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IN PRATICA FAMIGLIA

Crisi del matrimonio - Divorzio

Disciplina dell'assegno di divorzio


a cura di Studio Legale Rimini, aggiornamento della dott.ssa Elena Falletti

Schema riepilogativo

Nozione Effetti Limiti

Domanda dell'assegno L'assegno di divorzio è La domanda può essere È pacifico in giurisprudenza


divorzile stabilito dal giudice su proposta anche in un che esso non possa essere
domanda di parte. giudizio autonomo. disposto dal giudice.

Onere probatorio L'onere probatorio dei Tuttavia, entrambi i coniugi Nello specifico le ultime tre
presupposti della domanda devono presentare in dichiarazioni dei redditi.
dell'assegno incombe sul giudizio documentazione
coniuge richiedente. relativa ai loro redditi e al
loro patrimonio.

I patti in vista del divorzio L'assegno di divorzio non Sono nulli i patti in vista del Solo il coniuge che ha
può essere oggetto di divorzio. rinunciato all'assegno
rinuncia mediante divorzile può rilevare in
stipulazione di patti giudizio questa nullità.
antecedenti all'inizio del
procedimento.

Decorrenza L'assegno divorzile decorre Si tratta di un credito Esso si prescrive in un


dal momento in cui ha pecuniario che produce termine decennale.
effetto lo scioglimento del interessi.
matrimonio.

1. Nozione
L'assegno di divorzio è stabilito dal giudice su domanda di parte, essendo pacifico in una giurisprudenza
che esso non possa essere disposto d'ufficio dal giudice (Cass., 26 giugno 1991, n. 7203; Cass., 3 ottobre 2000,
n. 13068; Cass., 5 luglio 2001, n. 9058).
La domanda può essere proposta in autonomo giudizio anche dal coniuge che sia rimasto contumace nel
giudizio di divorzio successivamente o che, costituitosi, non abbia avanzato apposita istanza (Cass., 15
gennaio 2000, n. 412, in Giur. it., 2000, I, 1, 1820) - ma non per la prima volta in appello - purché si dia
dimostrazione della insorgenza di fatti nuovi tali da giustificare la domanda ai sensi dell'art. 9, L. 1 dicembre
1970, n. 898.
L'onere probatorio in relazione alla sussistenza dei presupposti della domanda relativa all'assegno
incombe sul coniuge richiedente (Cass., 15 giugno 2005, n. 12838, in Fam. e dir., 2005, 664; Cass., 10 giugno
2005, n. 12283; Cass., 16 giugno 2000, n. 8225; Cass., 28 luglio 1999, n. 8183; Cass., 1 dicembre 1993, n. 11860;
App. Genova, 4 maggio 2007).
Focus

Tale generale principio trova tuttavia una rilevante deroga nel principio di acquisizione,
disposto dall'art. 5, comma 9, L. 1 dicembre 1970, n. 898, in virtù del quale entrambi i coniugi
devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale ogni
documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune,
documentazione sulla base della quale il giudice potrà formare il proprio convincimento. In
attuazione di tale principio le parti sono generalmente chiamate a depositare le ultime tre
dichiarazioni dei redditi presentate. Salvo l'onere del richiedente l'assegno di fornire la
dimostrazione della fascia economico sociale di appartenenza della coppia all'epoca della
convivenza e del relativo tenore di vita adottato in costanza di matrimonio, il giudice può
tener conto della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della
cessazione della convivenza quale elemento induttivo da cui desumere in via presuntiva il
tenore di vita anzidetto (Cass., 31 maggio 2007, n. 12763; Cass., 22 agosto 2006, n. 18239; Cass.,
21 agosto 1997, n. 7799).

Qualora si contesti la veridicità della documentazione prodotta dall'altro coniuge, il Tribunale può disporre,
anche d'ufficio, indagini avvalendosi della polizia tributaria (Cass., 8 novembre 1996, n. 9756, in Fam. e dir.,
1997, 15).
Occorre osservare come l'assegno di divorzio non possa essere oggetto di rinuncia mediante la stipulazione
di patti antecedenti all'inizio del procedimento, contenuti, ad esempio, nell'accordo di separazione
consensuale (Cass., 28 gennaio 2008, n. 1758). Tali statuizioni sono ritenuti inefficaci, in quanto affette da
nullità (Cass., 7 luglio 1995, n. 9416), ancorché esse possano comunque costituire un elemento per la
formazione del convincimento del giudice al momento del divorzio.
Sono dunque nulli tutti i patti in vista del divorzio (Cass., 12 febbraio 2003, n. 2078; Cass., 18 febbraio 2000,
n. 1810; Cass., 11 giugno 1997, n. 5244).
Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la nullità degli accordi in vista del divorzio non
può essere invocata dal coniuge che si è impegnato ad eseguire determinate prestazioni, ma solo dal
coniuge che abbia rinunciato all'assegno divorzile (Cass., 1 dicembre 2000, n. 15349; Cass., 14 giugno 2000,
n. 8109).
Giurisprudenza

È valido l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (nella
specie trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo
delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione
familiare di proprietà della moglie medesima), in quanto contratto atipico con condizione
sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare
interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., essendo, infatti, il fallimento
del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale (Cass. civ., sez.
I, 21 dicembre 2012, n. 23713).

