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Riassunto la gestione del brand strategie e sviluppo keller


brand management
Marketing (Sapienza - Università di Roma)

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CAPITOLO 1: MARCHE E BRAND MANAGEMENT

La parola brand, marca, deriva dall’antico nordico brand, che significa bruciare e fa riferimento
all’operazione di marchiatura. Secondo l’American Marketing Association (AMA), una marca è “un nome,
termine, segno, simbolo o disegno, o una combinazione di questi elementi, che ha lo scopo di identificare i
beni e i servizi di un venditore o gruppo di venditori differenziandoli da quelli della concorrenza.” Nella
pratica, tuttavia, molti manager attribuiscono al brand un significato piu’ preciso: “una marca definisce il
grado di effettiva consapevolezza, reputazione e rilievo che caratterizza il prodotto da essa identificato,
rispetto agli altri prodotti esistenti sul mercato”. Le componenti identificative e distintive del prodotto
(nome, logo, confezione, ecc.) possono essere chiamate elementi del brand.

Secondo il teorico del marketing Philip Kotler “si definisce prodotto tutto cio’ che puo’ essere offerto sul
mercato affinchè riceva attenzione o venga acquistato e consumato in quanto rispondente a un bisogno o
desiderio”. Dunque, un prodotto può essere un bene fisico, un servizio, un punto vendita, una persona, un
ente(un organizzazione no profit per es.), un luogo. Kotler definisce 5 livelli in relazione a un prodotto:

1 Il livello di core benefit individua il fondamentale bisogno o desiderio che i consumatori soddisfano
attraverso il prodotto o servizio;

2 Il livello di generic product rappresenta una versione basilare del prodotto, comprensiva solo degli
attributi ( o caratteristiche) assolutamente necessari al suo funzionamento, ma non di quelli distintivi;

3 Il livello expected product definisce una serie di attributi o caratteristiche che gli acquirenti normalmente
si aspettano di ritrovare in un prodotto;

4 Il livello di augmented product comprende ulteriori attributi, benefici o servizi associati al prodotto che lo
distinguono da quelli della concorrenza;

5 Il livello di potential product include tutte le eventuali trasformazioni che il prodotto potrebbe subire
successivamente, in seguito agli sviluppi della tecnologia e dei bisogni dei consumatori.

Kotler nota che in molti mercati la concorrenza si manifesta essenzialmente a livello di augmented product,
questo perche’ la nuova concorrenza non riguarda ciò che le aziende producono negli stabilimenti, ma ciò
che aggiungono ai prodotti attraverso il confezionamento, i servizi, la pubblicità, la consulenza ai clienti, il
finanziamento, la consegna e altri fattori cui i consumatori attribuiscono valore. Un prodotto di marca ha
dunque un valore aggiunto che lo differenzia da altri prodotti concepiti per soddisfare lo stesso bisogno.
Questo valore aggiunto differenziale può derivare da dimensioni razionali e tangibili, connesse alle funzioni
d’uso del prodotto, o simboliche, emotive o intangibili, correlate a ciò che la marca rappresenta.

Le funzioni esercitate dal brand per i consumatori:

1 Identificano la fonte o il creatore di un prodotto, consentendo di attribuirne la responsabilità a un


determinato distributore o produttore;

2 Consentono una riduzione dei costi di ricerca (basandosi sulle informazioni di cui dispongono sulla qualità
e le caratteristiche del prodotto di marca);

3 Creano una relazione fra il consumatore e la marca che puo’ essere considerata come una sorta di vincolo
o patto con i produttore (il primo offre la propria fiducia e lealtà aspettandosi che la seconda garantirà una
performance del prodotto conforme alle aspettative)
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4 Oltre ai vantaggi di natura funzionale i brand possono offrire benefici simbolici, mediante il quale il
consumatore può proiettare l’immagine di se stesso. (Consumare i prodotti di quella marca è un modo per
dire agli atri e perfino a se stessi, che tipo di persona si è o si vorrebbe essere).

5 Le marche possono ridurre in modo sensibile il rischio insito nelle decisioni di acquisto. I consumatori
possono percepire diversi tipi di rischi nell’acquisto o nel consumo di un prodotto:

-RISCHIO FUNZIONALE: la resa del prodotto e’ inferiore alle aspettative; -RISCHIO FISICO: il prodotto
costituisce una minaccia al benessere fisico e alla salute dell’utilizzatore o di altri soggetti; - RISCHIO
FINANZIARIO: il valore del prodotto è inferiore al prezzo pagato; -RISCHIO SOCIALE: il prodotto potrebbe
creare situazioni imbarazzanti nel rapporto con gli altri; -RISCHIO PSICOLOGICO: il prodotto influisce
negativamente sul benessere psichico dell’utente; -RISCHIO TEMPORALE: l’inadeguatezza del prodotto
comporta la necessita di trovare un sostituto soddisfacente.

Le funzioni esercitate dal brand per le aziende:

1 Svolgono una funzione identificativa che facilita la gestione del prodotto;

2 Rappresentano uno strumento di tutela giuridica delle caratteristiche di unicità del prodotto (il nome del
brand può essere protetto attraverso marchi commerciali registrati, i processi produttivi attraverso brevetti,
il confezionamento attraverso copyright e brevetti).

3 Le marche possono segnalare un certo livello di qualità cosicché gli acquirenti soddisfatti probabilmente
sceglieranno di nuovo il prodotto;

4 Rappresentano un potente strumento per assicurarsi un vantaggio competitivo in quanto la fedeltà alla
marca assicura la prevedibilità e la certezza della domanda e crea barriere all’ingresso per altre aziende.

5 Possono essere comprate e vendute assicurando solidi guadagni finanziari a chi le possiede.

Il branding business-to-business consiste nella creazione di un’immagine e di una reputazione per l’impresa
nel suo complesso. Le marche business-to-business sono spesso brand aziendali, quindi la loro gestione
assume una particolare criticità. La sfida è quella di sostituire l’immagine del produttore di merci con quella
di un’impresa che offre prodotti e servizi differenziati.

Oggi i consumatori sono diventati più esperti e preparati circa il marketing e i suoi meccanismi. Cresce
l’attenzione verso i comportamenti delle aziende, gli individui sono maggiormente informati dai siti web o
dalle stesse associazioni di consumatori. Per questo è diventato più difficile convincere i consumatori con le
tradizionali tecniche di marketing. Così se in passato un grado elevato di rispetto sarebbe risultato vincente,
oggi per avere successo è necessario un elevato livello di amore. “Se non amo ciò che mi stai offrendo non
sono minimamente interessato”. Si assiste poi alla crescente frammentazione dei mezzi di comunicazione
pubblicitaria: la crescente inefficacia dei mezzi tradizionali sta portando alla sostituzione della pubblicità
con nuove forme di comunicazione come i new media, le sponsorizzazioni di eventi sportivi e non,
l’impiego di punti vendita, pannelli sui mezzi di trasporto, la presenza dei prodotti all’interno dei film.
Cresce la concorrenza causata da brand extension (utilizzo da parte delle aziende di brand esistenti per
lanciare nuovi prodotti in altre categorie); deregolamentazioni di telecomunicazioni, trasporti, servizi
finanziari che hanno accresciuto la concorrenza estera; globalizzazione; penetrazione del mercato da parte
dei prodotti unbranded, delle private label o delle imitazioni delle marche leader. Con l’aumento della

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concorrenza sono cresciuti rapidamente i costi per introdurre un nuovo prodotto o sostenere quelli
esistenti.

Il processo di gestione strategica del brand si articola in 3 principali momenti:

1 DEFINIZIONE DEL POSIZIONAMENTO E DEI VALORI DEL BRAND:

Nel processo di strategic brand management è necessario innanzi tutto definire ciò che la marca deve
rappresentare e come dovrebbe posizionarsi rispetto alla concorrenza. L’obbiettivo è dare al brand una
collocazione chiara e precisa nella mente dei consumatori convincendoli dei vantaggi di quella marca
rispetto alle altre fino a creare una superiorità del brand stesso ai loro occhi. Ciò comporta una specifica
determinazione dei principali VALORI e del MANTRA del brand:

I principali VALORI del brand sono costituiti dall’insieme di associazioni astratte che lo caratterizzano
(attributi e benefici).

Per definire il significato della marca con >precisone è spesso utile creare il cosidetto Brand Mantra.

Il MANTRA di un brand è una breve espressione di 3-5 parole che ne racchiude gli aspett i più importanti,
cattura cioè l’essenza del posizionamento e i valori principali. Può essere considerato come il DNA della
marca: rappresenta cioè le caratteristiche permanenti e più importanti sia per i consumatori sia per
l’azienda. E’ quindi l’”essenza del brand”, “la promessa principale del brand”. Un Mantra dunque, deve
saper comunicare in modo sintetico ciò che la marca è e ciò che non è. Sono tipicamente concepiti con lo
scopo di catturare i POD del brand, ovvero la sua unicità.

Più precisamente questi MANTRA possono essere scomposti in 3 termini:

1) Quello relativo alle funzioni del brand che descrive la natura del prodotto/servizio o il tipo di vantaggi
offerti sul piano funzionale ed esperienziale. Può variare da un’espressione concreta che riflette semplicem.
la categoria di prodotto, a nozioni + astratte, relative a un ordine superiore di esperienze o benefici come x
nike (autentica) e Disnay (Divertimento);

2) Il modificatore descrittivo che permette di circoscrivere meglio le funzioni del brand per chiarirne la
natura. Per es. quella assicurata da Nike non è una performance qualunque, x es. artistica, ma solo atletica;
Disnay non è rivolto agli adulti ma a tutta la famiglia;

3) Infine, il modificatore emotivo risponde alla domanda “qual è la natura dell’attività della marca e in che
modo esattam. essa offre determinati vantaggi?” Fornisce quindi un’ulteriore qualificazione in merito alla
modalità con cui il brand garantisce i benefici promessi. Nike (Performance) /Disnay(Intrattenimento).

Un Mantra dovrebbe COMUNICARE (cioè dovrebbe poter definire la categoria di attività e i confini del
brand), SEMPLIFICARE (quindi essere memorizzabile). ISPIRARE (risultare rilevante e significativo x il
>numero possibile di dipendenti).

Una volta determinata la strategia, è possibile mettere in atto l’effettivo programma di marketing.

SINTESI:(1 Mappe mentali; 2 Quadro competitivo di riferimento; 3 Elementi di parità e differenziazione; 4


Valori principali del brand; 5 Mantra del brand)

2 PIANIFICAZIONE E ATTUAZIONE DEI PROGRAMMI DI MARKETING:

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La costruzione dei valori della marca richiede la creazione di un brand di cui i consumatori siano
sufficientemente consapevoli e con cui stabiliscano associazioni forti, favorevoli e uniche. In generale il
conseguimento di tali obbiettivi di penderà da 3 fattori:

a) La scelta degli elementi del brand (nome, loghi, simboli, personaggi, confezione, slogan);

b)L’integrazione del brand all’interno dei programmi e delle attività di marketing , in particolare strategie di
prodotto, di prezzo, di canale e di comunicazione;

c)Lo sfruttamento delle associazioni secondarie; per esempio si può stabilire un collegamento fra il brand e
fattori d’origine quali l’impresa (attraverso la strategia di branding), il paese o altri luoghi geografici
(attraverso l’identificazione della provenienza del prodotto) e i canali distributivi (attraverso la strategia di
canale); oppure si può mettere in relazione una marca con altre(co-branding), con personaggi(con il
licensing), eventi culturali o sportivi (con le sponsorizzazioni) o ancora con fonti terze (con i premi e le
recensioni).

SINTESI: (1 Opportuna combinazione degli elementi del brand; 2 Integrazione delle attività di marketing;
Sfruttamento delle associazioni secondarie)(VEDI SCHEMA SUL QUADERNO)

3 SVILUPPO E SOSTEGNO DELLA BRAN EQUITY:

Per una corretta gestione della della customer based brand equity è necessario:

a) Definire la strategia di branding attraverso la matrice brand-prodotto e la gerarchia dei brand. La prima
è una rapresentazione grafica che sintetizza le marche e i prodotti commercializzati dall’azienda
(ESTENSIONI DEL BRAND=creare nuovo valore e rafforzare quello esistente; PORTFOGLIO DEI
BRAND=massimizzare la copertura e minimizzare la sovrapposizione). La seconda rivela uno specifico
ordine delle marche.

b) Gestire il valore del brand nel tempo assumendo un’ottica di lungo periodo nell’adozione delle decisioni
di marketing fornendo una risposta efficiente ai cambiamenti esterni e a quelli interni dell’azienda:

RAFFORZAMENTO DEL BRAND= innovazione nel design, nella produzione e nel merchandising, rilevanza
nell’immaginario del consumatore; RIVITALIZZAZIONE DEL BRAND= strategia di reinvenzione.

c) Gestire il valore del brand in aree geografiche, culture e segmenti di mercato diversi tenendo conto delle
differenze tra le varie tipologie di consumatori soprat. nelle strategie di branding globale.

SINTESI: (1 Matrice brand-prodotto; 2 portfogli di brand e gerarchie; 3 Strategie di espansione del brand; 4
rafforzamento e rivitalizzazione del brand)

d) Misurare e interpretare la performance del brand: uno strumento utile in questo senso è LA CATENA DI
VALORE DEL BRAND che consente di percorrere il processo di creazione della brand equity, per stimare più
esattam. l’impatto finanziario degli investimenti di marketing.

SINTESI: (1 Catena del valore del band; 2 Brand Audit; 3 Brand tracking (monitoraggio); 4 Sistema di
gestione del valore del brand)

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CAPITOLO 2: LA CUSTOMER BASED BRAND EQUITY

La CBBE si definisce come “l’effetto differenziale che la conoscenza del brand esercita sulla risposta del
consumatore alle azioni di marketing dell’impresa” . Tale definizione si basa su 3 elementi chiave:

1) “EFFETTO DIFFERENZIALE”; 2) “CONOSCENZA DEL BRAND”; 3) “RISPOSTA DEL CONSUMATORE ALLE


ATTIVITA’ DI MARKETING”:

La brand equity (il valore del brand) deriva dall’esistenza di differenze nelle risposte dei consumatori, in
assenza di queste differenze il prodotto può essere assimilato a una commody (semplice merce). Queste
differenze sono il risultato della conoscenza della marca (Brand Knowledge) da parte dei consumatori che
si articola nella consapevolezza (brand awareness) e nelle associazioni che definiscono la brand image.
Tali conoscenze quindi derivano da quello che essi hanno imparato, visto, sentito, esperito sul brand come
risultato delle loro esperienze nel tempo. La risposta differenziale dei consumatori che determina il valore
del brand si riflette nelle loro percezioni, preferenze e comportamenti legati a tutti gli aspetti del marketing
del brand (per es. la scelta di una marca, il ricordo di parti di un messaggio pubblicitario, la reazione a una
promozione o il giudizio su una possibile estensione del brand).

Dunque, la capacità di stabilire un elevato livello di consapevolezza e un’immagine positiva del brand- in
termini di associazioni forti, favorevoli e uniche- crea le strutture cognitive che possono incidere sulla
risposta del consumatore e produrre diversi tipi di CBBE.

La CONSAPEVOLEZZA DEL BRAND è definita dalla capacità del consumatore di RICONOSCERE LA MARCA e
RICHIAMARLA ALLA MEMORIA:

Brand recognition: il consumatore deve essere in grado di individuare correttam. la marca come già nota, in
quanto l’ha vista o ne ha sentito parlare in precedenza (dunque fa riferim. alla capacità del consum. di
confermare una precedente esposizione al brand sentendolo nominare);

Brand recall: il consumatore deve essere in grado di ricordare il nome del brand disponendo di un indizio
irrilevante (fa riferim. Alla capacità del consum. di richiamare alla memoria il nome del brand sentendo
citare la categoria di appartenenza o i bisogni che quella categoria soddisfa).

La CONSAPEVOLEZZA DEL BRAND determina:

- Vantaggi di apprendimento in quanto la consapevolezza fa si che si formi nella memoria un nodo relativo
alla marca che facilita lo sviluppo di associazioni con il brand;

- Vantaggi di considerazione in quanto la consapevolezza del brand aumenta la probabilità che i


consumatori pensino al brand quando effettuano l’acquisto, ossia che esso entri a far parte del
consideration set( piccolo gruppo di marche prese seriam. in consideraz. X l’acquisto);

- Vantaggi di scelta in quanto anche in caso di scarso coinvolgimento la sola consapevolezza del brand può
determinarne la scelta perché il criterio decisionale consiste in questo caso, nell’acquistare solo le marche
più familiari e consolidate.

Il modo in cui la marca e la relativa categoria vengono poste in relazione influirà sulla forza delle
associazioni alla categoria di appartenenza. Le ASSOCIAZIONI al brand possono essere classificate in 3
principali categorie:

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1) ATTRIBUTI che possono essere LEGATI AL PRDOTTO o NON LEGATI AL PRODOTTO (Prezzo, Packaging,
User Imagery, Usage Imagerry)

2)BENEFICI che possono essere FUNZIONALI, ESPERIENZIALI o SIMBOLICI;

3)ATTEGIAMENTI

Per creare una risposta differenziale è necessario che queste associazioni al brand siano FORTI,
FAVOREVOLI e UNICHE.

- Le associazioni favorevoli sono quelle che fanno si che i consumatori si formino un giudizio favorevole
almeno quanto quello sulle marche concorrenti; dunque queste associazioni devono fungere da ELEMENTI
DI PARITA’(point of parity) nella mente dei consumatori.

- Le associazioni uniche sono quelle non condivise dalle marche concorrenti che fungono quindi da
ELEMENTI DI DIFFERENZIAZIONE (point of difference) e forniscono un vantaggio competitivo.

In base al modello CBBE, il processo che porta alla creazione di un brand forte può essere concepito come
una sequenza di 4 fasi:

1) Far si che i clienti identifichino la marca e l’associno con una specifica classe di prodotto o necessità di
consumo;

2)Imprimere nella mente dei consumatori il significato della marca nella sua totalità; stabilendo un legame
strategico con una serie di associazioni tangibili e intangibili del brand;

3) Suscitare una risposta opportuna all’identificazione e alle associazioni create;

4)Trasformare questa risposta in una relazione cliente-marca fondata su un’intesa e attiva fedeltà.

Queste 4 fasi corrispondono a 4 domande fondamentali la cui sequenzialità può essere rappresentata
graficamente con una piramide costituita da 6 blocchi:

3) COSA PENSO DI TE? QUALI SENSAZIONI SUSCITI IN ME? Reazioni al Brand

4) QUALE RELAZIONE PUO’ ESSERCI TRA TE E ME? Relazione con il Brand

1. La prima domanda CHI SEI? Che riguarda l’IDENTITA’ DEL BRAND si riferisce PROMINENZA che
costituisce la base della nostra piramide.

