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Istituto
di
Studi
Politici
“S.
Pio
V”,
Roma
2015
Indice
3
Avvertenza
4
Capitolo
primo
Siria
di
Matteo
Pizzigallo
17
Capitolo
secondo
Libano
di
Alessandra
Frusciante
30
Capitolo
terzo
Egitto
di
Valentina
Mariani
57
Capitolo
quarto
Libia
di
Matteo
Pizzigallo
68
Capitolo
quinto
Tunisia
di
Paolo
Wulzer
78
Capitolo
sesto
Algeria
di
Alessandra
Frusciante
89
Capitolo
settimo
Marocco
di
Paolo
Wulzer
101
Capitolo
ottavo
La
guerra
liquida:
tensioni,
strategie
e
strumentalizzazioni
politiche
dell’acqua
in
un
Medio
Oriente
in
tempesta
di
Eugenia
Ferragina
2
Avvertenza
In questo Quaderno sono contenuti i risultati del primo anno di una ricerca
promossa dall’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” finalizzata a dare vita ad un possibile
Il Quaderno racchiude dunque una serie di saggi di autori indipendenti, dedicata ai
L’immagine di copertina è una copia moderna della Tabula Rogeriana che fa parte
dell’opera “La delizia di chi desidera attraversare la terra” commissionata, intorno al
1138, dal re normanno Ruggero II di Sicilia al geografo arabo Al Idrisi.
3
Matteo
Pizzigallo
Siria
1. In quasi cinque anni di sanguinosa guerra civile sul campo, un dato è emerso con
grande evidenza: il variegato fronte delle forze combattenti di opposizione al regime
Saudita, Qatar e Turchia in testa) non è stato in grado di abbattere Assad.
Nel corso degli ultimi cinque anni e fino a qualche settimana fa, in nessuna delle sue
contrasti, divisa sull’analisi delle cause e dei rimedi della crisi siriana, non era riuscita
agire sulla scena siriana in modo unilaterale, seguendo i pochi e non sempre
concordanti, cartelli indicatori rimasti in piedi sul terreno di scontro della guerra
civile, per individuare e selezionare fra le forze belligeranti gli interlocutori più
riservati. In tal modo, al di là delle stesse intenzioni dei protagonisti esterni e interni,
la guerra civile si è incrudelita giorno dopo giorno, senza via d’uscita prevedibile, al
di là di certe affrettate valutazioni di alcuni analisti occidentali troppo condizionati
da schemi ideologico-‐concettuali e, soprattutto, al di là dei contrastanti proclami e
Dopo il definitivo fallimento, nel febbraio 2014, della tanto attesa Conferenza di
Ginevra 2, che tante speranze aveva suscitato, la crisi siriana, come una sorta di
oscura entità, proveniente dalla grande galassia del terrorismo islamico, ha subito
trovato terreno fertile e ampi spazi di manovra nel desolante scenario di guerra
ragione della loro appartenenza etnica e religiosa. Nei mesi successivi, in tutta l’area
(fragile ed inaffidabile nonostante gli ingenti aiuti americani) per combattere le nere
coalizione” anti-‐Is (oltre quaranta Paesi cui si è poi aggiunta anche la Turchia, più
impegnata però nella “sua” guerra parallela ai curdi del PKK) a riluttante guida
militare.
Per quasi tutto l’anno appena trascorso, nelle varie sedi internazionali ed ai vari
livelli, si è assistito ad una sorta di frenetico attivismo compulsivo che, di riunione in
riunione, di vertice in vertice, di negoziato in negoziato, di fatto ha finora prodotto,
questioni sul tappeto, dilatando così tempi e decisioni, alla vana ricerca di condivise
diplomatiche e delle liturgie dei summit, nella martoriata Siria la guerra continuava,
Per quasi tutto l’anno appena trascorso, sullo sfondo del sempre più acceso scontro
politico-‐religioso fra le ambiziose potenze regionali sunnite e l’Iran sciita con i suoi
alleati siriani e libanesi per il predominio dell’area, sui campi di battaglia siriani ed
geometria variabile e di accordi spesso inconfessabili in cui cambiavano gli obiettivi
e talvolta anche i nemici, scelti e colpiti con finalità non sempre coerenti con quelle
più generali professate dalla coalizione anti Is. Tutti contro tutti: quel che resta
Peshmerga curdi e infine i russi che con impiegando anche truppe di terra, negli
ultimi mesi del 2015, hanno cambiato il corso delle cose in Siria.
Mediterraneo, cui si erano subito allineati alcuni Paesi europei, imperniate: da un
lato sul “pregiudizio” ideologico anti-‐russo (acuito dalle ripercussioni della crisi
ucraina) e dall’altro sulla “pregiudiziale” della caduta del regime alawita di Assad
motivazioni diverse, sono stati deliberatamente tenuti ai margini del problema nel
erano direttamente coinvolti sul piano politico e su quello dell’assistenza militare.
Da tempo osmed.it ha più volte insistito sulla necessità che Iran e Russia, essendo
anche della soluzione, a prescindere da quello che potrà essere il futuro personale
dello stesso Assad, la cui caduta peraltro è stata, per troppe volte, invano
annunciata per scopi propagandistici da autorevoli statisti internazionali nonché da
delle forze armate e del litorale siriano dove, da oltre quarant’anni è ospitata la base
negli ultimi mesi del 2015, due “fatti” nuovi hanno più o meno indirettamente
siriana incanalandola in direzione di una sua “diplomatizzazione” allargata a tutti gli
Attori statuali e non coinvolti. Ma procediamo con ordine. Il primo “fatto” nuovo è
l’Accordo sul nucleare iraniano firmato, dopo due anni di intenso negoziato, il 14
luglio 2015 e che rappresenta una svolta storica nelle relazioni fra Stati Uniti e Iran
dalle Parti a voler sottolineare la mera portata tecnica, gli effetti politici dell’Accordo
stanno però già influenzando e sempre più influenzeranno il futuro assetto del
Medio Oriente.
nell’Accordo, ad essere temuta dai suoi maggiori detrattori, Arabia Saudita in testa,
che, attraverso il Consiglio di Cooperazione del Golfo, guida le altre petromonarchie
del Golfo.
nel mercato energetico in una condizione paritaria (grazie alla eliminazione delle
Tra gli effetti più immediati dell’accordo, infatti, c’è non solo la rimozione delle
livelli tradizionali, ma anche la possibilità di investire e attrarre risorse per sviluppare
potenzialità.
Ma ai fini del nostro discorso va soprattutto ricordato che, piaccia o non piaccia alle
Petromonarchie sunnite, allo storico Accordo sul nucleare è di fatto collegata anche
la fine del forzato isolamento internazionale dell’Iran che, come peraltro da tempo
3. Fra i protagonisti del Vertice di Vienna menzione particolare va soprattutto fatta
dei
russi
il
cui
sempre
più
massiccio
coinvolgimento
nella
guerra
civile
siriana,
su
9
esplicita
richiesta
dell’alleato
Assad,
è
stato
il
secondo
“fatto”
nuovo
dell’ultimo
scorcio del 2015 cui dianzi facevo riferimento. Infatti, i russi, che in tutte le sedi
internazionali non avevano mai fatto mancare ai siriani il loro aperto sostegno
postazioni dei “nemici” del presidente Assad, sostenuti, invece, dalla variegata
tutti riconducibili alla nuova offensiva stragista pianificata dall’Is, hanno fatto
compiere un salto di qualità nella risposta comune al terrorismo, costringendo tutti
costruire il consenso di tutti gli Attori statuali e non interessati. Anche a costo di
iraniano, pronto a riprendere l’antico duro confronto fra sunniti e sciiti per
l’egemonia religiosa, politica ed economica dello scacchiere mediorientale, non era
militare
sul
fronte
siriano
(con
quelle
truppe
di
terra
che
nessun
alleato
della
10
coalizione
a
guida
occidentale
ha
avuto
finora
il
coraggio
di
inviare),
malgrado
il
E così, con buona pace delle ambiziose potenze regionali sunnite a cominciare dalla
più ampia e più inclusivista, sia nella cornice del secondo Vertice di Vienna del 14
novembre 2015, sia nella naturale cornice del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite del 18 dicembre, ha imboccato la via della diplomatizzazione della crisi siriana
sunnita, finalizzato alla formazione, entro sei mesi, di un governo di unità nazionale
4. La fragile cornice politica, costruita faticosamente, pezzo dopo pezzo, attraverso
le sofferte decisioni assunte a Vienna e a New York nell’ultimo scorcio del 2015,
superare resistenze e diffidenze per concentrare gli sforzi e l’impegno di tutti sul
Ma ora, prima di entrare in una dimensione predittiva ed avanzare qualche ipotesi
sulla Siria che verrà, mi sembra opportuno richiamare l’attenzione su alcuni possibili
ostacoli che potrebbero rendere più ardua la missione di Staffan de Mistura. Anche
perché la road map concepita negli accordi di Vienna (la cui tenuta peraltro è ancora
stata accolta e percepita con modalità e sensibilità diverse dai vari Paesi firmatari
degli Accordi stessi. Infatti, la road map per la Siria è stata accolta con sincero
ambiziose potenze regionali (Turchia in testa), l’hanno invece percepita come una
soluzione maturata in seno al ritrovato dialogo fra le Potenze globali, cui era
costringendoli: non solo a rivedere i loro “strani” rapporti intrattenuti con le milizie
della variegata galassia jihadista siriana; ma anche e soprattutto a ridimensionare la
profondità strategica di certi ambiziosi progetti di egemonia regionale. Ma, come ho
già
detto,
i
ben
noti
più
gravi
problemi,
che
possono
maggiormente
complicare
la
12
exit
strategy
dall’inferno
siriano
concepita
a
Vienna,
derivano
dagli
effetti
collaterali
indesiderati prodotti dai recenti accordi sul nucleare iraniano fortemente voluti dagli
Stati Uniti. Infatti, il “ritorno” dell’Iran nel ruolo di grande competitore sciita sul
regionale imperniato sul primato dell’Arabia Saudita culla del wahabismo sunnita. E
avvenimenti dei primi giorni del 2016, è salita in maniera vertiginosa, creando
immediatamente mobilitati gli Stati Uniti, la Russia e l’Onu che hanno messo in
campo tutto il peso dei loro persuasivi consigli e ammonimenti. Non sarà facile, ma
nemmeno impossibile fare abbassare i toni. Certo, l’accumulo di tensione fra Arabia
milizie, che i due Paesi hanno combattuto nei campi di battaglia siriani. Certo gli
interessi petroliferi in gioco sono enormi e non è escluso che, nel breve periodo per
tensione fra i due Paesi registri qualche ulteriore picco. Ma si può ragionevolmente
prevedere
che,
sia
pur
in
maniera
graduale,
la
diplomatizzazione
forzata
della
crisi
13
possa
prevalere.
In
questa
fase,
né
alle
potenze
globali,
né
alle
stesse
potenze
risultati catastrofici per tutti, a cominciare proprio dagli stessi Iran e Arabia Saudita.
Più complessa è la previsione per la Siria che verrà, cui questo saggio è dedicato.
americana più o meno coordinata sul campo con la “piccola” coalizione a guida
russa, insieme, riusciranno, in un tempo non certo breve e non senza dolorose
e più difficile la dimensione politico-‐religiosa), gli uomini neri del Califfato, liberando
finalmente le città siriane ed irakene a lungo sottoposte ad una dura occupazione.
Qualche perplessità suscita invece non tanto l’avvio e la praticabilità della road map
siriana decisa a Vienna dalla Comunità internazionale, quanto piuttosto la sua stessa
possibilità di raggiungere l’approdo prefissato e, più in generale, la tenuta stessa del
progetto di restaurazione unitaria della Siria. Al di là della buona fede, della volontà
e del costruttivo impegno che in futuro profonderanno tutti gli Attori, statuali e non,
ai vari livelli coinvolti nella crisi siriana, a me pare che la “soluzione” immaginata
dalla Comunità internazionale rifletta, per così dire, una sorta di coazione a ripetere
solito modello a schema fisso: creazione più o meno forzata di un Governo di unità
parlamentare, redazione di una nuova Costituzione. Ma questo algoritmo applicato
siriano. La guerra civile in Siria ha provocato centinaia di migliaia di morti, milioni di
profughi, distruzioni, tanta violenza e tanto dolore, che hanno creato una pesante
pacificazione e di unità nazionale, quantunque sorretto da una forte volontà politica
e, soprattutto, da un ampio consenso internazionale garantito, in primo luogo dalle
stesse Potenze globali. Dopo cinque anni di violenza diffusa e di guerra senza pietà
non sarà facile, nel breve periodo, ricomporre le profonde lacerazioni e tentare di
rimettere insieme in una prospettiva unitaria quel che resta della società civile e dei
contrapposti gruppi confessionali siriani sia sciiti che sunniti. Va, infatti, ricordato
che la prevedibile sconfitta militare, ripeto, solo militare dell’Is, non determinerà,
polverizzato e cancellato i confini di Siria e Iraq (così come erano stati tracciati sulle
carte
geografiche,
non
certo
nell’interesse
delle
varie
popolazioni
locali,
dalle
15
Potenze
europee
all’indomani
della
dissoluzione
dell’Impero
ottomano
sconfitto
quelle componenti locali che si sono impegnate direttamente nella stessa guerra
In conclusione, pur consapevole di tutti i rischi che l’operazione comporta quando ci
si avventura nell’insidioso mare aperto delle analisi predittive, direi che (al di là della
buona volontà delle parti) la road map siriana presenta non pochi elementi oggettivi
cantiere un piano sostitutivo che contempli la nascita in Medio Oriente di “nuove”
entità statuali più marcatamente identitarie. Nuove entità statuali che potrebbero
nascere per separazione o per scissione multipla dei vecchi Stati, come Iraq e Siria,
complessivo del Medio Oriente presidiato dalle Nazioni Unite e che garantisca i
diritti e le legittime aspirazioni di tutti senza pregiudiziali ideologiche e religiose.
16
Alessandra
Frusciante
Libano
perturbato. La sua apparente e molto relativa stabilità non deve essere data per
contenimento del contagio della crisi siriana ma non ha potuto limitarne alcune
sicurezza) che, di fatto, stanno paralizzando il Paese da almeno tre anni. In questo
dal maggio del 2014, e il Parlamento, che doveva essere rinnovato nel maggio del
2013, dopo numerosi rinvii, ha esteso la propria legislatura fino al 2017.
Dal punto di vista dell’analisi del quadro economico, è evidente quanto la crisi
siriana abbia influenzato le prospettive di sviluppo del Paese; nel periodo 2007-‐
2010, il Pil del Libano cresceva con una media dell’8 per cento, dal 2012 in poi il dato
ha cominciato ad abbassarsi fino al +2 per cento del 20141. L’unico settore che non
ha subito gli effetti del caos regionale è quello dell’attività delle banche,
1
Sito
web
infomercatiesteri.it,
Libano,
aggiornato
al
9/10/2015.
