Premessa: la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
dell’edificio è derogabile dal regolamento condominiale di natura contrattuale, ovvero dalle deliberazioni
dell’assemblea, quando approvate da tutti i condomini. In assenza di deroga, le spese sono sostenute da tutti i condomini
in misura proporzionale al valore della proprietà di ognuno.
Quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all’uso
che ciascuno può farne. Infatti se un condominio ha più scale, lastrici solari, cortili, ovvero opere o impianti destinati a
servire una parte soltanto del fabbricato, (c.d. condominio parziale) le spese relative alla loro manutenzione sono a
carico soltanto del gruppo di condomini che ne trae utilità.
L’adozione di un criterio di ripartizione difforme da quello di cui l’art. 1123 c.c. (fatta eccezione il caso di regolamento
di condominio contrattuale) è possibile solamente se la deliberazione è presa con il consenso di tutti i condomini e, in
caso contrario, la deliberazione deve essere considerata nulla e, come tale, impugnabile da chiunque vi abbia interesse.
La regola, quindi, è quella della ripartizione delle spese condominiali secondo i criteri di proporzionalità di cui all’art.
1123 c.c..
Il lastrico solare come parte comune del condominio, e quindi in comunione pro indiviso, in quanto destinato a
soddisfare esigenze di carattere generale e fondamentale del condominio (in assenza di volontà contraria delle parti
contraenti).
Quindi, il lastrico solare (o la terrazza di copertura) sarà oggetto di proprietà comune se il contrario non risulti dal titolo,
per tale intendendosi gli atti di acquisto delle altre unità immobiliari nonché il regolamento di condominio accettato dai
singoli condomini.
Concludendo, i beni e i servizi elencati nell’art. 1117 c.c. sono, in virtù della relazione di accessorietà o di collegamento
strumentale con le singole unità immobiliari, sono attribuiti ex lege in proprietà comune, per effetto dell’acquisto della
proprietà dei piani o porzioni di piano.
La natura condominiale del lastrico solare ex art. 1117 può essere esclusa dunque soltanto da uno specifico titolo in
forma scritta, essendo irrilevante che il singolo condomino non abbia accesso diretto al lastrico, se questo riveste, anche
a beneficio dell’unità immobiliare di quel condomino, la naturale funzione di copertura del fabbricato comune.
Il lastrico solare, o terrazzo o anche terrazzo di copertura o terrazzo a livello, in quanto superficie scoperta posta al
sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e
funzionalmente, è qualificabile come parte comune quando presenta connotati comportanti la materiale destinazione del
bene al servizio e godimento di più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a diversi proprietari. Esso,
anche quando è proprietà esclusiva, assolve comunque la funzione di copertura dell’intero fabbricato, sicché alla cui
manutenzione debbono concorrere tutti i comproprietari, secondo i criteri stabiliti dall’art. 1126 c.c..
Va esclusa la presunzione di comunione di un lastrico solare che, nel contesto di un edificio costituito da più unità
immobiliari autonome, disposte a schiera, assolva unicamente la funzione di copertura di una sola delle stesse e non
anche di altri elementi comuni, presenti nel c.d. condominio orizzontale.
Il singolo condomino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, né
rinunziando al diritto né modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare.
Il diritto di ciascun condomino sulle cose comuni è automatico è irrinunciabile, nonché proporzionato al valore del
piano o porzione di piano che gli appartiene, sempre che il titolo non disponga altrimenti.
In merito ai lastrici solari di uso esclusivo, i proprietari sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle
riparazioni o ricostruzioni del lastrico: quanto ai residui due terzi, essi restano a carico di tutti i condomini dell’edificio
o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di
ciascuno.
La terrazza a livello
Quando il lastrico è costituito da una superficie scoperta posta alla sommità di alcuni appartamenti e al contempo sullo
stesso piano di altri, costituendone parte integrante strutturalmente e funzionalmente, delimitata da balaustre o parapetti
che la rendono praticabile e ne consentono il più sicuro passaggio, viene denominato terrazza a livello.
