Sei sulla pagina 1di 3

I “Pilati” dei Vangeli

Per il Nuovo Testamento abbiamo solo documenti di tempi successivi alla loro composizione originale, come per gran
parte dei testi antichi, ma per nostra fortuna abbiamo un numero enorme di manoscritti (circa 24.000) che riportano le
vicende dei Vangeli, cosa che, insieme all’intervallo tra originale e la copia più antica di soli 25 anni (125 d.C.), può far
propendere per una maggiore attendibilità degli scritti rispetto a qualsiasi altro autore antico, dei quali alle volte non ne
rimangono che pochi frammenti.
Ma usare i Vangeli e, più in generale, qualsiasi testo base di una religione monoteista come fonte storica non è facile. Ci
si trova ad avere a che fare con un documenti con un fine ben diverso da quello storiografico; un terreno scivoloso, nel
quale si mescolano teologia, tradizioni letterarie, ed episodi con impatto enorme sull’immaginario religioso, sociale e
artistico dei secoli successivi. Partendo da tale consapevolezza cercherò di seguito di riportare in modo sintetico, ma per
quanto possibile completo, l’opinione che i quattro evangelisti tramandarono di Ponzio Pilato. Quello che emergerà non
è un Pilato univoco ma più “Pilati”, con caratteristiche proprie e ciascuno filtrato secondo una certa prospettiva, nel
tentativo di metterne in luce alcuni aspetti come l’inerzia o la debolezza di carattere e di nasconderne altri che possono
emergere solo ad una più attenta analisi storica.

Pilato nel vangelo di Marco


La figura di Pilato nel vangelo di Marco compare due volte. A seguito del giudizio di condanna del sinedrio, Gesù viene
portato a Pilato già riconosciuto come colpevole e consegnato a quest’ultimo per la ratifica della condanna da parte del
rappresentate di Roma. Gesù non pronuncia alcuna parola durante l’interrogatorio riportato da Marco, provocando in
Pilato meraviglia e sconcerto, dal momento che, in base al diritto penale romano, un accusato che non rispondeva alle
domande durante il processi era considerato alla stregua di un colpevole.[1]
Sia Gesù che un altro progioniero, di nome Barabba, vengono portati di fronte alla piazza gremita di persone, dato che
“ogni anno, per la festa di Pasqua, Pilato liberava uno dei prigionieri, quello che la folla domandava”[2] probabilmente
per commemorare la fine della schiavitù ebraica in Egitto. Il popolo, in un primo momento, sembra non avere alcuna
preferenza tra i condannati, così Pilato, sapendo che Barabba si era macchiato di omicidio durante una ribellione, reato
ben più grave di quelli contestati a Gesù, punta implicitamente a salvare quet’ultimo dalla pena capitale, il quale
immaginava godere di un certo favore presso il popolo, memore della domenica delle Palme di qualche giorno prima.
Ma qui la folla lo abbandona. A questo punto a Pilato non resta che invertire i ruoli, facendo della folla il vero giudice.
Chiede chi deve condannare e cosa farne di Gesù, mettendo alla prova il popolo e rendendolo complice della scelta.
Chiede “che male ha fatto?” domanda retorica a cui il popolo risponde di procedere con la crocefissione quindi lo
consegna ai soldati per la flagellazione.
In sintesi “si considera il personaggio di Pilato in Marco un debole, convinto dell’innocenza di Gesù, che fa diversi
tentativi di assolverlo, tutti inutili, ma è costretto a conformarsi al volere dei sommi sacerdoti e della folla”[3] anche se,
da un certo punto di vita Pilato sembri piuttosto “un governatore scaltro in grado di gestire un caso potenzialmente
pericoloso con una certa dose d’ironia e al tempo stesso con grande astuzia politica.”[4]

