OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
Riconoscimento del trust
Il trust internazionale
ed il trust interno: compatibilità
con l’ordinamento giuridico italiano
di FRANCESCO GALLUZZO
L’autore analizza la posizione della dottrina e della giurisprudenza sulla riconoscibilità nel nostro
ordinamento del trust internazionale e del trust interno alla luce di un recente e interessante caso deciso
dal Tribunale di Pisa.
La XV Convenzione de l’Aja
come normativa internazionalprivatistica
Nell’ultimo lustro l’esperienza giuridica italiana ha visto
sempre più spesso Tribunali di primo grado chiamati a
giudicare in merito alla figura del trust. Uno dei più re-
centi e interessanti casi è dato dall’ordinanza del Tribu-
nale di Pisa del 22 dicembre 2001 (1), concernente la fi-
gura del trust c.d. interno, e cioè di un trust «posto in es-
sere da una cittadina italiana residente in Italia, che ha
incaricato ed impegnato se stessa a gestire in Italia un
trust avente ad oggetto un bene immobile sito in Italia
conservato nella proprietà di lei medesima, ma destina-
to al soddisfacimento delle esigenze del fratello di lei, a
sua volta cittadino italiano residente in Italia. Per di-
chiarazione espressa della disponente (punto 8 dell’atto:
“Legge regolatrice del trust”): “Il trust è regolato dalla leg-
ge inglese».
Prima del 1989, la giurisprudenza aveva in più occasioni
negato la riconoscibilità del trust internazionale nel no-
stro ordinamento (2), essendo detto istituto sconosciu-
to al diritto italiano. Solo con la XV Convenzione de
l’Aja del 1° luglio 1985, ratificata dall’Italia con legge 16
ottobre 1989 n. 364, è stata prevista pure per i Paesi non-
trust la facoltà di riconoscere i trust internazionali.
Obiettivo principale della Convenzione, infatti, è, in pri-
mis, la puntuale previsione delle ipotesi in cui ricorre per
gli Stati aderenti detta facoltà di riconoscimento del tru-
st, e, in secondo luogo, la definizione dei criteri per la de-
terminazione della legge applicabile al negozio di trust ri-
conosciuto (3). Considerati tali due presupposti, ampia
parte della dottrina ha qualificato il testo convenzionale
come normativa di carattere internazional-privatistico
(4). In tal senso, anche chi ha contribuito alla stesura del
testo della Convenzione ha evidenziato che il fine che
ha animato l’intero progetto convenzionale era quello di
permettere che i «trusts possano operare in tutti i Paesi
membri della Conferenza senza alterare le proprie strut-
264 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
ture e conseguendo i medesimi effetti giuridici che po-
trebbero conseguire in patria» (5).
Pare sostanzialmente pacifico, dunque, che a seguito del-
la ratifica della Convenzione, anche nel nostro ordina-
mento possano essere riconosciuti i trust internazionali,
ossia i trusts i cui elementi di fattispecie siano connessi ad
ordinamenti in cui il trust sia regolato (6).
Note:
(1) Pubblicata su Notariato, 2002, 383-390 con commento di M. Lupoi.
(2) Si ricordano, ad esempio, Trib. Oristano 15 marzo 1956, in Foro it.,
1956, I, 1929 ss. e Trib. Casale Monferrato 13 aprile 1984, in Giur. it.,
1986, I, 574 ss. Nella prima sentenza si affermava che «Se si volessero at-
tribuire al trust tutti gli effetti che esso produce nell’ordinamento inglese
indubbiamente si violerebbero fondamentali principi di ordine pubblico
dell’ordinamento giuridico italiano». Il secondo caso riguardava un trust
testamentario costituito in Gran Bretagna, secondo le norme dell’ordi-
namento inglese ed idoneo a produrre effetti anche nell’ordinamento ita-
liano. In particolare, la de cuius aveva costituito un executory trust al fine
di incaricare il trustee della vendita di beni immobili siti in Italia, e del tra-
sferimento del ricavato della vendita ai figli minori, beneficiary del nego-
zio. Il trustee aveva richiesto in sede di volontaria giurisdizione di essere
autorizzato alla alienazione dei beni stessi (ai sensi del combinato dispo-
sto degli artt. 703 c.c. e 747 c.p.c.). Il tribunale, tuttavia, ritenendo i be-
ni in trust non più beni ereditari ma beni in piena proprietà del trustee, si
dichiarò incompetente ad accordare detta autorizzazione.
(3) Cfr. Gambaro, Giardina, Ponzanelli, La Convenzione de l’Aja sulla leg-
ge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Nuove leggi civ. comm.,
1993, 1213. Cfr. anche G. Cesaro, Il trust: quale disciplina, in I Contratti,
1998, 620.
(4) Cfr., fra gli altri, M. Lupoi, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Eu-
ropa e dir. priv., 1998, 425 ss.; G. Broggini, Trust e fiducia nel diritto interna-
zionale privato, in Europa e dir priv., 1998, 399 ss.; R. Luzzatto, “Legge ap-
plicabile” e “riconoscimento” di trusts secondo la Convenzione de l’Aja del 1°
luglio 1985, in Riv. dir, internaz. priv. proc., 1999, 5 ss.
(5) Cfr. A. Gambaro, Trusts, diritti reali e trascrizione, scaricabile dal sito
www.il-trust-in-Italia.it.
(6) Cfr., fra tanti, Gambaro, Giardina, Ponzanelli, La Convenzione de l’Aja
sulla legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento, in Nuove leggi civ.
comm., 1993, 1213; M Lupoi, Trusts, 2001, Milano, 411-441, Morello,
(segue)
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
Risulta tuttavia interessante analizzare alcune delle te-
matiche di maggior rilievo che parte della dottrina ha
identificato quali elementi ostativi alla riconoscibilità
del trust internazionale nel nostro ordinamento.
Il trust internazionale
e la responsabilità patrimoniale
L’ordinanza del Tribunale di Pisa del 22 dicembre 2001
sottolinea come gran parte degli argomenti utilizzati dal
resistente al fine di negare la riconoscibilità del trust in-
ternazionale sarebbero dati dalla sua potenziale lesività
dei «principi tradizionali sanciti in tema di responsabilità
patrimoniale, primo fra tutti quello dell’art. 2740 c.c.».
Parte della dottrina afferma che qualora fosse possibile as-
segnare fiduciariamente ad un soggetto un patrimonio
con un vincolo di destinazione ad efficacia reale, in mo-
do da impedire l’aggressione dei beni assegnati da parte
dei creditori dello stesso, risulterebbe violato il principio
portato dall’art. 2740 c.c. (7). Come noto, infatti, l’art.
2740 dispone che: «Il debitore risponde dell’adempimen-
to delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futu-
ri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse
se non nei casi stabiliti dalla legge.» Dal portato dell’arti-
colo si desume che la responsabilità patrimoniale generi-
ca è derogabile nei soli casi esplicitamente previsti dal le-
gislatore (8). Ampia parte della dottrina (9) ha, in que-
st’ottica, sottolineato come la Convenzione, non costi-
tuendo una normativa di diritto sostanziale interno, non
parrebbe idonea ad introdurre un’ipotesi di patrimonio
separato ulteriore rispetto a quelle disposte dal codice ci-
vile. I sostenitori di tale indirizzo, sottolineano, dunque,
come, a loro avviso, non sia possibile condividere le af-
fermazioni di chi sostiene che «il principio di separazione
dei patrimoni sia liberamente perseguibile, ad onta della
riserva di legge posta dall’articolo 2740» (10). Si osserva,
ancora, che la separazione dal patrimonio del trustee dei
beni attribuiti in trust non possa essere ottenuta con un
atto di autonomia privata, essendo «fin troppo evidenti
gli indici che la legge fornisce nel senso che la separazio-
ne è realizzabile solo dalla legge» (11).
La stessa ordinanza del Tribunale di Pisa, in tema di sepa-
razione patrimoniale, evidenzia le difficoltà di coordina-
mento del trust con l’ordinamento italiano: «[…] In effet-
ti sono palesi le difficoltà di coordinamento e di armoniz-
zazione con parecchie norme di legge italiane, se si consi-
dera che, secondo lo schema più diffuso nei Paesi che re-
golano l’istituto, modellato sulla elaborazione anglosasso-
ne nella specie esplicitamente richiamata, con la imposi-
zione del vincolo del Trust i beni divengono, con riferi-
mento alla persona del loro titolare: insequestrabili, sot-
tratti a pignoramento e fallimento; insensibili al regime
matrimoniale e successorio (art. 11 Conv.) […]» (12).
Note:
(segue nota 6)
Arrigo, Capanna, Marè, Convenzione de l’Aja sulla legge applicabile ai trust
ed al loro riconoscimento, in Commentario breve al codice civile. Leggi comple-
mentari, a cura di Alpa e Zatti, Padova 1999; M. Lupoi, Il trust nell’ordina-
mento giuridico italiano dopo la Convenzione de l’Aja del 10 luglio 1985, in Vi-
ta not., 1992, 966 ss. Tuttavia, contra, esprimendo forti perplessità in me-
rito, F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista “ non vi-
vente” su trust e trascrizione), in Rivista del notariato, LV, 2001, 36 ss..
(7) Cfr. D. Minussi, La causa, Napoli, 2002 opera multimediale, pagina
“Il negozio fiduciario”.
(8) Dalla lettura del codice e della legislazione speciale appare infatti evi-
dente che il legislatore abbia in alcune ipotesi previsto chiare ed esplicite
deroghe a detto principio cardine. Uno degli esempi di maggior pregnan-
za è dato dal fondo patrimoniale, introdotto dal legislatore con la riforma
codicistica delle norme regolanti il diritto di famiglia nel 1975. Attraver-
so la costituzione di un fondo patrimoniale si crea un vero e proprio pa-
trimonio di destinazione, finalizzato al soddisfacimento dei bisogni della
famiglia: esso costituisce un patrimonio separato, sfuggente alla regola
imposta dall’art. 2740 c.c: i creditori personali dei coniugi non potranno,
infatti, soddisfare i loro crediti sui beni costituenti il fondo, salvo l’unico
caso in cui il debito sia stato contratto al fine di soddisfare un interesse
della famiglia, come disposto dall’art. 170 c.c. . Ancora va ricordata, nel-
lo stesso senso, la norma introdotta dal d. lgs. 3 marzo 1993, n. 88 in at-
tuazione della XII direttiva CEE del 21 dicembre 1989, n. 89/667, in te-
ma di società a responsabilità limitata a socio unico. Con tale legge è sta-
ta introdotta nel nostro ordinamento una fattispecie che legittima un
soggetto ad isolare parte del proprio patrimonio con atto unilaterale, con-
ferendolo a società a responsabilità limitata. In seguito all’atto di conferi-
mento unilaterale, i creditori personali di detto socio unico non potran-
no, per la soddisfazione dei crediti concessi al socio, esecutare i beni con-
feriti dallo stesso alla società. È dunque evidente che il d. lgs. 3 marzo
1993, n. 88 abbia introdotto nell’ordinamento una deroga all’art. 2740
c.c., prevedendo la possibilità che un soggetto possa isolare parte dei pro-
pri beni in patrimonio separato (Cfr. A. Palazzo Successione, trust e fiducia,
in Vita not., 1998, 777) sottraendoli alla garanzia generica che i creditori
particolari del conferente trovano generalmente nel patrimonio dello
stesso ai sensi, appunto, dell’art. 2740 c.c..