Equiparabile, sotto il profilo meramente materiale, al lastrico solare, data l'innegabile funzione di copertura, la terrazza
a livello se ne discosta sotto il profilo giuridico, poiché per il modo stesso in cui è realizzata risulta destinata
principalmente a dare un affaccio e altre comodità (aerazione, illuminazione, veduta, ecc.) all'alloggio del piano cui
è collegata e del quale costituisce una sorta di proiezione all'aperto. In tal caso, la funzione accessoria della terrazza
rispetto all'alloggio o agli alloggi posti al medesimo livello, prevale su quella di copertura degli appartamenti sottostanti
e, se dal titolo non risulta il contrario, la stessa deve ritenersi ad uso esclusivo del proprietario o dei proprietari di tali
abitazioni contigue, di cui diventa, appunto, parte integrante.
Pertanto, analogamente alle disposizioni relative al lastrico solare per uso esclusivo, ove la terrazza a livello funga
anche da copertura dell'edificio, gli oneri per la sua manutenzione e riparazione vanno ripartiti, secondo i criteri
fissati dall'art. 1126 c.c., in ragione di 1/3 per l'utilizzatore esclusivo e di 2/3 per i condomini delle unità abitative
sottostanti, da dividere sulla base delle quote millesimali di ciascuno.
Rimangono, ovviamente, a completo carico di chi ne ha l'uso esclusivo, le spese dirette unicamente al miglior
godimento dell'unità immobiliare di proprietà individuale di cui la terrazza sia il prolungamento.
Infiltrazioni e responsabilità
Chi è responsabile dei danni da infiltrazioni?
A che titolo si risponde del danno causato?
Che risarcimento può pretendere chi è stato danneggiato da un’infiltrazione?
Quali le responsabilità per danni da infiltrazioni nell’ambito di un condominio negli edifici?
Partiamo prima di tutto dalla nozione di infiltrazioni. Per il vocabolario della lingua italiana, l’infiltrazione è
un’azione, ossia del fatto di infiltrarsi, per l’appunto, di un liquido attraverso un corpo.
L’acqua s’infiltra attraverso il lastrico solare di un edificio e tale infiltrazioni si manifesta nel soffitto dell’appartamento
sottostante.
L’infiltrazione può manifestarsi sotto forma di:
• umidità;
• chiazza bagnata sulla superficie interessata;
• gocciolamento.
Sebbene si sia soliti pensare a un’infiltrazione come a un’azione la cui direzione è dall’alto al basso, esistono anche
forme d’infiltrazioni che si manifestano nel senso contrario: è il caso della così detta umidità di risalita o risalita
capillare. In questi casi le chiazze sintomo di un’infiltrazione si manifestano alla base di un edificio e sono frutto della
risalita, per capillarità per l’appunto, di liquidi dal terreno.
Queste, per grandi linee, le infiltrazioni dal punto di vista fisico.
In termini legali avere a che fare con un danno da infiltrazioni vuol dire approcciarsi all’ipotesi di responsabilità per
danni da cose in custodia, salvo ipotesi (non ricorrenti ma comunque possibili) di allagamenti di natura dolosa.
Infiltrazioni e risarcimento
Il risarcimento derivante dal danno da infiltrazioni comprende tutto ciò che è necessario fare per eliminare la causa
del danno, nonché per eliminare le sue conseguenze dannose.
Se vi manifestano infiltrazioni dal tetto di un edificio, il danneggiato ha diritto:
- a vedere eliminata la causa del danno;
- a ottenere il ristoro economico dei pregiudizi subiti (es. pitturazione ambienti colpiti dall’infiltrazione, ecc.).
Il risarcimento può essere di due tipi:
a) in forma specifica, ossia ristoro mediante compimento di azioni atte a eliminare il danno;
b) per equivalente, ossia mediante corresponsione di una somma di denaro volta a eliminare il pregiudizio subito.
La scelta della forma di risarcimento è in capo al danneggiato (art. 2058 c.c.), ma in determinate circostanze, ossia
quando il risarcimento in forma specifica è particolarmente gravoso, il giudice può stabilire la forma di risarcimento per
equivalente.
