Schema riepilogativo
Onere probatorio L'onere probatorio dei Tuttavia, entrambi i coniugi Nello specifico le ultime tre
presupposti della domanda devono presentare in dichiarazioni dei redditi.
dell'assegno incombe sul giudizio documentazione
coniuge richiedente. relativa ai loro redditi e al
loro patrimonio.
I patti in vista del divorzio L'assegno di divorzio non Sono nulli i patti in vista del Solo il coniuge che ha
può essere oggetto di divorzio. rinunciato all'assegno
rinuncia mediante divorzile può rilevare in
stipulazione di patti giudizio questa nullità.
antecedenti all'inizio del
procedimento.
1. Nozione
L'assegno di divorzio è stabilito dal giudice su domanda di parte, essendo pacifico in una giurisprudenza
che esso non possa essere disposto d'ufficio dal giudice (Cass., 26 giugno 1991, n. 7203; Cass., 3 ottobre 2000,
n. 13068; Cass., 5 luglio 2001, n. 9058).
La domanda può essere proposta in autonomo giudizio anche dal coniuge che sia rimasto contumace nel
giudizio di divorzio successivamente o che, costituitosi, non abbia avanzato apposita istanza (Cass., 15
gennaio 2000, n. 412, in Giur. it., 2000, I, 1, 1820) - ma non per la prima volta in appello - purché si dia
dimostrazione della insorgenza di fatti nuovi tali da giustificare la domanda ai sensi dell'art. 9, L. 1 dicembre
1970, n. 898.
L'onere probatorio in relazione alla sussistenza dei presupposti della domanda relativa all'assegno
incombe sul coniuge richiedente (Cass., 15 giugno 2005, n. 12838, in Fam. e dir., 2005, 664; Cass., 10 giugno
2005, n. 12283; Cass., 16 giugno 2000, n. 8225; Cass., 28 luglio 1999, n. 8183; Cass., 1 dicembre 1993, n. 11860;
App. Genova, 4 maggio 2007).
Focus
Tale generale principio trova tuttavia una rilevante deroga nel principio di acquisizione,
disposto dall'art. 5, comma 9, L. 1 dicembre 1970, n. 898, in virtù del quale entrambi i coniugi
devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale ogni
documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune,
documentazione sulla base della quale il giudice potrà formare il proprio convincimento. In
attuazione di tale principio le parti sono generalmente chiamate a depositare le ultime tre
dichiarazioni dei redditi presentate. Salvo l'onere del richiedente l'assegno di fornire la
dimostrazione della fascia economico sociale di appartenenza della coppia all'epoca della
convivenza e del relativo tenore di vita adottato in costanza di matrimonio, il giudice può
tener conto della situazione reddituale e patrimoniale della famiglia al momento della
cessazione della convivenza quale elemento induttivo da cui desumere in via presuntiva il
tenore di vita anzidetto (Cass., 31 maggio 2007, n. 12763; Cass., 22 agosto 2006, n. 18239; Cass.,
21 agosto 1997, n. 7799).
Qualora si contesti la veridicità della documentazione prodotta dall'altro coniuge, il Tribunale può disporre,
anche d'ufficio, indagini avvalendosi della polizia tributaria (Cass., 8 novembre 1996, n. 9756, in Fam. e dir.,
1997, 15).
Occorre osservare come l'assegno di divorzio non possa essere oggetto di rinuncia mediante la stipulazione
di patti antecedenti all'inizio del procedimento, contenuti, ad esempio, nell'accordo di separazione
consensuale (Cass., 28 gennaio 2008, n. 1758). Tali statuizioni sono ritenuti inefficaci, in quanto affette da
nullità (Cass., 7 luglio 1995, n. 9416), ancorché esse possano comunque costituire un elemento per la
formazione del convincimento del giudice al momento del divorzio.
Sono dunque nulli tutti i patti in vista del divorzio (Cass., 12 febbraio 2003, n. 2078; Cass., 18 febbraio 2000,
n. 1810; Cass., 11 giugno 1997, n. 5244).
Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la nullità degli accordi in vista del divorzio non
può essere invocata dal coniuge che si è impegnato ad eseguire determinate prestazioni, ma solo dal
coniuge che abbia rinunciato all'assegno divorzile (Cass., 1 dicembre 2000, n. 15349; Cass., 14 giugno 2000,
n. 8109).
