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Separazione e Divorzio

Definizione
Il termine divorzio è usato nel linguaggio comune per indicare l’istituto giuridico che permette di
sciogliere il matrimonio civile (celebrato in Comune, davanti l’Ufficiale di Stato civile) o di porre
fine agli effetti civili del matrimonio concordatario (celebrato in Chiesa, ma trascritto nei registri
dello stato civile). La parola divorzio non è usata in alcuna norma di legge, ma usata comunemente
con il significato di scioglimento legale del matrimonio.
Il divorzio non ha effetti per la Chiesa. Si ricorda, infatti, che l’ordinamento canonico non riconosce
alcuna causa di scioglimento del matrimonio, ad eccezione della morte di uno dei coniugi e della
sentenza di annullamento del matrimonio.
Il divorzio è stato introdotto in Italia nel 1970 con la legge n. 898. Prima della legge n. 898/70 il
vincolo matrimoniale era considerato legalmente indissolubile. Tale legge contiene, ad oggi, la
principale normativa in materia di divorzio.

Divorzio e separazione: c’è differenza?


C’è differenza tra divorzio e separazione? Spesso si tende a confondere il divorzio con la
separazione. In realtà si tratta di due procedimenti completamente distinti seppur siano collegati.
La separazione legale è quel procedimento che permette ai coniugi di sospendere
temporaneamente alcuni obblighi derivanti dal matrimonio e di vivere separati in vista o di una
riconciliazione o di una rottura definitiva che verrà sancita con il divorzio. Il Divorzio, quindi, è
l’unico istituto capace di porre fine definitivamente al matrimonio.
Durante la separazione, dunque, la coppia si considera ancora sposata e il matrimonio ancora in
essere. Solamente dopo la separazione è possibile attivare la procedura di divorzio.
In conclusione, quando viene meno l’affectio coniugalis (legame affettivo tra coniugi) è necessario
prima separarsi per poter divoziare e, precisamente, che siano trascorsi almeno sei mesi dalla
separazione consensuale ed un anno da quella giudiziale.

Cause del Divorzio: Quando si può divorziare?


Le cause di divorzio sono tutte tassativamente elencate nella legge n. 898/1970. In particolare,
l‘art. 3 della legge sul divorzio stabilisce che lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio può essere pronunciata quando:
• i coniugi sono separati legalmente, con la procedura di separazione consensuale o
giudiziale, da almeno 6 mesi dalla separazione consensuale e 1 anno dalla separazione
giudiziale (tali termini decorrono dal giorno della comparizione delle parti davanti al
Presidente del Tribunale nel procedimento di separazione); oppure è intervenuta la
separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni
prima del 18 dicembre 1970;
• uno dei coniugi ha commesso un reato di particolare gravità (ad esempio è stato
condannato con sentenza definitiva all’ ergastolo o a una pena superiore a 15 anni di
reclusione) oppure – a prescindere dalla durata della pena – è stato condannato per incesto,
delitti contro la libertà sessuale, prostituzione, omicidio volontario o tentato di un figlio,
tentato omicidio del coniuge, lesioni aggravate, maltrattamenti, ecc.;
• uno dei coniugi è cittadino straniero e ha ottenuto all’ estero l’annullamento o lo
scioglimento del vincolo matrimoniale o ha contratto all’ estero un nuovo matrimonio;
• il matrimonio non è stato consumato;
• è stato dichiarato giudizialmente il cambio di sesso di uno dei coniugi.
Divorzio: la Procedura
L’attuale normativa prevede diversi modi per divorziare attivabili con procedure distinte.
Divorzio davanti al Giudice
Sia che si voglia divorziare in maniera consensuale, nel caso in cui sia stato trovato un accordo, che
in maniera contenziosa (quando l’accordo non è stato trovato), la legge n. 898/1970 prevede la
possibilità di rivolgersi al Tribunale competente per ottenere una sentenza di divorzio. In entrambi
i casi è previsto l’intervento di un Giudice il quale, verificata l’esistenza di una delle cause di
divorzio previste dalla legge, dichiarerà lo scioglimento o la cessazione degli effettivi civili del
matrimonio.