Una ulteriore ipotesi di separazione patrimoniale e in deroga all’art. 2740
c.c. è data dall’art. 22 del d. lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, intitolato «Testo
Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria». L’art.
22 del Testo Unico, infatti, afferma che il patrimonio conferito in gestio-
ne dai singoli costituisce «patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello
dell’intermediario e da quello degli altri clienti. Sul tale patrimonio non
sono ammesse azioni dei creditori dell’intermediario o nell’interesse degli
stessi». La lettera della norma evidenzia inequivocabilmente detta sepa-
razione. (Cfr. P. Piccoli I trusts e figure affini in diritto civile. Analogie e diffe-
renze, in Vita not., 1998, n. 2 789).
Si ricorda, infine, la recentissima l.23 novembre 2001 n. 410 che intro-
durrebbe una ulteriore ipotesi di patrimonio separato: Cfr. F. Steidl in
Trascrizione di atti attributivi di beni immobili ad un trust, scaricabile dal sito
www.il-trust-in-Italia.it, in cui si afferma che l’art. 2 comma 2 della legge
suddetta, regolatrice delle società di cartolarizzazione c.d. veicolo, dispo-
ne che «i beni così individuati nonché ogni altro diritto acquisito nel-
l’ambito dell’operazione di cartolarizzazione della società […] costituisco-
no patrimonio separato a tutti gli effetti».
(9) Cfr., fra gli altri, S. Mazzamuto, Il trust nell’ordinamento italiano dopo la
Convenzione de l’Aja, in Vita not., 1998, 1323 ss.; Cfr. F. V. Pesiri in L’ap-
plicazione dei trust in Italia, in Rass. dir. civ. 1997, 455 ss.
(10) Cfr. F. Gazzoni che critica la posizione di Lupoi, in Manuale di diritto
privato, 2001, Napoli, 959.
(11) Cfr. Castronovo, Trust e diritto civile italiano, in Vita not., 1998, 1327-
1329.
(12) G. Broggini, in Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, cit.,
415, si è occupato di vagliare la compatibilità dell’art. 2740 c.c. oltre che
con il trust internazionale, in particolar modo con il trust c.d. interno. Ha
affermato, a riguardo, che nel caso di trust localizzato prevalentemente in
Italia prevarranno le norme imperative del diritto interno «anche perché
una Convenzione sulla legge applicabile non può modificare il diritto so-
stanziale italiano, non può introdurre un’altra ipotesi di patrimonio sepa-
rato, in deroga all’articolo 2740 c.c.».
Sempre in tal senso si pone la decisione del Tribunale di Santa Maria
(segue)
CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 265
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
Tuttavia la soluzione accolta dall’ordinanza del Tribuna-
le di Pisa pare favorevole al riconoscimento, afferman-
dosi che «la separazione […] dei beni dal patrimonio del
titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni trust sì
che l’articolo 2740 […] impedirebbe l’esistenza giuridica
per il nostro ordinamento di qualsiasi trust, mentre c’è la
legge di ratifica che sancisce il contrario». Si sostiene, in
altri termini, che, qualora il principio posto dall’art.
2740 c.c. dovesse porsi come preclusivo per la figura del
trust, detta considerazione finirebbe per privare di effica-
cia la stessa legge di ratifica, che ha al contrario sancito
la riconoscibilità del trust nell’ordinamento italiano.
Qualora, invece, si giungesse a ritenere l’articolo del co-
dice derogato dagli artt. 2 e 11 della Convenzione, tale
considerazione dovrebbe indurre a ritenere il trust come
vera e propria eccezione, legalmente autorizzata, all’art.
2740 c.c. (13).
Peraltro, in tal senso, è stato dimostrato che «se la riser-
va di legge in ordine alla costituzione di patrimoni sepa-
rati viene fondata sulla necessità di tutelare l’intereresse
dei creditori, è pur sempre decisiva la volontà del domi-
nus […], per cui sembrerebbe che le ragioni dei creditori
ricevano effettiva protezione più dal sistema revocatorio
che non dal divieto di costituire patrimoni separati in
virtù della sola autonomia privata» (14).
Viste queste ultime considerazioni, le perplessità in me-
rito all’ammissibilità del trust nel nostro ordinamento
non devono farsi dipendere dall’idoneità dello stesso a
produrre una separazione patrimoniale non espressa-
mente disposta dal legislatore (15), ma, come infra espo-
sto, da motivi più strettamente connessi alla struttura ti-
pica del negozio di trust, totalmente innovativa e difficil-
mente sussumibile fra le categorie della nostra tradizione
giuridica (16).
Il trust internazionale
e la tassatività della trascrizione
Un rilevante piano di discussione dell’ordinanza è dato
dalla pretesa sussistenza di un diritto del trustee a trascri-
vere il negozio costitutivo nei registi immobiliari.
Pare pacifico che la trascrizione del vincolo alla libera di-
sponibilità di un bene immobile gravato da trust rappre-
senti lo strumento essenziale per opporre ai terzi la “se-
gregazione” del bene e per garantire, dunque, la piena op-
ponibilità ed operatività del negozio. Detta opponibilità,
infatti, rappresenta uno strumento idoneo a garantire un
traffico giuridico trasparente, ed a permettere ad ogni
eventuale acquirente di conoscere i vincoli eventual-
mente gravanti sul bene attribuito in trust (17). Richia-
mandosi all’art. 12 della Convenzione, l’ordinanza evi-
denzia come ricorrerebbe a favore del trustee la «facoltà
di richiedere la iscrizione nella sua qualità di trustee o in
qualsiasi altro modo che riveli l’esistenza del trust, alme-
no che ciò non sia vietato o sia incompatibile a norma
della legislazione dello Stato nel quale la registrazione
deve aver luogo». L’ordinanza procede sposando l’indi-
rizzo dottrinario che afferma la sussistenza di un diritto
266 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
del trustee di accedere alle forme di pubblicità esistenti
nel nostro ordinamento, apparendo infatti forzato, se-
condo i giudici, negare, come alcuni esponenti della dot-
trina hanno fatto, che l’art. 12 della Convenzione di-
Note:
(segue nota 12)
Capua Vetere del 14 luglio 1999, in Trust e attività fiduciarie 2000, 251,
che ha rigettato il reclamo proposto contro il Conservatore dei registri
immobiliari, il quale si rifiutava di trascrivere un trust c.d. interno, affer-
mando che «non sono riconoscibili i trust puramente domestici, privi di
elementi di estraneità: costituiti in Italia, da cittadini italiani e che ab-
biano ivi i loro elementi soggettivi ed oggettivi solo sulla base del pre-
supposto che richiamino, ai fini della regolamentazione, la legge di un
ordinamento che riconosca l’istituto; che, a voler diversamente ragiona-
re, la formazione di un trust retto da legge straniera, quando tutti gli ele-
menti della fattispecie si riferiscono all’ordinamento italiano, potrebbe
rappresentare un abuso della regola normativa che permette la scelta
della legge applicabile, abuso che potrebbe portare alla deroga di dispo-
sizioni imperative del diritto italiano, in particolare a quella prevista dal-
l’articolo 2740 c.c.».
(13) In una sentenza del Tribunale di Lucca del 23 settembre 1997, pub-
blicata in Foro it., 1998, I, 2007 con nota di E. Brunetti, ricorrono le me-
desime considerazioni: il tribunale afferma che «La separazione o, come
si dice più spesso e anche nell’atto in esame, la “segregazione” dei beni dal
patrimonio del loro titolare è dato caratteristico e qualificante di ogni tru-
st, sicché l’art. 2740 e le altre norme invocate precluderebbero l’esistenza
giuridica per il nostro ordinamento di qualsiasi trust, mentre c’è la legge
di ratifica che sancisce il contrario»
(14) Cfr. A. Palazzo, in Pubblicità immobiliare ed opponibilità del trust in
Trust e attività fiduciarie 2002, 338.
(15) Cfr. M. D’Errico in Trust convenzionale in Quaderni del Notariato, n.
7, 2002, cit., il quale propone una chiave di lettura volta a sostenere l’am-
missibilità del trust senza dover necessariamente passare per ipotesi di vio-
lazione del principio previsto dall’art. 2740 c.c. ed a tal fine afferma che
«potrà ritenersi applicabile il principio della separazione dei beni del tru-
st dal patrimonio personale del trustee, purché la fattispecie di trust, con
i suoi elementi e caratteristiche, sia stata preventivamente ricondotta ad
una categoria giuridica compatibile con il nostro ordinamento, nella qua-
le la separazione patrimoniale è connaturale a quella determinata catego-
ria giuridica, ovvero dalla stessa deriva quale effetto specifico: si pensi ad
un inquadramento del trust nella categoria della soggettività di diritto o
dei patrimoni di destinazione. […] Ciò che rileva ai nostri fini è che en-
trambe le categorie conducono alla separazione patrimoniale senza dero-
gare all’articolo 2740 c.c., che riserva alla legge e non all’autonomia pri-
vata il potere di limitare la responsabilità patrimoniale del debitore.»
(16) Lo studioso di diritto continentale, la cui forma mentis è improntata
a sistemi giuridici decisamente schematici e rigorosi, avverte evidenti dif-
ficoltà a classificare e analizzare detto istituto. Esso, infatti, affonda le pro-
prie radici e la propria origine negli ordinamenti di common law, privi del
formalismo e dell’impostazione rigorosa e categorica che caratterizza i si-
stemi di civil law. È stato infatti osservato (Cfr. P. Piccoli, Possibilità opera-
tive del trust nell’ordinamento italiano. L’operatività del trustee dopo la Con-
venzione de l’Aja, in Rivista del notariato, 1995, 40) che il trust, essendo pri-
vo di una definizione univoca disposta per legge, non va considerato co-
me un istituto unico, scomponendosi esso in una serie innumerevole di
modelli applicativi, tutti idonei a integrarne gli elementi strutturali es-
senziali: più che del trust, dunque, sarebbe opportuno parlare di trusts, al
plurale, essendo tale istituto particolarmente flessibile ed elastico. Si ri-
cordano, ad esempio, gli express trusts, costituiti volontariamente e com-
provati per iscritto, i private trusts, costituiti nell’interesse del beneficiario
persona fisica, i charitable trusts costituiti per realizzare un fine specifico di
beneficenza, i constructive trusts, fondati su una decisione giudiziale. Per
una attenta analisi delle varie fattispecie di trust, Cfr. S. Mazzamuto in Il
trust nell’ordinamento italiano dopo la Convenzione de l’Aja”, in Vita not.,
1998, 755.
