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FACOLTA’ DI AGRARIA

Corso di laurea
PRODUZIONE E DIFESA DEI VEGETALI

Curriculum
PRODUZIONI VEGETALI

“VALUTAZIONE
VALUTAZIONE BIO-AGRONOMICA
BIO AGRONOMICA DI UN
IMPIANTO DI DIGESTIONE ANAEROBICA
ALIMENTATO CON MATRICI DI ORIGINE
VEGETALE ED ANIMALE”
ANIMALE

Relatore: Candidato:
Prof. Sergio MIELE Fabio BOLDRIGHI

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2
INDICE

PREMESSA (pag.6)

INTRODUZIONE (pag.8)

1) BIOLOGIA DEL PROCESSO (pag.8)


1.1 Basi microbiologiche e chimiche (pag.8)

- Idrolisi e acidificazione (pag.11)


- Acetogenesi (pag.20)
- Metanogenesi (pag.20)

1.2 Biochimica e cinetica del processo di digestione anaerobica (pag.26)


1.3 Tossicità ambientale dei bireattori (pag.36)

2) PARAMETRI DI GESTIONE DEL PROCESSO (pag.39)


2.1 Gestione del bireattore (pag.39)

- HRT (pag.40)
- SRT (pag.40)
- OLR (pag.41)
- CF (pag.41)
- SGP (pag.42)
- GPR (pag.42)

3) TECNOLOGIA DEL PROCESSO (pag.47)

3.1 Aspetti generali (pag.47)


3.2 Impiantistica del processo di digestione anaerobica (pag.49)

- Sistema a vasche ricoperte (pag.49)


- CSTR (Continuosly Stirred Tank Reactor) (pag.50)
- Ottimizzazione delle prestazioni di un reattore CSTR (pag.54)
- PFR (Plug Flow Reactor) (pag.58)
- UASBR (Upflow Anaerobic Sludge Blanket Reactors) (pag.60)
- USR (Upflow Solids Reactor) (pag.63)
- BFR (Batch-Fed Reactors) (pag.63)
- AFR (Anaerobic Filter Reactors) (pag.64)
- FBR (Fluized Bed Reactors) (pag.66)
- EBR (Expanded Bed Reactors) (pag.66)
- CR (Contat Reactors) (pag.66)
- Fasi separate (pag.68)

3
- Selezione dei bioreattori in funzione delle categorie dei substrati da
fermentare (pag. 70)

PARTE SPECIALE (pag.75)

PREMESSA (pag.75)

- Panoramica dell’impianto (pag.76)


- Componentistica dell’impianto (pag.77)
-
MATERIALI (pag.94)

- Biomasse di origine animale (pag.94)


- Biomasse vegetali (pag.95)

• MAIS (pag. 95)


• FRUMENTO TENERO (pag.97)
• SORGO ZUCCHERINO (pag.97)
• LOIESSA (pag.98)
• POLPA SURPRESSATA DI BARBABIETOLA (pag.99)
• MARCO MELA (pag.100)

- Trasferimento di microrganismi degli insilati ai bioreattori

METODI (pag.102)

- Calcolo del rendimento dei substrati impiegati nell’impianto (pag.103)


- Analisi microbiologica (pag.105)

• UNI EN ISO 4833:2004 (pag.106)


• UNI EN ISO 6579:2004 (pag.108)
• UNI EN ISO 7937:2005 (pag.109)
• UNI EN ISO 16649-2:2001 (pag.111)
• UNI EN ISO 21528-2:2004 (pag.111)
• UNI EN ISO 7954:1987 (pag.111)

4
RISULTATI(pag.112)

DISCUSSIONE(pag.131)

CONCLUSIONI(pag.138)

APPENDICE(pag.142)

NORMATIVA(pag.142)

- Aspetti normativi che regolano la produzione, la gestione e la retribuzione del


biogas e dell’energia elettrica ottenuti da fonti rinnovabili(pag.142)

• FINANZIARIA 2008(pag. 142)


• DECRETO LEGGE 159/2007 CONVERTITO IN LEGGE 222/07(pag.144)
• REGOLAMENTO (CE) N.1774/2002(pag.146)
• REQUISITI SPECIFICI PER IL RICONOSCIMENTO DEGLI IMPIANTI DI
PRODUZIONE DI BIOGAS(pag.149)

BIBLIOGRAFIA(pag.152)

SITOGRAFIA(pag.153)
RINGRAZIAMENTI (pag 155)

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PREMESSA

La storia del biogas è stata caratterizzata da due fasi. La prima risale agli anni
’80 mentre la seconda ha avuto inizio nel decennio successivo, quando sono
state adottate nuove tecniche di digestione anaerobica che hanno permesso
agli agricoltori-allevatori di ottenere un effettivo ritorno economico
dell’investimento.

La situazione dei primi anni ’80 è fotografata dal censimento effettuato dall’
ENEA nel 1983. In Italia esistevano una sessantina di impianti che
funzionavano con scarti della attività agricola e zootecnica. Oggi giorno la
maggior parte di quegli stessi impianti non sono più attivi così come le ditte
costruttrici che li hanno realizzati.

Il problema dell’epoca è dovuto al fatto che venivano costruiti impianti di


digestione anaerobica che avevano più che altro lo scopo di abbattere le
sostanze inquinanti senza valutare bene i costi economici di tale operazione.
Infatti le tecnologie adottate erano di stretta derivazione industriale e di troppo
difficile gestione da parte degli agricoltori. Con l’avvento degli anni ’90 la
situazione è cambiata in meglio poiché ha iniziato a diffondersi una nuova
generazione di impianti di biogas semplificati e a basso costo, che oltre a
recuperare energia, permettono di controllare gli odori e di stabilizzare i
substrati impiegati.

Ad accrescere l’interesse nei confronti degli impianti di biogas che utilizzano il


gas prodotto in cogenerazione ha contribuito il provvedimento Cip n. 6 del 26
aprile 1992, riguardante i “Prezzi dell’energia elettrica relativi a cessione,
vettoriamento e produzione per conto dell’ENEL, parametri relativi allo
scambio e condizioni tecniche generali per l’assimilabilità a fonte rinnovabile”,
che stabiliva un regime tariffario particolarmente favorevole nel caso di
autoproduttori che cedevano all’ENEL l’intera potenza elettrica ottenuta da
impianti alimentati a biomasse.

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Poi i provvedimenti contenuti nel Cip n.6/92 sono stati sospesi e sostituiti in
accordo ad una direttiva europea con i cosiddetti certificati verdi (dlgs
387/2003).

Dal 2002 è stato definito l’obbligo, da parte di tutti i produttori di energia


elettrica da fonte convenzionale, di immettere in rete, ogni anno, una quota di
elettricità prodotta da fonti rinnovabili (tra cui il biogas) pari ad una percentuale
prefissata. Per poter rispettare tale quota, i produttori di energia da fonte
convenzionale devono acquistare i cosiddetti certificati verdi dai produttori di
energia rinnovabile.

E’ così nato un mercato dei certificati verdi gestito dal GSE (Gestore Servizi
Elettrici).

L’applicazione di tecniche di digestione anaerobica oltre a ridurre le emissioni


di metano porta ad una riduzione delle emissioni di ammoniaca e di altri gas
serra, come pure di composti organici volatili non metanici spesso odorigeni,
causa di cattivi odori. La captazione del biogas permette inoltre di sostituire i
combustibili fossili con combustibili da fonti rinnovabili.

Oggi giorno stiamo vivendo un momento storico in cui il prezzo del petrolio è
superiore ai 140 $ al barile, le scorte alimentari mondiali sono in esaurimento a
causa della sempre maggiore richiesta di cibo da parte di Paesi come L’India e
la Cina, ed i prezzi dei cereali sono quindi molto elevati. Per questo motivo
una differenziazione delle risorse produttive è auspicabile per tentare, nel caso
della digestione anaerobica, di preservare sì l’ambiente, fornendo però energia
per lo sviluppo del Paese.

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INTRODUZIONE

1 BIOLOGIA DEL PROCESSO

1.1 Basi microbiologiche e chimiche

La decomposizione metanigena è un processo in grado di espletarsi solo in


condizione di anaerobiosi completa, grazie alla quale varie popolazioni di
batteri specializzati possono decomporre, attraverso diversi processi
metabolici, la sostanza organica in biossido di carbonio e metano.

La reazione stechiometrica di seguito riportata rappresenta la stabilizzazione


anaerobica di una generica matrice organica.

CaHbOcNd → nCwHxOyNz + mCH4 + sCO2 + rH2O + (d – nx)NH3

Con: s = a – nw – m
r = c – ny – 2s
Si ha la parziale distruzione di materiale organico complesso con formazione
di metano, biossido di carbonio, acqua ed ammoniaca.
L’attività biologica anaerobica è stata evidenziata in un ampio intervallo di
temperatura: tra – 5 e + 70 °C. Esistono, tuttavia, differenti specie di
microrganismi classificabili in base all’intervallo termico ottimale di crescita:
psicrofili (inferiori a 20 °C), mesofili (tra 20 °C e 40 °C) e termofili (superiori ai
45 °C).
La metanogenesi è storicamente considerata un processo costituito
essenzialmente da tre fasi. La prima coinvolge batteri che producono acidi
utilizzando come substrati materiali organici come carboidrati, lipidi e proteine
previa una loro completa idrolisi. Tale attività consiste nella produzione di acidi
organici, alcohols e chetoni. La seconda fase coinvolge invece batteri in grado
di trasformare le specie chimiche precedenti in acido acetico, acido formico,
idrogeno molecolare e biossido di carbonio. Infine, a partire dai prodotti della
fase precedente, si arriva alla metanizzazione, cioè la formazione di metano
dall’acido acetico oppure attraverso la riduzione del biossido di carbonio

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utilizzando l’idrogeno come co-substrato. In minor misura si ha la formazione
di metano a partire dall’acido formico. Queste sono le schematizzazioni delle
due reazioni di metanizzazione:

• CH3COOH→CH4 ↑+ CO2
• CO2 + 4H2 → CH4 ↑+ 2H2O

Essendo il gas metano poco solubile in acqua, passa subito nella fase
gassosa mentre il biossido di carbonio in parte rimane nella fase acquosa e in
parte passa in quella gassosa.

Evidenze sperimentali e pratiche hanno dimostrato come in realtà l’acetato e


l’idrogeno abbaino un effetto di tipo feed-back negativo nei confronti dei batteri
acetogeni stessi, provocando una sorta d’inibizione della loro attività. Per
questa ragione, per ottenere un efficiente bilanciamento dell’attività batterica
stessa all’interno dei fermentatori e per far si che le reazioni che hanno luogo
al loro interno siano in grado di equilibrarsi in modo corretto, è necessario che
tali prodotti inibenti vegano continuamente rimossi da parte dei batteri
metanigeni.

Siamo in grado di definire le grandi famiglie di batteri intra ed extracellulari


che danno luogo all’insieme di reazioni che portano alla generazione di
metano, cioè il prodotto di interesse economico-energetico che sta al vertice
dei processi di valorizzazione anaerobica della sostanza organica. Abbiamo le
seguenti tipologie batteriche:

 batteri idrolitici
 batteri acidificanti (omoacetogeni e acetogeni)
 batteri metanigeni

Essi sostengono rispettivamente le seguenti reazioni trofico metaboliche:

 idrolisi e acidificazione
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 acetogenesi
 metanogenesi

1 sono schematizzate le fasi del processo e le relative famiglie


In figura n°1
batteriche che vi presiedono.

Figura n°1 (fonte[2])

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Idrolisi e acidificazione

In questa prima fase del processo di degradazione della sostanza organica, i


polimeri complessi delle proteine, dei polisaccaridi e dei lipidi vengono scissi in
oligomeri e monomeri. Questi ultimi rappresentano il substrato per le reazioni
operate da altri microorganismi presenti all’interno del reattore.

Il materiale aggiunto al fermentatore può essere sia di tipo particolato che


liquido. Sicuramente una buona pratica di gestione della fermentazione
anaerobica è indirizzata nello sminuzzare il più finemente possibile i vari
materiali che vengono introdotti all’interno del bioreattore. Questo implica che
la superficie colonizzabile dai microorganismi batterici aumenti notevolmente
permettendo una migliore degradazione della sostanza organica e, di riflesso,
una maggiore efficienza del processo. Infatti i batteri idrolizzanti possono
colonizzare direttamente la superficie dei substrati forniti loro, oppure possono
emettere degli enzimi extracellulari in grado di scindere le molecole organiche
complesse. I monomeri che ne risultano sono resi disponibili per il trasporto
all’interno delle cellule dei batteri acidificanti. I microrganismi acidogeni
fermentativi trasformano questi substrati in piruvato, che viene poi convertito
in acidi grassi volatili (in particolar modo propionato e butirrato), alcoli e
chetoni che rappresentano i substrati di partenza per la successiva fase
acetogenica.

Durante la prima fase d’idrolisi, i monomeri e gli oligomeri organici, in


particolare zuccheri e aminoacidi, possono inibire l’attività dei batteri idrolitici
stessi. Quindi, anche in questa fase, è d’obbligo creare le condizioni idonee
per cui tali specie chimiche possano essere trasformate, nel più breve tempo
possibile, evitandone, quindi, un dannoso accumulo.

La fermentazione degli aminoacidi si conclude con la formazione di ammonio.

In figura n°2 è rappresentato un primo schema che r appresenta la serie di fasi


che portano alla degradazione chimica della sostanza organica.

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La bioconversione della sostanza organica in metano è sicuramente una
fermentazione anaerobica complessa che richiede una sinergica azione da
parte di diversi microrganismi. Proprio durante la prima fase si ha una
differenziazione di substrati che per essere demoliti devono essere colonizzati
da diverse specie batteriche idrolizzanti, specifiche per il substrato che
decompongono. Per questo motivo analizzeremo ora i composti chimici che
rappresentano il substrato trofico di questa ampia categoria di batteri.

 Cellulosa

La cellulosa è un biopolimero del D-glucosio. I monomeri sono connessi gli uni


agli altri tramite legami β-D-1,4. Ogni gruppo idrossilico dei residui glicosilici è
in grado di formare legami idrogeno. Anche per questo motivo le catene di
cellulosa presentano una elevata stabilità e resistenza. La capacità poi delle
catene polimeriche di cellulosa di associarsi per dare luogo alla formazione di
fibre, fa si che essa si renda meno disponibile alla attività degradativa degli
enzimi cellulosolitici.

I batteri che utilizano come substrato la cellulosa sono: Bastoncelli Gram-


negativi non sporigeni e Cocci Gram-positivi non sporigeni. Ruminococcus
flavescens e Ruminococcus albus sono i cocci maggiormente frequenti ed
attivi.[1]

Vi può anche essere un’attività degradativa operata da specie batteriche


afferenti al genere Clostridum. Va comunque indicata la presenza, seppur
limitata numericamente, di batteri come l’Eubacterium cellulosolvens e di
alcuni protozoi anaerobici ciliati che contribuiscono, nel complesso, ad una
degradazione spinta della cellulosa. Per quanto riguarda poi gli enzimi
extracellulari prodotti dai batteri è utile dare qualche indicazione relativa al
Clostridium Thermocellum. Questo Clostridium contiene sia endoglucanasi (β
1,4-glucan glucanoidrolasi) che esoglucanasi (β1,4-glucan cellobioidrolasi).
Queste cellulasi non sono sensibili all’ossigeno e sono termicamente stabili.

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Le endoglucanasi agiscono in maniera randomizzata sul polimero della
cellulosa e l’azione finale combinata delle endo e delle esocellulasi determina
la scomposizione della molecola in cellodestrine che saranno prontamente
trasferite all’interno delle cellule batteriche per ulteriori catabolismi. L’optimum
di pH per le endo e le esoglucanasi risulta compreso fra 5 e 6. Non essendo
questi enzimi costitutivi, è possibile che venga indotta la loro produzione
tramite la presenza di oligomeri di cellulosa. Anche lo ione calcio sembra
avere un effetto stimolante l’induzione dell’attività di queste cellulasi. Se la
struttura della cellulosa è presente sottoforma cristallina l’azione delle
endoglucanasi viene impedita ma, la progressiva azione delle esoglucanasi
sul sito non riducente delle lunghe molecole di cellulosa, consente l’attacco da
parte delle endolgucanasi e quindi una progressiva degradazione del
polimero.

 Emicellulosa

L’emicellulosa è un polisaccaride ramificato a catena corta che può essere, in


certi casi, il maggior costituente della biomassa vegetale. Questo polimero
può essere costituito da esosi, pentosi, oppure da altre tipologie di zuccheri.
Molte emicellulose presentano dei legami β-1,4, ma quelle contenenti il
galattosio, presentano nella loro struttura legami β-1,3.

La tipologia più frequente d’emicellulosa è denominata D-xilano ed è costituita


da catene composte da unità di D-xilosio che vanno a formare la struttura
portante del polimero. Questa catena è a sua volta connessa ad altre sub
unità costituite da L-arabinosio. Altre tipologie d’emicellulosa sono i D-
mannani, D-glucosio-D-mannani, D-galatto-D-gluco-D-mannani e gli L-
arabino-D-galattani.[1]

Bacterioides riminicola e Bacterioides fibrisolvens sono in grado di utilizzare le


emicellulose come substrato trofico, quindi come fonte principale di carbonio.
Ruminococcus flavefaciens e Ruminococcus albus possono anch’essi

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degradare le emicellulose, ma non sono in grado d’impiegare le emicellulose
isolate come fonte energetica.

Altri microrganismi in grado di decomporre le emicellulose sono i Bacterioides


adolescentis, Bacterioides infantis , e Peptostreptococcus productus.[1]

Visto che la variabilità delle emicellulasi è molto spiccata, di riflesso anche il


corredo enzimatico dei batteri idrolitici appena visti, è molto articolato. Ne
fanno parte ad esempio l’ L-arabinasi, D-galattanasi, D-mannanasi e D-
xilanasi. Per una corretta ed efficiente demolizione delle emicellulose è
richiesta un’ azione sinergica da parte di tutti gli enzimi che abbiamo appena
visto. La L-arabinasi è un’α-1,3-L-arabinifuranosidasi che libera l’ L-arabinosio
dalla catena di arabinoxilano. La D-galattanasi e la D-mannanasi sono
considerate rispettivamente β-1,4-galattan galattanoidrolasi e β-1,4-mannan
mannanoidrolasi. Essi degradano il D-galattano e il D-mannano in modo
randomizzato. L’enzima D-xilanasi presenta, invece, un’elevata affinità per il
D-xilano. Come detto è necessario che si verifichi una sinergica azione da
parte di questi enzimi poiché è dapprima necessario che vengano liberati i
residui laterali delle catena di emicellulosa per permettere poi ad altri enzimi
di degradare direttamente lo “scheletro” portante del polimero liberando cosi
in soluzione gli oligomeri e poi i monomeri di tutti gli zuccheri costituenti.

 Lignina

La lignina è presente, nei tessuti vegetali, in percentuali medie pari al 20-30%.


In particolare la sua presenza è frequente nei tessuti vascolari delle piante e
svolge un ruolo importante poiché cementa i componenti polisaccaridici della
parete cellulare.[1]

La lignina è un complesso polimero aromatico tridimensionale formato da


coppie di radiacali liberi di fenilpropano. Il legame più frequente nella struttura
della lignina è il legame β fenile.

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Per quanto riguarda la digestione anaerobica della sostanza organica, la
lignina rappresenta un serio problema poiché, per il momento, non esistono
enzimi batterici in grado di operare una sua degradazione nelle condizioni
ambientali tipiche di un bioreattore. Questo fa si che se introduciamo del
materiale vegetale con elevato tenore di lignina, quest’ultima non potrà essere
demolita e quindi non darà il suo contributo energetico per la produzione di
biogas. Alcune evidenze sperimentali [1] lasciano supporre che in particolari
condizioni di crescita possano svilupparsi batteri in grado di demolire la
lignina, anche se al momento, la loro caratterizzazione, non è stata
completamente compiuta. Sicuramente la scoperta di tali batteri ed una loro
utilizzazione all’interno del fermentatore potrà fornire sicuri vantaggi sia da
punti di vista tecnologici che economici in termini di resa del processo.

 Pectina

Le sostanze pectiche si ritrovano nella parete cellulare e negli strati


intracellulari delle piante. Esse caratterizzano molti tessuti molli della pianta e
sono più difficili da ritrovare nelle specie spiccatamente di tipo legnoso. Dal
punto di vista chimico, la pectina è una catena dell’α-1,4-D-acido galatturonico
con residui metilati di gruppi carbossilici.

I microrganismi in grado di metabolizzare la pectina sono, ad esempio, i


Lachnospira multiparus, Bacterioides fibrisolvens, Bacterioides ruminicola,
Bacterioides succinogenes.[1]

Anche alcuni rappresentanti del genere Clostridium ed Enterobacter riescono


a svolgere questa importante azione. Esistono almeno tre enzimi responsabili
dell’idrolisi della pectina nei suoi componenti monomerici. Abbiamo la
pectinesterasi che demetila la pectina in metanolo e in acido poli
galatturonico, la poliglucanoidrolasi che catalizza l’idrolisi dell’α-1,4-D-
galatturano in piccole porzioni di oligosaccaridi. Esiste poi un terzo enzima,
una poliliasi, che depolimerizza la catena della pectina tramite una reazione di

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trans eliminazione per formare residui insaturi di acido galatturonico. Fra
questi enzimi, il maggiore per importanza è forse la poliliasi, che esiste sia in
forme endocellulari che esocellulari. Per una corretta depolimerizzazione delle
pectine è importante che avvenga un’azione contemporanea degli enzimi
pectinesterasi e poliliasi che possono attivarsi in siti diversi della molecola
garantendo quindi una maggiore efficacia di decomposizione.

 Amido

L’amido è il composto chimico che rappresenta la più importante e diffusa


riserva di “alimento” nelle piante superiori. E’ generalmente presente
sottoforma di granuli che si accumulano negli amiloplasti. L’amido è un
polisaccaride eterogeneo composto da due frazioni che derivano da gradi
diversi di polimerizzazione del D-glucosio. Tali frazioni sono l’amilosio e
l’amilopectina. L’amilosio è un omopolisaccaride lineare costituito da molecole
di D-glucosio legate fra di loro da legami α-1,4. L’amilopectina, invece, è un
omopolisaccaride fortemente ramificato del D-glucosio che si polimerizza
sempre tramite legami α-1,4 nel tratto lineare, ma si ramifica esternamente
tramite legami α-1,6-D-glucosidici.

Molti microrganismi possono impiegare l’amido come esclusiva fonte


energetica. Fra questi abbiamo Lo Streptococcus bovis, Bacteroides
amylophilus, Selenomonas ruminantium, Succinomonas amylolitica,
Bacteroides ruminicola poi altre spirochete e protozoi.[1]

I più importanti batteri amilolitici presenti all’interno dei reattori anaerobici sono
comunque quelli bastoncellari sporigeni. Fra i generi predominanti possiamo
ricordare i Bacterioides e i Lactobacillus. Gli enzimi amilolitici possono essere
suddivisi in quattro gruppi in base al loro sito d’azione e al tipo di reazione che
catalizzano:

1. α-Amilasi (α-1,4)
2. α-Amilasi (β-1,4)

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3. Amiloglucosidasi
4. Enzimi deramificanti

1) Questo enzima idrolizza in modo randomizzato i legami glucosidici α-


1,4 lungo la molecola di amido, lasciando inalterati i legami α-1,6. I
prodotti d’idrolisi sono monomeri come il glucosio. Si formano anche
maltosio e gruppi di oligosaccaridi ramificati. In Bacterioides
amylophilus l’α-amilasi ha un peso molecolare pari a 92000 e un
optimum di pH intorno a 6. La temperatura ideale per una sua più
efficace azione è di 43°C. Lo ione Ca ++ e lo ione Co++ sono dei forti
attivatori per questo tipo di enzima.
2) La sua azione si esercita a livello dei siti non riducenti delle porzioni
terminali delle catene sia d’amilosio che d’amilopectina. I prodotti delle
reazioni che catalizzano sono delle unità di maltosio.
3) L’enzima rilascia dei residui di glucosio dalle parti terminali non
riducenti dell’ amilosio e della amilopectina.
4) Questi enzimi catalizzano la reazione d’idrolisi dei legami α-1,6 delle
catene di amilopectina. I polisaccaridi e le molecole di maltosio che ne
derivano vengono degradati da enzimi come l’α-glucosidasi. Questi
enzimi idrolizzano le frazioni di D-glucosio dalle parti terminali dei
disaccaridi e polisaccaridi che risultano dall’azione di degradazione
delle struttura dell’amido stesso.

 Lipidi

I lipidi sono chimicamente costituiti da glicerolo che presenta generalmente


due dei sui tre atomi di carbonio esterificati con acidi grassi monocarbossilici
prevalentemente insaturi. Il terzo atomo di carbonio può reagire con molecole
polari come il gruppo fosfato, nei fosfolipidi, o come carboidrati nel caso dei
glicolipidi. In generale i lipidi possono essere sia monogliceridi, che digliceridi
oppure trigliceridi a seconda del numero di acidi grassi con i quali si combina il
glicerolo. I batteri idrolizzanti i lipidi possono essere gli Anereovibrio lipolytica
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che è un bastoncello Gram negativo in grado di agire sui trigliceridi ma non sui
fosfolipidi, né sui glicolipidi. I Bacteroides fibrisolvens idrolizzano la lecitina
grazie ad una fosfolipasi di tipo A che catalizza la reazione di formazione di
fosfolipidi liberi. Una lisofosfolipasi converte i fosfolipidi in glicerolo e acidi
grassi. Questi acidi possono poi entrare a far parte come reagenti d’altri
metabolismi utili ai fini della produzione di biogas. In generale i batteri che
impiegano gli acidi grassi come substrato presentano problemi d’intolleranza
verso concentrazioni elevate di idrogeno molecolare. Un importante
microrganismo per la degradazione dei lipidi all’interno dei bioreattori risulta
essere l’Anereovibrio lipolytica.

 Proteine

Le proteine sono costituite da un insieme d’aminoacidi uniti fra loro da un


legame definito “peptidico”. Esistono venti aminoacidi diversi che, unendosi,
danno luogo a svariate tipologie di proteine. Questa categoria di polimeri può
essere sommariamente suddivisa in due tipologie: le proteine formate
esclusivamente da aminoacidi e le proteine che sono anche legate a gruppi
organici oppure inorganici. Nonostante i “mattoni” costituenti le proteine siano
linearmente legati fra di loro, esse possono presentare dei riarrangiamenti
spaziali molto complessi. Questa caratteristica si verifica anche in dipendenza
dei legami idrogeno che si formano fra le catene polipeptidiche delle proteine.
Altra tipologia di legame che determina alcune conformazioni tridimensionali,
possono essere i legami chiamati “ponti disolfuro”. I batteri proteolitici
predominanti nei digestori sono quelli afferenti al genere Clostridium. La
degradazione delle proteine avviene grazie all’azione catalitica d’enzimi
endopeptidasi che decompongono il polimero della proteina in polipeptidi,
oligopeptidi ed aminoacidi che poi verranno impiegati in vari processi
metabolici e verranno ampiamente utilizzati come costituente stesso dei batteri
all’interno del bioreattore.

18
Figura n°2 (fonte[2])

19
Acetogenesi

Durante questa fase l’acido propionico, l’acido butirrico e gli alcoli sono
trasformati in nuove specie chimiche quali acido acetico, acido formico,
biossido di carbonio e idrogeno molecolare.

Quest’ultimo composto tende ad inibire la trasformazione degli acidi grassi in


acido acetico. Se però vi è la presenza nel mezzo di batteri metanigeni
idrogenotrofi, l’idrogeno viene rimosso e l’azione dei batteri acidificanti non
subisce inibizioni. La certezza che quest’ultima cinetica microbiologica non
venga impedita fa si che nuovo idrogeno venga prodotto a garanzia, come
vedremo in seguito, della successive fasi metaboliche. I batteri che presiedono
alla fase di acetogenesi sono afferibili ai generi Eubacterium, Acetogenium,
Clostriduim.