Non contrastano con l'ordine pubblico ex art. 64, lett. g), L. 31 maggio 1995, n. 218 statuizioni di una sentenza
straniera di divorzio relative a patti prematrimoniali, poiché - in base all'art. 30, L. 31 maggio 1995, n. 218 -
anche due coniugi italiani residenti all'estero possono scegliere un ordinamento estero al fine di regolare
i loro rapporti patrimoniali (Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10378).
L'assegno divorzile, essendo un effetto del mutamento di status, decorre generalmente dal momento in cui
ha effetto lo scioglimento del matrimonio (Cass., 13 maggio 2011, n. 10648).
A norma dell'art. 4, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 il Tribunale, qualora si sia pronunciato con sentenza
non definitiva sullo status, emettendo la successiva sentenza definitiva può prevedere che l'obbligo di
corresponsione dell'assegno sorga a far data dalla domanda, ovvero dal deposito del ricorso o della
comparsa di risposta. Nell'interpretazione giurisprudenziale tale previsione è letta estensivamente, nel
senso che si ritiene che il giudice possa disporre - peraltro ex officio - che l'assegno decorra a far data dalla
domanda anche qualora la decisione sull'assegno sia contestuale a quella sullo status (Cass., 24 gennaio
2011, n. 1613; Cass., 30 novembre 2007, n. 25010; Cass., 5 novembre 1992, n. 11978; Cass., 11 ottobre 1994, n.
8278).
Tale assunto non costituisce una deroga al principio secondo il quale l'assegno di divorzio, trovando la
propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della relativa statuizione,
bensì un temperamento a tale principio (Cass., 11 ottobre 1994, n. 8288).
La giurisprudenza ha invece escluso che il decorso sia fissato in una data intermedia tra quella della
domanda e quella della sentenza (Cass., 16 dicembre 2004, n. 23396; Cass., 21 marzo 2002, n. 4038; Cass., 15
giugno 1995, n. 6737). È possibile far decorrere l'assegno di divorzio da un momento successivo al passaggio
in giudicato del capo della sentenza relativa allo status (Cass., 6 marzo 2003, n. 3351).
Qualora nulla venga statuito sul punto, ci si interroga se l'assegno decorre a far data dal passaggio in
giudicato della sentenza di divorzio, ovvero da quella, successiva, della sua annotazione, formalità alla
quale l'art. 4, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 riconduce la produzione di effetti civili della sentenza di
divorzio. Tale interrogativo deve essere risolto alla luce del principio, già ricordato, avallato peraltro dalla
giurisprudenza più recente (Cass., 9 giugno 1992, n. 7089), secondo il quale gli effetti del divorzio tra le parti
si producono a far data dal passaggio in giudicato della sentenza, e non da quella della sua annotazione,
che ha solo la funzione di renderne opponibili gli effetti ai terzi.
Per quanto concerne il problema della ripetibilità delle somme corrisposte a titolo di assegno di divorzio
nel caso in cui venga meno il diritto all'assegno o ne venga ridotto l'ammontare, la giurisprudenza ha
affermato che le somme corrisposte al coniuge più debole non possano essere ripetute se la loro
erogazione trova esclusivo fondamento in una sentenza errata (Cass., 28 febbraio 2008, n. 4527; Cass., 9
settembre 2002, n. 13060, anche se con specifico riferimento ad un assegno di non elevata entità, idoneo a
soddisfare esigenze di carattere eminentemente alimentare. Contra Cass., 28 maggio 2004, n. 10291).
Focus

La condanna al pagamento dell'assegno di divorzio "integra un credito pecuniario a favore


dell'avente diritto", così che esso produce interessi corrispettivi ex lege ai sensi dell'art. 1282
c.c. (Cass., 19 ottobre 2006, n. 22484). Ai sensi dell'art. 5, L. n. 898/1970 il giudice, nel disporre
l'assegno di divorzio, deve altresì prevederne, anche d'ufficio, l'adeguamento automatico,
almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria (Cass., 19 dicembre 1996, n. 11340,
la quale evidenzia il potere discrezionale del giudice di scegliere criteri di adeguamento
diversi rispetto a quello indicato dalla legge); la previsione, che risponde all'esigenza di
tutelare l'ex coniuge avente diritto, può essere disattesa, con decisione motivata, in caso di
palese iniquità (in giurisprudenza v. Cass., 19 dicembre 1996, n. 11340, la quale ha escluso la
rivalutazione dell'assegno avuto riguardo al fatto che il reddito dell'obbligato non sarebbe
stato prevedibilmente in futuro oggetto di incremento, rendendo così in concreto ingiusto un
prefissato aumento periodico dell'assegno medesimo). Qualora il giudice non preveda
immotivatamente l'adeguamento automatico dell'assegno, la sentenza può essere oggetto di
impugnazione o, secondo una giurisprudenza di merito, oggetto di correzione di errore
materiale (Trib. Brindisi, 20 gennaio 1989).