(17) Cfr. Braun, Trusts interni, in Rivista di dir. civ, 2000, 578 - 590.
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
sponga la previsione di una nuova fattispecie ammessa
alla trascrizione «nei limiti degli istituti presenti negli or-
dinamenti interni». Non manca infatti chi afferma che,
qualora prevalesse l’indirizzo di chi nega la trascrivibilità
del trust nei registri immobiliari, si giungerebbe a vanifi-
care del tutto il valore della ratifica della XV Conven-
zione de l’Aja, che finirebbe per non poter esplicare al-
cun effetto certo ed opponibile nel nostro ordinamento
(18): «in linea generale va pertanto richiamata la consi-
derazione pressoché unanimemente espressa dagli inter-
preti, secondo la quale ove fossero individuati elementi
ostativi» alla trascrivibilità «verrebbe a cadere qualsiasi
effetto al “riconoscimento” che lo Stato italiano ha ope-
rato dell’istituto con la sottoscrizione e successiva ratifi-
ca della Convenzione de l’Aja sopra richiamata atteso
che in assenza di trascrizione il trust non potrebbe trova-
re alcuna applicazione in particolare: i beni non potreb-
bero essere “intestati” al trustee, con quanto ne consegue
in ordine ai poteri di autonoma gestione e disposizione
dei beni oltreché di legittimazione attiva e passiva in
giudizio, ma soprattutto non potrebbe trovare attuazione
poiché inopponibile ai terzi l’effetto della separazione
dei beni in trust da quelli personali del trustee» (19). In
tal senso si ricorda anche l’ordinanza del 10 marzo 2000
del Tribunale di Chieti (20), secondo cui precludere la
trascrizione dei trusts equivarrebbe a vanificare gli effetti
della legge di ratifica (21).
Una simile impostazione, tuttavia, parrebbe violare, se-
condo alcuni, un principio che appariva pacifico, fino a
pochi anni orsono, per dottrina e giurisprudenza mag-
gioritarie, e cioè la tassatività delle ipotesi di trascrizione
previste dal codice civile: «come più volte affermato dal-
la giurisprudenza di legittimità e dalla più autorevole
dottrina, l’elenco degli atti soggetti a trascrizione deve
essere inteso tassativo e non indicativo, sicché ove una
legge speciale […] non ne preveda espressamente la tra-
scrizione, il trasferimento dei beni nel trust non si ritiene
trascrivibile» (22). Risultando, dunque, le ipotesi di tra-
scrivibilità nei registi immobiliari limitate ai soli casi
espressamente previsti dal legislatore, e non sussistendo
alcuna norma di diritto sostanziale interno idonea a le-
gittimare la trascrizione di un vincolo di trust (23), si so-
stiene, da parte di taluni autori, che detto vincolo di tru-
st non risulti ad oggi trascrivibile (24).
Secondo la tesi sostenuta nell’ordinanza, e accolta da
ampia parte della dottrina, tuttavia, gli atti trascrivibili
nei registri immobiliari non sono solo quelli enumerati
dal legislatore nell’art. 2643 c.c., essendo tali previsioni
meramente esemplificative e non tassative (25).
L’ordinanza del Tribunale di Pisa effettua inoltre un ri-
chiamo all’art. 2647 c.c., concernente la trascrivibilità
del vincolo esistente su immobili conferiti in fondo pa-
trimoniale. E sostiene che «la fattispecie sostanziale del
fondo patrimoniale, con la segregazione di alcuni beni e
la successiva possibilità di aggiungerne altri in un vinco-
lo di destinazione […], è estremamente affine a quella
del trust; la sua disciplina pubblicitaria, sebbene meglio
espressa senza la genericità di uno strumento multinazio-
nale, è sostanzialmente corrispondente a quella dell’arti-
colo 12». Sebbene parrebbe pretestuoso negare la simi-
larità delle due fattispecie, pare opportuno osservare tut-
tavia che nel caso del fondo patrimoniale, ricorre una
chiara norma del codice civile, l’art. 2647 c.c., atta a san-
cirne la trascrivibilità. Ciò, almeno secondo parte della
dottrina, sebbene minoritaria, non è altrettanto vero per
le ipotesi di trust: non sussiste infatti per detto negozio al-
cuna norma di diritto interno idonea ad autorizzare det-
ta trascrizione, né tantomeno parrebbe che le norme sul-
la trascrizione possano essere passibili di interpretazione
estensiva analogica (26).
Note:
(18) Cfr. P. Amati e P. Piccoli, Trascritto un immobile in “trust”, in Nota-
riato, 1999, 594
(19) Cfr. Trib. Bologna 28 aprile 2000, in Notariato, 2001, 45-48.
(20) Pubblicata in Trust e attività fiduciarie, 2000, 372 ss..
(21) Cfr. A Gambaro in Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immo-
biliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ., 2002,
257-266, il quale afferma che la segregazione sarebbe «effetto diretto del-
la Convenzione e della legge di ratifica, e non già della formalità della tra-
scrizione». L’Autore pare sostenere insomma la tesi per cui la trascrizione
non servirebbe a rendere efficace la separazione patrimoniale, la quale, al
contrario, rappresenta un effetto naturale del negozio. La trascrizione, al
contrario, servirebbe esclusivamente a rendere opponibile detta segrega-
zione, producendo, dunque, effetti di pubblicità dichiarativa.
(22) Passo tratto dal parere espresso dalla Direzione Compartimentale
del Territorio della Lombardia, in data 19 luglio 1994.
(23) Come visto, infatti, l’art. 12 della Convenzione, non essendo dota-
to dalla forza di norma di diritto sostanziale interno, non parrebbe ido-
neo, secondo parte della dottrina, ad integrare l’art. 2643 c.c. che, come
visto, enumera in maniera tassativa le fattispecie trascrivibili nei registri
immobiliari. Cfr. F Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un
giurista “non vivente” su trust e trascrizione) in Rivista del notariato, LV,
2001, 17-8.
(24) Tuttavia detta tesi, come visto, pare contrastata da numerosi inter-
venti dottrinari e giurisprudenziali. Nella sentenza del Tribunale di Bolo-
gna 28 aprile 2000, in Notariato 2001, 45-48, si afferma che «l’attuale ri-
tenuta ammissibilità della trascrizione di istituti quali le obbligazioni
propter rem ovvero Convenzioni che impongono limiti di natura ammi-
nistrativa, può senza dubbio rappresentare una frattura al principio di tas-
satività sopra richiamato». Allo stesso modo F. Steidl, Trascrizione di atti
attributivi di beni immobili al trustee, in Trust e attività fiduciarie, 2002, 350 -
354, afferma che la detta tassatività «sembra aver perso gran parte delle
propria forza, essendo stata sottoposta a continui attacchi sia dal legisla-
tore sia dalla giurisprudenza, ed è diventata, se così si può dire, quasi un
simbolo, una linea di fronte, per la dottrina civilistica tradizionale, men-
tre ha trovato nel diritto positivo, piaccia o non piaccia, sempre più ec-
cezioni. La prassi giuridica ha condotto ad ammettere, ormai pacifica-
mente, la trascrizione di diritti di natura obbligatoria, relativi a beni im-
mobili ai fini della loro opponibilità». L’autore, nel resto dell’intervento,
ripercorre numerose delle ipotesi dallo stesso interpretate come “eccezio-
ni” alla tassatività delle fattispecie trascrivibili nei registri immobiliari.
(25) Viene dunque superata la posizione accolta in una sentenza della
Corte di Cassazione, la quale, sebbene incidenter tantum, ha affermato che
gli atti trascrivibili ai sensi dell’articolo 2643 c.c. siano da intendersi tas-
sativamente enumerati, esprimendosi la Corte nel senso di «atti da tra-
scrivere secondo l’elencazione tassativa dell’art. 2643 c.c.» Cfr. Cass. civ.,
13 maggio 1982 n. 3001, in Giust. civ., 1982, I, 2697; in Giur. it. 1982, I,
1, 1132.
(26) F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista “ non vi-
vente” su trust e trascrizione), cit., 15, Cfr. in merito quanto sub nota 40.
CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 267
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
Allo stato pare tuttavia prevalere la posizione di chi af-
ferma che «ciò che non ha fatto il legislatore in sede di
coordinamento dei testi legislativi, lo deve fare l’inter-
prete in sede di interpretazione sistematica delle leggi vi-
genti[…]; basta far ricorso al […] criterio per la cui la leg-
ge posteriore abroga e corregge quella anteriore» (27):
detto principio parrebbe dunque idoneo a sancire la tra-
scrivibilità del trust.
(segue) Il trust internazionale
e le modalità di trascrizione
Visto il prevalere della posizione dottrinaria e giurispru-
denziale che afferma la trascrivibilità del vincolo di tru-
st, risulta opportuno uno sforzo di adeguamento, neces-
sario al fine di rinvenire, all’interno del sistema giuridico
interno, indici normativi idonei a legittimare la trascri-
zione del negozio di trust.
Non sembra condivisibile la posizione di chi afferma sus-
sistere un diritto del trustee a trascrivere il negozio ai sen-
si dell’art. 2643, n. 1. c.c. (28), sostenendo che il negozio
sarebbe idoneo a trasferire un vero e proprio diritto di
proprietà, sussumibile nella fattispecie disciplinata dal-
l’art. 832 c.c. (29).
Si ricorda, infatti, che il disposto dell’art. 11 d) Conv.,
stante l’attribuzione al beneficiario di una azione reiper-
secutoria («che la rivendicazione dei beni del trust sia
permessa»), tipica dei diritti in re, suggerirebbe il ricono-
scimento di vero e proprio diritto reale in capo allo stes-
so. Detta considerazione ha opportunamente indotto
parte della dottrina ad affermare che, visto il valore rea-
le dei diritti vantati sia dal trustee che dal beneficiary, il
negozio di trust comporterebbe uno sdoppiamento tra
proprietà sostanziale (equitable estate), che spetterebbe al
beneficiario del trust, e proprietà formale (legal estate),
che spetterebbe, invece, al trustee (30). Questi, infatti,
pur essendo “formale proprietario” dei beni conferiti in
trust, non potrà disporre e godere in maniera piena ed
esclusiva degli stessi (come invece l’art. 832 c.c. preten-
derebbe), costituendo essi un “patrimonio vincolato” a
vantaggio del beneficiario. Specularmente il beneficia-
rio, in quanto “proprietario sostanziale” dei beni conferiti
in trust sarà tutelato, ai sensi dell’art. 11 lettera d) della
Convenzione, con il diritto ad intraprendere una azione
reipersecutoria per il recupero del bene di cui il trustee
abbia eventualmente disposto in maniera difforme dal
programma del settlor. Detta considerazione impedireb-
be di qualificare il diritto attribuito al trustee come dirit-
to sussumibile nel modello di diritto di proprietà di cui
all’art. 832 c.c. e dunque di trascriverlo ai sensi dell’art.