Giurisprudenza
È valido l'impegno negoziale assunto dai nubendi in caso di fallimento del matrimonio (nella
specie trasferimento di un immobile di proprietà della moglie al marito, quale indennizzo
delle spese, da questo sostenute, per ristrutturare altro immobile destinato ad abitazione
familiare di proprietà della moglie medesima), in quanto contratto atipico con condizione
sospensiva lecita, espressione dell'autonomia negoziale dei coniugi diretto a realizzare
interessi meritevoli di tutela, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., essendo, infatti, il fallimento
del matrimonio non causa genetica dell'accordo, ma mero evento condizionale (Cass. civ., sez.
I, 21 dicembre 2012, n. 23713).
Non contrastano con l'ordine pubblico ex art. 64, lett. g), L. 31 maggio 1995, n. 218 statuizioni di una sentenza
straniera di divorzio relative a patti prematrimoniali, poiché - in base all'art. 30, L. 31 maggio 1995, n. 218 -
anche due coniugi italiani residenti all'estero possono scegliere un ordinamento estero al fine di regolare
i loro rapporti patrimoniali (Cass. civ., sez. I, 28 maggio 2004, n. 10378).
L'assegno divorzile, essendo un effetto del mutamento di status, decorre generalmente dal momento in cui
ha effetto lo scioglimento del matrimonio (Cass., 13 maggio 2011, n. 10648).
A norma dell'art. 4, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 il Tribunale, qualora si sia pronunciato con sentenza
non definitiva sullo status, emettendo la successiva sentenza definitiva può prevedere che l'obbligo di
corresponsione dell'assegno sorga a far data dalla domanda, ovvero dal deposito del ricorso o della
comparsa di risposta. Nell'interpretazione giurisprudenziale tale previsione è letta estensivamente, nel
senso che si ritiene che il giudice possa disporre - peraltro ex officio - che l'assegno decorra a far data dalla
domanda anche qualora la decisione sull'assegno sia contestuale a quella sullo status (Cass., 24 gennaio
2011, n. 1613; Cass., 30 novembre 2007, n. 25010; Cass., 5 novembre 1992, n. 11978; Cass., 11 ottobre 1994, n.
8278).
Tale assunto non costituisce una deroga al principio secondo il quale l'assegno di divorzio, trovando la
propria fonte nel nuovo status delle parti, decorre dal passaggio in giudicato della relativa statuizione,
bensì un temperamento a tale principio (Cass., 11 ottobre 1994, n. 8288).
La giurisprudenza ha invece escluso che il decorso sia fissato in una data intermedia tra quella della
domanda e quella della sentenza (Cass., 16 dicembre 2004, n. 23396; Cass., 21 marzo 2002, n. 4038; Cass., 15
giugno 1995, n. 6737). È possibile far decorrere l'assegno di divorzio da un momento successivo al passaggio
in giudicato del capo della sentenza relativa allo status (Cass., 6 marzo 2003, n. 3351).
Qualora nulla venga statuito sul punto, ci si interroga se l'assegno decorre a far data dal passaggio in
giudicato della sentenza di divorzio, ovvero da quella, successiva, della sua annotazione, formalità alla
quale l'art. 4, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 riconduce la produzione di effetti civili della sentenza di
divorzio. Tale interrogativo deve essere risolto alla luce del principio, già ricordato, avallato peraltro dalla
giurisprudenza più recente (Cass., 9 giugno 1992, n. 7089), secondo il quale gli effetti del divorzio tra le parti
si producono a far data dal passaggio in giudicato della sentenza, e non da quella della sua annotazione,
che ha solo la funzione di renderne opponibili gli effetti ai terzi.
Per quanto concerne il problema della ripetibilità delle somme corrisposte a titolo di assegno di divorzio
nel caso in cui venga meno il diritto all'assegno o ne venga ridotto l'ammontare, la giurisprudenza ha
affermato che le somme corrisposte al coniuge più debole non possano essere ripetute se la loro
erogazione trova esclusivo fondamento in una sentenza errata (Cass., 28 febbraio 2008, n. 4527; Cass., 9
settembre 2002, n. 13060, anche se con specifico riferimento ad un assegno di non elevata entità, idoneo a
soddisfare esigenze di carattere eminentemente alimentare. Contra Cass., 28 maggio 2004, n. 10291).
