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Il Deor è un testo breve. Un menestrello (scop) che viene licenziato e sostituito da un altro.

Egli cita nel suo


testo episodi della tradizione eroica che hanno vissuto vicende simili alla sua affermando che se è successo
a loro, può essere capitato anche a lui. Il titolo è inventato: il manoscritto non ha un titolo. È un nome che si
trova nel testo al verso 37 (“Me waes Deor nomina”, cioè “Il mio nome è Deor”). Colui che gli ruba il posto è
Heorrenda. Poiché la critica ha notato che il testo era scritto in prima persona, lo ha attribuito a Deor.
All'inizio si trova una fin a e poi altri capolettera. Il testo è quindi diviso in strofe (non tutte della stessa
lunghezza), cosa non tipica nel mondo anglosassone. A parte l'ultima, le strofe hanno all’interno il nome di
una persona, cioè i nomi dei personaggi eroici di cui si parla: è una sorta di presentazione dell'episodio di
cui si parla. Il settimo verso della prima strofa è ripetuto alla fine di ogni strofa (ritornello). Questo è
specifico solo di questo poemetto: ogni episodio narrato è in relazione con l'altro. Da un lato si ha un
manoscritto, dall’altro bisogna collegarlo a dei generi. Secondo la teoria polisistemica, si deve ritenere che
un testo ha delle caratteristiche che lo avvicinano a un testo ma anche delle caratteristiche a sé che lo
avvicinano anche ad altre tipologie. Ogni epoca respira quindici ciò che ha intorno. Il Deor è attribuito alle
Old English Elegies. Esso appartiene a un periodo della storia inglese che va dall' VIII secolo e arriva al 1066
(Battaglia di Hastings, conquista normanna). È anche la lingua del Beowulf. I Normanni quando arrivano in
Inghilterra, parlano il francese antico. Si forma quindi la lingua anglo-normanna. L'inglese riemergerà nel
XIV secolo come lingua veicolare durante una fase alto-medievale. L'isola venne conquistata nel V secolo
dagli Angli, Sassoni e Iuti (dall’Europa settentrionale) che portano con sé la propria cultura che è diversa da
quella dei Celti e dei Romani. Alla fine del IV per le invasioni barbariche subite, l’imperatore ordina ai
Romani di abbandonare l'isola. Elegia: oggi viene intesa come qualcosa di triste e malinconico. Questo
termine è il nome di un metro usato in Grecia che era accompagnato dal suono del flauto. In seguito, venne
usato per parlare di qualcosa di triste. La svolta si ha con l’età augustea (I secolo a.C- I secolo d.C.) con
Ovidio che venne cacciato da Cesare Augusto perché non rispettava il mos maiorum e perché conosceva
delle cose segrete sulla figlia di Augusto. Ovidio venne esiliato a Tomi (luogo dimenticato dell'impero) e lì
scrive due opere: i Tristia e le Lettere dal Ponto in cui lamenta la sua condizione usando il metro elegiaco.
Durante l'alto Medioevo la pergamena costa tantissimo quindi anche del passato classico si sa poco:
vengono fatte delle selezioni e sopravvivono opere che ci permettono di dare uno sguardo enciclopedico al
passato. Per esempio, di Ovidio si conoscono Le Metamorfosi che fanno di lui uno degli autori più
conosciuti. Grazie a lui si conosce il metro elegiaco ritenuto adatto, per il suo tono melanconico, alla
tradizione anglosassone che venne influenzata anche dalla tradizione gallese e irlandese. In esse, si ha un
interesse nei confronti della descrizione della natura nonni senso del locus amoenus ma del modo (animo,
mood) con cui ci si pone nei suoi confronti. La descrizione della natura in relazione al sentimento viene
definita melanconia. La cultura anglosassone viene influenzata anche dai monaci irlandesi che
cristianizzano con la loro cultura il Nord dell'Inghilterra. Cicerone nella letteratura latina assume la
posizione dell’Ubi Sunt (cioè Dove sono i tempi antichi?). Nel terzo e quarto secolo ciò è molto sentito:
vengono scritti testi in cui si ha una sorta di visone della fine del mondo, di malinconia per ciò che si è
perso.

I testi dell'elegia anglosassone sono conservati in un unico volume nella biblioteca di Exeter (Exeter Book).
Si tratta di un manoscritto donato dal vescovo Leofric alla biblioteca della cattedrale di Exeter. Egli muore
nel 1072, poco dopo la fine del mondo anglosassone. Egli scrive all'inizio: “ .I. mycel englisc boc be
gewilchum pingum on leodwisan gewohrt” (un grande libro inglese su cose diverse elaborato in forma
poetica). L'Exeter Book è scritto in versi:

76v-78r: Wanderer (Il Viandante): è scritto in versi e parla di un uomo che sopravvive al proprio capo e si
trova sopravvissuto su una barca al freddo. È una riflessione amara sui destini della vita e pensa ai tempo
dove si trovava al caldo della sala con il suo capo. Alla fine si parla della transitorietà delle cose umane.

81v-83r: Seafarer (Il navigante): confronto tra giovinezza e vecchiaia. Il giovane vuole viaggiare e navigare
mentre l'anziano pensa che viaggiare non ha senso; pensa che ognuno sia solo di passaggio.
94r-95v: Riming Poem: monologo dove ci si lamenta degli ambienti nefasti della sala. L’unica speranza è la
fede cristiana

100r-100v: Deor

100v-101r: Wulf und Eadwacer: testo oscuro; si ha una donna che parla e lamenta la separazione dal
compagno e dal figlio

115r-115v: The Wife's Lament: una donna lamenta il distacco dal marito.

117v-119v: Resignation: preghiera alla propria anima con un accenno a favorire la pietas cristiana.

112v-123r: Riddle 60 che è una prefazione a The Husband's Messages, dove il marito parla del distacco
dalla moglie.

123r-124v: The Ruin: si ha la descrizione di un edificio costruito da giganti (probabilmente le terme di Bath),
che ora sono in rovina. Ciò sta a significare che anche le grandi cose vanno in rovina.

Il Deor è vicino a questi testi per l'uso della prima persona e per la riflessione sui destini umani. Il contenuto
di tutti i testi dell’Exteter rimanda a una visione escatologica dell'esistenza; il Deor invece si allontana da
ciò. Anche nel Beowulf viene usato un tono elegiaco alla fine, quando Beowulf muore e si ha la donna che
canta è che profetizza la fine del popolo dei Geati. Questo rimanda alla transitorietà delle cose umane,
tipico tema anglosassone, diffuso specialmente intorno al X secolo quando dopo un periodo di
proliferazione, l'Inghilterra tornò in crisi. Storia inglese: 793: i vichinghi, popolo danese, conquistano
Lindisfarne e iniziano la loro espansione in tutta l'isola. Fine IX secolo: Alfredo del Wessex ferma i vichinghi
sul Tamigi. Ciò favorisce la riespansione inglese. 937/8: battaglia di Brunaburh (luogo non definito), degli
inglesi contro gli Scozzesi che si erano alleati con i vichinghi. 1000: Canuto il Grande forma il regno inglese e
conquista anche Norvegia, Danimarca e le isole britanniche. Dopo Canuto ci fu anarchia fino al 1066
(battaglia di Hastings).