2643 n. 1 c.c..
Alla stregua di quanto appena affermato, non parrebbe
condivisibile la posizione di chi, al fine di rendere oppo-
nibile ai terzi, oltre che il trasferimento di proprietà (31)
dei beni in trust, anche il vincolo di destinazione gra-
vante su detti beni, afferma la sufficienza di una trascri-
zione singola (32). Si osserva infatti come «dall’esame
dell’esperienza fino ad oggi maturata in Italia, l’attribu-
268 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
zione di beni dal settlor al trustee, quando riguardante
immobili o comunque beni le cui vicende sono soggette
a particolari regimi di pubblicità, viene resa opponibile
ai terzi per mezzo di una semplice trascrizione in favore
del soggetto designato come trustee, recante l’espressa
indicazione di tale qualità e la specificazione dei suoi po-
teri, funzionalmente limitati, nel c.d. quadro “D” della
nota di trascrizione» (33). Quand’anche si dovesse pro-
cedere a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 n. 1, detta tra-
scrizione sarebbe infatti idonea ad opporre ai terzi solo ed
esclusivamente il diritto di proprietà attribuito al trustee
con il negozio di trasferimento in trust e non anche il
vincolo di destinazione gravante sui beni. È stato osser-
vato che, qualora si procedesse alla trascrizione del solo
negozio traslativo, senza adeguatamente pubblicizzare il
vincolo di destinazione sui beni conferiti, in tal caso es-
sa darebbe «solo atto di un trasferimento del diritto di
proprietà pieno in favore del trustee, ma senza essere ido-
Note:
(27) Cfr. A. Gambaro, Trusts, diritti reali e trascrizione, scaricabile dal sito
www.il-trust-in-Italia.it. L’Autore in tal modo sostiene l’idoneità dell’art.
12 della Convenzione ad integrare le ipotesi di trascrizione previste dal-
l’art. 2643 c.c. Lo stesso autore, in Notarella in tema di trascrizione degli ac-
quisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, cit., 262,
conferma tale posizione, affermando la prevalenza della convenzione sul-
le norme codicistiche «in base al duplice criterio per cui la legge poste-
riore prevale su quella anteriore, ed a quello per cui la legge speciale, tale
essendo la natura di tutte le norme di diritto convenzionale, prevale sul-
le norme del diritto nazionale comune».
(28) Fra gli altri si ricorda F. Steidl in Trascrizione di atti attributivi di beni
immobili al trustee, cit., 350 - 354 e A. Gambaro, in Notarella in tema di
trascrizione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione
dell’Aja, cit., 257-266.
(29) In base alla sentenza del 17 maggio 1994 Webb c. Webb della Corte
di giustizia (Cfr. L. Ragazzini, Trust “interno” e ordinamento giuridico italia-
no, in Rivista del Notariato, 1999, 283) parte della dottrina è giunta ad af-
fermare che il diritto del trustee andrebbe configurato come vero e proprio
diritto di proprietà, mentre il diritto del beneficiario andrebbe configura-
to come mero diritto obbligatorio al valore del bene (Cfr., in tal senso, A.
Palazzo, Successione trust e fiducia, in Vita not., 1998, 773). Secondo det-
ta impostazione, in altri termini, non sussisterebbe sul bene attribuito al
trustee, alcun vincolo di destinazione di natura reale, in quanto il benefi-
ciary sarebbe tutelato da una mera azione di natura obbligatoria al valore
del bene e non da un’azione di natura reale (Cfr. A. Tonelli, Trascrivibilità
nei registri immobiliari dell’atto costitutivo di trust, in Notariato 2001, 48.).
(30) Cfr. M. D’Errico Trust convenzionale, in Quaderni di Notariato, n. 7,
2002.
(31) Il trasferimento della proprietà al trustee parrebbe non essere ritenu-
to più elemento essenziale alla figura del trust, vista la trascrizione, dispo-
sta dall’ordinanza del Tribunale di Pisa 22 dicembre 2001, di un trust au-
to-dichiarato vale a dire di un trust in cui i ruoli di settlor e trustee sono as-
sunti dalla stessa persona. Tale negozio si caratterizza per la creazione di
un vincolo di destinazione su beni che rimangono del patrimonio del set-
tlor che si autodichiara trustee: Cfr. M. Lupoi I trust interni al vaglio giuris-
dizionale in occasione della trascrizione di un trust auto-dichiarato, in Notaria-
to 2002, 385, in cui si afferma che «il trust auto-dichiarato comporta la se-
gregazione di una posizione soggettiva nel patrimonio del disponente me-
desimo: egli se ne proclama trustee»»
(32) A. Gambaro, in Notarella in tema di trascrizione degli acquisti immobi-
liari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, cit., 257-266.
(33) Cfr.. U. La Porta, Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel
dibattito in materia di trust, in Quaderni di Notariato, n. 7, 2002.
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
neo a conferire rilevanza al vincolo che dovrebbe costi-
tuirsi in capo a quest’ultimo» e che dunque la trascrizio-
ne risulterebbe «sostanzialmente “misleading” e inido-
nea a realizzare gli scopi perseguiti» (34).
In tutti i casi in cui sussiste a carico di un soggetto un li-
mite alla libera disponibilità di un bene facente parte del
suo patrimonio, il sistema pubblicitario, a tutela dei terzi
e della certezza del traffico giuridico, impone un onere di
trascrizione di tali vincoli. Senza detta trascrizione, non
potrebbe infatti essere opposta al terzo acquirente alcuna
limitazione alla libera disponibilità del bene (35). Nelle
ipotesi di conferimento di beni in trust, dunque, affin-
ché, oltre che al trasferimento del diritto di proprietà,
possa risultare effettivamente opponibile ai terzi anche il
suddetto vincolo di destinazione gravante sul bene, par-
rebbe necessario procedere ad una doppia trascrizione
(36): la prima sarebbe infatti finalizzata a garantire l’op-
ponibilità del negozio traslativo del diritto di proprietà a
favore del trustee, la seconda idonea a pubblicizzare e
rendere opponibile il vincolo di destinazione sui beni
gravante a carico del trustee (configurandosi quale tra-
scrizione contro il trustee ed a favore dei soggetti benefi-
ciari del negozio). Un’ipotesi normativa applicabile
estensivamente alla fattispecie in esame sarebbe data, se-
condo la dottrina (37), dalle previsioni codicistiche con-
cernenti la trascrizione del pignoramento, essendo esse
finalizzate ad «evitare che un eventuale atto di disposi-
zione posto in essere dal proprietario debitore possa pre-
giudicare le proprie ragioni di credito relativamente al
bene gravato dalla formalità pignoratizia». Si ricorda,
inoltre, una ulteriore ipotesi di vincolo di destinazione
trascrivibile e, se trascritto, opponibile ai terzi. Si fa rife-
rimento alla fattispecie della cessione dei beni ai credi-
tori, idonea a generare un vincolo di indisponibilità dei
beni, opponibile agli aventi causa del debitore cedente
solo previa trascrizione (38). Un autorevole studioso
della materia ha affermato che in simile ipotesi oggetto
della trascrizione «è il vincolo di indisponibilità che na-
sce a carico del debitore, si esaurisce all’interno del suo
patrimonio e gioca un ruolo decisivo nei confronti degli
aventi causa» (39). Il che parrebbe configurare in capo
al debitore cedente la medesima posizione giuridica rive-
stita dal trustee, il quale è gravato da un vincolo di indi-
sponibilità su beni pur facenti formalmente parte del suo
patrimonio. Detto vincolo, solo a seguito della trascri-
zione, risulterà opponibile ai suoi aventi causa.
Sembra dunque sufficientemente dimostrato che il no-
stro sistema pubblicitario pretenda, ai fini dell’opponibi-
lità dei vincoli di destinazione, la trascrizione degli stessi
e che, dunque, nel caso del trust, un atto di trascrizione
singola ai sensi dell’art. 2643 n. 1, non parrebbe adegua-
to a garantire la piena opponibilità degli effetti traslativi
e segregativi.
Tuttavia, va ribadito che, sebbene dette chiavi interpre-
tative siano particolarmente convincenti, esse non paio-
no superare il limite, delineato in precedenza, della tas-
satività delle ipotesi trascrivibili nei registri immobiliari.
Detta tassatività, difatti, legittima la pubblicizzazione del
vincolo di destinazione per le sole ipotesi previste dal le-
gislatore (40), ipotesi che parte della dottrina ritiene
non passibili di interpretazione estensiva o analogica.
(41).
In tale sede, dunque, nonostante detti interessanti spun-
ti di riflessione, sarebbe consigliabile e decisiva come op-
portunamente osservato (42), l’emanazione di una no-
vella al codice, così come avvenuto in tema di trascrizio-
ne del contratto preliminare, che sancisse a chiare lette-
re la trascrivibilità del vincolo di destinazione derivante
dal trust favorendo la piena operatività dello stesso.
Il trust c.d. interno
Dopo una breve analisi di due dei principali piani di di-
scussione in dottrina e giurisprudenza in merito alla figu-
ra del trust internazionale, pare opportuno concentrare
l’attenzione sulla figura oggetto dell’ordinanza del 22 di-
cembre 2001 del Tribunale di Pisa.
Una prassi invalsa a seguito della ratifica della Conven-
zione, ha favorito la costituzione, oltre che di trusts inter-
nazionali, anche di trusts posti in essere da cittadini ita-
liani, residenti in Italia, su beni siti nel nostro territorio, a
favore di beneficiari italiani e residenti in Italia; negozi,
cioè, in cui l’unico elemento transfrontaliero è dato dalla
legge scelta dal settlor per regolare il negozio. Detta scelta,
operata, ai sensi dell’art. 6 Conv., cade naturalmente sul-
la normativa degli ordinamenti che conoscono e discipli-
nano compiutamente l’istituto in questione (quale, ad
esempio, nella netta preponderanza dei casi, la legge in-
glese). La prevalenza di elementi di fattispecie “interni” o
Note:
(34) Cfr. P. Schlesinger, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano in Qua-
derni di Notariato, n. 7, 2002.