Divorzio congiunto o consensuale


Quando i coniugi riescono a trovare un accordo sulle condizioni di divorzio (mantenimento figli,
eventuale assegno divorzile a favore dell’ex, assegnazione casa coniugale, ecc.) si parla di divorzio
congiunto. o comunemente divorzio consensuale. E’ un procedimento piuttosto veloce in cui i
coniugi depositano congiuntamente in Tribunale, assistiti dai rispettivi avvocati o da uno per
entrambi, un documento chiamato ricorso per divorzio congiunto contenente l’accordo di
divorzio.

La procedura prosegue in questo modo:


• Una volta depositato il ricorso il Tribunale fissa l’udienza per la comparizione dei coniugi
davanti al Presidente del Tribunale.
• All’udienza i coniugi confermano la volontà di procedere con il divorzio alle condizioni
stabilite nel ricorso.
• Subito dopo, l’accordo è trasmesso al Pubblico ministero il quale rilascia il nulla osta al
divorzio;
• A questo punto, l’accordo può essere omologato con sentenza del Tribunale in
composizione collegiale.
• Una volta passata in giudicato la sentenza di divorzio, il Cancelliere comunica
all’Ufficiale di stato civile del Comune in cui l’atto di matrimonio è registrato la sentenza di
divorzio, affinché possa essere annotata ai margini dell’atto di matrimonio.
• A partire da questo momento gli ormai ex coniugi possono passare, se vogliono, a nuove
nozze civili.
Occorre precisare che, affinché possa dirsi passata in giudicato la sentenza di divorzio, cioè che
sia considerata definitiva, è necessario che siano trascorsi almeno 6 mesi dalla pubblicazione della
sentenza o 30 giorni dalla sua notifica, senza che sia stato proposto appello. Se i coniugi vogliono
accorciare questi termini, possono fare acquiescenza al divorzio: dichiarano al Tribunale di non
voler impugnare la sentenza.

Divorzio contenzioso
La procedura di divorzio contenzioso è attivata quando i coniugi non sono riusciti a trovare un
accordo sulle condizioni di divorzio. Pertanto, uno dei due si rivolge al Tribunale chiedendo di
pronunciare lo scioglimento del matrimonio con determinate condizioni. Il coniuge che dà inizio
alla procedura prende tecnicamente il nome di ricorrente. L’altro coniuge può costituirsi in giudizio
opponendosi alle richieste dell’altro e, se vuole, avanzando delle contro richieste; questi assume le
vesti di resistente.
Il procedimento di divorzio contenzioso si distingue in due fasi:
1. fase sommaria;
2. fase istruttoria.
La fase sommaria è la prima fase del procedimento di divorzio contenzioso. Si svolge davanti al
Presidente del Tribunale con la comparizione personale delle parti ad un’apposita udienza. In questa
occasione il Presidente prende atto della volontà delle parti di divorziare, emana i provvedimenti
più urgenti nell’interesse di coniugi e figli e, data l’assenza di accordo sulle condizioni di divorzio,
nomina per il proseguimento del processo un Giudice Istruttore.
Ha inizio, così, la fase istruttoria che è articolata in una serie di udienze dove sono esaminate le
richieste di prova avanzate dagli Avvocati delle parti: sono sentiti testimoni, esaminati documenti,
sentiti eventualmente i figli. Questi adempimenti hanno lo scopo di permettere al Giudice istruttore
di valutare la reale situazione delle parti e, sulla base delle informazioni raccolte, fissare le
condizioni di divorzio. Tale fase sarà tanto più lunga quanto più complesse saranno le richieste delle
parti ed elevata la conflittualità tra i due coniugi.
Questa fase si conclude con una sentenza che può confermare o meno i provvedimenti provvisori
ed urgenti fissati dal Presidente. Se nessuno dei coniugi propone appello contro la sentenza di
divorzio essa passa in giudicato, cioè diventa definitiva. Affinché possa divenire definitiva è
necessario che passino 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza o, se è stata notificata, 30 giorni
dalla notifica. Una volta definitiva, la sentenza è comunicata dal Cancelliere all’Ufficiale di stato
civile del Comune in cui l’atto di matrimonio è registrato, affinché possa essere annotata.
Dopodiché gli ormai ex coniugi possono contrarre nuove nozze.