Il manoscritto del Deor viene scritto come testamento da Leofric. Si troverà ad Exeter a partire dal 1050-
172. Quando entra il possesso del vescovo si sa che aveva più o meno 80 anni quindi si ipotizza che sia stato
scritto nel X secolo (Quando arriva al vescovo aveva circa 40 anni). Non tutti i testi sono stati scritti
nell'anno 1000. Alcuni sono probabilmente più antichi. Sono cioè antigrafi (scritto prima): probabilmente
essi erano scritti in un altro libro che non si può dire che cosa conteneva. Lo scrittore poteva: copiare da un
antigrafo; copiare da più antigrafi. Dagli studi si può dire che i testi più antichi erano stati scritti attorno alla
metà del IX secolo e i tardivi attorno all'inizio/metà del X. Ciò si capisce su base linguistica, grazie a
questioni di tipo fonetico che ci fanno capire che i testi sono precedenti all’età alfrediana. Con Alfredo si
ebbe infatti una grande riforma culturale. Egli fece delle traduzioni dal latino all’inglese antico e questo
segnò l'inizio della letteratura inglese. In Nortuhmbria si iniziò a diffondere l'inglese (prima c'era il latino). È
lì che arrivarono i vichinghi per primi (793 Lindisfarne) a causa dei quali il patrimonio culturale britannico
venne distrutto. La produzione in lingua inglese si sposta allora a Sud. Nell'Exeter si trovano sia temi di
stampo anglosassone e matrice germanica. I testi non respirano della stessa esigenza, dello stesso clima per
cui sono stati prodotti. Tuttavia si trovano in uno stesso manoscritto: perché? 1) è uno zibaldone? 2) se
arriva da uno zibaldone, era un antigrafo anch’esso? Che cosa ha fatto sì che venissero scelti dei testi invece
di altri? L’Exeter Book ha 131 fogli (i primi 7 non si considerano perché sono stati scritti dopo). Si
considerano allora i fogli dall’8 al 130. Questo fogli sono divisi in fascicoli: quando un foglio viene piegato, si
ha un bifoglio; se si ripiega un quaternario, e così via fino ad arrivare a 8. La pelle è bovina perché è più
pregiata. Lo studio dei fascicoli riguarda la codicologia. La paleografia, invece, studia la scrittura. La
codicologia invece si occupa del manufatto. Al centro di essa si ha il fascicolo e l’unità codicologica
(booklet), cioè uno o più fascicoli che sono concepiti insieme (o anche un intero manoscritto). L’unità serve
a capire qual è la volontà del copiata e quindi si capisce quel è la scrittura. In età medievale, i testi si
costruivano a fascicoli, cioè prima se ne scriveva uno e poi si andava avanti. Il primo testo dell’Exeter è il
Christ che è frammentario (manca l'inizio). È un testo religioso ed è abbastanza esteso ed arriva al 32v. 2)
Guthlac (32v-52v): la vita di un santo; 3) Azaria (53r-55v): altro testo religioso, legato all'agiografia. I
fascicoli sono divisi in questo modo: il primo va dal foglio 8 al 14, il secondo dal 15 al 21, il terzo dal 22 al
29, il quarto dal 30 al 37, il quinto dal 38 al 44, il sesto dal 45 al 52, il settimo dal 53 al 60. Questi testi sono
parte di un'unica unità codicologica: uno inizia dove finisce l'altro. Il manoscritto si apre con la vita di Cristo
e poi seguono due vite di Santi. Dopo si trova la Fenice che fa parte del filone dei bestiari medievali che
prendono il via dal Fisiologo (di tradizione greca e poi latina). Alla descrizione del mostro si dà
un'interpretazione cristiana. Per esempio, la Fenice equivale alla Resurrezione. In seguito: Vita di Santa
Giuliana, The Gifts of Men (È un testo breve che contiene asserzioni morali: si parla dei doni che l'uomo ha
ricevuto da Dio), Precepts, Seafarer, Vainglory (testo moraleggiante), Widsith (elenco di testi conosciuti da
un poeta. Si tratta di episodi legati al mondo eroico), The Fortunes of Men (testo moraleggiante, gnomico),
Massime I (moraleggiante), The Order of the World (moraleggiante), The Riming Poet (chiamato così per la
sua forma poetica (moraleggiante)), La Pantera, La Balena, The Partridge (bestiari), The Soul and the Body
(salvezza dell'anima, moraleggiante), indovinelli, The Wife's Lament (elegia), Il Giorno del Giudizio
(moraleggiante), Resignation (moraleggiante), Discesa agli inferi, frammenti omiletici (moraleggianti),
indovinello 60, Il Messaggio del marito, La Rovina, 2 elegia, indovinelli 61-94. Il Deor si trova insieme a Wulf
e Eadwacer, dopo Anima e Corpo. Si hanno quindi testi agiografici, moraleggianti e gnomici che si trovano
in più parti del manoscritto, i bestiari, le elegie che sono sparse nel manoscritto senza creare un’unità
codicologica, gli indovinelli (che si trovano insieme, a parte il 60 che è un'anticipazione della storia
successiva). La forma degli indovinelli è molto amata dal mondo medievale. Da un lato si mostra l’abilità
nello scriverlo, dall'altro si ha il gusto del gioco. Grazie all'indovinello, si ha un senso di appartenenza: il
fatto di capirlo significava che un persona poteva essere parte di un gruppo. Può essere un enigma
sapenziale o Joca monachorum, usati a scopo didattico. Il Widsith e il Deor sono gli unico due testi che
trattano di materia eroica. Perché si trovano nell’Exeter? Il Widsith enumera popoli, eroi, genti germaniche
che avrebbero vissuto tra il IV e il VI secolo (dal 378 (battaglia di Adrianopoli) al 568 (anno dell’ingresso dei
Longobardi in Italia). Anche gli episodi del Deor sono avvenuti in questo periodo. Widsith vuol dire viaggio
lontano ed è il nome fittizio che si dà il poeta per narrare le vicende. Come nel Deor (nome che significa
forte o cervo), il nome del poeta è fittizio. Il Widsith è diviso in 3 thula-ur (probabilmente aveva un'unica
tradizione orale). Chi ascoltava i testi erano i membri dell’aristocrazia guerriera. I valori trasmessi dal Deor
erano fedeltà, coraggio, ethos che non sono religiosi. Il Widsith e il Deor diventano allora un exemplum di
qualcosa di sbagliato poiché non trasmette valori cristiani. Gli episodi narrati sono esempi di misfortunes. È
come se ci fossero due mondi diversi: quello dell’aristocrazia guerriera e quello del clero, cioè coloro che
sapevano scrivere. Oggi noi conosciamo solo ciò che il clero ha deciso di trascrivere. A volte o due mondi
vengono a contatto e grazie a critiche come quella contenuta nel Widsith e nel Deor si conoscono queste
storie.

Prima strofa del Deor: l’accento è discendente come tutte le lingue germaniche. Il manoscritto spesso non
fa differenza tra il suono e sonoro. La critica invece differenzia.

Welund è un nome di persona

Him: pronome dativo “a lui”. L’inglese antico è infatti una lingua sintetica (ha le declinazioni: nominativo,
dativo, accusativo, genitivo). Inoltre ha 3 generi: maschile, femminile e neutro.

Be: preposizione più dativo e vuol dire “presso, vicino a “

Wurman: dativo plurale Wurm (declinazione debole poiché si ha la presenza della nasale, quando è forte il
tema è una vocale) e vuol dire “serpe”.

Wraeces: uscita del genitivo singolare. Vuol dire: afflizione, dolore causato da una persona.
La traduzione della prima riga sarebbe:” Welund aveva esperienza del dolore causato presso la serpe”.

Anhydig: aggettivo riferito a Welund e vuol dire risoluto e deciso.

Eorl: uno dei più alti gradi nobiliari (si può confrontare con l’islandese Jarl).

Eorfotha: genitivo plurale (pena).

Draeg: passato di “dreogan”, vuol dire sopportare.

Traduzione seconda riga: “Il principe risoluto sopportò le pene (di lui)”.

Haefde: passato di avere

Him: a lui

To: regge il dativo (per)

Gesidde: compagno

Sorge: preoccupazione.

Longath: brama, desiderio.

Traduzione: aveva come compagno preoccupazione, brama e desiderio.

Wintercealde: inverno freddo.

Wraece: pena

Wean: disgrazia

Oft: spesso

Onfond: preterito di anfindan (provare).

Traduzione: disgrazia spesso provò.

Sippan: da quando

Hine: pronome accusativo “lui”

Nidhad: nome di persona

Legde: passato “legan”, mettere, porre.

On: preposizione “su”.

Nede: catena, vincolo.

Traduzione: dal momento in cui Nidhad pose lui in catene.

Swoncre: aggettivo da “swoncur” che vuol dire “molle, flessibile”

Seonobende: dativo singolare “lacci di tendini”

On: su

Syllan: migliore “da sell”

Monn: “uomo”

Traduzione: legato con tendini molli su un uomo migliore di lui


Welund è un personaggio importante all’interno della letteratura eroico germanica. Si tratta di un fabbro
che forgia le spade più importanti del mondo germanico. Völundr è il nome con cui è conosciuto nell’Edda
poetica (nei suoi canti si ha un'introduzione che spiega cosa sarà narrato successivamente), che contiene
sia darmi mitologici che eroici. Volündarkvida è il carme di Völundr, ambientato in Svezia nel regno dei
Finni. Quella del fabbro era un'arte di grande valore, poiché il metallo era raro e quindi bisognava essere in
grado di lavorarlo. Il fabbro costruiva anche gioielli. Il re Nidhundr face catturare Volündr.

Strofa 5: si parla di oro rosso poiché la lavorazione dell’oro non era raffinatissima e quindi esso si trovava
spesso con il rame. La parola “bewurman” è riferita a Volündr che fabbricata gioielli, bracciali e anelli a
forma di serpe. Chi faceva dei bottini veniva infatti chiamato “spezzatore di anelli”.

Strofa 6-8: i soldati di Nidhundr rubano un suo anello mentre Volündr è a caccia (furto tipico della
tradizione germanica). Volündr però non è come gli altri ma ha qualcosa di soprannaturale.

Strofa 10: si fa riferimento agli elfi di cui si sa poco, se non che erano creature dalle quali era meglio starci
lontani. Volündr è loro amico perché lavora dove vivono, cioè nelle profondità delle montagne. Il fabbro
quando torna dalla caccia si accorge che manca un anello. Nidhundr fa legare Volündr poiché pensa che
abbia rubato i gioielli che ha fabbricato; in seguito, come poi alla figlia l’anello dinsgo. A questo punto
interviene la moglie del re che vuole che siano tagliati o tendini a Volündr per renderlo indifeso (tendini
molli). Questa scena si vede in un reliquiario (cofanetto Franks) che si trova in gran parte al British Museum
ma un pezzo si trova anche a Firenze. Si tratta di un cofanetto in avorio di balena con iscrizioni tuniche che
non c'entrano con le raffigurazioni. In esso, si vede Welund che lavora. Nella parola “be wurman” che si
trova nella prima strofa Deor, alcuni hanno visto un “anello da braccio”. Altri sono contrari: l'uso di
serpente per indicare l’anello era tipico della cultura nordica, non sempre conosciuta da quella
anglosassone. Si tratta di una kenning, cioè l'unione di due parole di campo semantico diverso tra loro che
danno come significato una parola che è fuori dal campo semantico delle prime due. Le kenningar si
inseriscono nella poesia scaldica nel X secolo. Wurm di solito indica nella cultura anglosassone la serpe o il
drago. Allo stesso modo, però, si riferisce a qualcosa di eroico ipotesi da non escludere poiché potrebbe
esserci stata una commistione di tradizioni.

Alcuni critici hanno visto in Wurman un errore di scrittura, che deriverebbe da Womman cioè “disgrazie” la
cui traduzione sarebbe allora “tra le pene”. In realtà però, dal manoscritto, è difficile riconoscere che ci
fosse un errore poiché esso era di solito scritto accuratamente (ciò si vede dal mise-en-page (layout)).
Inoltre, “be” aveva un valore locativo non astratto. La parola “Wintercealde” è legata alle pene. Questa
parola di trova in uno degli indovinello del manoscritto Exeter, nel Deor e nella leggenda di Sant’Andrea.

Sant'Andrea: qui winterceald è legato alle afflizioni ed è simile all’uso che si fa nel Wanderer. Winterceald è
legato all’inverno e si può quindi proporre una lettura allegorica: Andrea è prigioniero. La fredda notte
invernale può essere il vuoto e quindi il vuoto della sicurezza della fede. Anche un'altra Santa (Teresa di
Lisieux) alla fine della sua vita dubita della propria fede e vede il buio, il nulla. Nell'Andreas il buio è inteso
come dibattito dell'animo, come metafora della fede del santo.