PROMINENZA: fa riferimento alla CONSAPEVOLEZZA(awareness) che i consumatori hanno della marca,


ossia la loro capacità di riconoscerla e richiamarla alla memoria attraverso i suoi brand elements (nome,
logo, simbolo, ecc.). E’ possibile definire la consapevolezza della marca sulla base di 2 dimensioni:

- Profondità: misura la probabilità che un elemento della marca venga in mente al consumatore e la
facilità con cui questo accade

- Ampiezza: misura lo spettro di situazioni di acquisto e utilizzo in cui un brand element viene richiamato
alla memoria e dipende in larga misura dalla organizzazione della conoscenza della marca e del prodotto,
ossia dalla facilita’ con cui è possibile associare una data marca a una certa categoria di prodotto.

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Dunque per comprendere come accrescere la capacità di ricordare il brand è necessario conoscere la
struttura cognitiva della categoria di prodotto, ovvero il modo in cui le categorie di prodotti sono
organizzate nella memoria. Nella mente dei consumatori esiste spesso una gerarchia che vede a livello +
alto l’informazione sulla classe di prodotto (es. Bevande), quindi quelle sulla categoria di prodotto( es.
acqua e bevande con gusto divise a loro volta in alcoliche e analcoliche), e infine, a livello + basso quelle di
marca.

Prima di proseguire con la descrizione della piramide è opportuno precisare che la parte sinistra della
piramide di Keller si riferisce alle caratteristiche tangibili del brand mentre la parte di destra si riferisce alle
caratteristiche più intangibili

2. La seconda domanda COSA SEI? Che riguarda IL SIGNIFICATO DEL BRAND include PERFORMANCE
e IMMAGINE

PERFORMANCE: si rifersce alle proprietà intriseche della marca in termini di caratteristiche inerenti al
prodotto o servizio. Anche se gli specifici attribuiti e benefici relativi alla performance variano profondam. a
seconda della categoria, è possibile individuarne 5 principali:

1) Ingredienti primari e caratteristiche supplementari; - 2) Affidabilità (continuità della performance nel


tempo), durevolezza e funzionalità del prodotto (facilità di effettuare eventuali riparazioni); - 3) Efficacia,
efficienza ed empatia del servizio (grado di cura degli interessi del cliente); - 4) Stile e design; - 5) Prezzo

IMMAGINE: Fa riferimento alle caratteristiche più intangibili della marca, alle proprietà estrinseche del
prodotto o servizio, in cui sono comprese le modalità in cui la marca cerca di soddisfare i bisogni psicologici
e sociali dei clienti. Le associazioni relative all’immagine possono formarsi direttamente (attraverso
l’esperienza di consumo) o indirettament. (attraverso la mediazione della comunicaz. pubblicitaria o di
marketing). Le molteplici possibili associazioni con elementi intangibili possono essere ricondotte a 4
categorie:

1)Profilo degli utilizzatori che i consumatori mentalmente associano al brand che puo’ fare riferimento a:

- fattori descrittivi e demografici: genere(brand maschili e femminili); età (Pepsi posizionamento giovane
Coca cola vecchio); etnia (ad es. i prodotti Fiesta hanno una forte identificazione ispanica); reddito (negli
anni ’80 BMW e polo erano associate ai giovani professionisti ricchi);

- fattori più astratti e psicologici: atteggiamenti verso la vita; la carriera; il possesso; o verso questioni sociali
o istituzioni politiche

2) Situazioni di acquisto e di consumo che possono essere legate a svariati fattori come il tipo di canale
(Grandi Magazzini, negozi specializzati, Internet) o anche al momento della giornata, della settimana, del
mese, dell’anno e al contesto più o meno formale, casalingo o extra-domestico.

3) Personalità e valori: come un individuo, anche una marca può apparire moderna, all’antica, vivace ecc.
Sono state messe in luce 5 dimensioni della personalità della marca: sincerità – vivacità (coraggio,
immaginazione, modernità) – competenza (affidabilità, successo) – eleganza (classe, fascino) – asprezza
(vita all’aperto, durezza). In generale la pubblicità può influire molto sulla personalità del brand attraverso il
ricorso ad attori, con il tono o lo stile della strategia creativa. Quel che è certo è che i consumatori scelgono

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e usano spesso marche con una personalità coerente con il concetto che hanno di sé, sebbene in alcuni casi
questo coincida non tanto con la loro vera immagine quanto con una proiezione delle proprie aspirazioni.

4) Storia, tradizione ed esperienze: alcune associazioni al brand possono essere collegate a particolari
momenti rilevanti della loro storia, comportamenti ed episodi personali o altrui.

3. La terza domanda COSA PENSO DI TE? che riguarda le REZIONI SUL BRAND da parte dei
consumatori include GIUDIZI e SENSAZIONI:

GIUDIZI: Rappresentano le opinioni e le valutazioni personali sulla marca. Tra i tanti possibili tipi di giudizi
sul brand, 4 sono particolarmente importanti ai fini della costruzione del valore della marca:

1)QUALITA’/2)CREDIBILITA’(relativi all’impresa che produce e fornisce il prodotto) e si basa su 3 dimensioni:

- experise= competenza, innovazione, leadership di mercato; /affidabilità= cura degli interessi del cliente /
piacevolezza= capacità di divertire, di suscitare interesse;

3) CONSIDERAZIONE (va oltre la consapevolezza esprimendo la probabilità che i clienti includano la marca
fra quelle che potrebbero scegliere di comprare e usare;

4) SUPERIORITA’ (percezione del brand come unico e migliore di tutti gli altri).

SENSAZIONI: Reazioni emotive dei clienti al brand. Possiamo distinguere 6 importanti tipologie di
sensazioni sulla marca:

1)CALORE: il brand suscita sensazioni consolatorie, un senso di calma e di pace;

2)DIVERTIMENTO: la marca suscita nei consumatori allegria, spensieratezza;

3)ECCITAZIONE: la marca fa sentire i consumatori pieni di energie, trasmette una sensazione euforica;

4)SICUREZZA: la marca trasmette un senso di incolumità, fiducia;

5)APPROVAZIONE SOCIALE /6) AUTOSTIMA: la marca suscita nei consumatori una migliore opinione di sé

4. La quarta domanda COSA PUO’ ESSERCI TRA TE E ME? Che riguarda la RELAZIONE che i
consumatori instaurano con il brand fa riferimento alla cosiddetta RSIONANZA:

RISONANZA: Fa riferimento all’identificazione dei consumatori con la marca, ossia alla misura in cui i clienti
si sentono in sintonia con la marca. La risonanza è definita sia dall’intensitá relativa alla profondità del
legame psicologico del cliente con il brand sia dal livello di attività che ne risulta, rappresentato dal tasso di
ripetizione all’acquisto (che esprime la fedeltá del comportamento), dallo scambio informativo e dalla
collaborazione con il brand sui relativi eventi o con altri clienti fedeli (che segnala un impegno attivo e la
disponibilità a investire tempo e energie nel brand). Inoltre perché esista risonanza è necessario generare
un senso di attaccamento: i clienti non dovrebbero avere semplicemte un atteggiamento positivo nei
confronti della marca ma arrivare persino ad affermare di “amarla” e descriverla come uno dei loro beni piú
cari o come un piccolo piacere che aspettano con ansia. Inoltre dovrebbero sviluppare un senso della
comunità: ossia dovrebbero provare un senso di parentela o affiliazione nei confronti di altre persone
legate al brand in quanto utilizzatori o anche dipendenti e rappresentanti dell’azienda.

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3 CAPITOLO: IL POSIZIONAMENTO E I VALORI DELLA MARCA

Il posizionamento rappresenta il cuore di una strategia di marketing. Kotler definisce tale processo “l’atto di
definizione dell’offerta e dell’immagine dell’azienda in modo che essa occupi uno spazio preciso e
riconosciuto nella mente dei consumatori target”. Dunque posizionare una marca significa trovarle una
collocazione adeguata nella mente dei consumatori obbiettivo, al fine di massimizzare i potenziali
vantaggi per l’impresa. Per raggiungere questo obbiettivo `possiamo individuare 4 fasi principali: nelle
prime 2 fasi l’impresa seleziona i clienti che intende servire; nelle altre 2 fasi definisce una proposta di
valore che soddisfi al meglio i clienti obbiettivo:

1) SEGMENTAZIONE DEL MERCATO attraverso cui il mercato (totalità dei consumatori con sufficienti
motivazioni, possibilità e opportunità di acquisto) viene diviso in gruppi piú piccoli di acquirenti con bisogni,
caratteristiche e comportamenti diversi che possono richiedere prodotti e marketing mix personalizzati. La
segmentazione risponde alla domanda QUALI CLIENTI SERVIAMO? Esistono varie modalitá di
segmentazione che l’impresa sperimenta singolarmente o in piú combinazioni. La variabili principali sono:
variabili geografiche, demografiche, psicografiche e comportamentali.

- Segmentazione geografica= prevede la divisone del mercato in unitá geografiche quali nazioni, Stati,
regioni, province, cittá o persino quartieri. L’impresa puó scegliere di concentrare la propria attività su una
o su alcune aree geografiche, oppure puó decidere di operare in tutte le aree considerate, prestando la
dovuta attenzione alle differenze in termini di richieste e bisogni.

- Segmentazione demografica= consiste nella divisione del mercato in base a variabili quali etá, sesso,
dimensioni del nucleo familiare e stadio del ciclo di vita della famiglia (è importante peró che le aziende
non cadano negli stereotipi xké x es. nel caso degli anziani alcuni corrispondono allo stereotipo dell’anziano
malfermo e altri xo’ giocano ancora a tennis), reddito, professione, livello di istruzione, religione, razza,
generazione e nazionalità. I fattori demografici rappresentano il criterio di segmentazione piú frequente,
sia perché strettamente correlati ai bisogni, le richieste e l’intensitá d’uso dei prodotti da parte del
consumatore, sia perché tali variabili si prestano a una piú agevole misurazione.

- Segmentazione psicografica= consiste nella divisone del mercato in base a variabili quali la classe sociale,
lo stile di vita, i tratti della personalità.

- Segmentazione comportamentale= consiste nella divisone del mercato in base alla conoscenza e
all’utilizzo dei prodotti da parte del consumatore, al loro atteggiamento e alla loro reazione nei suoi
confronti. Esempi:

a) Segmentazione per occasioni= i consumatori possono essere suddivisi in base alle occasioni nelle quali
considerano il prodotto x la 1 volta, effettuano l’acquisto o utilizzano il prodotto. Cio’ puo’ aiutare le
imprese a incrementare l’utilizzo del prodotto anche in altre occasioni; ad es la promozione del succo
darancia non solo a colazione ma anche come dissetante durante la giornata.

b)Segmentazione per benefici principali ricercati dai consumatori nella classe di prodotto.

c)Tipo di utilizzatore= i consumatori possono essere divisi in non utilizzatori, ex utilizzatori, potenziali
utilizzatori (include i consumatori che stanno cambiando fase della vita), nuovi utilizzatori e utilizzatori
regolari del prodotto.

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d) Intensità d’uso= coloro che presentano un’elevata intensità d’uso in genere costituiscono un esigua
percentuale di mercato ma sono responsabili di un’elevata percentuale del consumo complessivo del
prodotto.

e) Livello di fedeltà= alcni presentano una fedeltà assoluta acquistando sempre e soltanto un’unica marca,
altri sono mediamente fedeli, ossia sono fedeli a 2 o 3 marche dello stesso prodotto e poi esistono
acquirenti che non presentano alcun tipo di fedeltàa a nessuna marca.

Perché la segmentazione risulti efficace ciascun segmento deve presentare i seguenti requisiti:

 Identificabilità= è possibile identificare facilmente il segmento?


 Dimensione= il segmento offre un adeguato potenziale di vendite?
 Accessibilità= ci sono punti vendita specializzati e mezzi di comunicazione che consentano di
raggiungere il segmento?
 Reattività= quanto sarà favorevole la risposta del segmento a un programma di marketing
personalizzato?

Il fattore prioritario nella definizione dei segmenti di mercato è, ovviamente, quello della redditività che in
molti casi può essere messo in relazione con parametri di natura comportamentale, primo fra tutti, la
fedeltà alla marca.

2) LA DEFINIZIONE DEL MAERCATO OBBIETTIVO consiste nella valutazione dell’attrattivitá di ciascun


segmento di mercato e la scelta di uno o piú segmenti da penetrare. A tal proposito l’impresa deve
considerare 3 fattori: la dimensione e i tasso di crescita del mercato ( i segmenti piú ampli e dai ritmi di
crescita + elevati non sono sempre i piú interessanti x qualunque tipo d’impresa; i piccoli opertori con
poche risorse potrebbero selezionale invece segmenti + piccoli in termini assoluti ma potenzialm. +
vantaggiosi x la loro attività), l’attrattivitá strutturale (un segmento x es. risulta meno attraente se vi
operano giá molti concorrenti affermati e aggressivi fornitori con un elevato potere contrattuale) e gli
obbiettivi e le risorse dell’impresa stessa. La definizione del mercato obbiettivo puó essere svolta a + livelli:
le imprese possono definire il proprio mercato in termini molto generici (marketing indifferenziato), molto
specifico (micromarketing) oppure adottando una via di mezzo (marketing differenziato o concentarto).

- Marketing indifferenziato ( o di massa): In questo caso l’impresa decide di ignorare le differenze fra i vari
segmenti di mercato e si rivolge con la medesima offerta alla totalità del mercato. Concentrandosi sugli
aspetti comuni invece che sulle differenze l’impresa progetta un prodotto e un programma di marketing che
risulti attraente per il maggior numero possibile di acquirenti.

- Marketing differenziato (o segmentato): l’impresa decide di rivolgersi ad alcuni segmenti di mercato


realizzando offerte specifiche per ciascun gruppo di consumatori. Ciò comporta inevitabilmente un
aumento dei costi legati alla necessita di realizzare x ciascun segmento ricerche di marketing, previsioni,
analisi delle vendite, pianificazione promozionale e attività di gestione di canale. E’ quindi necessario
valutare molto attentamente i benefici rapportando l’aumento delle vendite all’incremento dei costi.

- Marketing concentrato (o di nicchia): invece di aspirare a una quota limitata di un grande mercato
l’impresa cerca di conquistare un’ampia quota di uno o di alcuni segmenti, detti “nicchie di mercato”. In
questo modo l’impresa può operare in modo più efficace ed efficiente in quanto rivolge i propri prodotti o
servizi, canali e programmi di comunicazione solo ai clienti che può servire al meglio e con maggiori profitti.

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- Micromarketing: mentre gli operatori del mkt. differenziato e concentrato adeguano le proprie offerte e
programmi di mkt ai bisogni dei vari segmenti e nicchie di mercato senza personalizzare l’offerta x ciascun
cliente, il micromkt. consiste nel modificare prodotti e programi di mkt per assecondare le preferenze di
individui e gruppi locali di client specifici. Invece di vedere ciascun individuo come un cliente, le imprese del
micromkt vedono ciascun cliente come individuo. Il Micromkt comprende:

 Marketing locale= consiste nella personalizzazione di marche e promozioni in base ai bisogni e alle
richieste di gruppi locali di clienti: città, quartieri o persino singoli negozi.
 Marketing individuale= micromkt estremo che prevede la personalizzazione di prodotti e
programmi di mkt in base ai bisogni e alle preferenze dei singoli cienti. Viene definito anche mkt
one to one o personalizzazione di massa intendendo il processo mediante il quale le imprese
interagiscono a livello individuale con una massa di clienti per la progettazione di prodotti e servizi
in grado di soddisfare i bisogni di ciascun individuo.

3) DIFFERENZIAZIONE che consiste nel differenziare realmente l’offerta di mercato di un impresa per creare
valore superire per i clienti. (COME SERVIAMO I CLIENTI SELEZIONATI?). Per trovare i POD le imprese
devono esaminare l’intera esperienza del cliente relativa al prodotto o servizio: la differenziazione può
essere basata sul prodotto, i servizi (x es. garantendo consegne partic. rapide e convenienti), canali
(assicurandone una copertura efficiente), il personale (che può essere particolarm. competente e
soddisfacente), l’immagine. A proposito della selezione dei vantaggi competitivi, secondo alcuni operatori
di mkt l’impresa dovrebbe sviluppare e mantenere un’ unica proposta di vendita (unique selling
proposition USP) per ciascuna marca, scegliendo un attributo e pubblicizzando la marca in questione come
il “numero 1” x quella caratteristica. Un’altra scuola di pensiero ritiene invece che le imprese dovrebbero
posizionarsi in base a + elementi di differenz. Ciò potrebbe rendersi necessario qualora 2 o + imprese si
contendano il primato x la medesima caratteristica. In + questo approccio assicurerebbe un vantaggio
competitivo sostenibile (sustainable competitive advantage, SCA) che fa in parte riferimento alla capacità di
un impresa di fornire al mercato un valore superiore x un periodo di tempo prolungato.

4) POSIZIONAMENTO DI MERCATO consiste nel fare in modo che l’offerta di mercato occupi un posto
chiaro, distintivo e desiderabile rispetto ai prodotti concorrenti. Nella pianificazione delle strategie di
differenz. e posizionamento gli opertori del mkt spesso preparano mappe percettive di posizionamento
che mostrano le percezioni del consumatore in merito alla propria marca rispetto alle marche concorrenti
per le principali dimensioni dell’acquisto. Il posizionamento completo di una marca viene definito proposta
di valore (value proposition) e consiste nell’intera combinazione di benefici sui quali sono impostati la
differenziazione e il posizionam. della marca. Essa risponde alla domanda del cliente “PERCHE’ DOVREI
ACQUISTARE QUESTA MARCA?”. Possiamo prendere in esame 5 proposte vincenti: “Benefici elevati a prezzi
elevati”(more for more); “Benefici elevati a prezzi medi” (more for the same); “Benefici medi a prezzi bass i”
(the same for less); “Benefici scarsi a prezzi molto bassi” (less for much less); “Benefici elevati a prezzi bassi”
(more for less).

Il posizionam. di una marca dovrebbe essere sintetizzato ed esplicitato in una dichiarazione formale di
posizionamento strutturata così: Per (segmento obbiettivo e bisogni obbiettivo) la nostra (marca) è
(concetto) che (elemento di differenziazione).

Esempio: “Per i professionisti con poco tempo a disposizione e che devono sempre essere in giro, BlackBerry
è una soluzione di connettività wirless che offre un modo + semplice e + affidabile x rimanere connessi ai
dati, alle persone e alle risorse mentre si è in movimento”.