Divorzio con negoziazione assistita


Negli ultimi anni sono state introdotte delle procedure per abbreviare i tempi di divorzio e per
accelerare la procedura di divorzio. Una di queste è la negoziazione assistita, introdotta con il
D.L. n. 132/2014. E’ una particolare procedura che consente alle coppie di divorziare in maniera
consensuale con un accordo che contiene tutte le condizioni di divorzio sena bisogno di rivolgersi al
Tribunale.
A questa procedura possono accedere quelle coppie sposate con o senza figli minori o maggiorenni
economicamente autosufficienti o maggiorenni incapaci. E’ necessario che siano assistite da almeno
un Avvocato per parte.
Si tratta, in particolare, di un accordo di divorzio redatto necessariamente in forma scritta, a pena
di nullità con l’assistenza dei rispettivi avvocati. Tale accordo che deve confluire in una
Convenzione di negoziazione assistita. La particolarità della procedura consiste nel fatto che la
Convenzione assume validità legale in quanto viene autenticata dagli Avvocati che in questa sede
assumono le vesti di pubblico ufficiale.
In assenza di figli (minorenni o maggiorenni incapaci o non autosufficienti) l’accordo concluso
deve essere trasmesso al Pubblico Ministero presso la Procura della Repubblica competente per
territorio. La Procura, dopo un controllo formale e se non rileva alcuna irregolarità, rilascia il nulla
osta e la Convenzione può essere trasmessa all’Ufficiale di stato civile per annotare il divorzio a
margine dell’atto di matrimonio.
Se vi sono figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti o maggiorenni
portatori di handicap, è necessario seguire una particolare procedura. Essa prevede che una volta
concluso l’accordo, deve essere trasmesso entro 10 giorni al Pubblico Ministero che, se lo ritiene
corrispondente nell’interesse dei figli, lo autorizza. Se non dovesse autorizzarlo, invierà l’accordo
entro 5 giorni al Presidente del Tribunale che fisserà un’udienza di comparizione dei coniugi.
Divorzio in Comune
Un’altra particolare procedura è quella del divorzio davanti all’Ufficiale di stato civile (Sindaco
o un suo delegato). Anche questa è una forma di divorzio consensuale, cui possono accedere quelle
coppie che non abbiano figli minori o maggiorenni economicamente autosufficienti o maggiorenni
incapaci o affetti da gravi handicap. Possono, quindi, usufruire della procedura di divorzio in
Comune:
• le coppie sposate senza figli;
• coppie sposate con figli maggiorenni economicamente autosufficienti.
Sono escluse:
• coppie con figli minori;
• con figli maggiorenni non autosufficienti economicamente;
• coppie con figli minori o maggiorenni incapaci o affetti da gravi handicap.
Con questa modalità i coniugi possono divorziare in Comune, senza l’assistenza di un avvocato,
potendo altresì utilizzare i moduli di divorzio messi a disposizione dall’ufficio comunale. Per poter
utilizzare questa procedura è necessario che l’accordo di divorzio non contenga trasferimenti di
natura patrimoniale. E’ possibile, quindi, prevedere l’obbligo di pagamento di un assegno divorzile
di mantenimento, ma non, ad esempio, trasferimenti immobiliari ed a condizione che il
mantenimento non sia versato in un’unica soluzione.