Metanogenesi

La produzione di metano può seguire due differenti vie: la metanogenesi


compiuta da batteri “idrogenotrofi” e la metanogenesi ad opera dei batteri
definiti “acetoclastici”. La maggior parte del gas prodotto è a carico di
quest’ultima via. Infatti, come si nota dalla figura 4, alcune stime identificano
nella percentuale del 72% la quota di metano sviluppato nel processo
acetoclastico, mentre solo il 28% spetta alla via dei batteri idrogenotrofi.

Nel caso della metanogenesi operata dagli “ idrogenotrofi” la produzione di


metano avviene tramite l’ossidazione anaerobica dell’idrogeno. La via
acetoclastica prevede invece la dismutazione anaerobica dell’acido acetico
con produzione di metano e biossido di carbonio.[2]

In figura n°3 è riportata una serie di batteri meta nigeni acetoclastici con i
rispettivi substrati di metabolizzazione.

20
Figura n°3 (fonte[2])

Le reazioni che portano alla formazione del metano possono essere


schematizzate nel modo seguente:

 Via acetoclastica:

CH3COOH + R – H → R – CH3 +2H + CO2

R – CH3 + 2H →CH4 + R – H

 Via idrogenotrofa:
CO2 + R – H → R – COOH
R – COOH + 2H → R – CHO + H2O
R – CHO+ 2H → R – CH2OH
R – CH2OH + 2H → R – CH3 + H2O
R – CH3 + 2H → CH4 + R – H

21
Figura n°4 (fonte[2])

Con la loro attività i due ceppi di batteri metanigeni svolgono due importanti
funzioni nell’ambito della catena trofica anaerobica: degradano l’acido acetico
e quello formico a gas metano eliminando gli acidi dal mezzo ed impedendo
quindi l’inibizione dei fenomeni
fenomeni di degradazione di substrati organici per
eccesso di acidità, e dall’altra, mantengono la concentrazione d’idrogeno
molecolare a bassi livelli così da consentire la conversione degli acidi grassi a
catena lunga e degli alcoli ad acetato ed idrogeno. Infatti,
Inf se la via
idrogenotrofa è rallentata si osserva un accumulo d’idrogeno molecolare nel
mezzo che inibisce la produzione del metano, mentre la via acetoclastica può
subire fenomeni d’inibizione da substrato in presenza di elevate concentrazioni
di acido acetico. [2]

22
Principali batteri metanigeni acetoclastici (A) ed idrogenotrofi (I)

− Methanobacterium formicicum (I)


− Methanobacterium thermoautotrophicum (I)
− Methanobacterium bryantii (I)
− Methanobacterium wolfei (I)
− Methanobacterium uliginosum (I)
− Methanobacterium alcaliphilum (I)
− Methanobrevibacter ruminantium (I)
− Methanobrevibacter smithii (I)
− Methanobrevibacter arboriphilicus (I)
− Methanothermus fervidus (I)
− Methanococcus vannielii (I)
− Methanococcus voltae (I)
− Methanococcus thermolithotrophicus (I)
− Methanococcus maripaludis (I)
− Methanococcus jannaschii (I)
− Methanococcus halophilus (I)
− Methanospirillum hungatei (I)
− Methanomicrobim mobile (I)
− Methanomicrobium paynteri (I)
− Methanogenim cariaci (I)
− Methanogenium marisnigri (I)
− Methanogenium thermpphilicum (I)
− Methanogenium aggregans (I)
− Methanogenuim bourgense (I)
− Methanosarcina barkeri (A)
− Methanosarcina mazei (A)
− Methanosarcina acetivorans (I) (A)
− Methanosarcina thermophila (A)
− Methanoplanus limicola (I)
− Methanothrix soehngenii (A)
− Methanothrix concilii (A)

23
Alcuni batteri metanigeni sono autotrofi, mentre altri richiedono complessi
fattori di sviluppo all’interno del substrato di crescita. Le sostanze che, in
qualche modo, possono agire positivamente riguardo alla stimolazione della
crescita dei metanigeni possono essere alcuni metalli così come altri composti
organici assimilabili a veri e propri ormoni. Nel caso del Methanobacterium
thermoautotrophicum, che è un battere idrogenotrofo, è stato riscontrato
sperimentalmente [1] che la sua crescita è stimolata da nickel, cobalto e
molibdeno. In alcuni metanogeni idrogenotrofi il Nichel è incorporato nella
struttura del cofattore F430. Anche per il Methanococcus viannelii la presenza
di alcuni sali di tungsteno e selenio sembrano essere positivi per il
microrganismo, incentivando la produzione di gas metano. Il
Methanobacterium ruminantum abbisogna dell’acido grasso 2-metil-butirrato e
del coenzima M per un suo corretto sviluppo. Methanococcus voltae richiede
la presenza degli aminoacidi leucina e isoleucina nel mezzo di crescita. Il
Methanomicrobium mobile richiede le vitamine tiamina, piridoxina e l’acido p-
aminobenzoico per una corretta crescita.
La reazione acetoclastica è tipica di soli due generi di batteri: i Methanosarcina
e i Methanothrix. In Methanosarcina abbiamo specie che sono sia mesofile
che termofile, ma entrambe sembrano presentare una certa inibizione della
loro attività in presenza di idrogeno molecolare. In Methanosarcina barkeri 227
l’aggiunta di H2 inibisce temporaneamente l’utilizzazione dell’acetato. In
Methanosarcina mazei S-6, invece, l’H2 viene utilizzato più lentamente rispetto
ad altri substrati come l’acetato, ma anche come il metanolo. In questo caso,
se la presenza d’idrogeno molecolare supera un determinato livello di
concentrazione l’attività metanigena del microrganismo viene inibita anche per
lunghi periodi di tempo.
Il Methanothrix soehngenii sembra essere l’unica specie in grado d’impiegare
esclusivamente come substrato l’acetato. Questa particolarità è forse dovuta
alla sua grande affinità per questo tipo di composto chimico (Km = 0,46 mM). Il
periodo piuttosto lungo che il microrganismo richiede per rigenerarsi fa si che

24
la sua importanza all’interno dei reattori per la digestione anaerobica sia molto
elevata.
Di seguito sono indicate le reazioni di metanizzazione a carico di substrati non
molto frequenti all’interno dei bioreattori, ma che comunque è bene ricordare
per i riflessi che possono avere sui rendimenti degli stessi.

 Acido formico
4HCOOH → CH4 ↑ + 3CO2 + 2H2O

 Metanolo
4CH3OH → 3CH4 ↑ + CO2 + 2H2O

 Trimetilammina
4(CH3)3N + 6H2O → 9CH4 ↑ + 3CO2 + 4NH3

 Dimetilamina
2(CH3)2NH + 2H2O → 3CH4↑ + CO2 + 2NH3

 Monometilammina
4(CH3)NH2 + 2H2O → 3CH4↑ + CO2 + 4NH3

La fase di metanogenesi è sensibilmente pH dipendente. Tale condizione si


verifica allorché ci si allontani dal range ottimale che va da 6 a 8. La più o
meno spiccata acidità o basicità del mezzo, infatti, influenza lo stato di
dissociazione dell’acido acetico che come abbiamo visto è il principale
substrato dei batteri metanigeni.[2]
L’acido acetico si dissocia secondo la reazione:

CH3COOH ↔ CH3COO - + H+

25
La forma chimica in grado di attraversare le membrane cellulari batteriche è
quella indissociata (CH3COOH). Oltrepassando il valore di 8 prevale, invece,
la forma dissociata (CH3COO-) che non garantisce, nel mezzo, una sufficiente
concentrazione dell’acido nella forma indissociata determinando quindi
l’impossibilità di diffusione dell’acido stesso attraverso le membrane cellulari
dei microrganismi. In ambiente particolarmente acido (pH < 5) l’equilibrio si
sposta verso la forma indissociata dell’acido che si accumula all’interno dei
batteri ma che, non venendo degradato completamente, può dare luogo a
problematiche d’inibizione da eccesso di substrato.
In figura n°5
5 sono riportati i valori d’energia libera disponibile per i batteri
metanigeni in base al substrato di partenza che viene metabolizzato.

Figura n°5 (fonte[2])

1.2 Biochimica e cinetica


ica del processo di digestione anaerobica

Biochimicamente le reazioni afferenti al complesso della fermentazione


anaerobica della sostanza organica differiscono sostanzialmente da qualsiasi
tipo di degradazione aerobica poiché in quest’ultimo caso l’accettore finale di
elettroni è l’ossigeno molecolare, mentre nei bioreattori anaerobici
anaerobi questi
elettroni sono trasferiti ad altre tipologie di composti chimici.

La degradazione di substrati organici ha due fini: il primo è quello di ricavare


l’energia necessaria per il metabolismo (catabolismo) batterico sottoforma di
energia chimica di ossidazione.
sidazione. Il secondo è finalizzato, invece, a sintetizzare

26
nuove cellule (anabolismo). Nella realtà il secondo processo metabolico è
presente in misura minore. Il processo di ossidazione della sostanza organica
avviene tramite la perdita di una coppia di atomi di idrogeno dal substrato
interessato (specie riducente donatrice di elettroni ,deidrogenazione); tali
atomi verranno poi trasferiti all’accettore finale di elettroni (specie ossidante
accettore di idrogeno). Le reazioni d’ossidazione di composti organici in
ambiente anaerobico sono catalizzate da enzimi che impiegano la
nicotinammide adenina di nucleotide ossidata (NAD+) e la nicotinammide
adenina di nucleotide fosfato ossidata (NADP+) come coenzimi. Queste due
specie chimiche sono, in realtà, solo degli accettori intermedi della coppia di
atomi di idrogeno:

NAD+ + 2 H → NADH + H+
NADP+ + 2 H → NADPH + H+
Successivamente l’idrogeno molecolare passerà dai coenzimi agli atomi di
ossigeno, carbonio, zolfo e azoto legati alla sostanza organica. NADH e
NADPH in questo modo si riossidano (ritornando rispettivamente nella forma
NAD+ e NADP+), rigenerandosi e potendo così essere disponibili per nuovi cicli
di reazione. E’ proprio il passaggio attraverso queste reazioni che fornisce
energia che viene immagazzinata attraverso una ritrasformazione in energia
chimica, sottoforma di adenosina tri-fosfato (ATP). Le componenti della
sostanza organica si degradano seguendo le reazioni schematizzate seguenti:

 Zuccheri
C6H12O6 → 3CH4 + 3CO2

 Proteine (es. cisteina)


4C3H7O2 NS + H2O → 4CH4 + 6CO2 + NH3 + H2S + CH3COOH

27
 Acidi grassi

CxHyOz + (x – y/4 – z/2)H2O → (x/2 – y/8 + z/4)CO2 +


+ (x/2 + y/8 – z/4)CH4

I processi che riguardano la degradazione della sostanza organica durante le


varie fasi della digestione anaerobica sono quindi molteplici e caratterizzati da
una serie complessa di esigenze microbiologiche che devono essere
soddisfatte affinché il risultato della fermentazione sia una buona miscela di
biogas.
E’ corretto parlare di miscela poiché il prodotto finale d’interesse economico è
composto prevalentemente da metano, anidride carbonica, idrogeno ed acido
solfidrico. Questi composti chimici si distribuiscono secondo percentuali
variabili in base alla qualità dei substrati di partenza, alle famiglie di
microrganismi operanti nel digestore e alle condizioni di esercizio dei
bioreattori. Come indicato precedentemente, solo il metano è inerte e
abbandona la fase liquida del mezzo, passando alla fase gassosa. L’anidride
carbonica tende a raggiungere un equilibrio dinamico tra la fase gassosa e
quella liquida. Nella fase liquida il biossido di carbonio reagisce con l’acqua
per dare acido carbonico che andrà a formare, insieme all’ammonio, il
complesso tamponante del sistema. La minima percentuale d’idrogeno che si
forma viene generalmente impiegato dai batteri metanigeni e, pur essendo
insolubile, non lascia mai la fase liquida del mezzo. L’acido solfidrico verrà
trattato in seguito, poiché, la sua presenza risulta deleteria a tutti i livelli del
processo di produzione di energia in un impianto a biogas.
In generale la velocità di trasferimento di massa dalla fase liquida a quella
gassosa è esprimibile attraverso la relazione seguente:

• dS/dt è la velocità di trasferimento del gas dalla fase gassosa a quella


liquida (massa/volume×tempo);
• S è la concentrazione del gas disciolto nella fase liquida (massa/volume);
28
• KL è il coefficiente di massa globale (volume/superficie×tempo);
• a è la superficie specifica della bolla di gas (superficie/volume);
• Pp è la pressione parziale del gas (pressione);
• H è la costante di Henry (pressione×volume/massa).

La relazione indica che la velocità di trasferimento del gas dalla frazione


liquida a quella gassosa dipende da KL e dal termine entro parentesi tonde
che non è altro che la forza motrice.
In pratica le bolle di CH4 risalgono il liquido ove sono immerse, insieme alla
miscela di sostanza organica metabolizzata e alla sostanza organica ancora
da degradare, verso la fase gassosa per differenza di densità dei due mezzi
impiegando una quantità di tempo inversamente proporzionale al diametro
della bolla stessa se questo è nel range tra 3-9 mm.[2]
Il tempo dia risalita è quindi rappresentato dalla relazione seguente:

• νb è la velocità di risalita della bolla d’aria (mm/s)


• Db è il suo diametro (mm).

Durante la progettazione di un impianto per la digestione anerobica della


sostanza organica, vanno considerati molti aspetti relativi alla efficienza di
azioni dei microrganismi in essa operanti. Tale efficienza può essere valutata
considerando due parametri importanti: la velocità alla quale hanno luogo le
reazioni di trasformazione e gli equilibri termodinamici tipici delle suddette
reazioni. Dato che è troppo lungo il tempo necessario affinché tutta la serie di
reazioni considerate possa arrivare a compimento, viene maggiormente
considerato, in sede di progettazione, il primo parametro.
Se i tempi di permanenza del substrato all’interno dei bioreattori fossero
troppo lunghi l’aumento di resa non compenserebbe gli aumenti di costo per
la realizzazione di impianti di dimensioni maggiori.

29
Dal punto di vista cinetico un sistema microbiologico viene caratterizzato
attraverso due differenti processi:

1. velocità di crescita netta della biomassa microbica su un determinato


substrato;
2. velocità d’utilizzazione del substrato considerato.
La velocità di crescita netta della biomassa microbica segue la seguente
espressione generale:

• dX/dt è la velocità di crescita dei microrganismi (massa/volume×tempo);


• Y è il coefficiente di rendimento di crescita (massa microrganismi
formati/massa substrato utilizzato);
• dS/dt è la velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi
(massa/volume×tempo);
• kd è il coefficiente di decadimento dei microrganismi (1/tempo);
• X è la concentrazione dei microrganismi (massa/volume).

Per quanto riguarda, invece, la velocità d’utilizzazione del substrato si segue la


relazione sotto indicata:

• dS/dt è la velocità di utilizzazione del substrato da parte dei microrganismi


(massa/volume×tempo);
• Km è la massima velocità di utilizzo del substrato per unità di masssa dei
microrganismi (1/t);
• X è la concentrazione dei microrganismi (massa/volume);
• S è la concentrazione del substrato a contatto dei microrganismi
(massa/volume);

30
• Ks è il coefficiente di semisaturazione, corrispondente cioè alla
concentrazione del substrato S alla quale la velocità di utilizzo del substrato
per unità di massa dei microrganismi è pari alla velocità massima.

La velocità d’utilizzazione del substrato aumenta per valori di S grandi, oppure


per valori di Ks piccoli. Nel grafico della figura n°6
6 sono riportate sull’asse delle
ascisse la concentrazione del substrato S, mentre sulle ordinate abbiamo la
velocità di reazione. Il diagramma presenta una curva che tende ad un
asintoto
toto orizzontale. Tale curva ci fa dedurre che aumentando S aumenta la
velocità della reazione. La celerità con cui la curva tende al suo massimo
all’aumentare di S è rappresentata graficamente dalla pendenza del primo
tratto della curva stessa. La celerità
celerità sarà tanto maggiore quanto maggiore
sarà l’affinità dello specifico enzima per il substrato. Di conseguenza la
pendenza del primo tratto di curva sarà più elevata.

Figura n°6 (fonte[2])

31
Uguagliando le espressioni matematiche relative alla crescita dei
microrganismi a quella relativa all’utilizzazione del substrato, attraverso alcune
rielaborazioni e definendo µ la velocità specifica di crescita dei microrganismi:

E con µMAX la velocità specifica di crescita dei microrganismi secondo:

si potrà infine scrivere:

se il substrato è in eccesso (S>>Ks), mentre nel caso in cui il substrato sia


limitante la relazione prenderà la seguente forma:

Le considerazioni di tipo chimico-fisico fatte sino ad ora sono molto importanti


per capire come nella realtà funzioni un digestore per la fermentazione
anaerobica della sostanza organica.
A questo punto va analizzato l’effetto della temperatura possa sulle cinetiche
di reazione, ricordandoci che esistono batteri in grado di operare in condizioni
psicrofile (t <20 °C), mesofile (t 20÷40 °C) e term ofile (t >45°C). Passando da
un intervallo di temperature ad un altro si assiste ad un vero e proprio
cambiamento della comunità batterica all’interno del bioreattore.
La dinamica di sviluppo delle diverse popolazioni batteriche segue un
andamento non monotono, bensì a picchi (ogni punto di massimo è relativo
ad un determinato intervallo di temperatura per una determinata specie di
microrganismo) come quello rappresentato in figura n°7.

32
Figura n°7 (fonte[2])

Come si può dedurre dal grafico, una variazione di temperatura all’interno di


un intervallo, può fare cambiare anche repentinamente la velocità di una certa
reazione.

e che permette di verificare come varia la velocità di una reazione


Un’equazione
in rapporto alla temperatura è la seguente:

• VT è la velocità di reazione ad una certa temperatura T;


• V0 è la velocità di reazione alla temperatura di riferimento T0;
• è un coefficiente sperimentale che all’interno del range delle
temperature di impiego dei digestori può essere ritenuto costante.

Avere individuato le espressioni matematiche che permettono di determinare


come si calcolano i coefficienti cinetici delle reazioni
reazioni chimiche, consente di
determinare tali coefficienti nella realtà di un complesso di digestione
anerobica. Sappiamo che per produrre biogas è necessario
necessario che all’interno dei

33
bioreattori avvengano almeno tre fasi metaboliche: l’idrolisi con la seguente
acidogenesi, l’acetogenesi e la metanogenesi.

− L’idrolisi è per molti aspetti il processo dal quale dipende fortemente il


proseguirsi delle cascate metaboliche che interessano la digestione
anaerobica della sostanza organica e quindi la sua corretta gestione è una
chiave di volta nell’ esercizio di un impianto di biogas. Per questa ragione
un aspetto tecnico da non sottovalutare è il frazionamento dei substrati che
entrano nel reattore. Le corrette dimensioni della biomassa che utilizziamo,
infatti, possono fornire una maggiore superficie di colonizzazione da parte
dei batteri idrolitici, facilitandone così una loro azione degradativa. La
relazione che permette d’individuare l’andamento di una reazione d’idrolisi
è il seguente:

• RXS è la velocità specifica d’idrolisi (massa/volume×tempo);


• K è la massima velocità specifica d’idrolisi (1/tempo);
• S è la concentrazione del substrato (massa/volume).

Alcuni valori di RXS sono: 0,5÷2 giorni per i carboidrati, 0,1÷0,7 giorni per i
lipidi e 0,25÷0,8 giorni per le proteine.

− La cinetica chimica dell’ acidogenesi descritta dalla relazione:

è stata in precedenza richiamata. In letteratura sono riportati i seguenti valori


dei coefficienti dell’equazione riferiti a carboidrati dalla struttura più o meno
complessa.

µmax = 3÷9 (1/giorni)

Kmax= 24÷120 (g COD/gCOD×giorno)

34
KS= 300÷1400 (mg/l)

Y= 0,01÷0,06 (g vss/gCOD)

Kd= 0,02÷0,3 (1/giorni)

− Per quanto riguarda la reazione di acetogenesi, che abbiamo visto


consistere nella trasformazione di acidi grassi in acido
acido acetico, possiamo
considerare valida la stessa relazione anche per la fase di acidogenesi. Gli
acidi grassi si distinguono in acidi grassi a catena lunga (LCFA) e acidi
grassi a catena corta (VFA) in base al numero di atomi che costituiscono la
catena carboniosa
arboniosa della molecola. A seconda del tipo d’acido che stiamo
considerando i coefficienti cinetici possono variare.

Figura n°8 (fonte[2])

− La metanogenesi può essere svolta da batteri acetoclastici, oppure da


batteri idrogenotrofi. I due processi hanno cinetiche diverse poiché nel
primo caso il substrato è solo di un tipo (acido acetico), mentre nel secondo
caso abbiamo due tipi diversi di substrati (idrogeno e biossido di carbonio).
Nel primo caso la cinetica di reazione sarà:

che è la relazione di una reazione in cui si verifichi inibizione da substrato.


Rispetto ai coefficienti già visti in questo caso abbiamo:
• I rappresenta la concentrazione della specie inibente a contatto con i
microrganismi (massa/volume);

35
• KI è il coefficiente di semisaturazione, corrispondente alla
concentrazione d’inibente I, in corrispondenza della quale la velocità
d’utilizzo del substrato per unità di massa dei microrganismi è pari
alla metà della velocità massima.

Nel secondo caso la relazione dovrà tenere conto


conto della presenza di due
substrati (biossido di carbonio e idrogeno molecolare) e pertanto la
relazione sarà:

Ovviamente S1 ed S2 sono le concentrazione dei due substrati, mentre KS1


e KS2 sono i loro coefficienti di semisaturazione.

I tipici valori dei vari coefficienti per il processo di metanogenesi sono


riportati in figura n°9.

Figura n°9 (fonte[2])

1.3 Tossicità ambientale dei bioreattori

La corretta gestione di un impianto di digestione anaerobica per la produzione


di biogas passa anche attraverso la conoscenza dell’ambiente di crescita dei
microrganismi. Infatti, condizioni avverse nel mezzo in cui sono dispersi i
batteri, fanno si che la resa complessiva del processo di digestione possa in
qualche modo decadere. Se da un lato la fase d’idrolisi possa sembrare a tutti
gli effetti il processo metabolico limitante l’intera catena trofica dei
microrganismi, sicuramente la famiglia dei batteri metanigeni è la più sensibile
36
di tutto il consorzio batterico deputato alla conversione anaerobica delle
sostanze organiche a metano, poiché caratterizzata da una bassa velocità di
crescita.

Le sostanze tossiche per i batteri della digestione anaerobica possono essere


sia alcuni intermedi metabolici, sia composti ed elementi che risultano inibenti
la loro crescita.

Tra gli intermedi più problematici possiamo annoverare l’acido propionico che,
quantitativamente è secondo solo all’acido acetico. Il turnover dell’acido
propionico è piuttosto elevato (1h), quindi, se vengono a mancare i
meccanismi di degradazione del propionato, assisteremo ad un suo accumulo
che potrà avere degli effetti tossici. La degradazione dell’acido propionico è
influenzata anche dall’idrogeno che, a sua volta, può inibire la degradazione
microbica del metanolo e, reversibilmente, la crescita di molti batteri
anaerobici. In generale un’elevata concentrazione di acidi grassi può
determinare un significativo abbassamento di pH. In letteratura viene riportato
come valore soglia dell’acido propionico la concentrazione di 3000 mg/l.[2]

Tra i composti che in qualche modo possono interagire in maniera negativa


nei confronti dei batteri abbiamo l’acido solfidrico (H2S). Questo acido si forma
per riduzione dei composti ossidati dello zolfo e per dissimilazione degli
aminoacidi solforati delle proteine.[2]

Una concentrazione elevata d’acido solfidrico indica che nel bioreattore si sta
verificando uno sbilanciamento degli equilibri fra le famiglie batteriche poiché i
solfato-riduttori competono con i metanigeni per il substrato. I batteri
metanigeni possono tollerare concentrazioni d’acido solfidrico fino a 1000
mg/Kg di solidi totali, ma, la loro attività può essere compromessa già a
concentrazioni pari a 200 mg/Kg di solidi totali. L’ammoniaca può determinare
effetti negativi se presente in concentrazioni superiori a 1500 mg/l. In
particolare se l’ammoniaca è presente in concentrazioni comprese fra 1500 e
3000 mg/l, sarà inibente se il pH del mezzo è inferiore a 7,4. Oltre i 3000 mg/l
l’ammoniaca è tossica in qualsiasi condizione di pH.
37
La presenza eccessiva di sali nel mezzo di reazione può creare problemi ai
batteri metanigeni: diminuzione della velocità di crescita fino al 50% in
presenza di concentrazioni di sali comprese fra 250 e 500 mM.[2]

Oltre tale valore, la tossicità diviene molto elevata, e porta ad un progressivo


squilibrio del processo con accumulo d’acidi grassi volatili con blocco parziale
e/o totale della metanogenesi.

Molto pericolosa risulta essere la presenza di tracce di metalli pesanti. Questi


interagiscono con i gruppi sulfidrilici di molti enzimi, inattivandoli. Per tale
ragione è da collegare, a volte, l’ accumulo di zolfo con la presenza di certi ioni
metallici. In particolar modo risultano dannosi gli ioni ferro, cobalto e nichel. La
concentrazione dei metalli pesanti è in correlazione con quella dei rispettivi
solfuri. La quantità di zolfo in soluzione influenza in maniera più o meno
sensibile l’effetto tossico degli ioni. Alcuni limiti di tollerabilità sono 160mg/l per
lo zinco, 170mg/l per il rame e 180 mg/l per cromo e cadmio.[2]

38
2 PARAMETRI DI GESTIONE DEL PROCESSO

2.1 Gestione del bioreattore

Per gestione del bioreattore si intende il suo impiego in relazione ai tempi di


permanenza della massa in entrata, in relazione alla concentrazione dei
microrganismi anaerobici ed, infine, in riferimento alle rese in biogas
rapportate al volume dei digestori e alle caratteristiche del substrato trattato.

I materiali che possono essere avviati all’interno dei digestori per essere
sottoposti a fermentazione anaerobica sono, di diverso tipo. Essi possono
quindi differire per molti aspetti come il contenuto in acqua e sostanza secca,
senza poi considerare le differenze che possono sussistere nella qualità di
quest’ultima. E’ per questo che vengono introdotte delle unità di misura che
permettono di confrontare i substrati rendendo più semplice lo studio di diversi
parametri gestionali. Tali grandezze sono:

• TS = solidi totali = somma della sostanza organica e della sostanza inerte


presente nel substrato (si determina per essicazione in stufa a 105°C per
24 ore);
• TVS = solidi totali volatili = frazione organica della sostanza secca
volatilizzata dopo combustione a 550°C e calcolata come differenza tra TS
e TFS;
• TFS = solidi totali fissi = frazione inerte costituita da composti inorganici
(pesata dopo essicazione a 550°C);
• COD = domanda chimica d’ossigeno = quantità d’ossigeno consumato per
ossidazione della sostanza organica (si utilizza K2Cr2O7 in ambiente acido);
• BOD5 = quantità d’ossigeno consumata in cinque giorni, in condizioni
controllate, per l’ossidazione biologica della sostanza organica presente nel
campione;
• BOD20 = ossigeno consumato in 20 giorni per l’ossidazione della sostanza
organica presente nel campione.

I principali parametri di gestione del reattore sono:


39
− Tempo medio di residenza idraulico (HRT);
− Tempo medio di residenza dei fanghi (SRT);
− Carico organico volumetrico (OLR);
− Carico organico riferito alla biomassa o ai solidi volatili nel reattore (CF);
− Produzione specifica di gas (SGP);
− Velocità di produzione del biogas (GPR).

HRT

Il tempo medio di residenza idraulico rappresenta il tempo di permanenza di


un fluido all’interno di un bioreattore. Nella realtà va considerato il tempo
medio di permanenza dei vari componenti che rimangono all’interno del
digestore per tempi diversi gli uni dagli altri. Questo parametro si esprime con
la seguente formula:

• V è il volume del reattore (m3);


• Q è la portata del reattore (m3/giorni).