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Fondamentale diventa quindi identificare con chiarezza:

1) I CONSUMATORI TARGET

2) I PRINCIPALI COMPETITOR: A tal proposito, molti esperti di strategie di marketing suggeriscono di non
restringere troppo il campo nel definire la concorrenza, che puó spesso manifestarsi a livello di vantaggi
offerti piú che a livello di caratteristiche del prodotto. Tra l’altro i consumatori tendono spesso a
organizzare i prodotti secondo una gerarchia mentale. Dunque il punto di partenza nella definizione del
quadro competitivo di riferimento per il posizionamento di una marca consiste nel determinare
l’appartenenza ad una categoria, che indica con quali prodotti o gruppi di prodotti il brand è in
concorrenza. Comunicare la categoria di appartenenza vuol dire informare i consumatori degli obbiettivi
che può raggiungere utilizzando un prodotto o servizio. I consumatori infatti devono conoscere il prodotto e
le sue funzioni prima di valutare la sua superiorità rispetto ai concorrenti. Il tentativo di comunicare
entrambe le dimensioni attraverso lo stesso annuncio pubblicitario spesso si rivela inefficace. Ci sono 3
modi principali per comunicare la categoria di appartenenza di un brand:

a) Informarlo sui benefici propri della categoria

b) confrontarlo con altre marche tipiche della stessa

c)accostare al brand name un descrittore del prodotto

3) GLI ELEMENTI DI COMUNANZA CON LE MARCHE CONCORRENTI: Gli elementi di parità (point of parity)
sono costituiti da associazioni al brand che non sono necessariamente uniche, ma possono essere condivise
con altre marche. Gli POP sono determinati dalla duplice necessità di stabilire l’appartenenza ad una
categoria (creando POP di categoria) e di negare i POP dei concorrenti (creando POP competitivi). I POP di
categoria assumo particolare criticità quando si intende estendere un brand all’interno di un nuovo ambito
competitivo. (Brand extension).

4) GLI ELEMENTI DI DIFFERENZIAZIONE ALLA BASE DEL VANTAGGIO COMPETITIVO DEL BRAND. I point of
difference (POD) sono attributi e benefici che i consumatori associano fortemente al brand, valutano
positivamente e credono di non poter trovare nella stessa misura in altre marche. Le moltissime tipologie di
associazioni in grado di costruire validi POD possono essere suddivise in 2 classi:

- funzionali e connesse alla performance - astratte e connesse all’immagine

La scelta degli POD è orientata a far sì che i consumatori:

- trovino desiderabili i POD - siano convinti che l’azienda è in grado di mantenere la promessa implicita

I POD devono rispondere a criteri di desiderabilità (cioè essere rilevanti, distintivi e credibili) e a criteri di
conseguibilità (cioè essere fattibili, ossia deve esistere la capacità effettiva del prodotto di garantire il livello
di performance annunciato, comunicabili e sostenibili nel tempo, sempre in relazione alla performance).

Aggiornare il posizionamento nel tempo: Nel caso di marche consolidate, la concorrenza impone spesso di
modificare nel corso del tempo la strategia di posizionamento. Ciò è possibile attraverso 2 fondamentali
approcci analitici: il Laddering e il Reacting.

Laddering: consiste nell’approfondire il significato del brand x centrare i valori principali o altri fattori +
astratti. E’ una tecnica qualitativa adottata solitamentee nel corso di interviste personali in profondità

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(talvolta anche in sede di focus group). Attraverso il Laddering si cerca di ricostruire e rappresentare
graficamente la catena mezza-fini, ovvero la mappa cognitiva delle relazioni fra prodotti, attributi, benefici e
valori. Una means-end chain assume una struttura di questo tipo: gli attributi (gli elementi descrittivi che
caratterizzano un prodotto) conducono a certi benefici (il valore e il significato che gli attributi assumono x
l’individuo), che a loro volta conducono a valori (obbiettivi e motivazioni personali stabili e duraturi).

Reacting: è rappresentato dalla risposta alle sfide competitive che minacciano il posizionamento esistente.
Quando un concorrente sfida un POD esistente o cerca di superare un POP, 3 sono le possibilità:

Non agire se la concorrenza sembra incapace di appropriarsi di un POD o di crearne uno nuovo;

Reagire solo in parte, mettendosi sulla difensiva, ovvero fornendo ulteriori rassicurazioni sul prodotto o
incrementando gli investim. In comunicaz. per rafforzare i POP e i POD.

Passare all’offensiva (se le iniziative della concorrenza appaiono potenzialm. pericolose) riposizionando il
brand o attraverso una brand extension o attraverso una campagna pubblicitaria che ne modifichi
fondamentalm. il significato.

Un sostegno profondo in questo senso può essere esercitato da un brand audit che consiste in un’accurata
analisi che include la valutazione dello stato di salute del brand, l’individuazione delle fonti del suo valore
(considerate sia dal punto di vista dei consumatori che di quello dell’azienda) e dei possibili modi per far
leva su di esso così da ottenere una stima dell’impatto e delle iniziative della concorrenza sui POP e POD e
prendere le giuste decisioni.

4 CAPITOLO: LA SCELTA DEI BRAND ELEMENTS PER LA BRAND EQUITY

Gli elementi della marca sono gli strumenti che servono a identificarla e differenziarla e devono essere
caratterizzati da 6 criteri di scelta:

MEMORIZZABILITA’: gli elementi del brand devono essere in grado di facilitarne il ricordo e il
riconoscimento nelle diverse situazioni di acquisto e di consumo;

SIGNIFICATIVITA’: devono quindi essere descrittivi, cioè in grado di trasmettere informazioni generali sulla
natura della categoria di prodotto e persuasivi cioè in grado di trasmettere informazioni specifiche su
particolari attributi e benefici della marca;

PIACEVOLEZZA:essere divertente e interessante, ricco di immagini visive e verbali, piacevole esteticamente;

TRASFERIBILITA’: sia nell’ambito di una stessa categoria di prodotto o fra categorie differenti, e sia in senso
geografico cioè oltre i confini geografici e culturali;

ADATTABILITA’: flessibili e aggiornabili nel tempo;

PROTEGGIBILITA’: sia in a livello legale che competitivo. Dal punto di vista giuridico è importante 1
scegliere brand elements che possono essere tutelati a livello internazionale; 2 registrarli ufficialmente
presso le autorità competenti; 3 difendere con forza i marchi di fabbrica da eventuali contraffazioni da
parte della concorrenza.

I principali elementi della marca sono:

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Il Nome: ai fini di creare una consapevolezza del brand nei consumatori è necessario che il nome sia 1
semplice da pronunciare e da scrivere (un nome breve e con una sonorità piacevole viene codificato e
memorizzato + facilmente rispetto a un nome lungo e quindi ricordato); 2 familiare e significativo ( i nomi
delle marche possono avere un significato concreto o astratto, tuttavia ricerche hanno dimostrato che i
nomi con una forte componente visiva (Ocean, Peper) sono memorizzati + facilmente); 3 diverso, distintivo
e insolito (potrebbero essere distintive parole poco usate x quella categoria (Apple). Il nome può essere
scelto x rafforzare un’associazione rilevante a un attributo o beneficio che sia alla base del posizionamento,
oppure x comunicare aspetti + astratti, magari con nomi intangibili in grado di suscitare sensazioni. C’è da
ricordare tuttavia che la capacità di ricordare il nome di una marca può essere influenzato anche da
differenze culturali (per es. i cinesi sono colpiti soprat. dall’aspetto grafico del nome, gli inglesi da quello
sonoro e cio’ dipende da le differenze nell’uso di strutture inguistiche). Il nome è l’elemento + difficile da
modificare successivam., x questo si ricorre a un attenta ricerca sistematica che prevede:

1 Definizione del significato ideale che si intende attribuire alla marca e il suo ruolo all’interno della
gerarchia dei brand aziendali;

2 Definita la direzione strategica si crea il + ampio numero possibile di nomi e concetti;

3 I nomi devono essere selezionati eliminando quelli che hanno un duplice significato non voluto,
evidentem. impronunciabili, già utilizzati o troppo simili a quelli esistenti;

4 Raccolta di informazioni + ampie su i 5 o 10 nomi selezionati; (in primis si conduce un’investigazione sugli
aspetti legali internazionali);

5 Si procede a una ricerca di mercato x verificare le previsioni sulla significatività e memorizzabilità dei nomi

6 Infine, sulla base di tutte le informazioni raccolte il manager sceglie il nome e procede alla registrazione.

Gli URL: Uniform Resource Locators, noti anche come nomi dei domini, sono utilizzati per localizzare le
pagine sul Web. Chi voglia detenere un determinato URL deve registrarne il nome a pagamento. Per
proteggere il proprio brand dall’uso non autorizzato in un URL, un impresa può citare l’attuale proprietario
dell’URL x violazione del copyright, o acquistare da lui il nome, o ancora registrare in anticipo tutte le
possibile variazioni sul nome del proprio brand. Il ricordo del brand è particolarm. importante x gli URL in
quanto almeno inizialm. i consumatori devono riconoscere o richiamare in memoria il nome del sito x
potervi accedere. Nel caso di un brand esistente l’URL consiste generalm in una semplice trasposizione del
nome del brand stesso (es. www.shell.com).

Loghi e Simbli: sono elementi visivi che giocano un ruolo critico nella costruzione della brand equity
soprattutto in termini di consapevolezza. Infatti il loro carattere visivo li rende facilm. riconoscibili e quindi
preziosi strumenti di identificazione dei prodotti anche se i consumatori potrebbero riconoscere un simbolo
ma non riuscire ad associarlo a un certo brand. Inoltre si prestano facilmente ad essere aggiornati nel
tempo e trasferiti da una cultura all’altra anche se ciò va sempre effettato in maniera graduale. I loghi sono
spesso concepiti come simboli volti a rafforzare il valore del brand. Alcuni non sono che rappresentazioni
letterali del nome volte ad aumentare la consapevolezza dei consumatori, altri hanno caratteristiche di
grandezza e plasticità (la mucca viola di Milka, il cavallino della Ferrari, il coccodrillo di Lacoste). In altri casi
un elemento del prodotto o dell’impresa può diventare un simbolo (gli archi dorati di MCDonald).

I Personaggi: Generalm. introdotti attraverso la pubblicità possono giocare un ruolo centrale sia nella
campagna di lancio e in quelle successive, sia nel design della confezione del prodotto. Alcuni sono animati
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(il Pinguino per Pinguì Ferrero; la tigre x Esso), oppure figure in carne ed ossa (l’uomo del Monte, il cowboy
di Malboro). Tendono a catturare l’attenzione e quindi sono molto utili x creare consapevolezza intorno al
brand, comunicare un importante beneficio del prodotto, rafforzare la personalità del brand o la sua
piacevolezza. Inoltre poiché non possiedono generalm. un significato direttam. legato al prodotto, i
personaggi possono essere trasferiti con relativa facilità da una categoria all’altra. D’altro canto a volte
l’attenzione e l’ammirazione nei confronti del personaggio sono così forti da risultare predominanti su altri
elementi e diminuire la consapevolezza della marca. Rispetto ai personaggi reali, quelli fittizi o animati
mantengono un fascino + duraturo.

Gli Slogan: Sono brevi frasi che comunicano informazioni sul brand di carattere descrittivo o persuasivo.
Spesso compaiono nella pubblicità , ma possono giocare un ruolo importante anche sulla confezione o in
altri aspetti del programma di marketing. Possono funzionare come “ganci” per aiutare i consumatori ad
afferrare il significato di una marca, cioè a capire cosa la caratterizza e la rende speciale o rafforzare il
posizionamentoe l’elemento di differenziazione desiderato (Dove c’è Barilla c’è casa). D’altra parte una
identificazione forte fra slogan e brand può diventare una gabbia: infatti uno slogan di successo può
assumere vita propria e diffondersi al punto da determinare effetti di sovraesposizione, capaci di erodere lo
specifico significato del brand. Inoltre se lo slogan continua a comunicare un significato che la marca non
ha + bisogno di sottolineare ne impedisce la rivitalizzazione.

I Jingle: sono messaggi musicali costruiti intorno al brand che ne rafforzano la consapevolezza. Spesso ne
esprimono il significato del brand in modo indiretto e astratto attivando associazioni ad aspetti intangibili
come sensazioni relative alla personalità del brand.

Il Packaging: comprende la progettazione e la produzione di contenitori o involucri x i prodotti e devono


rispondere a una serie di requisiti: identificare il brand, comunicare informazioni descrittive e persuasive,
agevolare il trasporto e la protezione del prodotto, semplificare la sistemazione presso il domicilio del
consumatore. La confezione può diventare un importante strumento di riconoscimento e un nuovo design
può anche allargare un mercato e conquistare nuovi segmenti accrescendo il suo appeal sugli scaffali e
favorendone la distinzione rispetto alla concorrenza. Si può modificare una confezione x segnalare un
aumento di prezzo o x vendere il prodotto in modo + efficace in canali distribuitivi nuovi. Qualora il
cambiamento sia motivato dall’aspetto superato di quello in uso, è importante non perdere il valore creato
con la vecchia confezione che spesso grazie all’unicità degli elementi grafici può aver creato consapevolezza
e ottenere le preferenze dei consumatori. Inoltre i consumatori possiedono un vocabolario cromatico in
base al quale si aspettano una determinata estetica x certi prodotti.

CAPITOLO 5: ELABORARE UN PROGRAMMA DI MARKETING PER COSTRUIRE LA BRAND EQUITY

Alla luce dei cambiamenti avvenuti soprat. in termini di digitalizzazione e connettività, customization e
customerization, oggi si assiste al progressivo abbandono delle pratiche di mass-marketing che hanno
caratterizzato gli anni ’50, ’60 e ’70, alle quali subentra un marketing sempre più personalizzato ed
estremamente focalizzato.

In passato i passaggi classici di cattura del consumatore prevedevano una catena che partiva
dall’awareness per arrivare all’acquisto:

awareness attraverso la pubblicità, interest (andare al negozio), evaluation (comparare le opzioni),


commitment (scegliere la miglior opzione), loyalty (comprare).

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Oggi i consumatori sono individui e non + categorie statiche, vivono in un contesto mercato estremamente
affollato ma sono evoluti e disincanti e si caratterizzano x il nomadismo. Possono essere
contemporaneamente tradizionalisti nella scelta dell’auto e sperimentalisti nell’alimentazione, possono
essere minimalisti nell’arredamento della loro casa e esibizionisti nell’abbigliamento, aperti al nuovo e
conservatori. I consumatori sono diventati ambasciatori delle marche (brand enthusiast o detrattori), con le
loro conversazioni possono amplificare il valore del brand ma anche trasformarne il significato
reinterpretandolo, in positivo o in negativo. Essi dunque partecipano ai processi di co-creazione del valore
(consumer genereted media), intervengono sulle leve del marketing, prima esclusivamente manipolate
all’interno dell’azienda. Ma soprat. concepiscono il luogo e l’atto stesso dell’acquisto come un esperienza.
Si assiste dunque al trionfo del tribalismo: “la società post-moderna appare simile ad una rete di
macrogruppi societari nei quali gli individui interagiscono e intrattengono fra loro forti legami emotivi,
passioni condivise, esperienze simili.” Si tratta di individui con caratteristiche socio demografiche molto
diverse ma collegati da una stessa soggettività, passione, esperienza, capaci di azioni collettive vissute
intensamente benché effimere, il tutto in un modo fortemente ritualizzato. Alla luce di questi cambiamenti
si stanno affermando innovative forme di marketing, primo fra tutti

 EXPERIENTIAL MARKETING o Marketing basato sull’esperienza, promuove il prodotto non solo


comunicandone le caratteristiche e i benefici, ma anche associandolo a esperienze uniche e
interessanti. In sintesi “l’idea non è quella di vendere qualcosa, ma di dimostrare come un brand
possa arricchire la vita del cliente”. Il marketing basato sull’esperienzia quindi si differenzia da
quello tradizionale in quanto:

1) Si concentra sull’esperienza del cliente; 2) pone l’accento sulla situazione di consumo; 3) considera i
clienti soggetti razionali ed emotivi; 4) ricorre a metodi e strumenti eclettici.

Di conseguenza nel processo di pianificazione è necessario essere creativi, usare la sorpresa, la curiosità e a
volte anche la provocazione, l’obbiettivo è scuotere il pubblico. Nel processo di creazione è opportuno
pensare alla situazione di consumo e non al prodotto (es. a un “pasto informale” non ad un “hot dog”). Ma
soprattut. è necessario offrire “esperienze olistiche” che colpiscono tutti i sensi, facciano appello al cuore,
stimolino la mente, siano rilevanti x lo stile di vita personale e affascinanti dal punto di vista dell’identità
sociale.

 MARKETING ONE-TO-ONE: Il suo principio fondamentale è quello della differenziazione


dell’offerta in base ai diversi bisogni espressi dai consumatori ma anche in base al diverso valore x
l’azienda (presente, futuro o nell’arco della vita). E’ importante infatti dedicare maggiori sforzi di
marketing ai consumatori di valore + elevato.

Il suo fondamento logico è rappresentato dal valore aggiunto che i consumatori possono dare ai marketing
manager, trasferendo informazioni sui propri comportamenti di acquisto e di consumo; questi ultimi a loro
volta, aggiungono valore creando esperienze appaganti x i consumatori sulla base di quelle informazioni.
Tutto ciò aiuta a stabilire relazioni forti e redditizie con la clientela. Dunque i concetti essenziali sono:

1) “selezionare i consumatori”, concentrarsi sul singolo consumatore attingendo a database dedicati;

2) “ Parlare con il consumatore”, Stabilire un dialogo interattivo con il consumatore;

3) “creare qualcosa di unico x i nostri clienti”, personalizzare prodotti e servizi.

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 PERMISSION MARKETING o marketing autorizzato può essere considerato come una variante del
marketing one-to-one che approfondisce la componente del dialogo con il consumatore. Esso è
infatti praticato solo dopo avere ottenuto l’esplicito consenso dei consumatori (offrendo anche
qualche forma di incentivo ai fini di ottenerlo: un campione gratuito, una promozione o uno sconto,
un concorso, ecc.). Questa forma di marketing sta diventando popolare come strumento x
distinguersi dai concorrenti e fidelizzare il cliente.

L’esempio + evidente di permission mkt sul web è rappresentato da Amazon.com: con il permesso del
cliente, l’azienda ne registra le abitudini di acquisto in un database e gli spedisce msg di mkt personalizzati
oltre a inviarli periodicamente mail su sconti e offerte speciali sui prodotti x i quali i clienti hanno mostrato
interesse in passato effettuandone l’acquisto. D’altro canto xò c’è da considerare che non sempre il
consumatore sa esattamente quello che vuole. Spesso infatti le persone hanno preferenze indefinite,
ambigue e contradditorie, che pertanto non sono in grado di esprimere facilm. e per le quali necessitano di
assistenza e guida.