17
libanese”
e
ai
depositi
dei
siriani
benestanti
che
già
prima
della
guerra
facevano
quello del turismo e quello delle costruzioni, entrambi contribuiscono con una
anche il debole settore della produzione industriale, sono dovute alla mancata
copertura del fabbisogno energetico nazionale eppure, al largo delle coste libanesi,
politico-‐istituzionale non riesce ancora ad essere sfruttato. La questione energetica
è molto rilevante all’interno del dialogo nazionale, ad esempio, una sua soluzione
potrebbe giovare a Hezbollah, radicato proprio nel Libano del Sud, al confine con
l’impasse politica, fino ad ora, ha impedito perfino l’affidamento delle trivellazioni di
studio. È chiaro che le decisioni relative allo sfruttamento del Leviathan possono
avere ripercussioni sulla futura posizione internazionale del Libano e, finché l’intera
regione sarà instabile e polarizzata, sarà difficile che la classe dirigente riesca a
giacimento di gas individuato al largo delle coste della Striscia di Gaza2; si tratta di
un piano che, peraltro, rischia di contribuire a sconvolgere nuovamente i già fragili
equilibri regionali.
2. Sul piano politico interno, non c’è dubbio che la crisi siriana abbia prodotto i suoi
effetti nefasti, anche se si sono rivelati più circoscritti di quanto molti analisti
temessero. Le principali coalizioni, che dominano la scena politica libanese dal 2005,
infatti, si distinguono fra loro, non tanto per i tradizionali motivi confessionali, ma
dall’impasse, devono affrontare, tra gli altri, tre nodi principali: trovare un accordo
sulla legge elettorale, sulla modifica costituzionale del Patto nazionale del 1943 e
meno
capace
di
rispondere
alle
necessità
del
Paese,
persino
a
quelle
di
ordinaria
2
M.
Pompili,
“Leviathan,
il
ricco
giacimento
di
idrocarburi
che
infiamma
i
rapporti
tra
Libano
e
Israele”,
Eastonline,
(modificato
il
9
marzo
2015).
Disponibile
all’indirizzo:
http://www.eastonline.eu/it/opinioni/open-‐doors/leviathan-‐il-‐ricco-‐giacimento-‐di-‐idrocarburi-‐
che-‐infiamma-‐i-‐rapporti-‐tra-‐libano-‐e-‐israele.
19
amministrazione,
come
ad
esempio
la
gestione
dei
rifiuti
nella
capitale
che,
anche come “You stink”, “voi puzzate”), che chiedono la convocazione immediata di
nuove elezioni. Dalla metà di luglio fino ad oggi, dopo la chiusura della discarica di
Naamé, il Governo non è riuscito a trovare una soluzione strutturale per raccogliere
Sukleen, l’azienda che da qualche decennio si occupa, da monopolista, della raccolta
dei rifiuti in diverse zone del Libano, vicina all’ambiente imprenditoriale della
famiglia Hariri3, sembra aver peggiorato la situazione dal momento che la politica si
ad altre aziende.
proteste a Beirut per il problema della spazzatura c’è in realtà un piccolo paese
arabo4”, riferendosi al Qatar e allo straordinario dispiegamento di mezzi e giornalisti
scontro
tra
le
due
coalizioni
sulle
nomine
di
alcune
alte
cariche;
nel
mese
di
3
Sito
web
Agenzia
Nova,
“Libano:
premier
Salam
su
crisi
dei
rifiuti,
proteste
sono
‘andate
troppo
oltre’”,
19
settembre
2015.
4
Sito
web
Agenzia
Nova,
“Libano:
ministro
Interno
al
Mashnuk,
dietro
recenti
proteste
c’è
un
piccolo
paese
arabo”,
2
settembre
2015.
20
settembre
del
2015,
infatti,
ogni
tentativo
di
risolvere
la
questione
nell’aula
parlamentare è stato boicottato con assenze programmate da parte di Hezbollah e
dei cristiani del generale Aoun per far cadere il numero legale.
3. A monte della difficoltà riscontrata dalla classe dirigente libanese, nella soluzione
dei nodi del Paese, c’è senza dubbio il coinvolgimento più o meno diretto della
stessa nella crisi siriana. Hezbollah con il suo potentissimo esercito ha sostenuto
apertamente le operazioni militari di Assad, mentre alcuni dei partiti sunniti hanno
L’emergere del Califfato come nuovo e aggressivo soggetto politico nella regione,
difendere il territorio del Paese dalle mire espansionistiche jihadiste che puntano, in
particolare, a conquistare Tripoli, importante città portuale che vive da trenta anni
continue tensioni, di varia intensità, a causa della profonda divisione tra la comunità
La ripresa del “dialogo nazionale”, nel corso del 2015, è sicuramente un segnale
positivo, dal momento che i leader dei partiti delle due coalizioni non avevano
5
“Proprio
per
la
consistente
presenza
di
sunniti,
in
particolare
di
salafiti,
Tripoli
viene
considerata
la
città
più
conservatrice
e
religiosa
del
Libano;
inoltre,
mentre
la
comunità
cristiana
si
è
progressivamente
ridotta,
la
comunità
sunnita,
ha
ingrossato
le
sue
fila,
prima
nel
2007
con
l’arrivo
dei
palestinesi
di
Nahr
el
Bared
(dopo
l’assedio
di
tre
mesi
e
i
bombardamenti
del
campo
da
parte
dell’Esercito
libanese
per
reprimere
le
attività
del
gruppo
qaedista
Fatah
al-‐Islam)
e,
negli
ultimi
due
anni,
con
l’arrivo
dei
profughi
siriani”.
A.
Frusciante,
Quaderni
Mediterranei
n.2/2014,
disponibile
all’indirizzo:
http://www.osmed.it/quaderni/quaderni-‐mediterranei-‐n-‐2-‐2014.
21
colloqui
ufficiali
dal
novembre
2012,
quando
l’allora
presidente
Michel
Suleiman
aveva proposto di porre le potenti milizie del Partito di Dio sotto il controllo
tutte le forze in campo nell’estate precedente, che impegnava tutti i partiti a fare in
modo che il Libano non venisse coinvolto nella crisi siriana), è caduta con l’annuncio
da parte del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il 25 maggio 2013,
Nasrallah, dunque, ha posto definitivamente fine alla neutralità, ormai meramente
Nel 2015, come si diceva, c’è stata una ripresa del “dialogo nazionale” col fine di
porre fine alla crisi politico-‐istituzionale, ormai da tempo insostenibile, ma che forse,
non senza sottolinearne le gravi ricadute sulla vita economica e sociale della
popolazione, potrebbe essere riconosciuto come uno dei fattori che hanno
Nel corso degli ultimi mesi, forti sono state le pressioni internazionali per spingere i
Repubblica, dall’Onu agli Stati Uniti, tutti concordano che si tratterebbe di un primo
Il primo ministro Salam Tammam, che è stato, in quest’ultimo anno, più volte
ministro della cultura nel Governo di Fuad Siniora, vicino alla coalizione del 14 marzo
ma che vanta anche ottimi rapporti con la coalizione 8 marzo, ha impiegato quasi un
anno per formare il suo Governo che ha visto la luce il 15 febbraio 2015.
dichiara di condividere con i giovani di “You stink” l’auspicio della fine del
settarismo, a suo giudizio causa dell’impasse del Paese, e allo stesso tempo chiede
l’accordo degli Attori esterni, Russia e Stati Uniti, Iran e Arabia Saudita, per la
soluzione della crisi siriana perché una volta risolta, “quella libanese richiederà
molto meno sforzo”. Ad ogni modo, la questione più urgente per il Paese è, a suo
avviso, l’elezione del presidente della Repubblica, in assenza della nomina della più
alta carica dello Stato, ogni decisione politica è subordinata al ricatto settario e
persino la scelta delle dimissioni diviene una sorta di trappola, proprio perché
secondo la Costituzione se il premier dovesse dimettersi non c’è “nessuno che può
maronita, candidato presidente della Repubblica per la coalizione 8 marzo, dal suo
canto,
durante
il
terzo
round
del
“dialogo
nazionale”
del
22
settembre,
propone,
6
Lally
Weimouth,
“Lebanon’s
prime
minister:
we
are
heading
toward
a
breakdown”,
The
Washington
Post,
18
settembre
2015,
disponibile
all’indirizzo
https://www.washingtonpost.com/opinions/lebanons-‐prime-‐minister-‐we-‐are-‐heading-‐toward-‐a-‐
breakdown/2015/09/18/6c743c94-‐5c97-‐11e5-‐9757-‐e49273f05f65_story.html.
23
invece,
la
soluzione
della
questione
della
legge
elettorale
al
fine
di
sbloccare
l’impasse.
La riunione successiva del 7 ottobre ha lasciato soddisfatto il generale cristiano che
ha incassato il sostegno del leader del Partito socialista, Walid Jumblatt, alla sua
candidatura; sul fronte della coalizione 14 marzo, invece, il candidato ufficiale resta
ancora Samir Geagea capo delle Forze Libanesi, partito cristiano ferocemente anti-‐
cittadini, per protestare contro le precarie condizioni igienico-‐sanitarie (dovute alla
crisi dei rifiuti), per invocare nuove elezioni e la fine del settarismo. Oltre a “You
mobilitazione, è per ora marginale; sono ancora i partiti, infatti, ad avere la maggior
parte del consenso fra i libanesi, anche se è da segnalare che, in linea con la lunga
tradizione del consociativismo, si registrano da parte degli stessi partiti tentativi di
coalizione 14 marzo, poi passato alla 8 marzo nel 2011, ha provato a mediare fra le
24
due
fazioni,
recandosi
anche
a
Riad
per
incontrare
il
re
Salman
e
Saad
Hariri
che
Sul finire di ottobre, sono trapelati i termini di un possibile accordo fra le coalizioni:
una legge elettorale proporzionale; a questo ipotetico scambio, però, sono legate
altre intricate questioni, la gestione dei rifiuti, la gestione delle licenze per
consistenza demografica con la crisi siriana ancora aperta. Gli equilibri mediorientali
sono ancora instabili e la questione dei nuovi bacini, ancora marginale, rischia di
compromettere quelli che vanno delineandosi. I leader politici libanesi, che hanno
continuato a partecipare alle sessioni del “dialogo nazionale”, tra boicottaggi e veti
Nella prima metà di novembre, dopo l’ennesimo nulla di fatto alle sessioni del
dialogo nazionale, i leader maroniti, delle opposte fazioni, anche grazie alle pressioni
comuni per provare a sbloccare l’impasse, tra queste l’approvazione della legge
Dopo l’attentato nel quartiere sciita di Beirut, che ha causato la morte di 43 persone
e
il
ferimento
di
altre
200,
rivendicato
dall’Isis,
le
attività
politiche
sembravano
aver
7
Sito
web
Agenzia
Nova,
“Libano:
leader
druso
Jumblatt
in
visita
a
Riad,
colloqui
con
re
Salam
e
Hariri”,
15
ottobre
2015.
25
avuto
una
spinta
maggiore
e
l’ultima
sessione
di
dialogo
novembrina
si
era
chiusa
con l’istituzione di una Commissione interparlamentare di 10 membri con il compito
Nel frattempo, anche con la benedizione della Francia, da sempre vicina ai maroniti
Suleiman Franjieh, che avrebbe, oltre a quello del Movimento Futuro di Hariri, anche
candidatura ha sollevato non pochi malumori fra i vari gruppi politici cristiani,
(Movimento Patriottico Libero, Forze Libanesi e il Partito del Kataeb) tra loro avversi,
che nel respingerla hanno fatto fronte comune. Tra i motivi di divergenza, il fatto
condanna dell’uccisione di un dirigente druso di Hezbollah in Siria (Samir Kuntar) in
comunità sunnita.
4. I primi giorni del 2016, invece, con l’acuirsi della “guerra fredda” fra Iran e Arabia
Nella trentaquattreesima sessione per l’elezione del presidente della Repubblica del
7 gennaio scorso, infatti, Suleiman Franjieh, su cui sembrava esserci una discreta
base di accordo, non ha ottenuto il consenso, venendo meno il numero legale, ed è
ormai scemato il senso della sua candidatura. La prossima sessione è prevista per l’8
finire dello scorso anno, sembrano star venendo meno. La Lega Araba che, compatta
(ad eccezione del Libano), ha condannato Teheran per ingerenza negli affari interni
degli Stati e tacciato Hezbollah di essere una forza terrorista, non lascia molte
speranze per una distensione nel breve periodo e quindi per la soluzione
In questo quadro, uno dei pochi elementi di stabilità è la missione Unifil 2, a guida
Israele. Nei fatti, Unifil 2, non solo assolve il mandato internazionale specifico, ma si
pone come facilitator del dialogo fra le varie confessioni ed è percepita dai libanesi
del Sud come testimone obiettivo delle violazioni di Israele al confine.
Sul fronte della crisi siriana, il graduale riconoscimento, anche se non ufficiale e
soprattutto non ostentato (avvenuto negli ultimi mesi del 2015, anche grazie agli
effetti dell’accordo sul nucleare iraniano), ad Assad di un ruolo nella transizione del
Paese,
ha
allentato
la
tensione
nelle
zone
di
confine,
permettendo
il
raggiungimento
27
di
un
accordo
per
il
cessate
il
fuoco
a
Zabadani,
dove
le
milizie
di
Hezbollah
da
tempo sono impegnate in un confronto aspro con i ribelli e i jihadisti per allontanare
molto debole e sempre suscettibile di compiere passi indietro, si deve oltre che
gestione della crisi), ormai riabilitato dall’accordo sul nucleare, soprattutto alla
Russia. Il Governo di Mosca, infatti, se da un lato sostiene militarmente l’esercito di
Assad, dall’altro, sul fronte diplomatico, sta contribuendo a tener fuori Israele dalla
guerra e, nonostante le frizioni più e meno gravi con la Turchia, sta portando avanti
un progetto sui nuovi giacimenti offshore che dovrebbe spingere a cooperare, nel
medio periodo, sulla base del comune interesse economico, Paesi oggi rivali.
Le riforme costituzionali libanesi non potranno però prescindere dagli sviluppi della
dell’area. Diversi sono gli scenari che potrebbero delinearsi nei prossimi anni, e tutti
come l’evolversi della crisi siriana e l’espansione del Califfato. Da un lato la minaccia
rappresentata dall’Isis può spingere i principali leader politici a trovare una soluzione
nei prossimi mesi e, inoltre, i nuovi movimenti popolari nati dall’esasperazione della
società civile per la stagnazione economica, che perdura da alcuni anni, potrebbero
libanese considerata, forse erroneamente, tra le principali cause dell’instabilità del
relativamente brevi, il Libano potrebbe più facilmente seguire le sorti della Siria e tra
smembramento di alcuni degli Stati della regione in piccole entità più omogenee dal
punto di vista etnico-‐confessionale. Allo stato attuale, però, per il Paese dei Cedri
sono ancora aperte tutte le strade, e non è detto che la sua dissoluzione sia una
alternativa praticabile proprio perché, come si dice da quelle parti, “in Libano, ogni
volta che ci si trova faccia al muro, il muro si sposta”.
29
Valentina
Mariani
Egitto
1. Come noto, a partire dal gennaio 2011, l’Egitto è entrato in una fase di importanti
immediatamente nelle mani delle Forze Armate, da sempre il vero perno del sistema
politico egiziano, il cui potere non sarà scalfito dalla successiva parentesi
democratica che vedrà Mohamed Morsi giurare in veste di quinto presidente della
cambiamento, destinate a rimanere lettera morta dopo appena 13 mesi quando, in
una giornata raccontata dai media di tutto il mondo, il capo delle Forze Armate
egiziane, Abd al Fattah al Sisi, annuncerà la sospensione della Costituzione del paese
(Luglio 2013).