Pilato nel vangelo di Matteo


Il Vangelo di Matteo, che mostra, nel complesso della narrazione, uno stretto rapporto con il giudaismo rabbinico e con
ogni probabilità scritto per il pubblico urbano di Antiochia, pone l’accento, rispetto ai restanti vangeli, sui risvolti
politici della predicazione di Gesù. Indicato Pilato con il titolo di governatore romano[5] a cui viene consegnato Gesù
dai capi dei sacerdoti giudei fa seguito il breve dialogo tra i due, che si riduce in uno scambio simile a quello riportato
da Marco: “sei tu il re dei giudei?”, “tu lo dici”[6]per il resto silenzio.
Nel passo seguente emerge un Pilato-giudice romano che vuole pesare la popolarità di Gesù ma al tempo stesso emerge
l’elemento onirico di presagio funesto della sorte del prigioniero presentando in media res la moglie del prefetto “donna
gentile che rivela che non debba avere nulla a che fare con quel giusto, perché per causa sua oggi fui molto turbata in
sonno”.[7]
Di maggiore interesse per la nostra indagine è il momento successivo alla presentazione dei condannati al popolo:
quest’ultimo sceglie Barabba e Pilato, ritenendo di non dover temere minacce all’autorità di Roma, chiede agli astanti
quali colpe debba espiare. A questo punto il popolo grida ancora più forte e si rende conto che “la gente si agitava
sempre di più”.[8]La situazione diventa instabile e così Pilato decide di agire in fretta ma ripete che è il popolo stesso
che ha scelto per la condanna. Segue la famosa scena della lavanda delle mani, mezzo di purificazione protettiva del
mondo greco-romano, per sottolineare la propria innocenza e per ribadire che è il popolo -non lui, che ha pieni poteri!- a
volere la crocefissione del malcapitato.

Pilato nel vangelo di Luca


Il vangelo di Luca menziona Pilato tre volte prima del processo, informandoci che quest’ultimo era governatore della
Giudea durante il quindicesimo anni regno dell’imperatore Tiberio[9], che fece uccidere alcuni galilei che si recavano a
Gerusalemme per dei sacrifici, senza però alludere alla motivazione di questo gesto[10] e indicandolo come il
magistrato a cui capi religiosi della Giudea intendono consegnare Gesù.[11] Le accuse con cui viene portato al prefetto
sono, questa volta, ben chiare: tentativo di traviare la nazione e di incitare alla rivolta fiscale contro Roma. Dopo una
bravissima interrogazione il Pilato di Luca si dimostra riluttante a proseguire nella condanna, affermando che “non
trova nessuna colpa in quest’uomo” e che processarlo oltre non avrebbe quasi avuto senso.[12]
Diversamente dagli altri Vangeli, per il Pilato di Luca Gesù pare sia un perfetto sconosciuto, tanto da volerne
demandare il caso a Erode in Galilea[13], come per sbarazzarsi di quella problematica per lui quasi incomprensibile,
consegnandolo alla giurisdizione di un principe locale, il quale, essendo giudeo, avrebbe capito meglio di lui la
situazione. Ma questi, dopo averlo sbeffeggiato, rimanda il caso a Pilato. Quest’ultimo riunisce i sacerdoti e il popolo e
dichiara di fronte a loro “[…] Ebbene, ho esaminato il suo caso pubblicamente davanti a voi. Voi lo accusate di molte
colpe ma io non lo trovo colpevole di nulla. Anche Erode è dello stesso parere: tant’è vero che lo ha rimandato da noi
senza condannarlo. Dunque quest’uomo non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò lo farò flagellare e poi lo lascerò
libero.”[14] Ma il rumoreggiare del popolo si trasforma in un’aperta richiesta di scarcerazione di Barabba, che Luca ci
informa avrebbe ucciso un uomo durante una sommossa.
Pilato cerca una via di mezzo, proponendo di far frustare il prigioniero per poi lasciarlo libero, accontentando
parzialmente le richieste popolari ma senza condanna a morte. Nonostante questo, di fronte all’ennesima manifestazione
di intransigenza della folla, cede alle pressioni e consegna un sobillatore rivoluzionario omicida, Barabba, in modo
docile a chi dovrebbe essere sottoposto al suo governo.