Il diritto all'assegno si prescrive nel termine decennale, che decorre non già da un unico termine costituito
dalla sentenza che ho pronunciato sul diritto stesso, ma dalle scadenze delle singole prestazioni imposte
dalla pronuncia giudiziale (Cass., 4 aprile 2005, n. 6975; Cass., 5 dicembre 1998, n. 12333).

2. Le Sezioni Unite risolvono il dibattito sulla natura dell'assegno divorzile


Con la recentissima sentenza 10 maggio 2017, n. 11504, la I Sezione della Corte di Cassazione ha specificato
che una volta scioltosi il matrimonio, il diritto all'assegno di divorzio è condizionato dal previo
riconoscimento di esso in base all'accertamento giudiziale della mancanza di mezzi adeguati dell'ex
coniuge o, comunque, dell'impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive. Secondo la
medesima decisione, la ratio dell'art. 5, comma 6, L. n. 898/1970 (relativo al diritto condizionato all'assegno
di divorzio e determinazione e prestazione dell'assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere
inderogabile di solidarietà economica (artt. 2 e 23 Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex
coniugi, "quali persone singole", a tutela della "persona" economicamente più debole (si tratta della
cosiddetta responsabilità post-coniugale). In questo duplice fondamento costituzionale si esprime sia la
qualificazione della natura dell'assegno di divorzio come esclusivamente "assistenziale" in favore dell'ex
coniuge economicamente più debole (art. 2 Cost.), sia la giustificazione della doverosità della sua
prestazione (art. 23 Cost.).
Pertanto, afferma la Cass. n. 11504/2017, se il diritto all'assegno di divorzio è riconosciuto alla persona
dell'ex coniuge nella fase dell'an debeatur, l'assegno è determinato esclusivamente nella successiva fase
del quantum debeatur, non già in ragione del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì
in considerazione di esso nel corso di tale seconda fase, avendo lo stesso rapporto, ancorché estinto pure
nella sua dimensione economico-patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o
meno lungo della vita in comune (la comunione spirituale e materiale) degli ex coniugi. Ulteriormente, viene
sottolineato che il carattere condizionato del diritto all'assegno di divorzio - comportando la sua negazione
in presenza di mezzi adeguati dell'ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità di procurarseli, vale a
dire della "indipendenza o autosufficienza economica dello stesso" - comporta altresì che, in carenza di
ragioni di solidarietà economica, l'eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una
locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della mera persistenza di un rapporto
matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra solidarietà
economica ed illecita locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull'esistenza, o no, delle condizioni
del diritto all'assegno, nella fase dell'an debeatur (Cass. n. 11504/2017).
La giurisprudenza di merito si è immediatamente adeguata a questo orientamento e la prima pronuncia di
cui si ha conoscenza è stata emanata dal tribunale ambrosiano, il quale ha affermato che il presupposto
giuridico per il riconoscimento dell'assegno divorzile non è il pregresso tenore di vita matrimoniale, bensì
la "non" indipendenza economica dell'ex coniuge richiedente. Per "indipendenza economica" deve
intendersi la capacità per una determinata persona adulta e sana - tenuto conto del contesto sociale di
inserimento - di provvedere al proprio sostentamento, inteso come capacità di avere risorse sufficienti per
le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali). Un parametro (non esclusivo) di
riferimento può essere rappresentato dall'ammontare degli introiti che, secondo le leggi dello Stato,
consente (ove non superato) a un individuo di accedere al patrocinio a spese dello Stato (soglia che, ad
oggi, è di euro 11.528,41 annui ossia circa euro 1.000 mensili). Ulteriore parametro, per adattare "in concreto"
il concetto di indipendenza, può anche essere il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente
vive ed abita (Trib. Milano, 22 maggio 2017).
In realtà, tale approccio è stato assai dibattuto sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza. I critici hanno
affermato che "l'autosufficienza non rappresenta un parametro uguale per tutti, dovendosi perseguire il
raggiungimento di situazioni di riequilibrio che possano garantire alla parte più debole di poter condurre
un'esistenza dignitosa, alla luce della situazione personale in cui ella si trova (età, condizioni di salute,
istruzione, ecc.)" [A. Figone, Assegno divorzile e valutazione ponderata dell'autosufficienza economica: un
"apripista" per le sezioni unite?, in Famiglia e Diritto, 2018, 4, 321). In giurisprudenza, criticamente si è
affermato che fermo restando il principio per cui l'assegno di divorzio presuppone la mancanza di
autosufficienza del beneficiario, devono escludersi pericolosi automatismi che renderebbero
autosufficienza o non autosufficienza sempre identiche a se stesse ed eguali per tutti; il coniuge richiedente
l'assegno non può riguardarsi come un'entità astratta, ma deve considerarsi come singola persona nella
sua specifica individualità (Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2042).
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno aderito a tale approccio, stabilendo che il parametro del
tenore di vita matrimoniale (specie se potenziale) e l'autonomia o l'indipendenza economica (anche nella
nuova versione dell'autosufficienza economica, introdotta dalla sentenza n. 11504/2017) sono esposti al
rischio dell'astrattezza e del difetto di collegamento con l'effettività della relazione matrimoniale. Tale
collegamento diventa meramente eventuale ove si assuma come parametro l'autosufficienza economica
ma può perdere di rilievo anche con l'ancoraggio al tenore di vita ove questo criterio venga assunto
esclusivamente sulla base della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti e
dunque valutando la potenzialità e non effettività delle condizioni di vita matrimoniale (Cass. SS. UU. 11
luglio 2018, n. 18287). Pertanto, il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione
afferma che: "Ai sensi dell'art. 5, comma 6, L. n. 898/1970, dopo le modifiche introdotte con la L. n. 74/1987,
il riconoscimento dell'assegno di divorzio cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura
compensativa e perequativa, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque
dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima
parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e
determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-
patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita
familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione
alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto (Cass. SS. UU. 11 luglio 2018, n. 18287).
Giurisprudenza