Come prevedibile, nonostante al Cairo si festeggi la deposizione di Morsi e si cominci
a parlare del ruolo dell’esercito nel “nuovo” Egitto, il clima sarà caratterizzato per
mesi da continue tensioni e scontri, e presto si entra nel 2014, l’anno delle elezioni
guida ideologica e leader de facto del paese già dal luglio del 2013, che sarà eletto
sesto Presidente della Repubblica Araba d'Egitto, il 28 maggio 2014.
30
Le
modifiche
propedeuticamente
approntate
nella
legge
elettorale,
una
percentuale
di votanti del 47% circa e le modalità non del tutto trasparenti attraverso le quali si
sono svolte le elezioni, nonostante quanto affermato dagli Osservatori UE, hanno
opposizione, limitando la libertà di stampa e permettendo l'arresto degli oppositori
politici in nome della stabilità e della lotta al terrorismo, e hanno dato piena facoltà
Parlamento eletto fu sciolto da un tribunale nel 2012), giudiziario e militare.
Il sistema politico instauratosi dal giugno 2014, dunque, vedrà uno schieramento
dominante di carattere indipendente facente capo allo stesso al Sisi, i cui primi mesi
di governo (il quarto “militare” dopo Mubarak) sono stati caratterizzati dagli annunci
in merito alle riforme necessarie all’Egitto, come quella del sistema dei sussidi per il
meno dai Paesi del Golfo persico. La situazione ereditata da al Sisi è sicuramente
rafforzare.
2. Diversi osservatori internazionali si sbilanceranno ad affermare (a ragione) che, se
Il piano del Presidente per far fronte ai problemi economici egiziani prevede,
dal governo per creare nuove aree di sviluppo e nuovi posti di lavoro, tra le quali
nonché probabili introduzioni di misure di controllo sui prezzi di alcuni beni.
connesso, a partire dal 2014, all’evidente cambio di strategia all’interno delle azioni
vecchi metodi propri della “prima Isis” di Abu Musad al Zarqawi, il cui obiettivo
primario era il turismo straniero al fine di mettere in ginocchio l’economia del paese
colpito.
Proprio ciò che accadrà e continua, tutt’ora, ad accadere in Egitto8.
L’attacco ad un bus di turisti coreani sul valico di Taba del febbraio 2014, un
attentato al museo islamico del Cairo, oltre ad altre azioni e minacce relative a zone
del Mar Rosso, porteranno molti analisti a vedere questo cambio di strategia
terroristica come il colpo di grazia ad un’industria già in crisi. “Dopo gli attacchi
costanti
dei
primi
mesi
del
2014,
il
turismo
era
già
gravemente
ferito”
-‐
scrive
in
un
8
L’ultimo
attacco
kamikaze
è
stato
al
Resort
Bellavista
ad
Hurgada,
nei
primi
giorni
di
gennaio
2016.
32
editoriale
Mohammed
Khairat,
fondatore
del
portale
di
informazione
Egyptian
streets -‐ “Con questi ultimi attacchi ci sono gli estremi per dire che il turismo nel
La dimensione terroristica va dunque sempre ricordata come sottintesa agli eventi
di questi ultimi anni, e non va mai dimenticato neanche lo scorrere in parallelo delle
vicende in Siria e in Libia, paesi che hanno condiviso la “primavera araba” con
l’Egitto.
L’Egitto dei primi mesi di governo del Generale al Sisi, dunque, sembrerebbe
internazionale.
Giova ricordare, tra l’altro, che il paese ospita al Cairo il quartier generale della Lega
Araba e i suoi buoni rapporti con Israele fanno sì che l’Egitto faccia spesso da
mediatore nei conflitti interarabi. Anche per questo, il paese gode delle simpatie del
mancanza di norme e di concorrenza), ma anche grazie all’apertura verso Israele e al
Generale al Sisi (2013 -‐ 2015), va ricordato che la strategia di rottura con l’URSS,
scelta
dal
presidente
Sadat
negli
anni
’70,
aveva
conosciuto
un’inversione
di
33
tendenza
con
Mubarak
(addestrato
come
pilota
nelle
accademie
sovietiche)
a
partire dagli anni ’80, raffreddandosi, poi, di nuovo, nel 2005, con il rifiuto di
Il 2011 e gli eventi della Primavera araba, la caduta di Mubarak e l’ascesa al potere
Cremlino, che ha mirato da subito al mantenimento di buoni rapporti con l’Egitto.
Nel 2013, l’incontro avvenuto fra Putin e Morsi ha invertito nuovamente la rotta,
dando vita ad una importante collaborazione in campo energetico e nucleare, mossa
nuova leadership militare egiziana di al Sisi decide la fine del supporto dei ribelli
anti-‐Assad. A questo, si è aggiunta la decisione degli USA di sospendere l’assistenza
dollari annualmente devoluti all’Egitto dopo gli Accordi di Camp David del 1979.
Dopo aver rifiutato una serie di inviti a visitare gli USA, scegliendo di far visita ad altri
paesi come la Russia, dunque, al Sisi volerà comunque a New York, in occasione
della 69a Assemblea Generale delle Nazioni Unite (settembre 2014); ma le regole
del gioco sono molto cambiate. L’Egitto inizia ad espandere la sua rete di relazioni
con
partner
non
convenzionali
come
la
Cina
e
l’India
e
l’accordo
per
la
pace
mediato
34
dall’Egitto,
che
ha
arrestato
l’attacco
di
Israele
a
Gaza,
rientra
proprio
nelle
nuove
Il Cairo ha dimostrato, tra l’altro, di avere la maggiore influenza nella regione, cosa
che aspiranti potenze come il Qatar non potranno mai avere.
Per quanto concerne i rapporti con gli USA, il Segretario di Stato americano, John
Kerry, visiterà più volte il paese dall’insediamento di al Sisi congratulandosi con lui
l’aspetto militare del suo aiuto. Ma la preoccupazione per il blocco degli aiuti
americani non farà neanche a tempo a formarsi nelle menti dei generali egiziani che
confronto agli aiuti americani ed europei combinati. I sauditi offrono la quota più
bancari. L’ascesa dei militari era un esito molto atteso a Riad. Sul Monde
Diplomatique, Alain Gresh descrive l’esistenza di una presunta garanzia offerta dai
Said ai militari di al Sisi: aiuti immediati in cambio della rimozione dei Fratelli
Musulmani dal potere e di un trattamento migliore per l’ex presidente Mubarak agli
Solo nell’agosto 2015, gli Stati Uniti e l'Egitto riprenderanno formalmente i colloqui
di sicurezza che erano stati interrotti prima della Primavera Araba. A segnare la
ripresa
dei
rapporti
la
visita
al
Cairo
del
segretario
di
stato
americano
John
Kerry
che
35
ha
così
riaperto
il
cosiddetto
"dialogo
strategico",
interrotto
dal
2009.
Nelle
parole
di
Seguendo quella che sembra essere una strategia ormai ben consolidata di massima
alla Russia. Già nel novembre 2013, in una storica visita al Cairo fra Ministri degli
Esteri e della Difesa dei due paesi, veniva firmato un memorandum del valore di
equipaggiamenti militari nel corso di tre anni. Il 12 agosto 2014, poi, il neo
presidente al Sisi incontrerà il Presidente Putin, a Sochi, in Russia, a seguito della sua
prima visita ufficiale della Federazione Russa in qualità di presidente eletto. Alla fine
oltre a valutare l’istituzione di un centro logistico a Masri, sulle coste del Mar Nero.
Decisa, inoltre, la fornitura di oltre 5 milioni di tonnellate di grano russo all’Egitto e
l’aumento del 30% delle importazioni di prodotti agricoli egiziani: primo passo nella
ricerca di fonti alternative di approvvigionamento per aggirare l’embargo post-‐crisi
ucraina.
Il 9 febbraio 2015 Putin ricambierà la visita in Egitto dove non si recava da oltre dieci
anni. Al termine della sua visita al Cairo, Putin donerà un kalashnikov Ak-‐47 ad al Sisi
“cooperazione
militare”
con
la
Russia.
Nella
conferenza
stampa
congiunta,
Putin
e
al
36
Sisi
avevano
già
annunciato
anche
l’intesa
raggiunta
per
creare
zone
di
libero
commercio ed un nucleo industriale in Egitto (dove già operano circa 400 aziende
russe), investimenti nel settore energetico (tra cui il gas), un rilancio della
Tour Operator occidentali si imbarcheranno alla volta di Marsa Alam per partecipare
all’evento “United For Egypt”, organizzato mercoledì 11 giugno 2014 presso l’Hotel
pretendono per decidere di tornare a volare verso le coste del Sinai: sembra essere
questo il motto del convegno. Sicurezza, che è stata annunciata tra gli obiettivi
Il grande evento dell’11 giugno a Port Ghalib ha visto anche la presenza dei maggiori
tour operator italiani, anch’essi direttamente interessati ad una tempestiva ripresa
dell’industria turistica egiziana. Il Ministro del Turismo egiziano Zaazou, intervenuto
l’immagine del paese all’estero: “L’obiettivo è quello di far rinascere il turismo e fare
mira a creare stabilità e progresso entro i prossimi tre anni”. Certo, le turbolenze e
presidente egiziano”.
l'ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, dopo aver incontrato al Cairo la sua controparte
che “L'Egitto è un elemento strategico fondamentale per la stabilità della regione e
la sicurezza del Mediterraneo", dal Canale di Suez, per le importazioni dal Pacifico,
alla Libia. "C'è la volontà dell'Italia di fare il massimo affinché il Paese possa
anche nel campo dell'immigrazione illegale", continua Binelli. Esiste, inoltre, tra i
due Paesi una preoccupazione comune per l' Is, per cui è necessario "condividere le
Agli inizi di settembre 2015, poi, dopo mesi di scambi e relazioni costanti fra i vertici,
Carlo Calenda, il viceministro con delega per il Commercio estero, volato in Egitto
governo, l’interscambio italiano ha avuto un enorme impulso». L’Egitto oggi è fra i
più importanti mercati italiani in Africa (nel 2014 l’interscambio è stato pari a 5,180
miliardi di euro, e vale l’8 per cento dell’export egiziano) e a questo si aggiungerà la
uno dei più grandi giacimenti di gas naturale nell’offshore egiziano del mar
Questa rappresenta la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel mar
Mediterraneo e può diventare una delle maggiori scoperte di gas a livello mondiale.
domanda egiziana di gas naturale per decenni. Eni svolgerà nell’immediato le attività
che sfrutti al meglio le infrastrutture già esistenti, a mare e a terra. L’Amministratore
39
delegato
di
Eni 9 ,
Claudio
Descalzi,
si
recherà
immediatamente
al
Cairo
per
aggiornare il Presidente egiziano Al Sisi, e per parlare della nuova scoperta con il
Primo Ministro del paese, Ibrahim Mahlab, e con il Ministro del Petrolio e delle
Risorse Minerarie, Sherif Ismail. I risvolti geopolitici di una tale scoperta sono chiari,
anche i piani di Israele che aveva già pianificato rifornimenti ingenti all’Egitto per gli
anni futuri.
Il 2015 in Egitto, dunque, si apre con la conferma di quanto il 2014 aveva già
anticipato, ovvero il consolidamento del ruolo acquisito dal presidente egiziano Abd
terrorismo, le sue azioni nel corso dell’ultimo anno si sono orientate in primis verso
la creazione di una vera e propria coalizione internazionale anti Is, verso il tentativo
tollerante, ma soprattutto verso l’adattamento della sua stessa figura di guida forte
copto10, ampiamente riportata dai media del paese e stranieri, la prima volta per un
presidente egiziano.
I primi mesi del 2015 vedranno, dunque, il presidente al Sisi protagonista sulla
Maometto, al Sisi si appella agli ulema dell'Università di al-‐Azhar del Cairo, uno dei
contro la falsa ideologia che danneggia l'immagine dell'Islam e dei musulmani e che
distrugge la nazione islamica", nonché a creare un discorso religioso in armonia con
l'epoca attuale, che sradichi il fanatismo, favorendo una vera e propria “Rivoluzione
Religiosa”. Pochi giorni dopo, il ministro per i beni religiosi ha dichiarato di sperare
terrorismo.
profetico nel momento in cui, una settimana dopo, si verificava l'attacco contro il
10
I
copti
sono
i
cristiani
egiziani:
un'importante
minoranza
etnico-‐religiosa
che
rappresenta
circa
il
10%
della
popolazione
e
la
più
grande
comunità
cristiana
del
Medio
Oriente.
41
settimanale
satirico
Charlie
Hebdo
che
ha
colpito
in
maniera
storica
l’opinione
Accanto a questo impegno, le azioni del generale si sono concentrate verso quell’Is
dimostratosi sempre più il vero grande nemico a livello mondiale. In una rapida
attraverso il rapimento del pilota Muad al Kasasbaeh e la diffusione del tragico video
all’Is e l’inizio dei raid aerei della Royal Jordanian Air Force contro le postazioni
Il 16 febbraio, poi, viene confermata la tragica notizia dell’uccisione dei 21 cristiani
copti rapiti in gennaio in Egitto, attraverso un nuovo video dell’Is dalle loro basi in
Libia. Immediata la risposta del Presidente al Sisi: lo stesso giorno i primi Caccia
poche ore dall’inizio del raid egiziano, il Ministro della Difesa francese Le Drian
volerà al Cairo per la firma dell’accordo fra Egitto e Francia sulla vendita di 24 aerei
11
Il
generale
Khalifa
Haftar,
ex
gheddafiano
riparato
negli
Stati
Uniti
e
riapparso
a
Bengasi
dopo
la
caduta
del
dittatore
è
il
capo
delle
forze
armate
libiche
fedeli
al
Parlamento
di
Tobruk.
Sebbene
sostenuto
da
quest’ultimo
e
sostenuto
anche
dall’Egitto
di
al-‐Sisi,
Haftar
sta
iniziando
a
diventare
una
figura
ingombrante
per
le
stesse
forze
che
sostengono
il
Parlamento
di
Tobruk,
per
via
dei
suoi
scarsi
risultati
nella
lotta
all’Is
ma
anche
per
le
dichiarazioni
in
cui
afferma
di
non
condividere
la
«soluzione
militare»
per
neutralizzare
il
traffico
di
clandestini
e
di
profughi,
come
pure
non
condivide
la
bozza
di
accordo
del
delegato
speciale
delle
Nazioni
Unite,
Bernardino
Leon,
che
da
mesi
sta
cercando
di
creare
le
condizioni
per
la
formazione
di
un
governo
di
pacificazione
nazionale.
42
da
guerra
Rafale,
una
fregata
e
missili,
per
un
ammontare
di
circa
5
miliardi
e
200
vertice previsto per i giorni 18 e 19 febbraio a Washington; il Vertice Internazionale
esplorare le strategie comuni per far fronte alla minaccia globale rappresentata dal
Il Presidente Obama, dunque, incontrerà i leader di 60 paesi alla Casa Bianca, i quali
Stati Uniti non sono in guerra contro l’Islam ma contro chi la strumentalizza. In fin
dei conti, non si discosterà di molto dal discorso di al Sisi sulla “Rivoluzione
religiosa”.
Il 2015 prosegue con nuovi attentati terroristici di matrice Is, il più grave quello alla
mentre a Sharm El Sheikh era in corso il 26° Summit della Lega Araba, concentrato in
particolare sullo Yemen e sul contrasto geopolitico di gran parte del blocco arabo
con l’Iran. In chiusura, al Sisi annuncerà che i 22 stati membri della Lega Araba si
sono
accordati
sui
principi
per
la
creazione
di
una
forza
militare
congiunta.