SRT

Il tempo medio di residenza dei fanghi è dato dal rapporto tra la massa totale
dei solidi volatili presenti nel reattore e la portata di solidi estratta del reattore.
Ipotizzando che la biomassa microbica prodotta per crescita cellulare sia pari
alla quantità di biomassa in uscita dallo stesso, allora la biomassa attiva
all’interno del digestore sarà costante. Questo parametro si esprime con la
formula:

• V è il volume del reattore (m3);


40
• X è la concentrazione dei solidi volatili all’interno del reattore
(kgTVS/m3);
• W è la portata di sostanza volatile estratta dal reattore (KgTVS/giorno).

OLR

Il carico organico volumetrico è la quantità di substrato entrante nel reattore


riferita all’unità di volume del reattore stesso e al tempo. Si esprime come:

• Q è la portata entrante nel bioreattore (m3/giorno);


• S è la concentrazione del substrato nella portata influente (kg/m3);
• V è il volume del bioreattore (m3).

S può essere espresso come (TS, TVS, COD, BOD).

CF

E’ la quantità di substrato entrante nel bioreattore riferita alla quantità di


sostanza volatile presente nel reattore nell’unità di tempo. Si esprime come:

• Q è la portata entrante nel bioreattore (m3/giorno);


• S è la concentrazione del substrato nella portata influente (kgTVS/m3);
• V è il volume del reattore (m3);
• X è la concentrazione dei solidi volatili all’interno del reattore
(kgTVS/m3).

Va detto che questo parametro si impiega raramente.

41
SGP

La produzione specifica di biogas è un parametro importante che ci permette


di capire quanto biogas viene prodotto in base alla quantità di sostanza
volatile che entra nel bioreattore. E’ un parametro che esprime direttamente
la degradabilità di un substrato. Si esprime come:

• Qbiogas è la portata effluente di biogas (m3/giorno);


• Q è la portata influente (m3/giorno);
• S è la concentrazione del substrato nella portata influente (kg
substrato/m3).

GPR

E’ la portata di biogas prodotto rispetto al volume del reattore e al tempo. L’


espressione di questo parametro è:

• Qbiogas è la portata di biogas prodotto (m3/giorno);


• V è il volume del reattore (m3).

L’esigenza, per chi gestisce un impianto di digestione anaerobica per la


produzione di biogas è quella di garantirne buone condizioni di esercizio.
Ricercare la stabilità del processo è basilare per poter permettere alle
famiglie batteriche, in particolar modo metanigene, di svolgere la loro
funzione e di accrescersi in equilibrio con gli altri batteri idrolitici ed
acetogenici. Sovente, per caratterizzare le condizioni ambientali che si
estrinsecano all’interno di un di gestore, viene preso in considerazione il pH.
Ma il pH da solo non basta per poter intendere veramente le caratteristiche
chimiche del mezzo in cui sono presenti i batteri. L’insieme va considerato

42
anche in funzione della sua capacità tamponante. Se è noto che il range di
pH ottimale per il corretto svolgimento della digestione anerobica è quello
compreso fra 6,5 e 7,5, è altrettanto vero che prima di un cambiamento di
poche frazioni di pH i sistemi tamponanti possono essere già stati
compromessi. Il pH è influenzato, dall’insieme dei processi metabolici della
digestione anerobica, dalla presenza di biossido di carbonio nel mezzo
liquido, e quindi dalla sua pressione parziale all’interno della miscela del
biogas, dalla concentrazione degli acidi grassi volatili e dalla concentrazione
d’ammoniaca. L’ammoniaca e il biossido di carbono in soluzione acquosa
reagiscono nel modo seguente:

andando a costituire il sistema tampone del mezzo di reazione. Questo


reagisce con gli acidi organici secondo la reazione:

Abbassando l’acidità della soluzione.

Se la concentrazione di protoni è così elevata da consumare tutto il


bicarbonato, solo a quel punto noteremo variazioni significative di pH. Per
evitare d’affidarsi quindi alla semplice valutazione della concentrazione
idrogenionica del mezzo come strumento di analisi dello stato di un digestore,
è utile valutare il suo grado di alcalinità.

L’alcalinità è la capacità di un sistema di neutralizzare protoni ed è


generalmente espressa in termini di concentrazione di carbonato di calcio.[2]

Viene determinata analiticamente sulla fase liquida presente nel reattore , per
titolazione con acido cloridrico.

43
Figura n°10 (fonte[2])

Come si può rilevare dal grafico della figura n°10


10 l’abbassamento
l’abbassa
dell’alcalinità, passando da una concentrazione d’acidi grassi volatili (VFA)
pari a 0 ad una concentrazione di 80 meq/l , è repentino e molto marcato. Più
precisamente il suo valore diminuisce di circa l’85%. Al contrario il pH risente
(abbassandosii di circa un punto) della presenza degli acidi grassi solo quando
essi hanno una concentrazione prossima a 60 meq/l . E’ ora ancor più chiaro
che se vogliamo porre rimedio ad eventuali squilibri metabolici è meglio agire il
più presto possibile. Valori ottimali
ottimali dell’alcalinità per un reattore in buone
condizioni sono di 3000-5000
5000 mg CaCO3.

La misurazione della concentrazione degli acidi grassi volatili s’effettua


indirettamente dalla misurazione dell’alcalinità. Infatti, durante la titolazione, si
satura ill sistema tampone imputabile alla presenza del bicarbonato del
sistema, fino ad arrivare ad un valore di pH pari a 6. Continuando la titolazione
fino a pH 4 vengono titolate tutte le rimanenti basi coniugate, quali gli acidi
grassi volatili e diversi anioni.
anioni. La differenza dell’alcalinità misurata a pH 6 e
quella misurata a pH 4 fornisce la concentrazione degli acidi grassi volatili del
mezzo. Nel caso in cui aumenti in maniera troppo repentina il carico in entrata
nel bioreattore, è possibile che avvenga uno
uno squilibrio tra le diverse famiglie
44
metaboliche a favore dei batteri idrolitici ed acidificanti. Questo potrebbe
causare un aumento d’acidi grassi volatili nel mezzo, con conseguente
abbattimento della alcalinità ed insorgenza di problematiche per il mancato
sviluppo dei batteri metanigeni. Gli acidi grassi sono rappresentati
chimicamente dalla formula:

con R che rappresenta un gruppo alchilico del tipo:

In generale durante i processi di digestione anaerobica gli atomi di carbonio


che compongono R possono essere compresi tra 0 e 3.[2]

La variazione repentina della concentrazione degli acidi grassi può avere


effetti dannosi sul sistema tampone del bioreattore portando ad un calo delle
rese in biogas.

Un controllo della situazione ambientale all’interno del digestore può anche


essere fatta molto empiricamente valutando la composizione percentuale del
biogas in uscita.[2]

Se la concentrazione in biossido di carbonio della miscela si attesta


stabilmente su valori compresi tra 25 e 35% e gli acidi grassi sono presenti in
basse concentrazioni, allora il bioreattore è in equilibrio e sta funzionando
bene. Se assistiamo, invece, al tendenziale aumento della CO2 con il
contemporaneo aumento della concentrazione degli acidi, il digestore
potrebbe presentare alcuni problemi.

Per inciso, diciamo che se il pH tende alla basicità, sta a significare che
l’equilibrio tra l’ ammoniaca (NH3) e lo ione ammonio (NH4+) è spostato verso
quest’ultimo.

Molta attenzione va posta poi nei confronti della temperatura perché se ci


troviamo in condizioni di confine tra tecniche mesofile e termofile, anche un

45
leggero cambiamento di temperature di soli 2-3°C pu ò portare alla
eliminazione di alcune famiglie batteriche. Questo poi porterà alla diminuzione
della resa globale del processo. E’ bene porre attenzione quindi agli impianti di
riscaldamento, assicurando temperature costanti all’interno dei bioreattori.

46
3 TECNOLOGIA DEL PROCESSO

3.1 Aspetti generali

L’esperienza accumulata nel corso degli anni sulla digestione anerobica di


diverse tipologie di biomassa (sia di scarto che vergini), ha condotto allo
sviluppo di differenti tecnologie, principalmente basate sul tenore di sostanza
secca del substrato con cui viene alimentato il bioreattore. [3]

Oggi giorno la tecnologia applicata alla digestione anaerobica ha permesso di


differenziare le tipologie impiantistiche secondo diversi punti vista poiché
l’esigenza di far raggiungere alle rese livelli sempre più alti, richiede un elevato
tasso di specializzazione anche sotto il piano ingegneristico. In generale la
digestione anaerobica può essere classificata appunto secondo il tenore di
sostanza secca del substrato entrante. Infatti determiniamo:

 digestione a umido: è tipica per quei substrati che presentano un tenore di


sostanza secca < 10%. Questa è la tecnica maggiormente diffusa e tipica
per la fermentazione anaerobica dei liquami d’origine zootecnica;
 digestione a secco: in questo caso il substrato ha un contenuto in sostanza
secca > 20%.
 digestione a semisecco: questo è un tipo di digestione anaerobica poco
diffuso e tipico di substrati entranti con valori di sostanza secca intermedi e
compresi tra 10-20%.

Un ulteriore identificazione può essere compiuta suddividendo i processi di


digestione anaerobica in:

 monostadio: le fasi d‘idrolisi, acidogenesi e matanogenesi avvengono nello


stesso bioreattore;
 bistadio: le fasi d’idrolisi ed acetogenesi avvengono in un primo stadio,
mentre la fase metanigena ha luogo in un secondo momento.

Ulteriormente, l’evoluzione della digestione può essere considerata:

47
 continua: se il substrato viene aggiunto miscelandolo a quello presente
all’interno del reattore;
 discontinua: se il substrato viene spinto lungo l’asse longitudinale
attraverso fasi di processo diverse (plug - flow).

In figura n°11 è riportato lo schema di funzionamento sia di reattori che


funzionano in continuo, che in discontinuo.

Figura n°11 (fonte [2])

Un’ultima classificazione, ma non ultima per importanza, è quella relativa alla


temperatura di esercizio del reattore. Come precedentemente indicato
avremo:

 anaerobiosi psicrofila: quando la temperatura del processo è <20°C. I tempi


di residenza idraulica
ulica (HRT), in questi casi, sono molto elevati e possono
arrivare fino a 90 giorni.
 anaerobiosi mesofila: quando il processo si svolge in un range di
temperature compreso tra 20-40°C.
20 40°C. In questo caso, mediamente, l’HRT è
compreso fra 15-40
40 giorni (per reflui
reflui zootecnici e reflui agroindustriali);
 anaerobiosi termofila: se la temperatura è >45°C. L ’HRT, in tal caso, è di
circa 20 giorni (sempre per reflui zootecnici ed agroindustriali).

48
3.2 Impiantistica del processo di digestione anaerobica

SISTEMA A VASCHE RICOPERTE

La prima tecnologia che analizziamo è forse quella più semplice e che ancora
è caratterizzata da un certo grado d’empirismo. Il dimensionamento della
vasca manca di una procedura standardizzata, così come la previsione della
quantità di biogas prodotto. [3]

Generalmente le ditte costruttrici raccomandano una copertura (quindi HRT)


pari ad un minimo di 30 fino ad un massimo di 90 giorni. Questo tipo di
tecnologia è tipica per la valorizzazione dei liquami suini e prevede:

− la creazione di più vasche, una delle quali da utilizzarsi come bacino di


separazione dei solidi. Le successive saranno impiegate per la
captazione del biogas;
− la copertura di almeno un bacino per la raccolta del biogas;
− l’utilizzo di un sistema di riscaldamento a serpentine basato sull’impiego
di acqua calda. Tale sistema di regolazione della temperatura deve
trovarsi immerso nella vasca per la captazione del biogas.

Il riscaldamento del substrato è importante poiché la produzione di biogas


risente fortemente delle temperature. Queste, nel corso del tempo oscillano,
facendo variare, di conseguenza, la produzione del biogas stesso.

Con una temperatura controllata di digestione del liquame compresa tra 35 e


37°C la concentrazione di metano nel biogas è media mente del 65%. [3]

In questi impianti, in realtà, non è facile mantenere la temperatura costante.


Infatti si possono avere oscillazioni di 10-15°C tr a l’inverno e l’estate. Per
questo motivo la cogenerazione è consigliata, impiegando il calore prodotto
per riscaldare la vasca (o le vasche) di raccolta del biogas. La produzione di
biogas ottenibile può variare da 25 a 32 m3/anno ogni 100 kg di peso vivo
suino, pari a 15-21 m3/anno di metano.[3]

49
I valori più alti sono da considerarsi riferiti a sistemi che operano in mesofilia,
dotati di un impianto di riscaldamento. In figura n°12a-12b
n° b è riportato lo
schema di un impianto semplificato con e senza riscaldamento.

Figura n°12a (fonte


fonte [3])
[3]

Figura n°12b (fonte[3]


fonte[3])

CSTR (Continuosly Stirred Tank Reactor)

In questo tipo di reattore, la concentrazione del substrato, dei prodotti, e della


biomassa nell’effluente è uguale a quella nel reattore, il cui contenuto è
assunto omogeneo. [2]

Questo tipo d’impiantistica è idoneo per la valorizzazione di substrati umidi o


semisecchi ed è caratterizzato dall’eguaglianza del tempo di ritenzione
idraulico e dal tempo di ritenzione dei microrganismi.[2]

In figura n°13 se ne riporta un esempio schematizzato.

50
Figura n°13 (fonte[3]))

I reattori tipo CSTR sono molto diffusi perché generalmente permettono di


raggiungere rese in biogas piuttosto elevate. Questo tipo di reattori prevedono
un impianto di riscaldamento interno ed una coibentazione esterna per evitare
che il substrato
strato fermentante subisca eccessive oscillazioni della temperatura.
A monte del fermentatore c’è un’unità di ricevimento del materiale
d’alimentazione che viene preventivamente pesato e sminuzzato. Tramite
nastri trasportatori e coclee il materiale é condotto
condotto all’interno del biorettore. I
CSTR possiedono dei sistemi d’agitazione del substrato diversi (generalmente
a sommersione) in base all’esigenze di rimescolamento e delle tecniche
adottate dalle ditte costruttrici.

Figura 14 (fonte[4S])

In figura n°14 è riportato un esempio d’agitatore a pale fornito dalla ditta UTS.
La fase di rimescolamento è molto importante per l’omogeneizzazione del

51
substrato, per evitare la formazione
formazione di croste o depositi all’interno del reattore
e per abbattere l’ accumulo d’eventuali schiume superficiali.

Figura n°15 (fonte[6])

Osservando la figura n°15


15 si intuisce che variando la forma della copertura del
digestore, il funzionamento degli agitatori sommersi ne determina eventuali
deformazioni.

Nei CSTR possono cambiare i tipi di tecnologia adottata per caricare il


substrato all’interno del fermentatore. Nel caso della codigestione con i liquami
zootecnici di colture energetiche e/o scarti organici agroindustriali, è
necessaria la presenza in testa del digestore di un sistema d’alimentazione
che tagli e sminuzzi i co-substrati,
substrati, e ne consenta la dosatura e la pesatura.[3]

In figura 16 ne sono riportati alcuni esempi. In particolare il primo sistema


rappresenta un’alimentazione a coclea tradizionale, il secondo sistema
prevede la presenza di un pistone che spinge all’interno del reattore i materiali
da fermentare.
entare. L’ultimo sistema di caricamento prende il nome di sistema a
flusso.

52
Figura 16 (fonte
fonte [3])
[3]

Tipica dei reattori CSTR è la presenza di una copertura gasometrica di


raccolta del biogas che può essere costruita
costruita con diversi materiali. In genere,
molto diffuso, è quello polimerico

I reattori di questo tipo possono presentare anche un sistema di ricircolo che


viene generalmente inserito per poter intensificare l’efficienza dei processi di
stabilizzazione. Il ricircolo
colo di parte dell’effluente dopo un’operazione di
separazione solido/liquido, consente di reintrodurre nel reattore una quota
della biomassa attiva (batterica) estratta con l’effluente, garantendo quindi
maggiori concentrazioni della stessa all’interno del
del reattore ed un tempo di
residenza dei solidi (microrganismi) più elevato rispetto ad un rettore senza
ricircolo [2]

Per ottenere questo, viene separata la frazione liquida da quella solida,


immettendo di nuovo quest’ultima all’interno del reattore. Lo spurgo
spurgo dei fanghi
in eccesso ha luogo tramite il flusso di ricircolo o direttamente dal reattore.[2]

I reattori CSTR presentano, in conclusione, i seguenti vantaggi: sono idonei


per trattare substrati con elevato tasso di solidi sospesi, aumentano la
superficie
ficie di contatto tra microrganismi e substrato, garantiscono una buona
distribuzione del materiale da fermentare all’interno del reattore, se ben
miscelati possono prevenire il formarsi di grossi strati di schiuma, la

53
temperatura al loro interno è distribuita uniformemente e facilitano la
fuoriuscita del gas dalla fase liquida verso il gasometro. Questa tipologia
impiantistica però presenta anche svantaggi: molta energia per il movimento
degli agitatori e perdite negli effluenti di materiale non fermentato e biomassa
microbica . Essendo poi le fasi acidogenica e metanogenica contemporanee e
non separate, non si può mai creare un habitat ottimale per la crescita dei
microrganismi, ma ci si deve limitare a raggiungere condizioni mediamente
positive per tutti i tipi di batteri.

Ottimizzazione delle prestazioni di un reattore CSTR

Per cercare d’ottimizzare le prestazioni di un reattore CSTR è utile prenderne


in considerazione le varie componenti, indicando per ciascuna quale sia la
soluzione migliore da adottare.

Gli aspetti che è opportuno considerare in fase di costruzione sono relativi: al


digestore, alla miscelazione, al riscaldamento, al gasometro.

1. IL DIGESTORE

Le soluzioni costruttive applicabili per la messa in opera di un reattore CSTR


sono diverse. Abbiamo: calcestruzzo armato gettato in opera, elementi
modulari prefabbricati, lamiere d’acciaio variamente protette (verniciate,
zincate, vetrificate, inox).

Nel caso del calcestruzzo armato gettato in opera possiamo dire che è la
soluzione costruttiva maggiormente diffusa poiché si adatta meglio alle diverse
esigenze delle ditte costruttrici, le quali richiedono spesso la creazione di
aperture e fori utili all’inserimento delle loro specifiche componenti
impiantistiche. Questo importante vantaggio va a cozzare con il problema
relativo alla qualità intrinseca del manufatto che può risentire delle variabili
ambientali, imprevedibili nel momento della messa in opera, in grado di indurre
un certo grado di variabilità nel complesso della struttura.

54
La soluzione con manufatti prefabbricati è in grado di garantire tempi di messa
in opera minori poiché le varie componenti sono costruite in officina
garantendo, in più, una elevata omogeneità del materiale compositivo.
Sicuramente è necessaria una collaborazione stretta tra costruttore ed
impiantista per combinare al meglio l’esigenze dell’uno e dell’altro tenendo
presenti i vincoli della prefabbricazione.

Interessante, inoltre, la possibilità di rispondere senza particolari oneri, anzi


con un recupero, se pur parziale, del valore dei manufatti, alla prescrizione
contenuta nel decreto legislativo 387/2003 di ripristino dello stato dei luoghi
nell’eventualità di dismissione dell’impianto (articolo 12/4). Il prefabbricato,
infatti, può essere smontato e recuperato per utilizzi diversi in altra sede.[7]

Le soluzioni in calcestruzzo (sia prefabbricato che messo in opera) sono le più


diffuse.

La soluzione in acciaio è forse la più elastica e facilmente adattabile alle


diverse esigenze impiantistiche.[7]

Sicuramente tale sistema è suscettibile di corrosione che va prevenuta


ponendo anche molta attenzione nell’ impedire il verificarsi di depressioni nel
sistema. Per ovviare al primo problema possono impiegarsi materiali
incorruttibili (acciai inossidabili), oppure si ricorre a rivestimenti di varia natura.
Altro rischio di un impianto con queste caratteristiche è dovuto al fatto che
l’acciaio non presenta il vantaggio dell’inerzia termica e questo implica la
necessità di operare delle efficaci coibentazioni. Pur non essendo una
tecnologia molto diffusa, presenta i vantaggi della rapidità di messa in
costruzione e smontaggio, garantendo così il possibile beneficio derivante
dalle prescrizioni viste.

Anche se i calcestruzzi presentano di norma un buon livello di coibentazione,


è necessario assicurare un coefficiente medio di trasmissione dal calore K pari
almeno a 0,30 Kcal/ora/m2/°C.[7]

55
2. LA MISCELAZIONE

L’obiettivo è quello di garantire il massimo contatto fra la massa da fermentare


e i microrganismi preposti a tale operazione. L’efficacia dell’operazione può
essere anche variabile al variare del volume del digestore e del substrato da
trattare.

Abbiamo una miscelazione idraulica che prevede il rimescolamento della


massa grazie al ricircolo della stessa tramite una pompa esterna e la sua
distribuzione interna tramite ugelli opportunamente posizionati ed orientati. Il
suo interesse è legato all’assoluta mancanza d’elementi meccanici in
movimento all’interno del digestore, essendo la pompa di ricircolo installata
all’esterno, in posizione ove diventa facile ogni operazione di controllo e
movimentazione. La potenza installata è variabile in funzione della geometria
del digestore e del tenore in solidi, mediamente varia da 20 a 50 W/m3.

Si tratta di un sistema che ha dimostrato in varie realizzazioni un’ottima


efficienza a patto che la progettazione fluidodinamica non sia banalizzata, ma
sviluppata accuratamente e che tutto sia realizzato in sintonia con le
indicazioni progettuali.[7]

Il sistema di miscelazione più diffuso risulta essere quello di tipo meccanico.


Può variare in base alla motorizzazione (elettrica o idraulica), e alla
localizzazione del motore stesso rispetto al digestore (interno oppure esterno).
Per substrati d’origine agricola caratterizzati da un elevato contenuto in solidi,
sono molto applicati sistemi di miscelazione lenti che possono essere sia ad
asse orizzontale che verticale dotati di grandi organi di movimentazione. La
motorizzazione, in questi casi, è esterna ed elettrica. La lentezza del
movimento ha il vantaggio di scongiurare eventuali rotture che richiederebbero
lo svuotamento del reattore con elevati costi dovuti oltre che all’intervento
anche alla mancata produzione. Esistono poi miscelatori con motorizzazione
sommersa, sia elettrica che idraulica, montati su colonne orientabili all’interno
del digestore permettendo di variarne il flusso ottimizzando l’effetto. E’, in
questo caso, possibile effettuare la riparazione d’eventuali guasti tramite la
56
semplice disattivazione del gasometro, operando con digestore pieno ed
attivo.

3. IL RISCALDAMENTO

E’ molto importante per garantire l’ottenimento della temperatura desiderata


(varabile in base al regime adottato) a dispetto delle perdite di calore che si
hanno nel momento d’introduzione di nuovo substrato all’interno del reattore e
delle dispersioni attraverso le pareti del digestore.

Il riscaldamento si può ottenere mediante una serpentina interna fissata alle


pareti del digestore al cui interno circola acqua calda, oppure tramite
l’adozione di uno scambiatore (generalmente di tipo coassiale) posto
esternamente al digestore. All’interno dello scambiatore viene pompato il
materiale in digestione che in tal modo viene riscaldato e reimmesso in circolo.
Per la digestione dei fanghi di supero derivanti dalla depurazione di acque
civili è spesso impiegata quest’ultima tecnologia poiché la consistenza del
substrato da trattare è abbastanza liquida e ricca di solidi in soluzione.

Nella pratica operativa sembra di poter constatare come, tra le varie


possibilità, sia decisamente più diffusa quella che prevede l’utilizzo di una
serpentina interna, generalmente realizzata in polipropilene reticolato, ma
anche in acciaio, collegata con il sistema di raffreddamento del
cogeneratore.[7]

4. IL GASOMETRO

Serve per la raccolta del biogas prodotto prima che venga indirizzato ai vari
impieghi ( cogenerazione, torcia). Le soluzioni più diffuse prevedono l’utilizzo
di membrane flessibili fissate sulla sommità del digestore o disposte a terra,
sotto tettoia. Nel primo caso, di norma, si prevede l’utilizzo di una doppia
membrana. La prima, resistente agli agenti atmosferici, ha la funzione di
57
protezione e può essere mantenuta in tensione sia tramite una struttura
verticale, sia grazie all’insufflazione d’aria, mentre la seconda, interna, ha la
vera e propria funzione gasometrica. In alcuni casi, in combinazione con
l’inserimento di una copertura coibentata lignea del digestore, viene utilizzata
una sola membrana elastica in gomma (Epdm) che consente, alla semplice
osservazione, di verificare la quantità di biogas disponibile. In ogni caso, sono
soluzioni che prevedono pressioni d’esercizio molto basse, dell’ordine di 1.5-2
mmbar, per cui per l’utilizzo del biogas nel cogeneratore è necessaria la
ripresa con un’adeguata soffiante.

PFR (Plug Flow Reactor)

Questo tipo di bioreattore riceve il substrato da fermentare da un lato, ed


espelle gli effluenti esauriti dal lato opposto. Può essere costruito in cemento o
fibra di vetro e in alcuni rari casi viene anche fornito di un sistema di
riscaldamento. Questi reattori non sono generalmente miscelati
meccanicamente. Ciò significa che i liquidi, i solidi, e i microrganismi entrano
ed escono dal reattore approssimativamente nello stesso tempo. Nonostante
che una vera miscelazione meccanica non esista, si ha comunque una
miscelazione verticale durante le fasi di metanogenesi e tutte le volte che
viene aggiunto nuovo substrato al suo interno.

Il tempo di residenza d’ogni elemento di liquido corrisponde effettivamente al


tempo di residenza idraulico e la concentrazione dei composti lungo l’asse di
avanzamento risulterà quindi variabile.[2]

Mediamente i tempi di ritenzione idraulica sono compresi fra 15-20 giorni.


Logisticamente, le fasi d’idrolisi ed acidogenesi hanno luogo nella parte iniziale
del reattore, in prossimità del punto d’ingresso del substrato, mentre la
metanogenesi si verifica nel tratto terminale, appena prima che i substrati
fermentati fuoriescano dal reattore stesso. La resa in gas di questa tipologia di
digestori è pari a circa un terzo di quella che si otterrebbe con impianti
convenzionali (CSTR). La resa globale del processo, però, può risultare
comunque conveniente perché la tecnologia plug-flow non richiede, in
58
generale, spese di riscaldamento e di miscelazione. Questi
sti reattori possono
anche trattare rifiuti molto concentrati e materiali semisolidi (TVS>6%) nel
caso in cui questi non tendano ad accumularsi e a fermarsi all’interno del
reattore stesso.[1]

E’ stata anche considerata [1] la possibilità di immettere all’interno


all’interno del reattore
dei diaframmi per creare degli spazi in cui potessero fermarsi alcuni
microrganismi riducendone la perdita dovuta alla loro uscita con l’effluente.

Anche in questo caso è possibile pensare a tipologie costruttive che


prevedano il ricircolo
colo della parte solida degli effluenti garantendo così una
buona dose di inoculo (>SRT) ed un elevato tenore in sostanza organica.

Ricapitolando possiamo riassumere alcuni aspetti positivi tipici di questa


tipologia di impianto. Relativa semplicità costruttiva
costruttiva e di gestione poiché non
richiede rimescolamenti meccanici e termoregolazioni attive, da cui derivano,
quindi, minori input energetici. Funziona molto bene per il trattamento delle
deiezioni semisolide ed è anche idoneo un suo insediamento in realtà tipiche
come quelle delle aziende zootecniche. I difetti sono invece ascrivibili alla
incapacità del sistema di mantenere i substrati ad una temperatura appropriata
a causa di un elevato rapporto superficie/volume del digestore. Questo,
talvolta, comporta la necessità di preriscaldare il materiale sino a temperature
meso-termofiliche.
termofiliche. Un frequente e dannoso svantaggio è poi quello relativo
alla formazione di spesse concrezioni che rallentano o addirittura impediscono
il flusso dei materiali all’interno del fermentatore. In figura n°17
17 è riportato uno
schema che rappresenta un digestore plug-flow
plug orizzontale.

Figura n° 17

59
UASBR (Upflow Anaerobic Sludge Blanket Reactors)

Un bioreattore di questo tipo è costituito sostanzialmente da tre distinte zone.