Focus
Il diritto all'assegno si prescrive nel termine decennale, che decorre non già da un unico termine costituito
dalla sentenza che ho pronunciato sul diritto stesso, ma dalle scadenze delle singole prestazioni imposte
dalla pronuncia giudiziale (Cass., 4 aprile 2005, n. 6975; Cass., 5 dicembre 1998, n. 12333).
Alla luce della complessiva valutazione di tutti gli indici indicati dalla Suprema Corte nella
sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504, l'assegno divorzile deve comunque essere riconosciuto
nelle ipotesi in cui la moglie, all'esito delle risultanze del giudizio, non possa ritenersi
economicamente indipendente. (Nel caso di specie il Tribunale riteneva insussistente
l'indipendenza economica della moglie in ragione della mancanza di un reddito da lavoro
certo e stabile su cui fare affidamento e della ragionevole impossibilità oggettiva, data l'età,
di poterselo procurare). Trib. Milano Sez. IX, 3 ottobre 2017
Il giudice richiesto della revisione dell'assegno divorzile che incida sulla stessa spettanza
del relativo diritto (precedentemente riconosciuto), in ragione della sopravvenienza di
giustificati motivi dopo la sentenza che abbia pronunciato lo scioglimento o la cessazione
degli effetti civili del matrimonio, deve verificare se tali motivi giustifichino, o meno, la
negazione del diritto all'assegno a causa della sopraggiunta "indipendenza o autosufficienza
economica" dell'ex coniuge beneficiario, desunta dai seguenti "indici": possesso di redditi di
qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli
oneri "lato sensu" imposti e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge
richiedente), capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute,
all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), stabile disponibilità di una
casa di abitazione, nonché eventualmente altri - rilevanti nelle singole fattispecie - senza,
invece, tener conto del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; il tutto sulla base
delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dall'ex coniuge obbligato, sul quale
incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova
contraria dell'ex coniuge beneficiario. Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15481 (rv. 644763-01)
3. Una tantum
Ai sensi dell'art. 5, L. n. 898/1970 è altresì possibile liquidare l'assegno divorzile in un'unica soluzione (c.d.
una tantum); tale modalità di adempimento soggiace al duplice presupposto dell'accordo delle parti e del
giudizio del tribunale in ordine alla equità della soluzione concordata (e ciò anche laddove sia contenuta
in un ricorso di divorzio su domanda congiunta: App. Bari, 19 ottobre 1999).
In giurisprudenza si è altresì affermato come, nel caso in cui le condizioni di divorzio pronunciato su
domanda congiunta prevedano l'obbligo in capo ad un coniuge di versare le rate di un mutuo garantito
dall'ipoteca iscritta su un immobile di proprietà dell'altro, sino all'estinzione del debito nei confronti della
banca, il pagamento non possa essere qualificato come assegno di divorzio, che ha per sua natura una
durata indeterminata, ma come contributo una tantum rateizzato. Pertanto, nel caso in cui il coniuge
beneficiario contragga un nuovo matrimonio, l'obbligo di versare le rate del mutuo da parte dell'altro
coniuge non viene meno (Cass., 24 maggio 2007, n. 12157).
Il versamento dell'una tantum determina la definitiva ed irreversibile tacitazione di ogni ulteriore pretesa
patrimoniale da parte del coniuge più debole; ancorché dovessero peggiorare le sue condizioni
economiche, infatti, l'avente diritto non potrà invocare un'integrazione di quanto già percepito (Cass., 5
gennaio 2001, n. 126, in Fam. e dir., 2001, 128; Cass., 27 luglio 1998, n. 7365, in Fam. e dir., 1998, 6, 567), essendo
peraltro dubbia la possibilità di invocare lo stato di bisogno ai fini dell'esperimento della domanda
alimentare (Cass., 6 aprile 1977, n. 1305; contra Cass. 27 luglio 1998, n. 7365).
Sul dibattito in ordine al rapporto tra adempimento in un'unica soluzione e indisponibilità dell'assegno
divorzile.
