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Introduzione
1.1 Origini, funzioni e caratteristiche del comportamento non verbale e del suo
significato comunicativo
3.2 Lo sguardo
3.6 La postura
3.7 Il tempo
Bibliografia
INTRODUZIONE
Come ho più volte potuto sperimentare il corpo del bambino e dell’adulto sono
entrambi coinvolti in ogni relazione e spesso significano in modo ancora più
pregnante delle parole. Questo diventa ancora più importante quando un bambino
viene da noi per una difficoltà.
Il linguaggio del corpo, quindi il come si comunica non verbalmente con il bambino,
come lo si guarda, il tono della voce che si usa, la nostra postura, il tocco che ci
permette di sentire le sue tensioni e i confermare la nostra presenza, mi sembra
possano essere la trama di un discorso che va al di là delle parole.
Parte prima: IL CORPO COMUNICANTE
3) Gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico (verbale) che con
quello analogico (non verbale). Il linguaggio numerico ha una sintassi logica
molto complessa e di estrema efficacia riguardo alla definizione del
contenuto, esso manca però di una semantica adeguata nel settore della
relazione. Il linguaggio analogico invece ha una semantica ricchissima a cui
non fa riscontro una sintassi di pari livello. Questo è il motivo per cui più
facilmente l’aspetto del contenuto della comunicazione ha più probabilità
di essere trasmesso attraverso il linguaggio verbale, di contro nell’aspetto
relazionale avrà netta predominanza la comunicazione non verbale.
P.E. Ricci Bitti e Bruna Zani, integrando i contributi di diversi studi in materia
danno un elenco abbastanza dettagliato delle molteplici funzioni svolte dalla
CNV nel comportamento sociale.
Lo studio dei comportamenti non verbali mette dunque in luce una serie di
aspetti interessanti per chi interagisce con un bambino in particolare in un
contesto di relazione di aiuto.
Per prima cosa è rilevante la loro efficacia come modalità di espressione dei
sentimenti, delle emozioni e degli atteggiamenti rivolti all’interlocutore: essi
rappresentano una sorta di meta-linguaggio che permette all’adulto
educatore o rieducatore di comprendere più approfonditamente il messaggio
del bambino ed anche il suo stato d’animo in una determinata situazione.
Esiste inoltre un aspetto non meno importante e cioè il messaggio non
verbale emesso dall’adulto: i gesti, lo sguardo, la mimica del volto,
l’intonazione della voce trasmettono sfumature molto più pregnanti delle
parole per lo svolgersi dell’interazione stessa.
Ci si trova dunque di fronte a due elementi: quello della codifica e quello della
decodifica del non verbale sia da parte del bambino che da parte dell’adulto e
della modalità d’uso prevalentemente inconscia, ma pregnante a livello
relazionale del linguaggio del corpo.
Parte seconda:
Come nella terapia psicomotoria esiste un tempo, uno spazio, una ritmicità
degli incontri, il ritorno alla vita “fuori” e alle richieste che vengono dal mondo
degli adulti, la scuola in primis, a cui di solito il bambino fatica ad adattarsi.
Anche nella rieducazione sono necessarie delle regole, il fare i conti con la
difficoltà, l’ascolto e l’incoraggiamento, il camminare insieme.
Lo stesso vale per il rieducatore che interagisce con gli stessi parametri
espressivi: si colloca nello spazio in un certo modo, i suoi gesti hanno
particolare forma e velocità, assume posture prevalenti, orienta lo sguardo
ecc. Quello che caratterizza una relazione d’aiuto è la consapevolezza della
propria espressività da parte dell’adulto, la scelta di porsi in un modo o un
altro nell’interazione. La scelta comunicativa è improntata sull’autenticità
dello scambio relazionale, ben conoscendo la sensibilità dei bambini nel
cogliere doppi messaggi, messaggi latenti o contraddittori.