Dunque pur agendo su aree di influenza diverse, i 3 approcci di marketing perseguono il comune obbiettivo
di consolidare il legame fra consumatore e brand. Ma è possibile individuare sostanziali cambiamenti anche
all’interno dei programmi di marketing che riguardano le variabili classiche:

1 STRATEGIA DI PRODOTTO: La strategia di prodotto prevede la scelta dei benefici, sia tangibili sia
intangibili che devono caratterizzare il prodotto stesso e le relative attività di marketing. Nello specifico, la
qualità percepita rappresenta una valutazione globale da parte del consumatore basata sulle sue
percezioni in merito agli attributi e benefici che caratterizzano un prodotto di qualità e alla performance
del brand sugli stessi. Gli specifici attributi e benefici che i consumatori associano a valutazioni favorevoli
della qualità di un prodotto possono variare da una categoria all’altra ma in generale sono riconducibili alla
performance (ossia il livello a cui operano le caratteristiche primarie di un prodotto, basso, medio o alto);
attributi integrativi (gli elementi secondari); la conformità (il grado di rispondenza alle specifiche del
prodotto e l’assenza di difetti); l’affidabilità (la continuità della performance nel tempo); la durevolezza (la
vita attesa del prodotto); la manutenzione (la facilità di riparazione del prodotto); lo stile e il design (gli
aspetti estetici). Dunque la qualità del prodotto non dipende solo dalla sua performance funzionale, ma
anche da fattori + ampi. Nello specifico la value chain individua 5 principali attività che creano valore (la
logistica interna, le operation, la logistica esterna, il marketing e le vendite, il servizio ) e 4 attività di
supporto trasversali alle prime (l’infrastruttura aziendale, la gestione delle risorse umane, lo sviluppo della
tecnologia, l’approvvigionamento). Le aziende possono conseguire vantaggi competitivi migliorando la
qualità e riducendo i costi in alcune o tutte le attività in grado di creare valore.

In questo senso, mentre in passato molte imprese, nel tentativo di massimizzare la qualità dei propri
prodotti condividevano il concetto di TQM (Total quality management) che poneva una eccessiva enfasi sui
processi interni trascurando l’analisi dei bisogni dei clienti, alcune aziende concentrano ora i propri sforzi
sulla Redditività della qualità. I sostenitori della ROQ (Return of quality) perseguono il miglioramento della
qualità solo con riferimento agli aspetti che comportano benefici tangibili x i consumatori, costi minori o
aumenti di fatturato. Del resto il giudizio dei consumatori sul valore di un prodotto è spesso il risultato
dell’insieme delle percezioni su qualità e costi. Quando si parla di costi, si fa riferimento non solo al prezzo
del prodotto, ma anche al tempo, all’energia e all’eventuale coinvolgimento psicologico richiesto dalla
decisone.

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Dunque per massimizzare la risonanza ella marca le strategie di prodotto devono trascendere il prodotto o
servizio e perseguire il rafforzamento del legame con i consumatori attraverso quello che viene chiamato
relationship marketing ossia marketing basato sulla relazione che sostanzialm. si propone di offrire
un’esperienza + completa e personalizzata della marca stabilendo un contatto + profondo e significativo
con i consumatori. Nel relationship marketing rientrano i già citati experential mkt, mkt one-to-one, mkt
autorizzato ma anche after mkt e programmi fedeltà.

In generale il concetto di mass customization, ovvero della personalizzazione dei prodotti secondo le
richieste specifiche del cliente è ormai alla base di molti approcci aziendali: attraverso internet infatti, oggi i
clienti possono comunicare le proprie preferenze direttamente all’impresa, che grazie alle sofisticate linee
produttive può assemblare il manufatto e offrirlo a un prezzo paragonabile a quello dell’esemplare non
personalizzato. In +, questo nuovo approccio offre alle aziende anche la possibilità di ridurre le scorte,
risparmiando spazio in magazzino e contenendo i costi di gestione dell’inventario e delle rimanenze.

After marketing: è l’insieme delle attività di mkt svolte dopo l’acquisto di un prodotto. Per es. l’attività di
progettazione delle istruzioni relative all’uso dei prodotti è spesso delegata a ingegneri che si esprimono
con termini tecnici e poco comprensibili mentre è importante che i manuali descrivano in modo chiaro e
semplice sia le potenzialità del prodotto sia il modo in cui gli utenti possono realizzarle al meglio. E’
possibile consolidare il legame con il consumatore anche attraverso la creazione di un customer service ben
concepito, facilm. raggiungibile con un numero verde o attraverso il Web. Principali attività: creare e
aggiornare un database sui clienti, analizzare il feedback dei clienti, condurre indagini sulla loro
soddisfazione, formulare e gestire programmi di comunicazione, organizzare eventi speciali x i clienti,
identificare e cercare di recuperare i clienti persi.

Loyalty marketing: è stato definito come l’individuazione, la conservazione e l’aumento della redditività dei
migliori clienti dell’azienda attraverso relazioni di lungo periodo, interattive e a valor aggiunto. I programmi
fedeltà riducono il tasso di defezione e aumentano quello di retention, inoltre è possibile ottenere
molteplici dati sui comportamenti d’acquisto e di consumo, e quindi individuare nuove modalità di
accrescimento del valore offerto al cliente. Per elaborare programmi di fedeltà efficaci è necessario
conoscere i propri clienti (x capire a quali segmenti di consumatori proporre il programma), aggiornare
continuamente il programma (x attrarre nuovi clienti e ostacolare i tentativi di imitazione da parte delle
aziende concorrenti), ascoltare i clienti migliori (xkè rappresentano un’elevata percentuale del volume
d’affari e i loro suggerimenti e lamentele possono contribuire a migliorare il programma), coinvolgere le
persone (rendendo il programma di facile utilizzo, offrendo una ricompensa immediata x l’iscrizione, e farli
sentire speciali una volta acquisiti inviando loro offerte speciali o inviti a eventi particolari).

2 STRATEGIA DI PREZZO: la strategia di prezzo determina il giudizio dei consumatori sul livello di onerosità
della marca e sulla rigidità o flessibilità delle condizioni di accesso alla marca stessa. La scelta di una
strategia di prezzo ai fini della brand equity presuppone:

- Un metodo di determinazione dei prezzi;

- Una politica degli sconti e delle promozioni che ne definisca la profondità e la durata nel tempo.

Esistono molti approcci differenti alla fissazione dei prezzi ma in generale costi di produzione e
distribuzione e i prezzi della concorrenza sono importanti determinanti della strategia di prezzo ottimale.
Tuttavia le aziende tendono a concentrarsi sempre di + sulle percezioni e sulle preferenze dei consumatori
nell’elaborazione della strategia. Il prezzo può assumere ruoli diversi agli occhi del consumatore ma in
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generale essi tendono a combinare le impressioni sulla qualità e quelle sul prezzo x formulare un giudizio
sul valore del prodotto. Proprio x questo, obbiettivo del value pricing è determinare la giusta combinazione
di qualità, costi e prezzi del prodotto che soddisfi pienamente i bisogni del consumatore e le esigenze
reddituali dell’impresa. Nello specifico, l’approccio value pricing si fonda sull’equilibrio ottimale fra 3
momenti:

1 Progettazione e realizzazione del prodotto: secondo il value pricing la strategia non consiste nel vendere
versioni + economiche del prodotto a prezzi inferiori in quanto i consumatori sono disposti a pagare un
premio x il valore aggiunto che percepiscono in un prodotto o servizio. Ad es. Geox ha brevettato un
sistema x favorire la traspirazione del piede nelle calzature , giustificando un premium price sostanziale.

2 Costi del prodotto: che vanno ridotti il + possibile, senza penalizzare il suo livello qualitativo. A tal fine
sono necessari continui incrementi della produttività, l’outsourcing (esternalizzazione), la sostituzione di
alcuni materiali con altri + economici o soggetti a minori sprechi, il cambiamento dei processi attraverso
l’automazione o altre migliorerie ecc.

3 Prezzi del prodotto: L’ultimo fattore critico di successo consiste nel comprendere esattamente quanto
valore i clienti percepiscano nel brand e, quindi, quale differenziale siano disposti a pagare rispetto alle
marche concorrenti. Il prezzo suggerito dalla stima del valore percepito può essere utilizzato come punto di
partenza x la determinazione del prezzo di mercato effettivo, apportando le correzioni necessarie che
tengono conto dei costi e della concorrenza. E’ importante infatti che i consumatori giudichino il prezzo del
prodotto appropriato e ragionevole, dati i benefici che sono convinti di riceverne. Inoltre consumatori
diversi dovrebbero ricevere un trattamento di prezzo diverso. Per questo è necessario adottare una
segmentazione di prezzo che consiste nel fissare e adattare i prezzi ai vari segmenti di mercato. Per quanto
riguarda invece la natura degli sconti e delle promozioni nel tempo, i sostenitori dell’approccio every day
low pricing (EDLP) rifiutano una brusca alternanza fra aumenti di prezzo e ribassi o sconti, in quanto
ritengono che mantenere costantemente bassi i prezzi dei principali prodotti aiuti a creare fedeltà al brand,
ostacoli la concorrenza delle private label e riduca i costi di produzione e di inventario. Tuttavia essi
riconoscono la necessità di praticare periodicamente degli sconti in quanto se ben concepiti e realizzati al
momento opportuno, possono incrementare le vendite. In questo senso molte imprese hanno adottato
modelli e software sofisticati x ottenere la tempistica ottimale di ribassi e sconti. Purtroppo xo’ spesso i
periodi di promozione portano con se comportamenti scorretti da parte dei dettaglianti che x es. ordinano +
di quanto pensino di vendere durante il periodo promozionale in modo da poter godere di un margine +
elevato distribuendo la merce residua al prezzo regolare una volta terminata la promozione. Cio’ rischia di
creare false economie. Tra l’altro durante le promozioni le fabbriche erano costrette a prolungare i normali
turni di lavoro x l’eccesso di domanda registrato in quel periodo mentre al termine di tale periodo
soffrivano un rallentamento della produzione che costava milioni di dollari. X di + queste oscillazioni di
prezzo spingevano i consumatori ad attendere i periodi promozionali x fare acquisti, con una conseguente
erosione del valore percepito.

STRATEGIA DI CANALE: comprende la progettazione e la gestione di intermediari come i grossisti, i


distributori, gli agenti e i commercianti al dettaglio. Esistono diverse possibili tipologie di canali. Una prima
ampia distinzione è quella fra canali diretti e indiretti.

Quando una azienda vende attraverso canali diretti i clienti vengono contattati personalmente via posta o
telefono, oppure attraverso mezzi elettronici e visite. Un’altra particolare forma di canale diretto sempre +
diffusa nell’ultimo periodo consiste nell’apertura di negozi di proprietà dell’Impresa che di fatto

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rappresentano + un mezzo x promuovere e rafforzare l’immagine del brand che un vero e proprio
strumento di vendita dal momento che in questo modo l’azienda può mostrare la profondità, l’ampiezza e
la varietà della propria gamma, ma anche sondare le abitudini di acquisto del consumatore. Quando
l’azienda si serve invece di canali indiretti coinvolge intermediari come agenti o rappresentanti, grossisti o
distributori, commercianti al dettaglio. In generale una ricerca mostra che i canali diretti sono preferibili
quando: l’esigenza di informazioni sul prodotto è forte xkè la certezza della qualità del prodotto è
importante, la personalizzazione del prod. è elevata, le quantità acquistate sono rilevanti; sono da
privilegiare invece i canali indiretti quando: è essenziale un vasto assortimento, la disponibilità del
prodotto costituisce un fattore critico, è importante il servizio post-vendita. Raramente cmq un
produttore ricorrerà ad un unico canale distributivo, + probabilm. utilizzerà un sistema ibrido. L’obbiettivo
xo’deve essere quello di massimizzare la copertura e l’efficienza , minimizzando al contempo i costi e i
conflitti fra i singoli canali.

Canali indiretti: Nell’ambito di questi canali i dettaglianti sono quelli che hanno i contatti + diretti con i
consumatori e che di conseguenza hanno > opportunità di influire sulla brand equity. In primis i distributori
possono influenzare la brand equity delle marche che distribuiscono attraverso servizi pre- e post- vendita
oltre che con le loro scelte in materia di stock, esposizione e vendita. Inoltre l’interazione fra l’immagine
di un negozio e quella dei prodotti che esso propone è spesso molto importante. Oltretutto la sempre >
concorrenza x la conquista dello spazio espositivo fra brand percepiti come sempre + indifferenziati, hanno
permesso al trade di acquistare + potere negoziando con i produttori accordi commerciali vantaggiosi
(richiesta di compensi x inserire nell’assortimento una nuova marca o in termini di denaro o in termini di
condizioni di lancio come la dilazione del credito, il pagamento della pubblicità o delle promozioni
effettuate dal dettagliante a sostegno della nuova marca).

In generale il produttore che indirizza gli sforzi di mkt verso il consumatore finale ricorre a una STRATEGIA
PULL, in quanto i consumatori utilizzano il potere e l’influenza che hanno sui distributori per “ tirare” il
prodotto attraverso il canale. In alternativa gli sforzi possono essere concentrati sui membri stessi del
canale distributivo, attraverso incentivi a rifornirsi dei prodotti e a venderli al cliente finale. Questo
approccio è detto STRATEGIA PUSH, in quanto il produttore cerca di raggiungere il consumatore
“spingendo” la propria merce attraverso le singole fasi della catena distributiva. I programmi di >successo
sono in genere il frutto di una combinazione fra i 2 orientamenti.

Vista l’importanza dei distributori diventa fondamentale x i produttori stabilire con loro una parnership di
marketing duratura in grado di fruttare a entrambi. Come fossero clienti, essi andrebbero suddivisi in
segmenti e sostenuti in maniera differente a seconda delle loro esigenze e capacità di marketing, x es.
attraverso mix di prodotti differenti, promozioni personalizzate o anche attraverso il cosiddetto cooperative
advertising, che prevede che il produttore finanzi diret. una parte di pubblicità realizzata dal distributore x
promuovere l’articolo, così da concentrare i propri sforzi promozionali anche a livello locale, rinunciando xò
al pieno controllo sull’immagine della marca pubblicizzata che essendo gestita dal produttore potrebbe
servirsi di questa pubblicità x porre l’accento + sul punto vendita che sul brand.

Le opzioni di comunicazione di marketing

Televisone: Riconosciuto come il + potente fra i media pubblicitari x la sua combinazioni di immagini, suono
e movimento e x la possibilità di raggiungere un pubblico vasto a un costo di esposizione ridotto, in primo
luogo consente di mostrare con vivacità gli attributi del prodotto e spiegare in modo persuasivo i relativi
benefici x i consumatori; in secondo luogo consente di proporre un immaginario relativo all’utente e

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all’utilizzo della marca. D’altra parte il gran numero di pubblicità in tv confonde il pubblico che tende a
ignorare o dimenticare gli spot, in + il ritmo veloce e le distrazioni implicite negli elementi creativi spesso
distolgono l’attenzione dal msg relativo al prodotto. Restano poi da considerare gli elevati costi di
produzione e di acquisto degli spazi.

Radio: il vantaggio principale è la flessibilità in quanto le stazioni hanno un target molto preciso; x di + la
produzione degli annunci e lo spazio pubblicitario sono relativam economici. Evidenti svantaggi sono invece
il basso coinvolgimento dovuto alla mancanza della componente visiva e quindi la natura passiva
dell’elaborazione del msg da parte del consumatore. X questo è necessario che il msg sia concentrato e il
brand sia identificato all’inizio e ripetuto + volte durante l’annuncio.

Stampa: giornali e riviste possono fornire informazioni dettagliate sul prodotto e i periodici in particolare
sono efficaci x la trasmissione dell’immagine dell’consumatore tipo di un certo prodotto.. I quotidiani
vengono invece utilizzati soprattut x la pubblicità locale. Uno svantaggio è rappresento dal carattere +tosto
passivo dello strumento.

Direct marketing: fa riferimento all’uso della posta, del telefono o di altri strumenti di contatto non
personale x dare una comunicazione o sollecitare una risposta da specifici clienti, esistenti o potenziali. Una
forma particolarm diffusa è quella dell’infomercial che combina l’offerta commerciale con quella
informativa, rappresentando una sorta di incrocio fra una vendita telefonica e un’inserzione pubblicitaria.

Siti Web: i principali vantaggi del marketing sul Web sono il basso costo e le possibilità di personalizzazione.
Dal momento che i consumatori cercano in rete informazioni + che intrattenimento, i siti di >successo sono
quelli in grado di offrire expertise in un’area rilevante x il consumatore. E’ importante xò che le informazioni
fornite siano puntuali, affidabili e soprat aggiornate. In generale i siti Web possono contenere informazioni
sull’azienda e i suoi prodotti, comunicati stampa, informazioni pubblicitarie e promozionali, link ai siti di
partner e rivenditori.

Pubblicità sul Web: può essere valutata nella sue efficacia attraverso software specifici, non è intrusiva e
consente di rivolgersi a un gruppo limitato di potenziali clienti, ad es. i + promettenti. D’altra parte molti
consumatori tendono a ignorare i banner e i pup-up o pup-under che aprono mini finestre spesso
infastidivano i consumatori. X questo l’interesse si è spostato verso i grattacieli (box alti, sottili e lunghi sul
lato della pagina Web) e i rettangoli (box di grandi dimensioni) che, + grandi dei banner, possono essere
arricchiti anche con effetti di animazione.

Place advertising: detto anche out-of-home advertising, abbraccia tutta la pubblicità realizzata non sui
mezzi di comunicazione tradizionali ma in luoghi insoliti nell’ambito di programmi di marketing
esperienziale. I consumatori infatti, vengono raggiunti nei luoghi in cui lavorano, giocano, fanno acquisti
attraverso poster e cartelloni sui mezzi di trasporto come autobus o linee aeree, sale d’attesa, nei punti
vendita attraverso scaffali, carrelli, dimostrazioni, distribuzione di campioni o anche con il product
placement, ovvero attraverso l’introduzione dei prodotti nei film o in tv.

Promozione delle vendite: si può definire come un incentivo volto a incoraggiare la prova o l’utilizzo di un
prodotto o servizio (mentre la pubblicità fornisce una ragione x acquistare). Può essere diretta sia al
distributore xkè offra e sostenga attivamente il brand, sia al consumatore affinchè acquisti la marca x la
prima volta, in quantità maggiore o + spesso.

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Event marketing: consiste nella sponsorizzazione di eventi o attività in ambito sportivo (preferite
dall’utenza), artistico/culturale (restauro di monumenti, finanziamento di mostre) o sociale (sonsorizzaz di
spettacoli e concerti ma anche interventi i solidarietà). In questo modo è possibile: promuovere
l’immagine dell’impresa, associare la marca con un particolare mercato target o con uno stile di vita, creare
opportunità promozionali e di merchandising. D’altra parte la riuscita di un evento può essere
imprevedibile e non controllabile dagli organizzatori.