Pilato nel Vangelo di Giovanni


Il Pilato del vangelo di Giovanni viene presentato come governatore romano suo malgrado coinvolto in una disputa che
riguarda membri della comunità ebraica, con cui sembra avere rapporti tutt’altro che cordiali. Pilato proclama tre volte
l’innocenza di Gesù come nel vangelo di Luca  ma il dialogo riportato in Giovanni è più ampio. All’alba del giorno di
Pasqua Gesù viene trasferito dal palazzo di Caifa a quello di Pilato, il quale non comprende i motivi per cui quell’uomo
sia stato portato da lui e si rivolge agli astanti dicendo “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!” ma le
autorità ebraiche si affrettano ad obiettare che non possono comminare condanne a morte.[15]
Rientrato nel palazzo Pilato interroga Gesù, chiedendo chi fosse, se fosse un re come aveva sentito affermare e per
quale ragione il suo popolo lo avesse portato in quel luogo. Gesù replica dicendo che “Il mio regno non appartiene a
questo mondo. Se il mio regno appartenesse a questo mondo, i miei servi avrebbero combattuto per non farmi
consegnare alle autorità. Ma il mio regno non appartiene a questo mondo.”[16] Pilato non comprende la risposta e
insiste, chiedendo se fosse un re. Gesù replica “tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto nel mondo per essere un
testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce.” La risposta di Pilato lascia molto spazio ai dubbi
sulla comprensione del loro dialogo: “Ma cos’è la verità”?[17] Il governatore non aspetta la risposta di Gesù ed esce dal
pretorio per incontrare i capi dei giudei e riferirgli di non aver trovato nessun motivo per condannare a morte il
prigioniero.
Portato Gesù al loro cospetto, dopo averlo fatto frustare, ripete che non lo trova colpevole di alcunché ma alle nuove
rimostranze di sacerdoti e guardie perde la pazienza: “Prendetelo e mettetelo voi in croce. Per me, non ha fatto nulla di
male.”[18]anche se, “secondo la Legge” ebraica deve essere condannato a morte perché ha detto di essere il figlio di
Dio. Pilato, che di certo conosceva le leggi ebraiche, sa bene che i giudei non possono metterlo a morte così vuole quasi
umiliarli facendo loro ammettere che solo Roma ha potere di vita e di morte sui suoi sudditi. Nonostante questo “Pilato
si spaventò” e chiede a Gesù da dove venisse.
Non ricevendo risposta incalza “Non dici nulla? Non sai che io ho il potere di liberarti e il potere di farti crocifiggere?”.
[19] Il dialogo si sposta sul tema della supremazia tra potere romano e potere divino, come chiarisce la risposta di Gesù:
“Non avresti alcun potere contro di me, se Dio non te lo permettesse. Perciò chi mi ha messo nelle tue mani è più
colpevole di te.”[20] Di fronte al popolo cerca in tutti i modi di liberarlo ma la folla, sobillata dai capi religiosi, fa leva
sulla sua autorità romana “Se liberi quest’uomo non sei fedele all’imperatore! Chi si proclama re è nemico
dell’imperatore. Il nostro re è uno solo: l’imperatore.”[21] A quel punto Pilato cede, dimostrando di non possedere la
forza necessaria per controbattere al richiamo alle sue funzioni di magistrato romano.