Divorzio Breve
Con la legge n. 55/2015 è stato introdotto in Italia il Divorzio Breve. Con questo termine si indica
l’accorciamento dei Tempi di divorzio e, precisamente, la riduzione del tempo che deve trascorrere
dopo la separazione affinché possa essere iniziata la procedura di divorzio.
Prima della riforma del 2015, per poter presentare domanda di divorzio era necessario che fossero
trascorsi almeno 3 anni dalla separazione. Oggi, invece, il tempo minimo di separazione è stato
notevolmente ridotto. E’ sufficiente, infatti, che siano trascorsi 6 mesi dalla separazione consensuale
e 1 anno da quella giudiziale.
La legge sul divorzio breve non ha modificato la procedura, che è rimasta quella descritta dalla
legge sul divorzio.
Tempi di divorzio
I Tempi di divorzio cambiano a seconda della procedura scelta. Innanzitutto, occorre precisare che
se i coniugi sono già separati bisogna attendere:
• almeno 6 mesi dal giorno dell’udienza di comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente se
si è trattato di separazione consensuale;
• almeno 1 anno dal giorno della comparizione nel caso di separazione giudiziale.
Una volta avviata la procedura di divorzio i tempi saranno più brevi se i coniugi hanno raggiunto
un accordo sulle condizioni di divorzio. In questo caso, se si è optato per il divorzio congiunto in
Tribunale occorre semplicemente attendere che venga fissata l’udienza di comparizione dinanzi al
Presidente. Le tempistiche in questo caso dipendono dal carico di lavoro del Tribunale competente
(in genere da 1 a 6 mesi).
I tempi di divorzio si allungano notevolmente nel caso di divorzio contenzioso. Qui, infatti, non
essendoci un accordo, sarà il Giudice a decidere come regolare i rapporti della coppia dopo il
matrimonio, all’esito di un processo in cui dovrà sentire testimoni e valutare la reale situazione delle
parti. In genere, i processi di divorzio hanno una durata minima di un 1 anno e mezzo, ma
possono durare anche più a lungo.

Costi del Divorzio


Anche per i costi occorre fare una distinzione tra procedure consensuali e contenziose. Con le prime
i costi del divorzio risultano piuttosto contenuti e dipendono sostanzialmente dalla parcella
dell’Avvocato che è elaborata sulla base delle tabelle ministeriali previste nel D.m. n. 55/2014. In
genere, le parcelle per un divorzio congiunto partono da un minimo di € 1.000,00 ad un massimo di
€ 4.000,00, ciò dipende dalla complessità dell’accordo di divorzio e dall’esperienza dell’Avvocato.
Anche le spese di Tribunale sono contenute nel caso di divorzio congiunto: il costo del Contributo
Unificato è pari ad € 43,00. Nel caso di Divorzio in Comune, addirittura, non essendoci bisogno
dell’assistenza di un Avvocato, occorre solamente pagare una marca da bollo di € 16,00. Quindi i
costi sono praticamente azzerati.
Discorso diverso per il divorzio contenzioso, dove i costi lievitano perché la procedura è più lunga
e complessa. Il Divorzio contenzioso si svolge con un vero e proprio processo, intervallato da una
serie di udienze, pertanto la parcella del legale sarà sicuramente più alta. Anche il costo del
Contributo unificato è più alto, pari ad € 98,00.
In conclusione, se si vogliono ridurre costi e tempi di divorzio è consigliabile trovare un accordo
con l’altro coniuge.
In Italia l’istituto del divorzio, dopo la sottoposizione a referendum popolare, è stato introdotto con
la Legge n. 898/1970.
Secondo le ultime rilevazioni Istat, l’introduzione del “divorzio breve” ha fatto registrare un
consistente aumento del numero di divorzi, che ammontano a 82.469 (+57% sul 2014). Più
contenuto è l’aumento delle separazioni, pari a 91.706 (+2,7% rispetto al 2014). La durata media
del matrimonio al momento della separazione è di circa 17 anni. In media i mariti hanno 48 anni, le
mogli 45 anni.
La Legge n. 55/2015 sul “Divorzio breve”
Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio possono essere chiesti in
presenza di alcune condizioni indicate dall’art. 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898.
Tra queste, la circostanza più frequente è l’intervenuta separazione legale dei coniugi.
Dopo quarantacinque anni il nostro divorzio è diventato “breve”, nel senso che il periodo di
separazione legale ininterrotta fissato in tre anni, è stato abbreviato.
La lettera b) del numero 2 del comma 1 dell'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, ha
ridotto a dodici mesi la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi, necessaria per
poter proporre la domanda di divorzio nei casi di separazione giudiziale.
In caso di precedente separazione consensuale, la norma riduce a sei mesi il periodo di separazione
ininterrotta.
Il grande nodo della legge che ha riformato il divorzio ha riguardato la possibilità di eliminare il
passaggio obbligato della separazione e arrivare direttamente al divorzio.
Il così detto “divorzio diretto” sarebbe stato possibile soltanto per le coppie senza figli, mediante un
ricorso congiunto presentato esclusivamente all'autorità giudiziaria competente, ma la disposizione
non è passata, ed è stata stralciata dal testo.
Attualmente, per presentare domanda di divorzio o cessazione degli effetti civili del matrimonio –
anche dopo l'entrata in vigore della Legge n. 162 del 2014 sul cosiddetto divorzio “facile” mediante
negoziazione assistita o di fronte all'ufficiale dello stato civile – le parti possono utilizzare
alternativamente:
• la sentenza di separazione passata in giudicato, se la separazione deriva da un procedimento
giudiziale;
• il decreto di omologa della separazione consensuale;
• l'accordo di cui alla negoziazione assistita;
• la doppia dichiarazione innanzi all'ufficiale dello stato civile
Per ogni singolo procedimento contenente la pronuncia di separazione sono previsti diversi
momenti decorrenza.