In ogni caso è in forma specifica il risarcimento volto a ottenere l’eliminazione della causa dell’infiltrazione (es.
riparazione tetto), mentre può essere per equivalente quello inerente i danni derivanti da tale fenomeno.
Si badi: essere titolari del diritto al risarcimento del danno nel caso di infiltrazioni vuol dire ottenere il risarcimento
integrale, ove parte del pregiudizio dannoso sia stato causato dal concorso nel fatto del danneggiato (art. 1227 c.c.).
La stessa incuria nel fare in modo che il danno di cui si era a conoscenza potesse espandersi potrebbe essere considerata
tale, ossia concausa dello stesso.
Si tratta di valutazioni da eseguirsi caso per caso e rispetto alle quali non è possibile operare una generalizzazione.
Condominio e infiltrazioni
Il condominio, inteso quale comunità organizzata di persone deputata alla gestione delle parti comuni di un edificio,
dev’essere considerato custode dei beni comuni, ossia delle parti ed impianti di edificio indicate dall’art. 1117 c.c. e di
quelle a esse assimilabili in ragione della funzione o di specifica indicazione dei titoli (atti d’acquisto o regolamento
contrattuale).
La qualità di custode in capo alla compagine, fa sì che la stessa sia da considerarsi responsabile per i danni da cose in
custodia provenienti da parti comuni o da parti che pur se in uso/proprietà esclusiva, svolgano comunque una funzione
utile a tutti o a una parte dei condòmini: il riferimento in questa ultima ipotesi è al lastrico solare di uso o proprietà
esclusiva (sulle responsabilità connesse la lastrico solare in uso esclusivo, si veda Cass. SS.UU. 10 maggio 2016 n.
9449).
La responsabilità cui stiamo facendo riferimento ricorre:
• a) sia nell’ipotesi in cui il danneggiato sia uno dei condòmini;
• b) sia nel caso in cui a essere danneggiato sia un terzo, ossia una persona estranea al condominio.
Terzo è da ritenersi anche il conduttore di un appartamento ubicato in condominio, che nel caso di infiltrazioni ha
diritto a vedersi risarcito il danno subito dalle cose di sua proprietà o eventualmente dall’inutilizzo dei beni locati, ma
mai quello manifestatosi sui medesimi.
Ove il condominio abbia stipulato una polizza assicurativa a garanzia di eventuali danni da infiltrazioni, la compagnia
potrà intervenire per indennizzare il danno.
L’intervento della compagnia è sempre a favore del condominio, sicché il danneggiato non può pretendere nulla da essa,
dovendo indirizzare le proprie rimostranze direttamente verso il custode, ossia il condominio in persona del proprio
amministratore.
È utile rammentare, infine, che l’azione risarcitoria per danni da infiltrazioni ha come oggetto il pagamento di una
somma di denaro, sicché essa è da ritenersi soggetta al preventivo invito a concludere una convenzione di negoziazione
assistita, procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie disciplinata dal d.l. 12 settembre 2014, n. 132,
convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162.
L’azione risarcitoria si prescrive in dieci anni dall’avvenimento del fatto.
In caso di danni da infiltrazioni che vedano coinvolto il condominio quale custode, tutte le decisioni concernenti la
controversia devono essere assunte in sede assembleare (Cass. SS.UU. 6 agosto 2010 n. 18331-2).
Spese per la conservazione delle cose comuni – TRIBUNALE DI Caltanissetta sent. 21/02/2018 – L’obbligazione
di provvedere alle spese per la conservazione delle cose comuni, trovando fondamento nel dovere, posto dalla legge, a
cui ogni condomino è tenuto a tutelare l’integrità delle parti comuni, insorge nel momento in cui si rende necessario
eseguire i lavori che giustificano la relativa spesa e non quando viene determinato il debito gravante in concreto su
ciascun condomino.
I provvedimenti presi dall’amministratore sono obbligatori per i condomini sempre che rientrino nell’ambito dei
suoi poteri (artt. 1133, 1135, 1137 c.c.).