43
Altro
evento
rilevante,
previsto
dal
13
al
15
marzo,
è
il
Forum
sullo
sviluppo
fortemente dal presidente egiziano per coinvolgere nello sviluppo del Paese gli
investitori internazionali, vedrà presenti 2500 partecipanti, 755 imprese da 83 paesi
e 30 rappresentanti di governo compreso un entusiasta Matteo Renzi che esprimerà
pieno apprezzamento per la leadership di al Sisi e per le scelte dell’Egitto.
In Aprile, mentre la diplomazia italiana si affanna per raccogliere consensi attorno a
finalizzata alla distruzione dei barconi dei trafficanti, l’Egitto si prepara a invadere il
Paese nordafricano con il nulla osta di Washington. Una mossa che cambierebbe
trafficanti. Secondo fonti militari e di intelligence citate dal sito israeliano Debkafile
– vicino al Mossad –al Sisi avrebbe iniziato ad ammassare truppe, aerei e navi al
confine ovest in vista di un’offensiva militare su vasta scala in Cirenaica, focalizzata
capo della CIA, John Brennan, il quale avrebbe riferito ad al Sisi le perplessità di
Barack Obama, più favorevole a un’azione indiretta egiziana a sostegno delle forze
del generale Haftar; al Sisi avrebbe ribattuto che questa strada è già stata percorsa
senza successo e che non c’è più tempo da perdere perché l’infiltrazione dell’Is nel
pericolosi.
44
Nel
frattempo,
è
proprio
il
Sinai
a
divenire
il
focus
principale
degli
scontri
fra
Is
e
esercito egiziano.
Il mese di Maggio sarà caratterizzato da importanti accadimenti, primo fra i quali lo
storico incontro al Cairo fra la leader del Front National, Marine Le Pen, e l'Imam di
chiesto di "rivedere e correggere le opinioni" del Front National sull'Islam. Opinioni
"preoccupazioni serie" per il crescente "razzismo ed estremismo di cui sono vittima i
Ancora, arriva la notizia che l’Italia fornirà d’urgenza all’Egitto pezzi di ricambio per i
suoi caccia F-‐16 impiegati negli attacchi aerei in Yemen e Libia. L’annuncio, di non
poco rilievo, viene dato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti giovedì 14 maggio,
attraverso deprecabili attentati al turismo straniero nei siti di maggior rilievo della
storia egiziana o nei luoghi di vacanza lungo il Mar Rosso. Ma sarà un terzo attentato
a colpire particolarmente l’opinione pubblica, quello che vedrà la morte del 65enne
ad altre nove persone nell'esplosione di una bomba al passaggio del suo convoglio
dell'attentato contro Barakat il gruppo jihadista Provincia del Sinai, branca egiziana
del sedicente Stato islamico, diffonde un video che mostra le immagini di attacchi
egiziano in Israele, tre anni dopo aver richiamato il diplomatico che ricopriva
precisa una nota del presidente al Sisi che avvia, di fatto, un disgelo con Israele -‐ si
chiama Hazem Khairat e prende il posto di Atef Salem Al-‐Ahl, richiamato nel 2012
muoverà prendendo alla lettera le parole del premier, Ibrahim Mahlab «Siamo in
stato di guerra»: i primi F16 si alzeranno in volo per colpire obiettivi del Califfato e il
governo dichiarerà che le azioni non si fermeranno fino a quando il Sinai non verrà
Gentiloni si reca al Cairo dove incontra il suo omologo egiziano Sameh Shoukri per
egiziano Ibrahim Mahlab si reca in visita all’Expo di Milano in occasione del National
day egiziano.
46
Il
mese
di
luglio
si
chiude
con
la
consegna
a
tempo
di
record
dei
primi
tre
Rafaele
esibirli nella cerimonia di inaugurazione del Nuovo Canale di Suez prevista per il 6
Mentre già una settimana prima dell’inaugurazione ufficiale le prime tre navi
attraversano il nuovo canale di Suez, arriva anche l’importante notizia della firma di
un accordo di cooperazione economica e militare fra Egitto e Arabia Saudita. Con la
cooperazione e gli investimenti anche nei settori dell’energia e dei trasporti, come
presidente egiziano al Sisi si incontrerà con il ministro della Difesa Mohammed bin
Salman al Saud che è anche secondo in linea di successione al trono saudita. Da fonti
Il giorno dopo un altro incontro fondamentale, quello già anticipato con gli Stati
Uniti e la ripresa dei colloqui di sicurezza che erano stati interrotti circa 6 anni fa,
Finalmente il 6 agosto, a 160 anni dall’apertura del Canale di Suez, fra imponenti
Decine
di
Capi
stato
e
di
Governo
tra
cui
Hollande
e
Tsipras
saranno
presenti
e
47
assisteranno
al
momento
in
cui
il
presidente
al
Sisi
attraverserà
il
canale
sullo
yacht
Mahroussa, la prima nave che navigò nello storico passaggio nel lontano 186912.
larghezza e ampliare la profondità di 72 dei 193,30 km di lunghezza totale del canale
di Suez e permettere in tal modo il traffico navale nei due sensi come un’autostrada
grande diga di Assuan per governare le piene del Nilo. Questa volta però l’Egitto ha
omaggio all’Italia nelle note dell'Aida di Giuseppe Verdi, concluderà la cerimonia.
12
Il
Canale
di
Suez
rappresenta
una
fondamentale
via
di
comunicazione
che
permette
la
navigazione
diretta
dal
Mediterraneo
al
Mar
Rosso,
senza
la
necessità
di
circumnavigare
l’Africa
sull’Oceano
Atlantico.
I
lavori
ultimati
a
tempo
di
record,
in
un
solo
anno
invece
di
tre,
hanno
permesso
un
ampliamento
del
tratto
navigabile
di
ben
72
chilometri:
da
un
lato
un
allargamento
di
37
chilometri
del
tratto
già
navigabile,
dall’altro
un
nuovo
tratto
di
35
chilometri
parallelo
a
quello
esistente.
Un’opera
imponente
e
maestosa,
costata
circa
8,2
miliardi
di
dollari,
definita
dal
Presidente
“un
dono
dell’Egitto
al
mondo
intero”
e
considerata
assolutamente
necessaria
per
velocizzare
il
transito
delle
navi.
Grazie
a
questo
ampliamento,
97
navi
potranno
ogni
giorno
transitare
rispetto
alle
49
attuali
e
non
ci
saranno
limiti
nella
dimensione
permettendo
il
transito
di
navi
di
nuova
generazione
che
attualmente
sono
costrette
a
circumnavigare
l’Africa
attraverso
il
Capo
di
Buona
Speranza;
anche
il
tempo
di
percorrenza
si
ridurrà
notevolmente
da
18
ad
11
ore.
Gli
effetti
della
realizzazione
del
“nuovo
canale”
saranno
duplici:
da
un
lato,
stando
alle
stime
del
governo
egiziano,
dovrebbe
rappresentare
un
passo
importante
per
lo
sviluppo
economico
del
paese
con
un
raddoppio
delle
entrate;
i
proventi
dovrebbero
raggiungere
i
10
miliardi
di
dollari
annui
rispetto
ai
5
attuali,
rappresentando
anche
un’importante
risorsa
per
lo
sviluppo
del
turismo
del
paese.
Dall’altro
aumenterà
notevolmente
la
centralità
del
Mediterraneo
sui
trasporti
e
sulle
rotte
marittime
perché
la
combinazione
di
fattori
quali
diminuzione
dei
tempi,
aumento
del
numero
dei
passaggi
e
nessun
limite
alla
dimensione
delle
navi,
consentirà
un
incremento
della
convenienza
del
passaggio
attraverso
Suez
anche
per
alcune
rotte
Asiatiche
che
attualmente
si
servono
del
passaggio
attraverso
Panama.
Ciò
sarà
reso
possibile
anche
dal
fatto
che
il
governo
egiziano
diminuirà
i
costi
di
percorrenza
del
canale
di
circa
il
40
per
cento.
48
Il
grande
evento
di
agosto
farà
per
un
attimo
dimenticare
gli
eventi
causati
dalle
orrende azioni dell’Is che, però, tornerà ben presto ad impadronirsi della scena
mondiale con nuovi attacchi e nuove decapitazioni, come quella del giovane
nuova legge antiterrorismo che prevede fino alla pena di morte per chi fondi, guidi o
5. La situazione nel frattempo non fa che peggiorare, ogni giorno è segnato da nuovi
internazionali, come quello che accade a Musaid, il più importante valico di frontiera
tra Libia e Egitto dove, a fine agosto, scompaiono incredibilmente le guardie libiche
di frontiera filo-‐Tobruk.
Gli ultimi mesi dell’anno vedranno due eventi molto rilevanti per l’Egitto, il primo è
la già anticipata scoperta ad opera dell’Eni di uno dei più grandi giacimenti di gas
L’altro importante evento riguarda l’annuncio delle elezioni politiche previste in due
quando al Sisi è al potere e dopo tre anni in cui manca un Parlamento eletto.
49
Il
secondo
turno
si
svolgerà
il
22
e
23
novembre.
Le
elezioni
si
terranno
in
27
governatorati e per ragioni di sicurezza sono state divise in due fasi per area
L’autunno si conclude con il tragico “errore” dei turisti messicani uccisi nel deserto
del Wahat in un’operazione congiunta di polizia ed esercito sulle tracce di elementi
terroristici. L'incidente ha provocato la morte di 12 persone e il ferimento di 10 tra
Ma negli stessi giorni, il governo del premier Ibrahim Mahlab non reggerà lo
scandalo del Ministro dell’Agricoltura Salah Helal, arrestato a inizio settembre con
dello Stato. Dopo pochi giorni arrivano le dimissioni di Mahlab e del suo governo,
accettate da al Sisi che farà sapere di avere avuto comunque intenzione di rinnovare
i vertici del paese con “linfa nuova” e che darà incarico immediato all’ex ministro del
una settimana.
Il 19 settembre, il nuovo governo egiziano presta giuramento e davanti al presidente
al Sisi. Il nuovo esecutivo, guidato dall'ex ministro del Petrolio Sherif Ismail, è
composto da 34 persone e 16 sono i volti nuovi tra i ministri mentre restano al loro
posto i titolari del precedente esecutivo degli Esteri, Sameh Shoukry, degli Interni,
50
Magdy
Abdel
Ghaffar
e
della
Difesa,
il
Generale
Sedky
Sobhi.
Anche
al
Ministero
del
Ismail sarà sostituito al dicastero del Petrolio da Tareq al Molla, che in passato aveva
Tra i nuovi ministri figurano Tarek Kabil in qualità di titolare del dicastero
dell’Industria, del commercio estero e delle piccole e medie imprese, che sostituisce
Mounir Fakhry Abdel Nour, che era venuto in visita all’Expo di Milano in maggio;
come ministro della Cultura. La novità è l’ingresso di tre donne: Sahar Abdel-‐
Moniem Nasr quale nuova titolare del ministero della Cooperazione internazionale,
Ghada Waly, titolare del Ministero della Solidarietà e Nabila Makram, al Ministero
dell’Immigrazione.
Nel frattempo, la situazione in Siria si fa sempre più calda, tanto da aprire le porte
alla decisione russa di avviare raid aerei contro l’Is, decisione elogiata
storico, arriva il divieto per le insegnanti universitarie di indossare il niqab in classe,
segno della lotta al fondamentalismo che si manifesta anche con la sorveglianza e il
per il 18 e 19 ottobre. I seggi in palio sono 568, dei quali 448 assegnati con il sistema
uninominale e 120 attraverso il sistema delle liste, con quote prefissate per giovani,
donne, cristiani ed operai. Il capo dello Stato potrà nominare 28 parlamentari.
Per Amore dell'Egitto (schierato apertamente con Al-‐Sisi), Wafd e Egiziani Liberi,
Blocco Indipendente del Risveglio Nazionale, Scelta d'Egitto, sono i nomi delle
coalizioni: gran parte di queste hanno appoggiato il colpo di Stato contro Morsi nel
2013 e hanno chiesto di mettere al bando la Fratellanza Musulmana, nella lista delle
organizzazioni terroristiche dal dicembre dello stesso anno quando il partito dell’ex
La media dei votanti del primo turno oscilla fra il 20 e il 25% (nelle elezioni del 2012
aveva votato il 62% degli elettori) e vede in vantaggio Per Amore dell’Egitto, guidato
da Sameh Seif el Yazal, ex capo dei Servizi segreti, fedele ad al Sisi.
Alcune fonti locali parleranno dell’ assenza dell’elettorato ma anche di una parallela
dell’Egitto. Alcuni candidati locali avrebbero affermato di essere poco o per niente
per cui si sono presentati. Lo stesso leader di Per Amore dell’Egitto avrebbe
annunciato su Ahram Online, che «il prossimo parlamento cercherà di emendare la
52
costituzione
al
fine
di
ridurre
i
suoi
poteri
e
le
sue
prerogative
nei
confronti
dell’esecutivo».
Mentre la scena mondiale è scossa dal disastro aereo che il 31 ottobre ha visto
224 vittime, a fine ottobre gli egiziani tornano alle urne per eleggere oltre 200
parlamentari laddove non si sono avuti dei vincitori al primo turno. Il clima di
sfiducia nei confronti della politica è tangibile, mentre aumentano le tensioni in vista
del voto, insieme ad allarmi attentati in tutta la città (il 24 ottobre uno dei candidati
del partito salafita Al Nour viene ucciso a colpi di pistola fuori dalla sua abitazione).
ottobre, hanno confermato in testa con 36 seggi la coalizione del magnate Naguib
Sawiris, Per Amore dell’Egitto, la più accreditata sin dall’inizio della campagna
elettorale anche in quanto sostenitrice del Presidente al Sisi. Alle sue spalle si sono
posizionati il partito Futuro della Nazione (21 seggi), i salafiti di Al Nur (8 seggi), il
I risultati definitivi delle prime elezioni parlamentari dal 2012, arriveranno a metà
dicembre,
mentre
a
fine
mese
al
Sisi
annuncerà
la
prima
riunione
del
nuovo
53
Parlamento
entro
il
10
gennaio
2016.
Il
nuovo
parlamento
egiziano
è
il
più
numeroso della storia del paese ed è composto di 596 membri fra cui 448 fanno
nominati dallo stesso al Sisi, dei quali almeno la metà sono donne, in base all’art.
Secondo alcuni analisti, «il disincanto che si percepisce nella popolazione deriva
molto debole che non rappresenterà la maggioranza del popolo egiziano».
figura del Presidente al Sisi, che sembra aver già perduto parte di quell’aura di
“uomo forte” di cui si era circondato a partire dal 2013. Le critiche che gli vengono
collasso del turismo ma anche per una gestione poco oculata delle risorse; l’esercito,
in particolare, controlla il 40% circa dell’intera economia e consuma una quantità di
denaro tale che le riserve di valuta straniera presso la Banca Centrale calano ad una
velocità sorprendente. Anche la moneta egiziana perde terreno velocemente: in 14
mesi ha perso il 10% del suo valore, in base a quanto riportato dal Middle East Eye.
Tra i responsabili della crisi economica va annoverata anche la questione sicurezza
che
scoraggia
il
turismo
e
vede
l’esercito
quotidianamente
schierato
per
le
strade.