Separazione giudiziale 12 mesi dalla comparizione delle parti all’udienza


presidenziale ex art. 708 c.p.c.

Separazione giudiziale trasformata 6 mesi dalla comparizione delle parti all’udienza presidenziale
in consensuale

Separazione consensuale 6 mesi dalla comparizione delle parti all’udienza presidenziale


ex art. 711 c.p.c.

Negoziazione assistita 6 mesi dalla data certificata nell’accordo negoziazione assistita


di separazione

Accordo concluso di fronte 6 mesi dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione
all’Ufficiale dello stato civile concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile

Gli altri presupposti per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio,
individuati dall’art. 3, sono:
• la condanna a pene detentive superiori ai quindici anni o per reati commessi contro il
coniuge o un discendente;
• l’annullamento o scioglimento del matrimonio all’estero;
• l’altro matrimonio contratto dal coniuge;
• la mancata consumazione del matrimonio;
• l’esistenza di una sentenza passata in giudicato che rettifica l’attribuzione di sesso di un
coniuge.

Effetti della sentenza di divorzio


Il divorzio produce alcuni effetti, in particolare la riacquisizione dello stato libero e la perdita del
cognome maritale per la moglie. Viene meno il dovere di fedeltà, di coabitazione, di assistenza
morale e materiale e di collaborazione.