I provvedimenti presi dall’amministratore sono obbligatori per i condomini sempre che rientrino nell’ambito dei suoi
poteri, ma contro di essi è ammesso ricorso all’assemblea condominiale (senza pregiudizio del ricorso all’Autorità
giudiziaria) ai sensi dell’art. 1137 c.c.
I provvedimenti dell’amministratore sono anche impugnabili in via diretta davanti all’Autorità giudiziaria, senza
necessità di preventivo ricorso all’assemblea.
Viceversa, in caso di inerzia dell’amministratore, occorre prima convocare l’assemblea e poi diventa possibile rivolgersi
all’Autorità giudiziaria.
Occorre, inoltre, distinguere tra:
atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore e vincolanti per tutti i condomini ex art.
1133 c.c.;
atti di straordinaria amministrazione, bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre un effetto vincolante, salvo
il disposto dall’art. 1135 comma 2 (L'amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che
rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne nella prima assemblea ).
Criterio distintivo è la normalità dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei
beni comuni.
Sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 3672/1997, disponendo che la
responsabilità per danni prodotti all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico solare
(lastrico condominiale o in proprietà o uso esclusivo) per difetto di manutenzione non sia di natura extracontrattuale, e
dunque ricollegabile al disposto dell’art. 2051 c.c., ma all’art. 1123 c.c., nell’ipotesi di lastrico condominiale, e all’art.
1126 c.c. nel caso di lastrico in proprietà o uso esclusivo. In particolare gli Ermellini statuiscono che il lastrico, o la
terrazza a livello, di uso o proprietà esclusiva svolge anche funzione di copertura, e dunque, alla sua manutenzione
debbono provvedere tutti i condomini in concorso col proprietario esclusivo. Ne consegue che dei danni cagionati
all’appartamento sottostante, non dipendenti da fatto imputabile al solo utilizzatore, rispondono tutti gli obbligati
inadempienti all’obbligo di conservazione. In sostanza la responsabilità per danni da infiltrazioni è legata direttamente
alla titolarità del diritto reale e, perciò, deve considerarsi come conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni di
conservare le parti comuni, poste a carico dei condomini (art. 1123 c.c., I comma) e del titolare della proprietà
superficiaria o dell’uso esclusivo (art. 1126 c.c.).
Secondo tale sentenza pertanto il risarcimento del danno integra una responsabilità ex art. 1218 c.c. e non ex art. 2051
c.c.
Tuttavia altre pronunce successive della Suprema Corte (Cass.Civ. nn. 6376/06; 642/03; 15131/01; 7727/00) si sono
espresse in maniera difforme, richiamando l’applicazione dell’art. 2051 c.c.
Secondo parte della dottrina, la Suprema Corte aveva errato a non approfondire la questione dei danni derivanti da un
difetto di manutenzione del lastrico. Se difatti l’onere di manutenzione grava sull’intero condominio, è questo a dover
provvedere alla manutenzione e, in mancanza, al risarcimento dei relativi danni, senza tenere conto della proprietà
esclusiva del terrazzo.
La dottrina contestava altresì quanto sostenuto dagli Ermellini con riferimento alla misura di contribuzione alle spese da
parte del proprietario esclusivo del lastrico. Costui, difatti, poteva essere chiamato a concorrere alle spese nella misura
di 1/3 solo nel caso in cui i danni fossero derivati dall’usura causata dal godimento esclusivo del bene ma non nel caso
in cui essi derivassero dall’omessa manutenzione da parte del condominio. Se, ad esempio, il proprietario esclusivo, con
l’uso, deteriorava la pavimentazione del terrazzo, doveva concorrere in misura maggiore alle spese di ricostruzione,
viceversa, nel caso in cui le infiltrazioni fossero state determinate dal naturale deterioramento della guaina, le spese
sarebbero state ripartite tra tutti i condomini.
Sulla base di tutte le critiche mosse alla statuizione del 1997 sia dalla giurisprudenza di legittimità che dalla dottrina, la
Seconda Sezione della Cassazione Civile, con l’Ordinanza n. 13526 del 13/06/2014, ha rimesso al Primo Presidente,
per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, un ricorso sul danno cagionato a terzi dal lastrico condominiale di uso
esclusivo, ponendosi la questione se, nel caso de quo, si configuri una responsabilità contrattuale, con conseguente
applicazione del criterio previsto dall’art. 1126 c.c. per le spese di riparazione del terrazzo, oppure una responsabilità
extracontrattuale, ex art. 2051 c.c.