Le parti possono altresì prevedere che la liquidazione in un'unica soluzione dell'assegno di divorzio
avvenga mediante il trasferimento della proprietà di un immobile (Cass., 5 settembre 2003, n. 12939).
L'accordo delle parti in ordine alla corresponsione dell'assegno in un'unica soluzione deve vertere sia
sull'an della soluzione sia sul quantum della somma da corrispondere.
Al giudice spetta la valutazione sull'equità del contenuto dell'accordo, anche avuto riguardo alle
conseguenze che la corresponsione dell'assegno in un'unica soluzione determina. Occorre al riguardo
evidenziare come la giurisprudenza di merito abbia talora effettuato con rigore tali controlli (Trib. Verona,
30 giugno 2000), ancorché la dottrina sia propensa a ritenere debba essere valorizzato il ruolo
dell'autonomia privata in ordine alla determinazione del contenuto dell'accordo, soprattutto nell'ambito
del divorzio su domanda congiunta.
Talora, al contrario, nella prassi di molti tribunali, il giudice omette di pronunciarsi sulla valutazione di
equità ritenendo di non avere sufficienti elementi istruttori per effettuare tale valutazione. Pare
condivisibile la soluzione adottata da alcuni tribunali che dichiarano equa la corresponsione in un'unica
soluzione affermando che "non sono emersi elementi che possono condurre ad escluderla".
Focus
È possibile dunque solo indicare un criterio aritmetico che costituisca la base di riferimento per la
valutazione che ciascuna delle parti effettua dei propri interessi. Tale calcolo ha come punto di partenza
un dato incerto: l'assegno divorzile che verrebbe determinato dal Tribunale se le parti non raggiungessero
una intesa per una liquidazione in un'unica soluzione. L'una tantum dovrebbe garantire a colui che
percepisce la somma di godere di una rendita vitalizia pari all'assegno, per tutta la durata della sua vita
probabile. È dunque uguale alla somma di un numero di mensilità dell'assegno pari alla vita probabile del
coniuge debole al netto degli interessi prodotti dal capitale. Il criterio di base per la determinazione
dell'una tantum è dunque il medesimo seguito dalle compagnie assicurative per la determinazione del
capitale da conferire per la costituzione di una rendita vitalizia. A tale proposito è opportuno segnalare che
esistono numerosi siti internet che effettuano questo calcolo (ad esempio). Il tasso di interessi da inserire
per effettuare il conteggio è pari al tasso di mercato per titoli a lungo termine.
L'art. 8, commi 5 e 6, L. n. 898/1970 pongono due limiti oggettivi alla distrazione delle somme di denaro,
ovvero:
1)qualora il creditore del coniuge obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato
al momento della notificazione, all'assegnazione e alla ripartizione delle somme fra il coniuge cui spetta
la corresponsione periodica dell'assegno, il creditore procedente e i creditori intervenuti
nell'esecuzione, provvede il giudice dell'esecuzione;
2)lo Stato e gli altri enti indicati nell'art. 1 del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il
pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, approvato con D.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, nonché gli altri enti datori di lavoro cui sia
stato notificato il provvedimento in cui è stabilita la misura dell'assegno e l'invito a pagare direttamente
al coniuge cui spetta la corresponsione periodica, non possono versare a quest'ultimo oltre la metà
delle somme dovute al coniuge obbligato, comprensive anche degli assegni e degli emolumenti
accessori.
La richiamata norma, dunque, pone dei limiti alla distrazione in relazione alla tipologia del reddito
periodico che il titolare intenda aggredire: ove si tratti di entrate che trovano la propria fonte in rapporti
di lavoro, ivi comprese le pensioni, la distrazione non potrà avere ad oggetto oltre la metà delle somme
dovute al coniuge obbligato, comprensiva degli assegni e di ogni altro elemento accessorio. Restano
pertanto escluse dalla previsione somme periodiche diverse dai proventi pensionistici o di lavoro, quali
canoni di locazione, rendite vitalizie, rispetto alle quali la distrazione potrà essere totale.