Il nuovo assegno divorzile


Il divorzio produce alcuni effetti, in particolare la riacquisizione dello stato libero. Viene meno il
dovere di fedeltà, di coabitazione, di assistenza morale e materiale e di collaborazione.
Oltre agli effetti personali si verificano rilevanti effetti patrimoniali. Rimane nei confronti dell’ex
coniuge un dovere di solidarietà che corrisponde ad un diritto di mantenimento (assegno divorzile)
in capo al coniuge economicamente più debole. La Legge sul Divorzio (art. 5) prevede la
corresponsione di un assegno periodico nei casi in cui un coniuge non abbia adeguati mezzi
economici o abbia difficoltà di procurarseli per ragioni oggettive, tenuto conto del contributo
personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del
patrimonio personale o comune durante il matrimonio, dei redditi di entrambi, della durata del
matrimonio e infine del comportamento nell’aver determinato la fine dell’unione matrimoniale.
Dopo il “rivoluzionario” cambio di rotta della Cassazione – sentenza n. 11504/2017 –
l’inadeguatezza dei redditi del coniuge debole, non deve essere più rapportata al tenore di vita
goduto durante il matrimonio, ma alla mancanza di autosufficienza economica dell’altro coniuge,
utilizzando, come parametri da valutare a tal fine, il possesso di redditi di qualsiasi specie, il
possesso di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, la capacità e possibilità effettive di lavoro
personale e la disponibilità di una casa di abitazione.
Per mitigare il rigore di tale interpretazione è intervenuta successivamente la sentenza emessa a
sezioni unite n. 18287 dell’11 luglio 2018, con cui la Cassazione ha fornito una nuova
interpretazione della legge in materia di assegno divorzile.
Il criterio dell’autosufficienza non può da solo stare alla base del giudizio di fondatezza della
domanda di assegno. Il giudizio di adeguatezza dei mezzi, in sostanza, deve essere rapportato non
solo all’insufficienza oggettiva ma anche a quello che si è contribuito a realizzare nella famiglia. Il
ruolo del singolo coniuge nella relazione matrimoniale costituisce un fattore importante, frutto di
scelte comuni che si fondano sull’autodeterminazione e sull’autoresponsabilità, e che incidono sul
profilo economico-patrimoniale post matrimoniale.
Il riconoscimento dell’assegno di divorzio deve avvenire applicando un criterio composito, ossia
valutando:
• le rispettive condizioni economiche dei coniugi;
• il contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del
patrimonio comune e personale;
• la durata del matrimonio e l’età dell’avente diritto.
Pertanto, l’assegno divorzile ha oggi una “funzione equilibratrice del reddito” e non è finalizzato
al mantenimento del tenore di vita goduto in matrimonio, ma al riconoscimento del ruolo e del
contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole nel matrimonio (Cass. Civ. ord.
14.01.2019 n. 651 e Cass. Civ. ord. 29.01.2019 n. 2480).
L’assegno divorzile può essere corrisposto periodicamente a cadenza mensile o, solo su accordo
delle parti, tramite un pagamento una tantum, calcolato mediante capitalizzazione dell’assegno
periodico. Condizione necessaria è che la soluzione sia ritenuta equa dal Tribunale, dopodiché non
può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico. Non può essere chiesta
pertanto la revisione dell’assegno di cui all’art. 9, comma 1, L. Div. e si perde il diritto a percepire
la quota del TFR, l’assegno successorio e la pensione di reversibilità.
L’assegno successorio
Dopo il divorzio si verifica la perdita dei diritti successori nei confronti dell’altro coniuge, ma la
legge prevede che il divorziato al quale è stato riconosciuto dal Tribunale l’assegno divorzile, se si
trova in stato di bisogno, ha diritto di percepire un assegno successorio a carico dell’eredità, tenuto
conto dell’importo dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di
reversibilità e delle sostanze ereditarie (art. 9 bis, L. Div.). Il coniuge che ha ricevuto la
corresponsione una tantum dell’assegno di mantenimento, poiché ha definito la totalità dei rapporti
patrimoniali, non ha diritto al suddetto assegno. Anche l’assegno successorio può essere corrisposto
in un'unica soluzione.

Diritto ad una quota del TFR


Il coniuge divorziato che non ha contratto un nuovo matrimonio, ha diritto a una percentuale
dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge alla cessazione del rapporto di lavoro. La
percentuale è pari al 40% dell’indennità totale, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro
è coinciso con il matrimonio. L’art. 9, L. Div. va interpretato nel senso che non occorre che ci sia
già stata sentenza di divorzio, poiché il diritto sorge anche se il trattamento spettante all'altro
coniuge sia maturato successivamente alla proposizione della domanda introduttiva del giudizio di
divorzio. E’ possibile presentare domanda di liquidazione di quota del TFR contestualmente alla
domanda di divorzio e relativo assegno. In questo caso si formerà un giudicato simultaneo su
entrambe le domande (Cass. Civ., sez. I, sentenza 6 giugno 2011, n. 12175).

Pensione di reversibilità
In caso di morte dell’ex coniuge sorge il diritto a percepire la pensione di reversibilità, se il rapporto
pensionistico è anteriore alla sentenza di divorzio (art. 9, comma 2, L. Div.). Se esiste un nuovo
coniuge del defunto, allora sarà il Tribunale ad attribuire all’ex coniuge una quota della pensione,
calcolata principalmente (ma non come criterio esclusivo) tenendo conto della durata dei rispettivi
matrimoni.
Doveri verso i figli
Anche quando cessa l’unione matrimoniale, non vengono meno con la pronuncia di divorzio i
doveri verso i figli minori o maggiorenni non autosufficienti e la potestà genitoriale che, in caso di
affido condiviso, è esercitata congiuntamente all’altro genitore. La presenza di figli rileva anche in
sede di assegnazione della casa coniugale.