Deor: lettura metaforica. Winterceald come paura di non potercela fare.

Riddle 4: campana come voce narrante. Siamo in un ambiente monastico e la campana chiama alla
preghiera. È un suono freddo che serve a richiamare alla preghiera. Il lessico usato è però legato al
linguaggio eroico. Potrebbe anche servire a chiamare i pagano alla fede.

Nella prima strofa si trova Nede che ha un problema: non è mai testimoniata con un uso concreto (legare).
Nella Volündarkvida si trova invece usata in senso concreto poiché e riferito a Volündr che viene legato
(proviene da naudir). Se Nede ha un uso astratto, potrebbe essere tradotto in anglosassone con
“costrizione” (Nidhad lo pose in costrizione). Questa però sarebbe l'unica attestazione nella poesia
anglosassone. Si potrebbe anche considerare Nede in senso concreto, poiché il lessico anglosassone che
conosciamo noi oggi è ridotto (alcuni testi sono andati perduti) e quindi magari esistevano dei testi in cui
“nede” aveva un significato concreto. Nede potrebbe poi essere un arcaismo e potrebbe quindi avere un
significato concreto in anglosassone come in nordico. Noi però oggi non abbiamo una risposta certa. È
possibile anche sostenere che l’interpretazione sia astratta visto che in anglosassone è sempre stato così.

Per cercare di capire se Nede ha un significato concreto o astratto, si considera l’etimologia, cioè il suo
confronto con le altre lingue germaniche: Ags: Ned, Islandese antico: naudr; Frisone: nēd (lingua del XIV
secolo); alto tedesco antico: nÔt. L’alto tedesco antico è una lingua del periodo che va dal 750 al 1050.
Anch’essa traduce questa parola con “problema, necessità”. In gotico (lingua del IV secolo di cui si hanno
attestazione grazie alle traduzioni della Bibbia) si ha invece nauths che viene tradotto con problema,
necessità e costrizione. A parte l’islandese antico che dà quindi un significato concreto, nelle altre la parola
Nede ha un significato astratto. Tutte queste lingue derivano dall’indoeuropeo, dove la parola Nede è *Nau
(si è verificato un fenomeno di apofonia, cioè cambiamento della vocale radicale) che significa “morte e
corpo morto”. Si hanno delle attestazioni legate alla morte anche nelle lingue slave (è possibile che le due
lingue siano entrate in contatto). Consideriamo quindi i tre gradi apofonici presenti, cioè: Nau, NƏu e Nu (il
cui significato è morte) e la forma *nau-ti. Si nota che, nel momento in cui si aggiunge un suffisso in
dentale, la parola si specializza e arriva a significare “costrizione” che ha sempre un significato negativo. La
“costrizione” aveva quindi un significato astratto. L’unica attestazione di Nede come qualcosa di tipo fisico
si ha nell’antico nordico, dove si è specializzata nel significato di “legame fisico”. Riassumendo: si è partiti
dal significato nell’indoeuropeo di morte, si è arrivati a necessità e infine a costrizione (lingue germaniche).
Nel Deor è possibile che Nede abbia sia un significato concreto che astratto? Sì, perché nel nordico si hanno
attestazioni di Nede con significato concreto. L’Inghilterra fu conquistata nel V secolo dagli Angli, Sassoni e
Iuti, e in quel momento potrebbe aver avuto un significato astratto di Nede. Quando venne conquistata dai
Danesi (793), la loro lingua potrebbe essere entrata in quella anglosassone e quindi Nede potrebbe aver
acquisito un significato concreto (Niman= Nehmen che vuol dire prendere). Un altro esempio è Dream che
in anglosassone voleva dire gioia. In nordico “dreyma” voleva dire sognare e quindi il suo significato si è
sovrapposto a quello anglosassone: per questo “dream” oggi vuol dire sogno. Questa contaminazione si ha
anche nella lingua parlata e nella diffusione topografica dei nomi. Il Deor, essendo molto antico, potrebbe
essersi sviluppato in una zona ad alta presenza danese (nella zona del Dane Law che comprendeva
Northumbria e Mercia). Tuttavia, non possiamo esserne certi.

Seonobende: si trova solo nel Deor (è un hapax legomenon). Grein, uno studioso, aveva cambiato nel Deor
“bend” con “beme” ritenendolo più adatto. Secondo la prima traduzione seonobende alla lettera
significherebbe “i morbidi tendini molli” poiché a Welund erano stati tagliati i tendini dal ginocchio. La
seconda traduzione rifiuta la traduzione come tendini poiché nella letteratura anglosassone nessuno viene
legato con tendini (se si traduce Nede in senso concreto e quindi “legare”). Però, nell'hadmisál, canto
dell’Edda poetica, molto antico e coevo al Deor, si ritrova questa immagine del legare con i tendini. Quindi
si può accettare questa traduzione poiché ne abbiamo una testimonianza.

Seconda strofa del Deor: è strettamente stretta alla prima come tematica.

-Beadohilde: dativo (perché c’è la -e). E’ un nome di donna.

-Ne waes: non era

-brothra: genitivo plurale (nominativo “brothor”) che significa quindi “dei fratelli)

- hyre: pronome personale genitivo singolare, usato per costruire i possessivi “dei suoi fratelli”

-death: morte

Traduzione: La morte dei fratelli di lei non era per Beadohilde


-on: preposizione “in”

-sefan: dativo singolare maschile; ci troviamo nel campo semantico del sentimento “spirito, animo,
mente...”.

-swa: così... come

-sar: aggettivo: doloroso

-hyre: di lei

-sylfre: stessa (self)

-ding: cosa

Traduzione: nell’animo così dolorosa come il fatto di lei stessa (il fatto a lei accaduto).

-Thaet: come i “:” italiani o “che”. È una parola polisemantica che potrebbe essere: articolo neutro, “ciò”
oppure il subordinante di una frase oggettiva (il nostro “che”).

-heo: pronome personale femminile “she”

-Haefde: aveva

-ongieten: participio passato il cui infinito è “ongieten” cioè “rendersi conto”.

-gearolice: aggettivo con valore avverbiale “chiaramente”.

Traduzione: “che lei dovette rendersi conto chiaramente”.

-Thaet: che

-heo: lei

-eacen: incinta

-waes: era

Traduzione: che lei era incinta.

-aefre: “mai” avverbio

- ne meahte: verbo preterito presente da “magan”, che equivale al “may” inglese. È un verbo modale che si
usa al passato in alcune lingue. Il preterito di un verbo ha assunto un significato di passato. Il passato di un
verbo ha assunto un significato di presente. Si traduce con “non potè”.

-gethencan: infinito “pensare”

-thriste: “decisamente, freddamente”.

“mai non poté freddamente pensare”.

-hu: “come” avverbio

-ymb: riguardo a (“um” tedesco)

-thaet: “a ciò”.

-Sceolde: preterito presente il cui infinito è “sculan” da cui deriverà “sculan”.


Traduzione: come intorno a questo dovesse finire (N.B: l’infinito non c’è quindi si ipotizza che la traduzione
sia questa.

A Beadohilde erano morti dei fratelli. Ciò, però, non è penoso quanto il fatto di essere incinta. La
spiegazione di questo episodio si trova ancora una volta nella Volundarkvida, dopo l’episodio dei tendini
tagliati a Welund. I fratelli di Beadohilde sono spinti dalla bramosia nei confronti dell’oro. Le strofe 24 e 25
si spiegano facendo riferimento al cloisonné: è come se Welund avesse creato un monile in cui aveva
incastrato gli occhi dei fratelli di Beadohilde, poiché voleva vendicarsi per ciò che gli aveva fatto Bodhvildr.
Welund promette a Beadohild di ripararle l’anello che le si era rotto (quello le era stato donato dal padre,
che a sua volta aveva rubato a Welund), la ubriaca e la mette incinta. In seguito, (strofa 29) si libra nell’aria.
Ciò perché la sua compagna era una valchiria: la leggenda vuole che Welund avesse raccolto le sue piume e
per questo fosse capace di librarsi nell’aria. Dall’alto parla a Nidhudr che gli chiede dei suoi figli; Volundr lo
fa giurare affinché Nidhundr non uccida “la sua donna” (il giuramento era considerato sacro presso le genti
germaniche). In seguito, Volundr se ne va e non si sa cosa ne sarà di Beadohild.

Terza strofa del Deor: presenta delle difficoltà di tipo esegetico (chi sta parlando?) e paleografico (c’è un
nesso “mone ge” che ha dato dei problemi). Nel manoscritto il nome Maethilde è scritto staccato e si trov
“monge gefrugnon” invece che Mone.

We: noi (prima persona plurale)

That: ciò

Maedhilde: nome femminile in dativo (poiché c’è la -e finale)

Monge: se si considera così, il suo nominativo singolare sarebbe “monig”, che è un aggettivo nominativo
plurale da cui deriverà “many” cioè molti.

Gefrugnon: verbo forte di prima persona plurale al preterito. L’infinito è gefrignon “venire a sapere”. È un
verbo tipico della poesia eroica ed è il primo verbo che si trova nel Beowulf.

Traduzione: noi molti intorno a Mathilde venimmo a sapere.

Il primo problema è che Mathilde è scritto stacccato. Si tratta di un antroponimo bimembre e si ha un caso
simile all’inizio della strofa 2 con Beadohilde. Qui però non è chiaro chi stia parlando: bisogna allora
considerarlo unito o staccato. In quest’ultimo caso (ipotesi pensata da Grein) si avrebbe “hilde” e “maeth”
che vuol dire violenza. “thaet” diventa allora l’articolo di “maeth” (la violenza). La traduzione diventerebbe:
“noi la violenza intorno a Mathilde venimmo a sapere”. Si hanno però dei problemi in questa chiave di
lettura. Da un punto di vista sintattico, è strano l’ordine delle parole. È strano che monge si trovi lì, ma ciò si
spiega dal punto di vista metrico. In questo caso abbiamo un verso lungo germanico, che è proprio della
letteratura eroica: esso è composto da due semiversi (emistichi) divisi da una cesura interna. La parte
portatrice di significato è la seconda. La prima parola accentata del secondo emistichio (nel nostro caso
monge) determina l’allitterazione del verso (la “m”). Per ogni semiverso si hanno poi due accenti forti e due
deboli. Monge si trova in posizione forte per mettere in evidenza il nome della persona. È quindi possibile
che monge sia stato spostato dal primo al secondo emistichio per permettere l’allitterazione. Il problema
della lettura staccata è che, se si considera “maeth”, siamo di fronte a un hapax legomenon, cioè abbiamo
di questo una sola attestazione. A causa di ciò non si accetta la proposta di Grein.