Una parte basale nella quale vi sono i fanghi sottoforma granulare per lo più
costituiti da biomassa attiva (batteri), il diaframma, infine una zona di
separazione del substrato dal biogas prodotto. Il materiale da trattare viene
alimentato dal basso ed entra in contatto con i batteri creando un flusso verso
l’alto che incontrerà poi il diaframma. Il gas ed i solidi sospesi saranno poi
separati da altri diaframmi preposti a tale operazione, sistemati nella parte alta
del bioreattore. Il biogas prodotto viene allontanato tramite condutture ed
avviato ai suoi impieghi.

Mentre gli effluenti, in questo tipo di digestore, sono composti da parti solide
prevalentemente esaurite, i fanghi, al suo interno, sono costituiti da batteri. I
materiali da fermentare sono generalmente caratterizzati da una bassa
quantità di solidi sospesi. E’ possibile la tolleranza verso alcuni inquinanti,
principalmente se presenti in soluzione.[4]

I diaframmi impiegati, garantendo sia ai batteri che al substrato di


fermentazione di ritornare nella zona basale del reattore, permettono di
aumentare l’SRT, mantenendo allo stesso tempo un’elevata concentrazione
di sostanza organica fermentante. Sebbene le bolle di gas facilitino il
rimescolamento del materiale, è possibile che del substrato influente possa
attraversare il letto di fanghi ricchi di batteri sfuggendo, quindi, alla
fermentazione anaerobica.

La zona basale occupa circa il 30% del volume del reattore. ma provvede
all’80-90% della degradazione anaerobica dei substrati.[3]

La parte centrale del reattore rappresenta il 50% del volume e presenta una
concentrazione dei solidi inferiore rispetto al letto di fanghi. Questo accade
poiché il flusso di biogas prodotto crea una zona mista nella quale abbiamo
una miscelazione delle fasi gassose e liquide. Il restante 30% dello spazio
interno del digestore è occupato dalle zone di separazione biogas-solido.

60
Nel momento d’attivazione di un impianto dotato di tale tecnologia
fermentativa, è diffusa la pratica di inoculazione del reattore con materiale
granulare di consistenza fangosa ricco di batteri proveniente da un impianto
già funzionante.

L’ inoculo è impiegato in dosi del 10-15% rispetto al volume totale del reattore,
ma risulta essere abbastanza costoso arrivando a spuntare prezzi di circa
6000$ /t TS.[4]

La granulazione del letto di fanghi è un processo naturale che dipende


sostanzialmente dalla combinazione della morfologia microbica con la natura
del substrato nonché dalla concentrazione e dalla qualità dei sali inorganici
presenti nel mezzo fermentante.

Prove scientifiche [4] hanno dimostrato che gli elementi chiave per una buona
granulazione sono il calcio, l’ammonio, il fosforo, il magnesio, l’alluminio e il
silicio. Un’ottimale granulazione, infatti, si ha, ad esempio, quando vengono
fermentati gli scarti di barbabietola da zucchero e patate che portano con se
materiale argilloso, ricco degli elementi appena ricordati.

Per garantire un’ampia superficie di contatto tra substrato e batteri, i punti di


immissione del materiale influente possono essere numerosi e distribuiti in
modo tale da raggiungere la densità di uno ogni 1,5-2 m2.[4]

Sono molte le tipologie di diaframmi impiegati in questa tipologia impiantistica.


La loro utilità, come in precedenza ricordato, sta nel facilitare la separazione
del biogas dal flusso di materiale che fermenta, abbassando la velocità di tale
flusso si promuove, infatti, la flocculazione della biomassa. I diaframmi sono
generalmente abbastanza leggeri e costituiti da plastica rinforzata, resistente
alla corrosione. Essi sono sistemati nella parte alta del bioreattore con una
inclinazione di 45-60°.

I substrati impiegati per la fermentazione anaerobica supportata da un


impianto così caratterizzato possono essere molti; dagli scarti dell’industria
alimentare, ai residui della macellazione degli animali, ad alcuni scarti della
61
lavorazione delle derrate agricole. Va detto, comunque, che i reattori UASBR
sono particolarmente indicati per il trattamento delle acque reflue dell’industria
che possono presentare anche elevate concentrazioni di agenti inquinanti al
loro interno.

Ricapitolando, i vantaggi dei reattori tipo UASBR sono riferibili alla loro
semplice costruzione (eccetto la zona di separazione biogas-substrato
fermentante), è possibile poi effettuare degli elevati carichi di materiale al loro
interno, senza che sia richiesto un sistema di rimescolamento ovviando al
conseguente elevato fabbisogno di energia. Con questi reattori è possibile
anche ottenere degli effluenti contraddistinti da un basso carico di solidi
sospesi. I punti a sfavore dei UASBR sono ascrivibili alla complessità della
costruzione della parte distale del reattore, necessitano poi di un ricircolo del
materiale effluente per una espansione del letto di fanghi basale e,
presentano, infine, problematiche derivanti dalla possibile formazione di
schiume che inibiscono l’allontanamento del biogas costringendo all’aggiunta
di sostanze inibenti la produzione di schiume all’interno dei reattori stessi,
quando la loro altezza supera i 10 metri.

In figura n°18 è presentata la schematizzazione di un impianto tipo UASBR.

Con il numero 1 è indicato il substrato influente, con il numero 2 l’effluente, il


numero 3 indica la fuoriuscita del biogas, i diaframmi sono indicati con il
numero 4, con il numero 5 è indicata la zona in cui vi è la presenza del
substrato ormai molto diluito perché privato dei fanghi che si stanno
accumulando nella zona sottostante i diaframmi.

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Figura n°18
n° (fonte[2S])

USR (Upflow Solids Reactor)

Questo tipo di reattore è caratterizzato da una semplice tipologia costruttiva


non richiedendo né un impianto per il ricircolo dell’effluente, né un sistema per
la separazione del biogas dai solidi. La biomassa che deve ancora fermentare
e i microrganismi batterici sono mantenuti nel reattore tramite decantazione,
costruendolo con dimensioni tali da far si che il rapporto lunghezza/diametro si
attesti su valori compresi fra 1:2 e 2:1, facilitando la permanenza dei substrati
solidi
di sul fondo del digestore stesso.

L’impiego d’alghe marine in dosi da 1,6 ÷ 9,6 kg TVS/m3-giorno, ha


determinato una resa in metano pari a 0,34 ÷ 0,38 m3/kg. [1]

Le rese elevate che si possono ottenere con l’impiego di queste tipologie


costruttive sono perr lo più imputabili all’elevato SRT che riescono a
raggiungere.

BFR (Batch-Fed
Fed Reactors)

I reattori BFR sono caratterizzati dall’avere un’alimentazione discontinua. I


materiali tipici con cui si alimenta il bioreatore presentano un elevato
contenuto di sostanza
stanza secca e possono essere materiali la cui disponibilità nel

63
tempo sia limitata solo a determinati periodi. Essi vengono caricati
contemporaneamente e lasciati alla fermentazione anaerobica finché non si
degradano completamente. Questo tipo di tecnologia determina che HRT sia
uguale a SRT.

Generalmente durante le fasi di avvio del digestore viene applicato un inoculo


che permetta di avere a disposizione una quantità di batteri fermentanti
sufficiente a permettere l’innesco della digestione.

Questa tipologia d’impianti può prevedere l’adozione di meccanismi di


rimescolamento, ma generalmente quelli più grandi sono di tipo non miscelato.

Elementi nutritivi e sostanze tamponanti possono essere aggiunte al


reattore.[1]

Un esempio di reattore batch su larga scala può essere rappresentato da una


discarica di rifiuti solidi urbani chiusa che preveda un sistema di captazione del
biogas.

Un altro esempio di BFR sono le vasche per lo stoccaggio dei liquami che
vengono riempite fino allo loro capienza massima e che poi possono essere
ricoperte con dei teli plastici per la captazione del biogas prodotto.

AFR (Anaerobic Filter Reactors)

Gli AFR consistono di uno o più filtri all’interno dei quali è prevista la
sistemazione di substrati inerti in grado di trattenere sulla loro superficie la
biomassa microbica impedendo alla stessa di disperdersi tramite l’effluente.
Questi inerti possono essere ad esempio sabbia, plastica ecc. I filtri possono
essere sistemati in diversi punti del reattore e con orientamenti diversi. I
substrati d’avviare alla fermentazione sono generalmente quelli con basso
carico di solidi sospesi e poco densi.

Il flusso del materiale da fermentare può essere orientato in vari modi.

64
I batteri, rimanendo attaccati al filtro, possono sorbire i nutrienti
nutrienti dal substrato
influente esercitando, nello stesso tempo la loro attività idrolitica o
fermentativa.

Gli AFR tendono a separare spazialmente le popolazioni batteriche.[1]

Se il flusso influente proviene dal basso ed è direzionato verso l’alto, i batteri


acidogenici tendono a colonizzare la base del digestore, mentre i metanigeni
si collocano in zone più lontane rispetto al flusso influente.

Molto spesso i filtri vengono inseriti in serie all’interno del fermentatore. Questi
supporti non solo fungono da substrato
substrato di colonizzazione per i batteri, ma
favoriscono anche la separazione del gas dalla frazione solida del digestato.

Per evitare intasamenti a livello dei filtri è stato determinato [1] che è meglio
effettuare il carico dei substrati da fermentare dalla
dalla parte superiore del
digestore, montando i filtri secondo orientazioni ben determinate.

Valutando i pregi di questo tipo d’impiantistica, possiamo dire che a fronte di


costi non troppo alti, evita l’impiego di sistemi di rimescolamento. Inoltre
consente livelli di carico piuttosto elevati e la biomassa attiva all’interno del
digestore ha tempi di ritenzione molto lunghi perché fissata a supporti
artificiali. Ciò consente di mantenere il sistema stesso più stabile grazie alla
elevata concentrazione di microrganismi
microrganismi presenti al suo interno.

In figura n°19 ne è riportata una schematizzazione.

Figura n°19 (fonte[3S])


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FBR (Fluized Bed Reactors) EBR (Expanded Bed Reactors)

In questo caso è contemplata la presenza all’interno dei bioreattori di materiali


dalla granulometria fine sia inerti (sabbia) che attivi (carboni). Il flusso dei
materiali influenti da fermentare deve avere una pressione tale da garantire la
fluidificazione (in un caso) e l’espansione (nell’altro caso) degli inerti sui quali
sono fissati i batteri fermentativi.

Questi microrganismi sono ritenuti nel reattore mentre la parte solida e liquida
dei substrati da fermentare possono passare attraverso il sistema.[1]

Incrementando la superficie d’attacco per la crescita dei batteri, possono


essere effettuati anche alti carichi di materiale e può essere inoltre tollerata
una certa quota di tossicità.

Per questo tipo d’impianti l’HRT è basso, mentre l’SRT è molto prolungato.

Quindi possiamo dire che i benefici ottenibili dall’adozione di tali tecniche sono
relativi alla grande capacità digestiva del sistema vista l’elevata
concentrazione di microrganismi al suo interno, e al buon livello di
miscelazione del substrato.

Gli svantaggi sono invece ascrivibili agli elevati costi per il mantenimento degli
inerti, sia in sospensione che in buono stato di fluidificazione. I mezzi di
supporto possono poi entrare nel flusso in uscita del reattore andando a
danneggiare condutture e pompe. I batteri acidificanti e metanigeni non sono
separati quindi le fasi acidogenica e matanogenica avvengono
contemporaneamente.

CR (Contat Reactors)

Questo tipo di reattori prevedono la separazione delle parti solide dell’effluente


che vengono messe di nuovo in circolo tramite il substrato influente. Il tempo
di ritenzione dei batteri è superiore al tempo di residenza idraulico dei substrati
da fermentare.

66
Negli USA è stato brevettato, ad opera di Burke, un sistema di separazione
detto “AGF, Anoxic Gas Flotation” che prevede l’utilizzo di gas privo di
ossigeno, contenente metano e CO2 in varie proporzioni, per portare a galla,
concentrare e separare batteri, acidi organici, proteine, enzimi e materiali non
digeriti, per poi reimmetterli nel reattore principale.

Esistono vie intermedie tra i vari sistemi esistenti. Tra tutte queste soluzioni
possibili, quelle ritenute degne di nota, per la ricerca spinta di alti tassi di
conversione, sono i reattori che integrano la ritenzione di biomassa (reattori a
contatto) con quelli a fasi separate. I cosiddetti “contact stabilization reactors”
presentano il vantaggio di convertire materiale lentamente biodegradabile (es.
cellulosa) in un reattore ad alta concentrazione, mentre materiale di rapida
biodegradabilità viene digerito in un reattore per contatto.

In figura n°20 sono messi in relazione i tempi di ritenzione idraulica con i


tempi di ritenzione della biomassa attiva (microrganismi) tipici di varie tipologie
di impianti per la digestione anaerobica.

RELAZIONE FRA HRT E RITENZIONE IMPIANTISTICA


BIOMASSA ATTIVA

Microrganismi = substrato fermentante CSTR; PFR; BFR

Microrganismi > substrato fermentante CSTR; UASBR; USR; AFR; FBR;


EBR

Figura n°20

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FASI SEPARATE

La digestione anaerobica è svolta da distinti gruppi di batteri che differiscono


gli uni dagli altri relativamente a caratteristiche fisiologiche, nutrizionali,
metaboliche e ambientali. Per questo motivo è difficile ottimizzare la crescita di
tutte le famiglie di microrganismi all’interno di un singolo bioreattore.
L’esercizio ottimale di un impianto di fermentazione anaerobica deve quindi
tenere conto di questi aspetti.

Come già indicato precedentemente, i batteri che presentano tassi di crescita


inferiori risultano essere i metanigeni. Se adottassimo tempi di ritenzione
idraulica e di ritenzione dei microrganismi troppo bassi, sicuramente
penalizzeremmo i metanigeni; in queste condizioni verrà, invece, promossa
l’attività idrolitica ed acetogenica di altri microrganismi senza però ottenere
produzioni di biogas significative.

Lo scopo dell’adozione d’impianti che lavorino in due fasi è proprio quello di


prelevare i prodotti d’idrolisi e fermentazione acidogenica da un reattore e
condurli in un altro dove, adottando tempi di ritenzione idraulica e dei
microrganismi maggiori, sarà possibile condurre una fase metanogenica molto
efficiente.

Per ogni fase possono essere scelti reattori di diverso tipo, infatti è possibile
accoppiare un reattore tipo CSTR per la prima serie di reazioni idrolitiche e
acidogeniche, lasciando poi ad un reattore tipo AFR il compito di provvedere
alle fasi acetogenica e matanogenica.

Sono anche state studiate altre possibili applicazioni per questo tipo di
impiantistica:

i reattori acid-phased – le applicazioni reali sono poche, nonostante sia stato


riscontrato che notevoli sono gli vantaggi che si presentano trattando residui
agro-industriali o zootecnici, con rapporti C/N < 20. Il processo è caratterizzato
dalla separazione della fase idrolitica e acidogenica da quella metanigena; è

68
perciò possibile ridurre i volumi del primo reattore, dal momento che i batteri
idrolitici e acidogeni hanno un tasso di crescita molto maggiore dei metanigeni;

i reattori temperature-phased - noti anche sotto l’acronimo di TPAD


(Temperature-phased anaerobic digester); sono stati sviluppati dall’ Iowa State
University e presentano un primo reattore operante in termofilia a circa 57 °C
ed un secondo, posto in serie, in regime mesofilo di circa 35 °C. Tra i pregi di
questo processo si possono citare le riduzione delle emissioni odorose, della
carica batterica e della formazione di schiuma.[5]

Attraverso adeguate operazioni, con la fase metanogenica separata è


possibile ottenere una miscela di biogas più “pulito”, che presenti quindi, un
maggiore tasso di CH4 rispetto alla CO2. Questo si verifica poiché la quota
maggiore di biossido di carbonio deriva dalle fasi non metanogeniche.

La scelta della specifica combinazione di reattori è determinata dalle


caratteristiche del substrato da fermentare e dalle dinamiche d’interazione che
possono sussistere tra i diversi tipi di fermentatori.[1]

I vantaggi di questa linea tecnologica sono dovuti, quindi, alla maggiore


capacità di regolare e massimizzare la concentrazione delle diverse famiglie
batteriche, alla massimizzazione delle rese attraverso il controllo delle
temperature, del pH, del ricircolo delle biomasse, del tempo di ritenzione
idraulica e di altri parametri. E’ possibile ottenere un biogas più ricco in CH4 e
quindi possono esser ridotti i costi di purificazione dello stesso.

Gli svantaggi sono legati ad un maggiore dispendio economico per la


costruzione di un impianto che risulti così diversificato, obbligando chi ne
svolge l’esercizio, ad avere maggiori conoscenze tecniche di controllo.

69
SELEZIONE DEI BIOREATTORI IN FUNZIONE DELLE CATEGORIE DEI
SUBSTRATI DA FERMENTARE.

1) Substrati solubili
Presentano, in genere, un elevato tasso di biodegradabilità, per questo
richiedono bassi HRT e SRT. I reattori CSTR sono quelli che sono
maggiormente impiegati per la valorizzazione anaerobica di questo tipo di
substrati (es. fanghi di scarto). Adottando un HRT basso, è chiaro che si
corre il rischio di perdere molti microrganismi nel substrato effluente. Per
questo motivo si potrebbe pensare ad un progetto costruttivo che preveda
la combinazione di un CSTR con un sistema UASBR oppure con un filtro
anaerobico. Questo permetterebbe di abbassare l’HRT, garantendo una
buona produzione di biogas ed una limitata perdita di microrganismi.
In alcune prove [1] sono state raggiunte riduzioni del 80-88% di COD
tramite l’impiego di filtri anaerobici per il trattamento di reflui provenienti da
allevamenti suini, da reflui della lavorazione del latte e percolati di vegetali
insilati, adottando HRT compresi fra 0,5-3 giorni.

2) Substrati mediamente solubili


I materiali inclusi in questa categoria constano di una frazione solubile
altamente degradabile e di una frazione che, invece, è particolata e non
facilmente metabolizzabile da parte dei batteri presenti all’interno dei
reattori. Per questa ragione è necessario adottare un SRT > HRT, magari
inserendo nell’impianto un ricircolo per i solidi da affiancare ad CSTR.
Anche impianti quali USR e UASBR sono indicati per il trattamento di
questo tipo di substrati.
Un altro approccio per questi materiali (alghe marine) prevede la
diversificazione dei trattamenti in due fasi. Durante la prima fase viene
compiuta una percolazione delle alghe compiuta contemporaneamente ad
una loro liquefazione, successivamente il percolato é inviato alla fase di
digestione anaerobica tramite l’ impiego di un sistema up-flow.[1]

70
Similmente a quanto appena visto, un processo in due fasi è stato applicato
anche per il trattamento di paglia di frumento e d’altro materiale erbaceo
(TS>25). Per la prima fase viene impiegato un sistema batch per effettuare
una percolazione del materiale e per promuovere le successive fasi
d’idrolisi ed acido genesi. Durante la seconda fase il percolato è viene
inviato ad un UASBR per la fermentazione.
A livello sperimentale i migliori risultati ottenuti, relativamente alla prima
fase, si sono verificati con substrati che presentavano un contenuto di
sostanza secca pari al 15%.[1]

3) Substrati ad elevato contenuto di solidi


La maggior parte dei substrati d’origine agricola impiegati per la
fermentazione anerobica afferiscono a questa tipologia. Se tali biomasse
sono avviate alla digestione da sole è sufficiente una piccola aggiunta di
acqua per ottenere alti carichi giornalieri di materiale, impiegando digestori
di dimensioni più piccole rispetto a quelli adottati per la valorizzazione
anaerobica di substrati con un livello di solubilità maggiore.
In alcuni studi [1] è stato appurato che, adottando un sistema batch
combinato, la fase metanogenica diviene limitante se la concentrazione dei
solidi è pari al 32% mentre l’idrolisi può continuare fino a che il contenuto di
sostanza secca si attesta su percentuali approssimativamente del 60%.
Il trattamento di fermentazione in batch su larga scala di paglia di frumento
ha fornito una riduzione del 48% dei solidi volatili in 280 giorni di
incubazione.
Prove condotte su mais [1] hanno dimostrato che la digestione operata in
CSTR con ricircolo parziale, ha permesso di raggiungere un’ efficienza di
conversione del 66% con HRT prossimo a 60 giorni.

I figura n°21 sono riportati le schematizzazioni di tutte le tipologie di


impianto prese in considerazione in questo capitolo

71
Figura n°21

BATCH REACTOR

CONTINUOSLY STIRRED
TANK REACTOR

UPFLOW ANAEROBIC
SLUDGE BLANKET
REACTOR WITH SOLIDS
RECYCLE

UPFLOW SOLIDS REACTOR

FLUIZED-BED REACTOR

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EXPANDED-BED REACTOR

CONTINUOSLY STIRRED
TANK REACTOR WITH
SOLIDS RECYCLE

UPFLOW ANAEROBIC
SLUDGE BLANKET
REACTOR

UPFLOW ANAEROBIC
FILTER REACTOR

DOWNFLOW ANAEROBIC
FILTER REACTOR

TWO-STAGE LEACHING-BED
LEACHATE FILTER

73
TWO-STAGE DIGESTION
STSTEM

74
PARTE SPECIALE

Premessa

L’impianto oggetto di studio è situato nel comune di Rodigo, frazione Fossato,


provincia di Mantova.

La società detentrice dell’impianto è denominata “Mantovagricoltura di Burato


Fernando & C” con ragione sociale: S.n.c.

Il gestore dell’impianto è la stessa Mantovagricoltura che oltre ad occuparsi


della valorizzazione anaerobica di biomasse vegetali ed animali, è presente in
modo attivo anche nel settore agricolo, poiché produttrice di cereali in parte
impiegati per l’alimentazione dell’impianto di produzione di biogas.

Una branca dell’azienda è coinvolta nel settore movimento terra.

La punta di diamante della società è rappresentata proprio dall’impianto di


fermentazione anaerobica. Tale tecnologia ricade nella cerchia delle
metodiche idonee a produrre energia da fonti rinnovabili Questo rende
l’azienda capace di inserirsi a pieno titolo in un contesto socio-economico che
richiede la concreta possibilità di svincolarsi dalle sempre più dispendiose fonti
energetiche fossili.

Dal punto di vista ambientale è ovvio che il virtuosismo del processo di


digestione anerobica consta nell’abbattimento delle emissioni di gas serra. Lo
scopo è raggiunto tramite il raggiungimento di un bilancio in pari per la
quantità di anidride carbonica emessa dal sistema stesso. La CO2 viene
organicata dalle piante che saranno il futuro substrato di digestione all’interno
dell’impianto di fermentazione anaerobica. Ciò consente di valorizzare alcuni
scarti agroindustriali (derivanti da operazioni di macellazione) problematici dal
punto di vista dello smaltimento. Il vantaggio economico si realizza alla fine del
processo quando l’energia elettrica prodotta, in parte risparmiata ed in parte
venduta, permette all’imprenditore di diversificare ulteriormente i propri redditi.

75
La presente tesi di laurea ha lo scopo di verificare l’efficienza dell’impianto di
cui sopra valutandone i rendimenti complessivi calcolati in termini di m3 di
biogas prodotto per tonnellata di sostanza secca introdotta, anche in relazione
ad una caratterizzazione dei substrati impiegati. Particolare attenzione è stata
posta nei confronti della qualità della biomassa batterica dei reattori. Questo
aspetto è molto importante per capire se le condizioni trofico-ambientali dei
fermentatori siano o meno idonee per un corretto sviluppo dei microrganismi
che producono biogas, al termine di complesse catene metaboliche delle quali
essi sono i principali protagonisti.

Quanto sopra rientra nel programma di una convezione di ricerca tra il gruppo
sopra ricordato e il DAGA. Tale convenzione ha come principale obiettivo il
monitoraggio di funzionamento dell’impianto in virtù delle matrici vegetali ed
animali impiegate per l’alimentazione dell’impianto stesso in rapporto anche
agi effluenti risultanti dal processo. Queste vengono di frequente considerate
matrici organiche destinate al terreno nell’intento di pervenire ad un circuito
virtuoso: tutto inizia dal terreno e tutto ritorna al terreno, salvo le sostanze
gassose generate nel corso del processo.

Panoramica dell’impianto

La digestione anaerobica che si sviluppa nell’impianto di Rodigo si basa sulla


cofermentazione di substrati identificabili nelle categorie seguenti:

• biomasse vegetali afferibili ad insilati di mais, di sorgo, di frumento, di


loiessa, nonché polpe di barbabietola e marco mela. Per quanto riguarda
gli insilati, l’azienda è autosufficiente poiché dispone di circa 300 ha adibiti
a seminativo in grado di produrre tutta la biomassa vegetale necessaria.
Relativamente al marco mela ed alle polpe di barbabietola, il loro apporto è
relazionato alla disponibilità di queste matrici sul mercato, quindi è
generalmente abbastanza fluttuante nel tempo;

• biomasse animali, definite “IDROBIOS”, costituite sostanzialmente da


derivati di scarti della macellazione di animali, nonché della lavorazione
76
delle pelli dell’industria conciaria e rifiuti di stabilimenti agroalimentari che
confezionano mangimi per animali domestici. L’idrobios arriva in azienda
tramite autobotti provenienti da molti macelli del nord-Italia con i quali
Mantovagricoltura ha stabilito accordi di fornitura.

In merito all’ idrobios è difficile definire con esattezza e costanza le sue


caratteristiche qualitative poiché i carichi di substrato non sono standardizzati
in quanto completamente dipendenti (e quindi variabili ogni volta) dalla
tipologia di materiale che viene conferita in azienda.

Ne consegue quindi che la matrice di maggiore impiego è quella vegetale


proveniente dal silo mais o dalla loiessa.

Componentistica dell’impianto

Tutte le categorie di vasche per la fermentazione presenti all’interno


dell’impianto sono fra di loro collegate tramite tubazioni sotterranee. Questo
permette il completo trasferimento del materiale in fermentazione e del
digestato da una cisterna all’altra. Tale pratica è volta al mantenimento di
un’ampia omogeneità dell’impianto stesso garantendone così una maggiore
efficienza.

1) REATTORI

La tecnologia dei reattori adottata nell’azienda Mantovagricoltura è di tipo


CSTR.

Il processo di fermentazione anaerobica avviene all’interno di due fermentatori


speculari dal volume di 1660 m3 ciascuno. Le loro dimensioni sono:

- Altezza: 6m;
- Diametro: 20m.

Questi reattori hanno forma cilindrica, le pareti perimetrali sono costituite di


cemento armato e presentano aperture ed appendici che permettono il
passaggio di tubazioni in acciaio inossidabile, sia per il trasferimento dei

77
substrati che per il passaggio del biogas. Ulteriormente è da segnalare la
presenza di tubazioni perimetrali esterne per il trasporto dell’olio in pressione
destinato ai motori sommersi ad azionamento elettro-idraulico degli agitatori, e
condutture interne per il trasferimento dell’acqua calda utile al riscaldamento
della biomassa fermentante all’interno dei digestori. Queste ultime tubazioni
sono direttamente collegate ai motori per la generazione d’energia elettrica dal
biogas, dai quali prelevano l’acqua calda ottenuta dal raffreddamento degli
stessi. Generalmente la temperatura dei reattori è mantenuta intorno a 41°C. Il
gasometro è delimitato superiormente da due membrane. Una a contatto
diretto con il biogas, l’altra con la funzione di proteggere il reattore dagli agenti
atmosferici. Tali membrane sono costituite da materiale plastico di colore
verde e sono fissate sia alle pareti di cemento armato sia ad un supporto
centrale rialzato che fa assumere loro una forma quasi piramidale. Visto che in
azienda non esistono sistemi per l’accumulo temporaneo del biogas in
eccesso, esiste una tubazione sotto vuoto, internamente e comunicante con l’
esterno, per permettere lo sfiato del biogas in eccesso (figura n°22). Dalla
figura si può anche notare che in corrispondenza di questo punto di sfogo
esiste un sistema d’aperture (oblò) ove l’operatore può prendere visione
dell’interno del digestore in modo da verificare la presenza di eventuali
problematiche relative alla biomassa fermentante (formazioni di schiume, ed
incrostazioni) e al funzionamento degli agitatori.

