutti costoro e
ad altri ancora che non sono qui citati, grazie.

Candida Felici
Milano, luglio 2015

∙ xv ∙
Franco Donatoni, Milano 1985. © Roberto Masotti / Lelli e Masotti Ar-
chivio, per gentile concessione. La composizione alla quale Donatoni sta
lavorando è Still, per soprano leggero e sei strumenti, Ricordi, 133909,
Milano 1985.
…conseguenti
Franco Donatoni, Milano 1985. @ Lelli e Masotti, dal lavoro Musiche,
vedere come sentire, per gentile concessione. La composizione alla
quale Donatoni sta lavorando è Still, per soprano leggero e sei stru-
menti, Ricordi, 133909, Milano 1985, p. 6.
Maria Grazia Sità

Gli esordi bartokiani di Donatoni


(via Guido Turchi)

1. La bartokkite in Italia
Ricordando l’inizio della sua attività compositiva, Franco Donatoni spes-
so prese le distanze dai suoi esordi bartokiani: continuò a professare nei
suoi scritti la sua devozione, anzi il suo ‘amore’ per Bartók,1 ma ebbe paro-
le abbastanza severe per le proprie composizioni scritte tra il 1950 e il 1955,
sotto l’innegabile influsso dello stile del compositore ungherese. Nel 1990,
nel corso della nota intervista autobiografica rilasciata a Enzo Restagno,
affermò a proposito di esse: «usavo un linguaggio d’accatto, dal quale non
ero capace di uscire. In fondo si trattava del linguaggio dei miei padri,
anzi dei miei nonni».2
Le composizioni scritte da Donatoni in quegli anni sono:
1950, Quartetto per archi – Drago, Magenta 1956
1951, Recitativo e Allegro per violino e pianoforte – Zanibon, Milano
1952, Concertino per archi, ottoni e timpano solista – Schott, London
1952, Sonata per viola sola – Zanibon, Milano
1952, Concerto per fagotto e archi – Drago, Magenta
1953, Sinfonia per archi – Boosey & Hawkes, London
1953, Ouverture per orchestra da camera – Zanibon, Milano
1954, Divertimento per violino e orchestra da camera – Schott, London
1954, Cinque pezzi per due pianoforti – Drago, Milano.
I critici dell’epoca ebbero per questi lavori l’interesse che si deve a un gio-
vane promettente, ma anch’essi non mancarono di notare la troppo scoperta

1. Donatoni, Presenza di Bartók.


2. Donatoni, Un’autobiografia, pp. 16–7.
∙ Maria Grazia Sità ∙

devozione bartokiana: Massimo Mila, con la consueta penna spesso bona-


riamente ironica, nel 1952 (a proposito del Concertino per archi, ottoni e
timpano) parlava di ‘bartokkite acuta’ del giovane compositore veronese.3
Altri studiosi in seguito invitarono quindi a non tenere in gran conto
queste prime prove donatoniane. Mario Bortolotto nel suo Fase seconda
(1969) affermava: «mentre per gli altri autori lo studio attento delle opere
d’apprendistato è imprescindibile compito di un analista anche appena
diligente, colui potrà poco avvantaggiarsi dalla lettura delle partiture che
Donatoni ha pubblicato dal 1950 al 1955, che qui si allineano, perciò, per
un congedo senza rimpianti».4 Il giudizio sostanzialmente negativo su
queste partiture non impedisce comunque a Bortolotto di scriverne per
quattro delle venticinque pagine che dedica a Donatoni in quel testo.
Dopo queste testimonianze di una ricezione generalmente negativa, è
possibile segnalare però anche aspetti positivi: ad esempio il fatto che all’e-
poca alcune di queste composizioni furono premiate in concorsi interna-
zionali. Si tratta del Quartetto n. 1 del 1950, premiato al concorso di Liegi del
1951 per un quartetto d’archi, e del Concertino per archi, ottoni e timpano
solista, premiato al concorso di Radio Lussemburgo del 1952 ed eseguito poi
il medesimo anno alla Biennale di Venezia. All’epoca, quindi, ci fu più di
qualcuno che trovò per lo meno interessanti queste composizioni.
E anche oggi, a mio avviso, è possibile trovarvi motivi di interesse, in
particolare partendo da un diverso punto di vista, cioè quello della ricezio-
ne italiana della musica di Béla Bartók. Il compositore ungherese all’epoca
era naturalmente ben noto in Italia, sia perché si era esibito di persona
come pianista negli anni Venti e Trenta, sia perché la sua musica era stata
eseguita nei Festival più importanti, come la Biennale di Venezia.5 Negli
anni immediatamente successivi alla morte (1945), l’interesse per Bartók
aumentò: Donatoni non era l’unico a mostrare sintomi di bartokkite in
Italia, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio degli anni ’50. Massimo Mila (fra
l’altro uno dei primi appassionati cultori di Bartók in Italia) scrisse nel
1952 parole molto spiritose sul fenomeno:

3. Massimo Mila, Lettera da Venezia, «La Rassegna Musicale», xxii/4 (1952), pp. 326–30: 329.
4. Mario Bortolotto, Le idee di Franco Donatoni, in Id., Fase seconda. Studi sulla Nuova
Musica, Einaudi, Torino 1969, pp. 227–51: 227.
5. Sulla presenza di Bartók in Italia cfr. i paragrafi Bartók in Italia I (1925) e Bartók in Italia
II (1939) in Maria Grazia Sità, Béla Bartók, L’Epos, Palermo 2008, e più ampiamente in
Virág Büky – Maria Grazia Sità, Bartók e l’Italia. Viaggi, contatti, concerti, «Fonti musi-
cali italiane», 18 (2013), pp. 119–75.