Successivamente le Sezioni Unite hanno disposto per la natura extracontrattuale della responsabilità gravante sul
condomino titolare della proprietà esclusiva del lastrico, ex art 2051 c.c.; hanno dichiarato la responsabilità concorrente
del condominio nell’ipotesi in cui l’amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi delle cose comuni su di
lui gravanti, conformemente a quanto disposto dall’art. 1130, I comma, n. 4, c.c., ovvero nel caso in cui l’assemblea non
adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere di manutenzione straordinaria, ai sensi dell’art. 1135, I
comma, n. 4, c.c. Infine il parametro di ripartizione delle spese resta quello di cui all’art. 1126 c.c.
Conformemente all’orientamento sopra delineato si pone una recentissima sentenza della Cassazione Civile. Essa
statuisce che, se l’uso del lastrico solare non è comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento
sottostante rispondono sia il proprietario o l’usuario esclusivo, ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio, in forza
degli obblighi ex artt. 1130, I comma, n. 4, e 1135, I comma, n. 4, c.c.
Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno all’uno o all’altro, va di
regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 c.c., il quale pone le spese di riparazione o di
ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico e per i due terzi a carico del
condominio. (Cass. Civ. n. 9449/2016).
Alla luce di tutto quanto sopra detto, il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite ed, in generale, dall’
orientamento giurisprudenziale maggioritario, sarà necessario al fine di individuare i vari profili di responsabilità e di
ripartire i costi a seguito di danni cagionati da infiltrazioni provenienti dal lastrico solare.
Appare altresì chiaro come la giurisprudenza si sia nettamente orientata nel considerare la natura extracontrattuale della
responsabilità per danni derivanti da infiltrazioni sia a carico del proprietario esclusivo che a carico del condominio
configurandosi così un concorso di responsabilità.
Da ultimo, l’art. 1126 c.c. rimane quale norma di carattere speciale contenente il criterio di ripartizione delle spese.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la nota pronuncia n. 9449 del 2016 hanno stabilito il
seguente principio di diritto, quindi: “in tema di condominio negli edifici, allorquando l’uso del lastrico solare non sia
comune a tutti i condomini, dei danni che derivino da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il
proprietario o l’usuario esclusivo del lastrico solare (o della terrazza a livello), in quanto custode del bene ai sensi
dell’art.2051 cod. civ., sia il condominio, in quanto la funzione di copertura dell’intero edificio, o di parte di esso,
propria del lastrico solare (o della terrazza a livello), ancorché di proprietà esclusiva o in uso esclusivo, impone
all’amministrazione l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni (art.1130, primo comma,
n.4, cod. civ.) e all’assemblea dei condomini di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria (art.1135, primo
comma, n.4, cod. civ.). Il concorso di tali responsabilità, salva la rigorosa prova contraria della riferibilità del danno
all’uno o all’altro, va di regola stabilito secondo il criterio di imputazione previsto dall’art. 1126 cod. civ., il quale pone
le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o
della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio”.
Danni derivanti da infiltrazioni e mancato godimento dell'immobile. Il risarcimento non è sempre dovuto
Non scatta il risarcimento del danno non patrimoniale per il mancato godimento dell'immobile, a causa dell'allagamento
dell'appartamento del piano sovrastante, se il fatto illecito non costituisce reato e non lede in modo serio diritti della
persona costituzionalmente garantiti.
È questo il principio di diritto contenuto nella sentenza n. 4534 del 22 febbraio 2017, emessa dalla terza sezione civile
della Corte di Cassazione.
Accolto il ricorso della proprietaria di un appartamento, citata in giudizio dalla signora del piano di sotto e condannata
per infiltrazioni d'acqua. Sentenza cancellata e parola che torna alla Corte d'appello per un nuovo giudizio.