Public relation e publicity: Sono concepite x promuovere o proteggere l’immagine di un’impresa o dei suoi
prodotti. La publicity fa riferimento a comunicazioni non personali come comunicati stampa, interviste sui
media, conferenze stampa, servizi giornalistici, newsletter, fotografie, filmati e videocassette. Le public
relation possono includere anche i bilanci d’esercizio, le iniziative di raccolta fondi, il lobbying, la gestione di
eventi speciali e così via.

Buzz marketing: fa riferimento al passa parola che si innesca quando qualche aspetto del prodotto attira un
nucleo di consumatori ansioso di farlo conoscere ai loro peer, cioè a persone della loro stessa età o
condizione socio-economica. La notizia si diffonde e dopo qualche tempo le voci sono così numerose da
trasformarsi in un brusio. Il buzz marketing è particolarm efficace quando il msg sembra provenire da una
fonte indipendente rispetto al brand che quindi fornisce un giudizio apparentemente autentico. In questo
senso è efficace far scoprire l’innovazione a persone in grado di esercitare influenza sugli altri consumatori.

Personal selling: prevede un’interazione personale e finalizzata alla vendita del prodotto con uno o +
acquirenti potenziali. Può rivelarsi proficuo anche dopo la vendita x gestire eventuali problemi e assicurarsi
che il cliente sia soddisfatto. Lo svantaggio sta nei costi elevati e nel raggio di azione limitato.

Nel valutare l’impatto complessivo di un programma di IMC (integrated marketing communication) è


necessario che esso rispetti 6 criteri fondamentali: La copertura che fa riferimento alla porzione di pubblico
raggiunta da ciascun opzione comunicativa utilizzata, oltre che alla sovrapposizione fra le diverse opzioni; il
contributo, ossia la capacità intrinseca di una comunicazione di mkt di suscitare la reazione desiderata da
parte dei consumatori; la comunanza che fa riferimento alla misura in cui le informazioni comunicate dalle
diverse opzioni condividono uno stesso significato, la loro complementarietà delle iniziative, la versatilità,
ossia la misura in cui un opzione comunicativa si dimostra efficace x diversi gruppi di consumatori e, infine è
necessario ponderare le decisoni di comunicazione integrata sulla base dei costi.

6 CAPITOLO: IL LEVERAGE DELLE ASSOCIAZIONI SECONDARIE

E’ possibile rafforzare la brand equity anche facendo leva sulle associazioni secondarie: in primo luogo
evidenziando il legame con aziende, x es. attraverso strategie di branding quali la creazione di un nuovo
brand (Nel 1975 Barilla creò il brand Mulino Bianco x il proprio ingresso nel mercato dei prodotti da forno),
l’adattamento o la modificazione di un brand esistente, la combinazione di un brand esistente con uno
nuovo; un’altra maniera può essere quella di rafforzare il legame del brand con il paese di origine, x es.
facendo del toponimo il nome del brand, o facendo del paese d’origine il tema centrale della pubblicità. In
questo caso c’è da spec. xò che uno stretto legame fra il brand e la sua origine geografica presenta anche
potenziali svantaggi in quanto eventi e circostanze che coinvolgono il paese da cui proviene il prodotto
possono modificare le percezioni dei consumatori. Anche i canali distributivi possono influenzare la brand
equity. Il consumatore infatti può pensare che se un prodotto è disponibile in un certo punto vendita, deve
essere di buona qualità. Del resto ogni distributore ha una propria immagine determinata
dall’assortimento, dalle politiche di prezzo, dalla qualità del servizio, che se ben curata e rafforzata
positivamente il consumatore trasferisce al brand automaticamente. Un'altra forma di associazione
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secondaria in grado di creare valore x il brand è il co-branding che si concretizza quando 2 o + brand
vengono combinati nella realizzazione di un unico prodotto o commercializzati insieme attraverso forme di
marketing congiunto. Ciò consente una riduzione del costo di introduzione del prodotto, in quanto la
combinazione con marche già note può accelerarne l’adozione. D’altra parte le attese in questo caso
tendono a essere elevate e una performance insoddisfacente può avere ripercussioni negative sulle
marche coinvolte. In + se una delle altre partecipa ad altri accordi di questo tipo esiste il pericolo di una
sovraesposizione che può distrarre il consumatore. In generale cmq il requisito + importante x il co-
branding è la compatibilità dei brand dal punto di vista logico. Sebbene gli accordi finanziari possano
variare, una fra le formule + comuni prevede il pagamento di una commissione x la licenza e di royalty da
parte del brand che svolge il ruolo principale nel processo produttivo. (un es. di co-branding è quello fra
Disnay e McDonald’s). Un caso particolare di co-branding è quello dell’ingredient branding, volto a creare
brand equity per materiali e componenti presenti all’interno di prodotti di marca . Gli ingredient brand
cercano di creare consapevolezza e preferenza nei confronti del prodotto che contiene l’ingrediente
conosciuto x la sua qualità, il quale in quest’ottica dovrebbe costituire un ulteriore spinta all’acquisto x il
consumatore. Dunque, l’impresa che crea il prodotto può beneficiare dell’effetto leva del valore della
marca dell’ingrediente, e l’azienda che produce quest’ultimo può beneficiare dei ricavi legati sia al prezzo
dell’ingrediente che alle royalty pagate dall’impresa produttrice del prodotto x l’esposizione della marca
dell’ingrediente. D’altro canto, oltre a considerare gli elevati costi di applicazione di questi programmi, c’è
da tener presente che i produttori potrebbero essere penalizzati dall’eventuale confusione dei consumatori
su quale sia il vero brand, se l’ingrediente raggiunge un’elevata notorietà, senza considerare che i
programmi di mkt del produttore e del fornitore potrebbero avere obbiettivi differenti e inviare segnali
contradditori al consumatore. Un altro tipo di associazione secondaria è il licensing che consiste in accordi
contrattuali x l’utilizzo di nomi, loghi, personaggi di altre marche x commercializzare i propri brand dietro
pagamento di un determinato compenso. In sostanza un azienda “affitta” la marca di un’altra x creare
valore x il proprio brand. In questo ambito il primato spetta sicuram a Walt Disnay. In generale si configura
come un’importante strategia x l’abbigliamento e gli accessori di moda. A volte xò può capitare che il brand
ceduto in licenza sia oggetto di una popolarità temporanea e quindi non in grado di alimentare le vendite
nel lungo periodo. In + c’è il rischio che il prodotto non si riveli all’altezza della reputazione di cui gode la
marca penalizzando il significato del brand x i consumatori.

Il ricorso alla celebrità come testimonial rappresenta un’altra associazione secondaria in grado di rafforzare
la brand equity in quanto può catalizzare l’attenzione verso un brand e plasmarne la percezione. X ottenere
questo effetto il personaggio dovrebbe godere di un’elevata visibilità e trasferire una serie di associazioni,
giudizi e sentimenti potenzialm utili dal punto di vista del prodotto che rappresenta e comunica; dovrebbe
quindi apparire credibile in termini di expertise e affidabilità ed essere piacevole e attraente. D’altra parte
se il testimonial è stato protagonista di molte campagne, può non essere associato a un significato preciso o
essere percepito come un opportunista o un ipocrita. In + se i personaggi hanno un problema o un calo di
popolarità il loro contributo nei confronti del brand si riduce in proporzione. Al contrario il personaggio può
finire x sottrarre attenzione al brand in quanto l’attenzione dei consumatori potrebbe essere così catturata
da quest’ultimo da erodere il ricordo della marca nella sua mente.

Il marketing degli eventi è un altro strumento in grado di creare associazioni chiave che in determinate
condizioni possono trasferirsi alla marca dello sponsor. Un brand può infatti apparire + piacevole, affidabile
o esperto grazie al legame con un determinato evento. Un esempio concreto è quello del “Cornetto free
Music festival”, una serie di eventi musicali sponsorizzati dal noto brand Algida che si traducono in concerti
gratuiti nelle piazze + grandi d’Italia.

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Altri mezzi in grado di creare associazioni favorevoli al brand sono le fonti terze, il cui impatto può
esercitarsi anche a un livello + locale, ad es. il sostegno nei confronti del brand da parte di riviste autorevoli
ed esperti ma anche il marchio DOC, sinonimo di alta qualità agli occhi del consumatore poiché attesta
l’utilizzo di processi produttivi che non intaccano la genuinità del prodotto, ed è x altro, un importante
strumento di tutela dei prodotti contro imitazioni e contraffazioni.

CAPITOLO 7: LA PROGETTAZIONE E L’ATTUAZIONE DELLE STRATEGIE DI BRANDING

La strategia di branding è fondamentale in quanto rappresenta il mezzo con cui l’azienda può aiutare i
consumatori a capire i suoi prodotti e servizi e organizzarli mentalmente. Adottare una strategia di branding
significa decidere quale nome, logo, simbolo ecc. sia opportuno x ciascun prodotto e stabilire quale debba
essere la natura dei brand element, consolidati o inediti, da attribuire ai nuovi prodotti. Le dimensioni che
caratterizzano una strategia di branding sono Ampiezza (relazioni brand-prodotto e strategia di estensione
del brand) e la Profondità (relazioni prodotto-brand e portfolio o mix di marche).

La matrice brand–prodotto è uno strumento x la definizione delle strategie di gestione delle marche e dei
prodotti offerti dall’azienda.

Le righe della matrice rappresentano le relazioni brand-prodotto e catturano le strategie di estensione del
brand, ossia il numero e la natura dei prodotti commercializzati con le marche aziendali (Ampiezza).
Dunque una linea di marca (brand line) include tutti i prodotti identificati mediante un determinato brand
(sia il prodotto originario che le estensioni di linea e di categoria).

Le colonne rappresentano invece le relazioni prodotto-brand e catturano la strategia relativa al portfolio di


marche, ossia il numero e la natura dei brand commercializzati nella classe di prodotti in cui l’azienda opera
(Profondità). Dunque il portfolio di marche è l’insieme di tutti i brand e le linee di brand esistenti in una
particolare categoria.

Una linea di prodotti (product line) è l’insieme dei prodotti che appartengono alla medesima categoria e
sono strettamente correlati in quanto offrono benefici simili,, vengono venduti agli stessi gruppi di
consumatori e distribuiti attraverso la stessa tipologia di negozi, o rientrano in una determinata fascia di
prezzo. Una linea di prodotti può essere composta da diversi brand o da un unico brand comune o, ancora,
da un singolo brand ampliato..

L’assortimento o mix di prodotti (product mix) è l’insieme di tutte le linee e gli articoli che una determinata
azienda offre agli acquirenti.

 Per quanto riguarda l’Ampiezza, il numero opportuno di linee di prodotti e di varianti nell’ambito di
ciascuna linea va stabilito tenendo conto di:

- Fattori di mercato aggregati: Dimensioni del mercato, relativa crescita, stagionalità e ciclicità delle
vendite, profitto. (E’ infatti preferibile che la categoria sia ampia in termini di volume e valore del
mercato, in rapida crescita, non stagionale e ciclica nell’andamento delle vendite e caratterizzata da
elevati margini di profitto);

- Fattori di categoria: Minaccia di nuovi concorrenti, potere contrattuale degli acquirenti e dei fornitori,
attuale rivalità competitiva nella categoria, (se nella prospettiva del consumat. esistono poche)
possibilità di sostituzione del prodotto

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- Fattori ambientali: è necessario effettuare previsoni su variabili tecnologiche, politiche, economiche,


normative e sociali che potrebbero esercitare un impatto sulle prospettive future della categoria.

 Per quanto riguarda invece la Profondità, una volta definita l’ampiezza, ossia quali articoli associare
a ciascun brand, occore definire quanti brand proporre in ciascuna categoria, ossia il portfolio di
marche. La strategia migliore infatti, sarebbe quella di commercializzare molteplici brand nella
stessa categoria così da assicurare una completa copertura del mercato. (P&G). Del resto, il
principio di base della creazione di un portfolio di brand è quello di massimizzare la copertura di
mercato in modo che nessun potenziale cliente sia ignorato, e minimizzare la sovrapposizione fra i
brand che non devono competere fra loro x conquistare il favore dello stesso cliente. Ogni marca
dovrebbe avere un mercato target e un posizionamento diversi da quelli delle altre.

Nell’ambito di un portfolio i diversi brand possono svolgere numerosi ruoli specifici:

1) Attrarre un particolare segmento di mercato al momento non coperto da altri brand dell’azienda;

2) Giocare come “ala” e proteggere le marche principali (la funzione di tali marche dette Flanker
“combattenti” è quella di creare elementi di parità con la concorrenza, in modo che le marche principali e
maggiorm redditizie possano conservare il proprio posizionamento, x questo il prodotto non deve essere
tanto attraente da erodere il fatturato di queste marche ma neppure tanto economico da sminuire
l’immagine di altri brand);

3) Servire come “generatore di cassa” da cui ottenere profitti (alcuni brand possono infatti essere tenuti in
vita nonostante il calo delle vendite, in quanto riescono a conservare un numero di clienti sufficiente a
garantire profitti senza il sostegno del marketing);

4) Servire da prodotto d’ingresso di fascia bassa x attrarre nuovi clienti verso la marca;

5) Servire da prodotto prestigioso di alto livello x rafforzare l’immagine e la credibilità dell’intero portfolio;

6) Attrarre consumatori alla ricerca di varietà, che potrebbero altrimenti passare ad altre marche;

7) Accrescere competitività all’interno dell’azienda e offrire economie di scala nella pubblicità, nelle
vendite, nel merchandising e nella distribuzione;

8) Aumentare la presenza sugli scaffali del punto vendita e il potere contrattuale nei confronti della
distribuzione.

La gerarchia del brand è uno strumento di sintesi della strategia di branding, che illustra le relazioni di
branding esistenti fra i diversi prodotti dell’azienda. La rappresentazione + semplice dei possibili elementi e
livelli - dall’alto al basso - è la seguente:

1) Brand dell’azienda (company brand) o del gruppo (corporate brand), x es. Fiat., che x motivi legali è
quasi sempre presente sulla confezione del prodotto, sebbene talvolta possa essere sostituito dal nome di
una società affiliata (Nestlè che controlla Perugina, Motta, Smarties ma non usa il proprio nome) ; o usato in
combinazione con family brand;

In generale il brand di un’azienda rispetto a quello del prodotto può essere dotato di una gamma di
associazioni molto più ampia che incidono congiuntamente sul suo valore: condotta dell’azienda nei
confronti dei dipendenti i quali con i loro comportamenti possono a loro volta influenzare l’immagine

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aziendale e la brand equity dei punti vendita, negli affari, in relazione al prodotto (il quale è necessario
risponda soprattutto ai requisiti di qualità e innovazione), il prezzo (sconti sui volumi, ribassi, condizioni di
pagamento), i canali di distribuzione, ma soprattutto un ruolo di importanza crescente nelle decisioni di
acquisto dei consumatori è svolto dalle percezioni sulla condotta sociale e ambientale dell’impresa. In tal
senso un’impresa è percepita come socialmente responsabile e interessata all’ambiente quando partecipa
ai programmi della comunità, si mostra disponibile a sostenere attività artistiche e sociali, è attiva nella
tutela e nel miglioram dell’ambiente e fa un uso consapevole delle risorse naturali. E’ infine fondamentale
che l’azienda goda di credibilità aziendale, cioè che sia percepita dai consumatori come in grado di
realizzare prodotti in grado di soddisfare i loro bisogni e desideri. Essa dipende dall’ esperienza (nella
produzione e distribuzione di prodotti), dall’affidabilità, in termini di onestà e sensibilità verso i clienti e
dall’Appel, ossia dal grado di fascino, prestigio e dinamismo attribuitogli.

2) Brand relativo a una famiglia di prodotti (Family brand), es. Lancia. E’ quello utilizzato in + di una
categoria di prodotti pur non corrispondendo necessariam al nome dell’azienda. (Nestlè ad es. produce e
commercializza con il brand Buitoni un ampio spettro di prodotti alimentari); I family brand possono
dunque rappresentare un efficace strumento x collegare associazioni comuni a molteplici prodotti distinti.
In questo modo Il costo di introduzione di un nuovo prodotto correlato può essere inferiore, mentre la
probabilità di accettazione + alta. D’altra parte l’insuccesso di un prodotto potrebbe ripercuotersi su altri
commercializzati con la stessa marca.

3) Brand singolo (Individual Brand) Es. Ypsilon. Identifica un’unica categoria di prodotto, nell’ambito della
quale può xò essere associato a diverse tipologie di articoli, che variano sulla base di modelli diversi,
dimensioni della confezione, gusti ecc. Il vantaggio consiste nella possibilità di personalizzare sia la marca,
sia il programma di mkt in risposta alle esigenze di un particolare gruppo di clienti senza il rischio di
penalizzare l’azienda nel caso di crisi o fallimenti del brand.

4) Il Modificatore (Modifier) identifica l’articolo o modello specifico o una particolare versione del prodotto.
Sono utili a comunicare significative differenze negli attributi o nei benefici di prodotti appartenenti alla
stessa categoria. (x es. le caramelle della Perfetti come Fruttella sono disponibili in 2 o + versioni: gusto
fragola e gusto frutta; la parola “Light” sottostante al brand Philadelphia (individual brand) della Kraft
(family brand) del gruppo Altria (Company brand) è un modificatore all’interno della categoria formaggio da
spalmare

In base alle relazioni esistenti fra queste diverse tipologie di brand è possibile definire la struttura che
organizza il portfolio dei brand detenuti dall’impresa, ossia l’architettura di marca.

L’architettura di marca è lo strumento attraverso il quale la squadra composta da + marche può funzionare
come se si trattasse di una sola entità, in modo da creare sinergie, chiarezza ed efficacia ottimale.

Ai fini di definire la brand architeture il primo passo è capire la relazione esistente tra product brand e
corporate(l’impresa a monte della marca). I criteri di definizione di questa relazione possono essere
molteplici:

a) Per destinazione d’uso (es. P&G fa rientrare nella cura della casa marche come Dash, mastro Lindo e
Swiffer e nella cura della persona e della bellezza Pantene, MaxFactor, Infasil);

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b) Per modalità di utilizzo o occasione di consumo (es. Buitoni raggruppa i suoi prodotti in 3
macrotipologie: prodotti da dispensa, cioè fette biscottate, pasta e crostini; prodotti da frigo, cioè pasta
fresca, basi x pizza, pasta sfoglia; prodotti da freezer, cioè minestroni e verdure, primi piatti cucina ecc).

c) Per tipologie di prodotto (es. Kraft raggruppa i suoi prodotti in macrocomparti secondo le caratteristiche
oggettive dei prodotti: Caffè Splendid e Hag; Piatti pronti: Simmental e Giravolte; Formaggi: Philadelphia,
Sottilette; Salse: Mayonese e Kechap Mato Mato; Snack: Milka e Toblerone);

d) Per tecnologia utilizzata (es. Hp: LaserJet; InkJet; ScanJet);

e) Per posizionamento sulla base del valore, della qualità, del prestigio (es. Visa presenta 4 tipi di carte di
credito: Classic; Gold; Platinum; Signature);

f) Per beneficio offerto (es Kellogg’s divide i suoi prodotti in 5 famiglie: quelli che offrono buona vitalità; con
1% di grassi; con gusto extraordinario; ricchissimi di fibre; cresco bene bambini;

g) Per localizzazione territoriale e strategica dei mercati(es. Nestlè presenta 6worldwide corporate brands:
Nescafè, Buitoni, Nestea ecc e 2brand localizzati nel mercato italiano: Perugina e Antica gelateria del corso;

e) Per segmento di mercato (è il caso di Armani che presenta diverse linee:linea giovane, Jeanseria
firmata..)

