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Per noi invece che lo abbiamo amato, e che lo amiamo, e abbiamo avvertito
in lui una forza immensa proveniente dall’applicazione dei precetti evangelici,
questa scarsa attenzione alle qualità di Emiliano è diventata la conferma
che il suo ricordo andava perpetuato. Nella dimensione in cui Emiliano
si trova, le glorie terrene non contano, ed infatti noi il libro non lo abbiamo G. Leodori A. M. Faccenda
In cammino
scritto per Lui, ma per chi dovrebbe ricordarlo ed imitarlo per quanto
possibile e per coloro che pur non avendolo conosciuto possano comprendere
che si può ancora vivere in armonia con il mondo, con la natura,
con Emiliano
con i fratelli e con il Signore. “Alzo gli occhi verso i monti ...”
a cura di
Anna Maria Faccenda
Giampiero Leodori
"Alzo gli occhi verso i monti...”
In cammino con Emiliano
a cura di
Anna Maria Faccenda
Giampiero Leodori
Gruppo amici di Emiliano Pirani
“Alzo gli occhi verso i monti...”
In cammino con Emiliano
a cura di Giampiero Leodori, Anna Maria Faccenda,
Capita qualche volta nella vita di rendersi conto di conoscere una persona
speciale, che si distingue da tutte le altre per una straordinaria “normalità”,
non inquinata da quanto ci inquina, non attratta da quanto ci attrae,
che segue con rigore la sua strada luminosa senza mai scendere a compromessi
e senza cercare scorciatoie per arrivare ai risultati magari in maniera scorretta.
Emiliano Pirani, morto a soli 33 anni nel 1994, ha profondamente colpito
molte delle persone che lo hanno conosciuto per il suo stile discreto
e silenzioso aderente agli insegnamenti evangelici e basato su quelle virtù
umane fondamentali che sembrano non essere più di moda. Una persona
eccezionalmente normale o normalmente eccezionale che ha lasciato
un segno profondo in chi lo ha conosciuto.
E’ signiicativo che moltissimi lo ricordino per delle qualità umane
rarissime. Emiliano non ha fatto in tempo “a fare rumore”, non si è imposto
in campo sociale , non ha raggiunto mete professionali, non è sceso
a compromesso con le negatività del tempo in cui è vissuto, tanto che
qualcuno potrebbe meravigliarsi, e forse si è meravigliato, che abbiamo
voluto compiere la fatica di scrivere questo libro.
Per noi invece che lo abbiamo amato, e che lo amiamo, e abbiamo avvertito
in lui una forza immensa proveniente dall’applicazione dei precetti evangelici,
questa scarsa attenzione alle qualità di Emiliano è diventata la conferma
che il suo ricordo andava perpetuato.
Nella dimensione in cui Emiliano si trova, le glorie terrene non contano,
ed infatti noi il libro non lo abbiamo scritto per Lui, ma per chi dovrebbe
ricordarlo ed imitarlo per quanto possibile e per coloro che pur non avendolo
conosciuto possano comprendere che si può ancora vivere in armonia
con il mondo, con la natura, con i fratelli e con il Signore.
LA SUA VITA
PARTIAMO DALLA FINE...CHE FINE NON È
11
parte prima
nulla, di non saper più bene che cosa avesse fatto, pensato, che aspetto avesse,
di cosa si interessasse e così via. Un percorso più o meno rapido verso il nulla,
il disfacimento della memoria.
E paradossalmente chi la combina grossa , chi fa danni, chi si impone
all’attenzione per la sua negatività, resta ben scolpito nella memoria, come
chi segua solo i suoi interessi o il suo tornaconto ma in qualche modo stimoli
la curiosità morbosa della gente. Chi invece vive silenziosamente mettendo
in pratica splendide virtù umane e cristiane, sembra destinato a sparire nel
vuoto.
Don Riccardo Fontana, che deiniamo solo con il “don” per entrare
nello spirito semplice di Emiliano,anche se ormai da un ventennio è un
arcivescovo, di Spoleto prima e di Arezzo poi, con tutte le sue forze ha voluto
recuperare l’antichissima chiesa e fondare una Comunità viva ed in linea con
l’insegnamento del Vangelo e sa bene che tra i tanti giovani passati in quegli
ambienti Emiliano è forse l’unico per cui non appare esagerato pensare a
caratteristiche di santità . Lo dice e lo ripete , in punta di piedi certo, ma lo
dice. Sarà il tempo che darà qualche indicazione in proposito, ma Emiliano,
lì dove si trova, si sforza di sperare che a nessuno mai venga in mente di dire
che lui sia stato un santo. Nasce subito il desiderio di ricordare Emiliano con
un libro , di creare una fondazione a suo nome raccogliendo dei fondi e si
inizia anche con il progetto che si arena presto. Ma i fondi raccolti in nome
di Emiliano iniranno nelle iniziative della Comunità, nella “opzione per i
poveri” che distingue il Patto Associativo. Saranno quindi fondi impiegati
in carità operosa. Poi però passa l’emozione del momento, la vita personale di
tutti prende il sopravvento ed Emiliano si ritrova in secondo piano. E’ nella
normale logica delle cose.
12
la sua vita
13
parte prima
nostri peccati ed è salito in croce per noi. Mentre davo il sacramento dell’Unzione
ad Emiliano, non inchiodato su una croce di legno ma conitto di tubi, di sensori
e di aghi sul lettino della rianimazione, ho avuto la sensazione di aver davanti il
crociisso che manca dalla croce grande della nostra Chiesa, là sull’altare.
O Signore , questo giovane fratello ci ha insegnato a vedere il tuo volto in croce
in ogni uomo che sofre e a fare tutto il possibile per alleviarne le soferenze.
Con quanto volontariato, con quanti servizi, con quale scelta a favore degli ultimi
Emiliano ha onorato il suo nome di cristiano! Ecco il suo testamento: la carità
ad ogni costo, una carità umile e discreta, rispettosa degli altri e sempre pronta
a far vedere nel cammino di questo mondo il volto di Cristo che è resuscitato
e ci precede in Galilea, per aprire la strada a tutti noi, al di là delle nostre
complicazioni, delle nostre vigliaccherie e delle nostre pigrizie. Ecco la via
per ritrovare la vita: i poveri, i malati, gli emarginati, i bambini, i vecchi,
le persone sole e abbandonate. Salutiamo il più misericordioso dei nostri amici
e lo ringraziamo per averci fatto vedere il volto di Gesù nel nostro tempo.
Di lui possiamo ripetere le parole che la Lettera agli Ebrei dice di Gesù stesso:
“Pertransit benefaciendo”. Dobbiamo riconoscere con umiltà questa mattina,
che abbiamo incontrato una imitazione assai fedele di Cristo nell’amico che
salutiamo nel Signore.
Noi crediamo nello Spirito Santo che è Signore e da la vita. Ci è stato donato e
che mille volte abbiamo visto agire in noi quando abbiamo ritrovato la voglia di
far bene, la fame e la sete della giustizia.
Nel ricordo di un’amicizia che non teme la morte, celebriamo l’amor di Dio
che tutto vince e cui nulla potrà separarci, neppure un incidente stradale orribile,
neppure una settimana di agonia, neppure lo spettro della morte. Onoriamo
quindi lo Spirito che da la vita: di fronte a questo nostro fratello che porta i segni
della lotta contro il male nessuno dubiti che egli è vivo nel Signore, al di là del
male e della morte. Raccogliamo invece in questa chiesa stamane lo Spirito del
coinvolgimento e della disponibilità, che ha animato Emiliano in tutto il suo
percorso terreno. Credo nella remissione dei peccati. Lasciamogli fare stamane
il suo ultimo “passa fuoco”, perché la luce della fede accenda e illumini tutti
e lo Spirito Santo di Dio, ci muova a conversione, perché questo esempio che
ci è stato dato non passi invano tra i suoi amici. Noi crediamo che la vita è
un’avventura nella foresta incantata, dove mille e mille sono le prove e ardue le
diicoltà. Dove come oro nel crogiuolo occorre far risplendere le nostre virtù.