Non esistendo alcuna “versione di Pilato” o un Vangelo secondo Pilato, possiamo solo basarci su quanto contenuto
proprio nei Vangeli e come si può comprendere dalla breve trattazione condotta fin’ora “I vangeli canonici […]
divergono sul carattere di Pilato, debole per Luca, indifferente verso Gesù per Matteo, abile politico per Marco, sicuro
della sua autorità e fermo difensore delle istituzioni imperiali per Giovanni.”[22]
Il nucleo degli interventi nella narrazione evangelica su Pilato è costituito essenzialmente dal dialogo con Gesù e uno
studioso attento come Schiavone sottolinea la funzionalità che assume il discorso tra Pilato e Cristo nell’impalcatura del
pensiero del cristianesimo; il dialogo tra i due poteva terminare solo in quel modo, con la condanna di Gesù, come
compimento di una missione. “Tutto si concludeva in quel solo quadro: due uomini di fronte, l’uno in catene, l’altro
nell’incontrastata pienezza dei suoi poteri. Nessuno dei due rappresentava solo se stesso. Entrambi erano lì nel nome di
un altro, del cui volere si consideravano interpreti ed esecutori. Pilato dell’imperatore, padrone del mondo […]Gesù nel
nome del Padre suo […] erano Dio e Cesare che si stavano finalmente parlando.”[23] Le poche altre fonti antiche a
nostra disposizione su Pilato si limitano agli Acta Pilati, un apocrifo favolistico e di scarsa qualità redatto tra il II e il III
sec. d.C., tradotto in svariate lingue e fatto circolare da parte di Massimino Daia nella parte orientale dell’Impero per
contrastare l’emergere del cristianesimo e altri scritti pseudoepigrafi e falsi di epoca medievale[24] dove le colpe della
morte di Gesù in genere vengono riversate variamente su Erode e sul popolo ebreo e si assiste a varie guarigioni
miracolose, al riconoscimento della divinità di Gesù e all’omicidio-suicidio di Pilato.
La figura di Pilato valicò gli steccati dell’antico e interrogò anche autori moderni; un esempio evidente è l’esaltazione
nell’Anticristo di Nieztsche: “Devo forse aggiungere che in tutto il Nuovo Testamento c’è soltanto un’unica figura
degna di essere onorata? Pilato, il governatore romano. Prendere sul serio un affare tra Ebrei – è una cosa di cui non
riesce a convincersi. Un ebreo di più o di meno- che importa?”[25] Dal punto di vista di Pilato la crocefissione andrebbe
forse vista in modo molto più semplice, ossia la condanna ordinaria di un arruffapopolo con pretese messianiche che
poteva costituire una minaccia all’ordine costituito di Roma? Quali “colpe” sono attribuibili a Pilato? Su questo
Luciano Canfora è inequivocabile “A Pilato si attribuisce a torto la condanna di Gesù. Gli si dà un rango che non gli
spetta: era prefetto e, di conseguenza, sulla sua testa c’era il governatore della Siria, la vera autorità politica che
dialogava con i poteri locali.”
Alla sua memoria è legata l’immagine del funzionario che si lava le mani in pubblico, simbolo dell’ignavia, di colui che
pur avendone il potere rifiuta d’intervenire, l’inclinazione a pensare al proprio tornaconto personale. Questo giudizio,
proprio del sentire comune, pare essere, in conclusione di questa analisi e al netto degli oscillamenti sulla sua figura da
parte degli evangelisti, ingeneroso e parziale. Più semplicemente non cerca uno scontro cruento, in un ambiente difficile
e sotto pressione valuta la situazione in cui si trova ad operare e ogni sua possibile conseguenza. La condanna di un
uomo innocente è sempre ingiusta e riprovevole ma quali erano le alternative poste al prefetto? Avrebbe dovuto
rompere i rapporti con la dirigenza giudaica? Far intervenire le truppe tra la folla e rischiare una guerra civile?

Di Daniele Reano

-Bibliografia

Per i Vangeli ho usato una copia del Nuovo Testamento inLa Sacra Bibbia, Torino 1976.
H.K.Bond, Ponzio Pilato, trad. it. Livia Capponi, Brescia 2008.
A.Schiavone, Ponzio Pilato, un enigma tra storia e memoria, Torino 2017.
Ossola, Pontius, te souvient-il…?, Firenze 2013.
L.Moraldi, Tutti gli apocrifi del Nuovo Testamento, Casale Monferrato 1994.
R.Giuliani, Pilato e il vangelo secondo Bulgakov, Firenze 2013.
G.Jori, Ponzio Pilato, Storia di un mito, a cura di Giacono Jori, Firenze 2013.
G.Otranto, Ponzio Pilato nella Chiesa antica tra Storia, arte e leggenda, Firenze 2013
John Scheid, Pontius Pilatus, un fonctionnaire romain, Firenze 2013.
Nietzsche, L’anticristo, in Opere, vol. VI, tomo III, tr. it. Adelphi, Milano 1970.

[1]Marco 15,1.
[2]Marco 15,2.
[3]Bond, p.150.
[4]Ivi, p.151.
[5]Matteo, 27.2.
[6]Matteo, 27.11.
[7]Matteo 27.19.
[8]Matteo, 27.24.
[9]Luca, 3.1.
[10]Luca, 13.1.
[11]Luca, 20.20.
[12]Luca 23.4.
[13]Luca 23.7.
[14]Luca 23, 14-17.
[15]Giovanni 18.31.
[16]Giovanni 18.36.
[17]Giovanni 18.38.
[18]Giovanni 19.6.
[19]Giovanni 18.10.
[20]Giovanni 18.11.
[21]Giovanni 19, 12-16.
[22]Otranto, p.52.
[23]Schiavone, p.97.
[24]Questi testi vengono di norma fatti rientrare nel cosiddetto Ciclo di Pilato e sono La Sentenza di Pilato, l’Anafora di
Pilato, Paradosis di Pilato, Lettere di Pilato a Erode, Lettera di Pilato a Tiberio e Lettera di Tiberio a Pilato, Vendetta
del Salvatore, Morte di Pilato e Guarigioni di Tiberio.
[25]Nietzsche, pp. 228-229.
[26]Valida sia per il primo articolo che per il secondo.

Potrebbero piacerti anche