∙ 92 ∙
∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Curioso destino quello di questo musicista [Bartók], che finché visse fu quasi igno-
rato, e anche quando cominciò ad apparire la sua grandezza, si disse di lui che però
era un isolato, che non poteva «far scuola»; e adesso, da sette anni ch’è morto, an-
che i bidelli dei conservatori sanno metter giù come niente una melodia sghemba
in 5/8 alla Bartók! Veramente sembra giunto il momento di stabilire un divieto di
caccia nelle riserve ungheresi.6

2. Guido Turchi e Bartók


Nelle riserve ungheresi, prima di Donatoni, aveva sicuramente cacciato
ad esempio Guido Turchi (1916-2010). Il legame Turchi-Bartók-Donato-
ni è esplicitato dallo stesso Donatoni quando ricorda la ‘rivelazione’ del
Quarto Quartetto bartokiano avvenuta per lui nel 1949 attraverso un’au-
dizione radiofonica commentata da Guido Turchi. Come afferma lo stes-
so Donatoni, questo incontro
non fu di natura razionale ma del tutto e inaspettatamente emozionale. Vorrei
temerariamente aggiungere che il contenuto conoscitivo ebbe natura di rivelazio-
ne, fu trasfuso attraverso canali intuitivi, mi nutrì in modo inavvertito e nella più
totale incapacità autocritica: l’assimilazione fu turbata solo dalla mia inesperienza,
dalla insufficienza tecnica e da ogni sorta di goffaggini che ancor oggi posso ri-
conoscere ma non deridere. Spiegare razionalmente la rivelazione ricevuta è atto
abominevole e io non tenterò di compierlo.7

I programmi radiofonici non furono le uniche iniziative di quegli anni


volte alla conoscenza di Bartók: l’associazione milanese Il Diapason, che
dal 1950 pubblicava anche l’omonima rivista, organizzava concerti e bre-
vi cicli (Festival) dedicati a singoli compositori e nella stagione 1949–50
aveva in programma un ‘ciclo Béla Bartók’ presso La Famiglia Artistica
(un’associazione musicale milanese di origine ottocentesca), che com-
prendeva esecuzioni commentate, nella forma della conferenza-concer-
to. Nel gennaio 1950 era prevista ad esempio l’esecuzione di brani dal
Mikrokosmos da parte del pianista Walter Baracchi, con commento di
Paolo Ruzicska (che è l’autore della traduzione italiana di quella scelta di
lettere dall’epistolario bartokiano che uscì nel 1969 e che è tuttora l’unica
6. Mila, Lettera da Venezia, p. 328. Sul tema generale della ricezione di Bartók in Italia negli
anni Cinquanta si veda anche Nicolò Palazzetti, «Il musicista della libertà»: l’influenza di
Béla Bartók nella cultura musicale italiana degli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento,
«Rivista italiana di musicologia», l (2015), pp. 147–98.
7. Donatoni, Presenza di Bartók, p. 88.

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∙ Maria Grazia Sità ∙

disponibile in italiano).8 Lo stesso periodico «Il Diapason» si dimostrò


subito molto bartokiano, ospitando articoli sul compositore ungherese
e anche del compositore ungherese,9 nonché recensioni di edizioni e di
incisioni discografiche di brani bartokiani.
Spostando l’attenzione dalla ricezione concertistica e giornalistica a
quella compositiva, Guido Turchi si rivela un personaggio interessante
anche per il suo Concerto breve per quartetto (1947), poi rielaborato come
Concerto per archi sottotitolato ‘alla memoria di Béla Bartók’, eseguito alla
Biennale di Venezia l’8 settembre 194810 e pubblicato a Roma dall’editore
De Santis nel 1950. «Il Diapason» non mancò di pubblicare una recensio-
ne del lavoro, a firma H. F. [Herbert Fleischer]:
L’opera costituisce un omaggio spirituale dedicato alla memoria di Béla Bartók,
spinto fino a tale punto che in un certo momento — cifra 11 del secondo movimento
— viene segnato il nome di Béla Bartók in note: B–E–(l)–A–B–A–(rtok), note che
stabiliscono il principio del tema conduttore di tale movimento. Il ricordo di Bartók,
infatti, è vivo in ogni nota del pezzo, ben inteso non nel mero senso folkloristico, ma
nel superiore significato umanistico dell’ultimo Bartók: nella melodia spezzettata in
minuscoli frammenti persino di un intervallo solo ben accentuato, come quello di
seconda nell’Elegia I; o nella ricca compagine polifonica di sei o sette voci indipen-
denti, condotte in fragilissime figurazioni una contro l’altra nell’Elegia II. E in stri-
dente contrasto con le due Elegie si trova il vigoroso tono dei due tempi mossi (II e
IV), con i loro ritmi polimorfi, con gli intervalli duri e tesi, con le note ripetute e mar-
tellate, tanto caratteristiche di tutta la musica di Bartók. Con questo lavoro compiuto
con pieno impegno verso l’alto compito assunto, mostrandosi all’occasione padrone
e virtuoso di una materia assai complessa, Guido Turchi si è messo in primo piano
fra la generazione più giovane dei compositori italiani.11