78
Figura n°22

Per la captazione del biogas è presente una valvola soffiante all’interno del
de
gasometro stesso. In figura n° 23 è riportata una fotografia di uno dei due
reattori dell’impianto; in figura n° 24 , invece, sono rappresentate in dettaglio le
tubazioni per la mandata e il ritorno dell’olio in pressione per la
movimentazione dei sistemi di miscelazione.

79
Figura n°23

Figura n°24

80
2) ORGANI MISCELANTI

Questi ultimi sono costituiti da due agitatori a pale per ciascun digestore. Gli
organi miscelanti sono parte integrante dei due reattori, all’interno del post-
fermentatore e della vasca di stoccaggio (in quest’ultima vasca vengono
azionati di rado). Le pale sono fissate su supporti variamente orientabili
all’interno del reattore in modo da garantire la corretta miscelazione dei
substrati. Come già indicato, l’omogeneizzazione della biomassa fermentante,
unitamente ad un intenso suo sminuzzamento, sono norme di base per una
buona gestione dei reattori, finalizzate ad un esercizio efficiente dell’ impianto
di digestione anerobica. L’attivazione dei miscelatori è effettuata in modo
alternativo per i due digestori e, come vedremo di seguito, anche per il post-
fermentatore. Tale alternanza è necessaria poiché la richiesta d’energia
elettrica per l’azionamento dei motori è molto elevata quindi, se si azionassero
contemporaneamente, si verificherebbe un picco d’assorbimento d’energia
spesso non sopportabile dalla rete dell’impianto.

Come già indicato, gli organi miscelanti sono azionati da motori elettro-
idraulici; per questo motivo sono presenti nell’ impianto delle sale di
pompaggio per l’invio in pressione dell’olio che servirà per il funzionamento
delle pale rotanti e per lo spostamento dei supporti ai quali sono collegate.

Lo schema di funzionamento degli agitatori è il seguente:

FERMENTATORE 1 →→→ FERMENTATORE 2→→→ POST-FERMENTATORE

↑8 MIN↑ stacco ↑8 MIN↑ stacco ↑12 MIN↑

Come s’intuisce dallo schema, l’azionamento degli agitatori è continuo ma non


contemporaneo per i reattori e per il post-fermentatore.

81
3) ALIMENTAZIONE DEI SUBSTRATI

L’alimentazione dei reattori con la biomassa vegetale è garantita da un


sistema di nastri e coclee posizionati esclusivamente in corrispondenza dei
digestori. Un nastro mette in comunicazione il carro per la dosatura dei trinciati
con due coclee, una per ciascun fermentatore. Il nastro apporta materiale alle
due viti senza fine. Per impedire fuoriuscite di biogas, queste ultime sono
montate all’interno del reattore e parzialmente immerse nella massa
fermentante in modo che la matrice vegetale “fresca” venga immessa sotto il
livello del liquido. Per l’idrobios, invece, il carico è effettuato tramite delle
pompe che lo iniettano direttamente all’interno dei reattori.

4) CARRO MISCELATORE-DOSATORE

E’ un punto cruciale dell’impianto. Una pala meccanica provvede al suo carico


e mediante un nastro trasportatore disposto al disotto dello stesso, viene
riempito completamente ogni due giorni. Una volta aggiunti i vari tipi d’insilati
una coclea esegue la loro omogeneizzazione. Tramite un controllo elettronico
di pesatura è possibile poi determinare quale deve essere la quantità di
substrato da immettere giornalmente in ogni singolo reattore facendo poi
funzionare alternativamente una delle due coclee d’immissione posizionate
all’interno dei digestori.

In figura n°25 è riportato il carro dosatore. Dalla foto si può notare il nastro
che, partendo dalla zona inferiore dello stesso, s’inclina verso i digestori.
Dietro al carro si vede uno dei due reattori. Come già indicato il carro viene
riempito completamente ogni due giorni. Questo aspetto non è sicuramente un
punto di forza del sistema, dato che la relativa discontinuità d’alimentazione
del sistema può dar luogo ad un deterioramento della biomassa. E’ infatti
possibile che durante questo lasso di tempo si formino delle sostanze tossiche
per i batteri che operano all’interno del digestore.

82
Figura n°25

5) POST-FERMENTATORE
FERMENTATORE

fermentatore è singolo, ha un volume di 2600 m3 ed ha forma cilindrica.


Il post-fermentatore
Le sue dimensioni sono:

- Altezza = 6m;
- Diametro = 25m.

E’ dotato di sistema di riscaldamento ed ha la funzione di proseguire


prosegu la
fermentazione del materiale uscente dai reattori principali, aumentando così la
resa di biogas dalle biomasse oggetto di digestione anaerobica.

6) VASCA DI STOCCAGGIO

Dopo il post-fermentatore
fermentatore c’è una vasca di stoccaggio che raccoglie il
materiale in uscita
scita dal post-fermentatore.
post fermentatore. E’ anch’essa di forma cilindrica e
presenta un volume pari a 2200 m3. Le sue dimensioni sono:

- Altezza: 5 m;

83
- Diametro: 25 m.

Anche questa vasca è fornita di una copertura che determina la presenza di


un gasometro per la captazione del biogas. Sicuramente la quantità di biogas
prodotto in questa vasca è inferiore rispetto a quanto avviene nei digestori e
nel post-fermentatore. Ciò dipende dal fatto che il materiale che arriva in
questa parte dell’impianto è già quasi completamente privo di sostanza
organica in grado di essere fermentata anaerobicamente. Presenta, invece,
un’elevata concentrazione di composti non fermentescibili come la lignina e
parte dell’emicellulose.

Al riguardo di seguito è riportata una schematizzazione dei risultati relativi ad


analisi effettuate in data 03/04/2007 sul digestato in uscita dalla vasca di
stoccaggio.

Azoto totale 7,4 Kg/t

Ceneri 21,0 Kg/t

Fosforo 1,2 Kg/t

Potassio 1,6 Kg/t

Zolfo 1,5 Kg/t

Fibra grezza 0,6%

COD 40200 mg/l

BOD 27800 mg/l

La funzione principale della vasca di stoccaggio è quella di permettere


l’abbattimento dell’acido solfidrico che rimane intrappolato dalla massa di
schiuma che generalmente si forma all’interno della vasca stessa. Quando
vengono utilizzati gli agitatori (di rado) si rompe il cappello di schiuma e buona
parte dell’H2S viene riversato in linea. Per questo motivo l’operazione di
miscelazione della vasca di stoccaggio è molto delicata.

Passiamo ora al commento di quelle parti dell’impianto che interessano


principalmente la gestione della biomassa animale.
84
7) ZONA DI ACCETTAZIONE DELLA BIOMASSA ANIMALE DI SCARTO

Abbiamo innanzitutto un capannone per il ricevimento delle autobotti cariche


d’idrobios. Queste scaricano il materiale direttamente in una vasca di
accumulo comunicante con una sorta di mulino per lo sminuzzamento dei
materiali in arrivo (figura n°26).

Figura n°26

8) AUTOCLAVI

La biomassa animale, dopo essere stata triturata, è immessa nelle autoclavi


deputate alla sua sterilizzazione, come previsto dal regolamento CE
1774/2002. Di tale regolamento se ne parlerà diffusamente nel capitolo dove
abbiamo raccolto l’insieme delle norme e regolamenti legati alla gestione di
un impianto di digestione anaerobica. Le autoclavi, in numero di due (figura
n°27 ), hanno la funzione di abbattere la carica microbica presente.
Internamente, sulle pareti, le autoclavi presentano degli iniettori di vapore a
180 °C. Il tutto ha luogo ad una pressione d’eserci zio di 11 bar per 90 minuti.
Quando
uando la massa da sterilizzare è molto acquosa, il processo richiede più
85
tempo e, quindi, risulta anche più oneroso. Dopodiché la temperatura e la
pressione d’esercizio vengono portati a 133°C e 3 b ar. Successivamente, per
circa venti minuti, l’autoclave rimane
r in stand-by.
by. A questo punto l’idrobios
assume la sua consistenza finale che è molto liquida e quindi adatta per il
pompaggio.

Figura n°27

9) PREVASCHE DI ACCUMULO

Dopo il trattamento il materiale, ormai allo stato liquido, viene inviato a due
prevasche di accumulo (1 e 2) anch’esse di forma cilindrica e dalla capacità di
325 m3 di liquido ciascuna. Chiaramente queste strutture non presentano
strutture di captazione del biogas dato che la sterilità ormai raggiunta rende
praticamente impossibile che avvenga qualsiasi tipo di fermentazione. La
parte superiore delle stesse è chiusa con un soffitto di calcestruzzo nel quale è
praticato un foro per l’esplorazione. In sintesi l’idrobios passa
passa dalle autoclavi
alla prevasca 2 con tubazioni che prima sfociano in una cisterna con funzione

86
di polmone di stoccaggio. In ogni caso dalla prevasca (2) il materiale passa
nella prevasca 1.

In questi apparati dell’impianto abbiamo ancora una temperatura di


d circa 80°C
conseguente la fase spinta di sterilizzazione. L’idrobios viene infine
convogliato all’interno dei
ei due reattori. Nella figura n°28 è riportato il dettaglio
di una delle due prevasche.

Figura n°28

10) MOTORI ENDOTERMICI

Tutto il biogas prodotto e raccolto nei gasometri è destinato ad alimentare 2


motori con funzione
nzione di carburante (figura n°29).
n° ). Prima di questo viene
disidratato in un pozzo di condensa. L’acqua di risulta (con pH basico) viene
scaricata all’interno della vasca di
di stoccaggio. Dopo il pozzo di condensa il
biogas arriva in un frigo che ha lo scopo di portare la miscela di gas ad una
temperatura di 7-8
8 °C (inizialmente la temperatura del biogas è di c irca 42 °C,

87
che è la temperatura dei reattori). In questa fase si perde
perde un’ulteriore quota di
acqua.

I motori operanti nell’impianto di Mantovagricoltura sono di tipo endotermico e


presentano un tipico funzionamento a “ciclo otto”. La potenza installata in
impianto è di circa 1 MWel poiché i motori presentano, rispettivamente, una
potenza di 625 KWel e 330KWel. Utilizzano come carburante il biogas prodotto
e sono collegati a degli alternatori che convertono l’energia meccanica in
energia elettrica. Questa energia viene in parte utilizzata
utilizzata per i consumi interni
dell’impianto e in parte messa in rete e venduta all’ENEL.

In corrispondenza dei motori esiste una valvola caratterizzata dall’avere un


comando di apertura-chiusura
chiusura che entra in funzione in base alla percentuale di
gas metano presente
esente all’interno della miscela del biogas in quel momento
trasportato in linea. Un primo empirico punto di controllo della qualità del
biogas prodotto viene infatti operato in questo punto dell’impianto.
dell’impianto

Figura n°29

88
All’interno dell’impianto è presente un’ulteriore vasca con la funzione di
stoccaggio per i materiali di scarto che superano la capacità fermentativa dei
reattori e delle altre vasche presenti nell’impianto.

Interessante è rilevare che, complessivamente, il ciclo completo di


trasferimento del substrato da ciascun reattore alla vasca di stoccaggio, dura
circa 56 giorni.

Sistemi di controllo

Il funzionamento e la gestione dell’impianto sono controllati a mezzo di


strumenti elettronici ed informatici. Tramite il loro ausilio è possibile gestire non
solo il carico d’idrobios, ma anche regolare il funzionamento delle pompe per il
trasferimento dei substrati attraverso le varie vasche dell’impianto. Grazie a
quest’ultimo controllo il gestore dell’impianto è in grado di garantire il ricircolo
della biomassa fermentante al fine di ottenere un buon grado d’omogeneità
della stessa. Anche la regolazione della temperatura ha luogo tramite
dispositivi elettronici semplici ed intuitivi. La sicurezza dell’impianto è molto
curata ed affidata al controllo elettronico operato da centraline che rilevano il
superamento di parametri operativi tarati precedentemente (es. pressione
all’interno dei reattori e nelle tubazioni). La postazione di controllo è visibile in
figura n°30.

89
Figura n°30

All’interno dell’impianto, sono previsti dei sistemi di controllo continui che


permettono di conoscere, in tempo reale, l’andamento dei principali parametri
chimico-fisici
fisici relativi al funzionamento dei reattori e alla qualità
quali del biogas
prodotto. I parametri misurati sono:

• temperatura dei reattori e del post-fermentatore;


post
• concentrazione dell’H2S all’interno dei reattori ed in linea;
• tenore di CH4 e O2 della miscela di biogas sia nei reattori che a livello dei
motori;
• produzione
zione netta totale giornaliera di Kwh.

I sistemi di controllo sono costituiti da sonde posizionate nei reattori stessi e


comunque nei punti ove sia richiesta la loro presenza. Tali sonde sono gestite
da appositi software. Questi ultimi gestiscono l’esecuzione
l’esecuzione delle analisi
operate da strumentazioni in grado di lavorare in continuo. La presenza di un
interfaccia con schermo LCD collegata a questi macchinari (figura 29)
permette agli operatori di conoscere, in tempo reale, i valori dei parametri in
discussione
e ed essendo il sistema in grado di accumulare dati in una memoria
fissa, è possibile anche effettuare verifiche riguardanti il passato.
90
Periodicamente (ogni quindici giorni) vengono altresì effettuate analisi
chimiche del substrato fermentante atte a determinare
determinare la concentrazione di
diversi composti chimici quali acidi organici, azoto totale ed ammoniacale,
sostanza secca totale e sostanza secca volatile. Anche il pH viene misurato
periodicamente in occasione dei prelievi per le analisi anche se gli stessi
operatori sono muniti di strumenti portatili per la misurazione del parametro in
oggetto. Questo permette loro di essere a conoscenza del valore del pH ogni
qual volta ne sentano l’esigenza.

Figura n°31

La schematizzazione complessiva dell’impianto è riportata in figura n°32,


mentre in figura n°33 sono riportati i suoi riferimenti.

91
Figura n°32

92
Figura n°33
3

93
Materiali

I substrati oggetto di valorizzazione anaerobica per la produzione di biogas


utilizzati nell’impianto di Mantovagricoltura sono costituiti da due matrici:

a) Biomasse d’origine animale: afferenti alla categoria 2 e 3 del regolamento


CE 1774/2002 costituite da derivati di scarti della macellazione di animali
quali bovini, avicoli, conigli. Tali derivati(ottenuti tramite pastorizzazione),
definiti in azienda “idrobios”, sono composti generalmente da arti, viscere,
sottopelli, sangue, contenuti ruminali ed intestinali, penne, e da tutti quei
tessuti che sono eliminati dalle fasi di macellazione.
Analisi effettuate in laboratorio su un campione di “idrobios” sottoposto a
prova hanno fornito i risultati riportati in tabella n°1:

PARAMETRI METODICA ANALITICA UNITA’ DI MISURA VALORE INCERTEZZA


Azoto totale CNR IRSA 6 Q64 VOL.3 1985 g/kg 17,8 +/- 1,8

Sostanza organica CNR IRSA 5 Q64 VOL.3 1985 % SS 81,3 +/- 8,1

Azoto organico CNR IRSA 6 Q64 VOL.3 1985 g/kg 13,4 //

Azoto organico solubile CNR IRSA 6 Q64 VOL.3 1985 g/kg 2,5 //

Rapporto C/N Calcolo % 4,7 //

Carbonio organico CNR IRSA 5 Q64 VOL.3 1985 % 8,4 +/- 0,8

PH CNR IRSA 1 Q64 VOL.3 1985 Unità di pH 7,9 +/- 0,1

Residuo a 105°C CNR IRSA 2 Q64 VOL.2 1985 % 17,8 +/- 0,9

Residuo a 550°C CNR IRSA 2 Q64 VOL.2 1985 % 4,7 +/- 0,2

Zolfo tot Metodo interno % 0,090 //

Calcio CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 g/kg 4,74 //

Cromo esavalente CNR IRSA 16 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS <2 //

Cadmio CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS <0,1 //

Piombo CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS <5 //

Rame CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS 26,2 +/- 2,6

Zinco CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS 152 +/- 9

Mercurio CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS <1 //

Nichel CNR IRSA 10 Q64 VOL.3 1985 mg/kgSS <5 //

Tabella n°1

94
L’analisi della scheda dei risultati evidenzia come l’idrobios sia
prevalentemente costituito da sostanza organica (81,3) il che lo rende
particolarmente vantaggioso dal punto di vista della digestione anaerobica.
Presenta pH tendenzialmente basico forse perché nel campione vi erano
tracce di sottopelli di scarto dell’industria conciaria. Altro aspetto rilevante sono
la grande quantità di azoto totale, organico ed organico solubile presente nel
campione, che si attestano, rispettivamente, sui valori 17,8-13,4-2,5 g/Kg. La
forte presenza d’azoto è anche confermata dal ridotto rapporto C/N che è pari
a 4,7.

L’abbondanza di composti azotati è così elevata che la loro concentrazione è


ancora rilevante nella vasca di stoccaggio (azoto totale = 7,4 Kg/t).

b) Biomasse vegetali: costituite da insilati di varie specie d’erbai sia autunno-


primaverili che primaverili-estivi.
- Insilati di mais;
- Insilati di frumento tenero;
- Insilati di sorgo zuccherino;
- Insilati di loiessa;
- Marco mela (buccetta+torsolo);
- Polpa di barbabietola.

Vediamo ora i singoli substrati valutandone gli aspetti più importanti e le


caratteristiche distintive.

- MAIS (Zea mais L.)


Il mais idoneo all’insilamento è sostanzialmente un silo mais coltivato in
modo ordinario, raccolto, trinciato ed insilato alla maturazione cerosa,
45-50 giorni dopo la fioritura.[8]
Il materiale che viene immesso nei reattori per la fermentazione è una
miscela di spighe, foglie e stocchi in cui il 40-45% della sostanza secca e
2/3 del potere nutritivo sono riferibili alla granella.[8]
Per ottenere un buon prodotto da insilare andrebbero scelti quegli ibridi
di taglia elevata, in grado di produrre molta granella e che rimangono
95
verdi per un lungo periodo, senza che si abbia la lignificazione dei loro
tessuti. Questo aspetto è di fondamentale rilevanza perché, come
indicato in precedenza, la lignina è un composto che non è
metabolizzato dai batteri per la produzione di biogas e quindi la si
rinviene nella vasca di stoccaggio come materiale di scarto.
L’investimento ottimale per la coltura da insilamento è di circa 2-3
piante/m2 in più rispetto alla tradizionale coltura da granella. L’epoca di
raccolta coincide, di norma, con lo stadio di maturazione cerosa, quando
la sostanza secca si attesta su valori compresi nell’intervallo 35-40%.
Inoltre, l’epoca di raccolta può essere anticipata o posticipata rispetto
allo standard. In particolare, anticipandola, otterremo un foraggio meno
ricco di lignina, ma con rese minori. Al contrario, una raccolta posticipata,
garantisce produzioni più elevate, ma con una minore qualità
dell’insilato.
Allo scopo d’ottenere un substrato il più idoneo possibile alla
valorizzazione anaerobica è consigliabile anticipare leggermente la
raccolta (evitando la lignificazione dei tessuti) poiché, così facendo si
aumenta l’efficienza dell’impianto, garantendo una qualità del biogas più
elevata. A questo proposito sarebbe utile avviare progetti di ricerca volti
allo studio di linee specifiche per la digestione anaerobica. Nella tabella
seguente (mettere il numero) sono riportate le caratteristiche qualitative
del mais da insilamento riferite a diversi periodi di raccolta.

Giorni Stadio Contenuto in Proteine Grassi Fibra Ceneri Estratt. Zuccheri


dalla vegetativo sostanza (% sulla (% (% (% Inazotati riducenti
fioritura secca (%) SS) sulla sulla sulla (% sulla (% sulla
SS) SS) SS) SS) SS)
0 fioritura 15,0 12,0 2,0 30,0 8,0 48,0 14,0
20 mat.lattea 23,0 11,0 2,2 27,0 7,0 51,8 12,0
40 mat.cerosa 33,0 8,6 2,5 22,0 5,0 61,9 8,0
60 mat.fisiol 45,0 8,4 2,8 20,0 5,0 63,8 5,0
Tabella n°2 (fonte [8])

96
E’ stato stimato empiricamente in azienda che 1 m3 d’insilato di mais
fornisce 200-220 m3 di biogas.

- FRUMENTO TENERO (Triticum aestivum L.)


Il frumento è il cereale sicuramente più diffuso in Italia, ma la sua
coltivazione, come specie da insilare, non lo è altrettanto. In questo
senso la digestione anaerobica ha permesso la diffusione di questa
tecnica per l’ottenimento di materiali in grado di fornire molta energia al
sistema fermentativo. La tecnica colturale rispecchia quella per la
granella, con l’avvertenza di adottare varietà di taglia maggiore prive di
reste, aumentando al contempo la densità di semina. La fase di raccolta
ottimale per l’ottenimento di un buon “silograno” da destinare alla
digestione anaerobica è quella che avviene in corrispondenza della
botticella-spigatura. Il trinciato deve presentare una lunghezza variabile
tra 0,5-1 cm e deve altresì essere pressato con cura. Ritardare la
raccolta vorrebbe dire ottenere un silograno troppo secco e difficile da
pressare, con successivi problemi di conservazione e quindi per i batteri
presenti all’interno dei reattori.
1 m3 di silograno produce 200 m3 di biogas.

- SORGO ZUCCHERINO (Sorghum vulgare Pers.)


I sorghi zuccherini presentano una taglia elevata e maggiori produzioni
areiche. Ne conseguono quote di sostanza secca e d’energia maggiori
rispetto ad una classica coltura granellare. Purtroppo presentano
problemi d’allettamento.
Si raccoglie allo stadio latteo-ceroso della granella. Data la notevole
diversità di maturazione tra pianta e pianta, è opportuno fare riferimento
ad un valore medio per il campo; in generale è bene “trinciare” ad un
contenuto in sostanza secca pari al 30-35%.[5S]

97
Se non si riesce a raggiungere questo grado d’umidità, è probabile che
l'insilato ottenuto sia instabile, con elevate perdite di percolazione ed una
quantità eccessiva di acido butirrico e quindi ripercussioni sulla qualità
del processo fermentativo.
A livello nutritivo il valore energetico dell'insilato di sorgo è inferiore di un
10-20% rispetto a quello del silomais.
La seguente tabella riporta i valori medi di un insilato con sostanza secca
pari al 34% (in percentuale sul t.q.).

Sostanza secca 34%


Proteine grezze 3.2%
Grassi grezzi 1.2%
Fibra grezza 9.3%
Ceneri 1.9%
Amido 6.2%
Calcio 0.14%
Fosforo 0.09%
A.D.F. 13.4%
N.D.F. 21.0%
Lignina 1.8%
Tabella n°3 (fonte [5S])

Il sorgo contiene un glucoside cianogenetico, la durrina, che può liberare


acido cianidrico per idrolisi enzimatica.[5S]
Questo fattore è presente in gran quantità nelle foglie della pianta ai
primi stadi di sviluppo, ma anche in condizioni di stress idrico o quando il
sorgo ha subito danni da freddo. La durrina è comunque distrutta
totalmente dal processo d'insilamento ed in gran parte con la fienagione;
inoltre gli ibridi recenti la possiedono in quantità minima.
1 m3 di sorgo zuccherino produce circa 150-160 m3 di biogas.

- LOIESSA (Lolium multiflorum Lam.)


L’insilamento della loiessa si va sempre più espandendo per la facile
conservabilità di questa pianta dovuta al buon tenore di zuccheri, per
l’aspetto pratico operativo che permette di usufruire del cantiere di

98
macchine utilizzate dal mais ceroso, e per la tempestività e semplicità
con cui tale operazione può essere eseguita.[6S]
Nella pratica corrente, quando la pianta si trova allo stadio d’inizio
spigatura, viene falcio-condizionata e lasciata in campo circa una
giornata per raggiungere contenuti in sostanza secca intorno al 25%.
Quindi viene trinciata ed insilata anche in sili a trincea. Quando
l’appassimento non è sufficiente, o si vuol procedere all’insilamento
diretto, oppure quando il costipamento lascia a desiderare, si può
ricorrere ad acidificanti come acido formico, impiegato in ragione di 3 litri
per tonnellata di foraggio.
1 m3 di loiessa può fornire fino a 180 m3 di biogas.
Nella tabella seguente sono riportati i caratteri essenziali degli insilati fin
qui presi in considerazione.

Ac. Ac.acetico Ac.butirrico N-NH3


insilati Sostanza Lattico (%sul secco) (%sul secco) pH (%
secca (%) (%sul dell’N
secco) Tot)
Silomais
(mat. lattea) 20-25 10-11 3-4 0,1-0,4 3,7-3,8 7-8
Silomais
(mat. 30-35 8-9 2-3 0,1-0,2 3,9-4,0 6-7
cerosa)
Silograno
(mat. lattea) 25-27 10-12 4-5 0,2-0,4 3,6-3,7 10-12
Silograno
(mat. 38-40 6-7 2-3 0-0,2 4,1-4,2 8-10
cerosa)
Silosorgo
32-34 2-3 1-2 0,5-1,0 4,2-4,5 10-15
Loiessa
18-20 10-12 3-4 0,2-0,3 3,8-4,0 8-9
Tabella n°4 (fonte [8])

- POLPA SURPRESSATA DI BARBABIETOLA


E’ ottenuta dalle fettucce di barbabietola private dello zucchero, con un
processo di diffusione in acqua calda e poi compressa per eliminare il
99
liquido in eccesso.[7S]
Le polpe surpressate sono dotate di un notevole contenuto energetico in
virtù della modestissima lignificazione della quota fibrosa. Possono
essere miscelate con foraggi o cereali. La loro disponibilità è legata agli
andamenti stagionali, quindi la loro presenza nelle dieta dei reattori non
è costante.
La polpa di barbabietola permette di produrre fino a 140-150 m3 di
biogas.

In tabella n°5 ne sono riportate le caratt eristiche principali.

Umidità % 78,0

Protidi % 9,4

Fibra grezza % 23,5

Estrattivi inazotati % 2,2

Proteina grezza % 22,0

Lipidi % 0,6

Ceneri % 4,3

Tabella n°5 (fonte [7S])

- MARCO MELA
E’ essenzialmente costituito da scarti dell’industria agroalimentare che
impiega questo frutto nella preparazione di svariati prodotti per il
consumo umano. Tali scarti sono costituiti da torsolo e buccette che
vengono ritirati ed impiegati durante le fasi di digestione negli impianti di
Mantovagricoltura. Anche in questo caso la loro presenza all’interno
della dieta dei reattori è variabile in base alle disponibilità del mercato.
1 m3 di marco mela permette di raggiungere produzioni di biogas pari a
100-110 m3

100
Trasferimento di microrganismi dagli insilati ai bioreattori

Sono numerosi i batteri che operano nella massa insilata nell’arco di tempo
che va dalla raccolta del foraggio alla sua immissione nei digestori. I batteri
rinvenibili negli insilati che arricchiranno la flora microbica preesistente sono
ascrivibili a tre categorie: batteri lattici, clostridi ed enterobatteri.

I batteri lattici sono anaerobi gram-positivi, non sporigeni. Il loro substrato


prevalente è rappresentato dagli zuccheri anche se sono in grado di
metabolizzare acidi organici, aminoacidi e nitrati. Si suddividono in due
gruppi: omofermentativi ed eterofermentataivi. Tra gli omofermentativi
abbiamo Lactobacillus plantarum, curvatum e casei, Streptococcus feacalis,
Pediococcus acidilactici e cerevisae. Tutti attaccano gli zucccheri
fermentescibili sia pentosi che esosi. Nel primo caso liberano acido lattico
ed acido acetico, nel secondo caso rilasciano solo acido lattico. Tra gli
eterofermentativi ricordiamo Lactobacillus brevis e buchneri, Leuconostoc
cremoris. Nel caso in cui il loro pabulum sia costituito da pentosi essi
producono acido lattico ed acetico. In presenza di esosi, sono in grado di
produrre acido lattico ed acetico, etanolo, mannitolo ed anidride carbonica.
Sia i batteri omolattici che eterolattici non implicano grandi perdite d’energia
del substrato colonizzato prima che venga immesso nei reattori, ma gli
eterolattici possono dare luogo ad una perdita di sostanza secca di circa il
5-20%.