Il pagamento, da parte dell'ex marito multimiliardario di una somma complessiva di oltre


110 milioni di Euro costituisce nei fatti un indebito trasferimento di ricchezza, non consentito
dall'ordinamento; inoltre una disponibilità così ingente di liquidità, accumulata in un arco
temporale estremamente contenuto, ha consentito alla signora una ulteriore produzione di
ricchezza mediante patrimonializzazione della misura non consumata, e ciò secondo la
comune esperienza. Infatti "…se i costi del mantenimento della signora fossero stati anche
solo tendenzialmente avvicinabili alla misura goduta, la medesima non avrebbe avuto alcuna
difficoltà di esibizione probatoria, adempiendo a quell'"onere sempre eluso nel corso della
lunga epopea giudiziaria…". (Nel caso di specie, - la sentenza impugnata è viziata nella parte
in cui ha omesso di valutare la sussistenza del requisito del comma 6 dell'art. 5 L. n. 898/1970
perché sia riconosciuto l'assegno divorzile, ovvero la capacità del richiedente di procurarsi i
mezzi adeguati. L'ex moglie svolge, di fatto, l'attività di imprenditrice immobiliare per il tramite
della società (omissis...) e, in ogni caso, è abile allo svolgimento di attività lavorativa; peraltro
dispone di fonti reddituali non lavorative ma di provenienza finanziaria. Ella pertanto
amministra la propria ricchezza con conseguente percepimento di rendite finanziarie e di
posizione, avendone le capacità (Appello Milano, sez. V Civile, sentenza 16 novembre 2017, n.
4793).

Alla luce della complessiva valutazione di tutti gli indici indicati dalla Suprema Corte nella
sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504, l'assegno divorzile deve comunque essere riconosciuto
nelle ipotesi in cui la moglie, all'esito delle risultanze del giudizio, non possa ritenersi
economicamente indipendente. (Nel caso di specie il Tribunale riteneva insussistente
l'indipendenza economica della moglie in ragione della mancanza di un reddito da lavoro
certo e stabile su cui fare affidamento e della ragionevole impossibilità oggettiva, data l'età,
di poterselo procurare). Trib. Milano Sez. IX, 3 ottobre 2017

Il giudice richiesto della revisione dell'assegno divorzile che incida sulla stessa spettanza
del relativo diritto (precedentemente riconosciuto), in ragione della sopravvenienza di
giustificati motivi dopo la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio, deve verificare se tali motivi giustifichino, o meno, la
negazione del diritto all'assegno a causa della sopraggiunta "indipendenza o autosufficienza
economica" dell'ex coniuge beneficiario, desunta dai seguenti "indici": possesso di redditi di
qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli
oneri "lato sensu" imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge
richiedente), capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute,
all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), stabile disponibilità di una
casa di abitazione, nonché eventualmente altri - rilevanti nelle singole fattispecie - senza,
invece, tener conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; il tutto sulla base
delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall'ex coniuge obbligato, sul quale
incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova
contraria dell'ex coniuge beneficiario. Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15481 (rv. 644763-01)