8. La notizia appare nel primo numero del periodico «Il Diapason», i/1 (1950), p. 23. Nella pub-
blicità alla Stagione 1949–50 appare il Programma delle attività di gennaio, in cui mercoledì 11,
alla Famiglia Artistica, via Gesù 12, ore 21, era prevista, per il Ciclo Béla Bartók, l’esecuzione
del V e VI volume di Mikrokosmos: al pianoforte Walter Baracchi, commento di Paolo Ru-
zicska. L’epistolario è edito in Béla Bartók, Lettere scelte, a c. di János Demény, Il Saggiatore,
Milano 1969, recentemente ristampato (2011) senza alcun aggiornamento.
9. Si vedano ad esempio il primissimo articolo presentato nel periodico, un saggio di Massimo
Mila su Mikrokosmos (Mila, Béla Bartók e il suo “Mikrokosmos”, «Il Diapason», i/1, 1950, pp.
2–6, che ripropone la recensione apparsa in «La Rassegna Musicale», xiv/6, 1941, pp. 259–61)
e il saggio Béla Bartók, Problemi lisztiani, «Il Diapason», i/4 (1950), pp. 15–9 (si tratta della
prolusione tenuta all’Accademia d’Ungheria nel 1936).
10. Orchestra sinfonica di Roma della Radio Italiana, diretta da Fernando Previtali.
11. Herbert Fleischer, Guido Turchi: Concerto per archi (De Sanctis [sic], Roma, 1950), «Il
Diapason», i/4 (1950), p. 31.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 1. Guido Turchi, Concerto per archi, De Santis, Roma 1950,


bb. 1–6

Il brano è formato da quattro movimenti:


I, Elegia I – Molto Lento
II, Allegro un po’ concitato
III, Elegia II – Molto Adagio, misterioso, ma senza rigore
IV, Allegro con moto.
Vi è una normale alternanza di tempi lenti espressivi e tempi veloci, ma
essa è anche molto bartokiana, se intesa come forte contrasto tra tono di
concentrata meditazione (le due Elegie) ed esplosione di energia vitale nei
tempi contrastanti. Va considerato, però, anche il ritorno (in verità bre-
vissimo) all’atmosfera iniziale, presentato in conclusione nelle due pagine
del Molto Lento (tempo dell’Elegia I): certo non si può parlare di forma ‘a
ponte’ (dato che non si realizzano propriamente cinque movimenti), ma
in relazione a questa conclusione lenta (che si spegne in ppp) si possono
citare vari finali bartokiani di tono meditativo, come quello dei Quartetti
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∙ Maria Grazia Sità ∙

Esempio 2. Guido Turchi, Concerto per archi, Allegro un po’ concita-


to, citazione del nome Béla Bartók, p. 14, estratto

II e VI o della Suite per pianoforte op. 14. È quindi presente qui il riferi-
mento al Bartók energetico, rustico e materico, ma non viene adottato il
suo tipico movimento finale vitalistico (e in fondo ottimistico), quanto
quello ripiegato, irrisolto, mesto (per citare un termine che caratterizza
una sezione ricorrente nel Sesto quartetto).
Sarà interessante inoltre notare anche la scrittura dell’Elegia II, che co-
stituisce il terzo movimento e viene a trovarsi quindi quasi al centro del
Concerto (Esempio 3).
Si noti l’effetto con sordina (all’inizio pizzicato) su cui si staglia, sem-
pre nel pianissimo, una melodia centrica, ancorata alla nota si, circondata
dalla veloce ornamentazione in biscrome. Questa scrittura non può non
ricordare l’inizio del terzo movimento (centrale nella struttura ‘a ponte’)
del Quarto quartetto bartokiano (seppure a registri invertiti) — che a sua
volta si riferisce alla Musica della notte, quarto dei cinque pezzi pianistici
All’aria aperta.12

12. Sul rapporto con la Musica della notte del Quarto quartetto e su altri aspetti particolari dei
quartetti bartokiani, citati qui e più avanti, cfr. Maria Grazia Sità – Corrado Vitale,
I Quartetti di Béla Bartók. Contesto, testo, interpretazione, Lim, Lucca 2012. La partitura del
Quarto Quartetto cui qui si fa riferimento è Béla Bartók, Streichquartett IV, Universal Edi-
tion, UE 34311, Wien 1929.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 3. Guido Turchi, Concerto per archi, Elegia II, bb. 1–3