Koch: (1921): accetta la lettura separata di Maeth, dicendo che è un sostantivo femminile che significa
misura. Non sarebbe una cosa nuova. In questo caso però non sarebbe declinato con “thaet” in genere, e
quindi la parola rimarrebbe senza articolo. La traduzione sarebbe: noi molti misura intorno a Mathilde
venimmo a sapere.
Malone: propone la lettura unita del nome Mathilde. Ciò è stato accolto perché non intacca il manoscritto.
Quindi “thaet” si traduce con “ciò”. Il problema è che “monge” così isolato pone delle difficoltà. Malone
pensa quindi semplicemente che il nome sia scritto male. Pensa che il copista abbia commesso un errore di
attrazione: in un testo la parola dopo (gefrugnon) viene attratta da quella precedente (mone). Il copista ha
quindi aggiunto una sillaba. Malone propone allora tre ipotesi: 1) se si toglie la -e si ha “mong” che significa
rapporto carnale e la traduzione diventa: “noi ciò di Mathilde il rapporto carnale venimmo a sapere”. Si
hanno però difficoltà di diffusione del termine mong con significato di rapporto carnale. Si trova “gemong”,
diffuso in area dialettale anglica, cioè la zona che comprende il dialetto northumbrico e quello merciano,
fino al Tamigi). Il Deor proviene però da un ambiente di scrittura sassone occidentale dove il termine non
esiste. Il testo può allora avere una tradizione anglica e il copista ha copiato compiendo un errore di
attrazione. Egli non sa cosa vuol dire “mong” e quindi aggiunge una -e correggendo il manoscritto
(fenomeno di ipercorrettismo sbagliato). Però, se il copista non conosceva la parola, è difficile che potesse
scriverla sbagliata. La strofa precedente parla di violenza sessuale e quindi anche questa potrebbe parlare
di ciò. Nel lessico eroico, però, è difficile che vengano presi in prestito delle parole da altre tradizioni come
l’anglico. 2) Malone fa allora una proposta di emendazione testuale e corregge il copista proponendo la
lettura “mone ge-“. La forma anglosassone sarebbe “man” che significa “peccato, colpa”. Ciò perchè il
copista dell’Exeter spesso sostituisce la -a con la -o in presenza di nasale (lo fa perché in epoca alto
medievale non esisteva una grammatica). La traduzione diventa: “Noi questo intorno a Maedhild le colpe
abbiamo sentito”. 3) Malone propone poi di correggere “mone” facendola derivare da “mon” che significa
“lamento”. La traduzione diventa: “noi ciò di Maedhilde i lamenti abbiamo udito”. Tutte e tre le proposte
sono valide perché non sappiamo di che cosa parli questa strofa e chi sia questa Maethild. Rimane allora il
problema ermeneutico (di interpretazione).

-wurdon: preterito di “werdan” (diventare).

-grundlease: aggettivo nominativo femminile “senza limiti, fini”.

-geates: genitivo singolare di Geat. Si tratta della popolazione che viveva nel sud della Svezia. In questo caso
significa “del Geata”. Geat può essere anche un nome di persona: il dittongo “ea” anglosassone è diventato
“au” in germanico e infine “o” e quindi “Gott” (Dio).

-frige: sostantivo plurale che si accorda con grundlease e vuol dire abbraccio amoroso. È la stessa radice
(freo) del nome da cui deriverà “friend”. Traduzione: “Divennero senza fine gli abbracci del Geat”. La
traduzione finale del verso: “Noi questo riguarda a Maedhilde i lamenti abbiamo udito; divennero senza
fine gli abbracci del Geat”.

“freo” in anglosassone significa “libero” ma il significato è anche “caro”. Anche questa parola è rara nella
poesia anglosassone e in quei casi significa “signora”. La traduzione diventa allora: “divennero senza fine i
lamenti della donna di Geat” (mong è sottinteso).

-thaet:”che”, aggettivo causativo.

-hi: lei

-seo: articolo determinativo femminile determinativo “la”.

-sorglufu: nome femminile declinato con l’articolo. È una parola composta da “lufu” (amore) e “sorg”
(preoccupazione)= amore doloroso.

-slaep: sonno.

-ealle: forma sclerotizzata: sarebbe dativo ma diventa avverbio “completamente”.

-binom: preterito singolare con significato di togliere.


Traduzione: “così che quell’amore doloroso tolse lui completamente il sonno”.

Piano ermeneutico: se si considera Hilde come nome, si cerca un supporto nella letteratura nordica. Si
hanno tre personaggi: Hogni, Hethinn e Hildr, la cui vicenda si trova narrata nell’Edda di Snorri Sturlunson
del Skàldskaparmàl, in un componimento di Bragi Boddason (Ragnarsdrapa), poesia non eroica del X secolo
di origine scalvica e nei Gesta Danorum di Sassone Grammatico, cioè la storia dei re della Danimarca, scritta
in latino nel XII secolo. Hethinn è un uomo innamorato della valchiria HIldr ma non ha l’appoggio del padre
(Hogni). I due si uccidono a duello e interviene Hildre che li fa combattere in eterno come i guerrieri della
Valhalla. Però i nomi non concordano con quelli del Deor. È vero che il nome “hethinn” è posto in
successione allitterativo ma in questo caso di farebbe riferimento a episodi mitologici e ciò stonerebbe con
il resto. Anche il nome della donna stonerebbe. Si hanno quindi problemi antroponimi (anche se la storia
potrebbe andare bene).

Un’altra teoria interpretativa su ha intorno al Ciclo di Offa II che è stato un re della Mercia e quindi di area
anglosassone vissuto tra il 757 e il 796. Chi propone questa interpretazione è Eliason nel 1965, quando la
critica pone al centro degli studi la questione dell’oralità con studiosi come Lord Parry, Havelock e Ong che
sono stati attanti al passaggio dall’oralità alla scrittura. Eliason si preoccupa dell’uditorio, cioè chi ascoltava
il testo del Deor e arriva alla conclusione che gli episodi narrati nei versi 14 e 15 del Deor sono ben noti a
chi ascolta. Deor (o chi scrive) doveva essere parte della corte reale e quindi doveva prendersi delle libertà
(non si sa però se fosse alla corte di Offa). Nel Deor, si parla poi di una coppia che è privata del sonno.
Eliason pensa che ci sia qualcosa di innaturale nella relazione e che ci sia un atto incestuoso tra
consanguinei. L’incesto era, infatti, un argomento tabù e questo consolida la visione di Eliason. Egli cerca di
capire se ci sono stati episodi del genere all’interno della corte di Offa e trova diverse versioni: 1) Offa A: si
trova nel Beowulf (versi 1925-1961). Si parla di una giovane (Hygd) che “non è avara a donare gioielli ai
Geati”. Si parla poi di Modthryth che non è tessitrice di pace ma porta conflittualità all’interno di un gruppo
sociale: nessuno poteva guardarla. La regina si è calmata quando è andata in sposa a Offa, capostipite della
casa regnante di Mercia. Egli risiedeva nei territori scandinavi e si spostarono poi insieme in Inghilterra. 2)
Offa B: nel Widsith che afferma di conoscere una storia su Offa, re degli Angli che avrebbe passato la
giovinezza fingendosi muto e avrebbe difeso la sua terra in tempo di guerra in modo eroico. 3) Offa C: re di
Mercia celebrato perché aveva costruito delle fortificazione per difendersi dai Celti. Dei 3 si ha uno scritto
in latino Vitae Ducorum Offarum, in cui sono raccolte delle storie senza che sia chiara la fonte o se sia stata
inventata. L’Offa A (più antico) avrebbe avito una moglie che avrebbe ricevuto attenzioni sessuali da parte
del padre. Eliason rilegge il passo del Beowulf e rivede un richiamo a questo rapporto incestuoso: per
questo la donna sarebbe così terribile e quando si sposa torna a essere normale. Una fonte latina del XII
secolo rammenta un fatto incestuoso intorno a Offa A. C’è però un problema che riguarda i nomi: il nome
della regina è ben diverso da Mathilde. Eliason richiama il fatto dell’uditorio: non si può rivelare chi sia la
donna che ha avuto un rapporto incestuoso e quindi è stato inserito un nome fittizio. Se si accetta questa
cosa, bisogna capire chi è Geat e in che rapporto sta con la storia. Nel Beowulf il figlio di Offa è Eomer.
Tuttavia, nell’albero genealogico della famiglia, oltre a Eomer si trova un altro nome Angeltheow che è
paragonabile a un nome svedese Ongengeat, da cui si avrebbe il diminutivo Geat, contenuto nel Deor.
Eliason dice che un fatto avvenuto all’interno della famiglia tra madre e padre cambia generazione e
avviene invece tra il figlio e la madre (moglie di Offa). Da qui si hanno le notti insonni. Però, anche il
Beowulf non esplicita chiaramente che si tratti di incesto. Potrebbe essere una cosa più vicina al
Brautwerbung cioè la conquista della sposa, prima indomabile e poi resa placida dopo la conquista (tema
che si trova anche all’interno del ciclo nibelungico-volsungico). Si incesto si parla anche nelle Vitae
Ducorum Offarum (in latino) ma non ci sono fonti germaniche. Inoltre, anche il fatto del nome Geat rimane
ipotetico; la vicenda narrata è poi del V secolo: è possibile che l’uditorio conoscesse la storia ma è passato
comunque molto tempo.
Malone si sposta dal Medioevo spiegando che non tutti i testi medievali sono confluiti nei testi medievali. Si
ha una raccolta di testi anche nell’800 in età romantica quando vennero raccolte delle ballate provenienti
dall’antichità. Malone controlla queste ballate e ne scova due, una norvegese e una islandese che parla di
due personaggi (Magnhild e Gauti, il marito). Sono due sposi novelli nel letto, Magnhild piange e spiega al
marito che il suo destino non sarà propizio perché morirà annegata. Gauti fa costruire un ponte sul fiume
ma Magnhild cade da esso e annega. Gauti fa portare allora un’arpa e quando la suona Magnhild riemerge
dalle acque, secondo la tradizione norvegese viva, secondo quella islandese morta. Se si confronta il nome
Magnhild con Maethild si ha un problema. La seconda parte è uguale. La prima invece è una forma lontana
dall’inglese antico: è una forma continentale meridionale di area tedesca. Questo nome troverebbe una
naturale evoluzione in Magnhild in area nordica che si nota confrontando questa forma con quella dell’alto
tedesco antico (Mathild). Maethild piange perché sa che sta per morire e la disgrazia sarebbe la morte della
donna che però secondo la tradizione norvegese è viva. Il primo problema che dà questa interpretazione è
che qui non si ha niente di eroico e sarebbe un’eccezione all’interno del Deor. Il secondo è che la raccolta
risale al XIX secolo e sono passati quindi 1000 anni da quando è stata scritta (arco di tempo troppo lungo).
Non si sa quindi a chi Deor si riferisca in questa strofa.