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la sua vita
Uscendo da questa chiesa vogliamo riprendere il percorso sul sentiero della vita,
con maggiore coraggio e fede in Dio. Nulla è impossibile a chi si ida di Lui.
Raccogliendo il testimone lasciato in terra dall’uomo delle beatitudini che
salutiamo nella fede, afrettiamo il passo per percorrere bene la frazione della
stafetta che ci è dato di correre. Una stafetta verso una meta certa e sicura,
quando fatta la nostra parte in difesa della giustizia e della pace, a servizio
degli umili, cavalieri senza macchia e senza paura, arriveremo anche noi sotto le
mura di Gerusalemme. E’ l’ultima volta che invochiamo San Giorgio davanti ad
Emiliano: passi a noi un coraggio ancor più forte di lottare contro il drago.
Noi crediamo nella comunione dei santi. D’ora in poi non riusciremo
più a dimenticare che una parte della Chiesa è qui in mezzo a noi e ci chiede
coinvolgimento e collaborazione; ma una parte, la parte migliore, è già sugli spalti
di Gerusalemme, dove pur da lontano speriamo di incontrare il nostro fratello
Emiliano. La nostra pigrizia ci frena ma tutti promettiamo oggi davanti a questo
amico che parte, di afrettare il passo: sappiamo che ci aspetta. Insieme e la parola
che abbiamo promesso negli anni verdi della generosità.
Noi crediamo nella resurrezione della carne, questo corpo fragile e amato
del nostro amico che tra poco aideremo alla terra non andrà perduto , ma i
nostri occhi lo contempleranno ancora e per questo lottiamo per “i cieli nuovi”
e “la terra nuova” che il Signore ci ha promesso. E’ la vita eterna. E’ la gran
festa a cui il Signore ci invita sul monte della rivelazione al termine del percorso,
che ci conduce fuori dalla meschinità e dal compromesso, fuori dal male e
dall’ingiustizia e ci fa recuperare un volto umano che Dio ha impresso nel cuore di
tutti noi. Nei momenti dello scoraggiamento e del buio della prova noi ci ideremo
di Dio. Con Lui questa mattina rinnoviamo il nostro patto personale di amicizia.
Il Vangelo delle Beatitudini con cui abbiamo celebrato questo Commiato sia la
norma a cui ispirare da ora in poi la nostra vita.
Con questa fede salutiamo stamani Emiliano e riprendiamo il percorso della
preghiera, aidando a Dio il nostro fratello dopo la grande tribolazione che ce lo
ha strappato. Se ancora qualche imperfezione oscurasse la santità che abbiamo
visto risplendere sul suo volto voglia il Signore misericordioso non tenerne conto
per dare al suo servo fedele il premio in cui ha sperato e creduto per tutta la vita.
Amen.
DON RICCARDO
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parte prima
Quel giorno la scelta delle letture e dei canti per la messa fu più che mai
curata ed ancora oggi le une e gli altri hanno molto da dirci.
Salmo 23
Il buon pastore
[1] Salmo. Di Davide.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
[2] su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
[3] Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
[4] Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
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la sua vita
17
parte prima
CANTI
Canto d’ingresso
I Cieli narrano
I cieli narrano la gloria di Dio
e il irmamento annunzia l’opera sua,
Alleluja, alleluja, alleluja, alleluja!
Il giorno al giorno ne aida il messaggio,
la notte alla notte ne trasmette notizia;
non è linguaggio, non sono parole
di cui non si oda il suono.
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la sua vita
Canto ofertorio
Canto Comunione
Salmo 95
T.: Lodate, lodate, lodate il Signore!
Cantate, cantate, cantate il suo nome.
1 Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, voi tutti del mondo.
2 Parlate e annunciate
19
parte prima
Canto Comunione
Cantate Domino
Cantate Domino
Canticum novum
Cantate Deo
Omnis terra.
Sit nomen Domini benedictum
Ex hoc nunc et usque
In saeculum.
Propheta magnus
Surrexit nobis
Deus visitavit
Plebem suam
Et erexit cornum
Salutis nobis
In domo David
Pueri sui.
Canto inale
20
la sua vita
Insieme
Insieme abbiam marciato un dì
per strade non battute,
insieme abbiam raccolto un ior
sull’orlo di una rupe.
Canto d’uscita
In Exitu
In exitu Israel de terra Aegypti
Judea facta est santiicatio Eius,
Dominus memor nostri
Et benedixit nobis
Et benedixit omnibus
Qui timent dominum.
21
parte prima
Noi che siamo soggetti alla signoria del tempo , vogliamo legare le nostre
attività a delle scadenze o delle ricorrenze. E’ forse un’astrazione legata a
fattori culturali o psicologici. Ci muoviamo perché il 12 novembre 2014 è la
data che rappresenta il ventennale della morte di Emiliano Pirani. In realtà
ci saremmo potuti muovere prima o anche dopo…l’importante è muoverci.
Ma vale la pena scrivere un libro per raccontare una storia che nelle linee
essenziali è molto semplice , per non dire banale? Non si rischia forse di
impiegare energie per trattare dell’ovvio? E’ questa la grande scommessa,
quella di riuscire a dimostrare che accanto alle imprese che costellano le vite
degli uomini, c’è un vissuto quotidiano, che fornisce esempio, indicazione di
uno stile per essere attivi nei confronti della realtà, senza subire tutto ciò che
ci tocca. E per riuscire in una operazione simile, il compito dello “scrittore”
o degli “scrittori”, come in questo caso, è semplicemente quello di chi cura
l’operazione coordinandola. Si utilizza l’archivio della memoria personale
e degli altri amici, cercando di organizzare un discorso consequenziale,
sperando di non correre il rischio di personalizzare oltre misura lo sforzo. Si
tratta di fare un servizio alla Verità con la “V” maiuscola, senza presunzione
e con l’intento di recuperare valori e modi di essere che possano fare del
“bene” , un concetto che pare veramente astruso oggi. Oggi si agisce per
tornaconto e chi dice di agire per altruismo non è mai creduto, si ritiene che
certamente nasconda qualcosa, ed è diicile arrivare ad ammettere che agisca
gratuitamente. Insomma con la scrittura di questo libro si vuole imitare
Emiliano che in gran segreto operava, senza nessuna tentazione di rivelare
al mondo che lui si muovesse solo per il desiderio di essere utile a qualcuno
che fosse in oggettiva diicoltà. Per cui questi “scrittori” non partono per
un viaggio organizzato dai contorni delineati, ma si fanno condurre dalla
corrente dei ricordi e delle valutazioni degli altri, per nulla preoccupati del
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la sua vita
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parte prima
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la sua vita
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parte prima
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la sua vita
ed inoltre “guidava la macchina”) e questo potrebbe essere stato uno dei fattori
che hanno inluito positivamente nella sua formazione, nell’approccio con un
mondo più ampio rispetto alla propria realtà domestica che, essendo una casa
rurale, doveva risultare (per un bimbo al di otto dei sei anni) abbastanza isolata
ed isolante; inoltre una maestra giovane, di quei tempi, poteva fare veramente la
diferenza; infatti ricordando la mia maestra (anche lei una giovane leva
dell’insegnamento) posso dire che generalmente i giovani insegnanti dell’epoca
adottavano un metodo che, seppure rispettoso delle regole, delle tradizioni e che
imponeva agli alunni una ferrea disciplina, era completamente diverso da quello
usato dalle insegnanti più anziane: più partecipato, aperto alle innovazioni, che
cercava di stimolare la curiosità dei ragazzi verso il mondo e, per quanto possibile,
verso le materie di studio (“la storia” diventava la narrazione di fatti avventurosi
e a noi scolari venivano fatti realizzare, a seconda del periodo studiato, caverne
in creta, castelli medievali in cartone e compensato; “la geograia” diventava il
racconto di un viaggio fatto o da fare; per “l’italiano”, oltre alla teoria, venivano
dati da leggere e riassumere tanti libri d’avventura; in “matematica” venivano