Esempio 4. Béla Bartók, Quarto Quartetto, Universal Edition, UE


34311, Wien 1929, terzo movimento, Non troppo lento, bb. 1–9

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∙ Maria Grazia Sità ∙

3. Il (primo) Quartetto per archi di Donatoni e Bartók


Non risulta che Donatoni abbia mai dichiarato, nei suoi scritti, un par-
ticolare debito verso questo brano di Turchi (che fu molto eseguito in
quegli anni), né che abbia mai menzionato Turchi come suo riferimento
stilistico, se non per il commento all’esecuzione radiofonica del Quarto
quartetto del 1949. Né Turchi è compreso tra i primi maestri di Donatoni.
All’epoca il compositore veronese aveva superato la fase del rapsodico
apprendistato nello studio del violino a Verona e aveva frequentato le le-
zioni di Armonia e Contrappunto a Milano con Ettore Desderi, con poca
soddisfazione (descrisse il Conservatorio di Milano come un ambiente
poco stimolante e molto deludente). Si trovò un po’ meglio al Conserva-
torio di Bologna, dove si diplomò in composizione con Lino Liviabella
nel 1951. Lo studio continuò poi a Roma, con Pizzetti, ai corsi di perfe-
zionamento dell’Accademia di S. Cecilia, ma in realtà il periodo romano
fu più fecondo per gli incontri personali con Goffredo Petrassi (cui lo
aveva indirizzato lo stesso Liviabella), al di fuori delle istituzioni, che per
lo studio con Pizzetti. I due musicisti che Donatoni poi riconobbe come
fondamentali per la sua formazione, infatti, furono Petrassi e Bruno Ma-
derna, conosciuti entrambi proprio in quegli anni (rispettivamente nel
1951 e nel 1953).
Il Primo quartetto di Donatoni del 1950, però, appartiene a un perio-
do antecedente a questi fondamentali incontri; Donatoni non aveva co-
noscenze approfondite neppure della serialità, in quel periodo, anche se,
volendo essere corretti, pure Schönberg o Webern sarebbero da rubricare
come ‘la musica dei suoi padri o dei suoi nonni’.
Si capisce che, nell’orizzonte di un tranquillo o inquieto apprendistato
accademico, l’ascolto più o meno fortuito del Quarto quartetto di Bartók
possa essere stato «una rivelazione» e soprattutto una rivelazione ricevi-
bile dal giovane Donatoni, ancora allievo di Liviabella a Bologna. Questo
ascolto lo stimolò infatti a scrivere proprio un quartetto e a partecipare a
un concorso di composizione, mentre per mantenersi suonava nelle ba-
lere di Verona e nei night club di Bardolino e di Montecatini: «così gua-
dagnavo qualche soldo, ma mi sono guadagnato anche il primo grande
esaurimento nervoso perché si lavorava dalle nove di sera alle cinque del

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

mattino e durante la giornata avevo il mio quartetto da copiare sui lucidi


per partecipare al concorso».13
Il risultato di questo lavoro da amanuense fu poi pubblicato dall’Edito-
re Drago di Magenta (1956): dall’osservazione della grafia sembra comun-
que di poter individuare due mani diverse di copista, una più timida, con
un tratto sottile, e una più sicura, con un tratto più deciso.

Esempio 5. Franco Donatoni, Quartetto per archi, Drago,


Magenta 1956, bb. 1–4

13. Donatoni, Un’autobiografia, p. 13.

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∙ Maria Grazia Sità ∙

Notiamo qui il modulo cromatico (p), in contrasto con la formula


ritmica anapestica sulla quinta vuota (f): questi saranno i due elementi
principali su cui si gioca il primo movimento. Entrambi provengono dal
primo movimento del Quarto bartokiano; in particolare l’elemento semi-
tonale aveva particolarmente colpito il giovane Donatoni, almeno secon-
do quanto l’autore dichiara in un’intervista del 1982:
Io sono sempre stato interessato soprattutto ai quartetti [di Bartók], appunto per
questa idea di poter far germinare da una cellula qualsiasi tutta la composizione.
Specialmente il quarto [quartetto] mi ha colpito in questo senso: il primo tempo è
una continua metamorfosi del semitono di base. Tutte le invenzioni, se possiamo
dire così, momentanee, vengono fuori da una materia organica, che porta alla ma-
teria vivente, alla forma.14

Donatoni ricorda (in un’altra intervista) che, in quel periodo, di Bartók


conosceva anche la Musica per archi, percussione e celesta, il Divertimento
per archi e la Sonata per due pianoforti e percussioni (nonché il primo
Concerto per orchestra di Petrassi), ma qui evidentemente l’influsso prin-
cipale proviene dal Quarto quartetto bartokiano.
Vi sono alcuni aspetti macroscopici di quest’opera che potrebbero aver
colpito Donatoni al primo ascolto: la forma ‘a ponte’ in cinque movimen-
ti; i movimenti secondo e quarto centrati su effetti timbrici particolari (II
Prestissimo con sordino; IV Allegretto pizzicato); il motivo caratteristico
(che gli studiosi chiamano ‘proto-motivo’) che appare nel primo movi-
mento e poi si ripresenta nell’ultimo, anche come perentorio gesto con-
clusivo. Questi i movimenti del quartetto bartokiano:
I – Allegro; 4/4
II – Prestissimo con sordino; 6/8
III – Non troppo lento; 4/4
IV – Allegretto pizzicato; 3/4
V – Allegro molto; 2/4

14. Donatoni, Il cammino dell’identificazione (intervista a c. di Angelo Valori, 1982), in Id., Il


sigaro di Armando, pp. 7–11: 10.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 6a. Béla Bartók, Quarto Quartetto, prima occorrenza del


proto-motivo nel primo movimento, Allegro, b. 7

Esempio 6b. Béla Bartók, Quarto Quartetto, proto-motivo alla fine


del primo movimento, Allegro, bb. 159–161

Esempio 6c. Béla Bartók, Quarto Quartetto, proto-motivo a conclu-


sione dell’ultimo movimento, Allegro molto, bb. 385–392

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∙ Maria Grazia Sità ∙

E poi naturalmente altri aspetti di immediato impatto possono essere


la ‘musica della notte’ del movimento centrale (visto sopra in relazione
a Turchi) e gli accordi pesanti, omoritmici, pura massa di materia, che
aprono l’ultimo movimento.
Il quartetto di Donatoni è in quattro movimenti:
I – Allegro moderato; C
II – Presto; 2/4 (con sordina, pp, staccato)
III – Molto lentamente; C
IV – Allegro; C (in due).
Anche Donatoni ha una sorta di suo proto-motivo, che conclude il pri-
mo movimento, con gesto del tutto analogo al finale bartokiano: all’ac-
cordo tenuto ppp fa seguito la conclusione, «ritenuto e pesante», con il
medesimo modulo ritmico del proto-motivo bartokiano. Si noti che que-
sto inciso, in questa forma precisa, non è parte integrante del movimento
di cui costituisce la conclusione e si presenta quindi quasi con carattere
di citazione.