Il divorzio in tribunale
La domanda giudiziale di divorzio si propone con ricorso depositato in cancelleria in calce al
quale sarà apposto il decreto che fissa la data dell’audizione delle parti e il termine per la notifica
del ricorso al convenuto. All’udienza presidenziale, esperito inutilmente il tentativo di
conciliazione, e sentiti i minori che hanno compiuto i dodici anni di età, saranno emessi i
provvedimenti provvisori e urgenti nell’interesse dei coniugi e dei figli (art. 4, L. Div.). Il giudizio
prosegue come un normale processo a cognizione che sarà svolto dal giudice istruttore nominato e
si chiude con sentenza che dichiara lo scioglimento del matrimonio e dispone sull’affidamento e
mantenimento dei figli e del coniuge privo di adeguati mezzi economici.
La domanda di divorzio può essere presentata anche congiuntamente dai coniugi con ricorso
sottoscritto dalle parti e dai difensori, al quale seguirà la comparizione personale dei coniugi, il
controllo delle condizioni di divorzio concordate dalle parti, in particolare quelle riguardanti i figli,
e la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Con il ricorso congiunto le parti possono concordare anche sulla corresponsione di un
mantenimento una tantum, domanda non consentita al giudice del divorzio nel procedimento
contenzioso.
Per la presentazione del ricorso congiunto è sufficiente l’assistenza di un solo avvocato che
rappresenta entrambe le parti.

Il divorzio mediante negoziazione assistita


La legge n. 162/2014 ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto della negoziazione assistita da
avvocati per le “Soluzioni consensuali di separazione personale, di divorzio, e di modifica delle
condizioni di separazione e divorzio” (art. 6).
Il procedimento è molto più veloce rispetto a quello che si instaura innanzi ad un tribunale.
La procedura di negoziazione ha inizio con l’invito a negoziare, e termina con la redazione di un
Accordo che contiene tutte le clausole e i termini del divorzio concordati dalle parti. Nell’atto
stipulato dalle parti può essere inserita la previsione di trasferimenti immobiliari e altri tipi di
dazioni. Nei casi previsti dalla legge (art. 2643 c.c.) l’accordo deve essere autenticato dal Notaio.
L’avvocato ha l’onere di inviare l’accordo sottoscritto al Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale competente, il quale, in presenza dei requisiti di legge, e se non è contrario agli interessi
dei figli minori, lo autorizza.
Ottenuta l’autorizzazione o il nulla-osta, l’avvocato ha l’obbligo di trasmettere entro il termine di
dieci giorni all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune in cui il matrimonio era stato trascritto o
iscritto, la copia autenticata dell’accordo raggiunto a seguito della convenzione, munito di
certificazione di autografia delle sottoscrizioni e certificazione di conformità normativa.
L’accordo sottoscritto da parti e avvocati è titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Per la procedura è necessaria, l’assistenza di un avvocato per ogni parte. Quanto ai costi, gli
onorari sono richiesti in base ai parametri previsti dalla nuova tabella appositamente inserita nel
D.M. n. 55/2014 (tabella 25-bis) così come aggiornato dal DM n. 37/2018.

Il divorzio in Comune
I coniugi possono concludere, innanzi al Sindaco quale ufficiale dello stato civile del Comune di
residenza di uno di loro o del Comune presso cui è iscritto o trascritto l’atto di matrimonio, un
accordo di separazione personale, di divorzio, o di modifica delle condizioni di separazione o di
divorzio.
L’art.12 della legge n. 162/2014 specifica che la procedura non può essere utilizzata in presenza di
figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave o economicamente non
autosufficienti.
L’Accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale. Secondo la corrente
interpretazione della legge, il divieto non riguarda la previsione di un assegno di mantenimento nei
confronti del coniuge.
E’ invece chiaramente esclusa la possibilità di compiere trasferimenti immobiliari, sia con effetto
traslativo sia con meri effetti obbligatori.
L’ufficiale riceve da ciascuna delle parti personalmente la dichiarazione di volontà di separarsi o
divorziare alle condizioni concordate. L’assistenza dell’avvocato è facoltativa.
Ricevuta la dichiarazione di volersi separare o divorziare, l’atto contenente l’accordo con le
condizioni concordate, è compilato e sottoscritto immediatamente dopo.
Nella formula per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio si verbalizzano
le dichiarazioni:
• di luogo e data del matrimonio con gli estremi dell’iscrizione o trascrizione;
• di non esser parti in un giudizio pendente di lo scioglimento o la cessazione degli effetti
civili del matrimonio oppure indicare l’autorità giudiziaria
• di essere legalmente separati indicando il provvedimento o l’accordo e di trovarsi in uno dei
casi di cui all’art. 3 I comma n. 2 lett. b della legge 898/70
• di non essere genitori di figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave o
non autosufficienti
• di non concordare patti di trasferimento patrimoniale
• di volere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio
Dopo la sottoscrizione dell’atto, l’Ufficiale invita, infine, le parti a comparire nuovamente presso lo
stesso Ufficio per la conferma dello stesso, fissandone la data, che non può essere inferiore a trenta
giorni da quella dell’accordo.
L’atto contiene l’avvertimento che la mancata comparizione equivale a mancata conferma
dell’accordo. Lo scopo di questa previsione risponde all’esigenza di porre l’attenzione
sull’importanza della scelta separativa, da non prendere senza una considerata riflessione.
Anche nel secondo incontro, l’Ufficiale preposto redige l’atto di conferma dell’accordo concluso
precedentemente, che viene letto ai dichiaranti e sottoscritto insieme agli avvocati se presenti.
Per quanto attiene ai costi, se le parti non si avvalgono dell’assistenza di un avvocato, è prevista
soltanto la corresponsione di un diritto fisso di 16 euro, corrisposto al momento della
sottoscrizione dell’Accordo nel corso della prima comparizione.