La
54
questione
del
Sinai,
poi,
sembra
giocare
un
ruolo
chiave.
L’Egitto
sembra
non
avere
(Provincia del Sinai). Tra il 2012 ed il 2015, in base a quanto riportato dal Foreign
Affairs, si sono moltiplicati gli attacchi jihadisti nella regione con altissime perdite
Le difficoltà di al-‐Sisi sono tutt’altro che invisibili agli occhi dell’opposizione interna,
che parla già di elezioni presidenziali, ma anche agli occhi della scena internazionale.
Secondo quanto riportato dal Bloomberg View, gli Israeliani ritengono che le forze di
sicurezza egiziane stiano commettendo errori grossolani nella lotta contro l’Is
scontento per i ritorni del loro investimento. Gli Emirati, in particolare, nelle parole
dell’erede al trono di Abu-‐Dhabi, vorrebbero essere più coinvolti negli affari egiziani
al punto di controllarne la gestione e, se al Sisi non manterrà le promesse fatte, sono
6. Il vento, dunque, sembra stare nuovamente cambiando e lo stesso al Sisi sembra
55
mettere
in
difficoltà
la
grande
sicurezza
di
gestione
e
le
certezze
di
stabilità
del
dall’Egitto e del suo ruolo anche in questa dimensione, un ruolo che difficilmente
potrà essere sminuito e che, anzi, potrà ricevere sempre maggiore appoggio da
56
Matteo
Pizzigallo
Libia
1. Per parlare della Libia che verrà, occorre innanzitutto partire da cosa è oggi la
Libia, seguendo i pochi cartelli indicatori rimasti ancora in piedi in mezzo a tante
rovine e distruzioni che hanno fatto precipitare il Paese nel caos. Certo buona parte
ascrivibile anche ad alcuni Paesi europei che, per interessi economici, provocarono
successo nel Paese, di fatto abbandonato a se stesso, lasciandolo così scivolare nella
lista nera degli Stati falliti. Un giorno, si spera, qualcuno dovrà occuparsi di quelle
oneste analisi. Per ora mi limito a ricordare che, negli ultimi anni, sono caduti nel
l’attenzione degli alleati occidentali sulla crescente pericolosità delle sempre più
aggressive milizie armate libiche e sulla obiettiva incapacità dei vari deboli e litigiosi
Governi (che si succedevano a Tripoli) nella gestione del cruciale comparto sicurezza
ormai
di
fatto
fuori
controllo.
L’11
marzo
2014
il
premier
Ali
Zeidan
(in
carica
da
57
poco
più
di
un
anno
e
abbastanza
gradito
dagli
occidentali),
in
un
clima
di
crescente
violenza e di ripetuti scontri armati, veniva malamente dimissionato dal Congresso
nazionale generale, l’istituzione parlamentare libica eletta nel 2012. Gli succedeva il
suo ministro della Difesa Abdullah al Thani. Ma il peggio doveva ancora venire.
Infatti, subito dopo le elezioni del 25 giugno 2014 per la Camera dei Rappresentanti,
che avrebbe dovuto sostituire il Congresso nazionale generale, la situazione politica
in Libia, sempre più terreno di scontro fra le tante milizie armate on demand, di
esterni (fra le quali si erano inserite anche le milizie anti-‐islamiste del discusso
(eletta il 25 giugno da appena il 18% dei votanti) che per motivi di sicurezza sedeva a
Tobruk , non senza difficoltà e contrasti, aveva riconfermato, alla fine di agosto, al
Thani alla guida di un governo di emergenza subito riconosciuto e accreditato (per
volontà degli Stati Uniti, cui si erano subito accodati i maggiori Paesi europei) come
non esercitava più alcuna reale sovranità su tutta la parte occidentale del Paese, di
fatto sotto il controllo politico e militare delle milizie islamiste riunite nell’Alleanza
“Alba libica”. Conquistata Tripoli, le milizie islamiste imponevano la reviviscenza del
“vecchio” Congresso nazionale che nominava Omar al Hassi premier di un “nuovo”
Tobruk). Insomma un ex Stato diviso, con due Parlamenti e con due governi
ridotto, di nuove sfere di influenza su quel che resta del martoriato territorio libico,
ovviamente nella speranza anche di mettere in qualche misura le mani sulle sue
con locali alleanze militari a geometria variabile, hanno trovato terreno fertile e
ampi spazi di manovra gli uomini neri dell’autoproclamato Califfato islamico che, si
sono ormai ben radicati a Sirte e non solo. Ma nel caos libico con due simulacri di
criminali legate al traffico di migranti disperati, in fuga dalle guerre e dalla fame,
attraversare il Mediterraneo ad ogni costo, anche quello più alto: quello della
costernazione dell’Europa che , a sua volta, sempre più ripiegata su se stessa, pensa
di poter risolvere i problemi alzando muri e stendendo reti di filo spinato. E cosi,
fatto ben poco, lasciando di fatto il peso maggiore delle missioni di raccolta,
solo all’Italia, il cui generoso impegno umanitario, ed è un punto d’orgoglio ribadirlo,
Tobruk da tempo non sono più in grado di esercitare alcun reale controllo sul
territorio, di fatto nelle mani di tanti piccoli, ma pericolosi signorotti della guerra
locali dediti ad ogni tipo di traffico illecito. Il litorale libico è così diventato una
specie di grande hub illegale del traffico di migranti, di armi e non solo.
progressivo allargamento del raggio di azione delle milizie dell’Is che, stringendo e
pericolosamente agli ultimi preziosi impianti petroliferi ancora funzionanti, sia pur in
condizioni sempre più difficili e precarie sotto il profilo della sicurezza che, in
mancanza di forze di polizia regolari, viene gestita da milizie e contractors locali non
sempre affidabili.
60
L’inquietante
e
sempre
più
pericolosa
invasiva
presenza
dell’Is
anche
sul
litorale
alimentato da bande armate fuori controllo, negli ultimi mesi ha finalmente fatto
meno grave crisi siriana cui si è fatto riferimento nel primo capitolo. Infatti la
jihadista, ha subito spinto alcuni Paesi dell’Ue a proporre come soluzione la solita
errori provocati proprio in Libia nel 2011 da certe affrettate decisioni di “alcuni”
legittimazione dell’Onu, integrata dal più ampio ed inclusivo consenso delle Potenze
faticosamente lavorando l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon. Al
netto
delle
critiche
e
delle
accuse
di
immobilismo
da
parte
di
alcune
forze
politiche
61
di
opposizione
abitualmente
“interventiste”
per
motivi
propagandistici
ed
elettorali,
il Governo italiano, lontano dal clamore dei media, nei vari incontri internazionali,
sia a livello multilaterale che bilaterale, ha discretamente compiuto un apprezzabile
lavoro (in linea con l’antica tradizione diplomatica ispirata all’amicizia ed alla
cooperazione) volto a creare il più ampio consenso intorno alla propria posizione
sulla Libia e sulla graduale road map suggerita per la successiva stabilizzazione. Una
posizione, va subito detto, convintamente sostenuta dal Governo degli Stati Uniti
Già nella visita a Roma del 9 maggio 2013 il segretario di Stato americano John
Kerry, nei suoi colloqui con le massime autorità, mise in evidenza che a Washington
si faceva affidamento sulla centralità del ruolo italiano per il rafforzamento della
dell’Is, si sarebbe ulteriormente deteriorata, creando, negli ultimi mesi del 2015,
come si è detto, intenso allarme ed apprensione in tutta la comunità internazionale
Conferenza di Roma sul Mediterraneo del 13 dicembre 2015, cui erano presenti il
segretario di Stato Kerry, il vice ministro degli Esteri russo Ghennadi Gatilov ,
Martin Kobler (da novembre sostituto di Leon peraltro accusato di una certa
parzialità) che, affiancato dal generale italiano Paolo Serra, aveva subito impresso
una forte accelerazione alle altalenanti trattative fra le rissose delegazioni dei due
sempre più deboli Governi di Trobuk e di Tripoli e sempre più esposti all’incombente
Marocco, veniva finalmente firmato il tanto atteso grande patto fra le delegazioni
dei due Parlamenti e Governi libici, per dare vita ad un nuovo Governo di Accordo
nazionale che ponesse subito in primo piano, anche con eventuali aiuti esterni
pacificazione interna e di progressivo disarmo generale di tutte le milizie, mettesse
esclusivo del martoriato popolo libico. Alla solenne cerimonia della firma del patto
importante contributo, erano presenti, l’inviato speciale dell’Onu Kobler, il ministro
degli Esteri Paolo Gentiloni ed i suoi omologhi del Qatar, della Turchia e del
esponenti di larga parte delle tribù, dei movimenti politici locali e di quel che restava
della società civile libica. Dal suo canto l’Onu, con la Risoluzione n.2259 del 23
dicembre 2015 che “esorta” gli Stati membri ad aderire ad eventuali richieste di
creava, sul piano giuridico, quella cornice di condivisa legittimità internazionale da
membro del Parlamento di Tripoli, Fayez Al Serraj, per il momento basato a Tunisi
per motivi di sicurezza. Negli ultimi giorni dello scorso dicembre, Fayez Al Serraj è
venuto a Roma per incontrare il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri
Gentiloni. Dopo aver espresso “piena fiducia” nella capacità delle nuove autorità
aggiunto: “La nuova Libia potrà contare sul deciso sostegno che l’ Italia, in
riabilitazione dei servizi essenziali, per la stabilizzazione del Paese, con particolare
L’8 gennaio 2016 il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni si è sentito con i suoi
lotta all’Is e al terrorismo e, al tempo stesso, per riaffermare il comune impegno a
64
operatività
sono
il
primo
vero
banco
di
prova
della
tenuta
degli
Accordi
di
Shikrat
sulla via della tanto attesa stabilizzazione della Libia ancora lunga da venire.
L’attentato subìto dal premier Al-‐Sarraj al suo primo tentativo di mettere piede a
Kobler e il suo consigliere speciale Paolo Serra stanno cercando di stringere accordi
locali con le varie milizie per creare intorno ai Palazzi governativi a Tripoli, anche con
l’assistenza di forze speciali europee, una security track che consenta al premier Al-‐
difficoltà ed ostacoli di ogni genere. A cominciare dal più grande dei problemi: la
guerra di liberazione della Libia dall’Is per cui sarà assolutamente indispensabile il
massimo sostegno anche sul piano militare da parte della Comunità internazionale.
in Libia. Molto più complicata, ma non impossibile, sarà, in un tempo ancor più
energetico di vari Paesi europei, Italia in testa. Tenuto conto dei notevoli interessi
economici in gioco, interessi leciti, ma ancor di più illeciti legati al traffico di esseri
volontà politica, forza e consenso, disarmare tutte quelle milizie armate, più o meno
affiliate a gruppi jihadisti che, approfittando del vuoto di potere, da quattro anni
scorrazzano impunemente lungo il litorale libico, alimentando caos ed illegalità.
In prospettiva (anche se occorre mettere in conto un tempo ragionevolmente molto
lungo), a mio parere, al di là dei desideri a lungo coltivati dai movimenti separatisti e
da alcuni gruppi armati tribali (finora più o meno segretamente supportati anche da
alcune ambiziose potenze regionali islamiche con inconfessabili manie di grandezza),
la Libia che verrà manterrà e confermerà la sua struttura unitaria sia pur declinata
in forme diverse rispetto al passato e magari più attente al territorio e più sensibili
alle dinamiche tribali. Certo bisognerà anche smaltire i contrasti fra i vari gruppi
demand, hanno preso parte ai combattimenti. La Libia però conta poco più di sei
milioni di abitanti: a differenza della Siria, non ci sono stati spietati conflitti
mantenuto sia pur limitate capacità organizzative, dalle quali sarebbe possibile
Sconfiggere gli uomini neri dell’Is, i vari gruppi di terroristi e i trafficanti di esseri
umani non sarà, e lo ripeto ancora una volta, una facile impresa. Sarà, invece,
un’impresa
molto
dura
e
assolutamente
non
indolore.
Tenuto
conto
della
forza
e
66
delle
finora
intatte
capacità
militari
dell’Is
in
grado,
non
solo
di
resistere,
ma
anche
tempi lunghi, tanto impegno e una forte volontà politica ai vari livelli.
prevedibile che la nuova Libia, nel quadro di una ritrovata coesione nazionale, possa
idrocarburi.
67
Paolo
Wulzer
Tunisia
regionali e la sua stretta dipendenza dalle relazioni con i paesi europei, Francia e
la stabilità degli assetti interni, la natura laica delle istituzioni, la funzione di argine
costante per i processi di integrazione regionale hanno spesso fatto del piccolo
paese un asset strategico per gli interessi degli Stati Uniti e dell’Unione Europea. Sul
versante interno, le ricorrenti crisi economiche e sociali che hanno caratterizzato il
storia interna del paese. Da un lato, una timida ma progressiva liberalizzazione della
vita politica, operata dai regimi tunisini per fronteggiare le spinte dal basso. Si trattò
di un percorso che vide la sua conclusione dopo il 2001, quando Ben Alì approfittò
della
war
on
terror
promossa
dagli
Stati
Uniti
per
giustificare
una
stretta
repressiva
68
interna.
Dall’altro,
l’ascesa
dei
movimenti
islamisti,
che
hanno
tentato
di
soffiare
sul
fuoco del malessere sociale e di sfruttare l’allargamento degli spazi di partecipazione
contemporanea può essere definita come “un mondo a sé”, che racchiude “tutte le
2. Il 2015 ha segnato un profondo cambiamento dell’immagine internazionale della
Tunisia. Se, fino ad un anno e mezzo fa, la Tunisia era complessivamente percepita
come una sorta di modello nell’ambito della cosiddetta “primavera araba” e dei
Fino allo scorso anno, il percorso di riforme politiche seguito alla fine del lungo
storia tunisina. Da un lato, infatti, Tunisi è stata la prima testimone di un sostanziale
democratizzazione che, pur tra molte difficoltà, non sembra ancora essersi
arrestato. Dall’altro, tuttavia, il lento percorso di aperture democratiche ha dovuto
registrare gravi momenti di crisi durante il suo svolgimento, che hanno prodotto un
13
D.
Cellamare,
Tunisia,
“Rivista
di
Studi
Politici.
Trimestrale
dell’Istituto
di
Studi
Politici
San
Pio
V”,
XXVII,
n.2,
2015,
pp.
105-‐122.
14
S.
M.
Torelli,
La
Tunisia
contemporanea,
Bologna,
Il
Mulino,
2015,
p.
9.
69
pericoloso
stallo
politico
ed
istituzionale.
Tali
crisi
sono
riconducibili
essenzialmente
ad un fattore: i contrasti tra le posizioni islamiste e quelle secolari. Il tratto distintivo
del processo di transizione tunisino è stato dunque quello della ricomparsa nello
contrasti con il potere15. Questo ritorno del “fattore islamico” nella politica interna
tunisina ha riguardato sia gli islamisti politici moderati che i più intransigenti salafiti,
aprendo in questo modo uno squarcio di penetrazione per il jihadismo nel paese.