Esempio 7. Franco Donatoni, Quartetto per archi, Allegro moderato,


fine del movimento

Per quanto riguarda la conclusione di tutto il quartetto, il finale del


Quarto bartokiano è di quelli più energetici e vitalistici proposti nelle ope-
re del compositore ungherese: c’è una brevissima ‘frenata’ nella coda, con

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

qualche momento pp, e c’è una sospensione che si verifica immediata-


mente prima della citazione del proto-motivo. In Donatoni, nonostante
la vicinanza al modello bartokiano, viene adottata invece una soluzione
analoga a quella scelta da Turchi (vista sopra): una ripresa dell’Adagio
(bb. 154–161) che presenta un accordo tremolato sul ponticello e la melo-
dia ancorata al violoncello.

Esempio 8. Franco Donatoni, Quartetto per archi,


ultimo movimento, bb. 151–162

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∙ Maria Grazia Sità ∙

La conclusione è quindi Adagio e nei toni del p e pp, tranne per l’ulti-
missimo intervento che rievoca il motivo f deciso, che era stato sviluppato
nell’ultimo movimento e che ha qualche somiglianza con il proto-motivo
donatoniano iniziale, nel carattere perentorio del gesto.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 9. Franco Donatoni, Quartetto per archi, conclusione


dell’ultimo movimento, bb. 174–176

Il secondo movimento, Presto, è indicato da Donatoni pp, staccato con


sordina. A parte la sordina, il carattere è comunque alquanto diverso dal
corrispondente Prestissimo con sordino bartokiano. Qui sembra più pre-
sente un interesse per le possibilità date dallo spostamento di accenti in
una battuta simmetrica (ad esempio alle bb. 15–17). Un problema quindi
stravinskiano quanto bartokiano.
Più avanti osserviamo invece un procedimento formale molto frequen-
te nei quartetti di Bartók: gli interventi antifonali ad ampiezza variabi-
le. Donatoni propone un contrasto ripetuto tra un elemento costituito
da accordi omoritmici, pp, in crome (con lo spostamento degli accenti),
collocati nel registro tendenzialmente grave, in posizione stretta, opposti
ad accordi f, in semiminime, collocati in un registro un po’ più acuto, in
posizione lata. Alle bb. 13–32 questo scambio antifonale si sviluppa at-
traverso l’ampliamento irregolare della lunghezza degli interventi (si può
vedere un procedimento del genere ad esempio nel primo movimento
del Quarto bartokiano, alle bb. 82–92, ma la tecnica è comunque usata in
tutto il corpus dei quartetti).
Come si vedrà più sotto, Donatoni annoverò fra gli elementi che lo col-
pirono dello stile bartokiano i procedimenti di crescita, considerati diver-
si (o antitetici) rispetto ai procedimenti di sviluppo: e proprio in questo
tipo di struttura antifonale irregolare (che in Bartók generalmente porta
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∙ Maria Grazia Sità ∙

a un punto apicale) possiamo osservare un comportamento di questo ge-


nere, assimilabile anche a quello che Donatoni definirà «giustapposizione
di organismi».15
Un altro aspetto che sembra mutuato direttamente dal Quarto barto-
kiano è l’uso di un inciso formato da intervalli di terza più seconda o di
seconda più terza, di cui troviamo un esempio nel tema principale del
finale del Quarto bartokiano (Esempio 10).
Nel passo donatoniano le figure proposte vengono naturalmente ripre-
se dai vari strumenti, con sfasature nelle imitazioni. Non si raggiunge quel
magma brulicante e preciso cui conducono le sovrapposizioni poliritmi-
che bartokiane (da cui sarà influenzato Ligeti), ma si accenna a quello
che sarà poi il risultato di tale procedimento: la completa disarticolazione
della figura, che si dissolve nei ripetuti glissando (Esempio 11).
Nel terzo movimento donatoniano, Molto lentamente (collocato quin-
di verso il centro del quartetto), il debito molto scoperto è verso il movi-
mento centrale bartokiano, Non troppo lento (‘musica della notte’). Lo
stesso debito che è stato rilevato sopra in relazione al Concerto di Turchi.
Caratteristico in questo famoso passo bartokiano è il passaggio non vibra-
to-vibrato dell’accordo fermo, realizzato dai tre archi superiori (a imita-
zione di prassi esecutive popolari): su questo tappeto si staglia la melodia
del violoncello nel registro acuto, di carattere centrico, come si ricorda-
va sopra, ancorata sulla nota re #, accentata con il tipico modulo ritmico
(breve accentata-lunga), che proviene dalla stessa lingua ungherese.
Anche in Donatoni abbiamo nei tre archi acuti il non vibrato seguito
dal vibrato (ma otto battute più avanti), mentre il violoncello introduce
la sua melodia acutissima, ancorata stavolta sulla nota la - (Turchi ave-
va affidato la melodia ai violini), con lo stesso tipo di pronuncia ritmi-
ca e di conduzione centrica (nota lunga, circondata da veloci figure di
abbellimento).
In Bartók segue una sezione in cui il violino sembra voler citare il ‘can-
to degli uccelli’ (bb. 34–40). Anche Donatoni non manca di riprodurre
l’imitazione naturalistica, affidandola al violino nella parte conclusiva del
movimento, forse ignorando il significato attribuito da Bartók (stilizzato,
ma comunque abbastanza evidente).