organizzate le “gare delle tabelline” in cui vinceva un piccolo premio chi
rispondeva esattamente per primo; a “scienze” seguivamo la crescita di un chicco
di grano piantato nell’ovatta umida dentro un barattolo di vetro, poi messo al
buio in un armadio; ecc.);
Emiliano, avendo la mamma Lina che veniva da Jesi, avrà chiaramente
frequentato, andando a trovare i nonni, la “città” e questo gli avrà dato
un’apertura mentale e una capacità di rapportarsi con gli altri, maggiori rispetto
a chi, all’epoca, nasceva e rimaneva isolato in campagna;
Jesi all’epoca era proprio bella; mi chiedo se è la nostalgia dei tempi andati
e di un’infanzia serena che me la fa ricordare così; certo! Forse anche questo,
però, obiettivamente, ricordo che tutto era pulito e ordinato; i “grandi” anche se
sconosciuti ti rimproveravano bonariamente se facevi qualcosa che non doveva
essere fatto; tutto funzionava; c’era nell’aria un senso civico di appartenenza, un
desiderio di partecipare al bene collettivo, si percepiva desiderio di educazione e
rispetto per le cose e per gli altri. Del resto, io non me ne rendevo conto, ma tutto
ciò era il normale desiderio di rinascita dopo una guerra inita solo pochi anni
prima, tant’è che a scuola, accanto alla carta geograica, c’era anche la carta con
disegnati i vari tipi di bomba e la raccomandazione di non toccarla, semmai
qualcuno ne avesse trovata una, in mezzo ai campi. Avevo scoperto la biblioteca
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parte prima
comunale, all’interno del medievale Palazzo della Signoria, con il suo ambiente
importante ma caldo e accogliente (pavimenti e pareti/scafalature tutte in legno,
con i grandi tavoli di lettura ricoperti in cristallo, i inestroni per la luce) e lì
potevo leggere, gratuitamente, tutti i libri che volevo e che non avevo; gli zampilli
delle fontane funzionavano e le stesse non erano insozzate o rotte ed al loro
interno potevo guardare i pesci rossi che nuotavano: che spettacolo! A sette anni
si poteva tranquillamente andare a scuola e girare per la città da soli e, poi, le
partite di calcio con gli amici in strada, le battaglie a “scartoccetti”, i giochi “a
nascondino”;
A proposito della salute malferma di Giuseppe e del suo desiderio di trasferirsi
altrove, c’è da dire che il territorio dove si trova la casa colonica dei Pirani ha
attorno un panorama bellissimo, fatto di colline dolci che sembrano formare un
enorme giardino pezzato di diversi colori ma è, comunque, una terra dove è duro
vivere perché, essendo vicina al iume, è soggetta alle sue piene (non frequentissime
ma ogni tanto ci sono) e trovandosi in una vallata relativamente stretta, il clima
è sempre umido (ricordo inverni in cui al mattino, per la nebbia, a Jesi non si
vedeva ad un paio di metri di distanza) e poi ci sono le zanzare; non a caso a Jesi,
il cui centro storico è stato costruito su due colline, in mezzo alla vallata, le case
della parte bassa, quella più vicina al iume, storicamente sono sempre state quelle
di minor pregio;
Una curiosità: anche nell’inverno del 1961 ci fu una nevicata memorabile
e nelle case, sia in quelle coloniche che in quelle “normali” di città (almeno la
mia, quelle dei miei nonni e degli altri parenti), il riscaldamento era in una
sola stanza, con il camino o con la “stufa economica”; per andare a letto prima si
metteva il “prete” che conteneva il braciere, chiamato “monniga”, così il “prete” e
la “monaca” andavano a letto insieme e lo scaldavano!?! La mattina, per lavarsi,
si doveva mettere la “borsa dell’acqua calda”, riempita con l’acqua della “stufa
economica”, sulle tubature dell’acqua, che erano interne alla casa ma esterne al
muro, per non farle ghiacciare.
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la sua vita
poi, sposandosi con un operaio di città (il mio nonno falegname e tecnico delle
trebbiatrici), ha vissuto tutto il resto della sua vita a Jesi; pertanto, grazie ai suoi
racconti ed alla frequentazione dei parenti da parte della sua famiglia di origine
(miei zii) ho potuto farmi un’idea di quel tipo di mondo.
Nella zona era difusa la mezzadria che, pur avendo avuto tanti meriti nel
futuro sviluppo economico, anche industriale, della regione, contribuendo a creare
una mentalità che, con tutti i suoi limiti, poteva essere deinita imprenditoriale:
infatti il contadino mezzadro (a diferenza del bracciante cui veniva garantito
esclusivamente un tetto ed il cibo, indipendentemente dalla resa del suo lavoro)
aveva un guadagno che era proporzionato ai ricavi dell’attività svolta e questo lo
aveva abituato a mettere in relazione l’impegno profuso con la resa dell’attività
svolta e, conseguentemente, con il ricavo economico che andava ad ottenere;
la mezzadria, dicevo, pur avendo avuto degli indubbi meriti, era organizzata
comunque su una rigida struttura di tipo quasi feudale.
Il “padrone” (discendente di qualche famiglia nobile dello Stato Pontiicio
oppure della nuova aristocrazia e/o nobiltà creata da Napoleone), proprietario
di molti terreni non necessariamente contigui, viveva in genere a Roma e
suddivideva i propri possedimenti in tanti piccoli lotti di qualche ettaro ciascuno,
ognuno con la relativa casa colonica, e li aidava, singolarmente, in regime di
mezzadria appunto, ad una famiglia contadina di sua scelta e/o su consiglio del
“fattore”.
Il “fattore” che era la igura intermedia tra le diverse famiglie contadine, cui
erano stati aidati i vari terreni, ed il “padrone” di cui era il iduciario, non
lavorava personalmente la terra ma rappresentava l’occhio e, soprattutto, gli
interessi di quest’ultimo, oltre che i suoi (certo!); infatti era, sì, un suo dipendente
ma poteva contare sul fatto che il “padrone”, generalmente, poco si intendesse
ed interessasse degli aspetti tecnici della produzione agricola, a quest’ultimo
interessava soprattutto ricevere i soldi che gli erano dovuti e non avere troppi
problemi; inoltre il “fattore”, sapendo leggere, scrivere, far di conto ed avendo
l’autorità delegatagli dal “padrone”, si trovava su un piano predominante
rispetto al mezzadro che, essendo poco acculturato, poteva contare solo sulla
sua astuzia per cercare di difendere i propri interessi ed aumentare il proprio
proitto (“contadino: scarpe grosse e cervello ino” recitava il detto popolare). Mi
raccontava mia nonna che, nella casa della sua infanzia, quando doveva venire il
“fattore” per i conti periodici, c’era un rito che prevedeva la macellazione
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parte prima
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la sua vita
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parte prima
Veramente bello questo racconto che regala ai tanti lettori cittadini poetiche
immagini di un mondo che ormai non c’è più ma che ha fortemente
contribuito a plasmare la personalità di Emiliano.
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la sua vita
LA GRANDE CITTÀ
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parte prima
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la sua vita
Nessuno dica mai a chi ha perduto un grande afetto che anche nel dolore
ci sono delle positività, che la prova tempra. Il dolore è dolore e non c’è
valida consolazione , ma c’è la percezione che si debba comunque andare
avanti, che la vita vada impostata nel ricordo di chi non c’è più ma con nuove
frequentazioni e nuovi stimoli.
Emiliano, ancora alla scuole medie, riparte e vive una esperienza che ne
plasmerà profondamente la personalità: lo scoutismo.
Nella Parrocchia di S. Eugenio, molto vicina alla casa di via Gramsci, c’è un
Reparto scout dell’AGESCI molto attivo, il Roma 1.
Per il tredicenne Emiliano è una splendida occasione di crescere secondo
valori che gli sono molto congeniali. C’è un preciso modello educativo dietro
alla impostazione scout, basato sulle attività pratiche, che si fanno all’aria
aperta imparando.
Un boy scout cura con la frequentazione del reparto la formazione del
carattere, l’abilità manuale, la salute e la forza isica, il servizio al prossimo.