Come è noto, i primi passi del “nuovo corso” tunisino avevano visto la centralità del
storico leader dell'opposizione islamica ai regimi laici di Bourghiba e Ben Ali, rimasto
dell’Assemblea Costituente, eletta il 23 ottobre del 2011 per redigere la nuova carta
Repubblica, il movimento progressista laico guidato dall’attivista per i diritti umani, e
in quel momento presidente della Tunisia, Moncef Marzouki. Le forti tensioni tra
politico, che si riverberava, sul piano istituzionale, nel ritardo dell’approvazione del
nuovo testo costituzionale e, sul piano del paese reale, nella recrudescenza degli
attentati
terroristici
che
colpivano
sia
esponenti
politici
(nel
2013
venivano
uccisi
15
R.
Tottoli,
Il
ritorno
dell’integralismo
nel
paese
laicizzato
(con
il
pugno
di
ferro)
da
Bourghiba,
“Corriere
della
Sera”,
19
marzo
2015.
70
due
membri
dell’opposizione,
Chokri
Belaid
e
Mohammed
Brahmi)
che
le
forze
di
sicurezza (soprattutto nelle aree di confine con l’Algeria e in altre zone più interne).
Il governo accusava delle violenze i movimenti salafiti e alla fine del 2013 accettava
Dopo l’approvazione della nuova carta costituzionale, alla fine del gennaio del
201416, Ennahda sceglieva di assumere una posizione più defilata nel quadro politico
venivano vinte dal partito Nidaa Tounes, formazione politica fortemente laico
fondata da Beji Caid Essebsi, un uomo di 88 anni, attuale presidente del paese17.
escludere Ennahda, vedeva invece la luce il 6 febbraio del 2015 sulla base di un
Il nuovo governo, però, non è apparso più in grado di garantire la sicurezza interna
del paese.
16
La
nuova
costituzione
ha
prodotto
una
legislazione
sicuramente
innovativa
per
il
mondo
arabo,
specialmente
sul
tema
della
parità
di
genere
17
Attualmente
i
217
seggi
del
Parlamento
tunisino
sono
così
suddivisi:
Nidaa
Tounes
85,
Ennahda
69,
,
Unione
Patriottica
Libera
16,
Fronte
Popolare
14,
partiti
minori
32.
18
La
coalizione
che
sostiene
il
governo
è
formata
da
Nidaa
Tounes,
Ennahda,
Unione
Patriottica
Libera
e
il
partito
liberale
di
Afek
Tounes.
Cfr.
Tunisia’s
Secular-‐
Islamist
Coalition
Takes
Office,
“AFP”,
6
February
2015.
71
Fino
alla
fine
del
2014,
una
sorta
di
“accordo
segreto
tra
complici”19,
ovvero
un
patto implicito tra i deputati moderati di Ennahda, alla guida del paese, e gli
confinata sullo sfondo, lontano dalla capitale e dalle città costiere, simboli
insanguinato la Tunisia nel corso del 2015, quello del Bardo il 18 marzo e quello di
Susa del 26 giugno, hanno invece rappresentato un evidente punto di discontinuità
rispetto ai precedenti episodi di violenza politica che avevano costellato il processo
di transizione in Tunisia. Sino ad allora, infatti, le vittime erano state esclusivamente
località molto decentrate. I due attentati di quest’anno, invece, hanno riproposto il
modus operandi classico del terrorismo di marca islamista: gli occidentali come
questo punto di vista, i due attacchi di marzo e di giugno hanno rappresentato una
sorta di rottura del “compromesso” che aveva mantenuto in equilibrio, pur precario,
L’esplosione della violenza in Tunisia nella prima metà del 2015 non è giunta certo
inaspettata. Una serie di “segnali trascurati”21, infatti, avevano già rivelato come,
19
F.
Battistini,
Reduci,
sparatorie
ed
attentati:
il
caos
libico
travolge
la
Tunisia,
“Corriere
della
Sera”,
19
marzo
2015.
20
M.
Marzouki,
Tunisia's
Rotten
Compromise,
“Middle
East
Research
and
Information
Project”,
10
July
2015.
21
S.
Romano,
I
segnali
trascurati,
“Corriere
della
Sera”,
19
marzo
2015.
72
nonostante
il
pragmatismo
politico
che
caratterizza
il
principale
partito
musulmano,
dell’estremismo islamico.
In primo luogo, l’amnistia del 2011, voluta da Ennhada in seguito alle vicende della
primavera araba, se era apparsa come un passo importante nella pacificazione della
prigionieri politici, tradizionale bacino di reclutamento per il radicalismo islamico, e
immediato e diretto sui delicati equilibri tunisini: sono infatti arrivati migliaia di
profughi che hanno contribuito al lievitare del costo della vita, esasperando
In terzo luogo, le dimensioni preoccupanti raggiunte dalla galassia jihadista presente
nel paese. Le stime più recenti parlano di una vasta “brigata salafita”, ovvero di
tunisini che orbitano nel mondo dell’estremismo islamico, compresa tra le 3000 e le
5000 unità. Il reclutamento avviene soprattutto nelle aree rurali e periferiche del
paese, soprattutto quelle a ridosso del confine con l’Algeria. Questa caratteristica
risente sicuramente di un dato storico della Tunisia, ovvero le grandi differenze tra
le zone costiere, più evolute e meglio organizzate, e le zone interne, quasi del tutto
prive di infrastrutture, senza contare la scarsità delle risorse idriche.
22
F.
Battistini,
Reduci,
sparatorie
e
attentati:
il
caos
libico
travolge
la
Tunisia,
cit.
73
Nel
paese
si
contano
almeno
tre
centrali
del
terrorismo
islamista,
che
si
sono
in
noto gruppo Ansar al Sharia (Partigiani della Legge Islamica), di origine autoctona e
dove sono confluiti alcuni estremisti tunisini che hanno trascorso lunghi periodi di
residenza e detenzione in Italia23. La seconda risponde al nome di Obka bin Nafaa, e
Qaeda nel Maghreb islamico (Aqim). A questa organizzazione viene riconosciuta una
determinazione fuori dal comune nel compiere attentati, anche per la presenza di
Stato islamico ha infatti avviato la propria penetrazione nel paese, con il ritorno dei
organizzazioni che assistono le famiglie degli uomini che si sono recati nel califfato,
maggiore fornitore di reclute jihadiste (i cosiddetti foreign fighters) alle formazioni
dell’ISIS che combattono in Siria e in Iraq. Le stime più recenti parlano di circa 5000
L’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2015 al “National Dialogue Quartet”,
per il suo contributo decisivo nella costruzione di una democrazia pluralistica dopo
23
F.
Biroslavo,
Jihadisti
made
in
Italy,
“Panorama”,
1
aprile
2015.
74
la
cosiddetta
rivoluzione
dei
gelsomini,
ha
rappresentato
un
segnale
di
speranza
al
stretta tra i contrasti politici del fronte governativo e gli attentati terroristici. Il
quartetto, formatosi nel 2013, riunisce una serie di associazioni che hanno svolto un
ruolo cruciale di “di mediatori nel portare avanti il processo di sviluppo democratico
tunisino (UGTT, Union Générale Tunisienne du Travail), la confederazione industriale
l’Artisanat), la lega dei diritti umani (LTDH, Ligue Tunisienne pour la Défense des
Droits de l’Homme), e l'ordine degli avvocati (Ordre National des Avocats de Tunisie).
Il quartetto, si legge nelle motivazioni del comitato norvegese, “ha dato vita a un
processo politico pacifico alternativo in un momento in cui il Paese era sull’orlo della
guerra civile”, ed è stato “determinante per consentire alla Tunisia, nel giro di pochi
politiche e dal credo religioso”. Ma, più di ogni altra cosa, il premio vuole
75
3.
Mentre
la
collocazione
internazionale
della
Tunisia
continuerà
sicuramente
a
l’evoluzione dei suoi assetti interni non appare invece facilmente decifrabile.
diviso in merito alla risposta politica da adottare. Una parte del mondo politico
flusso di profughi. Il premier tunisino Essid ritiene che “finchè non si risolve la
questione libica, la Tunisia resterà sotto attacco”. Ma per il ministro degli Esteri
Bakusk, la questione libica deve essere affrontata non con un intervento armato a
Tripoli, ma al massimo con l’invio di un contingente di peacekeeper africani. Secondo
il Presidente Essebi, invece, poiché Ennahda non appare più in grado di garantire il
controllo degli islamisti presenti nel paese, la chiave è nel rafforzamento della
Due ipotesi interpretative hanno prevalso nella lettura degli attentati in Tunisia. La
nel corso del 2015 come parte del più vasto progetto del terrorismo islamico volto a
destabilizzare gli assetti geopolitici del mondo arabo e a radicalizzare lo scontro con
anche
essere
legato
alla
necessità
“distrarre”
i
simpatizzanti
dalle
sconfitte
subite
in
76
Iraq.
La
seconda,
più
legata
al
contesto
tunisino,
individua
invece
l'obiettivo
degli
una reazione repressiva contro tutte le forze islamiste moderate. Da questo punto di
vista, gli attentati avrebbero mirato a chiudere gli spazi di manovra alle forze di
terreno più fertile per determinare un conflitto diretto tra le forze di governo e
quelle islamiste radicali e per coagulare nel paese il consenso di jihadisti nazionali e
internazionali.
Nel primo caso, è probabile che la Tunisia potrebbe essere destinata a diventare il
secondo caso, invece, la chiave del futuro del paese sarebbe legata soprattutto alla
risposta politica del governo tunisino e alla sua capacità di non chiudere gli spazi di
24
D.
Cellamare,
Tunisia,
cit.,
pp.
121-‐122.
77
Alessandra
Frusciante
Algeria
1. L’Algeria è uno dei pochi Stati sopravvissuti alla primavera araba e risulta
la prima economia del Maghreb, il Paese più sicuro del Continente africano, ha un
debito pubblico tra i più bassi al mondo e un discreto volume di riserve in valuta
Apparentemente, dunque, in Algeria sono presenti molte delle condizioni che in altri
Paesi hanno favorito i tumultuosi cambi di regime avvenuti tra la fine del 2010 e
l’inizio del 2011, eppure, nel 2014, l’anziano presidente Bouteflika, in carica dal
1999, è stato rieletto per esercitare il suo quarto mandato e il suo partito, il Fronte
proteste, che ha fatto crollare più di un regime in Nordafrica, c’è sicuramente il fatto
che negli anni ’90 il Paese ha già vissuto le drammatiche e violente conseguenze
scaturito.
l’Algeria potrebbe essere messa di fronte ad una difficile lotta per il potere che non
rappresenta di certo la situazione ideale per affrontare due delle sue principali sfide:
la prima che riguarda la necessaria riforma dell’economia che allenti la dipendenza
ammodernamento del sistema economico, quanto da quella che sembra ormai una
durevole contingenza, caratterizzata dal basso prezzo del petrolio (cominciata nel
secondo semestre del 2014), che non sembra destinata a cambiare o a tornare al
livello dei prezzi record (e cioè a più di 100 dollari a barile) raggiunto negli scorsi
anni.
79
Influire
sulla
dipendenza
dell’Algeria
dall’esportazione
del
petrolio,
significa
mettere
al riparo il Paese dalle fluttuazioni del prezzo del greggio che, soprattutto in caso di
prezzi bassi per diversi trimestri di seguito, può comportare la contrazione della
cento delle entrate per lo Stato e il 30 per cento del PIL25. In questo quadro, gli
effetti della riduzione del prezzo del greggio, nella seconda metà del 2014, non si
idrocarburi del 41 per cento nei primi sei mesi del 2015, ha rinviato tutta una serie di
alimentari. Inoltre, nel settembre 2015, sono state bloccate anche tutte le attività
sfruttamento dello shale gas, su cui il Governo puntava molto e aveva stanziato circa
70 miliardi di dollari. Sul finire del 2015, si sono registrate, infine, notevoli diversità
di vedute sulla politica energetica del Paese: da un lato il primo ministro Abdel Malik
25
Sito
web
infomercatiesteri,
Algeria
-‐
Rapporto
Congiunto
Ambasciate/Consolati/ENIT
2016.
80
le
prospezioni
di
venti
giacimenti
situati
in
diverse
zone
del
Paese
al
fine
di
Con il perdurare di questa congiuntura, per il premier, invece, l’unica scelta possibile
strategia, per un Paese che si affaccia sul Mediterraneo, non può non essere il
turismo, un settore molto delicato, in cui la percezione della sicurezza e l’immagine
esterna giocano un ruolo fondamentale sull’attrattività e quindi sul suo sviluppo.
la riduzione della produzione e le pressioni sui Paesi del Golfo, a invertire la caduta
vertiginosa del prezzo del greggio e, mentre nel Paese sudamericano gli effetti sono
stati quasi immediati comportando la fine del chavismo, il sistema di potere algerino
Sul piano interno, invece, mentre il Governo decide la contrazione della spesa
destinatari delle iniziative del presidente il quale sembra avere, come obiettivo
fasi in cui le Forze Armate hanno avuto la massima influenza nella storia algerina ma
Come si diceva, nel settembre 2015, un decreto presidenziale ha affidato alla Polizia
sottraendolo all’Esercito, questa novità, unita alle sostituzioni ai vertici militari e alle
Mediene, noto come Toufik, a capo dei servizi segreti dal 1990, danno la misura del
cambiamento in atto nel settore. La notizia ha agitato molto la stampa algerina che
per settimane si è interrogata sulla reale portata dell’allontanamento di Toufik; si è
sperato in un reale passo in avanti verso una democrazia più matura, o più
il segretario del Fln e l’ex capo dei servizi, tutte ipotesi valide nell’intricato e poco
richieste di dimissioni da parte dei partiti d’opposizione e di parte della stampa; per
questo motivo l’Fln, impegnato anche in un duro scontro interno per la lotta alla
successione, a più riprese, ha proposto una alleanza ampia dentro e fuori dal
all’intelligence capeggiata dall’ex capo dei servizi, Toufik, che ha rotto 25 anni di
silenzio mediatico per sfidare apertamente Bouteflika. Toufik è inoltre sostenuto dal
4. Sul fronte delle relazioni con i Paesi vicini, è da rilevare che nel 2013 l’Algeria
aveva chiuso i confini con la Libia per bloccare il continuo contrabbando di armi e lo
spostamenti di jihadisti; verso la fine 2015, il Governo aveva accettato di verificare
l’esistenza di condizioni per riaprirlo in accordo con il Governo di Tobruk e quello di
Tripoli, ma ha poi valutato di rimandare la decisione al momento del confronto con
un Governo unitario.
Con la Tunisia, le relazioni sono sempre più strette e improntate al dialogo e alla
firma di nuovi accordi e memorandum d’intesa e con il reciproco elogio sullo stato
Con il Marocco, invece, i rapporti restano tesi, nonostante il comune impegno nella
lotta al terrorismo e la necessità di coordinamento che questo esige, i due Paesi non
chilometri di confine restano chiusi con severe ripercussioni sulla sicurezza e sulle
l’abolizione dell’obbligo del visto per i cittadini algerini, ricambiato da Bouteflika due
anni dopo. Inoltre, la corsa al riarmo di Rabat che aspira a diventare un Paese
produttore di armi e che per questo motivo sta cercando la collaborazione di Usa,
Marocco che in più di una occasione ha affermato l’amicizia fra i due popoli e ha
Sulla crisi siriana, l’Algeria è apparsa più vicina alla versione più recente della
al fine di contribuire al futuro del Paese. È di fine dicembre 2015, inoltre, l’iniziativa
di Bouteflika di porsi come mediatore fra Iran, con cui il suo Paese ha concluso
diversi accordi di cooperazione, e Arabia Saudita, con l’obiettivo di avviare trattative
dirette per “porre fine alle guerre in Siria, Iraq e Yemen e riportare la stabilità nella
regione26”. Al tempo stesso, è stato l’unico Paese arabo a non aderire alla coalizione
militare contro il terrorismo, lanciata dal principe Mohamed bin Salman, ministro
dell’Arabia Saudita dopo le accuse occidentali di aver favorito la nascita dello Stato
Islamico. Quest’ultima mossa avvalora l’idea di una Algeria che si sta preparando ad
26
Sito
web
Agenzia
Nova,
“Bouteflika
chiede
a
Iran
e
Arabia
Saudita
di
avviare
trattative
dirette”,
21
dicembre
2015.