15. Donatoni, Presenza di Bartók, p. 89, vedi infra.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 10a. Béla Bartók, Quarto Quartetto, quinto movimento,


Allegro molto, bb. 14–18

Esempio 10b. Franco Donatoni, Quartetto per archi, secondo movi-


mento, Presto, bb. 37–48

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∙ Maria Grazia Sità ∙

Esempio 11. Franco Donatoni, Quartetto per archi, secondo movi-


mento, Presto, bb. 108–119

L’ultimo movimento, Allegro, del quartetto donatoniano inizia in-


staurando una costante ritmica di accordi ribattuti in crome, cui si so-
vrappongo altri accordi, ff, a intervalli irregolari (ancora una volta in una
scrittura tra Stravinskij e Bartók). Subito si nota la volontà di Donatoni di
richiamarsi al primo movimento del quartetto, riproponendo l’intervallo
di settima maggiore discendente (b. 7) che si era visto in apertura. Torna
anche l’elemento cromatico (b. 16), ma viene proposto anche un nuovo
motivo, con la nota puntata (b. 12), che sarà specifico di questo movi-
mento, condotto spesso da due parti contemporaneamente in movimento
speculare (anche questo è un procedimento frequente in Bartók). Questa
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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

Esempio 12. Franco Donatoni, Quartetto per archi, terzo movimento,


Molto lentamente, bb. 56–60

sarà la figura che poi conclude il quartetto con gesto perentorio (come si
è ricordato sopra).
Anche altri aspetti del primo movimento vengono riproposti in questa
fase finale: ad esempio l’episodio che prende avvio da b. 10 nel primo mo-
vimento, con la figura ostinata in pizzicato al violoncello, torna nell’ulti-
mo, da b. 56, seppure presentando la figura in ostinato modificata.
Dall’ultimo movimento bartokiano, Donatoni mutua invece per il suo
movimento conclusivo l’episodio di intensificazione, quasi in stretto (in
Bartók sul proto-motivo, b. 375), qui con l’elemento cromatico del primo
movimento unito a quello con nota puntata dell’ultimo (da b. 125).
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∙ Maria Grazia Sità ∙

Come si è già notato sopra, alla chiusa vitalistica del Quarto bartokiano,
qui, come in Turchi, si preferisce un’esplicita ripresa dell’Adagio, con la
melodia centrica al violoncello (con un episodio più esteso di quanto non
si verifichi in Turchi). Solo l’ultimo gesto, f deciso, modifica il senso di
questo finale.
L’idea di riprendere nella seconda parte del quartetto o nel movimento
conclusivo i materiali del primo movimento è molto bartokiana: si pensi
al Terzo quartetto con la «ricapitulazione» della prima parte (terminolo-
gia bartokiana) che ne è una rilettura. Uso il termine squisitamente dona-
toniano di rilettura in senso generico, ma evidentemente anche questa è
un’idea che a Donatoni può essere provenuta da Bartók. Anche nelle fa-
mose forme bartokiane a ponte molto spesso ciò che si trova nella seconda
metà del brano, al di là del ponte (per evocare l’immagine simbolica con-
tenuta nella Cantata profana), non è altro che una rivisitazione di quanto
era stato enunciato nella prima parte. Inoltre possiamo osservare che le
trasformazioni dei materiali qui coinvolte sono di tipo rigido: aggiunta o
espulsione di elementi, non sviluppo con plastiche trasformazioni di essi,
come sarebbe tipico del sonatismo classico. I frammenti si conservano:
sono solo fatti crescere o assemblati in maniera diversa.

4. Donatoni visto da Donatoni


Nella citata intervista autobiografica, Restagno chiede a Donatoni quali
furono gli aspetti del Quarto quartetto che lo colpirono in particolare in
quel lontano primo ascolto, dato che all’epoca conosceva anche altre cose
bartokiane importanti degli anni Trenta. Donatoni risponde:
Credo che sia stato l’effetto del grande pizzicato insieme all’aspetto di cromatismo
modulare del primo tempo, e poi il carattere notturno e stralunato dell’Adagio.
I momenti notturni erano quelli che mi colpivano di più: mi sentivo attratto da
un certo delirio che poi sarebbe diventato mio sul serio e anche da quel tipo di
cromatismo che negava la totalità cromatica e l’aspetto viennese, configurandosi
piuttosto come un modo di essere seriale che su di me avrebbe esercitato, in segui-
to, delle conseguenze.16