Quarta strofa:

-Deodric: Teoderico

-ahte: preterito presente da “agan” (possedette)

-thritigh: numerale 30

-wintra: genitivo plurale da winter (inverno, anno)

-Maeringa: etnonimo (nome di popolo); genitivo plurale (dei Meringi)

-burg: sostantivo accusativo femminile: “città fortificata”.

-thaet: ciò

-waes: era

-monegum: dativo plurale da monig (molti)

-cuth: aggettivo accusativo singolare (noto)

Traduzione: Teoderico possedette per 30 inverni la città dei Meringi; ciò era noto a molti.

Teoderico è uno dei nomi più diffusi nella tradizione e nelle lingue germaniche. Ha una diffusione minore in
anglosassone e in nordico. Si trova anche in area franca e nordica. Si hanno due ipotesi su chi sia questo
Teoderico. La prima è fornita da Malone che identifica Teoderico con un re dei Merovingi, cioè i Franchi
che hanno occupato i territori francesi dal V all’VIII secolo. Dopo di essi ci furono i Carolingi. I loro regni più
importanti furono la Neustria (Francia settentrionale) e l’Austrasia (dopo il Reno fino alla Germania
orientale). Le stirpi merovinge discendono da Clodoveo, primo grande re dei Franchi. La parte meridionale è
di dominio dei Visigoti fino al 507. Essi avevano creato il regno di Tolosa che venne distrutto dopo la
battaglia di Vouillé quando i Franchi li sconfissero. I Visigoti si spostarono poi in Soagna. I Merovingi si
spostarono quindi dopo il 507 a sud. Malone afferma che Teoderico sarebbe il figlio di Clodoveo.
Abbandona poi l’ipotesi e si riferisce a un altro di cui si narra nell’Historia Francorum di Gregorio di Tours.
Teoderico avrebbe ordinato di far uccidere il figlio di un suo viceré, Sigwald da suo figlio Teodeberto che
però avvisa Sigwald che fugge in Italia. Quando sale al trono Teodeberto, Sigwald viene riabilitato in
Francia. Secondo Malone questa storia sarebbe stata trasmessa nel Deor con una confusione di nomi e
Teoderico=Sigwald. Per sapere quale sia la città dei Meringi bisogna dar riferimento a un’altra fonte, cioè la
pietra runica di Rok che si trova in questa località svedese, nella regione della Vastergottland (sud-ovest
della Svezia). La pietra è datata intorno al IX secolo ed è un’epigrafe piuttosto rara (di solito sono più brevi).
Si ha una descrizione: Teoderico è a cavallo, sulle rive del mare di Hreith, eroe dei Meringi. Malone
interpreta questo Hreith come nido: egli fa riferimento ai Goti del Nido cioè coloro che sono rimasti in
Scandinavia. Ciò si sa da Giordano che scrive Storia dei Goti e da alcune tracce archeologiche: alcuni Goti
lasciarono la loro terra (mar Baltico) per una migrazione fino al Mar Nero e poi muoversi fino all’Europa
occidentale. Una parte di loro rimase nella terra di origine ed è coloro a cui Malone fa riferimento quando
traduce la parola hreith con nido. Questi goti sarebbero i Geati (➔Gauti➔ Goti). Malone studia il Beowulf
e legge che Hygelac, re dei Geati compie incursioni nel territorio dei Merovingi (520); venne poi respinto e
ciò causò gravi danni alla Gallia. Il problema sta nella parte iniziale dell’iscrizione di Rok datata intorno
all’840. Si parla di 9 generazioni fa. Se una generazione=40 anni; 9x40= 360; 840-360=480 (data troppo in
anticipo rispetto al 520, anno dell’incursione di Hygelac. Secondo Malone, la parte finale della pietra di Rok
richiama la pietra funeraria di Hornahausen, in cui è raffigurato un cavaliere con uno scudo che si pensa sia
in viaggio verso la Valhalla. Malone pensa allora che questa raffigurazione si trovasse sulla tomba di
Teoderico. Per quanto riguarda il nome Maering si hanno 3 ipotesi: 1) si tratta di un etnonimo: Maer
rimanderebbe alla parola famoso mentre “ing” indica l’appartenenza a un popolo. Si tratterebbe quindi del
popolo dei famosi ma non ci sono fonti che attestino l’esistenza di questo popolo; 2) Maere viene tradotto
con “confini”: è una parola imparentata con “maerc”, che indica il territorio che sta ai confini: indica la
condizione di un popolo che sta ai confini e sarebbe il nome che i merovingi danno ai Visigoti; 3) Malone fa
riferimento a Teoderico perché passo un periodo in esilio ad Auvergne, dove si trovavano i Visigoti. Egli
spiega che i Geati (Goti) vivevano in Danimarca e in seguito andarono verso le terre dei Merovingi. Esisteva
un Teoderico che è stato esiliato ad Auvergne, un territorio al confine tra le terre dei Visigoti e quelle dei
Merovingi. Il mare di Hreith diventa allora quello dei Goti. I meringi sarebbero allora i Visigoti. Malone però
non rispetta e non risolve il fatto dei 30 anni.

Seconda proposta: Deodric sarebbe Teoderico il Grande, re degli Ostrogoti (493-526). In questa proposta
viene rispettato il fatto dei trent’anni. Nella vita di Teoderico si trovano infatti 3 periodi: 1) 462-492: anni
vissuti dall’esilio di Costantinopoli alla spedizione in Italia. Da bambino Teoderico viene spedito a
Costantinopoli per suggellare un accordo fra Bisanzio e i Goti e vive lì fino a 18 anni. Tornò poi come re
degli Ostrogoti insieme ad un altro Teoderico Strabone; i due combatterono tra loro finché l’imperatore si
pose in mezzo a loro per cercare di risolvere la situazione. Teoderico Strabone morirà però cadendo da
cavallo. 2) 493-526: regno d’Italia; 3) 526-553: morte di Teoderico e fine della guerra greco-gotica contro i
bizantini, guidati dall’imperatore dell’Impero Romano d’Oriente, che volevano conquistare l’Italia (535-
553). La guerra greco-gotica segna la fine del regno dei Goti in Italia. Quest’ultimo periodo è importante
poiché è caratterizzato dalla perdita del regno. Il Deor ci racconta delle disgrazie superate e ci dice che
Teoderico governò per 30 anni. Se si cala ciò nel contesto della disgrazia, essa fu vissuta dal suo popolo.
Teoderico potrebbe quindi essere considerato sia come re buono che malvagio (ahte potrebbe anche
essere ehte, cioè perseguitare). Si hanno due tradizioni: 1) filo-gotica: Teoderico come re positivo. Le
vicende narrate nella poesia eroica tedesca a partire dal XIII secolo fanno riferimento a un Dietrich von Bern
(Verona poiché ottenne lì un grandissima vittoria in cui sconfisse Odoacre e perché amava moltissimo
quella città). Nel 553 alcuni soldati si unirono ai Bizantini; altri si assimilarono ai Romani; altri si stabilirono
nell’arco alpino e in questo modo le sue vicende furono tramandate da Sud a Nord. Esiste anche un’altra
visione di perdita del regno: non ci si ricorda dell’ultimo re dei Goti Deia ma si pensa che fu a Teoderico a
perdere il regno e quindi ad essere stato sconfitto. Teoderico viene visto quindi come un grande eroe che
però ha perso un regno. 2) Filo-ecclesiastica: filone negativo: si fa riferimento alle controversie sorte verso
la fine del regno. Teoderico era ariana e fino a quel momento la convivenza tra le due fedi non causò
problemi. I cristiani iniziarono però delle operazioni antisemite in cui distrussero delle sinagoghe. Teoderico
ordinò quindi di ricostruirle ma la Chiesa non era d’accordo. Severino Boezio organizzò una congiura con
Bisanzio per rovesciare Teoderico ma venne scoperto e fu condannato a morte senza processo (quindi
senza seguire le procedure del diritto romano). Boezio mentre si trovava in prigione scrisse la Consolazione
delle Filosofia. L’uccisione di Boezio fu vista come un sopruso. Teoderico condannò allora anche il papa e da
lì nacque la visione negativa di Teoderico che trovò massima espressione nei Dialoghi di Gregorio Magno,
opera letta dai monaci come testo edificante e che trattava anche di materia agiografica. All’interno di essi
si dice che Teoderico sarebbe precipitato all’interno dello Stromboli per le sue azioni. Quest’opera era
molto diffusa quindi la visione negativa di Teoderico si ampliò sempre di più.