(35) Salvo che non si provi che l’acquirente fosse venuto per altre vie a
conoscenza del vincolo di indisponibilità.
(36) Cfr. U. La Porta, Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel
dibattito in materia di trust, in Quaderni di Notariato, n. 7, 2002, cit.
(37) Cfr. U. La Porta, Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel
dibattito in materia di trust, in Quaderni di Notariato, n. 7, 2002.
(38) Cfr. U. Natoli, R. Ferrucci, Della tutela dei diritti: trascrizione: prove,
Torino, 1959, 146-7.
(39) Cfr F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, II ed., tomo I, in Codice ci-
vile commentato a cura di P. Schlesinger, Milano, 1998, 172.
(40) Cfr F. Gazzoni, La trascrizione immobiliare, cit. Tra le altre fattispe-
cie si ricordano il fondo patrimoniale, e le convenzioni matrimoniali ai
sensi dell’art. 2647 c.c., la cessione dei beni ai creditori, il credito pi-
gnoratizio.
(41) Cfr F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osservazioni di un giurista
“non vivente” su trust e trascrizione), cit., 15 il quale, in merito, propone
un’efficace metafora, affermando che «il sistema della trascrizione è come
una scacchiera su cui possono muoversi solo i pezzi degli scacchi, con le
loro tipiche mosse […] L’opera del diritto vivente, volta a tipizzare social-
mente un determinato istituto e quindi a dargli una qualche sia pur ten-
denziale certezza, non può, per quanto riguarda la trascrizione, svolgere
ruolo alcuno, a prescindere, appunto, dalla riconducibilità dell’atto (o dei
suoi effetti) ad uno dei pezzi della scacchiera».
(42) Cfr. P. Schlesinger, Una novella per il trust, in Notariato 2001, 337.
CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 269
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
“maggiormente connessi” all’ordinamento italiano ha in-
dotto dottrina (43) e giurisprudenza (44) a definire detti
trusts come “interni” o “domestici” (45).
L’ordinanza del Tribunale di Pisa, pur riconoscendo le
difficoltà di adeguamento del trust c.d. interno al diritto
sostanziale italiano, giunge comunque ad affermarne la
riconoscibilità nel nostro ordinamento. La conclusione,
forse sbrigativa, del Tribunale, non pare confortata dai
pur opportuni chiarimenti circa nodi e problematiche
che numerosi interventi dottrinari hanno individuato
come elementi ostativi a detta riconoscibilità. Il giudice
toscano si limita infatti ad affermare che «In effetti sono
palesi le difficoltà di coordinamento e di armonizzazione
con parecchie norme di leggi italiane […] ma queste dif-
ficoltà si riproducono in relazione a qualsiasi trust e così
l’argomento che se ne vuol trarre, anziché dimostrare l’i-
nammissibilità di una fattispecie singolare, finisce con
l’annullare se stesso ponendosi in totale conflitto con la
norma di legge e relega l’asserita singolarità nell’ambito
di una mera suggestione».
L’analisi delle problematiche di diritto sostanziale con-
cernenti l’esame della compatibilità del trust c.d. interno
con il diritto italiano indurrebbe, come infra esposto, ad
esprimere qualche perplessità in merito alla soluzione ac-
colta dal Tribunale.
Il trust c.d. interno: dottrina e giurisprudenza
favorevoli al riconoscimento
La dottrina che ha affermato e sostenuto l’ammissibilità
e l’efficacia del negozio di trust c.d. interno (46), si è av-
valsa, soprattutto, dei risultati derivanti dall’interpreta-
zione sistematica degli artt. 6 e 13 della Convenzione.
L’art. 6 Conv. prevede, infatti, il principio della libera
scelta della legge regolatrice del trust da parte del dispo-
nente: «il trust è regolato dalla legge scelta dal costituen-
te»: sarebbe ben possibile, dunque, secondo detto indi-
rizzo, che la libertà di scelta sancita dall’articolo in esa-
me, legittimi anche il cittadino di un ordinamento non-
trust a costituire un negozio regolato dalla legge di un or-
dinamento-trust, pur in assenza di ulteriori e differenti
elementi di connessione con ordinamenti esteri.
L’art. 13 Conv. dispone, invece, che «Nessuno Stato è
tenuto a riconoscere un trust i cui elementi importanti,
ad eccezione della scelta della legge da applicare, del luo-
go di amministrazione e della residenza abituale del tru-
stee, sono più strettamente connessi a Stati che non pre-
vedono l’istituto del trust o la categoria del trust in que-
stione». I sostenitori dell’indirizzo in esame affermano
che «l’articolo 13 non è una norma che sancisca un di-
vieto» di riconoscimento «immediatamente applicabile
agli Stati aderenti che non prevedono il trust» (47) Si af-
ferma, infatti, che l’art. 13 andrebbe interpretato in
stretta correlazione con «il successivo art. 15 in ordine ai
limiti di riconoscimento, da ritenersi invalicabili quando
gli effetti prodotti dalla istituzione di un trust deroghino
materie che la Convenzione stessa ritiene inderogabili».
Qualora non dovesse essere derogata alcuna delle norme
270 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
imperative richiamate dall’art. 15, detta dottrina ritiene
non sussistere alcun limite al riconoscimento di un trust
c.d. interno, ribadendo, al contrario, che «nel nostro or-
dinamento non esiste alcuna norma di divieto di istitu-
zione dei trust, ma, al contrario, può affermarsi in via ge-
nerale che, nell’esercizio della autonomia che la legge ri-
serva alla persona, essa può agire liberamente».
In sintesi la facoltà di scelta della legge regolatrice per il
costituente, disposta dall’art. 6 Conv., e la pretesa facoltà
di riconoscimento del cosiddetto trust c.d. interno dispo-
sta dall’art. 13 Conv., confermerebbero, seconda detta
dottrina, l’ammissibilità dei trusts in cui tutti gli elemen-
ti, salvo il richiamo alla legge straniera, siano interni al
nostro ordinamento.
Si tenta di corroborare tale tesi evidenziando che in fase
di stesura ed elaborazione del testo della Convenzione
era stata prevista dalla Conferenza una norma che, ex-
pressis verbis, vietava il riconoscimento dei trust domesti-
ci negli Stati cosiddetti non-trust, qualora gli elementi
più rilevanti del negozio fossero stati maggiormente con-
nessi con ordinamenti che non prevedano detta figura
negoziale. La mancata inclusione di tale divieto nella re-
dazione del testo definitivo confermerebbe la piena ope-
ratività nel nostro ordinamento delle figure di trust c.d.
interno (48).
Note:
(43) Cfr., fra gli altri, L. Ragazzini, Trust “interno” e ordinamento giuridico
italiano, in Rivista del notariato, 1999, 295 e F .Gazzoni, in Manuale di dirit-
to privato, 2001, Napoli, 959.
(44) Cfr. Trib. Bologna 28 aprile 2000, in Notariato 2001, 45 ss..
(45) M. Lupoi, nella sua opera, Trusts, 2001, Milano, opera una distin-
zione fra trust c.d. interno in cui “elementi soggettivi e obiettivi” sono «lega-
ti a un ordinamento che non qualifica lo specifico rapporto quale trust
(nel senso accolto dalla Convenzione) mentre esso è regolato da una leg-
ge straniera che gli attribuisce quella qualificazione»e trust di diritto in-
terno, «Un trust cioè sottoposto alla legge italiana», ipotesi analizzata da
G. Palermo in Autonomia negoziale e fiducia (breve saggio sulla libertà delle
forme) in Studi in onore di Pietro Rescigno, 1998, Milano, 339 ss. secondo
cui l’autonomia contrattuale sarebbe idonea a istituire un negozio di tru-
st di diritto interno richiamandosi semplicemente all’art. 1322 c.c..
(46) Cfr., primo fra tutti, M. Lupoi, in Trusts, Milano, 2001, 546-7.
(47) Cfr. F. Steidl, Prassi italiana in materia di pubblicità societaria, in Trusts
e attività fiduciarie, 2000, 130 ss. L’espressione “nessuno Stato è tenuto a ri-
conoscere”, secondo quanto sostenuto da detta dottrina, non si tradurreb-
be, nell’ipotesi di trust c.d. interno, in un divieto di riconoscimento. Al
contrario, detta locuzione parrebbe esclusivamente idonea a sostenere
l’assenza di un obbligo in tal senso, che verrebbe a tradursi in una vera e
propria facoltà di riconoscimento. Cfr. anche M. Lupoi, Trusts, 2001, Mi-
lano, 533-4: «Il primo obiettivo delle cinque delegazioni civiliste fu quel-
lo di negare il riconoscimento del trust qualora esso riguardi beni posti in
uno Stato che non consce il trust ovvero qualora disponente e beneficia-
rii avessero la nazionalità e la residenza in Stati che non conoscono il tru-
st […]. Questa proposta di divieto di riconoscimento si scontrò con l’o-
rientamento generale, che preferiva l’enunciazione di casi rispetto ai qua-
li si ammettesse la facoltà di negare il riconoscimento […]». L’Autore ri-
corda come in sede redazionale prevalse quest’ultima soluzione, inserita,
nella numerazione finale, all’art. 13 Conv..
(48) Cfr. M. Lupoi, Riflessioni comparatistiche sui trusts, in Europa e dir.
priv., 1998, 438 e S. M. Carbone, Autonomia privata, scelta della legge rego-
latrice del trust nella Convenzione de l’Aja del 1985, in Riv. dir. internaz. priv.
proc., 1999, 780.
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
Ancora, si afferma, la previsione dell’art. 13 Conv., se-
condo cui non sussiste alcun obbligo di riconoscimento
dei trusts «i cui elementi importanti siano più stretta-
mente connessi a stati che non prevedono l’istituto»,
potrebbe costituire esclusivamente un presupposto ido-
neo a legittimare gli ordinamenti non trust a circoscrive-
re l’estensione della supposta facoltà di riconoscimento.
A tal fine, si riterrebbe tuttavia necessaria l’emanazione
di norme interne idonee ad operare in tal senso. Si affer-
ma, in altri termini, che «l’Italia avrebbe potuto riser-
varsi il diritto di applicare le disposizioni del capitolo III,
quelle cioè sul riconoscimento, ai trust la cui validità è
regolata dalla legge di uno stato contraente, in confor-
mità a quanto previsto dall’art. 21 (49) della Conven-
zione» (50). L’assenza di esplicite norme restrittive della
facoltà di riconoscimento, varrebbe invece ad ulterior-
mente confermare la riconoscibilità, nel nostro ordina-
mento, pure dei trust il cui solo elemento connesso agli
ordinamenti stranieri sia dato dalla legge richiamata ai
sensi dell’art. 6 Conv.: parrebbe, infatti, che l’Italia, non
avendo previsto alcuna restrizione ai sensi dell’art. 21
Conv., si sia impegnata a “riconoscere i trusts in via ge-
nerale” (51).