Parte terza: I PARAMETRI DI LETTURA DELLA COMUNICAZIONE NON VERBALE
M. Argyle ne “Il corpo e il suo linguaggio” ha fatto una analisi dell’uso del
contatto corporeo nelle comunicazioni sociali, che sottolinea la sua pregnanza
nel comunicare gli atteggiamenti interpersonali.
Egli distingue diversi tipi di contatto. Di solito esso è operato da mani o dalla
bocca ed è eseguito sulle mani, braccia, spalle ed in generale sulla parte
superiore del corpo. Queste zone sono probabilmente determinate da
convenzioni socialmente accettate su ciò che conviene o non conviene fare,
almeno per quanto riguarda l’adulto. Il toccare infatti sembra avere un
significato di accresciuta intimità e coinvolgimento emotivo. La quantità e il
tipo di contatti che si verificano tra le persone dipende dunque in gran parte
dall’età degli interagenti e dal tipo di relazione.
3.2 LO SGUARDO
Alcuni esperimenti in campo umano mostrano che uno sguardo fisso agisce e
viene letto come minaccioso e comunque “invasivo”. Confermando una
esperienza quotidiana, Lemineur e Morisse notano che le persone si sentono
generalmente a disagio quando sanno di essere osservate da altri e non
possono a loro volta vedere e quindi controllare.
Nello stesso senso altre ricerche hanno mostrato un’influenza negativa che la
presenza di valutatori ed osservatori in genere esercita sulle performance di
soggetti invitati ad eseguire dei compiti che richiedono una buona
coordinazione motoria: il corpo risponde evidentemente al disagio. Se
riportiamo queste affermazioni nel campo dell’osservazione del bambino è
molto interessante fare delle riflessioni sulla qualità dello sguardo del
terapista o rieducatore (o insegnante) e sulla percezione che ciascun bambino
ha di esso.
Secondo quanto affermato da Argyle, il volto è la parte del corpo più rilevante
per la comunicazione non verbale, infatti è una zona estremamente espessiva
in grado di inviare molte informazioni e perciò oggetto di molto studi.
Il volto sembra una delle parti meglio “controllabili”. In esso è presente una
muscolatura fine e una innervazione neuromotoria che permette di assumere
espressioni molteplici e varie.
In primo luogo con la mimica del volto è possibile che vengano comunicati
atteggiamenti interpersonali ed emozioni e come altri parametri della
comunicazione non verbale, anch’esso funziona come segnale interattivo per
fornire un feedback continuo e per la sincronizzazione.
Per ciò che riguarda più propriamente l’aspetto interattivo, i segnali collegati
generalmente al discorso verbale sono inviati con movimenti piuttosto rapidi,
di parti del volto, per esempio sollevando le sopracciglia. Queste espressioni
sono abbastanza differenti da quelle “emotive”, esse includono solo parti del
volto ed hanno una complessa struttura sintattica.
Questa sensibilità primordiale potrebbe essere una delle ragioni che rendono
questo aspetto della comunicazione non verbale così pregnante e carico di
affettività che trascende il contenuto stesso delle parole.
Sembra che il tono della voce in particolare contribuisca, secondo gli studi di
Meharabian a determinare impressioni circa l’atteggiamento personale.
Tra gli elementi indipendenti dal linguaggio verbale sono da ricordare anche i
pianti, le grida, le risate particolarmente presenti nei bambini in
accompagnamento al movimento e al gioco con gli oggetti. In un’ottica più
globale di espressività corporea del bambino si può dire che “suono, rumore è
presenza, il silenzio al contrario è assenza, e’ morte”.
Ai primi gesti si aggiungerà una gestualità sempre più varia che assumerà
valore di richiamo dell’attenzione, di richiesta di condivisione di una
esperienza e via via una gestualità più rituale e codificata.
Argyle distingue gesti cosiddetti convenzionali, gesti che esprimono stati
emozionali e gesti che sostituiscono o accompagnano il discorso.