In generale il brand corporate può assumere 2 posizioni rispetto al singolo brand:

 Diventare un tutt’uno con il brand singolo (questo porterà il nome della corporate, la sua cultura, i
suoi valori, etc) In questo caso si parla di STRONG MASTER BRAND.
 Conservare la propria autonomia (e gestire le marche del gruppo in modo distinto da essa). In
questo caso si parla di STRONG INDIVIDUAL BRAND.

Incrociando queste 2 possibilità con l’applicazione ai diversi settori merceologici troviamo 4 situazioni +
frequenti:

STRONG MASTER BRAND:

- Branded House o Brand Ombrello o Unitary Brand: L’impresa si presenta con la stessa marca in tutti i
mercati in cui opera anche quando essi appartengono a settori merceologici molto eterogenei (ad es. NIKE,
APPLE, MCDONALD’S, SONY, VIRGIN. In questo caso dunque Corporate e brand coincidono e formanon un
unico prodotto o diverse versioni dello stesso. (Corporate=Brand)

- Sub-branding: L’impresa associa alla marca corporate una marca di livello inferiore che identifica uno
specifico prodotto o una versione del prodotto sviluppata ad hoc, il quale costituisce quindi uno strumento
x modificare quella sovraordinata. Una combinazione frequente è quella fra la Corporate e o il family brand
e singole marche. Il Sub-branding consente quindi da un lato di rendere + accessibili associazione e
atteggiamenti relativi al Corporate o al Family brand nel suo complesso e, dall’altro generare convinzioni
specifiche. Nel Sub-branding il livello Corporate è + forte del singolo brand dal momento che quest’ultimo
gli è subordinato (Corporate>Brand). E’ un architettura consigliata nei casi in cui l’Impresa presenta
un’elevata differenziazione all’interno dell’offerta x contenuti/ target/distribuzione e un’elevata coerenza in
relazione alla tipologia merceologica e ai mercati. E’ particolarmente utile x introdurre un nuovo prodotto e
x entrare in nuovi mercati. (Es Nestlè: Nescafè, Nestea; Nivea: Nivea Body, Nivea Sun).

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STRONG INDIVIDUAL BRAND:

- Brand Enorsement: Questo tipo di architettura prevede la presenza di marche forti e indipendenti
sostenute da un Master brand garante dell’offerta, con un ruolo meno diretto e + secondario rispetto al
sub-branding. Dunque Corporate e brand non coincidono, o meglio coincidono soltanto in parte, in quanto
la Corporate è Brand a se stante ma svolge spesso un ruolo discrezionale rispetto agli altri brand con un
coinvolgimento che varia a seconda del profilo e del ruolo strategico di ogni singolo mercato (es Barilla:
Mulino Bianco; Ferreo: Nutella). (Corporate= e diverso brand);

- House of Brand: ogni singola marca del portfolio vive in modo completamente autonomo, identificando
un solo prodotto/linea e comunicando una promessa specifica. Dunque Corporate e Brand non coincidono
in quanto ogni singolo brand è posizionato in uno specifico mercato. Le marche del gruppo abbracciano
diversi settori merceologici. (es P&G: Pampers, Dash, MaxFactor, Svelto ecc.).

Nella definizione della gerarchia, occorre decidere il numero di livelli e l’importanza relativa attribuita, a
ciascun livello, ai diversi brand combinati x il lancio di un nuovo prodotto. Il numero di livelli tipicamente
utilizzato è di 2 o 3. Ai fini della brand equità, la scelta delle associazioni da stabilire a ciascun livello
dovrebbe basarsi su principi di rilevanza e di differenziazione: in generale è auspicabile dar vita ad
associazioni che siano rilevanti x il >numero possibile di marche presenti al livello inferiore (soprat. a livello
di corporate o family brand) e distinguere tutti i brand allo stesso livello.

CAPITOLO 8: “LA DENOMINAZIONE DI NUOVI PRODOTTI E L’ESTENSIONE DELLA MARCA”

Quando l’azienda introduce un nuovo prodotto dispone di 3 possibilità nella scelta della marca con cui
identificarlo:

1 Può sviluppare un nuovo brand, scelto appositamente x il nuovo prodotto;

2 Può ricorrere a uno dei brand esistenti;

3 Può utilizzare una combinazione fra un brand nuovo e uno esistente.

L’estensione di un brand consiste nell’uso di una marca consolidata per denominare un nuovo prodotto.
Quando a un brand esistente se ne associa uno nuovo l’estensione può anche essere definita sub-brand. Il
brand da cui ha origine l’estensione è detto parent-brand. Se questo è già stato associato a molteplici
prodotti attraverso altre estensioni, può anche essere chiamato familybrand (marca relativa a una famiglia
di prodotti).

Le estensioni del brand possono essere divise in 2 ampie categorie generali:

 ESTENSIONI DI LINEA o line extention: la marca esistente è utilizzata x attribuire un nome a un


prodotto rivolto a un nuovo segmento di mercato ma all’interno di una categoria di prodotti in cui
l’impresa è già presente. Un’estensione di linea implica spesso una diversa varietà di gusti e
ingredienti, una forma o una dimensione differenti, un’applicazione inedita del prodotto (x es. un
nuovo rasoio Gillette progettato x la depilazione femminile).
 ESTENSIONI DI CATEGORIA o category extension: ci si serve di una marca esistente x entrare in una
nuova categoria di prodotti.

Un’estensione ben progettata offre molteplici vantaggi riconducibili a 2 categorie di benefici:

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 FACILITARE L’ACCETTAZIONE DI UN NUOVO PRODOTTO, in particolare:

1) Migliorando l’immagine del brand in quanto i consumatori possono attribuire all’estensione prestazioni
basate sulla conoscenza pregressa del brand stesso; 2) Riducendo il rischi percepito dei consumatori in
virtù della capacità riconosciuta all’azienda di introdurre e garantire prodotti di qualità. (X questo ai fini
dell’estensione la percezione della credibilità aziendale da parte del consumatore gioca un ruolo di vitale
importanza); 3) Aumentando la probabilità di ottenere un’adeguata distribuzione del prodotto e
stimolarne la prova in quanto uno dei principali criteri di scelta dei nuovi prodotti da parte dei rivenditori
è la reputazione della marca che se già conosciuta rappresenta una sicurezza; 4) Aumentando l’efficienza
delle spese promozionali grazie alla possibilità di concentrarsi sul prodotto in sé senza bisogno di creare
consapevolezza intorno alla marca e ridurre il costo dei programmi di marketing iniziali e successivi e i
costi di sviluppo di un nuovo brand (ricerche di mercato, logo, slogan, ecc.); 5) Realizzando efficienze a
livello di packaging e di etichettatura grazie all’uso di confezioni ed etichette simili; 6) Offrendo al
consumatore una scelta più ampia

 SUSCITARE UNA RISPOSTA POSITIVA NEI CONFRONTI DELLA MARCA ORIGINARIA O DELL’AZIENDA
in quanto

1) Permette di chiarire il significato del brand e definire le tipologie di mercato in cui opera; 2)
Consolidare l’immagine della marca originaria chiarendo valori e associazioni principali della marca estesa;
3) Conquistare nuovi clienti e aumentare la copertura di mercato; 4) Rivitalizzare il Brand rinnovando e
rafforzando l’interesse nei confronti della marca.

Ai potenziali vantaggi dell’estensione si contrappongono diversi svantaggi:

1) La possibilità di confondere o frustrare i consumatori; 2) Di incontrare le resistenze dei rivenditori, i


quali spesso hanno la sensazione che molte estensioni non siano che duplicati di marche già presenti
all’interno della categoria di cui sarebbe inutile rifornirsi; 3) La possibilità di insuccesso dell’estensione a
danno della marca originaria, soprat se tale insuccesso è legato alla performance del prodotto; 4)
Possibilità di successo accompagnato da una cannibalizzazione delle vendite della marca originaria: (cioè
il successo dell’estensione potrebbe finire x cannibalizzare la vendita di prodotti già commercializzati sotto
quella marca. In realtà xò. In questo caso il successo dell’estensione nonè che il risultato di una migrazione
interna dei consumatori che dal prodotto originario passano all’acquisto dell’estensione; 5) L’estensione
potrebbe oscurare il legame conla categoria iniziale, riducendo la consapevolezza del brand; 6)Infine se
l’estensione presenta associazioni ad attributi e benefici ritenute incoerenti o addirittura contraddittorie
rispetto a quelle della marca originaria, la percezione di quest’ultima potrebbe risultarne modificata.

La valutazione di un’estensione da parte dei consumatori poggia esclusivamente sulla conoscenza


pregressa della marca originaria e della categoria di appartenenza e precede quindi l’esposizione a
qualunque forma di pubblicità, promozione o informazione dettagliata. Perché tali valutazioni siano
favorevoli è dunque necessario che i consumatori abbiano sviluppato una certa consapevolezza e
associazioni positive sulla marca originaria, alcune delle quali è necessario che siano evocate
dall’estensione. Ovviam l’estensione non deve suscitare associazioni negative e, dal punto di vista del
posizionamento, dovrà essere in grado di conseguire punti di parità e di differenziazione. In genere < sono
le analogie fra l’estensione e il parent brand > è la necessità di stabilire punti di parità con la concorrenza.
E’ questo il caso delle estensioni di categoria. Nel caso delle estensioni di linea, invece, è + spesso
importante creare ulteriori elementi di differenziaz. che chiariscano la distinzione fra l’estensione e la
marca originaria. Gli effetti di un’estensione sulla conoscenza del brand dipenderanno dalla credibilità degli
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attribuiti e benefici associati al brand, dalla loro forza, rilevanza e coerenza fra l’apparenza dell’estensione e
le associazioni al parent brand.

In ogni caso, prima di pensare a un estensione è importante definire con chiarezza la base del
posizionamento e i benefici principali soddisfatti dal brand. L’impresa deve quindi chiarire in primo luogo la
direzione in intende condurre il brand nel lungo periodo. La scelta delle possibili estensioni dipenderà dalle
associazioni alla marca originaria e alle categorie di prodotti che sembrano corrispondere all’immagine
della stessa. In ogni caso è sempre utile condurre un’analisi su fattori relativi ai consumatori (chiedendo
direttam loro se ritengono che questa eventuale estensione non sia altro che una ripetizione della marca
già esistente sul mercato), fattori relativi all’azienda (in quanto un eccesso di estensioni potrebbe mettere
sotto pressione le risorse aziendali e distogliere l’attensione dal core business) e considerare la concorrenza
all’interno della categoria in cui si intende entrare. Inoltre x definizione un’estensione mantiene 1 o +
elementi del brand da cui ha origine. In questo senso oltre al nome un altro elemento importante su cui far
leva è la confezione che in genere viene mantenuta identica o simile. Fondamentale è che l’estensione e la
marca originaria siano fra loro compatibili. Il giudizio sulla compatibilità brand-estensione da parte del
consumatore può basarsi su similarità tecniche produttive o su considerazioni + superficiali come la
complementarietà funizionale. In generale i brand di alta qualità godono di una > possibilità di estensione
rispetto a quelli di media qualità perché considerati + credibili e affidabili mentre x i brand considerati
prototipici di una categoria come Chiquita non è facile estendersi. Inoltre le associazioni ad attributi
concreti sono + difficilmente trasferibili rispetto alle associazioni a benefici astratti. (Perlana x es. ha dovuto
investire notevoli risorse x convincere i consumatori della possibilità di utilizzare la marca x il lavaggio di
capi non in lana al fine di estendere la propria linea di detersivi). In merito alla strategia pubblicitaria, quella
+ efficace sottolinea le informazioni sull’estensione piuttosto che ricordare ai consumatori il parent brand.

CAPITOLO 8: GESTIRE LA MARCA NEL TEMPO

Un’efficace gestione del brand presuppone l’adozione di una prospettiva di lungo termine in grado di
cogliere il possibile impatto di mutamenti del programma di marketing sulla conoscenza della marca e,
quindi, sul successo dei programmi futuri. Una visone di lungo periodo comporta inoltre la definizione di
strategie attive volte a preservare e rafforzare nel tempo la CBBE di fronte all’evoluzione del contesto di
mercato e degli obbiettivi dell’impresa. Il valore della marca si rafforza attraverso azioni di marketing in
grado di comunicarne il significato, spiegando quali prodotti rappresenti il brand, quali vantaggi offra, quali
bisogni soddisfi e che cosa renda superiori tali prodotti, oltre che promuovendo associazioni forti, favorevoli
e uniche. Fondamentale è la coerenza del sostegno fornito dal marketing, in termini sia quantitativi sia
qualitativi. Ciò non significa che debba essere evitato qualunque cambiamento del programma di
marketing: al contrario alcune variazioni tattiche possono essere necessarie a mantenere la direzione
strategica stabilita (variare prezzi, introdurre estensioni). A meno di cambiamenti del contesto esterno,
tuttavia, l’esigenza di deviare da un posizionamento che sta conseguendo gli obbiettivi perseguiti è minima.
In un’eventualità simile, gli elementi di differenziazione e di parità che rappresentano le fonti della brand
equità dovrebbero essere tutelati con il massimo impegno. Il consolidamento del significato del brand
dipende dalla natura delle associazioni interessate. Per le marche le cui associazioni principali risiedono in
attributi e benefici relativi alla performance del prodotto, le innovazioni nel design, nella produzione e nel
merchandising sono particolarm rilevanti ai fini della brand equity (si pensi al ciclo di vita della linea Barbie,
soggetto ad una continua rivitalizzazione, dovendo stare sempre al passo con la moda, o alla PlayStation).
Se invece le associazioni principali sono essenzialm attributi non relativi al prodotto e benefici simbolici o
esperienziali, è fondamentale la rilevanza dell’immagine legata al consumatore-tipo e all’utilizzo del
prodotto (si pensi a Pepsi o Coca-Cola, 2 marche particolarm attente a creare slogan orecchiabili e piacevoli
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che catturino il valore della marca: Coca “Coca Cola da + vita” “Fatti una Coca e un sorriso”; Pepsi “The
choice of a New Generation”).

In generale esistono diverse strategie di rafforzamento del brand che aiutano a far fronte ai cambiamenti
dei gusti e delle preferenze dei consumatori, all’emergere di nuovi concorrenti o di nuove tecnologie e così
via. Una prima strategia è quella di rivitalizzazione del brand. Per rivitalizzare un brand occorre riattivare le
tradizionali fonti di valore o crearne di nuove. Ciò è possibile attraverso 2 opzioni:

1 Aumentare la profondità e/o l’ampiezza della consapevolezza del brand, agendo sulla capacità dei
consumatori di ricordare e riconoscere la marca nel contesto di acquisto o di consumo;

2 Aumentare la forza, positività e unicità delle associazioni che concorrono a formare l’immagine del brand;
tale approccio potrebbe implicare l’attuazione di programmi di marketing incentrati su associazioni
esistenti o nuove.

1 In genere il problema di una marca sofferente è raramente relativo alla profondità in quanto i
consumatori continuano a riconoscere o ricordare la marca in determinate circostanze. Più spesso l’anello
debole è rappresentato dall’ampiezza della consapevolezza: i consumatori tendono a pensare alla marca in
modo limitativo. E’ dunque necessario aumentare la frequenza di utilizzo individuando ulteriori
opportunità d’uso del prodotto nell’ambito della modalità d’impiego consolidata (ad es. con comunicazioni
relative all’adeguatezza e ai vantaggi di un + frequente utilizzo del brand, magari raggiungendo con questi
msg i consumatori in momenti e situazioni che ricordano loro di usare effettivam la marca) o modalità di
impiego completamente diverse (Ponti ad es. è riuscita ad aumentare il consumo italiano medio di aceto
balsamico, fino a quel momento destinato solo ad occasioni speciali, proponendo in situazioni di utilizzo
innovative come sul gelato o sulle fragole).

2 Sebbene modificare la consapevolezza sia probabilm la modalità + agevole x creare nuove fonti di valore,
spesso occorre intervenire alle fondamenta, con un programma di marketing che operi nella prospettiva di
un riposizionamento del brand o dell’impegno a perseguire con maggiore determinazione il
posizionamento del brand attuale, rinvigorendo quindi le associazioni offuscate o creandone di nuove. In
questo senso è possibile agire ribadendo ai consumatori l’esistenza di particolari benefici che hanno
cominciato a dare x scontati; o dando al brand una personalità + contemporanea e consona al profilo
dell’utente odierno: i brand storici infatti potrebbero apparire affidabili ma anche noiosi, poco interessanti
e non così piacevoli. O ancora è possibile rivitalizzare il brand entrando in nuovi mercati fino ad allora
trascurati, rivolgendosi quindi a nuovi gruppi di clienti (Nike e Gillette ad es. hanno x anni faticato x trovare
il modo di promuovere fra le donne gli accessori delle proprie marche, caratterizzate da un’immagine
piuttosto maschile). In ogni caso in generale, la difficoltà insita nel cambiamento dell’immagine del brand
consiste nel non distruggere il valore creato in passato.

Inoltre per gestire il portafoglio di marche in una prospettiva di lungo termine, è necessario analizzare
attentamente l’evoluzione del ruolo dei diversi brand e delle relazioni reciproche nel corso del tempo. In
particolare una strategia di brand migration può chiarire ai consumatori in che modo le varie marche del
portafoglio soddisfano i loro desideri , nella scia del mutamento sia dei bisogni sia dei prodotti. Alcuni
brand infatti possono facilitare la migrazione dei clienti da un brand all’altro nell’ambito del portafoglio
chiarendone allo stesso tempo la gerarchia e creando un’organizzazione logica nella sua mente.