E’ un percorso ben riassunto dalla Promessa “ Con l’aiuto di Dio prometto
sul mio onore di fare del mio meglio: -per compiere il mio dovere verso Dio e verso
il mio paese;-per aiutare gli altri in ogni circostanza;-per osservare la Legge scout.”
Questa Legge è un decalogo che recita:
La Guida e lo Scout
1) pongono il loro onore sul meritare iducia;
2) sono leali;
3) si rendono utili e aiutano gli altri;
4) sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida o Scout;
5) sono cortesi;
6) amano e rispettano la natura;
7) sanno ubbidire;
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parte prima
Romani, 8
La vita secondo lo Spirito
1
Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. 2Perché la legge
dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.
3
Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso
possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo
del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, 4perché la giustizia della Legge fosse
compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.
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la sua vita
5
Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che
vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. 6Ora, la carne tende alla morte,
mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. 7Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché
non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. 8Quelli che si lasciano dominare
dalla carne non possono piacere a Dio.
9
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito
di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se
Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se
lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo
dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri
carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate
morire le opere del corpo, vivrete. 14Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio,
questi sono igli di Dio. 15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende igli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:
«Abbà! Padre!». 16Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo igli di Dio. 17E
se siamo igli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte
alle sue soferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Speranza della gloria futura
18
Ritengo infatti che le soferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria
futura che sarà rivelata in noi. 19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso
la rivelazione dei igli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per
sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta - nella speranza 21che anche la stessa
creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei
igli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e sofre le doglie del parto
ino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo
interiormente aspettando l’adozione a igli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza
infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti,
ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo
attendiamo con perseveranza.
26
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti
come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; 27e
colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo
i disegni di Dio.
28
Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che
ono stati chiamati secondo il suo disegno. 29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto,
li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il
primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che
ha chiamato, li ha anche giustiicati; quelli che ha giustiicato, li ha anche gloriicati.
Inno all’amore di Dio
31
Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Egli, che
37
parte prima
non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse
ogni cosa insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui
che giustiica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e
intercede per noi!
35
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame,
la nudità, il pericolo, la spada? 36Come sta scritto:
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello.
37
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. 38Io sono
infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né
potenze, 39né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di
Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.
17
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli
domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse:
38
la sua vita
«Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo
padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate in dalla mia
giovinezza». 21Allora Gesù issò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’,
vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste
parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
“Penso che in questo brano del Vangelo ci sia dentro il discorso della chiamata
di Dio e quindi dell’esser pronti in relazione anche al discorso sul servizio. Devo
dire prima di tutto che questo passo mi ha toccato veramente tanto in quanto mi
sono specchiato in quel tale che riiuta di seguire Cristo pur di non donare i suoi
beni. Purtroppo questa non prontezza spesso assale anche me e mi fa mancare
di servizio verso gli altri. Ma soprattutto la mia mancanza di prontezza è
rivolta principalmente verso le chiamate di Dio alle quali mi trovo veramente
impreparato. Penso che in certi casi sia colpa della mia troppa supericialità,
molto spesso mi illudo di essere in grazia con il Signore e di aver fatto per Lui
quanto ci fosse da fare ma poi quando mi si chiede una vera prova di Fede allora
scopro tutta la mia impreparazione e scopro che per essere in grazia con Dio non
basta osservare i comandamenti ma ci vuole qualcosa di più quel qualcosa che
adesso a me manca ma che spero di acquistare presto per trovare la dimensione di
un vero cristiano".
Penso che i due paragrai non abbiano bisogno di grandi commenti se non per il
fatto che proprio noi giovani siamo gli interessati, gli stafettisti, come si diceva
l’altro giorno, che portano avanti questo testimone immaginario che è la Parola
di Cristo. Prima di tutto mi pare abbastanza giusto che siano proprio i giovani a
portare avanti questo tipo di testimonianza perché almeno nella società del nostro
tempo stanno veramente prendendo coscienza di una vita civile e morale e perché
penso siano gli unici a rendersi conto di cosa voglia dire veramente una vita
cristiana. Adesso comunque non vorrei peccare di presunzione ma direi che
39
parte prima
almeno noi scout abbiamo una parte di primo piano in questa nostra grande
missione che è appunto quella di difondere la Parola di Cristo.
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la sua vita
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parte prima
FINALMENTE ALL’UNIVERSITÀ
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la sua vita
mollerà mai.
E’ avvantaggiato dal fatto che viene esonerato dal servizio militare per
la sua miopia e certamente, accanto alla diicoltà del corso di laurea, va
considerato il fatto che non tralascia di efettuare nel tempo alcuni lavori che
gli consentono di racimolare fondi per le tasse e l’acquisto dei testi di studio.
Sostituisce ripetutamente alcuni portieri della zona dei Parioli nel periodo
estivo e svolge durante l’estate un servizio presso il S. Giuseppe de Merode
a Piazza di Spagna, intrattenendo i ragazzi che durante l’estate vengono
aidati dalle famiglie all’Istituto. La carriera universitaria di Emiliano termina
con la laurea dal titolo ovviamente complicato : “Efetto protettivo di un
rivestimento con alluminio mediante processo P.V.D. “modiicato” su acciai
inossidabili sinterizzati 316 L”. Relatore è il Professore Bruno Breviglieri.
Il voto inale è di 100/110 e sta a testimoniare la grande qualità del lavoro
di tesi giacché la media dei precedenti ventisette esami non è molto alta.
Riesce anche dopo la laurea nell’autunno 1994 a cominciare a seguire il corso
che la facoltà ofre a chi deve sostenere l’Esame di Stato per l’abilitazione
professionale.
Non si può tentare di ricostruire la vita di Emiliano senza trattare del suo
rapporto con le ragazze. Emiliano è l’innamorato del “Cantico dei Cantici “
,capace di un amore grande che presuppone l’armonia piena con la natura. E’
un poeta che sappiamo ha scritto tanto, anche se sembra non essere rimasto
niente.
Sicuramente va ricordato con il massimo rispetto il suo grande amore per
Anna Maria, durato sette anni, di cui almeno sei bellissimi, due ragazzi alla
scoperta progressiva dell’amore, che sognano e progettano una vita insieme.
Poi l’incanto si spezza, capita , ed Emiliano afronta una fase di vita senza una
compagna, anche se sappiamo che molte ragazze lo guardano con tenerezza e
con occhi dolci. La morte lo coglierà improvvisa in una fase in cui è come si
dice oggi un “single” ,concentrato sulla ricerca di un lavoro piuttosto che sulle
questioni di cuore. Ma la sua indole è cavalleresca, la donna è una creatura
meravigliosa da amare e rispettare, la più grande emanazione dell’Amore
divino.
43
parte prima
LA COMUNITÀ DI S. BARBARA
44
la sua vita
L’elemento positivo che lega l’esperienza scout del S.Eugenio e quella della
Comunità giovanile del Preziosissimo Sangue è un giovane e dinamico
sacerdote: don Riccardo Fontana da Forte dei Marmi che ha studiato al
Capranica di Roma. Appena ordinato sacerdote nel 1972, don Riccardo
diviene viceparroco a Tor di Quinto ed inizia lì un ottimo lavoro pastorale
attirando nugoli di giovani con cui vive secondo gli insegnamenti del Vangelo
alla luce del Concilio Vaticano II. E’ una comunità viva e numerosa presente
in varie scuole con attività concrete ai tempi dei Decreti Delegati. L’esperienza
però cessa abbastanza bruscamente. I superiori, che sanno come in quella
parrocchia comincino a veriicarsi “cose strane”, “salvano” don Riccardo
mandandolo a studiare in Accademia Diplomatica Vaticana per destinarlo
al Corpo Diplomatico. Salvano il sacerdote ma non fanno niente per la
parrocchia e per la comunità giovanile, che in poco tempo viene frantumata.
E tutti i giovani dell’epoca che si sono allontanati deinitivamente dalla fede?
Chi li recupererà?
Don Riccardo diviene assistente scout e frequenta con assiduità S. Eugenio,
prima dell’avvento dell’Opus Dei. Qui svolge un grande lavoro tra i giovani e
anche se il contesto scout è un po’ diverso dalla Comunità giovanile, i risultati
non mancano. Ma anche a S.Eugenio c’è la diaspora e la ine dell’esperienza.