Secondo Malone, è vero che i Geati avevano attaccato i territori dei Merovingi, ma essi seguono i Geati fino
alla loro terra (si ha un movimento sia da nord versi sud che da sud verso nord). Nella storia di Teoderico
Amalo si hanno tre grandi teorie riguardo al periodo dei 30 anni: il periodo dei 30 anni a cui si fa riferimento
può essere riferito al regno di Teoderico in Italia, a quello di Teoderico in Oriente ed infine alla perdita del
regno di Italia da parte di Teoderico. Secondo la tradizione, quest’ultimo avvenimento, avvenne a causa di
uno zio di Teoderico, Ermanarico (che si ritrova nella strofa successiva del Deor): si tratta di un dato che
entra nella leggenda del ciclo teodericiano nel XIII secolo. Un avvenimento simile viene raccontato in
precedenza nel Carme di Ildebrando in cui si parla di un conflitto tra un padre e un figlio. Si tratta di un
testo del IX secolo (820-840) in cui si narra che colui che ha cacciato Teoderico dal suo regno è Odoacre,
che nella storia è invece colui che Teoderico ha sconfitto. Il carme ha però origine anteriore databile al VII
secolo, periodo del dominio dei Longobardi in Italia. Si pensa si fosse diffuso nell’area settentrionale e
nell’arco alpina e venne copiato nell’Abbazia di Fulda (Germania), zona di confine dei franchi e dei sassoni.
Secondo il Carme, Ildebrando fu costretto a lasciare la moglie e il figlio (Adubrando) in fasce per seguire
Teoderico in esilio; Teoderico voleva tornare in Italia ma viene bloccato dall’esercito di Odoacre (guidato da
Adubrando). Ildebrando ed Adubrando combattono tra di loro: a questo punto il manoscritto si interrompe
e non si sa, quindi, come va a finire. Secondo alcune fonti di area nordica, è Adubrando a morire nello
scontro. Nei versi 18, 19 e 50 del carme viene scritto:

forn her ostar giveit feoh her Otachres nid

Hina mit Theotrihhe enti sinero degano fieu

Ih wallata sumaro enti wintro sehstic ur lante

Nei versi 18 e 19 Adubrando parla del padre: “Lontano verso est fuggì egli l’odio di Odoacre/ Lui con
Teoderico e i suoi cavalieri molti”. Ildebrando segue Teoderico in esilio a Oriente. Nel verso 50, Ildebrando
afferma invece: “io vagai 60 di estati e inverni fuori dalla patria/dal paese”. 60 fra estati e inverni
equivalgono a 30 anni: Ildebrando rimase in esilio per 30 anni, come Teoderico; in una delle fonti che ci
sono giunte, si spiega che Teoderico trovò rifugio presso la corte di Attila, cioè presso gli Unni (Attila viene
visto come un re buono poiché diede protezione a Teoderico). Nel 375, quando gli Unni giunsero in Europa
centrale, aggredirono Ermanarico, re degli Ostrogoti; gli Ostrogoti vennero quindi assoggettati agli Unni
fino alla morte di Attila avvenuta nel (453). Secondo la leggenda, la perdita del regno di Italia da parte degli
Ostrogoti avvenne non per la sconfitta subita contro i bizantini guidati da Giustiniano durante la guerra
greco-gotica ma per un odio che, sempre secondo la leggenda, viene legato a Odoacre, come si vede nel
carme di Ildebrando. Per questo Teoderico andò in esilio presso gli Unni: si tratta del popolo ospitante dei
Goti nella storia e nella leggenda. Secondo queste trasmissioni, Odoacre è un personaggio irrilevante: la
rivalità viene fatta diventare di tipo familiare, non politica: Ermanarico sarebbe infatti lo zio di Teoderico
(anche se nella realtà è il contrario poiché è Teoderico che uccide Odoacre). Secondo la storia: 375:
Ermanarico muore e i Goti sono assoggettati agli Unni fino al 453 (morte di Attila, soffocato nel proprio
sangue); dopo di che gli Unni si disgregarono e i Goti andarono per la propria strada; 462-493: Teoderico si
trova in Oriente; 493-526: regno di Teoderico in Italia (uccide Odoacre); 535-553: guerra greco-gotica e
perdita del regno di Italia da parte dei Goti. La leggenda ricorda che gli Ostrogoti vissero presso gli Unni, la
perdita del regno di Italia e la figura di Teoderico: si tratta infatti di avvenimenti che rimangono impressi.
Teoderico diventa il re che perde il regno di Italia perché Odoacre lo odia. La figura di Odoacre è poi
sostituita da quella di Ermanarico, che non è mai stato veramente lo zio di Teoderico. Dopo la perdita del
regno Teoderico va presso gli Unni dove rimane, come ci viene detto nel Carme, per 30 anni. Il periodo dei
30 anni a cui si fa riferimento nel Deor può essere connesso agli anni dell’esilio: viene infatti scritto
“Thritig”. Nel Deor si trova però anche “Ahte”: Teoderico possedette la città dei Meringi per 30 inverni (la
struttura della frase è soggetto, verbo e complemento oggetto: l’esilio non si può possedere). Nella pietra
di Rok viene poi scritto che Teoderico governò la città dei Meringi per 30 anni. Il mare di Hreith può essere
visto come il mare Adriatico ma chi sono i Meringi? La parola Maeringa che si trova scritta sulla pietra di
Rok, può essere tradotta come: “famoso”, ipotesi però da scartare poiché non esiste nessun popolo che si
chiami “dei famosi” o come “confine”, inteso come il limes romano, quindi coloro che abitavano al di là del
confine e, quindi, gli Ostrogoti, cioè il popolo che vive nei territori dell’impero che stanno sul mare
Adriatico. Agnello Ravennate scrive in Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatae che a Ravenna c’è una statua
equestre che rappresenta Teoderico. Si tratta di una descrizione che assomiglia molto a quella della Pietra
di Rok. Inolte, Valafrido Strabone (monaco vissuto in epoca post-carolingia e legato all’imperatore Ludovico
il Pio), scrive il poema “De Imagini Tetrici”, in cui racconta di una statua equestre che si trova davanti al
palazzo di Aquisgrana. Nel 749 Carlo Magno viene incoronato in Italia, transita per Ravenna e chiede di
poter portare con sé delle cose, tra cui la statua equestre portata davanti al palazzo di Aquisgrana. Ciò
perché davanti al palazzo del papa si trovava la statua di Marco Aurelio che si riteneva essere quella di
Costantino e Carlo Magno vuole quella del grande imperatore germanico Teoderico. Egli diventa quindi un
personaggio di grande fame, simbolo della regalità germanica, esaltato al senato di Roma. Come infatti,
Teoderico, conquistando l’Italia, aveva unito mondo romano con quello germanico, Carlo Magno vuole fare
lo stesso. Nel Deor viene detto che Teoderico possedette per 30 anni la città dei Meringi, cioè degli
Ostrogoti (=Ravenna). “Thritig” fa quindi riferimento al periodo del regno in Italia. Questa però non è una
disgrazia (come gli avvenimenti che sono narrati nel Deor). Non bisogna però dimenticare il fatto che
Teoderico è ariano, e quindi considerato eretico dalla Chiesa, nonostante all’inizio le due fedi vivessero
pacificamente anche se c’erano delle leggi che cercavano di separare le genti, come quella dei matrimoni
misti (da qui deriva la visione negativa di Teoderico legata alla tradizione cattolica, contrapposta a quella
positiva tedesca). I Dialoghi di Gregorio Magno, in cui si narrava la morte di Teoderico, arrivarono in
Inghilterra. Teoderico si macchia di due colpe: la prima quando obbliga gli ortodossi a ricostruire le
sinagoghe, la seconda quando fa uccidere Boezio e Simmaco direttamente senza seguire le regole del
diritto romano che prevedevano un processo. La visione negativa di Teoderico si rafforzò in area
anglosassone quando Alfredo il Grande tradusse La Consolazione della Filosofia in prosa; egli la fece anche
introdurre da una sorta di prefazione; in seguito venne anche tradotta in forma poetica ma non si è certi
che sia stato Alfredo. Nel mondo anglosassone non si ha quindi una visione positiva di Teoderico. I 30 anni
del governo di Teoderico sono visti in maniera negativa come disgrazia per il mondo romano.

Quinta strofa:

-we: noi

-geascodan: prima persona plurale del preterito il cui infinito è “geascian” (chiedere) “venire a sapere
perché ho chiesto”

-Eormanrices: di Ermanarico

-wylfenne: lupesco (nominativo Wilfen). Il lupo era visto come un animale malvagio poiché nemico
dell’uomo: pensiero lupesco voleva dire “pensiero malvagio”.

-gethoht: pensiero accusativo singolare maschile

-ahte: possedette, governò

-wide: ampliamente

-folc: accusativo neutro (popolo)


-Gotena: genitivo plurale (dei Goti)

-rices: genitivo singolare maschile (nom Rice), regno (da cui Reich)

-grim: aggettivo nominativo “orribile, malvagio”. Parola legata alla malvagità e agli spiriti del male, al
demoniaco. Fa paura poiché apppartiene a un altro mondo.

-cyning: Re

Traduzione: Noi venimmo a sapere il lupesco pensiero di Ermanarico, possedette in lungo e in largo il regno
dei Goti. Questo fu un re malvagio.

-Saet: preterito terza persona singolare, infinito “sittan”, stare seduto

-secg: guerriero, soggetto maschile

-monig: molti, aggettivo

-gebunden: verbo della terza classe forte, participio passato di Bindan “legare” (oppresso)

-sorgum: dativo plurale, nominativo “sorg” (affanno)

Traduzione: più di un guerriero sedeva presso degli affanni.