Nell’ordinanza del Tribunale di Pisa, sulla scia dell’indi-
rizzo dottrinario appena citato, pur essendo la fattispecie
in esame caratterizzata da una netta preponderanza di
elementi interni all’ordinamento italiano, si afferma che
«questo specifico trust deve considerarsi “riconosciuto”
in Italia, in virtù di quell’unico ma espansivo elemento
di estraneità all’ordinamento italiano che è rappresenta-
to dal richiamo alla legge inglese». Parte della dottrina
sostiene infatti, che «qualora ci si trovi innanzi ad una
Convenzione di diritto uniforme relativa alle norme di
diritto internazionale privato riferite ad obbligazioni
contrattuali, la scelta della legge applicabile è normal-
mente consentita a prescindere dalla cosiddetta interna-
zionalità del rapporto» (52), quand’anche la fattispecie
dovesse essere carente di ulteriori elementi di connessio-
ne internazionalprivatistica (53). E ancora: «l’indivi-
duazione della legge che disciplina il trust non sarebbe,
pertanto, logicamente e cronologicamente successiva al-
l’accertamento dell’esistenza di caratteri di internaziona-
lità della fattispecie concreta, che anzi non sono ritenu-
ti più necessari per l’applicazione della Convenzione, ma
diventerebbe essa stessa presupposto per l’applicazione
della Convenzione, sempre che la scelta ricada necessa-
riamente su una legge straniera. Tale diversa prospettiva
è destinata ad incidere sulla portata da riconoscersi alla
Convenzione, che non si limiterebbe alla risoluzione dei
conflitti di legge nello spazio, ma finirebbe col legittima-
re la importazione di strumenti giuridici stranieri negli
ordinamenti interni» (54) pur in assenza di reali ele-
menti di collegamento internazionalprivatistico.
D’altronde, è stato osservato che potrebbero ricorrere
elementi di contrarietà all’art. 3 della Costituzione ita-
liana nel caso in cui, da una parte, si dovessero ricono-
scere trusts costituiti da stranieri su beni siti in Italia e re-
golati da legge straniera che contempla il trust, e dall’al-
tra si dovesse invece negare la riconoscibilità di un trust
costituito da un cittadino italiano in presenza delle stes-
se condizioni (55).
In posizione intermedia si pongono, invece, quegli auto-
ri che pur ammettendo la legittimità del trust c.d. interno,
pretendono tuttavia che la scelta della legge chiamata a
regolare il negozio ai sensi dell’art. 6 avvenga in buona
fede e sia sostenuta da motivi ragionevoli. Qualora inve-
ce detta scelta dovesse essere effettuata al solo fine di sot-
trarre abusivamente i beni oggetto del negozio alle dispo-
sizioni che sarebbero ad essi applicabili secondo il nor-
male funzionamento della lex fori, detto riconoscimento
non potrebbe operare (56). Tale indirizzo è confermato
anche dalla pronuncia del Tribunale di Bologna., sez. I,
28 aprile 2000 (57), secondo cui «si applica inoltre la
Convenzione dell’Aja ai “Trusts” interni la cui eventua-
le non riconoscibilità da parte dei giudici del foro dipen-
derà esclusivamente dalla contrarietà del singolo atto al-
le norme imperative o di ordine pubblico ma non da un
generico potere dei giudici chiamati al riconoscimento,
di non riconoscere tout court il singolo atto».
Il trust c.d. interno: dottrina e giurisprudenza
contrarie alla riconoscibilità
Le posizioni appena riassunte non sono tuttavia condivi-
se da alcuni esponenti della dottrina e da parte della giu-
risprudenza, che, al contrario, sostengono l’inammissibi-
lità di una figura di trust c.d. interno.
Un indirizzo dottrinario (58), ormai minoritario (59), ha
Note:
(49) L’art. 21 riconosce il diritto di ogni Stato contraente di riconoscere
solo i trusts regolati dalla legge degli Stati contraenti prescelti.
(50) Cfr. Braun, Trusts interni, cit., 2000, 581.
(51) Cfr. Braun, Trusts interni, cit., 2000, 581.
(52) Cfr. S. M. Carbone, Autonomia privata, scelta della legge regolatrice del
trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione de l’Aja del 1985, cit.,
777-778.
(53) Cfr. S.M. Carbone - R. Luzzatto, voce Obbligazione VI) Diritto inter-
nazionale privato e processuale: obbligazioni da contratto in Enc. giur. XXI,
Roma 1990.
(54) Cfr. S. Mazzamuto, Il trust nell’ordinamento italiano dopo la Conven-
zione de l’Aja, in Vita not., 1998, 757.
(55) Cfr. M. Lupoi, Legittimità dei trust interni, in I trust in Italia oggi, Mila-
no, 1996. a cura di I. Benvenuti, 29 ss..
(56) Cfr. in questo senso S. M. Carbone, Autonomia privata, scelta della
legge regolatrice del trust e riconoscimento dei suoi effetti nella Convenzione de
l’Aja del 1985, cit. 780 e Luzzatto, “Legge applicabile” e “riconoscimento” di
trust secondo la Convenzione de l’Aja del 1985, in Riv. dir, internaz. priv.
proc., 1999, 782.
(57) Pubblicata in Notariato 2001, 45 ss.
(58) Cfr. G. Broggini, Il trust nel diritto internazionale privato italiano, in Jus
1997, 11; cfr. Castronovo, Il trust e “sostiene Lupoi”, in Europa e dir. priv.,
1998, 441.
(59) Tuttavia, nonostante il sostanziale isolamento di tale tesi, vanno
ricordati taluni autorevoli interventi che, talvolta con vis fortemente
(segue)
CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 271
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
infatti sottolineato che le leggi internazionalprivatisti-
che, fra cui la XV Convenzione internazionale de l’Aja
va annoverata, svolgono il compito principale di regola-
re potenziali conflitti di legge nello spazio. Lo stesso
preambolo della Convenzione esplicita che gli Stati fir-
matari «hanno convenuto di stabilire disposizioni comu-
ni relative alla legge applicabile al trust e di risolvere i
problemi più importanti relativi al suo riconoscimento».
Il che sembra suggerire, secondo detto indirizzo, che la
valenza della Convezione non sia quella di introdurre l’i-
stituto del trust nell’ordinamento italiano come istituto
fruibile in ipotesi purely internal, prive cioè di reali nessi
di connessione internazionalprivatistica (60); parrebbe,
invece, che il testo convenzionale sia solo ed esclusiva-
mente finalizzato a favorire l’operatività dei trusts con-
nessi con ordinamenti che regolano tale istituto anche
negli ordinamenti che non lo prevedano (61).
Si sottolinea che, qualora non dovesse sussistere alcun
potenziale conflitto di leggi nello spazio, non potrebbero
essere applicati i principi di diritto internazionale priva-
to, dovendo il negozio di trust essere regolato secondo la
legge del foro (62). Diretta conseguenza di tale conside-
razione sarebbe, dunque, l’impossibilità di conoscere un
trust che abbia nell’ordinamento italiano «il suo centro
di gravità perché ivi sono localizzati in misura preponde-
rante i beni, perché ivi ha residenza il fiduciario o perché
ivi ha sede l’amministrazione dei beni» (63).
Concordemente, altra parte della dottrina sottolinea
che la scelta della legge applicabile presupporrebbe una
fattispecie che postuli per lo meno «l’esistenza di un isti-
tuto con collegamenti plurinazionali, ed elementi di
estraneità, di (potenziale) conflitto”, mentre “venendo
meno la multinazionalità della materia, non può che
scomparire anche l’esigenza di doversi richiamare alle ri-
cordate regole di diritto internazionale» (64). In que-
st’ottica numerose sentenze della Cassazione e autorevo-
li indirizzi dottrinari (65) sostengono «il principio della
necessaria presenza di elementi di estraneità per l’appli-
cazione del diritto internazionale privato», in quanto
dette norme «intervengono per disciplinare fattispecie
in cui sussistono elementi di estraneità e, quindi, per di-
rimere conflitti tra diverse legislazioni» (66).
Broggini (67), in tema di trusts interni, contenenti un
mero richiamo della legge straniera ai sensi dell’art. 6
Conv., ha affermato di non condividere «un simile uso
dello strumento di scelta del diritto applicabile, di fronte
ad una fattispecie che non presenti collegamenti territo-
riali o personali con diversi ordinamenti giuridici. Lo
strumento della scelta del diritto applicabile, come tutti
gli strumenti di determinazione del diritto applicabile,
presuppone l’esistenza di una fattispecie con collega-
menti plurinazionali o internazionali che dir si voglia
[…]. Nel sistema internazionalprivatistico, la scelta del
diritto applicabile diverso da quello al quale tutti gli ele-
menti della fattispecie fanno riferimento, rappresenta un
abuso della legge, cioè un abuso della regola che permet-
ta la scelta del diritto applicabile.» (68).
272 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
Alla luce di simili considerazioni, gli stessi Autori hanno
espresso forti perplessità in merito a fattispecie, come
quella oggetto dell’ordinanza del Tribunale di Pisa del 22
dicembre 2001, in cui, salvo l’espresso richiamo della
legge straniera chiamata a regolare il negozio di trust,
non sussistano ulteriori reali elementi di connessione ad
ordinamenti che disciplinino tale istituto. Non manca,
infatti, chi evidenzia l’ostacolo imposto all’ammissibilità
di una simile figura dall’art. 13 della Convenzione. Det-
to articolo, pur se caratterizzato da un dettato involuto
(69), dispone, infatti, che «Nessuno Stato è tenuto a ri-
conoscere un trust i cui elementi importanti, ad eccezio-
ne della scelta della legge da applicare, del luogo di am-
ministrazione e della residenza abituale del trustee, sono
più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’i-
Note:
(segue nota 59)
polemica, contestano la stroncatura della posizione espressa da Broggini,
sottolineando la metagiuridicità dei motivi addotti per negare rilevanza a
detto indirizzo. Parafrasando con una punta ironica la stroncatura che
Lupoi nella sua opera Trusts, 2001, Milano, 523, ha “inflitto” alla tesi di
Broggini, Nuzzo, in E luce fu sul regime fiscale del trust, in Banca borsa e
tit.cred., 2002, I, 248 afferma «Basta con le obiezioni, specie se non nuo-
ve e non più proponibili perché gia proposte e già espressamente rifiuta-
te. Rifiutate perché non buone. E non buone perché non sono piaciute.
E se non sono piaciute, a nulle serve ribadirne la fondatezza e generale ac-
cettazione: sono e restano meno buone, a prescindere».
(60) Cfr. A. Gambaro, che in Notarella in tema di trascrizione degli acquisti
immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, in Riv. dir. civ.