La suprema Corte ha chiarito che la perduta possibilità di godimento dell'immobile a causa delle infiltrazioni
provenienti dall'appartamento vicino può, in teoria, provocare tanto un danno patrimoniale quanto un danno non
patrimoniale.
Tuttavia, per ottenere il risarcimento occorre sempre fornire la prova di un preciso e quantificabile disagio.
E con specifico riferimento al danno non patrimoniale, per la sua risarcibilità occorre altresì che l'illecito
configuri gli estremi del reato o leda seriamente interessi della persona costituzionalmente garantiti.
Il fatto - La signora che chiameremo "Tizia" impugnava per cassazione la sentenza con la quale la Corte d'appello di
Roma l'aveva condannata a risarcire il danno patito da "Caia", in conseguenza di un allagamento accidentale
proveniente dall'appartamento di proprietà della prima, che aveva procurato danni al sottostante appartamento di
proprietà della seconda.
In particolare, i giudici avevano stimato il danno patito in 10.000 euro, importo - si legge nella sentenza impugnata -
determinato "in via equitativa" ex art. 1226 c.c. e "comprensivo del pregiudizio derivante dalla diminuita godibilità del
bene nell'arco temporale necessario alle riparazioni".
Proprio questo passaggio della sentenza è stato censurato dalla Cassazione.
Gli Ermellini sottolineano innanzitutto l'errore commesso dai giudici d'appello, che hanno quantificato in via equitativa
il danno, senza però verificare la prova dell'esistenza del danno stesso.
Infatti, la liquidazione equitativa ex art. 1126 c.c. è consentita solo quando, all'esito dell'istruttoria, il danno risulti
certo nella sua esistenza, ma incerto e non altrimenti dimostrabile nella sua consistenza. Detto in altre parole: il
giudice può liquidare in via equitativa il danno solo in presenza di due presupposti:
1) l'accertamento dell'esistenza concreta d'un danno risarcibile, prova il cui onere ricade sul danneggiato;
2) in secondo luogo, l'accertamento preventivo dell'impossibilità (o dell'estrema difficoltà) d'una stima esatta del
danno, dipendente da fattori oggettivi, e non già dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli
elementi dai quali desumere l'entità del danno.
Ora, nel caso di specie, la liquidazione in via equitativa effettuata dalla Corte d'appello sembra comprendere sia il danno
patrimoniale sia quello non patrimoniale. Decisione astrattamente esatta, perché, come detto, la perduta possibilità di
godere d'un bene immobile può costituire fonte tanto di un danno patrimoniale, quanto di un danno non patrimoniale.
Tuttavia - osserva la Cassazione - "nel caso di specie un danno patrimoniale da mancato godimento dell'immobile non
risulta non solo analiticamente dedotto, ma nemmeno indicato dalla Corte d'appello".
La sentenza impugnata non riferisce se tale pregiudizio patrimoniale sia consistito, ad esempio, nei costi sostenuti per
alloggiare altrove, ovvero nella perdita di canoni di locazione.
Dunque, manca il presupposto primo per il ricorso alla liquidazione equitativa, ovvero l'esistenza certa del danno.
Quanto ai danni non patrimoniali, manca la prova della risarcibilità ai sensi dell'art. 2059 c.c., secondo la lettura
"costituzionalmente orientata" indicata dalla giurisprudenza.
La suprema Corte è estremamente chiara nell'evidenziare l'errore commesso dai giudici territoriali: "ove poi la Corte
d'appello avesse inteso liquidare in via equitativa un danno non patrimoniale da mancato godimento dell'immobile, vi
sarebbe da rilevare che anche tale pregiudizio, oltre a non risultare analiticamente e tempestivamente allegato, non
sarebbe risarcibile, in quanto il fatto illecito non costituisce reato e non ha leso interessi della persona".
Non ricorre, in altri termini, alcuna delle condizioni richieste dall'art. 2059 c.c. per la risarcibilità del danno non
patrimoniale, secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 26972 del 2008, le quali hanno altresì
precisato che il mero disagio o fastidio non costituisce un danno risarcibile.
Occorre quindi che sia dimostrabile un danno di tipo diverso e quantificabile economicamente.