-wean on wenan: espressione formulare che allittera al suo interno; si tratta di formule fatte impiegate in
poesia per esigenze di tipo forte che qui è dettata dalla w del secondo emistichio che mi obbliga
all’allitterazione nella prima parte del verso: la parola forte, cioè quella che determina l’accento è, infatti,
“Wyscte”. Wenan: Dativo plurale (singolare Wen): “in attesa, nelle attese”. Wean: accusativo singolare,
“disgrazia, tormento”. “in attesa del tormento” (può essere considerato anche al plurale).

-wyscte: preterito di Wyscan, terza persona singolare, desiderare

-geneahhe: avverbio, “frequentemente”.

-thaet: “che” introduce l’oggettiva. Il secondo emistichio del verso 24 è legato al primo del verso 25
(struttura a serpentina). Per la tradizione orale, si doveva infatti tenere legato tutto il testo e creare
dipendenza di tipo mnemonico: ciò avviene grazie alla struttura sintattica.

-ofercumen: participio passato di Ofercuman “superare, conquistando qualcosa”. Vuole una costruzione
impersonale che in inglese antico vuole il genitivo (ecco perché si hanno Thaes e cynerices).

-cynerices: regno (genitivo singolare).

-waere: fosse.

Traduzione: desiderava di frequente che fosse superato il regno.

Si tratta di una strofa ambivalente: dopo aver descritto Ermanarico come malvagio avendolo come soggetto
che compie qualcosa, cambia il tenore della storia e si ha una riflessione a più ampio raggio.

Ermanarico popola il materiale eroico germanico e abbiamo anche certezza storica della sua esistenza. Fu il
re degli Ostrogoti più importante del IV secolo. Dominava l’area che si estendeva tra il Mar Nero e il fiume
Dnjepr)e si pensa che il suo regno arrivasse fino alle sponde del mar Baltico. Non bisogna immaginare un
regno strutturato come quello romano, qui si parla di zone di influenza e dominio. Di Ermanarico, dal punto
di vista storico si ricorda soprattutto la sua fine quando nel 375 il suo regno venne invaso dagli Unni.
Ammiano Marcellino è uno storiografo latino che ci dà documentazione storica sugli Unni: egli scrive che
Ermanarico, non riuscendo a sconfiggere gli Unni, si suicidò ( in questo caso si sottolinea il fatto che
Ermanarico non è in grado di ricoprire appieno il suo ruolo di sovrano, ma è stato comunque un grande
sovrano che sarebbe riuscito a sconfiggere gli Unni se non fosse stato ferito). Intorno alla metà del VI
secolo, un altro storico, Giordane scrisse “Storia dei Goti”; parla dell’obiettivo di unire di Ermanarico i Goti
con l’impero Romano attraverso una politica matrimoniale. Si tratta di una fonte filogotica e quindi non si
parlerà mai male di Ermanarico. È un racconto pieno di aspetti leggendari: i Rossolani stanno all’interno del
regno di Ermanarico ma si ribellano; Ermanarico fa squartare la moglie di uno dei Rossolani dai cavalli; i
fratelli di lei si vendicano e feriscono Ermanarico. Così gli Unni, con il re Bolomir, ne approfittarono e
attaccano gli Ostrogoti, approfittando del loro re ferito (spiegazione del perché gli Unni sconfiggono gli
Ostrogoti). Siccome si tratta di una fonte filogotica, nonostante la vendetta di Ermanarico che consiste nel
far squartare una donna, egli rimane comunque una figura positiva: egli sarebbe stato un grande difensore
se non fosse stato ferito. Gli viene data anche un’età improbabile che sta a significare che fu un grande re
con un regno molto lungo.

Questa storia trova riflessi in area nordica, nella Handismal (carme dell’Edda). Qui si parla di una certa
Gudrun che aveva avuto una figlia da Sigurdr di nome Svanhildr (che sarebbe Sanielh citata da Giordane).
Gudrun sposa Sigurdr che viene ucciso con l’inganno poiché possedeva un grande tesoro. La donna diventa
allora moglie di Attila che vuole impadronirsi del tesoro del marito di lei defunto. Svanhildr (il cui nome
significa “cigno di guerra”, il cigno era, infatti, l’animale delle Valchirie) sposa Jormunekkr, che sarebbe
Ermanarico in islandese. Nella Volsungasaga (sistemazione organica dei carmi dell’Edda), cioè la saga dei
Volsungi che prende il nome da Volsung si dice che Svanhildr è la sposa di Jormunnekr e viene accusata da
un consigliere fraudolento di aver tradito il marito con il figliastro (Randvér) che viene impiccato mentre la
donna viene fatta calpestare dai cavalli. Gudrun incita i fratellastri di Svanhildr (avuti dal terzo marito
Jonacr) di vendicare la sua morte. I fratellastri si chiamano Hamthir e Sorli che nella fonte di Giordane si
chiamano Ammio e Saro. Essi uccisero un gran numero di Goti e dopo aver ferito Ermanarico, vengono
uccisi e lapidati (poiché la madre Gudrun li aveva protetti affermando che non potessero mai essere feriti
da armi). Questa diventa allora una questione familiare, non più di natura politica. Si tratta di una storia che
non trova confronti con le fonti di area continentale meridionale. In una fonte latina dell’XI secolo, gli annali
di Quedlinburg (Germania) si dice che Ermanarico era un re capace di ingannare ma anche di donare
(traccia negativa). In questa versione, Ermanarico ha un figlio Federico, che uccide; Ermanarico fa allora
impiccare i suoi figli. In questa versione, Ermanarico uccide un padre di bambini (la conflittualità familiare è
sempre presente). A causa delle nefandezze, gli vengono mozzati gli arti e muore (ciò rimanda alla
mutilazione della donna di cui parlava Giordane).

Secondo un altro filone, Ermanarico sarebbe l’avversario di Teoderico: in questo caso, la sua figura diventa
quasi caratteriale: impersonifica, cioè il re malvagio. Ciò si può vedere anche nel Widsith, dal verso 11 in
poi: il poeta dell’opera visita la corte di Ermanarico e incontra gli Herlinga, cioè la stirpe che Ermanarico
avrebbe perseguitato, sottraendogli un tesoro. Non si sa bene perché Ermanarico sia un re malvagio, ma è
legato alla tradizione di Teoderico, poiché gli porta il regn. Il Deor non rimanda a nulla di specifico su
Ermanarico: si afferma che è un re malvagio, si dice che ha una mente da lupo ma non rimanda a leggende.
Si può dire che Ermanarico sia un passaggio da una parte che dà un’elencazione di personaggi con
avvenimenti negativi delle strofe precedenti a questa parte che parla della sofferenza di persone legate a
questa figura fino ad arrivare al superamento che sarebbe la fine del suo regno. La difficoltà di
determinazione lascia aperta la possibilità che chi soffre sia lo stesso Ermanarico; oppure potrebbe essere
lui la causa della sofferenza di altri personaggi. La quinta strofa è un passaggio verso una strofa che non
presenta più l’elencazione di personaggi ma in cui si entra in una questione più intimista. Si tratta della
chiave di interpretazione delle precedenti.

Ultima strofa del Deor: È la più lunga di tutte le altre (va dal verso 28 al 41). Alcuni credono che tra il verso
34 e 35 dovesse esserci un ritornello poiché i verbi nel 34 sono alla terza persona singolare, mentre al 35
sono alla prima persona singolare. Dovevano quindi essere due strofe diverse: i verbi sono
contenutisticamente coesi fin dall’inizio della strofa che è difficile immaginare una suddivisione strofica
all’altezza del verso 34 e siamo in un contesto poetico in cui il numero di versi varia di strofa in strofa. Prima
i verbi erano tutti al passato, ora sono al presente.

-siteth: “siede” da sittan, terza persona singolare.

-sorgcearig: afflito da preoccupazioni (aggettivo composto da sorg e da ear)

-saelum: dativo plurale feminile da sael, “dalle gioie”.

-bidaeled: verbo composto dal prefisso bi+daelen, forma di participio passato con valore aggettivale
(privato, senza).

--sefan: spirito

Traduzione: Siede afflitto dalle preoccupazioni, privato dalle gioie nell’animo.

-sweorceth: da sweorcan, terza persona singolare “si tormenta”

-sylfum: da self, legato al verbo successivo, si auto pensa e quindi sembra a lui.

-thincheth: da “thincan” terza persona singolare: “gli sembra”

-thaet: che

-sy: terza persona singolare del verbo essere nella forma ottativa (congiuntivo) “sia”

-endleas: senza fine

-earfotha: dolore (genitivo plurale), nominativo neutro “earfothe”

-dael: sostantivo maschile “parte”

Traduzione: “gli sembra che sia senza fine la parte dei dolori” (versi 29 e 30).

-maeg: da magan, preterito presente, “potere e dovere”

-thonne: dunque, allora: ma spesso è usato per provocare un salto logico, per dare attenzione a ciò che
verrà detto dopo, come se volesse darci una spiegazione. Il preterito presente è legato all’infinito che viene
dopo, come se ci fosse una struttura condizionale data da questa struttura sintattica o come una forma
impersonale di riflessione di tipo gnomico moraleggiante.

-gethencan: infinito legato a Maeg (costruzione di tipo condizionale o forma impersonale).

Traduzione: Dunque si deve pensare/Dunque si dovrebbe pensare.

A questo punto parte una riflessione di tipo gnomico e moraleggiante.

-thaet: che

-geond: attraverso, preposizione.

-thas: articolo determinativo femminile, accusativo singolare. Si tratta di una forma poco diffusa nei testi
anglosassoni e nei testi sassoni occidentali (forse il testo ha origine nel Nord o centro-nord inglese).

-woruld: mondo, sostantivo femminile

Traduzione: Che intorno al mondo.

-witig: saggio

-dryhten: signore (principe o Dio: duplice campo semantico)


-geneahhe: spesso

-wendeth: verbo alla terza persona singolare (mutare), il soggetto è drythen

Traduzione: il saggio signore cambi spesso.

-gesceawath: terza persona singolare (mostrare)

-eorle: dativo singolare di eorl (nobile)

-monegum: molti (a molti)

-are: sostantivo al dativo singolare maschile di “ar”, cioè messaggero.