3. Una tantum
Ai sensi dell'art. 5, L. n. 898/1970 è altresì possibile liquidare l'assegno divorzile in un'unica soluzione (c.d.
una tantum); tale modalità di adempimento soggiace al duplice presupposto dell'accordo delle parti e del
giudizio del tribunale in ordine alla equità della soluzione concordata (e ciò anche laddove sia contenuta
in un ricorso di divorzio su domanda congiunta: App. Bari, 19 ottobre 1999).
In giurisprudenza si è altresì affermato come, nel caso in cui le condizioni di divorzio pronunciato su
domanda congiunta prevedano l'obbligo in capo ad un coniuge di versare le rate di un mutuo garantito
dall'ipoteca iscritta su un immobile di proprietà dell'altro, sino all'estinzione del debito nei confronti della
banca, il pagamento non possa essere qualificato come assegno di divorzio, che ha per sua natura una
durata indeterminata, ma come contributo una tantum rateizzato. Pertanto, nel caso in cui il coniuge
beneficiario contragga un nuovo matrimonio, l'obbligo di versare le rate del mutuo da parte dell'altro
coniuge non viene meno (Cass., 24 maggio 2007, n. 12157).
Il versamento dell'una tantum determina la definitiva ed irreversibile tacitazione di ogni ulteriore pretesa
patrimoniale da parte del coniuge più debole; ancorché dovessero peggiorare le sue condizioni
economiche, infatti, l'avente diritto non potrà invocare un'integrazione di quanto già percepito (Cass., 5
gennaio 2001, n. 126, in Fam. e dir., 2001, 128; Cass., 27 luglio 1998, n. 7365, in Fam. e dir., 1998, 6, 567), essendo
peraltro dubbia la possibilità di invocare lo stato di bisogno ai fini dell'esperimento della domanda
alimentare (Cass., 6 aprile 1977, n. 1305; contra Cass. 27 luglio 1998, n. 7365).
Sul dibattito in ordine al rapporto tra adempimento in un'unica soluzione e indisponibilità dell'assegno
divorzile.
Le parti possono altresì prevedere che la liquidazione in un'unica soluzione dell'assegno di divorzio
avvenga mediante il trasferimento della proprietà di un immobile (Cass., 5 settembre 2003, n. 12939).
L'accordo delle parti in ordine alla corresponsione dell'assegno in un'unica soluzione deve vertere sia
sull'an della soluzione sia sul quantum della somma da corrispondere.
Al giudice spetta la valutazione sull'equità del contenuto dell'accordo, anche avuto riguardo alle
conseguenze che la corresponsione dell'assegno in un'unica soluzione determina. Occorre al riguardo
evidenziare come la giurisprudenza di merito abbia talora effettuato con rigore tali controlli (Trib. Verona,
30 giugno 2000), ancorché la dottrina sia propensa a ritenere debba essere valorizzato il ruolo
dell'autonomia privata in ordine alla determinazione del contenuto dell'accordo, soprattutto nell'ambito
del divorzio su domanda congiunta.
Talora, al contrario, nella prassi di molti tribunali, il giudice omette di pronunciarsi sulla valutazione di
equità ritenendo di non avere sufficienti elementi istruttori per effettuare tale valutazione. Pare
condivisibile la soluzione adottata da alcuni tribunali che dichiarano equa la corresponsione in un'unica
soluzione affermando che "non sono emersi elementi che possono condurre ad escluderla".
Focus

Poiché il versamento di una somma in un'unica soluzione in luogo dell'assegno periodico è


subordinato ad un accordo delle parti, non è possibile indicare un criterio esatto per la sua
determinazione. Sono infatti le parti stesse a bilanciare i rispettivi interessi, mentre la
valutazione di equità effettuata dal tribunale ha un riscontro pratico assai modesto, proprio
perché il giudice, soprattutto se la somma in un'unica soluzione viene indicata dalle parti nel
ricorso congiunto, non ha alcun elemento per conoscere la situazione in cui ciascuno dei
coniugi si trova e dunque per apprezzare l'interesse a dare o a ricevere la somma sulla quale
l'accordo è stato raggiunto. È evidente infatti che alcune circostanze incidono profondamente
sulla determinazione dell'una tantum. Così, ad esempio: il coniuge più debole che ha
intenzione dopo il divorzio di contrarre un nuovo matrimonio è disponibile ad accettare una
somma modesta; il coniuge più forte che ritiene che i propri redditi aumenteranno in futuro
come naturale sviluppo della situazione economica già presente durante il matrimonio è
disponibile ad accettare di versare una somma più elevata.

È possibile dunque solo indicare un criterio aritmetico che costituisca la base di riferimento per la
valutazione che ciascuna delle parti effettua dei propri interessi. Tale calcolo ha come punto di partenza
un dato incerto: l'assegno divorzile che verrebbe determinato dal Tribunale se le parti non raggiungessero
una intesa per una liquidazione in un'unica soluzione. L'una tantum dovrebbe garantire a colui che
percepisce la somma di godere di una rendita vitalizia pari all'assegno, per tutta la durata della sua vita
probabile. È dunque uguale alla somma di un numero di mensilità dell'assegno pari alla vita probabile del
coniuge debole al netto degli interessi prodotti dal capitale. Il criterio di base per la determinazione
dell'una tantum è dunque il medesimo seguito dalle compagnie assicurative per la determinazione del
capitale da conferire per la costituzione di una rendita vitalizia. A tale proposito è opportuno segnalare che
esistono numerosi siti internet che effettuano questo calcolo (ad esempio). Il tasso di interessi da inserire
per effettuare il conteggio è pari al tasso di mercato per titoli a lungo termine.