A volte dovendo rivitalizzare un brand in difficoltà, si può scegliere di abbandonare il gruppo di consumatori
che lo ha sostenuto in passato x rivolgersi a un mercato completam nuovo. Oppure è possibile attuare
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strategie + inclusive che abbracino contemporaneam vecchi e nuovi clienti. X mantenere entrambi è
possibile ad es. sviluppare campagne pubblicitarie e programmi di comunicazione separati x ciascun
target (Barilla ad es. pubblicizza la pasta di semola di grano duro attraverso spot che ritraggono la famiglia
riunita intorno alla tavolo in quanto si rivolge al target tradizionale, mentre i piatti pronti surgelati
attraverso spot che ritraggono giovani coppie alle prese con la loro facile preparazione ossia, il nuovo target
cui il brand rivolge il nuovo prodotto). Un altro sistema x attrarre nuovi clienti consiste nell ’introduzione di
un’estensione di linea o di un sub-brand. In questo modo i prodotti possono integrare nuove tecnologie,
caratteristiche e attributi inediti che rispondano alle esigenze di nuovi consumatori, ma anche ai mutati
desideri di quelli esistenti. In alcuni casi x attrarre un nuovo gruppo di consumatori è sufficiente accrescere
la possibilità di accesso al prodotto. In questo senso i dettaglianti possono differenziare chiaramente le
vetrine x potersi rivolgere a target diversi o aprire negozi con caratteristiche diverse e/o format differenti (x
es. Esselunga Supermercati ed Esselunga superstore). In ogni caso a volte, una trasformazione radicale o
un’evoluzione negativa del contesto di mercato possono vanificare il tentativo di salvare una marca in crisi.
In questo caso il management ha di fronte a sé diverse opzioni: un primo passo può essere quello di ridurre
l’offerta (x es. il numero di formati o varietà), riducendo così i costi necessari a sostenere la marca. Inoltre
se il brand dispone di una base clienti esigua ma sufficientemente ampia e fedele, è possibile azzerare le
spese di marketing e cogliere i profitti che esso può ancora generare. Nello specifico, una marca un tempo
popolare che la casa madre decide di non sostenere + si definisce orphan brand. Se invece il danno al brand
è irreparabile una possibilità potrebbe essere quella di consolidarlo nell’ambito di una marca + forte (nel
2000 ad es. Lever decide di far migrare progressivam il detersivo BioPresto in Surf, un brand globale +
forte). Si può, infine, percorrere la via + risolutiva, cessando la produzione e quindi operando uno spin-off di
brand orfani il cui fatturato abbia registrato una contrazione eccessiva. Alcune imprese preferiscono xò
piuttosto cedere i loro orphan brand.

CAPITOLO 10: GESTIRE IL BRAND IN AREE GEOGRAFICHE E SEGMENTI DI MERCATO DIFFERENTI

Per la maggior parte delle categorie di prodotti, creare un profilo di offerta globale sta diventando
un’esigenza, soprattutto alla luce del rallentamento della crescita e dell’aumento della concorrenza sul
mercato interno. Fra i vantaggi di un programma di marketing globale vanno considerati la possibilità di
realizzare economie di scala nella poduzione e nella distribuzione (in virtù di + elevati volumi di prod. e
dist.); i costi di marketing ridotti (grazie alla possibilità di uniformare pubblicità, promozione,
confezionam..); la comunicazione dell’importanza e delle dimensioni dell’azienda in virtù del suo più grande
raggio d’azione; la coerenza dell’immagine del brand; la possibilità di diffondere in modo rapido ed
efficiente le innovazioni nella produzione, nella ricerca, nello sviluppo, l’uniformità delle pratiche di
marketing e, di conseguenza, una maggiore competitività. Quanto maggiore è la standardizzazione del
programma, tanto + elevata è, in generale, la probabilità di realizzare tali benefici. Al tempo stesso xò, una
strategia fortemente standardizzata può ignorare l’esistenza di significative differenze fra i consumatori di
paesi diversi, in primo luogo in termini di bisogni, desideri e modalità di utilizzo del prodotto (il consumo di
yogurt dei francesi è ad es. è 4 volte superiore a quello degli inglesi, quindi strategie valide in un paese
potebbero non esserlo in altri), in termini di risposta agli elementi del marketing mix (spesso infatti la
sensibilità al prezzo e la reattività alle promozioni è differente così come lo sono le rezioni alla pubblicità: ad
es. gli americani risultano + cinici, i giapponesi invece sono meglio predisposti). Ulteriori differenze si
riscontrano anche in merito allo sviluppo del prodotto e alla natura della concorrenza: lo stesso prodotto
infatti potrebbe attraversare in paesi diversi una fase differente del proprio ciclo di vita o essere percepito
in termini di posizionamento e personalità del brand in modo differente. In merito alla concorrenza, in
Europa x es. è + intensa in quanto è + semplice spedire le merci oltre il confine. Esistono poi evidenti

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differenze in merito al quadro normativo (la giurisdizione canadese, venezuelana e australiana ha stabilito
l’obbligo di realizzare la pubblicità nel paese in cui il prodotto viene realizzato; la Germania ha vietato l’uso
della pubblicità comparativa; l’Inghilterra l’uso di figure eroiche x pubblicizzare sigarette fino a bandire
l’uomo Malboro). Infine c’è da tener conto delle differenze nelle procedure amministrative (i funzionari
locali potrebbero ad es. opporre resistenza all’applicazione di un programma di mkt globale) e nelle
infrastrutture di base di marketing come canali distributivi, politiche di commercio al dettaglio che se
inefficaci o malmesse in alcune aree possono impedire un’applicazione idonea del programma. Per
massimizzare i potenziali vantaggi e minimizzare i possibili svantaggi è necessario individuare il giusto grado
di standardizzazione e di adattamento del programma di marketing globale. Ciò viene stabilito sulla base di
2 momenti strategici:

1 L’individuazione delle differenze nel comportamento dei consumatori di ciascun mercato (x es.
nell’acquisto e nell’uso del prodotto, nella conoscenza e nella percezione del brand);

2 il conseguente adattamento del programma di branding (x es. attraverso la scelta degli elementi della
marca, del tipo di mkt, delle associazioni secondarie su cui fare leva).

E’ arduo infatti individuare un’impresa che applichi il concetto di standardizzazione in senso stretto in
quanto sempre + spesso gli obbiettivi globali vengono conciliati con le esigenze locali. E’ infatti necessario
suscitare consapevolezza e promuovere un’immagine positiva del brand in ciascun mercato in quanto la
storia e l’eredità del brand che possono offrire un importante vantaggio competitivo sul mercato interno
potrebbero non avere alcun valore altrove. Nello specifico, x creare un brand forte su scala mondiale è
necessario rispettare 10 principi del branding globale:

1) Cogliere analogie e differenze nel panorama del branding globale: a tal fine particolarm utile si rivela
conoscere e sfruttare il comportamento del consumatore locale. Occorre d’altra parte considerare che la
maggior mobilità e il miglioramento delle comunicazioni hanno reso gli stili di vita + simili, sia all’interno
dello stesso segmento socio demografico in paesi diversi, sia in segmenti socio demografici diversi
all’interno dello stesso paese. C’è cmq da considerare che le profonde differenze che esistono tra mercati
sviluppati e mercati in via di sviluppo a livello di infrastrutture di marketing, quadro competitivo e
comportamento dei consumatori presuppongono una fondamentale distinzione nell’ambito di una
strategia di branding globale.

2) Non prendere scorciatoie nella costruzione del brand: entrare in nuovi mercati non significa infatti
limitarsi a esportare e applicare il programma di marketing utilizzato in aree in cui la marca aveva valore. Al
contrario la costruzione di un brand in nuovi mercati dovrebbe procedere secondo un approccio bottom-
up, sia strategicamente (concentrandosi sulla consapevolezza prima che sull’immagine) sia tatticamente,
considerando eventuali differenze nelle reazioni agli strumenti di costruzione (strategie di distribuzione,
comunicazione o di prezzo). A volte agli sforzi x sviluppare la marca si accompagnano quelli per educare i
consumatori in merito alle modalità di utilizzo del prodotto, le caratteristiche ecc. (Kellogg’s ad es. ha
dovuto spiegare ai francesi che il latte non doveva essere caldo, mostrando nelle pubblicità caraffe
trasparenti x il latte freddo invece di quelle opache in porcellana utilizzate x il latte caldo).

3) Creare le infrastrutture di marketing: a volte infatti, negli altri paesi è necessario un adattamento delle
infrastrutture esistenti o addirittura una completa costruzione delle stesse. In paesi sottosviluppati ad es.
può essere necessario costruire dal nulla i canali distributivi.

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4)Ricorrere a comunicazioni di marketing integrate: ossia pubblicità, promozioni e sponsorizzazioni


tenendo conto sempre delle differenze culturali. (In merito alla pubblicita ad es. la chiave umoristica
prevale negli spot americani e inglesi, meno in quelli tedeschi; la nudità e il sex appeal sono + tollerati in
Francia e Italia).

5) Coltivare le alleanze fra brand: nei mercati internazionali attraverso alleanze commerciali di vario tipo
quali joint venture, licensing, franchising, accordi di distribuzione e di agenzia.

6) Trovare un equilibrio tra standardizzazione e adattamento: in generale i prodotti che si prestano meglio
all’adozione di un marketing globale standardizzato sono i prodotti hight-tech con un’immagine basata sulla
funzionalità, come tv, orologi, automobili; prodotti con un’immagine elevata associata a moda, sensualità,
ricchezza come cosmetici, abbigliamento, gioielli; servizi e prodotti business to business che enfatizzano
l’immagine aziendale nelle campagna di mkt internazionali come linee aeree o banche; brand posizionati
principalm in base al paese d’origine. Un’ovvia soluzione al dilemma “marche locali o globali” può
consistere nel proporre sia le une che le altre nell’ambito di un portafoglio che copra una determinata
categoria di prodotto. (ad es., pur vendendo Coke a un numero crescente di consumatori asiatici, Coca Cola
non rinuncia a vendere in Giappone marche locali apprezzate come il popolarissimo caffè freddo in lattina
Georgia). Anche eventuali differenze nella elasticità a cambiamenti di prezzo e nella disponibilità a
spendere da parte dei consumatori possono legittimare strategie di prezzo differenti, così come la
differente posizione competitiva, le aliquote fiscali e i tassi di cambio. Tuttavia stanno emergendo pressioni
per un allineamento internazionale dei prezzi a seguito dell’aumento delle esportazioni e delle importazioni
legittime e della capacità dei rivenditori di sfruttare le differenze di prezzo attraverso il contrabbando alle
frontiere, soprat in Europa dove non è difficile acquistare oltre i confini nazionali.

7) Bilanciare controllo globale e locale: attraverso la scelta della struttura organizzativa + idonea. Nello
specifico 3 sono le possibilità: 1 centralizzazione presso il quartier generale dell’azienda; 2 decentramento e
delega decisionale ai mercati esteri; 3 combinazione fra centralizzazione e decentramento. Quest’ultima è
la + adottata. A tal proposito secondo Levi Strauss l’anima dei brand e i loghi dovrebbero essere
standardizzati a livello mondiale, mentre la qualità del prodotto, il pricing, la pubblicità, la distribuzione e le
promozioni sono da lui definite componenti fluide, sui cui ciascuna divisone internazionale può intervenire
nel modo ritenuto + idoneo x la propria regione.

8) Stabilire linee guida attuabili: L’obbiettivo è quello di fissare regole chiare in merito al posizionamento e
alla commercializzazione della marca. In questo senso è opportuno in primo luogo sviluppare un
documento, x es. un brand charter, che precisi l’identità e il posizionamento del brand. In secondo luogo, la
linea di prodotti dovrebbe includere solo beni e servizi coerenti con la definizione del brand. (Ad es. il
manuale operativo di McDonald’s impone rigorosi controlli internazionali sulle 19 fasi di cottura e
insacchettamento delle patatine fritte).

9) Attuare un sistema di misurazione della brand equity globale: ossia un insieme di procedure di ricerca
concepite x ottenere informazioni tempestive, accurate e traducibili in azioni, che consentano ai manager di
assumere le migliori decisioni strategiche e di interpretare correttamente nei diversi mercati il
posizionamento e il programma di marketing.

10) Mettere a frutto gli elementi del brand: attraverso la loro attenta progettazione e corretta gestione.
Nello specifico le componenti non verbali come loghi, simboli e personaggi sono + facilmente trasponibili di
quelle verbali che richiedono la traduzione in un’altra lingua e se caratterizzati da una valenza ben definita,
possono incidere profondamente sull’efficacia del marketing a livello globale (lo swoosh Nike significa
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sport, la stella Mercedes status e prestigio). Tuttavia c’è da considerare che anche gli elementi non verbali
possono presentare problemi di traducibilità: i colori ad es. hanno un forte significato culturale e possono
influire in maniera diversa sulla brand equity a seconda dell’area in cui si utilizzano. Il verde ad es. nella
cultura inglese significa morte e malattia, quindi se utilizzato sul packaging o nella pubblicità di un prodotto
può trasmettere un’ immagine negativa.

CAPITOLO 10: UN SISTEMA PER LA MISURAZIONE E GESTIONE DELLA BRAND EQUITY

Il problema della misurazione assume rilevanza centrale sia nel governo delle relazioni con i vari
stakeholder dell’impresa (investitori, clienti, distributori ecc.), che necessitano di informazioni sullo stato
delle risorse aziendali, sia ai fini della valutazione dell’efficacia della gestione manageriale. La catena del
valore del brand è uno strumento che consente di monitorare il processo di creazione del valore di una
marca per valutare l’impatto finanziario delle spese e degli investimenti di marketing. Lo strumento si basa
sulla consapevolezza che all’interno dell’azienda sono molti gli individui che possono influire sul valore
della marca e che devono pertanto essere al corrente degli effetti della gestione del brand. Partendo dal
presupposto che il valore di una marca risiede in ultima analisi nei clienti, il modello assume che il processo
di creazione del valore abbia inizio con l’investimento in un programma di marketing rivolto ai clienti
esistenti o potenziali, nel quale rientrano spese relative alla ricerca, allo sviluppo e alla progettazione del
prodotto, al sostegno ai canali commerciali e alle comunicazioni di mkt (pubblicità, promozioni,
sponsorizzazioni). Queste attività associate al programma di mkt incidono sulle strutture mentali dei clienti
relative al brand, ovvero su ciò che sanno e sentono in merito alla marca. Il consolidarsi di una certa
disposizione mentale in un vasto gruppo di consumatori si traduce in determinati risultati in termini di
performance del brand sul mercato. Infine la comunità finanziaria valuta questa performance e altri fattori,
come il costo di ricostruzione e il prezzo pagato nelle operazioni di acquisizione, x calcolare il valore x
l’azionista in generale e il valore del brand in particolare.

Nello specifico, la possibilità che l’investimento nel mkt si trasferisca o si moltiplichi lungo la catena, non
dipenderà dall’entità dell’investimento finanziario ma dagli aspetti qualitativi del programma e, + precisam,
dal moltiplicatore del programma che è influenzato da 4 fattori fonadamentali: la chiarezza del programma
di mkt; la sua rilevanza x i clienti; la distintività rispetto ai programmi della concorrenza; la coerenza con i
programmi svolti in passato e con il significato profondo del brand.

Per capire invece in che modo i clienti sono stati influenzati dal programma di mkt e come tali effetti si sono
manifestati nella loro disposizione mentale, ossia in termini di pensieri, sensazioni, esperienze, immagini,
percezioni è opportuno far riferimento ai 5 parametri fondamentali della CBBE: consapevolezza del brand;
associazioni al brand; atteggiamenti verso il brand; attaccamento al brand; attività relativa al brand. In
sostanza il valore della marca si crea quindi quando i clienti hanno un elevato grado di coinvolgimento,
sviluppano associazioni forti favorevoli e uniche; maturano atteggiamenti positivi; manifestano
attaccamento e fedeltà; dimostrano un intenso coinvolgimento attivo.

Tuttavia il successo con i consumatori o i distributori potrebbe non tradursi in una performance di successo
sul mercato, in assenza di determinate altre condizioni esterne che definiscono il moltiplicatore dei clienti,
ossia: la superiorità competitiva rispetto all’efficacia quantitativa e qualitativa dell’investimento di mkt di
altri brand; il sostegno del canale distributivo e di altri intermediari a supporto del brand e delle vendite; la
dimensione e il profilo della clientela, ossia la quantità e tipologia di clienti attirati verso il brand (x es.+o-
redditizi). Solo nel caso in cui queste condizioni risultino positive Il valore creato nella mente del cliente si
tradurrà in una performance di mercato favorevole.

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Nel contesto di mercato è poi possibile individuare sei dimensioni valutative della risposta dei consumatori
che incidono sulla performance di mercato del brand: i premi di prezzo e l’elasticità della curva di domanda
che misura quanto sono disposti a pagare in + i clienti x un prodotto in virtù del suo brand e quanto varia la
domanda al variare del prezzo; la quota di mercato che misura il successo del programma di mkt nel
favorire le vendite della marca; l’estensione del brand, ossia il suo successo nel sostenere estensioni di linea
e di categoria incrementando il flusso di ricavi; la struttura dei costi, o meglio, il risparmio derivante dalla
possibilità di ridurre le spese di mkt grazie ad una disposizione mentale favorevole; infine la combinazione
delle 5 dimensioni si traduce in una > redditività del brand che costituisce la sesta dimensione.

La possibilità che il valore così ottenuto raggiunga lo stadio finale, ossia quello della valutazione del mercato
azionario, dipende, ancora una volta da fattori contestuali esterni alla marca stessa e regolati dal cosiddetto
moltiplicatore di mercato: le dinamiche di mercato cioè tassi di interesse, clima di fiducia, offerta di
capitale; il potenziale di crescita x il brand e il settore in cui opera; il profilo di rischio, ossia la vulnerabilità
del brand al contesto esterno e il contributo del brand, ossia il peso del brand all’interno del portafoglio
aziendale. La probabilità che il valore sul mercato si rifletta nel valore x l’azionista è + alta se l’azienda opera
in un settore sano e non problematico, se il brand rappresenta una quota significativa dei ricavi totali e
appare caratterizzato da brillanti prospettive.

Sulla base di questi dati disponibili sul brand e di altre considerazioni, la comunità finanziaria formula giudizi
e valutazioni che incidono sul valore del brand e che si traducono nel valore x l’azionista che si basa su 3
indicatori particolarm. importanti: il prezzo del titolo azionario; il multiplo prezzo/utili; la capitalizzazione di
mercato.

Un sistema di misurazione della brand equity si definisce come un’insieme di procedure di ricerca concepite
x fornire indicazioni tempestive, accurate e utili che assistano i marketing manager nelle decisioni tattiche a
breve termine così come in quelle strategiche di lungo periodo. In particolare, posto che le fonti della brand
equity derivano dalla disposizione mentale dei clienti, fondamentale si rivela la misurazione della
consapevolezza e dell’immagine del brand. Esistono metodi qualitativi e quantitativi per valutare la
disposizione mentale del cliente.