Per quanto riguarda i gesti che esprimono stati emozionali sia nel bambino
che nell’adulto infine Argyle, Ekmann e Friesen hanno rilevato che esistono
numerosi gesti connessi con le emozioni che comprendono il toccare se stessi,
soprattutto alcune parti del corpo con le mani. Sebbene non vi siano in questo
caso dati di ricerca, gli stessi autori concordano nel dire che il toccarsi rivela
una preoccupazione per la propria presentazione mentre lo sfregarsi
assumerebbe un valore di autorassicurazione.
3.6 LA POSTURA
“Postura” può essere definita la posizione del corpo come unità e come
rapporto fra le sue parti, e come rapporto dell’insieme delle parti con lo
spazio, posizione caricata di senso perché assunta in relazione con l’altro che
la riceve.
Ogni postura poi si dissolve in una pluralità di rapporti non appena si passa ad
analizzare la sua forma, cioè i rapporti delle singole parti tra loro, con il tono
che la sostiene e con i vettori spaziali. Ad esempio la postura faccia a faccia è
tale perché è stato considerato come parametro la relazione spaziale di un
corpo con un altro corpo, mentre se consideriamo pertinenti i rapporti tra i
singoli elementi corporei e lo spazio si parlerà piuttosto di postura
aperta/chiusa. Lo stesso dicasi se si considera come pertinente il tono delle
varie parti del corpo per cui la postura può essere definita come intera,
spezzata, in equilibrio o disequilibrata.
Per ciò che riguarda lo stato emotivo delle persone, Ekman e Friesen rilevano
che, mentre l’espressione del volto è in grado di trasmettere un maggior
numero di informazioni sulle emozioni specifiche, il tono posturale esterna
l’intensità dell’emozione: in questo caso si parla di postura tesa o rilassata.
3.7 IL TEMPO
“Tutti i discorsi sul tempo (e sullo spazio) sono possibili proprio perché c’è un
corpo che dà loro fondamento e li significa: la temporalità è così intrinseca
all’esistenza che l’una non è concepibile senza l’altra.”
Egli si trova in una stanza nuova ma accogliente, con un adulto che dedica un
certo tempo a lui. L’adulto ha un controllo diretto sul tempo dell’incontro,
marca il tempo con dei segni, stabilisce i rituali sul dentro/fuori e inizio/fine.
Quindi “lo spazio si configura come una categoria carica di espressioni visive,
motorie, sonore che veicolano contenuti emotivi ed affettivi”.
Mi sembra importante ricordare che i primi gesti grafici del bambino diventano tali
in quanto egli sperimenta la possibilità di lasciare una traccia di sé su una superficie
in grado di accoglierla. Inoltre il suo ambiente relazionale condiziona in modo
significativo tali prime esperienze: accogliendole, rinforzandole, dando loro un senso
e sostenendo in questo modo il piacere di comunicare.
La scrittura quindi in questo senso è come un ponte tra il linguaggio verbale e non
verbale: così come la prosodia del linguaggio parlato non può essere disgiunta dalle
parole che vengono dette, le parole scritte si inscrivono in uno spazio grafico, in un
tempo, con un ritmo, con un tratto, con forme che sono proprie di quella persona in
quel momento.
La grande differenza è che, anche dopo aver terminato di scrivere, la traccia rimane
e gli elementi non verbali del gesto grafico continuano ad essere presenti e in
questo senso sono molto evidenti sia all’autore dello scritto che agli altri che lo
leggono, come ha ben evidenziato la grafologia.
Cosi come la comunicazione non verbale accompagna per tutta la vita il linguaggio in
quanto il corpo è sempre presente quando noi ci rapportiamo con gli altri, anche
nella scrittura penso si possa aiutare il bambino in difficoltà a percepire l’unitarietà
della sua esperienza corporea quando con il gesto comunica il suo pensiero in una
forma scritta.
BIBLIOGRAFIA
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convegno sulle comunicazioni non verbali. Reggio E. 5 giugno 1982 , A.G.E.
Grafica editoriale
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