Questa dichiarazione è rilasciata nel 1990 e ci espone al consueto pe-


ricolo che si corre quando un compositore parla delle sue motivazioni di

16. Donatoni, Un’autobiografia, p. 90.

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∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

quaranta anni prima e compie un atto di ‘auto-storicizzazione’ che in re-


altà è molto difficile: è difficile che il compositore riesca a essere lo storico
di se stesso e riesca a prendere in considerazione le sue composizioni di
molti anni prima astraendo da tutto ciò che egli ha fatto successivamente.
C’è quasi sempre una consapevole o inconsapevole teleologia in questo
tipo di operazione.
Nel nostro caso ciò è ancora più evidente nelle dichiarazioni di Dona-
toni scritte nel 1981 (nel saggio Presenza di Bartók steso per il centenario
della nascita di Bartók, oggi contenuto in Il sigaro di Armando): in esse
il compositore parla anche di aspetti che per lui costituirono sempre del-
le ombre nel suo rapporto con Bartók. Dato che il rapporto è definito
«amoroso»17 Donatoni parla di «delusione dell’amato, una delusione che
non fu mai rimessa, né procurò tardive conversioni intellettuali». Così
parla di «una diffidenza non celata, un sospetto immotivato, una benevola
comprensione priva di simpatia» per tutto ciò che gli richiamava l’aspetto
folklorico: «Così reagii a tutto ciò che in Bartók è commisto a folklore, a
ottimismo paesano, a scampagnata festiva, a turgore sinfonico e a danza
contadina».
La diffidenza per l’influenza del folklore sull’ispirazione di Bartók
(quella di superficie, immediatamente evidente, perché se si parla di in-
fluenza strutturale, dovremmo parlare probabilmente di tutta la musica
di Bartók) è descritta da Donatoni come una sua reazione istintiva, quasi
‘a pelle’, e probabilmente lo fu, nel Donatoni del 1949 e in quello del 1981,
ma va anche considerato che questa era una posizione critica piuttosto
diffusa in Italia. Negli anni ’50 possiamo citare ancora la recensione vista
sopra al Concerto di Turchi, in cui si evidenzia che: «Il ricordo di Bartók,
[...], è vivo in ogni nota del pezzo, ben inteso non nel mero senso folklori-
stico, ma nel superiore significato umanistico dell’ultimo Bartók», dove il
«mero senso folkloristico» è considerato un esteriore accidente della mu-
sica bartokiana. In fondo fu questa l’opinione espressa più volte anche da
Stravinskij su Bartók e si potrebbe arrivare ad Adorno, per il quale, come
è noto, il legame con il folklore era un carattere regressivo.
Quindi, secondo il Donatoni del 1981, gli aspetti scopertamente folklo-
rici e l’ottimismo paesano (!) di Bartók avevano procurato distacco e de-
lusione nel Donatoni del 1949. E lo stesso afferma Donatoni per il Bartók
che definisce «neo-beethoveniano»: «no, non era quello il musicista che

17. Per questa e le citazioni successive cfr. Donatoni, Presenza di Bartók, pp. 87–8.

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∙ Maria Grazia Sità ∙

mi aveva fatto nascere. O, forse, adesso ero già nato e osservavo con di-
stacco tutto ciò che non conservava la memoria della prima traumatica
rivelazione». Questa affermazione forse, a posteriori, può risultare più
comprensibile: c’è un lato beethoveniano in Bartók, che alcuni critici han-
no definito come ‘nuovo classico’ (non ‘neoclassico’) e c’è un ottimismo
che non è paesano, ma beethoveniano, e probabilmente questi sono gli
aspetti più estranei a Donatoni (forse quelli che la critica italiana degli
anni ’50 definiva il ‘lato umanistico’ di Bartók?).
Il Donatoni del 1981 tenta anche di individuare quali sono esattamente,
dal punto di vista tecnico, le «matrici originarie» che aveva rinvenuto in
Bartók, quelle che lui aveva plagiato da esordiente (parole di Donatoni),
ma che hanno un collegamento anche con la sua produzione degli anni ’80:
1. esposizione della cellula e crescita dell’organismo [per aggiunzione];
2. crescita e non sviluppo, conservazione del frammento;
3. giustapposizione di organismi: mutamento, non evoluzione [pro-
cedimenti antifonali variabili];
4. stasi della pulsazione, tempo continuo, condizione “notturna”, ru-
more, sussurro, vibrazione come mobilità timbrica in uno spazio
immobile18 [le caratteristiche della musica della notte].
Credo che chi conosce bene la musica di Donatoni troverà queste pa-
role tranquillamente riferibili allo stile donatoniano degli anni Ottanta,
come chi conosce Bartók le troverà calzanti per molti brani bartokiani.
Naturalmente sembrano valide anche per il Primo quartetto donatoniano
e per il Quarto di Bartók (e qui sarebbe interessante approfondire quanto
di questi aspetti in Bartók derivi proprio da quella matrice folklorica da
cui all’epoca sembrava doveroso prendere le distanze, ovviamente distil-
lata e trasfigurata).
Accogliendo questi suggerimenti donatoniani, Gianmario Borio, nel
suo saggio del 1987 dedicato alla ‘poetica della figura’ del Donatoni di que-
gli anni, usa questi quattro aspetti per «ricavare criteri di interpretazio-
ne per The Heart’s Eye e concetti guida per una definizione della poetica
figurativa».19 The Heart’s Eye, come è noto, è un quartetto del 1979 che
viene segnalato fra le opere importanti nell’ottica della svolta stilistica di
Donatoni verso l’uso del concetto di ‘figura’. Se quindi Bartók è ancora
così importante, secondo Donatoni (e secondo Borio), nella produzione