Le TECNICHE DI RICERCA QUALITATIVE: si definiscono come metodi scarsamente strutturati grazie alla
relativa libertà concessa sia al ricercatore nella scelta delle domande che al campione nella scelta delle
risposte. In questo modo è possibile rilevare un’ampia gamma di possibili reazioni da parte dei
consumatori oggetto d’indagine. D’altra parte l’analisi qualitativa presenta alcuni svantaggi: alla profondità
dei risultati fa spesso da contrappeso l’esiguità dei campioni coinvolti, che potrebbero non riflettere la
generalità dell opinioni prevalenti in gruppi + ampi. Inoltre data la natura qualitativa dei dati potrebbero
emergere dubbi interpretativi: ricercatori diversi potrebbero trarre dagli stessi dati conclusioni divergenti. I
principali approcci qualitativi utilizzati sono:

Libera associazione: Si chiede ai soggetti del campione che cosa venga loro in mente pensando a una certa
marca, senza fornire alcun indizio ulteriore se non, eventualm la categoria di prodotto. Lo scopo principale
è quello di individuare la gamma di associazioni nel brand presenti nella mente dei consumatori.
Codificando le risposte secondo l’ordine sequenziale delle associazioni evocate, si può ottenere una misura
approssimativa della relativa forza. In genere i primi 2 aggettivi citati rappresentano le associazioni + forti
alla marca. Confrontando invece, le associazioni ricordate x il brand con quelle scelte x le marche
concorrenti si può avere un’indicazione indicativa della loro unicità. Infine, anche il grado di favorevolezza
può essere in una certa misura stimato in base al tono con cui i consumatori si esprimono o anche

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chiedendo loro cosa apprezzino di + della marca. Per quanto riguarda la struttura delle domande, x non
influenzare i risultati è utile partire dalle considerazioni + generiche x poi arrivare a quelle + specifiche. In
merito alla codifica dei dati, i questionari compilati dovrebbero essere suddivisi x frasi e aggregati x
tipologie di consumatori nelle varie categorie.

Tecniche proiettive: sono strumenti diagnostici che consentono di far emergere le vere opinioni e
sensazioni dei consumatori superando eventuali barriere psicologiche che potrebbero spingerli a ricorrere a
risposte convenzionali o di circostanza. L’idea di fono è che, se invitati a completare o a dare senso a uno
stimolo incompiuto o ambiguo, gli intervistati possono rivelare in parte i loro veri sentimenti e giudizi. Tra le
svariate tecniche disponibili, le + utilizzate sono:

- Gli esercizi di completamento e interpretazione: Un esercizio tipico è quello delle “nuvolette”, cioè, si
mostrano agli intervistati disegni e fotografie che ritraggono diverse persone nell’atto di acquistare o di
utilizzare determinati prodotti e si chiede loro di riempire le nuvolette vuote x illustrare, come nei fumetti, i
pensieri e le parole che attribuiscono ai protagonisti. I dialoghi e le storie create possono essere molto utili
x valutare l’immagine dell’utilizzatore e delle situazioni duso associate al brand;

- Gli esercizi di comparazione: i consumatori sono invitati a comunicare le proprie impressioni paragonando
le marche a persone, paesi, animali, attività, tessuti, automobili, nazionalità o anche a altri brand. I
paragono proposti e le motivazioni addotte potrebbero rivelare indizi interessanti sulle associazioni
all’immagine del brand.

Analisi della personalità e dei valori del brand: La personalità del brand si può definire come l’insieme
delle caratteristiche umane attribuibili a una marca. Il modo + semplice x misurare la personalità di un
brand è quello di chiedere direttamente ai consumatori, se il brand dovesse incarnarsi in una persona come
sarebbe, cosa farebbe, dove vivrebbe, che abiti indosserebbe. Può essere xò valutata in modo + preciso
attraverso elenchi di aggettivi e affermazioni. In questo senso Jennifer Aaker dell’università di Stanford ha
creato un modello basato su 5 dimensioni centrali che conferiscono al brand i tratti caratteriali di un essere
umano: sincerità (concreto, onesto); divertimento (vivace, fantasioso, moderno); competenza (affidabile,
intelligente, di successo); eleganza (di alta classe, affascinante); robustezza (x la vita all’aperto, resistente).

Metodi empirici: si basano sullo studio dei consumatori nel loro ambiente naturale così da ridurre la loro
resistenza a esprimere pienamente se stessi ed evitando ai ricercatori errori di valutazione. In particolare
molto importanti x le aziende sono gli utenti che anticipano le tendenze, con i quali grazie a internet è oggi
possibile mettersi in contatto + facilmente.

Mentre la ricerca qualitativa punta a ottenere dai consumatori risposte di tipo verbale, quella
QUANTITATIVA ricorre a diverse forme di domanda con scale di valori che permettono una
rappresentazione e una sintesi numerica dei risultati. Le misure quantitative possono essere utilizzate x
valutare meglio la profondità e l’ampiezza della consapevolezza, la forza, l’unicità e la positività delle
associazioni, l’intensità e la natura del rapporto con la marca.

Ai fini della misurazione della consapevolezza, se dalla ricerca risulta che molte decisioni d’acquisto
vengono prese nel punto vendita dove il nome, il logo, la confezione ecc. sono fisicamente presenti e
visibili, il riconoscimento del brand assume un peso particolare. Se invece emerge che i consumatori
tendono a compiere le proprie scelte lontano dal negozio, è + importante il ricordo della marca.

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Per misurare il riconoscimento di una marca da parte del consumatore, la procedura + semplice consiste
nel sottoporgli una serie di fattori visivi o verbali, chiedendo loro se pensano di averli già visti e sentiti. Per
aumentare la sensibilità della prova è spesso utile includere qualche tranello, ossia oggetti che i
consumatori non possono avere già visto o anche ricorrendo a rappresentazioni “percettivamente alterate”
della marca: si può mascherare o distorcere un elemento del brand o mostrarlo x un tempo estremamente
breve. Il riconoscimento del nome x es. può essere testato scrivendolo con qualche lettera mancante.
Inoltre è possibile utilizzare tecniche di eye tracking x sondare x es. la forza del design di confezioni
alternative sulla base di diversi criteri specifici: grado di impato sullo scaffale, distanza minima a cui può
essere identificata la confezione, velocità con cui può essere identificata, visibilità e leggibilità del testo.

Il ricordo invece può essere misurato in vari modi a seconda del tipo di stimoli forniti ai consumatori. Il
ricordo non aiutato consentirà probabilmente di individuare solo le marche + forti. Il ricordo aiutato
prevede il ricorso a vari elementi in grado di favorire l’identificazione. Si può x es. dare in sequenza notizie
sempre + circoscritte come la classe, la categoria, il tipo di prodotto x far luce sull’organizzazione delle
strutture cognitive del consumatore. Si possono inoltre interrogare i consumatori in merito alle motivazioni
x cui comprerebbero il prodotto e ai tempi e ai luoghi in cui potrebbero usarlo, osservando quali brand
vengono loro in mente nelle differenti occasioni.

Per valutare invece l’immagine del brand, è possibile in primo luogo ricorrere a misurazioni che valutino la
la forza, la favorevolezza e l’unicità delle associazioni al brand creando scale di valori x ciascuna delle 3
dimensioni. Si dovrebbe poi misurare ogni associazione potenzialmente rilevante, compresi gli attributi e i
benefici relativi alla performance. Tuttavia una + complessa tecnica quantitativa di valutazione dell’unicità
complessiva di un brand è quella del multidimensional scaling, ovvero delle mappe percettive. All’interno di
queste mappe, i giudizi di somiglianza o di preferenza espressi dagli intervistati vengono rappresentati
come distanze in uno spazio percettivo.

In merito al rapporto con il brand in termini di risonanza del brand stesso è possibile misurare diversi
parametri: la fedeltà comportamentale, rivolgendo ai consumatori domande aperte, dicotomiche, a scelta
multipla o basate su scale di giudizi (es. quale tipo di crema hai utilizzato l’ultima volta? Quale utilizzi
generalmente? Quali marche hai preso in considerazione al momento dell’acquisto?); la sostituibilità del
brand che Longman e Moran valutano sulla base di 2 domande: quale brand hai acquistato l’ultima volta?
Che cosa avresti fatto se non fosse stato disponibile: rinviato l’acquisto, cambiato negozio o comprato
un’altra marca? Se si quale? Sulla base delle risposte fornite i consumatori sono classificati in segmenti, il
cui ordine riflette una brand equity progressivam inferiore; per valutare l’impegno attivo verso il brand si
potrebbero infine esplorare il passaparola e il comportamento on-line. In questo senso non è sufficiente
valutare il numero e la durata delle consultazioni di una pagina web. Può essere molto + utile valutare le
interazioni attivate dal cliente e quelle promosse dall’azienda, la quantità di clienti che forniscono
insegnamenti ad altri clienti, quanto il cliente apprende dall’azienda e viceversa.

E’ possibile infine valutare la performance di mercato del brand attraverso i metodi comparativi e olistici:

Metodi comparativi: consentono di valutare i benefici derivanti da un elevato livello di consapevolezza e da


associazioni forti, favorevoli e uniche. Si possono distinguere 2 tipologie di metodi comparativi:

- Metodi comparativi brand-based: tale approccio mantiene fisso il programma di marketing e studia le
risposte dei consumatori al variare del brand. L’esempio classico di tale approccio è il “blind testing”, in cui
si confrontano i giudizi su un prodotto espressi da 2 gruppi di consumatori: uno all’ oscuro e l’altro
consapevole della marca che lo identifica. Questo approccio è utile soprattutto x determinare i benefici del
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valore della marca relativi a margini e premi di prezzo così da consentire lo sviluppo delle strategie di mkt
adeguate. Questi metodi sono inoltre particolarm adatti nel caso in cui l’attività di mkt in esame presenti un
cambiamento rispetto al passato come un’estensione o una nuova campagna pubblicitaria

- Metodi comparativi marketing based: tale approccio assume come costante la marca e analizza la
reazione dei consumatori al variare del programma di marketing. Questo metodo è utilizzato soprattutto x
stabilire la sensibilità al prezzo e le soglie relative ai diversi brand. Ad es. si aumenta gradualmente la
differenza di prezzo fra il brand normalmente acquistato e una possibile alternativa x poi rappresentare
graficamente la percentuale di consumatori che abbandonavano la marca abituale in funzione degli
incrementi di prezzo così da mettere in luce gli schemi di exit e di loyalty (la creazione di questo metodo
risale agli anni’50 ad opera di Edgar Pessemier). Attraverso questi metodi è inoltre possibile sondare la
risposta dei consumatori all’impostazione e all’esecuzione di strategie pubblicitarie e mediatiche diverse,
valutare eventuali estensioni del brand raccogliendo i giudizi dei consumatori in merito a diversi concept
statement che descrivono i prodotti candidati. Tuttavia c’è da considerare che la disponibilità a pagare un
certo prezzo, ad accettare particolari estensioni del brand ecc. potrebbe riferirsi in realtà a qualsiasi marca
nell’ambito di quella categoria; dunque esiste la possibilità che tale disponibilità nasca in relazione non
tanto alla marca quanto al prodotto. Per accertare che si tratti di una specifica reazione alla marca si
possono condurre ricerche analoghe su prodotti della concorrenza. A questa esigenza risponde la tecnica
dell’Analisi congiunta.

Analisi congiunta: E’ una tecnica basta su interviste che consente di ricostruire il processo decisionale dei
consumatori in merito a prodotti e brand. Più precisam, chiedendo agli intervistati di esprimere una
preferenza o di compiere una scelta fra accurate descrizioni di diversi prodotti, è possibile determinare
quale trade-off essi stabiliscono fra i rispettivi attributi, dunque quale importanza associano agli stessi. I
profili mostrati ai consumatori sono costituiti da diverse combinazioni dei livelli in cui si articolano gli
attributi delle marche oggetto di analisi. Il valore attribuito a ciascun livello e ricavato statisticamente
attraverso l’analisi congiunta è detto valore parziale. Tali grandezze possono essere utilizzate in vario modo
x stimare come sarebbe valutata una nuova combinazione di livelli di attributi. In generale l’analisi
congiunta è una tecnica molto versatile. Ad es. è possibile misurare anche il trade-off marca/prezzo: si
creano diverse combinazioni di brand e prezzi , ciascuna delle quali comporta un incremento di prezzo della
marca selezionata, costringendo il soggetto a decidere fra la marca selezionata e meno costosa. I
consumatori rivelano in questo modo quanto vale la loro fedeltà alla marca e viceversa x quali brand la
tradirebbero al fine di pagare un prezzo inferiore.

Metdodi olistici: Mentre i metodi comparativi tentano un’approssimazione dei benefici specifici della brand
equità, i metodi olistici mirano invece a stabilire un valore complessivo della marca, sia astrattamente, in
termini di utilità, sia + concretamente, in termini finanziari. Nell’ambito di questi metodi possono essere
individuati 2 approcci:

- Gli approcci residuali: si propongono di esaminare il valore del brand sottraendo dalla totalità delle
preferenze accordategli dai consumatori quelle che si basano esclusivamente su attributi fisici. Dunque
secondo questa visione, il valore della marca si calcolerebbe cercando di sottrarre le preferenze x le
caratteristiche oggettive del prodotto in sé dalle preferenze complessive. Il punto debole di tale approccio
risiede nell’incapacità di distinguere i diversi tipi di associazioni relative ad attributi non product related.

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- Gli approcci valutativi: intendono attribuire alla marca un valore finanziario ai fini contabili o per
operazioni di fusione e acquisizione, in caso di concessione in licenza del brand, accordi di co-branding. Per
far questo è possibile utiizzare 3 approcci basati rispettivam sul costo, sul mercato e sull’utile:

 L’approccio basato sul costo sostiene che la brand equity è determinabile esprimendo, a prezzi
correnti, i costi che storicamente sono stati sostenuti x la generazione della marca, oppure i costi
che sarebbe necessario sostenere x riprodurre la marca stessa (compresi i costi di sviluppo,
pubblicità ecc.). Tuttavia c’è sempre la possibilità che il premio riconosciuto alla performance
passata non sia necessariamente indicativo della redditività futura.
 L’approccio basato sul mercato sostiene che la brand equity può essere concepita come il valore
attuale dei benefici economici futuri derivanti dal possesso della marca. Il limite principale
dell’approccio risiede nella mancanza di transazioni di mercato aperto x le attività costituite dalle
marche e nella problematicità dell’estrapolazione da una transazione all’altra.
 L’approccio basato sull’utile presuppone che il valore di una marca sia rappresentato dai flussi di
cassa futuri attualizzati, derivanti dagli utili prospettici generati dalla marca stessa. Dunque la
valutazione si basa su una stima di quale sia oggi il valore degli utili o dei flussi di cassa che
prevedibilm la marca genererà in futuro. In questo senso è possibile procedere attraverso 3
metodi: 1 calcolando gli utili derivanti dai diritti di licenza; 2 calcolando l’utile marginale ascrivibile
alla marca (attraverso il confronto con la performance di un prodotto non di marca); 3 calcolando
la redditività effettiva di un brand al netto dei costi di mantenimento e dell’impatto fiscale.

Il principale svantaggio degli approcci valutativi consiste nel necessario ricorso a numerose ipotesi che
rischiano di essere troppo semplicistiche in quanto molti giudizi dati sono caratterizzati da una forte
componente di soggettività.

La realizzazione di un sistema di misurazione del valore di una marca si articola in 2 momenti: la definizione
dei sistemi di monitoraggio e la creazione del sistema stesso. L’audit del brand può definire l’orientamento
strategico sulla base del quale si può mettere in atto un programmi di marketing volto a massimizzare la
brand equity nel lungo periodo. Si possono poi condurre studi di tracking utilizzando misure quantitative
che diano informazioni sulla performance del brand in base alle diverse dimensioni chiave individuate
dall’audit. Il monitoraggio prevede la raccolta di dati attraverso interviste periodiche ai consumatori e
fornisce preziose osservazioni tattiche sull’efficacia a breve termine dei programmi e delle attività di mkt.
Dunque se l’Audit misura “dove è stato fin ora il brand”, il tracking spiega “dove si trova adesso” e se il
programma di mkt sta producendo gli effetti desiderati. La frequenza delle rilevazioni, in generale, dipende
dalla frequenza di acqisto del prodotto, oltre che dal comportamento dei consumatori e dall’attività di mkt
nell’ambito della categoria di prodotto. Quando il brand è caratterizzato da associazioni + stabili e durevoli,
il monitoraggio può essere svolto a intervalli di tempo + lunghi. Tuttavia, anche in assenza di cambiamenti
sensibili nel mkt di un brand, è sempre raccomandabile ricorrere al tracking in quanto l’ingresso di nuovi
concorrenti può modificare le percezioni delle dinamiche di mercato da parte dei consumatori.

L’attivazione di un sistema di misurazione del valore di una marca prevede 3 passaggi fondamentali che
rientrano nell’internal branding (quei processi organizzativi concepiti x migliorare la comprensione e
l’utilizzo del concetto di brand equità all’interno dell’azienda):

1 In primo luogo occorre formalizzare la visone aziendale sulla marca nella brand equità charter, che
risponde a diverse esigenze: descrive la generale filosofia aziendale rispetto al valore della marca; riassume
l’attività e i risultati relativi all’audit, al tracking ecc.; suggerisce come si dovrebbe gestire il valore della

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marca fornendo linee guida strategiche e tattiche; documenta il corretto trattamento del brand. Il brand
equity charter dovrebbe essere aggiornato ogni anno x individuare nuove opportunità e rischi e x riflettere
pienamente le informazioni raccolte con l’inventario e l’esplorazione del brand nel corso dell’audit.

2 In secondo luogo, i risultati del monitoraggio e di altre misurazioni dovrebbero essere integrati in una
relazione detta brand equity report e distribuita al management periodicamente (mensilmente,
trimestralmente o annualmente). La relazione dovrebbe contenere informazioni descrittive su che cosa sta
succedendo al brand e disgnostiche sul perché sta succedendo. Dovrebbe includere tutti i parametri interni
ed esterni della performance. Una sezione in particolare dovrebbe sintetizzare le percezioni dei
consumatori sulle associazioni agli attributi e benefici chiave, le preferenze e i comportamenti messi in luce
dallo studio di tracking. Infine un’altra sezione dovrebbe contenere informazioni di mercato + descrittive:
spedizioni e movimentazione dei prodotti attraverso i canali distributive; ripartizione dei costi;
programmazione dei prezzi e degli sconti ove opportuno; valutazioni reddituali; dati di vendita e sulla quota
di mercato x ambiti o soggetti rilevanti (area geografica, tipo di rivenditore o di cliente).

3 Infine è necessario incaricare il senior management della supervisione del trattamento della brand
equity all’interno dell’organizzazione, ovvero dell’attuazione del brand equity charter e delle relazioni, per
verificare che le azioni di mkt e le politiche sui prodotti delle varie divisioni o nelle diverse aree geografiche
riflettano lo spirito del documento sul brand e la sostanza delle relazioni periodiche: in sostanza x
massimizzare il valore del brand nel lungo periodo.

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