Il divorzio diretto nell’unione civile della coppia omosessuale


La legge n.76/2016 ha istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso, equiparando l’istituto,
sotto molteplici aspetti, al matrimonio.
L’unione civile si costituisce mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e ad essa
sono applicabili in parte le norme della legge sul Divorzio.
Per lo scioglimento del vincolo, però, non è previsto il passaggio obbligatorio della separazione.
L’unione civile può essere sciolta quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la
volontà di scioglimento innanzi all’ufficiale dello stato civile. In tal caso la domanda di
scioglimento è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà.
La domanda di scioglimento sarà comunque necessaria per sciogliere l’unione con il procedimento
di cui agli art. 4 e 5 legge div. o mediante la procedura di cui agli articoli 6 e 12 della legge n.
162/2014, relativa alla negoziazione assistita e alla dichiarazione da effettuarsi presso il Comune di
residenza o in cui è stata registrata l’unione.
Per effetto del richiamo all’art. 5 della Legge 898/1970, anche nell’unione civile omosessuale, è
prevista la corresponsione di un assegno di mantenimento nei confronti del partner quando
quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive, tenuto
conto delle condizioni delle parti, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed
economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno
o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla
durata dell’unione.
Si applicano integralmente anche le norme relative alla pensione di reversibilità, al TFR e
all’assegno successorio (artt. 9 e 12 legge Div.)
La separazione per le coppie di conviventi
La legge non disciplina, se non in parte, la fine dell’unione tra coppie di fatto. In presenza di figli,
sono integralmente applicabili, le norme sulla filiazione all’interno del matrimonio.
In relazione alla separazione dei conviventi, la legge n. 76/2016 ha attribuito ai conviventi alcuni
diritti nel corso della convivenza e un minimo di tutela per il convivente debole dopo la fine
dell’unione.
Il convivente di fatto che ha registrato la propria convivenza ai sensi della predetta legge, qualora si
dissolva il legame affettivo, ha di diritto di ricevere dall’altro gli alimenti se versa in stato di
bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.
La legge richiama l’art. 438 c.c. in materia di alimenti, pertanto l'obbligo alimentare dell'ex-
convivente non scatta in presenza, di coniuge, figli, genitori e addirittura generi e nuore e suoceri.
L’obbligo alimentare ha una portata molto più limitata rispetto al mantenimento nella separazione e
nel divorzio, in cui rilevano anche altri elementi, quali il contributo fornito dal richiedente alla
conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale, la durata del
rapporto, le aspettative sacrificate etc.
Se i conviventi hanno stipulato Contratti di convivenza di cui alla Legge n. 76/2016, in caso di
recesso unilaterale di un convivente, se la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva del
recedente, l’atto di recesso – a pena di nullità – deve contenere un termine non inferiore a novanta
giorni in favore del partner per lasciare l’abitazione comune.

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