2002, II, 257-266 afferma che «si impinge nell’ovvio» se si afferma che
«la Convenzione in sé non riguarda i trusts puramente interni».
(61) Cfr. A. Gambaro che nel suo intervento Notarella in tema di trascri-
zione degli acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione del-
l’Aja, cit., afferma che le osservazioni riportate nella Notarella si appunta-
no esclusivamente sui trusts internazionali, «gli unici della cui disciplina
mi sento moralmente responsabile», affermando, indirettamente, che la
stessa Convenzione sia stata concepita al fine di regolare unicamente ta-
le fattispecie e non invece la fattispecie di trust c.d. interno.
(62) Cfr. Braun Trust interni; cit., 578
(63) Cfr. Braun Trust interni, cit. 578.
(64) Cfr. Nuzzo, E luce fu sul trattamento fiscale del trust, cit., 249.
(65) Cfr. Picone, La riforma italiana del diritto internazionale privato, Padova
1998, 4 ss.; T. Ballarino, Diritto internazionale privato, Padova, 1996, 77 ss.
(66) Cfr. Nuzzo, E luce fu sul regime fiscale del trust, cit., 248, nota 14.
(67) Cfr. G. Broggini in Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, cit.
411.
(68) Cfr., contra, A. Gambaro, che in Notarella in tema di trascrizione degli
acquisti immobiliari del trustee ai sensi della XV Convenzione dell’Aja, cit.
258, afferma che «non è esatto che la XV Convenzione dell’Aja per es-
sere applicata necessita di un conflitto tra norme di diversi ordinamenti e
non è quindi essa stessa fonte di diritto interno italiano […]. Se con ciò si
vuol dire, come il contesto fa temere, che la Convenzione non può dero-
gare alle norme di diritto interno ed al massimo può prevedere che nel ca-
so di conflitto con altre norme straniere si applichino queste ultime a pre-
ferenza delle prime, allora ciò indica che la Convenzione non la si è nem-
meno letta.».
(69) È stato giustamente osservato che ampia parte delle disquisizioni in
materia di ammissibilità di trust “domestico” dipendono dall’interpretazio-
ne che viene data a quella norma: una formula meno involuta avrebbe di
certo eliminato molte delle discussioni in materia. Cfr. S. Mazzamuto, Il
trust nell’ordinamento italiano dopo la Convenzione de l’Aja, cit., 758.
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
stituto del trust o la categoria del trust in questione». Gli
Stati non trust non sarebbero cioè tenuti a riconoscere
un negozio istituivo di trust qualora manchino reali nes-
si di collegamento con ordinamenti in cui tale figura sia
prevista (70). Ai sensi dell’art. 13 della Convenzione, la
legge da applicare, il luogo di amministrazione e la residenza
abituale del trustee non rappresentano infatti elementi
sufficienti ad integrare un valido nesso di connessione
per l’insorgere dell’obbligo di riconoscimento. In altri
termini, quand’anche tali tre elementi fossero maggior-
mente connessi ad uno Stato in cui il trust sia regolato
(qualora, ad esempio, la legge scelta per regolare l’istituto
o la residenza abituale del trustee o il luogo di amministrazio-
ne dei beni siano inglesi), tuttavia, secondo la lettura
dell’art. 13 Conv. offerta dalla dottrina in esame, non
sussisterebbe a carico degli Stati-non trust alcun obbligo
di riconoscimento del negozio (71). L’ipotesi del trust
c.d. interno rientra a pieno titolo nelle fattispecie deli-
neate dall’articolo 13 della Convenzione: essa infatti è
caratterizzata da un trust i cui «elementi importanti, ad
eccezione della scelta della legge da applicare […], sono
più strettamente connessi a Stati che non prevedono l’i-
stituto del trust o la categoria del trust in questione».
Stando dunque all’art. 13 ed alla lettura che parte della
dottrina ne ha proposto, non sussisterebbe, per le ipotesi
in esame, alcun obbligo di riconoscimento.
Si è sostenuto (72), in tal senso, che «dagli articoli 1-11
e 13 si ricava con sufficiente chiarezza che si è voluto
evitare che il trust possa essere utilizzato nella pienezza
del suo significato in paesi che non conoscono la figura;
sicché in Italia esso risulta oggi ammesso nei limiti del-
l’articolo 14, ossia quando si tratti di un “express fund”
genericamente creato in un Paese che conosca e disci-
plini il tipo di trust in questione».
La Convenzione, in buona sostanza, secondo quanto af-
fermato da altra autorevole dottrina (73), non avrebbe
la forza di “norma di diritto sostanziale uniforme”, non sa-
rebbe cioè idonea a modificare il diritto sostanziale in-
terno al nostro ordinamento (74). Detto presupposto
parrebbe invece necessario per affermare la libera e pie-
na fruibilità dell’istituto del trust anche da parte dei cit-
tadini italiani, in ipotesi di trusts carenti di elementi atti
a fondare una valida connessione internazionalprivati-
stica. (75).
Il trust c.d. interno ed il nostro sistema giuridico:
la causa fiduciae
Come autorevolmente sostenuto (76) non pare dubbio
che il trust c.d. interno possa essere considerato come ne-
gozio lecito e meritevole di tutela, essendo le finalità per-
seguibili per mezzo di detto istituto generalmente perse-
guite attraverso contratti tipici diversi ed espressamente
regolati dal legislatore.
Si osserva opportunamente, tuttavia, che detta conside-
razione non pare sufficiente a sancire, allo stato della le-
gislazione, l’operatività del trust c.d. interno nel nostro
ordinamento. L’atipicità strutturale dell’istituto, pur leci-
to nelle sue finalità, indurrebbe, infatti, a negarne la ri-
conoscibilità nel nostro sistema, almeno fino al momen-
to in cui il legislatore non lo abbia espressamente disci-
plinato.
Le caratteristiche che contraddistinguono il trust sono
infatti in primis l’unilateralità dello stesso, in quanto, det-
to negozio viene generalmente costituito attraverso una
disposizione unilaterale del costituente: affinché il nego-
zio possa dirsi perfezionato, non sembrerebbe infatti ne-
cessaria, alcuna accettazione da parte del trustee destina-
tario. Altra caratteristica tipica del trust è data dalla rea-
lità degli effetti che lo stesso è idoneo a produrre. Si evi-
denzia, infine, l’effetto segregativo dell’attribuzione in
trust, per cui i beni conferiti, sebbene entrino a far parte
del patrimonio del trustee, non possono essere aggrediti
dai creditori dello stesso. Va dunque riconosciuto che
«non c’è nulla che non sia lecito nel configurare un atto
unilaterale, ed efficacia esclusivamente reale, che deter-
mini l’attribuzione di beni ad un trustee, ma in patrimo-
nio “separato” di quest’ultimo. Si tratta di negozi perfet-
tamente leciti che possono essere realizzati senza la vio-
lazione di una regola o principio ostativo» (77).
Viste tali premesse, risulta comunque necessario uno
sforzo di adeguamento, al fine di ricostruire l’istituto in
Note:
(70) Cfr. R. Lenzi, Operatività del trust in Italia, in Rivista del notariato,
1995, 1379 ss.
(71) È stato osservato (Cfr. R. Lenzi, Operatività del trust in Italia, cit.,
1379 ss.) che la lettura a contrario dell’art. 13 porterebbe ad affermare,
specularmente, che basterebbe che anche solo uno degli elementi impor-
tanti del trust sia connesso con l’ordinamento di uno Stato - trust perché
l’obbligo di riconoscimento sorga anche in un ordinamento non trust. In
via esemplificativa: nel caso di trust regolato da legge straniera, in base ad
un richiamo effettuato ex art. 6 Conv., costituito in Italia, su beni italia-
ni, a favore di un beneficiario italiano, sussisterebbe un obbligo di rico-
noscimento qualora la costituzione venisse effettuata da parte di un settlor
straniero, essendo la cittadinanza del disponente un elemento di connes-
sione sufficiente a giustificare detto obbligo. Diversa sarebbe la conclu-
sione se, nella suddetta ipotesi, il settlor dovesse essere italiano: in tal ca-
so, venendo meno il criterio di collegamento internazionalprivatistico, il
trust sarebbe privo di elementi di connessione rilevanti ai sensi dell’art. 13
Conv.. Nella seconda ipotesi, infatti, pur ricorrendo la scelta di una legge
straniera, chiamata a regolare il negozio, tale elemento, come disposto
dall’art. 13 Conv., non è ritenuto sufficiente a fondare alcun obbligo di ri-
conoscimento per gli Stati non trust. Detto secondo esempio integra pe-
raltro in pieno la fattispecie oggetto dell’ordinanza, e parrebbe conferma-
re, in tal modo, la tesi di chi nega che nel caso sussista un obbligo di rico-
noscimento.
(72) Cfr. G. Vettori, voce Opponibilità,, in Enc. dir., 1999.
(73) Cfr. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, cit, 959; Cfr. anche P. Re-
scigno, Notazioni a chiusura di un seminario sul trust, in Europa e dir. priv.,
1998, 457.
(74) Cfr. M. D’Errico Trust convenzionale, in Quaderni di Notariato, n. 7,
2002.
(75) Cfr. G. Broggini, Trust e fiducia nel diritto internazionale privato, cit.,
407 ss.
(76) Cfr. P. Schlesinger, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in Qua-
derni di Notariato, n. 7, 2002.
(77) Cfr. P Schlesinger, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in Qua-
derni di Notariato, n. 7, 2002.
CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 273
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI
esame secondo le categorie della nostra tradizione giuri-
dica e, soprattutto, al fine di identificare un valido sup-
porto causale al negozio di trasferimento del bene in tru-
st. Tutti gli istituti caratterizzati dalle tre qualificazioni
sopra enunciate (unilateralità, realità e segregazione) so-
no stati strutturati dal codificatore, nel rispetto della tra-
dizione giuridica, come negozi causali, venga ad essere la
causa donativa o sinallagmatica. Il trust interno, tuttavia,
non sembra sussumibile in nessuna delle due citate cate-
gorie: da una parte si rileva infatti l’assenza di una chiara
liberalità (78) e dall’altra la carenza di una corrispettività
delle prestazioni.