I clostridi sono anaerobi stretti, gram-positivi, sporigeni. Sono raggruppabili


in due sottogruppi in base al substrato che sono in grado di metabolizzare.
Abbiamo clostridi saccarolitici che fermentano carboidrati ed acidi organici
con produzione d’acido butirrico, anidride carbonica ed idrogeno, dei quali
fanno parte il Clostridium butyricum, paraputrificum e il tyrobutyricum. La
loro attività implica una perdita di sostanza secca ed energia
rispettivamente del 50% e del 18% del materiale interessato alla
fermentazione.[8]

101
All’interno degli insilati da destinarsi alla digestione anaerobica, ci sono
anche i clostridi proteolitici, il cui effetto porta alla liberazione d’ammoniaca
o di altre ammine. Tra questi si annoverano il Clostridium bifermentans e lo
sporogens.

Gli enterobatteri che interessano la biomassa insilata sono gram-negativi


anaerobi facoltativi che attaccano principalmente gli zuccheri producendo
acido acetico. Klebsiella sp.pl., Escherichia coli e Bacterium herbicola ne
sono i maggiori rappresentanti. Da ultimo ricordiamo che è possibile la
presenza anche di lieviti afferenti ai generi Pichia, Candida, Torulopsis.

Metodi

La valutazione dell’impianto di digestione anaerobica di Mantovagricoltura, si è


basata sulla determinazione del suo rendimento in termini di m3 di biogas
prodotto per tonnellata di sostanza volatile, derivante sia dalla biomassa
vegetale (sostanza secca) che da quella animale (sostanza secca volatile),
che costituiscono il normale substrato fermentante all’interno dei reattori. Non
essendo installato un sistema per il conteggio dei m3 di biogas prodotto, il
metodo applicato in questo studio è di tipo indiretto, vale a dire si è basato sul
rendimento elettrico dei motori presenti in impianto.

Il secondo aspetto indagato è relativo ad un’indagine di tipo microbiologico.


Tramite analisi condotte in laboratorio è stato possibile verificare la qualità e la
consistenza della biomassa attiva fermentante costituita principalmente da
batteri che trasformando i substrati attraverso vari processi metabolici portano
alla produzione di biogas. Tale indagine è di rilevante interesse poiché non era
mai stata effettuata nell’azienda oggetto di studio, nonostante sia basilare per
la comprensione degli equilibri trofico ambientali presenti all’interno dei
reattori.

I gestori dell’impianto hanno messo a nostra disposizione tutti i dati relativi alla
gestione pratica dei reattori. Tali dati indicano le quantità di biomasse fornite
102
per la digestione, nonché la qualità del biogas prodotto e la produzione di
energia elettrica. Avendo i dati oggetto di studio una cadenza giornaliera e
che fanno riferimento ad un anno d’attività (dal primo giorno di avvio fino alla
fine del periodo di stage effettuato presso Mantovagricoltura), la loro mole è
piuttosto elevata.

Questa banca dati è stata fornita su supporto cartaceo; si è quindi dapprima


provveduto ad una sua digitalizzazione, per poi passare alle elaborazioni
necessarie al fine di raggiungere gli scopi del lavoro.

Di seguito vengono esposti i metodi adottati per l’ottenimento dei rendimenti.

Calcolo del rendimento dei substrati impiegati nell’impianto

a) Determinazione della quantità di biogas prodotta giornalmente.

Considerando che i kilowattora (kwh) d’energia elettrica prodotti dal motore


rappresentano sostanzialmente l’energia in uscita dallo stesso, tenendo
presente che:

1 kwh = MJ/3.6 (1)

(con MJ = Mega Joule) e sapendo che il rendimento elettrico del motore può
essere espresso tramite l’equazione:

MJ in uscita/MJ in entrata = 0,45 (2)

abbiamo diviso i Mega Joule d’energia in uscita dal motore per 0,45:

MJ in uscita/ 0,45 = MJ in entrata (3)

ottenendo i Mega Joule di energia che, tramite il carburante, entrano nel


motore.

Per ottenere il numero di m3 di biogas prodotto, stante il potere calorifico (P.C.)


del biogas pari a 18,8 MJ/m3 [8S], basta dividere i Mega Joule calcolati tramite
la (3) per P.C.:
103
MJ in entrata/18,8 = m3 in entrata (4)

si ha così il numero dei m3 di biogas che assolvono la funzione di


combustibile. Visto che non esistono serbatoi d’accumulo temporaneo del
biogas prodotto, è corretto considerare che i m3 di biogas combusti, sono
quelli prodotti giornalmente all’interno dell’impianto.

b) Rendimento dei substrati impiegati per la digestione anaerobica.


Per l’idrobios:
calcoliamo il 13,10% delle tonnellate di idrobios tal quale che entrano
giornalmente nei reattori. Il valore percentuale 13,10 è stato ottenuto
tramite la sottrazione dei valori percentuali 17,8 e 4,7 che sono
rispettivamente i residui dopo essicazione in stufa a 105°C e 550°C.
Queste percentuali sono state ottenute mediante analisi di laboratorio i cui
risultati sono stati riportati in Tabella n°1. Dop o avere calcolato il 13,10%
delle tonnellate d’idrobios tal quale, otterremo la quota di solidi totali volatili
(TVS) presenti nella biomassa animale.
Per i solidi vegetali:
calcoliamo la media delle medie dei valori di sostanza volatile( sostanza
secca – ceneri), noti in letteratura e riportati in Tabella 5, presenti negli
insilati delle specie vegetali che vengono impiegati come substrato nella
digestione anaerobica. In particolare abbiamo:
- SILOMAIS mat. lattea = 23% s.v.
- SILOSORGO mat. cerosa = 33% s.v.
- SILOGRANO mat. lattea = 26% s.v.
- LOIESSA = 19% s.v.
- POLPA SURPRESSATA DI BARBABIETOLA = 24% s.v.

Ne consegue che la medie delle medie risulta essere pari a 25%. Possiamo
ora calcolare il 25% delle tonnellate di tal quale delle matrici vegetali.

104
c) Rendimento dell’impianto.
E’ sufficiente sommare le tonnellate di sostanza volatile della biomassa
vegetale con quelle di TVS dell’idrobios per conoscere l’entità del substrato
effettivamente impiegato dai batteri nella digestione anerobica.
Essendo noti i m3 di biogas prodotti giornalmente dall’impianto, con
l’operazione di cui sotto:
m3/t s.v. (5)
si ottiene il rendimento dell’impianto relativo ai substrati impiegati.

Analisi microbiologica

Le analisi microbiologiche sono state effettuate presso il laboratorio chimico


biologico Ricciarelli nel comune di Città di Castello, in provincia di Perugia,
certificato dal Ministero della salute tramite protocollo 700.59. Tale laboratorio
segue da numerosi anni diversi impianti situati nella provincia e quindi ha
raggiunto una notevole specializzazione operativa.

I campionamenti, in numero di due, uno per ogni reattore, sono stati effettuati
in data 17/12/2007 presso gli impianti di Mantovagricoltura. La procedura
adottata per il prelievo è tale da garantire il maggior livello possibile di sterilità,
evitando così che microrganismi non specifici dei reattori possano entrare in
contatto con i nostri campioni. Il prelievo del materiale ha avuto luogo
mediante due rubinetti comunicanti ciascuno con il relativo reattore. Per
evitare di raccogliere materiale fermo da troppo tempo nelle tubature stesse e
che quindi non risultasse omogeneo rispetto ai substrati fermentanti all’interno
dei digestori, prima di procedere alla raccolta dei campioni, se ne sono
eliminati 100 litri. I campioni da sottoporre alle analisi sono stati raccolti in
buste sigillate di plastica, contraddistinte con i numeri dei reattori di
riferimento. Al momento del prelievo le temperatura rilevate sono state di
41,6°C per il digestore 1 e 41,2°C per il digestore 2.

105
Le analisi microbiologiche sono state mirate ad evidenziare le diverse famiglie
batteriche presenti. In particolare:

- Colonie a 30°C;
- Colonie termofile;
- Escherichia coli;
- Salmonella spp.;
- Enterobatteriacee;
- Clostridi solfito riduttori;
- Clostridi non solfito riduttori;
- Muffe;
- Lieviti.

I protocolli analitici adottati sono i seguenti: UNI EN ISO 4833:2004 per la


conta delle colonie a 30°C e per le colonie termofi le, UNI EN ISO 16649-
2:2001 per Escherichia coli, UNI EN ISO 6579:2004 per Salmonella spp.,
UNI EN ISO 21528-2:2004 per le Enterobatteriacee, UNI EN ISO 7937:2005
per I clostridi solfito riduttori e non solfito riduttori,UNI EN ISO 7954:1987
per muffe e lieviti.

Di seguito sono riportati brevi riassunti relativi alle singole norme.

UNI EN ISO 4833:2004

La norma specifica un metodo orizzontale per la conta di microrganismi nei


prodotti destinati all’alimentazione umana e a quella animale con la tecnica
della conta delle colonie sviluppatesi in terreno solido dopo
incubazione a 30 °C in aerobiosi.[9]

106
Consiste in un’inseminazione in profondità di un terreno di coltura
specificato, versato in due piastre Petri, con una quantità definita del
campione di prova. Quando il prodotto d’analizzare è liquido, si preparano
altre coppie di piastre Petri riempite nelle stesse condizioni, utilizzando
diluizioni decimali del campione in prova o della sospensione iniziale. Le
piastre sono incubate in aerobiosi a 30 °C per 72 h .

Il numero di microrganismi per millilitro cubo o per grammo di campione si


calcola in base all’entità di colonie ottenute sulle piastre selezionate.

Apparecchiatura e vetreria
L'apparecchiatura da noi impiegata è a perdere, purché dotata di specifiche
adeguate, costituisce un'alternativa accettabile alla vetreria riutilizzabile. E’
utilizzabile l'usuale apparecchiatura di un laboratorio di microbiologia ed in
particolare quanto segue:
- Incubatore, in grado di operare a 30 °C ± 1 °C.
- Piastre Petri, di vetro o di plastica, di diametro da 90 mm a 100 mm.
- Pipette, di capacità nominale di 1 ml.
- Bagnomaria, in grado di operare a temperature comprese tra 44°C e 47°C.
Come apparecchiatura per la conta delle colonie si può utilizzare, per
esempio, un’apparecchiatura formata da una base illuminata con uno
sfondo scuro, dotata di lente d’ingrandimento o idoneo ingrandimento di
circa 1,5 × e un contatore meccanico o elettronico digitale.
- Misuratore di pH, dotato di un'accuratezza di taratura di ±0,1 unità di pH a
25°C.
- Provette, beute o flaconi, di capacità adeguata minore o uguale a 500 ml.

Conta delle colonie


Dopo il periodo d’incubazione specificato, si contano le colonie sulle piastre
E’ bene esaminare le piastre in condizioni di luce soffusa. È importante che
siano incluse nella conta le colonie individuate, ma è essenziale che
l'operatore eviti di scambiare le particelle di sostanze non sciolte o
107
precipitate nelle piastre per colonie. Valutare attentamente gli elementi
dubbi, utilizzando un ingrandimento maggiore, al fine di distinguere le
colonie dalle sostanze estranee.
Le colonie diffuse devono essere considerate come colonie singole. Se
meno di un quarto della piastra è coperto dalla diffusione, contare le colonie
sulla parte non interessata della piastra e calcolare il numero
corrispondente dell'intera piastra. Se più di un quarto della piastra è coperto
dalla diffusione delle colonie, scartare la conta.

UNI EN ISO 6579:2004

La norma specifica un metodo orizzontale per la ricerca della Salmonella,


inclusa Salmonella Typhi e Salmonella Paratyphi negli alimenti e nei
mangimi per animali.[11]
La ricerca della Salmonella ha luogo in quattro stadi successivi.
Si pesano 25 g di campione per il prearricchimento in Buffered Peptone
Water, il successivo passaggio è stato in Rappaport e Muller-Kauffann, il
terzo passaggio consiste nella semina per striscio in piastre e infine si
passa alle prove biochimiche; i passaggi sono stati eseguiti sempre nel
rispetto dei tempi e delle temperature indicate dalla metodica.
La Salmonella può essere presente in piccola quantità ed è spesso
accompagnata da tenori considerevolmente più elevati di altri microrganismi
appartenenti alla famiglia delle Enterobacteriacee o ad altre famiglie.
Inoltre è spesso necessario un pre-arricchimento per consentire la ricerca
dei bassi numeri di Salmonella o delle Salmonelle danneggiate.

Apparecchiatura e vetreria
Anche in questo caso l'apparecchiatura è a perdere, in quanto dotata di
specifiche adeguate; costituisce un'alternativa accettabile alla vetreria
riutilizzabile.
L’usuale apparecchiatura di un laboratorio di microbiologia (vedere ISO
7218) consta di:
108
- impianto per sterilizzazione a secco (forno) o per sterilizzazione ad
umido (autoclave) Vedere ISO 7218;
- essiccatoio o forno ventilato mediante convezione, in grado di
funzionare a temperature comprese tra 37 °C e 55 °C .
- incubatore, in grado di funzionare a 37 °C ± 1 °C .
- bagno d’acqua, in grado di funzionare a 41,5 °C ± 1 °C, o incubatore, in
grado di funzionare a 41,5 °C ± 1 °C.
- bagni d’acqua, in grado di funzionare da 44 °C a 47 °C.
- bagno d’acqua, in grado di funzionare a 37 °C ± 1 °C.
(è raccomandabile l’utilizzo di bagno d’acqua contenenti un agente
antibatterico a causa della bassa dose infettiva di Salmonella)
- anse per batteriologia sterili, con diametro di circa 3 mm o 10 µl, oppure
pipette sterili;
- provette o matracci, di capacità appropriata;
(possono essere utilizzate bottiglie o matracci dotati di tappi a vite atossici di
metallo o di plastica)
- pipette graduate o pipette automatiche, della capacità nominale di 10 ml
e 1 ml, graduate rispettivamente con intervalli di 0,5 ml e 0,1 ml;
- piastre Petri, di piccole dimensioni (diametro da 90 mm a 100 mm) e/o di
grandi dimensioni (diametro 140 mm).

UNI EN ISO 7937:2005


La norma descrive un metodo orizzontale per la conta di Clostridium
perfringens vitale nei prodotti destinati al consumo umano o animale.[13]
Vengono inoculate delle piastre Petri con una quantità specificata di
campione se questo è liquido. Altre piastre vengono inoculate con volumi
decimali dello stesso campione. Si impiega un mezzo di coltura idoneo per
la crescita di questi batteri. Le piastre sono poste in incubazione a 37° C per
20 h +/- 2h. vengono poi contate le colonie caratteristiche che saranno
espresse come numero di colonie per millilitro o per grammo di campione.

109
Diluenti, substrati, reagenti
Si vedano le norme ISO 7218, ISO/TS 11133-1 e ISO/TS 11133-2 per
quanto riguarda l’elencazione dei substrati di crescita.
Per quanto riguarda i diluenti e i regenti, sono impiegati:
- Agar di solfato-cicloserina;
- Soluzione di D-cicloserina;
- Tioglicolato;
- Solfato di lattosio.

Apparecchiatura e vetreria
- Apparati per la sterilizzazione a secco (forno) e umido (autoclave);
- Incubatrice, capace di mantenere la temperatura a 37°C +/-1°C;
- Vasi ad atmosfera modificata per la coltura anaerobica dei substrati;
- Misuratore di pH;
- Anelli del diametro di 3 mm di platino-iridio o nichel-cromo;
- Aghi per l’inoculo dello stesso materiale;
- Filtri;
- Beute;
- Pipette e micro pipette;
- Piastre Petri;
- Provette o matracci di capacità appropriata;
- Bagni d’acqua;
- Bulbi di gomma.

Selezione e conta delle colonie


Dopo il periodo specificato di reazione, si selezionano le piastre che
contengono meno di 150 colonie. Da queste, s’individuano, quando
possibile, piastre che rappresentino le successive diluizioni. In ogni piastra,
si contano le caratteristiche colonie di C. prefrigens selezionandone cinque
per le eventuali conferme biochimiche.

110
Per la conta delle colonie termofile a 30°, delle Enterobatteriacee, dei clostridi,
dell’Escherichia coli, dei lieviti e delle muffe è stata eseguita la semina del
campione tal quale e/o delle sue diluizioni sui rispettivi terreni, come riportato
nelle metodiche ufficiali; le piastre sono state poi incubate rispettando le
temperature e i tempi indicati, quindi è stata eseguita la lettura delle colonie.

UNI EN ISO 16649-2:2001, UNI EN ISO 21528-2:2004, UNI EN ISO


7954:1987.
Per l’ Escherichia coli [10], per le Enterbocteriacee [12], per i lieviti [14] e le
muffe [13] è stata eseguita la semina del campione tal quale e/o delle sue
diluizioni sui rispettivi terreni, come riportato nelle metodiche ufficiali; le
piastre sono state poi incubate rispettando le temperature e i tempi indicati,
quindi è stata eseguita la lettura delle colonie.

111
Risultati
Il calcolo dei rendimenti è su base giornaliera. Quindi sono stati raggruppati
per mesi e riguardano un intero anno. I dati ottenuti sono rappresentati nei
grafici seguenti. Questi riportano sull’asse delle ascisse i giorni a cui si
riferiscono i valori numerici dei rendimenti, mentre sull’ordinate sono indicati i
m3/t s.v.

DIC 06-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/12
2/12
3/12
4/12
5/12
6/12
7/12
8/12
9/12
10/12
11/12
12/12
13/12
14/12
15/12
16/12
17/12
18/12
19/12
20/12
21/12
22/12
23/12
24/12
25/12
26/12
27/12
28/12
29/12
30/12
31/12

Grafico n°1

Il Grafico n°1 si riferisce al mese di dicembre 200 6; dalla sua osservazione si


deduce che dal momento dell’avviamento dell’impianto il rendimento dei
substrati è tendenzialmente aumentato. Quest’incremento è sicuramente da
attribuirsi ad un continuo miglioramento delle condizioni ambientali e trofiche
dei reattori
attori legato all’aumento quantitativo delle matrici a disposizione dei
batteri. Ciò ha contribuito a migliorare la loro efficienza di conversione. E’
interessante rilevare che passando dall’1/12 al 2/12 il rendimento si è attestato
10 m3/t s.v facendo segnare il primo forte incremento.
subito sul valore di 1010
Poi, tramite un andamento sempre leggermente altalenante, si arriva alla fine
del primo mese d’esercizio dell’impianto con un valore del rendimento pari a
2414 m3/t s.v.. Sicuramente l’avvio dei digestori è stato positivo; ciò lascia
presumere che la gestione di questo momento sia stata ottimale e, quindi, le
condizioni di sviluppo dei batteri sono state rispettate a pieno.

112
GEN 07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/1
2/1
3/1
4/1
5/1
6/1
7/1
8/1
9/1
10/1
11/1
12/1
13/1
14/1
15/1
16/1
17/1
18/1
19/1
20/1
21/1
22/1
23/1
24/1
25/1
26/1
27/1
28/1
29/1
30/1
31/1
Grafico n°2

Durante
te il mese di gennaio 2007 il rendimento è stato sempre molto elevato. Il
valore medio mensile (2171,35 m3/t s.v.)
.) risulterà il più elevato fra tutti i mesi
presi in considerazione. Questo livello d’efficienza ha toccato il suo apice in
corrispondenza del giorno 30, durante il quale i metri cubi di biogas prodotti
per t di s.v sono stati pari a 3680. Da questo picco in poi, il calo dei rendimenti
è stato repentino. Nell’arco di un giorno, infatti, assistiamo ad una sua
diminuzione pari a circa il 58% arrivando
arriv al valore di 1552 m3/t s.v.
s.v il 31/1. Nei
sei mesi successivi il rendimento dei substrati continua a decrescere con
regolarità. I suoi valori medi sono uguali a 1195,93 m3/t s.v.
s.v a febbraio,
1006,42 m3/t s.v.. a marzo, 968,97 m3/t s.v.. ad aprile, 973,74 m3/t s.v. a
maggio, 936,87 m3/t s.v.. a giugno, 888,77 m3/t s.v. a luglio.

113
FEB 07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1250
1000
750
500
250
0
1/2
2/2
3/2
4/2
5/2
6/2
7/2
8/2
9/2
10/2
11/2
12/2
13/2
14/2
15/2
16/2
17/2
18/2
19/2
20/2
21/2
22/2
23/2
24/2
25/2
26/2
27/2
28/2
Grafico n°3

MAR 07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/3
3/3
5/3
7/3
9/3
11/3
13/3
15/3
17/3
19/3
21/3
23/3
25/3
27/3
29/3
31/3

Grafico n°4

APR07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/4
2/4
3/4
4/4
5/4
6/4
7/4
8/4
9/4
10/4
11/4
12/4
13/4
14/4
15/4
16/4
17/4
18/4
19/4
20/4
21/4
22/4
23/4
24/4
25/4
26/4
27/4
28/4
29/4
30/4

Grafico n°5
114
MAG07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 GENERALE(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/5
2/5
3/5
4/5
5/5
6/5
7/5
8/5
9/5
10/5
11/5
12/5
13/5
14/5
15/5
16/5
17/5
18/5
19/5
20/5
21/5
22/5
23/5
24/5
25/5
26/5
27/5
28/5
29/5
30/5
31/5
Grafico n°6

GIU07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI m³/t
m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/6
2/6
3/6
4/6
5/6
6/6
7/6
8/6
9/6
10/6
11/6
12/6
13/6
14/6
15/6
16/6
17/6
18/6
19/6
20/6
21/6
22/6
23/6
24/6
25/6
26/6
27/6
28/6
29/6
30/6

Grafico n°7

LUG07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/7
2/7
3/7
4/7
5/7
6/7
7/7
8/7
9/7
10/7
11/7
12/7
13/7
14/7
15/7
16/7
17/7
18/7
19/7
20/7
21/7
22/7
23/7
24/7
25/7
26/7
27/7
28/7
29/7
30/7
31/7

Grafico n°8

115
Ad agosto il rendimento è tornato ad aumentare leggermente attestandosi sul
valore medio mensile pari a 1021,87 m3/t s.v.. Ciò, riteniamo, sia d’attribuirsi al
fatto che durante la seconda e terza settimana del mese si sono registrati
picchi abbastanza rilevanti, compensati, in parte, da successive diminuzioni.

AGO07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/8
2/8
3/8
4/8
5/8
6/8
7/8
8/8
9/8
10/8
11/8
12/8
13/8
14/8
15/8
16/8
17/8
18/8
19/8
20/8
21/8
22/8
23/8
24/8
25/8
26/8
27/8
28/8
29/8
30/8
31/8

Grafico n°9

SET07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/9
3/9
5/9
7/9
9/9
11/9
13/9
15/9
17/9
19/9
21/9
23/9
25/9
27/9
29/9

Grafico n°10

116
OTT07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/10
2/10
3/10
4/10
5/10
6/10
7/10
8/10
9/10
10/10
11/10
12/10
13/10
14/10
15/10
16/10
17/10
18/10
19/10
20/10
21/10
22/10
23/10
24/10
25/10
26/10
27/10
28/10
29/10
30/10
31/10
Grafico n°11

NOV07-RENDIMENTO
RENDIMENTO SUBSTRATI (m³/t
(m /t s.v.)
4000
3750
3500
3250
3000
2750
2500
2250
2000
1750 RENDIMENTO
1500
1250 SUBSTRATI(m3/ts.v)
1000
750
500
250
0
1/11
2/11
3/11
4/11
5/11
6/11
7/11
8/11
9/11
10/11
11/11
12/11
13/11
14/11
15/11
16/11
17/11
18/11
19/11
20/11
21/11
22/11
23/11
24/11
25/11

Grafico n°12

La situazione degli ultimi tre mesi di studio è pressoché costante ed orientata


su rendimenti pari a circa 900 m3/t. s.v.

117
I valori medi mensili del rendimento sono rappresentati nel grafico n°13.

RENDIMENTO MEDIO MENSILE (m³/t


(m /t s.v.)
2400
2200
2000
1800
1600
1400
1200
1000
800
600
400 RENDIMENTO MEDIO
200 MENSILE(m3/ ts.v.)
0

ottobre-07
gennaio-07

febbraio-07

marzo-07

aprile-07

maggio-07

giugno-07

luglio-07

agosto-07

novembre-07
dicembre-06

settembre-07
Grafico n°13

Passiamo ora all’esame dei dati riferiti alla qualità del biogas prodotto in
impianto. La qualità si riferisce sia alla percentuale di CH4 presente nella
miscela gassosa all’interno dei singoli fermentatori (indicati con F1 e F2) sia a
quella inviata ai motori (M) per la produzione di energia elettrica.

DIC06-Concentrazioni
Concentrazioni gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4] F1
57,5
55,0 [CH4] F2
52,5
50,0 [CH4] M
1/12
2/12
3/12
4/12
5/12
6/12
7/12
8/12
9/12
10/12
11/12
12/12
13/12
14/12
15/12
16/12
17/12
18/12
19/12
20/12
21/12
22/12
23/12
24/12
25/12
26/12
27/12
28/12
29/12
30/12
31/12

Giorni

Grafico n°14

(Per problemi tecnici, i valori della qualità del biogas dei giorni compresi fra il
06/12 e 11/12 non sono risultati disponibili).

118
I mesi immediatamente successivi all’entrata in esercizio dell’impianto, oltre a
risultare caratterizzati da buoni livelli di rendimento, sono anche contraddistinti
da ottime qualità del biogas, poiché le percentuali di CH4 presenti nella
miscela gassosa si sono attestate sempre tra valori compresi fra 60 e 67%.

In tutto il periodo d’elaborazione dei dati, la percentuale di metano misurata a


livello dei motori è risultata essere più elevata (anche se di pochi punti
percentuali) sia rispetto al fermentatore 1 che 2. Questo potrebbe essere
dovuto al fatto che a questo livello dell’impianto abbiamo la raccolta di biogas
in arrivo, oltre che dai digestori stessi, anche dal post-fermentatore
post fermentatore e dalla
vasca di stoccaggio. Evidentemente questi flussi gassosi tendono ad arricchire
ar
il biogas di CH4. Un'altra possibile spiegazione è da ricercare nel fatto che
prima dell’ingresso nel motore il biogas subisce un raffreddamento ed una
essicazione. Eliminando la quota di vapore acqueo aumenta la percentuale di
gas metano.

GEN07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5
55,0 [CH4]-F2
52,5 [CH4]-M
50,0
1/1
2/1
3/1
4/1
5/1
6/1
7/1
8/1
9/1
10/1
11/1
12/1
13/1
14/1
15/1
16/1
17/1
18/1
19/1
20/1
21/1
22/1
23/1
24/1
25/1
26/1
27/1
28/1
29/1
30/1
31/1

Giorni

Grafico n°15

Progressivamente, passando dai mesi di dicembre a gennaio, il divario di resa


in termini di CH4 prodotto fra il fermentatore 2 e il 1 si fa sempre più
significativa. Lo scarto, con il trascorrere dei giorni, passa da 4 punti fino a

119
circa 9 punti. Evidentemente in queste fasi iniziali il fermentatore 2 lavora con
minore efficacia.

FEB07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5
[CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/2
2/2
3/2
4/2
5/2
6/2
7/2
8/2
9/2
10/2
11/2
12/2
13/2
14/2
15/2
16/2
17/2
18/2
19/2
20/2
21/2
22/2
23/2
24/2
25/2
26/2
27/2
28/2
Giorni

Grafico n°16

MAR07 -Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5 [CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/3
2/3
3/3
4/3
5/3
6/3
7/3
8/3
9/3
10/3
11/3
12/3
13/3
14/3
15/3
16/3
17/3
18/3
19/3
20/3
21/3
22/3
23/3
24/3
25/3
26/3
27/3
28/3
29/3
30/3
31/3

Giorni

Grafico n°17

120
Per tutto il mese di febbraio e per metà marzo la tendenza poc’anzi vista è
confermata. Ma è proprio verso metà marzo che la concentrazione del CH4 del
fermentatore 2 eguaglia quella del fermentatore
fermentatore 1. In questo stesso periodo,
mediamente, i valori di concentrazione del metano si attestano sempre intorno
al 60% e cominciano ad allontanarsi dalle percentuali vicine al 67% tipiche dei
primi due mesi d’avvio dell’impianto.