4. Le garanzie a tutela del creditore dell'assegno divorzile


Le garanzie poste a tutela del coniuge creditore dell'assegno sono disciplinate dall'art. 8, L. n. 898/1970, e
consistono nell'imposizione di garanzie reali o personali, nell'iscrizione dell'ipoteca, nel sequestro dei beni
dell'obbligato, nell'ordine di pagamento diretto da parte del terzo debitore del coniuge obbligato.
L'imposizione di garanzie reali o personali è retta dal presupposto della sussistenza di un pericolo di
inadempimento. La condanna a costituire la garanzia, che soggiace ad una valutazione discrezionale del
giudice, avviene in forza di sentenza; secondo l'opinione prevalente essa deve essere domandata
dall'avente diritto.
Ai sensi dell'art. 8, comma 2, L. n. 898/1970, la sentenza di divorzio costituisce titolo per l'iscrizione d'ipoteca
giudiziale ai sensi dell'art. 2818 c.c. qualora vi sia un pericolo di inadempimento dell'obbligato. Ai fini
dell'iscrizione dell'ipoteca, il creditore non deve procurarsi una preventiva autorizzazione del giudice:
un'istanza in tal senso deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse.
A tutela del debitore, d'altro canto, si riconosce a quest'ultimo la possibilità di chiedere, con ricorso al
giudice, la riduzione (Cass., 29 gennaio 1980, n. 679) ovvero anche la cancellazione, qualora manchi (anche
in via sopravvenuta) il presupposto del pericolo di inadempimento.
La determinazione della somma per cui deve essere iscritta ipoteca deve essere compiuta facendo
riferimento ad elementi obiettivi, quali le tabelle previste dal R.D. 9 ottobre 1922, n. 1403 per la costituzione
delle rendite vitalizie (Cass., 29 gennaio 1980, n. 679, cit.).
Per assicurare che siano soddisfatte o conservate le ragioni del creditore in ordine all'adempimento degli
obblighi di mantenimento - anche, nel caso, nei riguardi della prole - su richiesta dell'avente diritto
all'assegno il giudice può disporre il sequestro dei beni del coniuge obbligato. Il sequestro può essere
disposto anche laddove sussista il mero pericolo di inadempimento, e può essere disposto senza alcun
limite, salvo nel caso in cui si tratti di somme dovute da terzi per retribuzione o pensioni, perché in tal caso
può essere oggetto di sequestro solo la metà di quanto dal terzo dovuto (Trib. Arezzo, 21 giugno 2011).
Competenti a disporre il sequestro sono il Presidente del Tribunale, il giudice istruttore, a tutela
dell'assegno previsto in via provvisoria (Trib. Verona, 17 novembre 1993), e il collegio in sede di decisione.
È altresì previsto l'ordine di pagamento al debitore di somme di denaro al coniuge obbligato, su cui oltre
si dirà.
Focus

In caso di inadempimento e di ritardo di almeno trenta giorni nel versamento dell'assegno il


coniuge avente diritto può rivalersi direttamente sul terzo tenuto alla corresponsione
periodica di somme di denaro all'obbligato. In tal caso non è necessario adire l'autorità
giudiziaria, essendo consentito che, previa costituzione in mora a mezzo di raccomandata con
avviso di ricevimento del coniuge obbligato, l'avente diritto possa notificare il provvedimento
in cui è stabilita la misura dell'assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente le
somme di denaro. Per terzo si intendono il datore di lavoro, l'ente erogatore della pensione e
tutti coloro che siano periodicamente debitori di somme di denaro all'obbligato, quali il
conduttore di immobile o l'onerato di una rendita vitalizia. Nel caso in cui il terzo non
adempia, l'avente diritto può promuovere un'azione esecutiva direttamente nei suoi confronti.

L'art. 8, commi 5 e 6, L. n. 898/1970 pongono due limiti oggettivi alla distrazione delle somme di denaro,
ovvero:

1)qualora il creditore del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato
al momento della notificazione, all'assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta
la corresponsione periodica dell'assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti
nell'esecuzione, provvede il giudice dell'esecuzione;
2)lo Stato e gli altri enti indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il
pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia
stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente
al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la metà
delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti
accessori.

La richiamata norma, dunque, pone dei limiti alla distrazione in relazione alla tipologia del reddito
periodico che il titolare intenda aggredire: ove si tratti di entrate che trovano la propria fonte in rapporti
di lavoro, ivi comprese le pensioni, la distrazione non potrà avere ad oggetto oltre la metà delle somme
dovute al coniuge obbligato, comprensiva degli assegni e di ogni altro elemento accessorio. Restano
pertanto escluse dalla previsione somme periodiche diverse dai proventi pensionistici o di lavoro, quali
canoni di locazione, rendite vitalizie, rispetto alle quali la distrazione potrà essere totale.
Più nel dettaglio, la disposizione in esame procede nell'elencazione individuando i destinatari dell'invito
alla distrazione per i quali il limite opera: ci si riferisce allo Stato, agli enti indicati dall'art. 1, D.P.R. 5 gennaio
1950, n. 180, quindi le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza e qualsiasi
altro ente o istituto pubblico soggetto a tutela, o anche a semplice vigilanza, dell'amministrazione pubblica
(ivi comprese le aziende autonome per i servizi municipalizzati) e le imprese concessionarie di un servizio
pubblico di comunicazioni o di trasporti, nonché agli altri enti datori di lavoro. Si ritiene tuttavia che il
riferimento debba andare a tutti i datori di lavoro privati, fermo restando che a seguito delle modifiche
apportate con la L. n. 311 del 2004 e con il D.L. n. 35 del 2005, nell'art. 1, D.P.R. n. 180 del 1950 sono ora
espressamente menzionate anche le aziende private, non si vede ragione per la quale dovrebbero
escludersi dall'ambito di applicazione del comma 6 i datori di lavoro persone fisiche.