La causa fiduciae, parrebbe, ictu oculi, idonea a integrare e
completare lo schema negoziale tipico del trust. Il nego-
zio fiduciario «si sostanzia nell’utilizzo di uno schema ne-
goziale tipico (es.:una compravendita), palese a tutti e
un accordo accessorio, stipulato tra le parti e non nella
medesima contestualità documentale, inteso a corregge-
re gli effetti del primo atto, la cui efficacia tuttavia è vo-
luta» (79). In altri termini «i poteri che vengono attri-
buiti ad un soggetto attraverso un negozio (con effetti
reali […]) di trasferimento del diritto vengono limitati,
tra le parti, attraverso un negozio (con effetti obbligato-
ri), con il quale colui che è divenuto titolare dei diritti
trasferitigli si impegna ad esercitarli per il soddisfacimen-
to di determinati interessi del trasferente o di un terzo»
(80) Un simile congegno negoziale varrebbe a generare
un vincolo di destinazione sui beni trasferiti. Detto vin-
colo sarebbe idoneo a favorire il ritrasferimento, ovvero
ad ottenere la destinazione e l’impiego di detti beni per
un fine determinato.
Il trust c.d. interno potrebbe, in altri termini, essere rico-
struito attraverso la combinazione di due negozi collega-
ti: il primo negozio consisterebbe nel trasferimento del
bene, il secondo in un patto fiduciario fra settlor e trustee,
finalizzato a vincolare quest’ultimo a gestire il bene se-
condo il programma predisposto dal disponente ed a ri-
trasferirlo ai beneficiaries da esso designati. Tale secondo
patto, tuttavia, assume, nel negozio fiduciario, efficacia
meramente obbligatoria ed è valevole esclusivamente
inter partes. Qualora il soggetto cui fosse stato intestato
fiduciariamente l’immobile lo alienasse, violando il pat-
to sottostante, il fiduciante potrebbe esclusivamente ot-
tenere il risarcimento dei danni derivante dalla violazio-
ne del pactum fiduciae, senza poter agire contro i terzi ac-
quirenti. Il pactum fiduciae risulta, in altre parole, inop-
ponibile ai terzi (81).
Al contrario, come visto, il trust opera attraverso la co-
stituzione di un vincolo di destinazione di natura reale,
vantabile erga omnes. L’elemento che maggiormente dif-
ferenzia l’istituto in esame dai negozi fiduciari, dunque,
pare concretarsi nell’opponibilità ai terzi del vincolo gra-
vante sui beni conferiti.
Il trust c.d. interno non sembra dunque poter essere rite-
nuto negozio a causa fiduciae, stante, in primo luogo, l’i-
nidoneità dei negozi fiduciari ad attribuire al pactum, po-
sto a fondamento del rapporto fiduciario, rilevanza op-
274 CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003
ponibile a soggetti terzi, e, considerata, in secondo luogo,
l’inadeguatezza della fiducia a valere come valida causa
del negozio (82).
L’ostacolo principale alla piena ammissibilità del trust
c.d. interno nel nostro ordinamento pare dunque concre-
tarsi nella sua astrattezza causale: esso non parrebbe in-
fatti sussumibile in nessuno degli schemi causali tipici
previsti dal nostro ordinamento.
(continua) Il trust c.d. interno
e la destinazione dei beni allo scopo
In un interessante intervento dottrinario (83) si è osser-
vato, che «il trasferimento, in sé considerato» può «fa-
cilmente convivere con qualunque causa negoziale che,
per attuarsi, ha bisogno dell’effetto traslativo.[…]».
L’Autore si richiama allo schema negoziale della desti-
nazione dei beni ad uno scopo, cui il trust pare apparte-
nere, vista la funzionalizzazione del trasferimento dei
beni al perseguimento di un determinato fine. Si affer-
ma in tal senso che in detto negozio «l’effetto traslativo
che pure si produce in conseguenza della disposizione
patrimoniale, non può risolversi in un acquisto definiti-
vo e finale, per il destinatario dell’attribuzione patrimo-
niale, ma si deve sostanziare in un’investitura patrimo-
niale dell’attributario “funzionale” rispetto alla causa
concreta del negozio di attribuzione». In altri termini,
nell’atto con il quale vengono trasferite le attività la
causa dovrebbe rinvenirsi nella stessa destinazione dei
beni al perseguimento di uno scopo (84). Un esempio
ricondotto dall’Autore a tale schema negoziale è il ne-
gozio di cessione del credito in garanzia: in detta ipotesi
Note:
(78) Cfr. M. Lupoi, I trust interni al vaglio giurisdizionale in occasione della
trascrizione di un trust auto-dichiarato, in Notariato, 2002, 388, in cui si af-
ferma che «il trustee riceve una posizione soggettiva dal disponente per la
specifica finalità della segregazione e quindi per non confonderla nel pro-
prio patrimonio […]: il quantum di ricchezza incorporato nei beni in tru-
st non appartiene al trustee. Questa affermazione, corrente fra gli scritto-
ri inglesi, comporta che il trustee non si arricchisca sotto alcun punto di
vista».
(79) Cfr. D. Minussi, La causa, Napoli, 2002, opera multimediale: pagina
“Il negozio fiduciario”, cit.
(80) Cfr. Mirabelli, Commentario al codice civile, Libro IV, Torino, 1980,
36.
(81) Cfr. G. Vettori, voce Opponibilità, in Enc. dir., 1999, 8 in cui si affer-
ma che «per quanto riguarda gli immobili l’opponibilità non potrà che es-
sere risolta dall’art. 2644 per gli atti elencati all’art. 2643 ove non vi è
menzione del pactum fiduciae». Conforme anche Bianca, Diritto civile,
Vol. III, Milano, 2000, 673.
(82) Cfr. Santoro-Passarelli, Dottrine generale del diritto civile, Napoli,
1967, 181, il quale afferma che il pactum fiduciae rappresenta solo il moti-
vo dell’attribuzione e il motivo, proprio perché irrilevante (salvo ovvia-
mente il ricorso ad elementi accidentali quali termine o condizione) non
può assurgere né ad elemento opponibile ai terzi, né parrebbe idoneo a
“contaminare” la causa del negozio traslativo.
(83) Cfr.. U. La Porta, Cause traslative, autonomia privata ed opponibilità nel
dibattito in materia di trust, in Quaderni del Notariato, 2002, n. 7.
(84) CFr. anche De Donato - D’Errico, Trust convenzionale, Lineamenti di
teoria e di pratica, Roma, 1999, 149.
 OPINIONI•TUTELA DEI DIRITTI

non essendo il diritto di credito ceduto per arricchire il re “l’ammissibilità e la rilevanza” di un simile negozio, pre-
cessionario, ma al solo fine di garantirlo, i poteri allo vedendone conseguenze e modalità pubblicitarie (88).
stesso attribuiti non saranno identici a quelli spettanti
al creditore definitivo e finale, ma saranno limitati in
funzione della soddisfazione del credito. L’Autore tenta
in tal modo di dimostrare l’esistenza di fattispecie in cui
il trasferimento non avverrebbe né a titolo oneroso, né
gratuito, bensì secondo schemi causali atipici, funziona-
li alla realizzazione degli interessi perseguiti attraverso il
negozio.
Allo stesso modo di un qualsiasi altro negozio di destina-
zione, il trust non sarebbe esclusivamente idoneo a pro-
durre un mero effetto traslativo, essendo bensì finalizza-
to ad investire l’attributario della situazione soggettiva de
qua, al solo scopo di amministrare i beni conferiti al fine
di raggiungere obiettivi favorevoli per i finali destinata-
ri. La struttura causale del negozio di destinazione dei be-
ni allo scopo, dunque, parrebbe idonea a conformare i
poteri attribuiti al trustee, che verranno a concretarsi
esclusivamente in quelli necessari al perseguimento del-
lo scopo dell’attribuzione. Applicando al trust c.d. inter-
no le norme che disciplinano gli istituti caratterizzati da
destinazione dei beni allo scopo verrebbe dunque garan-
tita, secondo l’Autore, la compatibilità del negozio con
il nostro diritto interno.
Tale conclusione desta tuttavia qualche perplessità.
Non pare superfluo ricordare infatti come ampia parte
della dottrina abbia affermato l’inestensibilità analogica,
ad altre fattispecie, delle norme che determinano la de-
stinazione dei beni allo scopo, stante l’indiscussa ecce-
zionalità delle disposizioni in esame (85).
Inoltre, va ricordato che non sembra ammissibile nel
nostro ordinamento un negozio in cui il vincolo di de-
stinazione, possa valere come elemento causale opponi-
bile ai terzi, in quanto una simile struttura negoziale im-
plicherebbe una «arbitraria e non consentita astrazione
parziale della causa del negozio tipico»: una donazione
o una disposizione di ultima volontà gravate da un vin-
colo di destinazione di tal sorta ad efficacia reale non
paiono possibili, poiché la funzione cui sarebbero piega-
Note:
ti tali negozi dall’apposizione di detto vincolo, «sarebbe
incompatibile con la causa propria di ciascuno di essi» (85) Cfr. Protetti, Persone fisiche e giuridiche, in Commentario al codice civi-
le, a cura di De Martino, Novara, 1971, 308; Bianca, Diritto civile, vol. 1,
(86). Milano, 1990, 314.
(86) Cfr. M. C. Diener, Il contratto in generale - Manuale e applicazioni pra-
Conclusioni tiche delle lezioni di Guido Capozzi, Milano, 2002, 95-6.
Nonostante i già enunciati sforzi di adeguamento, vista (87) Non paiono dunque condivisibili, stando a tale posizione dottrina-
l’atipicità dell’istituto del trust, sebbene detto negozio le, le osservazioni di G. Palermo, in Autonomia negoziale e fiducia (breve
paia assolutamente lecito, esso non pare liberamente at- saggio sulla libertà delle forme) in Studi in onore di Pietro Rescigno, Milano,
tuabile dalla volontà privata (87). Allo stato della legi- 1998, 339 ss. secondo cui l’autonomia contrattuale sarebbe idonea a isti-
tuire un negozio di trust di diritto interno richiamandosi semplicemente
slazione, stante l’assenza nel nostro ordinamento di una all’art. 1322 c.c..
figura generale di “atto traslativo astratto” - nota invece al
(88) Cfr. P. Schlesinger, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano in Qua-
diritto romano ed al diritto tedesco -, detto negozio ati- derni di Notariato n. 7, 2002 F. Gazzoni, Tentativo dell’impossibile (osserva-
pico non dovrebbe trovare spazio nell’ambito concesso zioni di un giurista “non vivente” su trust e trascrizione), cit, 36, in cui si ri-
dall’ordinamento all’autonomia privata. corda che la Francia, prima della ratifica, vuole regolamentare il trust at-
traverso una disciplina di diritto interno; allo stesso modo i Paesi Bassi
Il trust c.d. interno, a conclusione, potrà trovare piena hanno accompagnato la legge di ratifica con normative di diritto sostan-
cittadinanza nel diritto italiano solo previo intervento ziale interno volte a regolare i rapporti tra trust, proprietà e tutela dei cre-
del legislatore attraverso cui lo stesso giunga a riconosce- ditori ed ad adeguare detto istituto con le normative pubblicitarie.

CORRIERE GIURIDICO N. 2/2003 275