Più nel dettaglio, la disposizione in esame procede nell'elencazione individuando i destinatari dell'invito
alla distrazione per i quali il limite opera: ci si riferisce allo Stato, agli enti indicati dall'art. 1, D.P.R. 5 gennaio
1950, n. 180, quindi le province, i comuni, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza e qualsiasi
altro ente o istituto pubblico soggetto a tutela, o anche a semplice vigilanza, dell'amministrazione pubblica
(ivi comprese le aziende autonome per i servizi municipalizzati) e le imprese concessionarie di un servizio
pubblico di comunicazioni o di trasporti, nonché agli altri enti datori di lavoro. Si ritiene tuttavia che il
riferimento debba andare a tutti i datori di lavoro privati, fermo restando che a seguito delle modifiche
apportate con la L. n. 311 del 2004 e con il D.L. n. 35 del 2005, nell'art. 1, D.P.R. n. 180 del 1950 sono ora
espressamente menzionate anche le aziende private, non si vede ragione per la quale dovrebbero
escludersi dall'ambito di applicazione del comma 6 i datori di lavoro persone fisiche.
1)la convivenza more uxorio instaurata dal coniuge beneficiario, salvo che tale convivenza abbia
determinato un mutamento in melius delle condizioni economiche dell'avente diritto, a seguito di un
contributo al suo mantenimento da parte del coniuge o quanto meno determini un risparmio di spesa in
capo all'avente diritto (Cass., 8 ottobre 2008, n. 24858; Cass., 7 luglio 2008, n. 18593; Cass., 8 luglio 2004, n.
12557, in Fam. Pers. Succ., 2006, 703; App. Roma, 11 settembre 1995; Trib. Napoli, 26 gennaio 1979; ma
contra Cass., 30 ottobre 1996, n. 9505; Cass., 20 novembre 1985, n. 5717);
2)la limitazione da parte del coniuge obbligato della propria attività lavorativa (Cass., 11 marzo
2006, n. 5378, in Fam. pers. succ., 2006, 791; Cass., 4 aprile 2002, n. 4800, in Giur. it., 2003, 686);
3)la diminuzione del reddito del coniuge avente diritto dovuta alla decisione di andare in
pensione (Cass., 3 agosto 2007, n. 17041, in Fam. e dir., 2008, 6, 577; Cass., 15 aprile 2011, n. 8754);
4)l'aumento del reddito del coniuge più forte, a condizione che si tratti di un incremento
connesso ad aspettative già maturate durante il matrimonio (Cass., 28 gennaio 2000, n. 958, in Fam. e
dir., 2000, 586);
5)la formazione di una nuova famiglia da parte del coniuge obbligato, specialmente a seguito
della nascita di un figlio (Cass., 24 gennaio 2008, n. 1595; Cass., 30 novembre 2007, n. 25010 e con
specifico riguardo alla convivenza Cass., 11 aprile 2011, n. 8227).
È invece considerata irrilevante l'eredità ricevuta dal coniuge obbligato (Cass., 30 maggio 2007, n. 12687, in
Fam. pers. succ., 2007, 1000), nonché la maggior incidenza delle spese straordinarie sostenute per i figli
(Trib. Trani, 19 luglio 2007).
Estinzione L'obbligo di corresponsione dell'assegno si estingue nei casi seguenti:
‒ morte di uno dei coniugi (Cass., 25 giugno 2003, n. 10065, la quale ha precisato come la morte di
uno dei coniugi intervenuta nel corso del giudizio di divorzio determini la cessazione della materia del
contendere anche in ordine agli aspetti patrimoniali);
‒ celebrazione di un nuovo matrimonio da parte del coniuge avente diritto (art. 5, comma 10, L. n.
898/1970). Infatti, ai sensi dell'art. 5, comma 10, L. 1 dicembre 1970, n. 898 del "L'obbligo di
corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze".
Trattasi di decadenza dal diritto a ricevere l'assegno divorzile, e in quanto tale opera automaticamente
(tenuto conto non solo del tenore letterale della norma ma anche della funzione assistenziale
dell'assegno divorzile, che cessa di essere tale nel momento in cui, contraendo il beneficiario nuovo
matrimonio, i doveri di solidarietà morale ed economica si trasferiscono in capo al nuovo coniuge). A
differenza delle fattispecie di riconoscimento dell'assegno divorzile, e delle fattispecie di accertamento
dell'insussistenza del diritto all'assegno, in cui il momento iniziale di decorrenza (rispettivamente
dell'obbligo o dell'eventuale revoca) viene individuato nella data di passaggio in giudicato della
sentenza che ha risolto il vincolo coniugale salvo il temperamento previsto dall'art. 4, comma 13, L. n.