Traduzione: mostra a molti nobili e ai messaggeri.

-wislicne: aggettivo, sapiente/dotto

-sumum: dativo plurale (ad alcuni)

-blaed: fama (accusativo)

-weana: disgrazia, sciagura e dolore, genitivo plurale da wena.

-dael: parte

Il Signore/signore muta spesso di fronte ai principi, nobili, mostra che la sapienza dotta possa essere parte
di dolore. La sapiente fama può tramutarsi in parte di dolore e il signore cambia opinione, mostra il
cambiamento di opinione ai nobili, ai messaggeri.

Seconda parte ultima strofa:

-thaet: che

-ic: io

-bi: preposizione che introduce il complemento di argomento (“intorno a”)

-me sylfum: me stesso

-wille: da wyllam, ottativo, prima persona singolare presente “possa”

-secgan: dire

Traduzione: Che io adesso dica di me stesso.

-thaet: che

-ic: io

-hwile: un tempo

-waes: ero

-scop: poeta

-Heodeninga: degli Heodeninghi, genitivo plurale, nominativo “Heodening”, degli Eodeninghi (si conoscono
solo in ambito nordico, è una famiglia non signficativa).

-dryhtne: dativo singolare “al signore”

-dyre: caro, amato


Traduzione: che io ero un tempo poeta degli Heodeninghi, amato dal signore.

Verso 37: Il mio nome era Deor.

-ahte: ebbi, possedetti

-ic: io

-fela: molti, genitivo plurale

-wintra: inverni, genitivo plurale

-folgath: accusativo maschile, parola tecnica, indica un ruolo nella struttura sociale anglosassone.

-tilne: vantaggi, beni sarebbe un aggettivo ma viene tradotto come sostantivo.

-holdne: aggettivo (da hold), grazioso/gentile (si traduce come genitivo ma sarebbe un accusativo).

-hlaford: signore di corte; (holde hlaford è un’espressione formulare)

Traduzione: “ebbi io per molti inverni, facendo parte del seguito del signore grazioso, dei vantaggi”.

-oththaet: fin quando

-nu: ora (now)

-Heorrenda: nome di persona

-leothcraeftig: apposizione di Heorrenda; leoth: canto; craeftig: capace (capace nel canto)

-monn: uomo

-gethah: da gethickan (ricevere, prendere, “ottenne”)

-londryht: lond=land (terra amministrata); ryht: diritto “diritto della terra”.

Traduzione: fintanto che Heorrenda, l’uomo capace dell’arte poetica ottenne il feudo.

-thaet: che

-me: a me, dativo

- eorla: dei principi

- hleo: protezione

- aer: un tempo

-gesealde: dall’infinito “sellan”, dare, assegnare

Traduzione: che a me il protettore dei principi un tempo diede.

-thaes: pronome dimostrativo, genitivo, singolare, maschile (di quello)

-ofereode: forma composta, preterito terza persona singolare di “ofergan”, “superare, andare oltre”.

-thisses: pronome dimostrativo al genitivo “di questo”.

-swa: così/allo stesso modo

-maeg: possa

Traduzione: di quello ci fu un superamento, di questo così possa essere.


Si hanno due problemi: uno di interpretazione e l’altro di comprensione del ritornello nel contesto. Il
ritornello presenta una struttura impersonale al genitivo che nella traduzione viene resa all’ottativo poiché
si tratta di un auspicio. “Magan” in inglese antico sta a significare la possibilità che una determinata cosa
possa avere successo, un auspicio che qualcosa possa veramente accadere, qualcosa di più sicuro rispetto
all’interpretazione che gli viene data in inglese moderno. Non si ha pessimismo in queste parole. “Thaes
ofereode” è una forma che non si trova in inglese antico ma in inglese medio (poiché si ha questa struttura
sintattica con il genitivo che è tipica dell’inglese medio) e perciò appartiene probabilmente a una forma
tarda dell’inglese antico. Al verso 31 si trova però “thas” che è un tratto arcaico (quindi è diverso da “thaes
ofereode”, che appartiene a una fase tardiva). Probabilmente allora, il ritornello venne aggiunto
successivamente. Qual è il rapporto del ritornello con il poema? Alcuni ritengono che non abbia attinenza al
testo. Secondo la teoria più creditata, invece, “thaes” si riferisce alle strofe precedenti, mentre “thisses”
all’io del Deor. La disgrazia di Welund viene superata perché egli fugge; Beadohilde rimane incinta ma si
salva; quelle di Teoderico e di Ermanarico sono superate perché muoiono entrambi. Nel caso della strofa di
Maedhilde sappiamo che secondo Malone, o siamo di fronte a una ballata islandese in cui la donna muore
oppure si tratta di una ballata norvegese dove la ragazza sopravvive. Sicuramente anche questa strofa
presenta un superamento, altrimenti stonerebbe con il resto del Deor. Il testo pone di fronte all'idea
dell'instabilità della vita terrena e quindi viene presentato un passato felice colpito da una disgrazia: ma
questa instabilità finirà? Si può parlare di transitorietà delle cose umane? Si è di fronte alla idea di una vite
terrena segnata dal cambiamento delle fortune, come sottolinea Boezio. Nella versione anglosassone della
Consolazione della Filosofia si ha il verbo ofergath, che sottolinea un'idea di superamento: la vita terrena è
caratterizzata da questa alternanza tra momenti felici e infelici e si ha una sorta di consolazione poiché
questi momenti infelici saranno superati.

Secondo un'altra lettura, meno positiva, gli episodi narrati nel Deor sono negativi e al loro interno si ha una
sofferenza. Per esempio, nella prima strofa si parla di Nidhad che ha una disgrazia ma non è detto che vi sia
un superamento. Nel caso di Teoderico il superamento è più del popolo, le disgrazie restano. Si ha allora
una consolazione o una constatazione (cioè non si può far niente per queste disgrazie)? Il compito del
traduttore è capire cosa vuol dire il testo per scegliere in questo modo che tipo di registro dare (ciò
soprattutto nella parte del ritornello in cui bisogna dare una chiave interpretativa al testo).

Il Deor presenta delle ambiguità. Per esempio, all’inizio della V strofa si ha il verbo siede. Ma chi è che
siede? Deor parla di sé alla terza persona? Inoltre si ha “drythen” che potrebbe essere il Signore del feudo
ma anche Dio e l’umanità (in quel caso il testo assume un significato più filosofico).

La concezione della morte assume significati diversi. Per i cristiani è un gesto liberatorio che dà un senso
alla nostra vita perché si sa che cosa viene prima e che cosa viene dopo. Noi siamo come un passero che
attraversa una sala durante una tormenta. Se il cristianesimo ci può dire cosa c'è dentro la sala ben venga.
Nella visione pagana germanica si ha una visione circolare (a differenza del cristianesimo che ne ha una
lineare). I guerrieri morti andranno nella Valhalla e parteciperanno con gli dei al Ragnarok e, in seguito,
moriranno insieme a loro. Gli dei ripopoleranno poi il mondo con alcuni uomini. Secondo la tradizione, on
questo caso si ha un drago che vola in cielo che tiene tra le sue spire i cadaveri dei cavalieri morti: il male è
sempre presente.

Quali sono le varie letture del Deor?

Eliason: 1969, egli spiega che il ritornello era comprensibile all'uditorio nelle intenzioni che voleva
trasmettere: il poemetto è rivolto dal poema al suo signore per una richiesta di denaro.

Kerr: 1897: egli crede che ci sia una fusione tra aspetti elegiaci e la tradizione germanica. Egli non riesce a
stabilire finché tipo di genere si tratti.

Malone: si ha un compromesso tra vita eroica e il valori propri della cultura germanica.
Frankis: sostiene una lettura struttura del poema. Egli crede che l'autore del poema abbia voluto parlare di
vicende autobiografiche raccontate in chiave simbolica. In particolare: la vicenda di Welund starebbe a
significare l'artista perseguitato; Beadohild: l'artista avrebbe sedotto la figlia di un re; la terza strofa spiega
che questo amore è stato infelice; la quarta: il poeta è mandato in esilio; la quinta sarebbe una denuncia
del potere tirannico del re. In questa lettura di ha al centro il poeta ma ci sono poche cose che fanno capire
che ci troviamo di fronte ad un’allegoria.

Lawrence: 1911: egli propone un tipo di lettura legato alla consolazione della Filosofia di Boezio. Si tratta
però più di un lamento. L'idea di consolazione si ha nei versi 38 a 42. Da un lato si ha una consolazione dei
mali attraverso sventure altrui, dall'altro si ha un approccio leggero all'esistenza senza preoccuparsi delle
sventure.

Eliason afferma che il Deor è l'unico testo in cui si dice in prima persona che è prodotto da uno scop,
nonostante il nome sia fittizio. Ellison si chiede chi sia il poeta; egli elogiava il Signore per avere una
ricompensa, quindi non si tratterebbe di un testo di consolazione. Si tratta di un modo per far capire che
tipo di disgrazia subirebbe se non avesse la ricompensa. Si deve anche pensare che forse il ritornello è stato
aggiunto dopo visto che non era usuale. Anche il fatto di trovarsi nell’Exeter Book potrebbe essere
indicativo, perché potrebbe trattarsi solo di un'interpretazione. Se si mette al centro il poeta, potrebbe
essere veramente caduto in disgrazia oppure potrebbe essere come dice Eliason e riferirsi a un futuro.
Potrebbe anche leggersi come una scongiura per tenere lontano le sfortune. Manca però la struttura
dell'invocazione che termina con una formula magica. Delle ipotesi, quella più sostenuta è quella della
consolazione. Ci sarebbero quindi episodi della tradizione orale che vengono messi per iscritto. L'autore
potrebbe essere uno scopo che circolava nei monasteri.

Ricerca delle parole: quelle legate al lamento e alla pena:

Wraeces

Earfotha

Sorge

Wea

Sar

Draeg

Onfond

Quanto si studia una parola si tiene in considerazione il campo semantico in cui ricade e il tipo di testo in
cui si trova.

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