Concentrazione gas metano all'interno del biogas


APR07-Concentrazione
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5 [CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/4
2/4
3/4
4/4
5/4
6/4
7/4
8/4
9/4
10/4
11/4
12/4
13/4
14/4
15/4
16/4
17/4
18/4
19/4
20/4
21/4
22/4
23/4
24/4
25/4
26/4
27/4
28/4
29/4
30/4 Giorni

Grafico n°18

MAG07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5 [CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/5
2/5
3/5
4/5
5/5
6/5
7/5
8/5
9/5
10/5
11/5
12/5
13/5
14/5
15/5
16/5
17/5
18/5
19/5
20/5
21/5
22/5
23/5
24/5
25/5
26/5
27/5
28/5
29/5
30/5
31/5

Giorni

Grafico n°19

In maggio registriamo unitamente ad un ulteriore abbassamento generalizzato


della percentuale di CH4 prodotto anche un definitivo miglioramento
121
dell’attività del fermentatore 2. Ciò si esplica con
con produzioni di biogas più
ricche di CH4.

Concentrazione gas metano all'interno del biogas


GIU07-Concentrazione
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5 [CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/6
2/6
3/6
4/6
5/6
6/6
7/6
8/6
9/6
10/6
11/6
12/6
13/6
14/6
15/6
16/6
17/6
18/6
19/6
20/6
21/6
22/6
23/6
24/6
25/6
26/6
27/6
28/6
29/6
30/6
Giorni

Grafico n°20

LUG07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5
55,0 [CH4]-F2
52,5
50,0 [CH4]-M
1/7
2/7
3/7
4/7
5/7
6/7
7/7
8/7
9/7
10/7
11/7
12/7
13/7
14/7
15/7
16/7
17/7
18/7
19/7
20/7
21/7
22/7
23/7
24/7
25/7
26/7
27/7
28/7
29/7
30/7
31/7

Giorni

Grafico n°21

122
AGO07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5 [CH4]-F1
60,0
57,5 [CH4]-F2
55,0 [CH4]-M
52,5
50,0
1/8
2/8
3/8
4/8
5/8
6/8
7/8
8/8
9/8
10/8
11/8
12/8
13/8
14/8
15/8
16/8
17/8
18/8
19/8
20/8
21/8
22/8
23/8
24/8
25/8
26/8
27/8
28/8
29/8
30/8
31/8
Giorni

Grafico n°22

Con il trascorrere del tempo è possibile vedere l’ulteriore scollamento della


linea che rappresenta il fermentatore 1 dal fermentatore 2. Evidentemente in
questo periodo le condizioni ambientali e trofiche del primo digestore sono
meno brillanti rispetto al secondo.

Come si nota dal grafico del mese di settembre, la concentrazione di metano


meta
raggiunge livelli minimi attestandosi su valori prossimi al 50% per il
fermentatore 1. Il 2, comunque, non riesce ancora a produrre biogas di qualità
elevata. Si pensi che a questo punto dell’anno il fermentatore 1 ha fornito
biogas con 16 punti percentuali
percent in meno di CH4 rispetto all’inizio dell’anno.

123
SET07-Concentrazione
Concentrazione del gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5 [CH4]-F2
55,0
52,5 [CH4]-M
50,0
1/9
2/9
3/9
4/9
5/9
6/9
7/9
8/9
9/9
10/9
11/9
12/9
13/9
14/9
15/9
16/9
17/9
18/9
19/9
20/9
21/9
22/9
23/9
24/9
25/9
26/9
27/9
28/9
29/9
30/9
Giorni

Grafico n°23

Nel bimestre ottobre-novembre


novembre la qualità del biogas tende di nuovo ad
aumentare. La concentrazione di CH4, infatti, si riattesta intorno al 60%.

OTT07-Concentrazione
Concentrazione gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0 [CH4]-F1
57,5
55,0 [CH4]-F2
52,5 [CH4]-M
50,0
1/10
2/10
3/10
4/10
5/10
6/10
7/10
8/10
9/10
10/10
11/10
12/10
13/10
14/10
15/10
16/10
17/10
18/10
19/10
20/10
21/10
22/10
23/10
24/10
25/10
26/10
27/10
28/10
29/10
30/10
31/10

Giorni

Grafico n°24

124
NOV07-Concentrazione
Concentrazione del gas metano all'interno del biogas
75,0
72,5
70,0
67,5
65,0
% 62,5
60,0
57,5 [CH4]-F1
55,0
52,5 [CH4]-F2
50,0
[CH4]-M
1/11
2/11
3/11
4/11
5/11
6/11
7/11
8/11
9/11
10/11
11/11
12/11
13/11
14/11
15/11
16/11
17/11
18/11
19/11
20/11
21/11
22/11
23/11
24/11
25/11
Giorni

Grafico n°25

I digestori di Mantovagricoltura sono stati controllati con cadenza regolare


tramite analisi chimiche effettuate sul digestato presente all’interno di entrambi
i fermentatori. Il contratto
tto fra Mantovagricoltura ed il Laboratorio che eseguiva i
campionamenti ha permesso di seguire l’attività fino al termine del mese di
luglio. Per questo motivo i dati a nostra disposizione terminano in
corrispondenza di quel periodo. Le analisi avevano lo scopo rilevare le
concentrazioni degli acidi, dell’azoto totale ed ammoniacale. Anche il pH è
stato misurato in concomitanza di queste analisi, sebbene gli addetti alla
conduzione dell’impianto siano in grado di verificare il parametro tramite
l’impiego dii strumenti portatili.

I risultati ottenuti sono riportati nei grafici seguenti. Si noti che


precedentemente alla data d’avvio dell’impianto (prima del mese di dicembre
2006), cioè prima che si attuasse la vera e propria codigestione delle varie
matrici, sono
ono stati effettuati campionamenti sul digestato, in quel periodo, però,
costituito essenzialmente da liquami bovini digeriti.

La prima serie di grafici, contraddistinta con F1, si riferisce al fermentatore 1,


mentre con F2 si fa riferimento al fermentatore
fermentat 2.

I valori della concentrazione degli acidi e dell’azoto sono espressi in mg/l.

125
Concentrazione acidi (F1)
C
55000
o
n
50000
c 45000
40000
a 35000
c 30000 ac.acetico
i
25000 ac. propionico
d
20000
o ac. Iso-butirrico
15000
(

m
10000 ac butirrrico
g 5000 ac TOT
/ 0
L
26/10
6/11
20/11
6/12
19/12
9/1
23/1
13/2
27/2
13/3
28/3
17/4
9/5
5/6
31/7
)

Data analisi

Grafico n° 26a

Concentrazione acidi (F1)post-avvio


(F1)post
C
25000
o
n22500
c20000
17500
a
15000
c ac.acetico
i 12500
d 10000
ac. propionico
o 7500 ac. Iso-butirrico
5000 ac butirrrico
(

m
g 2500
ac TOT
/ 0
26/10
6/11
20/11
6/12
19/12
9/1
23/1
13/2
27/2
13/3
28/3
17/4
9/5
5/6
31/7

L
)

Data analisi

Grafico n°26b

Dai grafici si percepisce chiaramente come nel periodo pre-avvio


pre le
concentrazioni dell’acidità totale e dell’acido acetico siano eccessivamente
elevate(il
(il loro valore è così alto da risultare fuori scala nei grafici relativi al
post- avvio). Si raggiungono, infatti, livelli d’acidità totale prossimi a 55000

126
mg/l, con l’acido acetico che è il componente
component presente
nte in maggiore quantità.
Nella fase che interessa il nostro studio, cioè quando
quando ai fermentatori sono stati
aggiunti l’idrobios e gli insilati, la situazione è divenuta più stabile e, nell’arco di
circa 40 giorni, l’acidità totale è passata a quota 9000 mg/l.
mg/l. In questo stesso
periodo, la concentrazione più elevata spetta all’acido propionico, a scapito di
quello acetico. Quest’ultima situazione non muterà più in entrambi i
fermentatori. La diminuzione dell’acidità si è protratta fino alla metà del mese
di febbraio.
ebbraio. E’ proprio in questo periodo che il suo valore raggiunge il minimo:
5000 mg/l. Anche in questo caso la stessa situazione si è verificata per
entrambi i digestori.

Da questo momento in poi i valori dell’acidità totale hanno di nuovo iniziato ad


aumentare
mentare in maniera graduale.

Concentrazioni NH₄⁺-N;
NH N-tot (F1)
12000
C 11000
o 10000
n 9000
c 8000
7000
6000
(

m 5000
"NH4+/N"
g 4000
/ 3000 "N-tot"
L 2000
1000
)

0
26/10

6/11

20/11

6/12

19/12

9/1

23/1

13/2

27/2

13/3

28/3

17/4

9/5

5/6

31/7

Data analisi

Grafico n°27

127
Le concentrazioni dell’azoto sono risultate piuttosto altalenanti, in entrambi i
digestori. A repentini aumenti sono succedute altrettanto repentine diminuzioni
delle concentrazioni sia dell’azoto
dell’ totale (N-tot)) che dell’azoto ammoniacale
(NH4+-N) . I picchi massimi della concentrazione dell’azoto, per i due
fermentatori si sono avuti in corrispondenza dell’analisi del 17/04/2007. Per
l’F1 l’NH4+-N è presente alla concentrazione 4758
4758 mg/l, mentre l’N-tot
l’N si
attesta su valori prossimi a 9690 mg/l. Per l’F2, in pari data, la concentrazione
dell’NH4+-N è risultata di 8160 mg/l, mentre per l’N-tot
l’N ha raggiunto 10445. I
valori iniziali e finali sono pressoché uguali, nonostante che durante
duran il periodo
di studio dell’impianto le fluttuazioni siano risultate piuttosto ampie.

pH(F1)
9,00
8,75
8,50
8,25
8,00
P
7,75 y = 0,028x + 7,812
h 7,50 R² = 0,158
7,25 "pH"
7,00
6,75 Lineare ("pH")
6,50
26/10
6/11
20/11
6/12
19/12
9/1
23/1
13/2
27/2
13/3
28/3
17/4
9/5
5/6
31/7

Data analisi

Grafico n°28

Chiaramente il pH appare inversamente correlato alla concentrazione degli


acidi. Quanto appena indicato si rileva in modo più marcato nel fermentatore
1.La tendenza generale dei digestori è quella di presentare pH basico, con
valori generalmente compresi fra 8 e 8,5.

128
Concentrazione acidi (F2)
C
55000
o
50000
n
c
45000
40000
a 35000
c 30000 ac acetico
i 25000
20000 ac propionico
d
o 15000 ac iso-butirrico
10000
ac butirrico
(

m 5000
g 0 ac TOT
/
26/10
6/11
20/11
6/12
19/12
9/1
23/1
13/2
27/2
13/3
28/3
17/4
9/5
5/6
31/7
L
)

Data analisi

Grafico n°29a

Concentrazione acidi (F2)post-avvio


(F2)post
C
25000
o
n 22500
c 20000
17500
a
15000
c ac acetico
i 12500
d ac propionico
10000
o ac iso-butirrico
7500
5000
(

m
ac butirrico
g 2500
ac TOT
/ 0
L
9/1

9/5
5/6
26/10
6/11
20/11
6/12
19/12

23/1
13/2
27/2
13/3
28/3
17/4

31/7
)

Data analisi

Grafico n°29b

129
12000
Concentrazioni NH₄⁺-N;
NH N-tot (F2)
C 11000
o 10000
9000
n 8000
c 7000
6000
5000
(

m 4000 "NH4+/N"
g 3000
/ 2000 "N-tot"
1000
L
0
)

26/10

6/11

20/11

6/12

19/12

9/1

23/1

13/2

27/2

13/3

28/3

17/4

9/5

5/6

31/7
Data analisi

Grafico n°30

pH(F2)
9,00
8,75
8,50
8,25
8,00
7,75 y = 0,070x + 7,383
P
7,50 R² = 0,445
h 7,25
7,00 "pH"
6,75 Lineare ("pH")
6,50
6,25
6,00
26/10

6/11

20/11

6/12

19/12

9/1

23/1

13/2
27/2

13/3

28/3

17/4

9/5

5/6

31/7

Data analisi

Grafico n°31

Per quanto riguarda le analisi microbiologiche, i risultati ottenuti sono riportati


nella seguente tabella.

Con i numeri 1 e 2 sono indicati i campioni rappresentativi dei corrispondenti


digestori.

130
Unità di Risultati ottenuti Metodica
Parametri ricercati: misura
1 2 analitica

Temperatura al prelievo °C 41,6 41,2 Strumentale

Conta delle colonie a 30°C UFC/g 2,2.1012 8.1012 ISO 4833:2004

Conta delle colonie termofile UFC/g 2,8.1010 3.1010 ISO 4833:2004

Escherichia coli UFC/g <10 <10 ISO 16649-2:2001

Salmonella spp 25g assente assente ISO 6579:2004

Enterobatteriacee UFC/g <10 <10 ISO 21528-2:2004

Clostridi solfito riduttori UFC/g 2,1.104 2.103 UNI EN ISO


7937:2005

Clostridi non solfito riduttori UFC/g 3.106 2.104 UNI EN ISO


7937:2005

Muffe UFC/g <10 <10 ISO 7954:1987

Lieviti UFC/g 1,5.102 1,3.102 ISO 7954:1987

Tabella n°6

Per l’odore fortemente fermentativo dei campioni analizzati, ci aspettavamo un


elevato numero di enterobatteriacee: in realtà le analisi hanno evidenziato che
le colonie di tale famiglia, fortemente stressate, non sono state in grado di
riprodursi nei normali terreni adoperati per la numerazione; solo con il terreno
di prearricchimento, usato per la salmonella, si sono sviluppate colonie
identificate come Proteus e Klebsiella.

Discussione

L’impianto di digestione anaerobica di Mantovagricoltura attua la


cofermentazione di matrici vegetali ed animali per ottenere un’elevata
produzione di biogas.

La componente animale della miscela avviata alla digestione anaerobica è


sicuramente in grado di fornire un’importante produzione di biogas perché

131
ricca di proteine e grassi che presentano elevate rese metanigene. Anche gli
insilati impiegati sono eccellenti substrati da fermentare perché ricchi di
zuccheri fermentescibili. Possiamo quindi affermare che la dieta fornita ai
digestori è sicuramente ideale dal punto di vista dei rendimenti delle matrici
impiegate.

Dall’analisi dei dati elaborati per conoscere le rese di questi materiali,


rileviamo innanzitutto un picco iniziale dei rendimenti che si verifica proprio a
ridosso dell’inizio dell’attività dell’impianto, quando, cioè, l’equilibrio chimico-
trofico dei digestori è ancora adeguato ad un positivo sviluppo della biomassa
microbica fermentante. Dopodiché si è verificato un calo continuo delle rese di
biogas, anche se il loro valore assoluto rimane di tutto rispetto, attestandosi
intorno ai 940 m3/t s.s. Riteniamo utile ricordare che nei primi mesi d’analisi il
dato dei rendimenti si attestava oltre i 2000 m3/t s.s.

Le stesse considerazioni sono ripetibili per l’analisi dei dati riferiti alla qualità
del biogas prodotto. Anche qui la concentrazione del CH4 era maggiore nei
mesi di gennaio, febbraio e marzo. In questo periodo il tenore di metano si
attestava intorno al 65%. Poi, con il passare del tempo, la percentuale è scesa
al 55-60%. Tali valori sono sicuramente normali per un impianto di queste
caratteristiche, ma, visto che i substrati impiegati sono di ottimo livello e
considerato che, comunque, l’impianto è stato in grado di produrre biogas di
maggiore qualità, è d’obbligo considerare ulteriori aspetti.

A tale scopo, sono utili le analisi chimiche che riguardano le condizioni di


esercizio dei reattori. L’osservazione dei risultati mette chiaramente in
evidenza che in corrispondenza della bassa concentrazione degli acidi, i
rendimenti dei substrati erano più consistenti rispetto ai periodi in cui la
concentrazione degli stessi acidi organici aumentava considerevolmente.

Tale situazione potrebbe dipendere da un mutamento di condizioni ambientali


e trofiche che si esplicano all’interno dei reattori e che si ripercuotono sulla
efficienza di trasformazione delle varie famiglie batteriche presenti.

132
Per questo motivo riteniamo importante approfondire il tema dei lipidi, come
precursori d’acidi grassi volatili, che si accumulano nei reattori causando
problemi d’inibizione dell’attività di degradazione batterica.

Nell’impianto oggetto di studio la fonte di lipidi è rappresentata, per la maggior


parte dall’idrobios il quale, per la sua stessa formulazione, è costituito da molti
grassi animali.

Nello studio di Cirne et al. è stata valutata l’influenza della concentrazione


lipidica sull’idrolisi e sulla biometanogenesi di un substrato ricco di lipidi
prodotto artificialmente in laboratorio, con lo scopo di verificarne gli effetti sulla
digestione anaerobica. L’esperimento è stato condotto impiegando
concentrazioni crescenti di lipidi, valutate sulla base della loro richiesta
chimica d’ossigeno (COD). Le concentrazioni di lipidi impiegate
nell’esperimento sono state di 5-10-18-31-40-47 (% peso/peso). La ripresa
della piena produzione di metano dalla fase d’inibizione causata dall’aggiunta
di lipidi è stata pari al 100% in tutte le tesi prese in considerazione, ad
eccezione di quella stressata con il maggiore apporto di lipidi. In questo studio
è stata altresì valutata l’influenza dell’aggiunta di lipasi sulle fasi di
metanogenesi, considerandone gli effetti di ulteriore inibizione. In un ambiente
anaerobico i lipidi sono idrolizzati in acidi grassi e glicerolo. Questo processo è
catalizzato da una lipasi extracellulare che è escreta dai batteri idrolitici.
L’ulteriore conversione dei prodotti di idrolisi ha luogo all’interno della cellula
batterica. Il glicerolo è convertito in acetato tramite acidogenesi mentre gli
acidi grassi a catena lunga sono convertiti in acetato o propionato a seconda
del tipo d’acido grasso utilizzato. Durante questa fase, in base al livello
d’efficienza dei batteri metanigeni idrogenotrofi, può essere liberato anche
dell’idrogeno.

E’ stato rilevato che gli acidi grassi a catena lunga hanno effetto tossico acuto
sull’attività anaerobica di alcuni batteri, sia idrogenotrofi che acetoclastici; in
molti casi questo effetto tossico risulta essere permanente.[15]

133
Impiegando una tecnologia sperimentale di digestione anaerobica che
prevede la continua miscelazione dei substrati, si è appurato, durante la fase
di metanogenesi, che l’iniziale fase di “lag” può essere attribuita alla rapida
costruzione di acidi grassi volatili (sia a catena lunga che a catena corta) [15]

Dopo il ventunesimo giorno di digestione la concentrazione dell’acetato, del


propionato e del butirrato sono simili, ad eccezione della tesi con il 47% di
lipidi. Dopo il quindicesimo giorno l’acetato e il butirrato decrescono
sensibilmente mentre il propionato rimane alto. Alla fine dell’esperimento la
concentrazione degli acidi grassi a catena corta appena visti è molto bassa (<
2 g/L). [15]

Il fatto che il profilo degli acidi risulti simile (ad eccezione della tesi al 47% di
lipidi) e che l’inibizione della produzione di biogas si sia registrata per le tesi al
31% e al 40% di lipidi indica che gli acidi grassi a catena corta non sono i
principali responsabili dell’inibizione della produzione di gas. Questa ipotesi è
avvalorata ulteriormente dal fatto che l’inibizione generalmente si verifica dopo
che la concentrazione degli acidi a catena corta si è abbassata.

I risultati, invece, indicano che l’acetogenesi è inibita dagli acidi grassi a


catena lunga in tutte le tesi, indipendentemente dalla percentuale di lipidi con
le quali queste siano state arricchite. Il lavoro di Cirne et al. individua nell’acido
palmitico il principale responsabile del fenomeno.

L’aggiunta dell’enzima lipasi ha inibito ulteriormente la produzione di biogas


poiché, liberando nuovi acidi grassi volatili, viene diminuita ulteriormente la
capacità del sistema di metabolizzarli. La tesi alla quale era stata aggiunta la
massima quantità di enzima ha presentato un tasso di inibizione maggiore.

Anche se in questo studio gli acidi grassi a lunga catena vengono considerati i
responsabili del decremento della produzione di biogas, va sottolineato però
che l’acido propionico, avendo un turnover piuttosto breve (1h), può causare
tossicità anche molto spinta a seguito di accumulo. Probabilmente questo
meccanismo si verifica anche nei digestori oggetto del nostro studio, poiché se

134
in letteratura è indicato che la concentrazione di tale acido non deve superare
la soglia di 3000 mg/L [2], nel nostro caso si attesta mediamente sui 10000
mg/L.

In letteratura è presente anche un ulteriore studio di Chen et al. che si occupa


della individuazione e della descrizione di tutte le possibili cause di inibizione
della metanogenesi. Anche in questo caso gli acidi grassi volatili in eccesso
sono considerati un fattore fortemente stressante per i batteri metanigeni.

Nello studio si afferma che gli acidi grassi volatili a catena lunga possono
causare inibizione già a basse concentrazioni a carico dei batteri gram-positivi,
mentre lo stesso non si verifica per quelli gram-negativi [16].

Gli acidi grassi a catena lunga dimostrano tossicità acuta nei confronti del
consorzio batterico a seguito del loro adsorbimento all’interno della parete e
della membrana cellulare che causa interferenze a livello di trasporto e di
azione protettiva di questi due apparati cellulari [16]

L’assorbimento di un sottile strato di acidi grassi alla biomassa, porta alla


flottazione della stessa con il conseguente pericolo che venga dilavata ancora
prima che possa essere colonizzata dai batteri del consorzio batterico
anaerobico.

Nei reattori di tipo UASB la flottazione dei fanghi granulari può avvenire ancora
prima che gli acidi grassi possano diventare tossici [16].

Proprio la natura fisica del materiale in digestione può essere la causa del più
o meno elevato grado di tossicità degli acidi, poiché se la natura e la
granulometria del materiale in sospensione all’interno dei digestori è elevata,
questi presenteranno anche una maggiore area superficiale che potrà essere
ricoperta dal film lipidico.

Più in generale si ricorda quanto da tempo appurato, e cioè che la digestione


di materiali ricchi in lipidi può causare occlusioni all’interno dei fermentatori a
causa della formazione di blocchi anche di rilevante dimensione, costituiti da

135
grassi e biomassa fermentante. Questo fa sì che le matrici organiche da
valorizzare tramite la digestione non siano degradate correttamente. Inoltre la
biomassa batterica che colonizza queste concrezioni può essere dilavata via
tramite l’allontanamento delle occlusioni neo-formate, determinando una
perdita di microrganismi atti alla fermentazione.

Gli ultimi rilevamenti hanno stabilito che la concentrazione degli acidi totali è,
per entrambi i digestori, pari a circa 20000 mg/l. Una concentrazione d’acidi
così elevata ha agito negativamente sulla presenza di batteri afferenti alla
famiglia delle Enterobacteriacee che risultano presenti con un numero esiguo
di popolazioni. L’assetto microbiologico è sicuramente influenzato da un
ambiente chimico abbastanza estremizzato.

I substrati d’origine animale che vengono cofermentati unitamente agli insilati,


sono ricchi di proteine. Come si può desumere dalla Tabella 1, che riassume i
risultati delle analisi effettuate su un campione d’idrobios, la quantità d’azoto
organico ed azoto organico solubile nonché il basso rapporto C/N causano un’
elevata produzione di N-tot ed NH4+-N a livello dei digestori. Infatti, le analisi
dei bioreattori ci dicono che la loro concentrazione media, sia per il
fermentatore 1 che per il 2, è di circa 7000 mg/l nel primo caso e 5000mg/l nel
secondo. Eccessive dosi d’azoto sono riscontrabili anche nel digestato della
vasca di stoccaggio (7,4 Kg/t).

Nello studio di Chen et al. si identifica anche nell’ammonio una causa di


tossicità per il consorzio batterico anaerobico. Tale tossicità, secondo lo
studio, si verifica perché esso determina una variazione del pH intracellulare,
causa una aumento dell’energia richiesta per il mantenimento della cellula
batterica e favorisce l’inibizione di specifiche reazioni enzimatiche.

L’NH3 è la principale forma di azoto ammoniacale presente nelle soluzioni


acquose [10].

Nel lavoro di Chen et al. si ipotizza poi che l’NH3 sia la principale causa di
inibizione poiché è permeabile alle membrane batteriche. Trattandosi di una

136
molecola idrofoba, può diffondere passivamente all’interno della cellula
causando squilibri protonici e carenza di potassio.

Fra i quattro tipi di microrganismi anaerobici, i batteri metanigeni sono i meno


tolleranti nei confronti della presenza dell’NH3 e subiscono un repentino calo
del loro tasso di crescita. [16]

Se la concentrazione dell’NH3 incrementa da 4051 a 5734 mg/l la popolazione


acidogenica risulta stressata, mentre la popolazione metanogenica perde il
56,5% della sua attività.[16]

In diverse condizioni d’esercizio, concentrazioni d’ammonio comprese fra 1700


e 14000 mg/l sono risultate inibenti il processo di metanogenesi. [16]

I valori indicati sono compatibili con quelli tipici dei digestori oggetto del nostro
studio e questo ci induce ad affermare che deve essere prestata molta
attenzione, oltre che alla concentrazione degli acidi organici, anche alla
problematica dell’azoto.

Ci sono informazioni contrastati circa la maggiore o minore sensibilità all’NH3


dei batteri metanigeni acetoclastici o idrogenotrofi. Alcuni studi [16] riportano
come il minor tasso di crescita e la minore produzione di biogas siano
imputabili ai batteri acetoclastici.

Un’attenta analisi va effettuata riguardo alle interazioni fra le varie forme di


azoto ammoniacale e il pH del mezzo. Se l’azoto ammoniacale è dannoso al
consorzio batterico, lo diviene ancora di più per valori di pH spostati verso la
basicità.

Questo risvolto biochimico si esplica poiché all’aumentare del pH aumenta il


rapporto NH3/NH4. L’ instabilità delle forme dell’azoto determina squilibri nei
processi metabolici che conducono alla degradazione degli acidi grassi
causando un accumulo degli stessi. Conseguentemente a quest’ultimo
aspetto, assistiamo ad un abbassamento del pH che si traduce nella
diminuzione del rapporto NH3/NH4; per diminuzione della quota di NH3.

137
La situazione appena vista si potrebbe paragonare a quella dell’’impianto di
Mantovagricoltura, dove si verificherebbe, in base ai dati da noi raccolti, una
sorta di equilibrio dinamico che rende il sistema in grado di continuare a
lavorare, ma che determina, nel tempo, un calo dei rendimenti delle matrici
apportate. L’eccellente qualità dei substrati d’origine animale mantiene alta la
produzione di biogas però nasconde problematiche d’indubbia incidenza sulla
efficienza complessiva dei digestori.

Conclusioni

La digestione anaerobica, tramite codigestione di biomasse d’origine animale


e vegetale, è una risorsa economico-energetica d’interesse attuale e
d’indubbio valore ambientale. Per questi motivi, il suo impiego si sta
diffondendo abbastanza velocemente anche in Italia, dato che risulta in grado
di fornire agli agricoltori una nuova fonte di reddito, purché inserita in un
contesto aziendale attento e rispondente all’esigenze di tipo tecnologico e
ambientale. In relazione a ciò, il nostro lavoro, ha considerato proprio la realtà
di un impianto all’avanguardia per la fermentazione di matrici di origine
vegetale ed animale. La sua ubicazione, in piena pianura Padana, lo inserisce
in un contesto economico di alta produttività, caratterizzato da un elevato
grado di incidenza agricola e zootecnica. Per questo motivo i gestori
dell’impianto possono usufruire di substrati con caratteristiche idonee per una
loro valorizzazione anaerobica efficiente, cosa che in altri contesti territoriali
potrebbe risultare di difficile replicazione.

Il lavoro svolto ha seguito due punti focali di sviluppo. Il primo riguarda proprio
la valutazione dell’efficienza di questo insediamento energetico attraverso la
determinazione dei rendimenti dei substrati impiegati. Il secondo punto è
riferito, invece, essenzialmente ad un’analisi microbiologica del consorzio
batterico insediato nei digestori.