898/1970, (cfr. da ultimo Cass., sez. VI, 15 novembre 2016, n. 23263 e Cass., sez. IV, 15 dicembre 2017, n.
30257), ed a differenza dell'ipotesi di revoca dell'assegno divorzile a seguito di nuova convivenza del
beneficiario, nella quale sono necessari un accertamento ed una valutazione discrezionale dei relativi
presupposti (cfr. Cass., sez. I, 3 aprile 2015, n. 6855, in motivazione), la revoca dell'obbligo di
corrispondere l'assegno divorzile a seguito delle nuove nozze contratte dal beneficiario, proprio perché
non necessita di alcun vaglio del giudice ma opera automaticamente, non può che decorrere da tale
data (Trib. La Spezia, 20 giugno 2018);
‒ mutamento delle condizioni patrimoniali dell'obbligato, solo se tali da condurre alla
dichiarazione di estinzione nell'apposito giudizio di revisione ai sensi dell'art. 9, L. n. 898/1970.
Il fallimento del coniuge obbligato non determina invece necessariamente l'estinzione dell'assegno,
costituendo tuttavia circostanza sulla quale fondare, da parte del curatore fallimentare, una istanza di
revisione ai sensi dell'art. 9, L. n. 898/1970.
Giurisprudenza
Ove la convivenza more uxorio si caratterizzi per i connotati della stabilità, continuità e
regolarità, dando luogo ad una vera e propria "famiglia di fatto", si rescinde ogni connessione
con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza tra i coniugi,
e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno di separazione o di divorzio
(Cass. civ., sez. VI-1, ord., 9 settembre 2015, n. 17856).
In materia di revisione dell'assegno divorzile, il giudice non può procedere ad una nuova ed
autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa
ponderazione delle condizioni economiche delle parti, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni
espresse al momento dell'attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in
che misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto ed ad
adeguare l'importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale.
(Nelle specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva respinto la domanda di
modifica delle condizioni di divorzio, assumendo che il marito non poteva eludere il suo
obbligo di mantenimento della moglie creando una esposizione debitoria dovuta ad un
acquisto immobiliare, e che l'accertamento, a carico del primo, di un'evasione fiscale rendeva
incerto l'ammontare dei suoi redditi attuali, comunque evidentemente superiori a quanto
dichiarato) (Cass., 20 giugno 2014, n. 14143).
La corresponsione dell'assegno divorzile che avvenga, su accordo delle parti, in un'unica soluzione ed
anche in previsione delle esigenze di mantenimento di un minore, non pregiudica la possibilità di
richiedere, ex art. 9, L. n. 898/1970, la modifica delle condizioni economiche del divorzio qualora esse, per
fatti intervenuti successivamente alla relativa sentenza, si rivelino inidonee a soddisfare le esigenze
predette, avendo il minore un interesse, distinto e preminente rispetto a quello dei genitori, a vedersi
assicurato sino al raggiungimento dell'indipendenza economica un contributo al mantenimento idoneo al
soddisfacimento delle proprie esigenze di vita (Cass. civ., sez. VI, ord., 13 giugno 2014, n. 13424).
Ove, a sostegno della richiesta di diminuzione dell'assegno di divorzio, siano allegati sopravvenuti oneri
familiari dell'obbligato, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento delle sue
sostanze in vista di una rinnovata valutazione comparativa della situazione delle parti, salvo che la
complessiva situazione patrimoniale dell'obbligato sia di tale consistenza da rendere irrilevanti i nuovi
oneri. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva correttamente valutato il nuovo
matrimonio dell'obbligato e la nascita di un altro figlio come circostanze giustificative della modifica
dell'entità dell'assegno divorzile, in correlazione all'onere, sullo stesso gravante in via esclusiva, di
provvedere al mantenimento del figlio nato dal primo matrimonio (Cass. civ., sez. I, 19 marzo 2014, n. 6289).
Bibliografia