Nel frattempo però don Riccardo è partito per l’Indonesia, dove ricopre
l’incarico di Segretario di Nunziatura.
Quando torna , nella primavera del 1982, sa benissimo che ci sono
moltissimi giovani dispersi e a volte nauseati dalle esperienze subite. Si mette
a disposizione , lavora in Segreteria di Stato ma tutto il suo tempo libero è
per i giovani che chiama a gran voce. Per molti purtroppo non ci sarà niente
da fare ma alcuni si riavvicinano. Del gruppo scout di S. Eugenio, Emiliano
è il più assiduo e fa una scelta che porterà avanti ino alla morte precoce. Fa
parte di un nucleo di giovani, i più grandi hanno allora meno di trent’anni ,
che poi conluirà nella Comunità di santa Barbara, il cui nucleo fondante è
rappresentato dai giovani di Tor di Quinto.
Emiliano comincia a farsi conoscere per alcune qualità che non solo sono
nette, ma immutabili. E’ preciso e puntuale, partecipa a tutto con una chiara
predilezione per l’impegno pratico. Prende parte alle riunioni, ma si esprime
poco, perché ascolta molto ed in breve diviene una colonna del gruppo in
45
parte prima
tutte le attività.
E quando don Riccardo riesce a farsi dare una chiesetta, all’epoca disastrata,
la chiesa di santa Barbara dei Librari presso Campo de’ Fiori, chiesa ridotta
a indegno magazzino, che nessuno vuole più perché pericolante e colma di
detriti , Emiliano è in prima ila. C’è da rendere agevole la chiesa e lavorare
duramente. Un’impresa semplicemente meravigliosa, che ha creato un
magniico legame tra chi ha avuto la fortuna di partecipare.
CARO GULLOTTI
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la sua vita
Le nostre storie:
chi siamo, a chi ci rivolgiamo
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parte prima
Dio ed il Suo popolo e hanno cercato di non perderLo mai più, malgrado le
prove, la diaspora e anche la croce. Così impararono a conoscere la Chiesa
come “sacramento” ed in quella fede sono cresciuti, si sono sposati e “hanno
generato igli e iglie”.
Qualcuno, nell’infanzia e nella giovinezza, frequentando istituzioni e
scuole della Chiesa, conobbe le inadeguatezze e le incertezze dei cristiani prima
di maturare la fede, incomprensioni e disagi: riiutò con il vaso anche il suo
contenuto e per lungo tempo non cercò più Dio Benedetto, la Sua Parola,
la Sua Chiesa, anzi Vi si oppose e Le fece lotta. Solo dopo molto tempo la
Provvidenza lo ha riportato nella comunione della Chiesa Romana.
Altri nacquero cattolici: furono battezzati e cresimati. Fin dall’adolescenza
frequentarono la Chiesa. Poi crebbero nel mito del suo riiuto e, consentendo
alla mentalità corrente, furono irreligiosi e si dissero atei, credendo solo nella
scienza, nel progresso e, forse, nell’uomo. Furono lontani dalla Chiesa ino
alla prima maturità.
C’è poi chi ha ricevuto così poco che oggi è entusiasta, scoprendo la
fede che la Chiesa professa da sempre e, senza più recriminare per la scarsa
testimonianza ricevuta, gioisce di aver incontrato inalmente il Signore
e lamenta solo di aver perso tempo e conoscere così poco di Lui., della
rivelazione, trovandosi come autodidatta alla scuola del Vangelo. E incita e
provoca e insiste perché da tutti sia data dovuta centralità alla conoscenza di
Dio, alla preghiera, all’incontro personale con il Salvatore.
Tra di noi non manca chi si buttò a capoitto nella ricerca della giustizia,
lottando e tutto travolgendo della propria esperienza di persona, anche
i valori, anche la fede, combattendo talvolta i cristiani per ciò che
rappresentavano ai suoi occhi, accecato dall’irreligiosità delle ideologie.
Allora si diceva “fare politica”. Oggi, con la maturità dell’adulto e la grazia
del Signore, senza rinnegare la parte di buono che c’era nel passato, torna alla
Chiesa, chiedendoLe di essere immagine leggibile del suo Signore. E a Lei,
madre provvida, non lesina tempo e amore.
Come non dire di alcuni dei nostri che impararono ad amare Dio e la Chiesa
nei grandi movimenti ? poi se ne allontanarono o, peggio, ne rimasero delusi
e sconfortati. Ora si ritrovano a portare il loro contributo di esperienza e di
sensibilità tra di noi ed a costruire una fraternità bella, che è debitrice a tutti,
perché volentieri attinge dal patrimonio di chi ha più esperienza.
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la sua vita
Una parola tutta speciale va detta degli scouts. Tanti dei nostri vengono da
quella radice e la amano. Ne hanno tratto una sensibilità indelebile per la
semplicità e la fratellanza. Alla Comunità portano volentieri il contributo
forte di una fede cresciuta per le strade del mondo, aperta, dunque, gioiosa,
senza paure.
C’è anche qualche persona che soferto forte nella Chiesa ed ha avuto delusioni
cocenti, come quelle d’amore. Ma sapendo che l’amore di Dio è più forte,
vuole provare a riconciliarsi ed a costruire pace dentro di sé e negli altri.
Non manca chi è stato avvinto dalla vitalità di rinnovata giovinezza della
Chiesa all’epoca del Concilio Vaticano II. Da allora si impegna a “far
comunità”, Chiesa domestica: i vari modi e le tante denominazioni che lo
Spirito ha suscitato in mezzo al popolo fedele.
Una parola, poi, su chi si è trovato in mezzo, quasi per caso, ma neppure
il caso si sottrae alla Signoria di Dio. In prossimità delle nozze, coinvolti
dall’amicizia e dalla Liturgia, ci hanno voluti vicini nella preparazione del
loro matrimonio, riaprendo in qualche caso il capitolo della fede, che avevano
chiuso da anni. Si sono poi fermati ad ingrandire la nostra famiglia.
Ancora. C’è chi è arrivato in Chiesa. Ci ha conosciuti. Ha chiesto di dividere
con noi le stesse esperienze di fede. Qualche volta, così, semplicemente, si
sono rimossi blocchi e pigrizie. Storie lunghe si sono accorciate, d’un attimo.
Nella illuminata descrizione c’è spazio per tutti; se diversi sono i punti di
partenza , unico è il progetto del punto di arrivo.
Emiliano trova nell’ideale della Comunità di S. Barbara la normale
prosecuzione del suo cammino personale e quando la Comunità si struttura
costituendosi il 4 dicembre 1987, passando da un semplice gruppo di laici
ad una comunità canonicamente costituita , Emiliano con grande tatto e
discrezione convince gli scettici ad entrare a far parte di un gruppo, che per
parecchi anni porterà avanti il suo progetto di fede, speranza e carità.
Solo la morte prematura lo farà uscire materialmente dalla sua comunità in
un momento in cui è vitale ed impegnata.
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parte prima
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la sua vita
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parte prima
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la sua vita
IL FUTURO SI AFFACCIA
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la sua vita
UN IMPATTO TREMENDO
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parte prima
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la sua vita
nei diversi ospedali. L’incidente è stato causato con ogni probabilità dalla
pioggia ma, non è escluso che una delle due vetture era intenta ad efettuare
un sorpasso. L’assistente capo Upg Danilo Zucchini e l’assistente Paolo Minelli
della Polstrada di Foligno hanno efettuato i rilievi di rito. I vigili del fuoco di
Gubbio, coadiuvati da una seconda squadra giunta dalla centrale di Perugia,
hanno provveduto a liberare dalle lamiere, utilizzando l’espander, i diversi feriti
rimasti incastrati all’interno delle due vetture. Paciico Fiorentini , deceduto
dopo l’incidente all’ospedale di Foligno, è stato sentito dagli operatori della
Polstrada a cui ha raccontato la dinamica dell’incidente. L’uomo intorno alle
11,40 è purtroppo deceduto a causa di un’emorragia interna. Questo ennesimo
incidente ripropone la pericolosità della vecchia Consolare che conferma tutta la
sua inadeguatezza a contenere i lussi di traico sempre crescenti. C’è da registrare
inoltre, l’ottima organizzazione dell’apparato sanitario che ha mobilitato
immediatamente il pronto soccorso degli ospedali di Foligno, Gualdo Tadino,
Gubbio e le strutture dello stesso Silvestrini di Perugia. Una prova “sul campo”
dell’imminente istituzione del 118.
