VENERDÌ — 11 GIUGNO 2021 – IL RESTO DEL CARLINO
Pesaro
«L’uomo in America? E’ arrivato così...»
Gaia Galassi dell’Università di Urbino con i colleghi scienziati Dobson e Spada ha pubblicato l’ultima teoria sullo stretto di Bering
URBINO
di Tiziano V. Mancini
Quando e dove si posò il primo
piede umano sul continente
americano? Uno dei più grandi
misteri della storia ha finalmen-
te una risposta grazie a una stu-
diosa dell’Università di Urbino,
Gaia Galassi di Fano, che assie-
me a Jerome E. Dobson dell’Uni-
versità del Kansas, USA e a Gior-
gio Spada dell’Università di Bo-
logna ha pubblicato lo studio
The Bering Transitory Archipela-
go: Stepping-stones for the first
Americans appena uscito sulla
rivista Comptes Rendus Geo-
science.
Galassi, come è nata l’idea di
dare risposta a questo miste-
ro?
«È una collaborazione più am-
pia che va avanti da qualche an-
no, con Spada e Dobson. Il pun-
to di partenza è stato “aquater-
ra“, un’ipotesi di Dobson che
nel 1999 aveva posto l’attenzio-
ne su tutta la porzione di piane-
ta che nel corso di periodi gla-
ciali e interglaciali era stata al-
ternativamente inondata dal ma-
re ed emersa. Con il professor
Spada quattro anni fa abbiamo
ripreso quell’idea utilizzando
dei modelli per vedere quali ter-
re sono emerse e quali invece
sono finite sotto il livello del ma-
re dopo l’ultima glaciazione di
20.000 anni fa».
Un mondo diverso...
«Quando grandi masse di ghiac-
cio si sciolgono, il livello del ma-
re cresce, perché l’acqua che
era intrappolata nei ghiacci fini-
sce negli oceani ma contempo-
raneamente la terra si deforma,
perché cambia la distribuzione
dei carichi (si parla proprio di
“rimbalzo“ della crosta terre-
stre) quindi ci sono zone del pia-
neta dove il livello del mare ca-
la. In questo sistema così dina-
mico, interi arcipelaghi appaio-
no e scompaiono. Negli ultimi
20.000 anni sono scomparsi ol-
tre 17 milioni di km quadrati di
terre emerse, tra coste, isole e
arcipelaghi. Per capirci, l’Euro-
pa ha una superficie di circa 10
milioni di km2».
Da quale ipotesi di lavoro sie-
te partiti?
«Una volta individuato l’arcipela-
go e capita, attraverso i modelli,
la sua evoluzione nelle ultime
migliaia di anni, fino alla scom-
parsa, ci siamo chiesti se le iso-
le potessero essere state utiliz-
zate come “tappe di appoggio“
nello spostamento delle antiche
popolazioni. La navigazione nel-
la storia dell’umanità è iniziata
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pelago transitorio esisteva da al-
meno 30.000 a 20.000 anni fa,
dopo di che l’innalzamento del
livello del mare ha iniziato a
sommergerle e poiché queste
inondazioni si sono verificate
prima a ovest, le popolazioni
giunte in precedenza dall’Asia
non ebbero altra scelta che eva-
cuare, scegliendo tra Asia, Isole
Aleutine e Nord America. Lo
spostamento a est dell’arcipela-
go 10.000 anni fa avrebbe favo-
rito la migrazione verso il Nord
America via mare».
Un tema che interessa diversi
rami del sapere.
«Gli aspetti paleo-geografici so-
no alla base del ragionamento,
e per descriverli adeguatamen-
te occorre approfondire quelli
paleoclimatici, soprattutto quel-
li legati allo scioglimento delle
grandi masse di ghiaccio. Per le
migrazioni, un buon aiuto viene
dalla genetica, che permette di
vedere la “parentela“ tra le varie
popolazioni. Di sicuro però l’ar-
cheologia è la sola che può con-
cretamente confermare o smen-
tire le ipotesi: ma perché que-
sto sia possibile c’è bisogno an-
che di lavori come questo, che
Gaia Galassi dell’Università di Urbino: da lungo tempo studia lo stretto di Bering possono stimolare e indirizzare
nuove ricerche».
Come vi siete divisi i ruoli con
molto presto, circa 40.000 anni re la nostra ipotesi con i quattro
Spada e Dobson?
fa da parte di popolazioni abori- requisiti fondamentali per una
«Dobson è un geografo di fama
gene australiane. Quindi l’idea colonizzazione primitiva del
internazionale e ha dato lo sti-
di popolazioni partite dalla sibe- Nord America: una popolazione molo e gli strumenti per l’analisi
ria e giunte via mare in nord di origine, risorse lungo il per- antropologia e archeologica.
America usando le isole come corso, evidenze di insediamenti Con Spada, che è il creatore dei
tappe nella loro millenaria mi- in Nord America dopo, ma non modelli di glacioisostasia che
grazione, era più che plausibi- prima, e la possibilità di un isola- abbiamo utilizzato per questo la-
le». mento sufficientemente lungo voro, ci siamo occupati princi-
Come siete arrivati alla solu- da consentire una differenzia- palmente degli aspetti paleo-
zione? zione genetica. Tutti requisiti co- geografici e paleoclimatici. Il va-
«Abbiamo provato a confronta- perti dalla nostra ipotesi. L’arci- lore aggiunto è nato proprio dal-
A destra, la
paleotopografia
dello Stretto di
Bering elaborata
dall’Università di
Urbino assieme
agli altri
ricercatori e un
acquerello che
rappresenta le
difficoltà del
mare impetuoso
per gli equipaggi
di un secolo fa
la collaborazione e dal confron-
to continuo su discipline nor-
malmente molto distanti: la geo-
fisica e la paleoclimatologia da
una parte e la paleogeografia e
paleoantropologia dall’altra».
Il vostro studio avrà sviluppi
successivi?
«Ci stiamo concentrando su al-
tre zone e altre migrazioni, in
particolare il Mar Rosso, che ha
visto un grosso cambiamento
negli ultimi 20.000 anni ed è
un’area profondamente interes-
sante da un punto di vista ar-
cheologico».
Ma Gaia Galassi come è arriva-
ta fin qua?
«La mia passione è la tutela
dell’ambiente, in particolare i
cambiamenti climatici, coltiva-
ta prima con la laurea in Scien-
ze Ambientali a Urbino, poi con
il dottorato in Geofisica, ottenu-
to all’università di Bologna ma
svolto sotto la guida del prof.
Spada presso il Dipartimento di
Scienze Pure e Applicate di Urbi-
no, approfondendo i cambia-
menti climatici legati alla geodi-
namica del livello del mare. In-
dagare il passato è molto intri-
gante. Ma la vera sfida è quella
di capire i cambiamenti attuali e
soprattutto quelli futuri. Siamo
un po’ come i nostri avi che rag-
giunsero il Nord America, in un
contesto di cambiamenti clima-
tici che stava stravolgendo il
mondo che avevano conosciu-
to. Solo che i cambiamenti che
viviamo oggi sono molto più ve-
loci e, paradossalmente, le no-
stre società altamente tecnolo-
giche sono molto più fragili e
noi siamo molto meno preparati
dei nostri antenati per poterli af-
frontare».
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