5. La modifica dell'assegno di divorzio


Le statuizioni in ordine all'assegno di divorzio sono soggette a revisione (essendo adottate rebus sic
stantibus) al sopravvenire di giustificati motivi, e dunque del mutamento delle circostanze di fatto che
hanno condotto all'adozione della sentenza stessa (ex multis Cass. 24 gennaio 2008, n. 1595), ai sensi
dell'art. 9, L. n. 898/1970.
"La disposizione dell'art. 9, L. n. 898/1970 consente la revisione delle condizioni del divorzio relative, tra
l'altro, ai rapporti economici, per sopravvenienze di giustificati motivi. Il relativo provvedimento pertanto
postula non solo l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex
coniugi, ma anche l'idoneità di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il
precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni
economiche di entrambe le parti. L'apprezzamento della rilevanza dei fatti sopravvenuti va infatti compiuto
con riguardo alla natura e alla funzione dell'assegno divorzile, rivolto ad assicurare in ogni tempo, la
disponibilità di quanto necessario al godimento di un tenore di vita adeguato alla pregressa posizione
economico sociale dell'ex coniuge" (Cass., 24 gennaio 2008, n. 1595).
La giurisprudenza ha dato rilievo, ad esempio, ai seguenti fatti nuovi:

1)la convivenza more uxorio instaurata dal coniuge beneficiario, salvo che tale convivenza abbia
determinato un mutamento in melius delle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un
contributo al suo mantenimento da parte del coniuge o quanto meno determini un risparmio di spesa in
capo all'avente diritto (Cass., 8 ottobre 2008, n. 24858; Cass., 7 luglio 2008, n. 18593; Cass., 8 luglio 2004, n.
12557, in Fam. Pers. Succ., 2006, 703; App. Roma, 11 settembre 1995; Trib. Napoli, 26 gennaio 1979; ma
contra Cass., 30 ottobre 1996, n. 9505; Cass., 20 novembre 1985, n. 5717);
2)la limitazione da parte del coniuge obbligato della propria attività lavorativa (Cass., 11 marzo
2006, n. 5378, in Fam. pers. succ., 2006, 791; Cass., 4 aprile 2002, n. 4800, in Giur. it., 2003, 686);
3)la diminuzione del reddito del coniuge avente diritto dovuta alla decisione di andare in
pensione (Cass., 3 agosto 2007, n. 17041, in Fam. e dir., 2008, 6, 577; Cass., 15 aprile 2011, n. 8754);
4)l'aumento del reddito del coniuge più forte, a condizione che si tratti di un incremento
connesso ad aspettative già maturate durante il matrimonio (Cass., 28 gennaio 2000, n. 958, in Fam. e
dir., 2000, 586);
5)la formazione di una nuova famiglia da parte del coniuge obbligato, specialmente a seguito
della nascita di un figlio (Cass., 24 gennaio 2008, n. 1595; Cass., 30 novembre 2007, n. 25010 e con
specifico riguardo alla convivenza Cass., 11 aprile 2011, n. 8227).

È invece considerata irrilevante l'eredità ricevuta dal coniuge obbligato (Cass., 30 maggio 2007, n. 12687, in
Fam. pers. succ., 2007, 1000), nonché la maggior incidenza delle spese straordinarie sostenute per i figli
(Trib. Trani, 19 luglio 2007).
Estinzione L'obbligo di corresponsione dell'assegno si estingue nei casi seguenti:

‒ morte di uno dei coniugi (Cass., 25 giugno 2003, n. 10065, la quale ha precisato come la morte di
uno dei coniugi intervenuta nel corso del giudizio di divorzio determini la cessazione della materia del
contendere anche in ordine agli aspetti patrimoniali);
‒ celebrazione di un nuovo matrimonio da parte del coniuge avente diritto (art. 5, comma 10, L. n.
898/1970). Infatti, ai sensi dell'art. 5, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 del "L'obbligo di
corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze".
Trattasi di decadenza dal diritto a ricevere l'assegno divorzile, e in quanto tale opera automaticamente
(tenuto conto non solo del tenore letterale della norma ma anche della funzione assistenziale
dell'assegno divorzile, che cessa di essere tale nel momento in cui, contraendo il beneficiario nuovo
matrimonio, i doveri di solidarietà morale ed economica si trasferiscono in capo al nuovo coniuge). A
differenza delle fattispecie di riconoscimento dell'assegno divorzile, e delle fattispecie di accertamento
dell'insussistenza del diritto all'assegno, in cui il momento iniziale di decorrenza (rispettivamente
dell'obbligo o dell'eventuale revoca) viene individuato nella data di passaggio in giudicato della
sentenza che ha risolto il vincolo coniugale salvo il temperamento previsto dall'art. 4, comma 13, L. n.
898/1970, (cfr. da ultimo Cass., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263 e Cass., sez. IV, 15 dicembre 2017, n.
30257), ed a differenza dell'ipotesi di revoca dell'assegno divorzile a seguito di nuova convivenza del
beneficiario, nella quale sono necessari un accertamento ed una valutazione discrezionale dei relativi
presupposti (cfr. Cass., sez. I, 3 aprile 2015, n. 6855, in motivazione), la revoca dell'obbligo di
corrispondere l'assegno divorzile a seguito delle nuove nozze contratte dal beneficiario, proprio perché
non necessita di alcun vaglio del giudice ma opera automaticamente, non può che decorrere da tale
data (Trib. La Spezia, 20 giugno 2018);
‒ mutamento delle condizioni patrimoniali dell'obbligato, solo se tali da condurre alla
dichiarazione di estinzione nell'apposito giudizio di revisione ai sensi dell'art. 9, L. n. 898/1970.