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parte prima
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PARTE SECONDA
TESTIMONIANZE
parte seconda
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testimonianze
MARIA ATTILIA
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parte seconda
PAOLO BERTON
Caro Giampiero,
alcuni appunti su Emiliano.
Se dovessi trovare un titolo sulla mia esperienza direi
“STORIE (MAGNIFICHE) DI STRAORDINARIA NORMALITÀ"
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testimonianze
Insomma che dire, credo che si possa così sintetizzare: “si adoperò per gli altri,
facendo piccole cose con l’attenzione e dignità che di solito si riserva alle grandi e,
suo malgrado, fece grandi cose con la naturalezza e spontaneità di chi è abituato a
farne (tante) piccole.
PAOLO B.
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parte seconda
GIAMPIERO LEODORI
Ho visto Emiliano per la prima volta nella primavera del 1982. Don Riccardo
era appena tornato dall’Indonesia e volendo riprendere un’attività pastorale
oltre alla sua attività di diplomatico presso la Segreteria di Stato, aveva fatto
un ischio per riprendere i contatti nei luoghi che aveva frequentato da giovane
sacerdote prima di partire. Si rivolgeva ai transfughi della comunità giovanile
del Preziosissimo Sangue afossati da mamma Ebe e dal suo giro, ai profughi
scouts di S.Eugenio che erano emigrati dopo l’avvento dell’Opus Dei e ad un
gruppo di adulti che faceva capo al diacono Memmo Meschini. Riccardo era
ripartito con la messa domenicale a S.Andrea a via Flaminia , nella chiesetta
del Vignola e con degli incontri di formazione a Via Boezio in un appartamento
dell’ O.R.A. (Opera Regina Apostolorum) grazie ai buoni uici dell’amico
don Agostino De Angelis che ne era assistente spirituale. Emiliano c’era sempre
ed era il rappresentante del gruppo scout assolutamente più assiduo che si
integrò immediatamente e molto bene con il grosso del gruppo: i transfughi del
Preziosissimo , desiderosi di riprendere un cammino troncato. Veniva in tuta
alle riunioni di via Boezio perchè arrivava e tornava di corsa. Aveva ventuno
anni e alle riunioni sorrideva , partecipava in silenzio senza intervenire
mai. Probabilmente aveva un gran senso della misura ed ascoltava con grande
attenzione senza cadere nelle nostre esibizioni logorroiche spesso patetiche ed
inutili, pronto a dare una mano fattivamente qualora ce ne fosse bisogno.
Aderì felice alla Comunità di santa Barbara , quando fu costituita , non dalla
primissima ora ma solo perché stranamente assente alla cerimonia costitutiva e
in tutte le occasioni a Santa Barbara prima e a Santa Maria della Pace poi, lui
c’era sempre. Era praticamente impossibile strappargli un commento negativo su
qualcuno , anche su chi in maniera evidente si fosse comportato male. Con lui
scherzavo spesso , c’era un bellissimo rapporto e in casi eclatanti, per provocarlo ,
gli presentavo il caso di un amico o un’amica che l’avesse combinata grossa per
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testimonianze
avere “inalmente “ un suo commento negativo. Ma lui non cedeva e non sono
mai riuscito nel mio intento poco elegante e malizioso . Mi guardava , sorrideva
, e non mollava. Sapevo benissimo che aiutasse molte persone in segreto e nelle
attività di carità della Comunità era sempre in prima ila , portatore di una
semplicità evangelica e di principi solidi. Sapevo da Riccardo che Emiliano
stava compiendo un ottimo cammino spirituale e che ci fosse persino l’idea del
sacerdozio nella sua testa , ma in realtà Emiliano era la riservatezza in persona e
non c’era verso di penetrare realmente nel suo io ma per la sua essenzialità , non
certo per una chiusura presuntuosa all’altro. Ricordo con gioia che mi aiutò molto
a misurare la Chiesa di santa Barbara per la stesura dei rilievi di cui vado iero e
che poi furono utilizzati nei lavori di restauro della Chiesa da parte dell’Istituto
Centrale per il Restauro e poi non posso dimenticare gli ultimi tragici giorni
che ho vissuto purtroppo in prima ila. Il giorno sette novembre 1994 squilla il
telefono di studio , in quel periodo avevo l’uicio con Maurizio Catti a Belle Arti.
E’ Vittorio Iubatti che mi annuncia che Emiliano ha avuto un brutto incidente
in auto mentre andava con la mamma Lina e la zia Quartina a visitare i defunti
nelle Marche. Vittorio e Fabio Zacchili sono già in macchina per passarmi a
prendere. Maurizio Catti immediatamente fa un bellissimo gesto , tira fuori
dal portafoglio la bella cifra di £ 1.500.000 e me l’aida per farne il miglior
uso possibile. Dopo qualche minuto partiamo . Nel frattempo sono già partiti
don Riccardo con il nipote Carlo. Arriviamo a Perugia nell’ospedale Silvestrini
in cui è ricoverato Emiliano. Non c’è verso di vederlo , hanno fatto entrare solo
Riccardo. Ci dicono che Quartina se l’è cavata tutto sommato abbastanza bene
mentre Lina la mamma sta in un altro ospedale con delle costole rotte. Restano
tutti nell’ospedale di Emiliano ed io vengo accompagnato a Monte Luce da Lina
dopo aver acquistato alcuni giornali che parlano del terribile incidente in cui chi
l’avrebbe provocato inendo forse contromano è deceduto. Entro da solo e come
mi vede Lina , col cuore in gola , soferente per i traumi subiti mi chiede subito:
“Come sta Emiliano?” E io racconto una delle bugie più grandi della mia vita : “
Emiliano , si sta riprendendo…” Lina forse intuisce che non sto dicendo la verità
ma non ha il coraggio di approfondire ed io sorrido. Poi parlo con una dottoressa
che mi chiede se sono parente e lì dico la seconda bugia : “ Si sono un cugino…”
Allora mi viene detto che la situazione non è grave ma che il recupero sarà lento
e che date le condizioni di Lina c’è bisogno di una persona , oltre al personale
ospedaliero , che se ne prenda cura. E cosi mi viene presentata una signora che si
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parte seconda
presta a questi servizi e comincio ad impegnare una parte dei soldi ricevuti da
Maurizio.Gli altri conluiranno in una raccolta iniziata per creare una borsa di
studio in memoria di Emiliano , iniziativa poi non portata avanti con l’impiego
dei fondi per la mensa e scuola di italiano per rumeni. Emiliano non ce la fa ,
se ne va dopo una corta agonia ma si era purtroppo capito e riunisce una gran
massa di persone al suo funerale. La comunità è scossa e l’emozione è forte , penso
ad un libro ricordando la mia esperienza di “Un marchigiano a Roma” in cui ho
ricostruito la vita di Don Marino Marani , l’apostolo di Tor di Quinto a nome
di un gruppo di amici di mio padre della Boreale, ma la partenza è ambiziosa.
Nella mia mente Emiliano è un santo e non tarderemo a rendercene conto però
poi il libro non parte . La Comunità vive momenti altissimi con l’impegno a
favore della comunità rumena a Roma ( la mensa e la scuola di italiano) e il
gemellaggio con il campo dei profughi bosniaci di Krsko in Slovenia che ci vede
impegnati in ripetuti viaggi per portare aiuti. Ma poi c’è il declino e la comunità
che avrebbe dovuto supportare la scrittura del libro lentamente declina. Ma
ricordo il primo ritiro fatto dopo la morte di Emiliano a Subiaco in un eremo
secondario. Rammento una lunga preghiera in cui il silenzio è prevalso sulle
parole mentre eravamo inginocchiati sull’antico pavimento di una cappella.