84
offrire
la
propria
mediazione
nella
guerra
fredda
fra
Arabia
Saudita
e
Iran
e
a
Sempre nel corso del 2015, il Paese ha chiesto e ottenuto la revisione dell’accordo di
parte europea una sempre maggiore attenzione ai rapporti con l’Algeria.
Per ciò che concerne l’attività multilaterale, l’Algeria è stata, negli ultimi tempi,
molto attiva. In particolare, nell’Opec e nel Gecf (Gas exporting countries forum,
ovvero la cosiddetta “Opec del gas”), il governo di Algeri è determinato a creare una
stretta collaborazione con altri Paesi al fine di influenzare il mercato dell’energia; nel
primo caso, per contrastare le politiche saudite, che hanno favorito la caduta del
Algeri un istituto di ricerca sul gas con il compito di dare informazioni sui dati e sugli
studi relativi al gas, a tutti i Paesi membri del Gefc. Meno disteso è stato il vertice
dell’Opec a Vienna, del 4 dicembre 2015, conclusosi con un nulla di fatto, proprio
perché Iran, Iraq e Venezuela, in particolare, hanno rifiutato la proposta dei sauditi
esportatori di petrolio, infatti, che hanno subito pesantemente la caduta vertiginosa
del
prezzo
al
barile,
vorrebbero
una
diminuzione
della
produzione
solo
da
parte
dei
85
Paesi
del
Golfo,
che
negli
ultimi
anni
hanno
sfruttato
una
posizione
dominante
Molto attento all’andamento della crisi libica, il Governo di Algeri, prima che il
Consiglio di sicurezza dell’Onu decidesse per la no-‐fly zone , aveva provato anche a
prevedeva elezioni presidenziali entro due mesi e negoziati con i ribelli, l’unica
concessione fatta al rais era la possibilità per lui o per suo figlio di potersi candidare.
Dopo le operazioni militari, l’Algeria ha continuato a partecipare a tutte le iniziative
2015 della Lega dei Consigli economici e sociali arabi, che comprende Algeria,
Aknoun, sulle alture di Algeri, ovvero la forza di polizia congiunta africana che sul
modello dell’Interpol dovrebbe entrare nella sua fase operativa entro il 2016.
5. Tornando alla politica interna, tra gli obiettivi principali del presidente vi è senza
non ha smesso di attirare le polemiche dei partiti di opposizione.
Nella proposta di riforma, che sarà presentata al Parlamento nel febbraio 2016 (e
che prima passerà al vaglio del Consiglio dei ministri e della Corte Costituzionale),
come annunciato da Bouteflika in conferenza stampa, vi sono numerose misure atte
ad impedire l’ingresso dei militari della vita politica del Paese, vi è inoltre una
in una democrazia, il riconoscimento della libertà di espressione e di manifestazione,
parità fra uomo e donna nel lavoro, il riconoscimento del Tamazight (la lingua dei
attenzione alle misure di garanzia della libertà di culto e dei diritti umani in generale.
Quello che è trapelato del progetto di riforma, è stato già rigettato in blocco dai
misure sul riconoscimento dei diritti delle minoranze e sul limite al mandato
presidenziale.
6. La seconda sfida che Algeri dovrà affrontare in un momento tanto delicato, e cioè
quella del terrorismo islamista è, non tanto di natura esterna (i confini algerini con la
Libia
sono
militarizzati
da
tempo
e
dovrebbero
essere
quasi
impenetrabili
dai
gruppi
87
jihadisti
stranieri),
quanto
di
natura
interna,
vale
a
dire
dell’eventualità
che
alcuni
gruppi terroristici già attivi nel suo territorio possano allearsi anche solo idealmente
con l’Isis, cosa in alcuni casi già avvenuta ma non ancora ai livelli di guardia.
costituzionale che non promette di essere semplice e disteso, ma che rappresenta,
Infine, gli ottimi rapporti con l’Europa e i Paesi europei, fra cui Italia, Francia e
interesse ad investire della Cina e degli Stati Uniti, indicano che il Paese gode della
fiducia per la sua stabilità e affidabilità nel medio e lungo periodo.
Per tali motivi, l’Algeria può resistere in modo piuttosto indipendente alle ricadute
degli sviluppi regionali. Per ciò che concerne la politica interna, sembra che il
88
Paolo
Wulzer
Marocco
islamico. Una serie di tratti particolari hanno infatti contraddistinto la storia del
Marocco indipendente.
fondato sul ruolo centrale del re, su un lento e graduale processo di apertura
Una politica internazionale basata su poche ma ben definite coordinate. La prima,
partire dagli anni Ottanta. Nel 2004, l’amministrazione Bush definì Rabat “il nostro
all’Europa, manifestatasi in modo clamoroso nella richiesta presentata nel 1987 di
aderire alla Comunità Europea. Negli ultimi venti anni, il Marocco è stato un
89
Un
ruolo
regionale
particolarmente
attivo,
sia
nel
contesto
maghrebino
che
nel
più
è tradizionalmente stato un attore centrale, nel consueto sottile gioco diplomatico
tra le aspirazioni all’integrazione regionale e la difesa degli interessi marocchini nel
misura, la posizione molto particolare del Marocco sia all’interno del mondo
mediterraneo.
Sul piano politico, infatti, il sovrano marocchino Muhammed VI, salito al treno nel
1999 dopo i 38 anni del regno di Hassan, scelse di rispondere alle dimostrazioni e
alle pressioni che coinvolsero il paese sull’onda dei movimenti in corso nei paesi
vicini, indossando i panni del riformatore al fine di evitare che il paese fosse
contagiato dalla primavera araba. In particolare, il sovrano annunciò l’adozione di
una serie di riforme costituzionali, che aumentavano i poteri e l’indipendenza del
27
J.Rosenblum,
W.
Zartman,
The
Far
West
and
the
Near
East:
the
Foreign
Policy
of
Morocco,
in
B.Korany,
Ali
E.H.
Dessouki,
The
Foreign
Policies
of
Arab
States.
The
Challenge
of
Globalization,
Cairo,
The
American
University
in
Cairo
Press,
2008,
pp.319-‐342.
90
decentramento
amministrativo.
L’adozione
di
una
nuova
Costituzione,
che
allargava anche gli spazi di libertà e di tutela dei diritti umani, rappresentò con
dimostranti. In primo luogo, perché il documento non veniva elaborato all’interno
sovrano. In secondo luogo, perché manteneva concentrate nella figura del re tutta
emergenza, di governare per decreti, di sciogliere il parlamento e di indire nuove
Dal 2011 il paese è governato da una coalizione guidata dal Pjd (Parti de la justice
mira a conciliare Islam e democrazia29. Il governo di coalizione formatosi dopo le
elezioni del novembre del 2011, guidata dal premier Abdelillah Benkirane di Pjd,
non
fu
però
in
grado
di
attuare
la
sua
agenda
riformatrice,
impantanandosi
in
lotte
28
J.L.
Gelvin,
The
Arab
Uprisings.
What
Everyone
Needs
to
Know,
Oxford,
Oxford
University
Press,
2012,
pp.
119
–
140.
29
E’
interessante
sottolineare
come
il
Pjd
sia
l’unico
partito
islamico,
insieme
al
tunisino
Ennahda,
che
abbia
governato
dopo
la
primavera
araba
in
coalizione
con
altre
forze
politiche
e
non
in
maniera
esclusiva,
come
è
accaduto
invece
nella
breve
parentesi
della
Fratellanza
Musulmana
al
potere
in
Egitto
tra
il
2012
e
il
2013.
91
intestine
e
ostacolata
dalle
ingerenze
monarchiche.
Mentre
la
situazione
dell’esecutivo. I due maggiori partiti della coalizione, infatti, gli islamici del Pjd e i
conservatori del Partito Istiqlal, si trovarono su posizioni contrastanti quando, nel
luglio del 2013, il re si schierò a favore del colpo di Stato che rovesciò il presidente
egiziano Mohamed Morsi, che aveva ricevuto il sostegno del Pjd. Pur sostenendo
ufficiosamente Morsi, il timore che le ripercussioni del caos egiziano minassero il
fragile assetto politico spinsero il Pjd a mantenere un basso profilo nei confronti
della Fratellanza Musulmana. Alla posizione di neutralità ufficialmente assunta nel
differenze esistenti con gli islamisti egiziani, lasciando che fosse l’ala giovanile del
metteva fine a 3 mesi di stallo politico. Il vuoto lasciato dagli ex alleati di Istiqlal,
che a luglio si erano ritirati dalla coalizione di governo per protestare contro i tagli
ai sussidi pubblici, è stato colmato dall’ingresso dei liberali dell’ Unione nazionale
degli
indipendenti
(Rni),
vicini
al
monarca.
Il
prezzo
da
pagare
per
evitare
nuove
92
elezioni
è
stato
la
riduzione
del
potere
degli
islamici,
con
la
cessione
di
alcune
posizioni chiave nel governo, come il ministero degli Esteri, che è andato al leader
oltre che da Pjd e Rni dal Partito del progresso e del socialismo (Pps) e dal
Movimento popolare (Mp), il numero dei ministeri è passato da 30 a 39. L’attuale
coalizione governativa, ancora guidata da Benkirane e dagli islamici di Pjd, appare
in realtà come un’alleanza bifronte, spaccata fra una corrente legata all’islam
Negli ultimi due anni, le speranze di riforme nate nel corso del 2011 si sono
gradualmente dissolte.
Sul piano politico, gran parte delle disposizioni più innovative della nuova carta
costituzionale, soprattutto quelle relative alla tutela dei diritti umani, sono rimaste
Sul versante economico, il governo formatosi nel 2011 aveva annunciato un vasto
programma di riforme economiche, fondato in modo particolare sull’aumento dei
livelli di occupazione, l’innalzamento degli investimenti nell’istruzione e la lotta alla
crescita, attestata intorno al 4,6%, caratterizzata però da alti livelli di povertà nelle
crescita complessiva del paese si è attestata su una media del 3,7% annuo tra il
disoccupazione, che raggiunge il 20,6% tra le generazioni più giovani e addirittura il
39,9% tra i lavoratori urbani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. Inoltre, tali cifre
marginalizzazione per le generazioni più giovani e un enorme serbatoio di consensi
introdurre. Come gli altri partiti islamici saliti al potere in Egitto e in Tunisia dopo le
pubblica, poiché simili misure avrebbero infranto l’immagine – costruita durante la
campagna elettorale – di uno schieramento vicino ai bisogni della popolazione. Ma
a fronte di un deficit di bilancio pari al 7,5%, e messo sotto pressione dai creditori
costretto ad approvare tagli agli stipendi e ai sussidi per i beni alimentari e il
carburante.
94
I
timori
per
la
situazione
economica
si
sono
intrecciati
con
la
delusione
di
parte
della popolazione per gli scarsi progressi in materia di diritti civili. Il malcontento
ha riattizzato il dissenso per le promesse non mantenute di Mohammed VI: ridurre
Tra i motivi di fondo che hanno frenato il cammino di rinnovamento avviato nel
Marocco ruota inoltre quasi completamente intorno alla figura del Re, per cui
spesso il governo non ha un controllo diretto sui vari dicasteri che devono
Nell’ambito della politica estera, le rivolte arabe del 2011 determinarono un forte
avvicinamento del regime marocchino con le altre monarchie sunnite del mondo
arabo alle prese con i fenomeni di protesta. Il segnale più evidente di questo
Sebbene tale proposta sia rimasta sulla carta, essa risultava però fortemente
dall’Arabia Saudita31.
31
J.L.
Gelvin,
The
Arab
Uprisings.
What
Everyone
Needs
to
Know,
cit.,
pp.
119
–
140.
95
Nel
corso
del
2015,
la
tradizionale
immagine
di
stabilità
interna
del
Marocco
si
è
Islamico all’interno dei confini nazionali. Negli ultimi mesi, le autorità di Rabat
hanno più volte annunciato l’arresto di diversi membri di una presunta cellula
in Siria. Il radicamento dello Stato islamico in Marocco costituirebbe senza dubbio
Nel settembre del 2015, nel paese si sono tenute le elezioni regionali e locali, che
hanno definito una nuova mappa politica del Marocco fondata sostanzialmente su
particolarmente forte nelle grandi città. Dall’altra il partito di opposizione, il Partito
per l’Autenticità e la Modernità (Pam), di orientamento laico e radicato soprattutto
attiguo a re Mohammed VI, gli uomini del primo ministro Benkirane possono
tuttavia
cantare
vittoria,
con
un
15,5%
che
ne
fa
la
terza
formazione
politica
più
32
R.
Looney,
Morocco
is
Running
Out
of
Time,
“Foreign
Policy”,
9
July
2015
96
votata
-‐
davanti
a
loro
anche
Istiqlal
(16,22%)
-‐
ma
che
segnala
un'ascesa
città principali del Marocco (Casablanca, Rabat, Tangeri, Marrakech, Fez, Agadir) è
dopo queste elezioni saldamente nelle mani di Giustizia e sviluppo, che fino a ieri
modernità e Istiqlal sono andati forte nelle aree rurali, il voto delle zone urbane è
dell'egiziano Morsi è stato scalzato dal colpo di Stato militare, in Marocco invece il
peso del Pjd cresce, in quello che molti considerano come un voto di fiducia per il
suo leader33.
3. Sul piano dei rapporti internazionali, è facile prevedere che la posizione del
Marocco rimarrà coerente con le tradizionali direttrici della sua politica estera,
fortemente tesa allo sviluppo dei rapporti con gli Stati Uniti e con i paesi europei.
Si tratta di scelte non solo dettate dagli interessi di sicurezza di Rabat, ma anche
allineamento di Rabat con le monarchie sunnite del Golfo, come dimostrato con
33
F.
Sadiqi,
Morocco’s
Emerging
Democracy:
The
2015
Local
and
Regional
Elections,
“Wilson
Center”,
28
October
2015.
97
evidenza
dal
sostegno
militare
fornito
dal
Marocco
all’intervento
guidato
Più arduo è invece prevedere l’evoluzione dei suoi assetti interni. Il panorama
‘limiti sacri’: il re, l’Islam e la questione del Sahara occidentale. Questi fattori sono
È abbastanza agevole prevedere che le elezioni legislative previste nel 2016, così
dialettica tra gli islamici moderati del Pjd e i laici del Pam. Più difficile appare
invece pronosticare il ruolo che avrà il Marocco di fronte al problema dello Stato
appare quella del ritorno in patria degli estremisti addestrati dall’ISIS, al fine di
34
M.
Greene,
Moroccan
Soldiers
to
Participate
in
Ground
Offensive
in
Yemen,
“Moroccan
Times”,
15
September
2015.