Il fallimento del coniuge obbligato non determina invece necessariamente l'estinzione dell'assegno,
costituendo tuttavia circostanza sulla quale fondare, da parte del curatore fallimentare, una istanza di
revisione ai sensi dell'art. 9, L. n. 898/1970.
Giurisprudenza

La presenza di sperequazione economica fra ex coniugi non determina automaticamente la


determinazione di un assegno divorzile in favore del coniuge più debole. Infatti, qualora
venisse dimostrato che il coniuge più debole avesse intrapreso una nuova relazione more
uxorio, iniziando una convivenza ed acquistando un nuovo immobile contraendo un mutuo
cointestato con la nuova compagna, l'obbligo di corrispondergli l'assegno divorzile cadrebbe
(Cass., sez. VI Civile - 1, ord., 16 novembre 2015, n. 23411).

Ove la convivenza more uxorio si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e
regolarità, dando luogo ad una vera e propria "famiglia di fatto", si rescinde ogni connessione
con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza tra i coniugi,
e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno di separazione o di divorzio
(Cass. civ., sez. VI-1, ord., 9 settembre 2015, n. 17856).

In materia di revisione dell'assegno divorzile, il giudice non può procedere ad una nuova ed
autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa
ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni
espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in
che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto ed ad
adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale.
(Nelle specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva respinto la domanda di
modifica delle condizioni di divorzio, assumendo che il marito non poteva eludere il suo
obbligo di mantenimento della moglie creando una esposizione debitoria dovuta ad un
acquisto immobiliare, e che l'accertamento, a carico del primo, di un'evasione fiscale rendeva
incerto l'ammontare dei suoi redditi attuali, comunque evidentemente superiori a quanto
dichiarato) (Cass., 20 giugno 2014, n. 14143).

La corresponsione dell'assegno divorzile che avvenga, su accordo delle parti, in un'unica soluzione ed
anche in previsione delle esigenze di mantenimento di un minore, non pregiudica la possibilità di
richiedere, ex art. 9, L. n. 898/1970, la modifica delle condizioni economiche del divorzio qualora esse, per
fatti intervenuti successivamente alla relativa sentenza, si rivelino inidonee a soddisfare le esigenze
predette, avendo il minore un interesse, distinto e preminente rispetto a quello dei genitori, a vedersi
assicurato sino al raggiungimento dell'indipendenza economica un contributo al mantenimento idoneo al
soddisfacimento delle proprie esigenze di vita (Cass. civ., sez. VI, ord., 13 giugno 2014, n. 13424).
Ove, a sostegno della richiesta di diminuzione dell'assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri
familiari dell'obbligato, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue
sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la
complessiva situazione patrimoniale dell'obbligato sia di tale consistenza da rendere irrilevanti i nuovi
oneri. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva correttamente valutato il nuovo
matrimonio dell'obbligato e la nascita di un altro figlio come circostanze giustificative della modifica
dell'entità dell'assegno divorzile, in correlazione all'onere, sullo stesso gravante in via esclusiva, di
provvedere al mantenimento del figlio nato dal primo matrimonio (Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n. 6289).
Bibliografia

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● Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2006;
● Cassano, Separazione, divorzio, invalidità del matrimonio, Padova, 2009;
● Chiarito - De Filippis - De la ville sur Illon - Lettieri - Manzo - Mencarini - Rauty - Saddi, La
solidarietà post coniugale, Padova, 2012;
● Coppola, Lo scioglimento del matrimonio, in Il diritto di famiglia ipertestuale, Torino, 2002;
● De Filippis, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Padova, 2012;
● Oberto, Gli aspetti di separazione e divorzio nella famiglia, Padova, 2012;
● Queirolo, Comunità europea e diritto di famiglia: i primi interventi "diretti" in tema di separazione
e divorzio, I, in Familia, 2002;
● Rossi Carleo, La separazione e il divorzio, in Tratt. Bessone, I, Torino, 1999;
● Tommaseo, Separazione e divorzio: quale riforma?, in FD, 2003.

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