Qualcuno pronuncia il nome di Emiliano ed io ho la sensazione netta di essere
accarezzato sulla testa. Facile dire che in quel momento la suggestione mi ha
dominato , ma a me cose del genere non sono mai capitate. Allora inita la
preghiera ho raccontato la cosa a Riccardo anche con il rischio di essere trattato
da visionario. Ed invece Riccardo mi ha risposto in maniera molto dolce: “ Non
possiamo dubitare del fatto che Emiliano sia ancora qui , in mezzo a noi…”
GIAMPIERO
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testimonianze
EMILIANO
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parte seconda
ROBERTO GARAGOZZO
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testimonianze
Alla macchinetta del cafè la biondissima collega delle risorse umane (!) che mi
dice:” Guarda che il tuo amico ha fatto centro, ha convinto tutti, il capo sta
facendo preparare una proposta di assunzione, gli proporremo di fare due anni
nella iliale di Torino, per farsi le ossa, e poi lo riporteremo a Roma.”!!!
Cercai il portatile e mi accorsi di averlo lasciato nella mia stanza, sulla scrivania.
Tornai di corsa, volevo informarlo subito. E mentre entravo arrivò quella
maledetta telefonata…
Nessuno tranne me li riconobbe, ma il giorno del suo funerale, in piedi, in
fondo a Santa Barbara, c’erano tutti i colleghi della mia azienda che lo avevano
esaminato…
Ho sempre pensato, da quel giorno, che il Signore abbia voluto ofrirgli una
scrivania molto più importante di quella che io avevo provato a fargli avere. E
che da quella scrivania, ogni tanto, mi guardi con ironico afetto, accarezzandosi
il pizzetto che non posso più tirargli.
ROBERTO G.
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parte seconda
FRANCESCA BERTON
Caro Zietto,
eccoti inalmente un piccolo contributo alla tua raccolta per il libro su
Emiliano. Di Emiliano ricordo soprattutto il grande afetto da cui era circondato,
sembrava avere un’aura positiva intorno che contagiava tutti. Il suo splendido
sorriso sempre solare e occhi dolci e sereni che rivedo ogni volta che guardo la
“nostra” Signora Lina (ormai nonna acquisita).
Era la domenica prima del suo incidente, eravamo a Santa Barbara e tutti
in preparazione per la messa. Ricordo Emiliano tutto impegnato a cercare di
sistemare una luce molto in alto (troppo anche per lui) perché difettosa. Io, con
la mia faccia da impunita, mi avvicino e chiedo a Emiliano se gli serve una
mano. Lui si ferma, si gira e sorridente mi dice con il suo fare gentile “Bella
Franceschina, ti ringrazio ma come potresti aiutarmi? Sei ancora troppo piccola”.
Mi allontano per pochi secondi e mi ripresento subito con Fabio Zacchili al
seguito e, con faccia da impunita e in più soddisfatta, lo chiamo: “Emiliano! Ti
ho portato Fabio, lui è più alto magari ci arriva”. Emiliano sorride, lascia il posto
a Fabio – che con quei centimetri in più risolve facilmente la situazione – e poi
si rivolge a me dicendo: “I bambini sono veramente pieni di sorprese! Hai visto
Francesca? Avevi ragione tu: potevi darmi una mano anche se così piccola!” Che
sorriso e sguardo bellissimo!!
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testimonianze
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parte seconda
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testimonianze
e alla carità vicendevole, ponendo come alimento insostituibile per procedere nel
cammino intrapreso, l’Eucaristia, centro della vita comunitaria, la celebrazione
della Messa domenicale, la condivisione fraterna, la preghiera quotidiana e
l’ascolto regolare della Parola di Dio, rispetto alla quale veriicare costantemente
la propria esperienza di vita. Non mancava l’annuncio del messaggio evangelico
ed il servizio sia all’interno che all’esterno, mettendo a disposizione gli uni degli
altri capacità, esperienza e professionalità. La “missione nella città” consisteva nel
fare da ponte verso chi, per varie storie, si fosse allontanato dalla Chiesa, con una
vocazione speciica alla mediazione attraverso il dialogo. La pagina evangelica di
Nicodemo testimoniava bene come l’incontro con Gesù potesse avvenire anche di
sera, su percorsi lunghi e tortuosi.
Del resto, una caratteristica essenziale di Emiliano, quella di non essere
di certo “conforme alla mentalità dei tempi”, ci ricorda che Santa Barbara
era allora percepita soprattutto come santa dell’anticonformismo, da chi
sentiva forte la spinta a vivere la fede come messaggio fecondo di “scandalo” e
capacità di camminare controcorrente, in maniera alternativa rispetto ai tanti
condizionamenti sociali.
Si respirava nell’aria, come fu scritto nel lontano 1984, “la gioia di ritrovarsi
come popolo in marcia insieme, con Gesù in mezzo, chiamati da varie esperienze
e dopo molte prove, all’unità nella Chiesa, dall’amore di Dio, e ad essere posti
come una città sul monte, come punto cioè di riferimento per altri”. La fede della
comunità di Santa Barbara allora e di Emiliano non voleva correre il rischio
di diventare un fatto personale, soggettivo e privato. Il lavoro era “inteso come
un impegno qualiicato e diretto a trasformare, nel proprio piccolo, la vigna del
Signore” e “mezzo di trasformazione della realtà”, la scelta della professione, “come
vocazione e non come strumento di soprafazione e dominio”, e la famiglia come
luogo in cui “ trasmettere il senso di quello stare insieme”.
L’accoglienza, il dialogo e l’amicizia venivano riscoperti come Sacramento.
La ricerca del vero, l’obbedienza a Cristo e l’attenzione ai piccoli, ai poveri e a
tutti coloro che si trovassero in situazioni critiche, come parte integrante della
vocazione cristiana. Si percepiva così quanto il Regno di Dio fosse concretamente
vicino, e Dio un Padre buono e provvido. Afascinata dalla lettera a Diogneto, che
in tempi ancora più lontani alcuni tra i suoi avevano tanto amato, la comunità
di S. Barbara meditava su come i cristiani non abitassero città proprie o usassero
un linguaggio diverso o conducessero una vita speciale, ma si distinguessero per
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parte seconda
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testimonianze
è impossibile vedere dove e come una storia continui ad essere e a crescere, in mille
e mille rivoli d’acqua, che, partiti dalla stessa fonte, si difondono e penetrano in
nuovi terreni, rendendoli fertili, molto al di là della nostra immaginazione.
Alcune righe del Patto Associativo di Santa Barbara, in particolare, credo siano
inine una splendida rilessione sul senso dei tanti incontri della nostra vita.
“… E’ la storia della grazia di Dio e delle nostre storie che si intrecciano.
Questo capitolo è diicile da scrivere perché tra le risorse dell’Altissimo c’è di
essere novità continua. I modi e le forme con cui raduna i suoi igli nella Chiesa è
una delle avventure più belle ed imprevedibili in cui si può imbattere un povero
cristiano.
Sappiamo dunque, per fede, che questo capitolo non può esaurire le delicatezze
del Signore verso di noi: “dalla Sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia
su grazia”.
ANNA MARIA F.
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parte seconda
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Testimonianze
e forse anche questo ha contribuito a dare una separazione cosi’ radicale da quei
giorni, ma Emiliano ha rappresentato per me un momento di grandi scoperte. La
scoperta di un amore sereno innanzitutto, in piena armonia. Non ricordo mai di
aver discusso veramente con Emiliano se non nei giorni della nostra separazione.
Ma Emiliano mi ha anche introdotta, con il suo modo garbato mai arrogante e
tanto meno saccente, anche ad anni di rilessioni profonde e spirituali.
Quando Emiliano mori’ cosi improvvisamente e prematuramente alcuni tra i
suoi amici di comunita’ cominciarono a trovare in lui la grandezza di un essere
speciale, quasi ultraterreno.