18. Donatoni, Presenza di Bartók, p. 89.


19. Borio, La poetica della figura, p. 228.

∙ 112 ∙
∙ Gli esordi bartokiani di Donatoni (via Guido Turchi) ∙

donatoniana degli anni ’80, allora quei lontani esordi così profondamente
bartokiani non sono proprio totalmente da dimenticare, come suggeriva
Bortolotto nel saggio citato sopra.
A conclusione di queste osservazioni, sembra interessante anche nota-
re che nella vicenda artistica di Donatoni in posizione biografica impor-
tante vengano a trovarsi spesso proprio dei quartetti. Lo rilevava lo stesso
autore:
[...] I miei quartetti non sembrano certo nascere da un disegno determinato; ogni
volta vengono però a infiltrarsi nei momenti cruciali, nelle fasi di cambiamento. Il
primo era un lavoro di scuola, un’opera che poteva benissimo andare perduta e che
quindi non ho avuto remore nel distruggere. Il primo vero e proprio, quello che vin-
se il premio e che fu pubblicato dalle Edizioni Drago, quello non ho potuto distrug-
gerlo. Il secondo è quello che ha stabilito un passaggio verso un tipo di scrittura alla
Luigi Nono nel 1958. Quello successivo, nel 1964, connotava un periodo aleatorio,
mentre quello elettronico ha un carattere episodico. Il quinto è The Heart’s Eye e
segnava un deciso cambiamento non solo nell’uso della scrittura retroversa ma an-
che nell’impiego di materiali spuri, tonali e diatonici soprattutto, ai quali avrei fatto
ricorso nei lavori successivi. Il sesto quartetto, [...], mi sembra che funzioni come un
indicatore del mio procedere attuale più sciolto e sereno, un procedere in cui i codici
agiscono semplicemente come mezzi di ordinamento compositivo.20

All’epoca quindi, Donatoni enumerava sei quartetti nella sua produ-


zione, il numero di quelli bartokiani — anche se la corrispondenza appare
del tutto casuale.
Il Primo quartetto, come si disse, fu premiato al concorso internaziona-
le di Liegi del 1951, come riportarono i periodici italiani:
Il concorso internazionale bandito dalla città di Liegi per una composizione per
quartetto d’archi, al quale hanno partecipato 55 concorrenti di 13 nazioni, è stato
vinto dalla signorina Becewicz [sic], nata a Varsavia nel 1913 e allieva di Nadia Bou-
langer. Altri premi sono stati assegnati a Daniel Reineman (Amsterdam), Geza
Frid (Budapest) e Franco Donati [sic] (Verona).21

20. Donatoni, Un’autobiografia, p. 69. I quartetti successivi al primo sono: Quartetto II per archi
(1958), Suvini Zerboni, ESZ.5557, Milano 1959; Quartetto III (1961), per nastro a quattro piste,
Suvini Zerboni, ESZ.5824, Milano 1961; Quartetto IV. Zrcadlo (1963), per quartetto d’archi,
Suvini Zerboni, ESZ.6113, Milano 1964; The Heart’s Eye (1979/80), per quartetto d’archi, Ri-
cordi, 133065, Milano 1985: La Souris sans sourire (1988), per quartetto d’archi, Ricordi, 134712,
Milano 1988.
21. Cfr. «Il Diapason», ii/12 (1951), p. 36. La compositrice e violinista polacca Grazyna Bacewicz
(1909–1969) vinse con il quarto dei suoi sette quartetti. La medesima notizia, con i medesimi
errori, appare anche nella «Rassegna Musicale», xxi/4 (1951), p. 327.

∙ 113 ∙
∙ Maria Grazia Sità ∙

Donatoni nel frattempo aveva intrapreso lo studio a Roma all’Acca-


demia ed era ancora affetto dalla bartokkite (sulla via di cronicizzarsi).
Come ricorda lo stesso compositore: «pensa che i miei compagni all’Ac-
cademia di S. Cecilia mi chiamavano scherzosamente Donatok».22 Dona-
tok in quel periodo preparò un Concertino per archi, ottoni e timpano e
stavolta vinse il suo primo concorso:
Il giovane musicista Franco Donatoni, ha conseguito il primo premio assoluto
(500.000 franchi francesi) al concorso internazionale di composizione musicale,
indetto per il 1952, da Radio-Lussemburgo. Egli ha partecipato al concorso con un
concertino per archi, ottoni e timpano principale, che ha destato il più vivo inte-
resse della giuria, formata da eminenti musicisti di fama internazionale.23

Della vittoria Donatoni fu informato da un telegramma di un compo-


nente della giuria, Goffredo Petrassi, che già lo conosceva: la commissio-
ne aveva pensato che si trattasse di un allievo di Bartók o comunque di un
ungherese. Della giuria facevano parte anche il direttore d’orchestra Hans
Schmidt-Isserstedt e il signor Hartog delle edizioni Schott, che promise di
pubblicare l’opera24 e propose al giovane compositore italiano di scrivere
un concerto per violino per Joseph Szigeti. Come ricorda lo stesso Dona-
toni: «lo scrissi davvero, ma lui non lo ha mai suonato; forse era troppo
bartokiano!».25

22. Donatoni, Un’autobiografia, p. 6.


23. Notiziario. Concorsi, «Il Diapason», ii/5–6 (1952), p. 45.
24. Fu effettivamente pubblicata da Schott; Donatoni, Concertino per archi, ottoni e timpano
solista, Schott, 5755, London 1953.
25. Donatoni, Un’autobiografia, p. 15.

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