98
sorta
di
replica
di
quanto
accaduto
in
Tunisia
nel
corso
del
2015,
con
gli
attentati
dell’ISIS al Marocco dipenderà in primo luogo dal grado di solidità interna del
nel primo semestre del 2015, l’aumento della povertà nel paese, la crescente
contribuiscono senz’altro a creare un fertile terreno di reclutamento per lo Stato
islamico. Dall’altro lato, tuttavia, il Regno sembra possedere gli anticorpi per
di principi islamici ed occidentali, potrebbero non solo rendere il Marocco immune
dalla tempesta che sta investendo il mondo mediterraneo, ma anche fare del
Regno un modello economico e culturale per quei paesi che stanno tentando di
Quale delle due strade prenderà il Marocco dipenderà, in larga misura, dalla
Recentemente, il sovrano ha dichiarato che il suo paese non può più permettersi di
avere “un sistema a due velocità in cui i ricchi ottengono tutti i benefici della
99
35
esclusi
dallo
sviluppo,
diventando
perciò
ancora
più
poveri” .
Tale
Come sottolineato da molti analisti, se la “Primavera Araba” avesse innescato una
politica, economica e sociale, con ogni probabilità lo Stato Islamico non avrebbe
trovato terreno fertile per la sua penetrazione. Il Marocco sembra ancora in tempo
necessario agire in fretta e con decisione per sottrarre il Marocco dalla guerra
Solo un reale sviluppo economico e sociale del paese e un maggiore impegno per il
rispetto dei diritti umani potranno consentire di sciogliere i nodi che impediscono
l’articolazione della sua società, contribuendo inoltre ad erigere una solida barriera
35
E.
Galli
della
Loggia,
L’eccezione
Marocco,
“Corriere
della
Sera”,
12
ottobre
2014.
100
Eugenia
Ferragina
determina una forte dipendenza dai pochi importanti corsi d’acqua che attraversano
la regione. E’ in questa parte del Mediterraneo che appaiono più evidenti gli intrecci
tra la storia dell’uomo e quella delle tecniche di valorizzazione e uso dell’acqua e il
ruolo che l’acqua ha rivestito nell’influenzare i rapporti di dominio all’interno degli
stati e tra gli stati. Culla di alcune delle grandi civiltà idrauliche della storia – quella
dopoguerra che hanno visto l’acqua al centro delle strategie di sviluppo condotte dai
molte delle “partite per l’acqua” poiché alla storica competizione tra Turchia, Siria
potere. Le risorse idriche rappresentano, inoltre, una posta in gioco fondamentale
anche nella strategia dello Stato Islamico che vede in questa risorsa un elemento
seguito alla realizzazione delle prime grandi opere idrauliche nella seconda metà
degli anni ’70 (Fig.1). Nel 1975 la Turchia inaugura la diga di Keban, cui segue
quella di Karakaya nel 1987. Nello stesso anno la Siria realizza i suoi progetti
sull’Eufrate: la diga di Tabqa che porterà alla formazione del grande bacino di
stoccaggio del lago Assad, la diga Al-‐Bath e quella di Tishrin a ridosso del confine
turco. Il fulcro dello sviluppo agricolo siriano si concentra lungo l’Eufrate e i suoi
affluenti grazie ad un vasto piano di irrigazione di circa 600.000 ettari che porta
all’incremento delle aree irrigue nella piana di Aleppo, Rusaifa e Raqqa.
102
Agli
inizi
degli
anni
’80
l’Iraq
realizza
la
diga
di
Mosul
sul
fiume
Tigri
e
la
diga
di
parte del flusso del Tigri verso l’Eufrate allo scopo di integrare la riduzione della
portata dell’Eufrate causata dei progetti turchi a monte -‐ vengono interrotti in
seguito all’embargo imposto al paese dopo la guerra del Golfo del 1991. L’unico
grande intervento che l’Iraq realizza negli anni successivi ha uno scopo anche
un’area di 1.5 milioni di ettari alla confluenza del Tigri e dell’Eufrate, avamposto
della resistenza sciita al regime di Saddam. La deviazione del basso corso del Tigri e
paludi lasciare il posto ad una distesa di deserto e sale che provoca una vera e
nell’area, i cosiddetti arabi delle paludi, 10.000 sono sopravvissuti alla distruzione
del loro habitat ambientale, 100.000 sono emigrati in Iran ed il resto si è trasferito
Il livello di tensione tra i paesi co-‐rivieraschi del bacino aumenta nel 1990, quando
36
Nel
1956
l’Iraq
aveva
realizzato
la
diga
di
Ramadi
sull’Eufrate
e
quella
di
Samara
sul
Tigri.
103
idroelettriche
sul
Tigri
e
l’Eufrate
nella
zona
sud-‐orientale
del
paese
che
minaccia
di ridurre in maniera sostanziale l’afflusso dei due fiumi in Siria e Iraq. Scambio di
segnano l’inizio di un deterioramento dei rapporti tra i paesi. L’interruzione per un
mese del flusso dell’Eufrate per il riempimento del bacino creato dalla grande diga,
I due paesi si faranno promotori di un’offensiva diplomatica volta ad ottenere da
milioni di metri cubi di acqua. Tale riavvicinamento sarà cementato dalla decisione
dell’Iraq di vendere petrolio a prezzo politico alla Siria, in violazione all’embargo.
Nei nuovi equilibri idropolitici all’interno del bacino entra in gioco anche la
questione curda. L’area del progetto GAP è teatro di scontri tra il governo di
Ankara e la minoranza curda, contraria alla realizzazione del progetto considerato
autonomiste curde. La sommersione di interi villaggi per la creazione dei bacini di
stoccaggio delle acque delle dighe di Ataturk, Birecik e Karakaya hanno, tra gli altri,
anche l’obiettivo strategico di creare un cordone di sicurezza tra la comunità curda
della Turchia e le minoranze curde presenti in Siria e in Iraq. La Siria, nel tentativo
di bloccare il progetto GAP, offre negli anni ‘80 appoggio logistico e sostegno
militare
al
PKK,
provocando
una
reazione
da
parte
del
governo
di
Istanbul
che
104
utilizza
a
sua
volta
l’acqua
come
strumento
di
pressione
(Maury,
1999).
La
minaccia da parte della Turchia di ridurre il flusso dell’Eufrate in Siria porta nel
1998 alla firma dell’accordo di Adana che segna l’interruzione del sostegno siriano
al PKK. Di lì a poco segue l’espulsione di Ocalan dalla Siria e la sua cattura.
Negli anni successivi, la Turchia prosegue nel completamento del sistema di dighe,
confermando la dimensione strategica del progetto GAP sia sul piano interno,
dell’acqua che entra nei due paesi, la debole risposta dei governi nazionali alla crisi
vita delle popolazioni. Guerra civile in Siria e mancata stabilizzazione dell’Iraq, non
3. Nella crisi siriana emerge in maniera forte il nesso cibo-‐acqua, poiché il mancato
una crisi agricola e umanitaria che ha aumentato la vulnerabilità del paese alle
L’agricoltura siriana dipende per due terzi dal livello delle precipitazioni e per il
sussidi statali alle colture che fanno un uso intensivo di acqua, come il cotone,
acque a causa dei nitrati, hanno reso molti pozzi – soprattutto nella regione di
dei prelievi delle acque del Tigri e dell’Eufrate da parte della Turchia per la
La situazione idrica della Siria ha subito un ulteriore deterioramento anche a causa
ricerca del consenso dei piccoli agricoltori sunniti ha portato nel corso degli anni
siccità intervenuta nel 2007 ha colpito in particolare la zona Nord-‐Orientale della
Siria, quella da cui provengono i due terzi della produzione agricola del paese,
106
compromettendo
l’autosufficienza
alimentare
raggiunta
sin
dalla
metà
degli
anni
Anche nel caso della Siria, come già avvenuto negli anni ’80 in altri paesi arabi, la
alimentare e con essa anche la stabilità politica del paese (Werrell, Femia, 2013).
Tra il 2007 ed il 2008 la media delle precipitazioni in Siria cala del 66 per cento, la
produzione delle derrate alimentari di base del 32 per cento nelle aree irrigate e
del 79 per cento in quelle coltivate a secco, con un raddoppio del prezzo di grano e
riso. Nel 2010 il prezzo del foraggio aumenta del 45 per cento e le condizioni
liberalizzazione intraprese dal governo che prevedono una riduzione dei sussidi
statali, determinano un aumento del prezzo del diesel e dei fertilizzanti, con effetti
1.500.000 persone che riversano nelle aree urbane, già saturate dalla presenza di
provenienti dall’Iraq rappresentano circa il 20 per cento della popolazione urbana
della Siria che passa da 8,9 milioni di individui nel 2002 a 13,8 milioni nel 2010
37
Tra
il
2007
e
il
2008
la
parte
Nord-‐Orientale
della
Siria
ha
registrato
un
calo
delle
precipitazioni
che
ha
superato
il
50
per
cento
della
media
stagionale.
I
raccolti
si
sono
ridotti
del
32
per
cento
nelle
aree
irrigate
e
del
79
per
cento
nelle
arre
coltivate
a
secco.
La
produzione
di
grano
è
crollata
a
2,1,
contro
una
media
di
4,7
milioni
di
tonnellate,
costringendo
la
Siria
a
importare
grano
per
la
prima
volta
dopo
15
anni.
De
Chatel
(2014).
38
Il
diesel
alimenta
le
pompe
che
servono
per
l’estrazione
dell’acqua
dalle
falde
e
per
la
sua
distribuzione
nelle
zone
irrigue.
Inoltre,
l’aumento
del
costo
del
diesel
rende
più
costoso
il
trasporto
dei
prodotti
agricoli
al
mercato.
107
(Kelley,
Mohtadi,
Cane,
Seager,
Kushnir,
2015).
La
creazione
di
insediamenti
controllo del territorio e delle popolazioni anche attraverso la conquista delle più
importanti dighe sull’Eufrate (Fig.2). Sono al momento in mano ai miliziani sunniti,
la diga Baath che svolge un’importante ruolo di regolazione del flusso dell’Eufrate
e la diga di Tabqa, la più importante del paese, da cui si origina il grande bacino di
perso il controllo della diga di Tishrin, una delle 3 principali dighe sull’Eufrate che
tra la città di Aleppo e la capitale dello Stato Islamico Raqqa. Altri scontri sono in
atto intorno alla diga Bath a Sud di Tishreen che fornisce acqua alla capitale del
califfato, Raqqa.
4. Paese a valle del bacino del Tigri e dell’Eufrate, il 95% delle risorse idriche
reso il paese l’attore più debole all’interno del bacino, quello con minor forza
occupazione.
Il flusso di acqua che entrava nel paese nel 1985 era valutato pari a 66,7 miliardi di
metri cubi di acqua, di cui 42,7 provenienti dall’Eufrate e 24 dal Tigri, attualmente
la disponibilità idrica si è ridotta di un terzo e il paese dispone di circa 43,7 miliardi
di metri cubi di acqua, di cui 18,4 dall’Eufrate e 15,9 dal Tigri. La riduzione del
flusso in entrata dei due fiumi è legato anche all’aumento dei prelievi da parte
La riduzione della portata del Tigri e dell’Eufrate ha contribuito ad aggravare alcuni
salinizzazione dei terreni. Il primo, è legato al fatto che il flusso di acqua dei due
fiumi che entra nel paese non è in grado di diluire le sostanze inquinanti che
provengono dagli usi agricoli degli altri paesi a monte del bacino, in particolare
fertilizzanti e pesticidi. Inoltre, l’irrigazione con acqua che presenta tassi di salinità
elevati a causa della scarsa diluizione, favorisce la creazione di ampi depositi salini
responsabili del crollo delle rese in molte zone del paese.
Anche in Iraq come in Siria, la strategia perseguita dallo Stato Islamico mira alla
idrico. La provincia di Ninive, sotto il controllo del califfato, è quella da cui proviene
invernale 2013-‐2014.
pressi di Karbala, città sacra agli sciiti, il rilascio di acqua dalla diga potrebbe essere
usata come arma contro la popolazione. La diga di Ramadi che regola il flusso
dell’Eufrate a Nord-‐Ovest di Baghdad è stata oggetto di violenti scontri sia per la
sua importanza strategica -‐ la creazione di una zona cuscinetto tra i territori
controllati dal califfato e la capitale Baghdad -‐ sia come arma di pressione sulla
popolazione -‐ nel giugno del 2015 i miliziani sunniti hanno bloccato il rilascio di
acqua dalla diga, creando le condizioni per una grave crisi idrica e umanitaria. Il 26
milizia sunnite ha perso il controllo della diga intorno alla quale si registrano
attualmente violenti scontri. Una massiccia offensiva è in atto dall’inizio del 2016
intorno alla città di Haditha, dove l’omonima diga fornisce acqua ed elettricità a
La diga maggiormente contesa tra le forze in campo è quella di Mosul, costruita da
diga
si
trova
al
confine
dei
territori
conquistati
dallo
Stato
Islamico
ed
è
stata
sotto
110
il
controllo
delle
milizia
sunnite
fino
al
giugno
2014,
quando
è
stata
riconquistata
dalle forze curde. Il sito presenta un’elevata importanza strategica perché la sua
distruzione potrebbe provocare l’inondazione della città di Mosul e della capitale
Bagdad, situata 400 chilometri più a Sud. Sulla diga pesano anche gravi rischi di
crollo legati al terreno argilloso su cui è edificata. L’urgenza di interventi strutturali
per garantirne la stabilità è stata sollevata sin dal 2006 dall’US Army Corps of
Engineers (USACE) e nel Dicembre del 2015 interventi di consolidamento della diga
sono stati affidati ad una ditta italiana, la Trevi che opererà con il supporto di 450
5. La lotta per il controllo delle risorse strategiche della regione è in atto e l’acqua
gioca un ruolo rilevante in questa partita. Nel bacino del Tigri e dell’Eufrate il
tradizionale fronte conflittuale che vede contrapporsi da anni gli interessi della
Turchia, paese a monte del bacino, a quelli della Siria e dell’Iraq, si è negli ultimi
anni allargato a due nuovi attori politici: il Kurdish Regional Goverment (KRG) e lo
Stato Islamico. Il primo, mantiene una posizione egemone lungo il corso del Tigri,
grazie alla conquista della diga di Mosul, il secondo, controlla la più importante
diga sull’Eufrate, la diga siriana di Tabqa che sorge a pochi chilometri dal quartier
sono presenti i principali snodi dei sistemi di gestione delle risorse idriche, come
111
conferma
la
concentrazione
degli
scontri
intorno
alle
dighe
presenti
lungo
il
Tigri
e
l’Eufrate.
cordoni di sicurezza e impedire l’avanzata del nemico, modificano la geografia del
ricatto e di pressione non è nuovo nella storia del Medio Oriente e, come in altri
conflitti che hanno coinvolto le fonti idriche, non può essere isolato dall’insieme
è rappresentato dal fatto che il cambiamento climatico conferisce alla mancanza di
cibo e di acqua una nuova e più esplosiva dimensione che amplifica ed estende la
portata dei conflitti regionali e condiziona la stabilità politica dei paesi dell’area.
112
Fig. 1
Fonte: Cremonesi L. “La grande sete del Medio Oriente: l’altra faccia (liquida) della Guerra”, Corriere della Sera, 30
Giugno 2015.
113
Fig 2
Fonte: http://www.theguardian.com/environment/2014/jul/02/water-key-conflict-iraq-syria-isis
114