Durante la caratterizzazione di questi due aspetti è emerso chiaramente che


essi risultano strettamente correlati, poiché sono, essenzialmente, le due
facce di una stessa medaglia.
138
In termini assoluti, il rendimento dei substrati impiegati è risultato essere di
buon livello e quindi d’interesse pratico applicativo.

Durante la fase iniziale d’esercizio dell’impianto, i m3 di biogas prodotti per


tonnellata di sostanza secca hanno superato anche le 2000 unità, per poi
scendere fino a valori compresi fra 500 e 1000. In corrispondenza degli ultimi
periodi di studio dell’impianto il dato del rendimento si è attestato su valori
medi intorno ai 950 m3 /t s.s.

Questi dati riflettono quanto indicato in bibliografia per la codigestione di


matrici con caratteristiche paragonabili a quelle impiegate nell’impianto di
Mantovagricoltura.

Il nostro studio ha altresì consentito di porre in evidenza problematiche relative


alla situazione trofico metabolica ed ambientale dei reattori poiché i livelli di
concentrazione degli acidi organici (in particolar modo del propionico) sono
molto elevati e sicuramente eccessivi rispetto alla condizione di “marcia”
ideale. Questa problematica è speculare a quella delle concentrazioni d’azoto
ammoniacale (NH4+) e d’azoto totale (misurato come NH4+). Infatti, anche la
loro presenza supera, di molto quella che dovrebbe essere tollerata in normali
condizioni di funzionamento. Gli squilibri che ne derivano fanno sì che
avvenga un calo della produzione di biogas, o meglio, pur restando comunque
su valori elevati, l’impianto non riesce più ad esprimere l’efficienza produttiva
massima, sul livello di quella fornita in corrispondenza della fase d’avvio
dell’impianto.

Ne consegue, allora, che una corretta analisi di un impianto di questo tipo


debba attentamente considerare gli effetti che matrici diverse, impiegate
congiuntamente per l’alimentazione dei digestori, possono avere sugli equilibri
biochimici del sistema. I nostri studi hanno dimostrato che la qualità
nutrizionale dell’idrobios è elevatissima. Nonostante questo, il suo impiego,
deve essere sempre “ponderato” attentamente poiché è chiaro che una grossa
percentuale dell’azoto e degli acidi organici in eccesso, cui sopra abbiamo
fatto riferimento, derivano proprio da questo substrato.
139
Per questa ragione è indispensabile pervenire ad una cofermentazione
bilanciata, che preveda sempre l’apporto di insilati in quantità adeguata al
fabbisogno giornaliero. Il tutto nel rispetto della resa e qualità del biogas
prodotto, che risultano strettamente collegate al tipo di “dieta” dei
microrganismi. Ogni variazione, come è noto, altera, in genere, il rendimento
dei reattori. Dalla sperimentazione da noi svolta è emerso chiaramente che
l’idrobios ha una resa in biogas (quantità e qualità) superiore a quella ottenuta
con i soli materiali d’origine vegetale. Gli insilati contengono, infatti, quantità
più o meno rilevanti di lignina che appare recalcitrante alla digestione
anaerobica. In ogni caso, comunque, dalla nostra sperimentazione viene
confermato che gli insilati apportano una buona quantità di zuccheri
mantenendo, allo stesso tempo, una sorta di “granulometria” nel materiale in
fermentazione che limita la formazione di grossi coaguli di lipidi che
potrebbero abbattere i rendimenti.

A questo punto appare legittimo porsi la seguente domanda: ma allora,


perché non alimentare per intero un fermentatore anaerobico solo con
idrobios? La sperimentazione condotta ci permette di poter affermare, al di
sopra di ogni ragionevole dubbio, che questa scelta sarebbe molto rischiosa
per gli equilibri microbiologici esistenti nel digestore, equilibri estremamente
delicati e suscettibili d’incrinarsi, con gravi conseguenze per la sostenibilità
economica dell’impianto. La motivazione di questa tentazione ha due basi
serie: la prima, l’elevato prezzo dei cereali; la seconda, di natura
essenzialmente morale: è giusto interferire con le catene alimentari del food e
del feed per produrre biogas e, quindi, per cogenerazione, energia elettrica e
termica? Per questi motivi auspichiamo che, in un prossimo futuro, l’attenzione
delle istituzioni e dei ricercatori venga finalizzata ad individuare nuove piante,
in grado di sostituire al meglio i cereali nella fermentazione anaerobica.

Dall’attività fin qui svolta, stante la complessità della tematica oggetto di


ricerca, risulta di sicuro interesse indagare metodi che permettano di abbattere

140
le “specie” chimiche indesiderate. Per gli acidi organici, il compito è molto
difficile perché sono conosciute sole poche soluzioni tecnologiche in grado di
diminuire la concentrazione di questi composti. Sarebbe, ad esempio,
possibile aggiungere del calcio per favorire la produzione di sali che,
precipitando, allontanerebbero gli acidi dalla soluzione, ma questa possibilità -
è già riportato in bibliografia- ha solo effetti modesti e temporanei, tanto da
essere considerata solo un palliativo.
Per quanto riguarda l’azoto, invece, esistono alcune soluzioni interessanti. E’
possibile effettuare l’eliminazione dello ione ammonio tramite “stripping”
oppure precipitazione chimica. Noi abbiamo verificato, come soluzione
migliore, la semplice ed economica pratica che prevede la sospensione del
rimescolamento dei substrati mezz’ora prima e dopo l’aggiunta di nuovi
materiali ai digestori. Questa precauzione operativa ha aumentato l’HRT
dell’impianto, ma ha diminuito la presenza di sostanza organica nell’effluente
poiché le particelle solide si depositano maggiormente sul fondo del digestore.
L’aumento del tempo di ritenzione idraulica determina una riduzione dei
fenomeni d’inibizione. Anche l’aggiunta di materiali adsorbenti come le zeoliti,
noi abbiamo sperimentato la clinoptilolite, appare d’interesse, stante l’affinità
di quest’ultima per lo ione ammonio. In tal caso si ha un vero e proprio
“sequestro” di tale ione, che riduce così la sua azione inibente. Allo stesso
tempo i microrganismi batterici si fissano su questi substrati e non vengono
dilavati tramite lo spurgo del digestato esausto, impedendo la perdita di
biomassa attiva.
Doverosamente si precisa, però, che quest’aspetto, stante la sua complessità,
sarà oggetto di ulteriori specifici studi, magari effettuati su un idoneo impianto
pilota.

141
APPENDICE

NORMATIVA

ASPETTI NORMATIVI CHE REGOLANO LA PRODUZIONE, LA


GESTIONE E LA RETRIBUZIONE DEL BIOGAS E DELL’ ENERGIA
ELETTRICA OTTENUTI DA FONTI RINNOVABILI

In questo capitolo verranno prese in considerazione le leggi ed i regolamenti


che, a vari livelli, hanno come scopo la regolamentazione della produzione e
della retribuzione del biogas e dell’energia elettrica da esso derivata.
Sicuramente non è semplice districarsi tra i vari articoli delle singole leggi, ma
è utile considerare quelle norme più recenti che, sull’onda del sempre più fitto
dibattito riguardante le fonti energetiche rinnovabili, hanno lo scopo di rendere
efficiente un mercato che sta vivendo oggi un forte sviluppo. In particolare
verranno messi in luce gli articoli più interessanti della legge finanziaria 2008,
nonché del Decreto legge 159/2007 convertito in legge 222/07. Attenzione
sarà riposta anche nei confronti del Regolamento CE 1774/2002 che riguarda
la gestione delle biomasse animali impiegate come substrato nella
fermentazione anaerobica. Se le leggi precedentemente indicate interessano
tutti gli impianti di digestione anaerobica, in quanto rivolte a caratterizzare
l’incentivazione delle produzioni, quest’ultimo regolamento è di particolare
interesse perché riguarda direttamente gli impianti di Mantovagricoltura,
azienda che impiega come substrato fermentante una materia prima ottenuta
da scarti di macellazione.

FINANZIARIA 2008

La costruzione delle filiere energetiche e non-food rimane una sfida aperta per
il nostro sistema agroalimentare, ma anche per l’intero Paese, dato anche il
costo crescente dei carburanti di origine fossile.

Il comma 144 dell’articolo 2 della legge finanziaria 2008 dice che, “La
produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati da fonti

142
energetiche rinnovabili, di potenza nominale media annua superiore ad 1MW è
incentivata mediante il rilascio di certificati verdi per un periodo di 15 anni[…]”.
Il comma 145, invece, dà il via alla retribuzione dell’energia elettrica tramite
tariffa omnicomprensiva, in sostituzione dei certificati verdi, per gli impianti con
potenza installata non superiore ad 1MW. E’ però indicato che il produttore
potrà sempre scegliere il sistema di incentivazione che preferisce. Infatti, al
suo interno, è riportato che: “La produzione di energia elettrica mediante
impianti alimentati da fonti energetiche rinnovabili, di potenza nominale media
annua non superiore a 1MW, immessa nel sistema elettrico, ha diritto, in
alternativa ai certificati verdi di cui al comma 144 e su richiesta del produttore,
a una tariffa fissa omnicomprensiva di entità variabile a seconda della fonte
utilizzata […] per un periodo di 15 anni, fermo restando quanto disposto a
legislazione vigente in materia di biomasse agricole, da allevamento e forestali
ottenute nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro oppure di filiere corte.
Al termine di tale periodo, l’energia elettrica è remunerata, con le medesime
modalità, alle condizioni economiche previste dall’articolo 13 del decreto
legislativo 29 dicembre 2003, n.387. La tariffa omnicomprensiva di cui al
presente comma può essere variata, ogni tre anni, con decreto del Ministro
dello sviluppo economico, assicurando la congruità della remunerazione ai fini
della incentivazione dello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.”

I commi 147 e 148 dell’articolo 2 riguardano, rispettivamente, il valore unitario


del certificato verde ed il suo prezzo di mercato.

In particolare, nel comma 147 è riportato che: “ A partire dal 2008, i certificati
verdi, ai fini del soddisfacimento della quota d’obbligo di cui all’articolo 11,
comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n.79, hanno un valore
unitario pari a 1MW e vengono emessi dal Gestore dei servizi elettrici (GSE)
per ciascun impianto a produzione incentivata di cui al comma 143, in numero
pari al prodotto della produzione netta di energia elettrica da fonti rinnovabili
moltiplicata per il coefficiente, riferito alla tipologia della fonte […] fermo
restando quanto disposto a legislazione vigente in materia di biomasse

143
agricole, da allevamento e forestali ottenute nell’ambito di intese di filiera o
contratti quadro oppure di filiere corte.”.

Nel comma 148, in riferimento alla attribuzione del prezzo di mercato del
certificato verde, abbiamo che “A partire dal 2008, i certificati veri emessi dal
GSE […] sono collocati sul mercato a un prezzo, riferito al MWh elettrico, pari
alla differenza tra il valore di riferimento, fissato in sede di prima applicazione
di 180 euro per MWh, e il valore medio annuo del prezzo di cessione
dell’energia elettrica definito dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas in
attuazione dell’articolo 13, comma 3, del decreto legislativo 29 dicembre 2003,
n. 387, registrato nell’anno precedente e comunicato alla stessa autorità entro
il 31 gennaio di ogni anno a decorrere dal 2008. Il valore di riferimento e i
coefficienti […] possono essere aggiornati ogni tre anni, con decreto del
ministro dello sviluppo economico, assicurando la congruità della
remunerazione ai fini dell’incentivazione dello sviluppo delle fonti energetiche
rinnovabili.”

DECRETO LEGGE 159/2007, CONVERTITO IN LEGGE 222/07

Certificati verdi: la norma disciplina i certificati verdi per la produzione di


energia dalle biomasse, estendendo il diritto del godimento dei certificati verdi
per gli impianti avviati dopo il 1 aprile 1999.

Sono interessanti i seguenti commi dell’articolo 26 del suddetto decreto legge:

382-bis: La produzione di energia elettrica mediante impianti alimentati dalle


fonti di cui al comma 382 (cioè impianti alimentati a biomasse e biogas
derivanti da prodotti agricoli, di allevamento e forestali, ivi inclusi i
sottoprodotti, ottenuti nell’ambito di intese di filiera o contratti quadro ai sensi
degli articoli 9 e 10 del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102, oppure di
filiere corte, cioè ottenuti entro un raggio di 70 Km dall’impianto che li utilizza
per produrre energia elettrica, autorizzata in data successiva al 31 dicembre
2007) e di potenza elettrica superiore a 1 megawatt, è incentivata mediante il
rilascio di certificati verdi, per un periodo di 15 anni […].

144
382-ter: La produzione di energia elettrica per gli impianti visti nell’articolo
382-bis e di potenza elettrica non superiore ad 1 megawatt, immessa nel
sistema elettrico, ha diritto, in alternativa ai certificati verdi di cui al comma
382-bis e su richiesta del produttore, a una tariffa omnicomprensiva pari a 0,30
euro per ogni kWh, per un periodo di 15 anni. Al termine di tale periodo,
l’energia elettrica è remunerata, con le medesime modalità, alle condizioni
economiche previste dall’articolo 13 del decreto legislativo 29 dicembre 2003,
n. 387. La tariffa omnicomprensiva di cui al presente comma può essere
variata, ogni 3 anni, con decreto del Ministro dello sviluppo economico di
concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali,
assicurando la congruità della remunerazione ai fini dell’incentivazione dello
sviluppo di tali fonti.

382-quater: A partire dall’anno 2008, i certificati verdi, ai fini del


soddisfacimento della quota dell’obbligo di cui all’articolo 11, comma 1, del
decreto legislativo 16 marzo 1999, n.79, hanno un valore unitario pari ad 1
MWh e vengono emessi dal gestore del sistema elettrico (GSE) per ciascun
impianto a produzione incentivata, in numero pari al prodotto della produzione
di energia elettrica […] dell’anno precedente, moltiplicata per il coefficiente 1,8.
Tale coefficiente può essere aggiornato, ogni 3 anni […].

382-septies: Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e


forestali di concerto con il ministro dello sviluppo economico, da emanare
entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono
stabilite le modalità con le quali gli operatori della filiera di produzione e
distribuzione di biomasse e biogas derivanti da prodotti agricoli, di allevamento
e forestali, ivi inclusi i sottoprodotti, sono tenuti a garantire la tracciabilità e la
rintracciabilità della filiera, al fine di accedere agli incentivi di cui ai commi da
382 a 382-quinquies.

145
REGOLAMENTO (CE) N. 1774/2002

Di seguito sono riportati i tratti salienti del regolamento in discussione. Ai fini


della comprensione delle norme che debbono essere seguite per il corretto
esercizio dell’impianto di Mantovagricoltura, sono di seguito riportati gli articoli
ed i relativi commi che riguardano specificatamente i substrati impiegati in tale
impianto, tralasciando le parti di testo che non sono interessanti da questo
punto di vista.

Nell’ art. 1, il presente regolamento stabilisce le norme sanitarie e di polizia


sanitaria per: la raccolta, il trasporto, il magazzinaggio, la manipolazione, la
trasformazione e l'uso o l'eliminazione dei sottoprodotti di origine animale al
fine di evitare i rischi che tali prodotti potrebbero comportare per la salute
pubblica o degli animali.[18]
L’art. 2, invece, riporta l’elenco delle definizioni da prendere in considerazione
per la comprensione del testo del regolamento.
Ai fini del presente regolamento si applicano le definizioni seguenti:
a) sottoprodotti di origine animale: corpi interi o parti di animali o prodotti di
origine animale di cui agli articoli 4, 5 e 6, non destinati al consumo umano, ivi
compresi gli ovuli, gli embrioni e lo sperma;
b) materiali di categoria 1: sottoprodotti di origine animale di cui all'articolo 4;
c) materiali di categoria 2: sottoprodotti di origine animale di cui all'articolo 5;
d) materiali di categoria 3: sottoprodotti di origine animale di cui all'articolo 6;

L’art. 3 riporta gli obblighi generali per la corretta gestione dei materiali
sovrariportati.
Obblighi generali: I sottoprodotti di origine animale e i prodotti da essi derivati
sono raccolti, trasportati, immagazzinati, manipolati, trasformati, eliminati,
immessi sul mercato, esportati, trasportati in transito e utilizzati in conformità
del regolamento.

L’impianto di Mantovagricoltura impiega come substrati per la valorizzazione


anaerobica sottoprodotti di origine animale afferenti alla categoria 3 del
146
regolamento. Nell’ art.6 del regolamento stesso si legge che tali materiali sono
classificabili nel seguente modo:
a) parti di animali macellati idonee al consumo umano in virtù della normativa
comunitaria, ma non destinate al consumo umano per motivi commerciali;
b) parti di animali macellati dichiarate inidonee al consumo umano, ma che
non presentano segni di malattie trasmissibili all'uomo o agli animali e
provenienti da carcasse idonee al consumo umano in virtù della normativa
comunitaria;
c) pelli, zoccoli e corna, setole di suini e piume ottenuti da animali macellati in
un macello dopo aver subito un'ispezione ante mortem e considerati, in
seguito a detta ispezione, idonei alla macellazione ai fini del consumo umano
in virtù della normativa comunitaria;
d) sangue ottenuto da animali, esclusi i ruminanti, macellati in un macello dopo
aver subito un'ispezione ante mortem e considerati, in seguito a detta
ispezione, idonei alla macellazione ai fini del consumo umano in virtù della
normativa comunitaria;
e) sottoprodotti di origine animale ottenuti dalla fabbricazione di prodotti
destinati al consumo umano, compresi i ciccioli e le ossa sgrassate;
f) prodotti alimentari di origine animale o contenenti prodotti di origine animale,
esclusi i rifiuti di cucina e ristorazione che, anche se lo erano originariamente,
non sono più destinati al consumo umano per motivi commerciali o a causa di
problemi di lavorazione o di difetti d'imballaggio o di qualsiasi altro difetto, che
non presentino alcun rischio per la salute umana o animale;
g) latte crudo proveniente da animali che non presentano sintomi clinici di
malattie trasmissibili all'uomo o agli animali attraverso tale prodotto;
h) pesci o altri animali marini, ad eccezione dei mammiferi, catturati in alto
mare e destinati alla produzione di farina di pesce;
i) sottoprodotti freschi dei pesci provenienti da impianti che fabbricano prodotti
a base di pesce destinati al consumo umano;

147
j) gusci, sottoprodotti dei centri di incubazione e sottoprodotti ottenuti da uova
incrinate provenienti da animali che non presentavano segni clinici di malattie
trasmissibili all'uomo o agli animali attraverso tali prodotti;
k) sangue, pelli, zoccoli, piume, lana, corna, peli e pellicce ottenuti da animali
che non presentavano segni clinici di malattie trasmissibili all'uomo o agli
animali attraverso tali prodotti;
l) rifiuti di cucina e ristorazione non contemplati all'articolo 4, paragrafo 1,
lettera e).
Nel comma 2 dell’articolo 6 si legge che “i materiali afferenti a questa
categoria possono essere quindi trasformati in un impianto di produzione di
biogas o un impianto di compostaggio riconosciuti a norma dell'articolo 15.”
L’ art. 7 riguarda la raccolta, il trasporto ed il magazzinaggio dei materiali. In
particolare, durante il trasporto verso gli impianti di valorizzazione anaerobica,
i sottoprodotti di origine animale e i prodotti trasformati sono accompagnati da
un documento commerciale oppure, ove richiesto dal presente regolamento,
da un certificato sanitario. I documenti commerciali e i certificati sanitari
devono soddisfare i requisiti di cui all'allegato II del regolamento in discussione
ed essere conservati per il periodo ivi specificato. Essi contengono in
particolare informazioni sulla quantità e sulla descrizione del materiale nonché
sulla sua marcatura.
L’ art 9, riguardante la tenuta dei registri dei materiali afferma che “le persone
che spediscono, trasportano o ricevono sottoprodotti di origine animale
tengono un registro delle partite. Il registro contiene le informazioni di cui
all'allegato II ed è conservato per il periodo ivi specificato.”
Di fondamentale importanza risulta essere l’art 15 che si intitola
“Riconoscimento degli impianti di produzione di biogas e degli impianti di
compostaggio”. I commi che lo compongono sono i seguenti:
1. Gli impianti di produzione di biogas e gli impianti di compostaggio devono
essere riconosciuti dall'autorità competente.
2. Ai fini del riconoscimento, gli impianti di produzione di biogas e gli impianti
di compostaggio devono:

148
a) essere conformi ai requisiti di cui all'allegato VI, capitolo II, parte A;
b) provvedere alla manipolazione e alla trasformazione di sottoprodotti di
origine animale conformemente all'allegato VI, capitolo II, parti B e C;
c) essere controllati dall'autorità competente conformemente all'articolo 26;
d) stabilire ed applicare metodi di sorveglianza e di controllo dei punti critici di
controllo; e
e) fare in modo che i residui della digestione e il compost, a seconda dei casi,
siano conformi alle norme microbiologiche di cui all'allegato VI, capitolo II,
parte D.
3. Il riconoscimento è sospeso immediatamente qualora vengano a mancare
le condizioni alle quali era stato concesso.
A questo punto, risulta utile considerare le parti di allegato VI considerate
nell’articolo 15 che interessano da vicino l’impianti di biogas.

Requisiti specifici per il riconoscimento degli impianti di produzione di


biogas
A. Locali
1. Gli impianti di produzione di biogas devono essere muniti di:
a) un'unità obbligatoria di pastorizzazione/igienizzazione che dev'essere
dotata di:
i) installazioni per il controllo della temperatura in tempo reale;
ii) dispositivi di registrazione continua dei risultati delle misurazioni;
iii) un adeguato sistema di sicurezza che impedisca l'abbassamento della
temperatura ad un livello insufficiente; e
b) adeguate attrezzature per la pulizia e la disinfezione di veicoli e contenitori
in uscita dall'impianto di produzione di biogas.
Tuttavia, un'unità di pastorizzazione/igienizzazione non è obbligatoria per gli
impianti di produzione di biogas che trasformano unicamente sottoprodotti di
origine animale che sono stati sottoposti al metodo di trasformazione 1.
Ogni impianto di produzione di biogas deve disporre di un laboratorio proprio o
ricorrere ad un laboratorio esterno. Il laboratorio deve essere attrezzato per

149
l'esecuzione delle analisi necessarie e deve essere riconosciuto dall'autorità
competente.
B. Requisiti d'igiene
Solo i sottoprodotti di origine animale indicati di seguito possono essere
trasformati in un impianto di produzione di biogas:
a) i materiali di categoria 2 che sono stati sottoposti al metodo di
trasformazione 1 presso un impianto di trasformazione di categoria 2;
b) lo stallatico e il contenuto del tubo digerente; e
c) i materiali di categoria 3.
I sottoprodotti di origine animale di cui al punto 4 devono essere trasformati il
più presto possibile dopo l'arrivo.
Fino al momento del trattamento, essi devono essere adeguatamente
immagazzinati.
I contenitori, i recipienti e i veicoli utilizzati per il trasporto di materiale non
trattato devono essere puliti in una zona apposita. L'ubicazione e la struttura di
tale zona devono essere concepite in modo tale da evitare ogni rischio di
contaminazione dei prodotti trattati.
Devono essere prese sistematicamente misure preventive contro uccelli,
roditori, insetti o altri parassiti. A tal fine dev'essere applicato un programma
documentato di lotta contro gli organismi nocivi.
Per tutte le parti dell'impianto devono essere stabilite e documentate
procedure di pulizia. Per la pulizia devono essere fornite adeguate attrezzature
e prodotti.
Il controllo dell'igiene deve includere regolari ispezioni dell'ambiente e delle
attrezzature. Il calendario delle ispezioni e i risultati delle medesime devono
essere documentati.
Le installazioni e le attrezzature devono essere tenuti in buono stato di
manutenzione e i dispositivi di misurazione devono essere tarati ad intervalli
regolari.
I residui di digestione devono essere manipolati e immagazzinati nell'impianto
in modo da impedirne la ricontaminazione.

150
C. Norme di trasformazione
I materiali di categoria 3 utilizzati come materie prime in un impianto di
produzione di biogas munito di un'unità di pastorizzazione/igienizzazione
devono soddisfare i requisiti minimi seguenti:
a) dimensione massima delle particelle precedentemente all'ingresso
nell'unità: 12 mm;
b) temperatura minima di tutto il materiale nell'unità: 70 °C; e
c) durata minima di permanenza nell'unità, senza interruzione: 60 minuti.
D. Residui di digestione
I campioni di residui di digestione prelevati nel corso o al termine
dell'immagazzinamento presso l'impianto di produzione di biogas devono
rispettare le norme seguenti:
salmonella: assenza in 25 g: n = 5, c = 0, m = 0, M = 0
enterobacteriacee: n = 5, c = 2, m = 10, M = 300 in 1 g
in cui:
n = numero di campioni da sottoporre a prova;
m = valore di soglia per quanto riguarda il numero di batteri; il risultato è
considerato soddisfacente se tutti i campioni hanno un numero di batteri
inferiore o uguale a m;
M = valore massimo per quanto riguarda il numero di batteri; il risultato è
considerato insoddisfacente se uno o più campioni hanno un numero di batteri
uguale o superiore a M; e
c = numero di campioni nei quali il contenuto batterico può essere compreso
fra m e M; il campione è ancora considerato accettabile se il numero di batteri
contenuti negli altri campioni è uguale o inferiore a m.

151
BIBLIOGRAFIA

[1] D.P. Chynoweth, R. Isaacson, “Anaerobic digestion of biomass”,

Elsevier Applied Science 1981.

[2] AA VV, “Digestione anaerobica della frazione organica dei rifiuti solidi -

Aspetti fondamentali, progettuali, gestionali, di impatto ambientale ed

integrazione con la depurazione delle acque reflue”, APAT Manuali e linee

guida 13/2005.

[3] S. Piccinini, “Energia dal biogas prodotto da effluenti zootecnici, biomasse

dedicate e di scarto”, CRPA 2007.

[4] P.N. Hobson, A.D. Wheatley, “Anaerobic digestion: modern theory and

practice”, Elsevier Applied Science 1993.

[5] D. A. Burke, “Diary waste anaerobic digestion handbook – Options for

recovering beneficial products from diary manure”, Environmental Energy

Company, June 2001.

[6] S. Piccinini, “Impianti aziendali di digestione anaerobica: situazione e

prospettive”, C.R.P.A. 2005.

[7] P. Navarotto, “Soluzioni costruttive per produrre più biogas”, Supplemento

N.1 al numero 18 del 2/8 Maggio 2008 dell’Informatore Agrario.

[8] R.Baldini, L.Giardini, “Coltivazioni erbacee – Foraggere e tappeti erbosi”,

Pàtron Editore, Bologna 2007.

[9] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 4833:2004”.


152
[10] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 16649-2:2001”.

[11] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 6579:2004”.

[12] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 21528-2:2004”.

[13] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 7937:2005”.

[14] Comitato Europeo di Normazione, “UNI EN ISO 7954:1987”.

[15] D.G. Cirne, X. Paloumet, L. B. Jörnsonn, M.M. Alves, B. Mattiasson.

“Anaerobic digestion of lipid-rich waste-Effects of lipid concentration.”

Renewable Energy 32 (2007):965–975.

[16] Ye Chen, Jay J. Cheng, Curt S. Creamer. “Inhibition of anaerobic

digestion: A review.” Bioresource Technology 99 (2008):4044–4064.

[17] Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, “Finanziaria

agroalimentare 08”.

[18] Gazzetta ufficiale delle Comunità europee, “Regolamento (CE) N.

1774/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 ottobre 2002”.

SITOGRAFIA

[1S] http://www.rcminternationalllc.com

[2S] http://www.ctu.edu.vn

[3S] http:// www.fao.org

153
[4S] http:// www.uts-italia.it

[5S] http://www.mondolatte.it/sorgo.htm

[6S] http://www.sementifrigo.com

[7S] http://www.italiazuccheri.it

[8S] http://www.enerlive.it

154
RINGRAZIAMENTI

Ringrazio vivamente il Prof. Miele e la Dott.ssa Bargiacchi per la positiva


energia che hanno saputo trasmettermi durante lo svolgimento del lavoro.
Ringrazio anche “Mantovagricoltura” nella persona di Burato Piergiorgio per la
disponibilità riservatami.
Un sentito grazie anche ai miei genitori per avermi regalato questa importante
opportunità.

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