Il nostro voler parlare di lui oggi dopo venti anni e di condividere cio’ che di
lui ricordiamo e’ quasi un volerlo capire ancora e forse riscoprirlo, un prendere
esempio da cio’ che in lui possiamo trovare e far nostro.
Secondo me Emiliano non era un “santo” ma era una persona dall’umanita’
speciale, diversa. Coerente, forte nelle sue posizioni nonostante questo comportasse
andare contro corrente, Emiliano cercava di essere uno strumento nelle mani
di Dio ma, come tutti noi, aveva le sue passioni, le sue rabbie. Contro
l’ostentazione, l’arrivismo, la volgarità, l’arroganza. E’ vissuto poco per lasciare
segni eclatanti o compiere passi fondamentali della vita, ma la sua rivoluzione
era in atto e c’era, sebbene silenziosa. Non era tra quelli che primeggiavano
nelle riunioni, nelle preghiere della messa, nelle decisioni della comunità. A volte
parlava ed era rispettato, altre volte parlava e non era ne’ ascoltato ne’ capito.
Un po’ se ne dispiaceva, ma continuava per la sua strada, nella sua ricerca di
coerenza. Il dialogo alla ine era tra la sua anima e l’Anima Mundi, più che tra se
e una comunità eterogenea. Emiliano aveva la forza di chi trasforma nel piccolo
perchè nel piccolo sa trovare il Grande. Secondo me aveva la forza degli idealisti,
fossero essi religiosi o laici, santi, rivoluzionari o poeti.
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parte seconda
i santi. Per le persone che alimentano il divino in se stessi pur ben piantati
nella loro realtà, nelle loro passioni umane, nelle loro reazioni ma allo stesso
tempo sempre pronti a perdonare, a capire, ad accettare e anche a rimettersi in
discussione.
Se c’e’ qualcosa che di lui posso ricordare e’ la sua conidenza con il silenzio.
Tra noi quando stavamo insieme questo silenzio c’era raramente, tra noi c’erano
iumi di parole e di discorsi. Emiliano per me non era il silenzio. Ricordo tra me
ed Emiliano delle conversazioni senza ine, mentre viaggiavamo in macchina,
mentre camminavamo in montagna, fuori casa mia ino alle due di notte. Io
non penso di aver mai dialogato cosi tanto con un’altra persona. Un mio amico
un giorno mi disse che spesso non sapeva cosa dire alla sua ragazza, ed io lo
guardai perplessa. A me ed Emiliano questo non era mai successo. Ma Emiliano
dava spazio al silenzio in tanti altri momenti della sua vita. Non il silenzio
in quanto vuoto e paura di pronunciarsi, no. Emiliano sapeva sempre in cuor
suo cosa era necessario dire, e quando era necessario lo diceva. In generale pero’
Emiliano si nutriva di rilessioni, di pensieri che dovevano galleggiare un po’
nel vento delle altitudini prima di conformarsi e rientrare in lui come certezze.
Emiliano si aidava a questo silenzio e si lasciava riempire, ispirare. Era così,
attraverso questi momenti in cui poteva arginare il chiasso del mondo, che lui
si immergeva nella forza creativa della fede, nella bellezza del mondo naturale
ed umano, nella grandezza del piccolo. E qui forse era una delle particolarita’
del suo essere, che lo rendeva anche diverso da tutti noi. L’umiltà, il silenzio, la
riservatezza, il desiderio di non apparire, il non arrivismo, spesso ci imbarazzano
e non sappiamo come rapportaci ad essi. Mi domando infatti quanti di noi
abbiano capito la profondità dell’anima di Emiliano, io compresa che oltre al
suo silenzio ho avuto le sue parole, iumi di parole tutte piene di signiicato? Per
Emiliano invece erano le ambizioni verso cose non essenziali e la voglia di essere
notati che costituivano l’imbarazzo, il rumore. E lui, fondamentalmente, il
rumore lui non lo ha mai capito ne’ abbracciato.
Emiliano non faceva mai gesti eclatanti o chiassosi. Mangiava e non si sporcava
scherzava un giorno Giampiero - un po’ British gli dicevano - e dopo una
giornata all’aria aperta o a sudare in montagna, lui ancora aveva i capelli a
posto. Era riservato, si adattava agli ambienti, non li segnava se non con la sua
81
testimonianze
presenza riservata. Nella sua azione nell’aiutare gli altri cercava l’eicacia con il
singolo, con la piccola realtà. Aiutando le signore anziane del centro di Roma e
facendo servizio con i senza tetto della Stazione Termini. Per lui le due cose erano
equivalenti. Lui non seguiva le “politiche” non aveva il senso di “propagandare”
la fede e l’azione cristiana. Lui voleva agire, laddove c’era bisogno. Visibile a tutti
alla Stazione o chiuso a pulire una casa del centro con una donna inferma. Per
lui era lo stesso e il dare più importanza alla “propaganda” lo infastidiva.
Allo stesso tempo, quasi alla maniera francescana aveva il dono dell’umiltà
e dell’obbedienza. Per questo penso sia rimasto tanti anni nella comunità.
Emiliano trovava Dio nella natura più che nelle cerimonie, anche se amava il
ritmo dei rituali delle messe e riconosceva una guida fortissimo nella spiritualita’
intellettuale di Don Riccardo.
Emiliano era parte della mia famiglia ed io della sua. Era l’amico di mio
fratello, con cui si scambiavano sempre scherzi e battute. Era un secondo fratello
per mia sorella, ed un iglio per mia madre che ha sempre detto: “se fosse stato
mio iglio non sarebbe riuscito cosi’ bene”. Inine Emiliano era il mio compagno,
il mio ragazzo dei miei ventanni. Era sempre sorridente, con battutine e
canzoncine sciocche, sempre pronto a fare una gita fuori porta, nella natura o in
altre cittadine. Era romantico, di un romanticismo bellissimo e leggero, sempre
intriso della sua percezione profonda delle cose terrene, umane e naturali, e
delle cose ultraterrene. Era passionale e innamorato. Tra noi c’era una vitalità
fortissima e con essa una fortissima attrazione. Il suo amore era profondo e pieno
di sfaccettature. Nel nostro rapporto, aveva l’abilita’ di fondere con un’arte e
una dolcezza ininita natura, spirito e amore di uomo per la sua donna. Tra
noi ci sono state forme di comunicazione continue, lettere, poesie, foto, amore
per la natura e le altitudini, scherzi, giochi, piccole sorprese e tanta voglia di
capire insieme. Scambiavamo le nostre parole e le parole di altri, dal Cantico
dei Cantici, a Khalil Gibran, a Neruda, a Nazim Hikmet…. Baden Powell, St
Exupery. Aveva i suoi punti fermi ma non li imponeva mai, ti ci accompagnava
per mano argomentandoli e non giudicandoti mai. Quando si trattava delle
persone che amava, in lui la dolcezza prevaleva, sempre.
Conobbi presto sua mamma, Lina. Una donna eccezionale, una madre tenace
che ha sempre dato tutto per Emiliano e la sua realizzazione. Cosi’ come
Emiliano adorava e rispettava Lina, era profondamente grato del suo continuo
82
parte seconda
sostegno nei suoi studi prolungati e tra i suoi sogni piu’ importanti aveva quello di
ricambiarla anche con i fatti, diventando un professionista, diventando un padre
di famiglia e prendendosi un giorno lui cura di sua mamma.
Ho dovuto accettare l’intensita’ della sua fede per stargli vicino, ma lui me
l’ha somministrata con dolcezza e libertà. Poi mi ha avvicinata alla comunità.
C’erano persone là dentro che lui stimava tantissimo, ed altre che lo lasciavano
pensare, ma ne ha sempre fatto parte, mentre io non mi sono mai coinvolta o
non ho mai sentito il bisogno di appartenere. Era più forte di me, non riuscivo
ad accettare ed obbedire a tutto. Ma per fortuna Emiliano manteneva la
libertà nel suo pensiero e nelle sue visioni. La sua libertà e la mia. Lui amava
e credeva in quella comunità anche se l’avrebbe puriicata di certi “fronzoli”
soprattutto. Amava il canto perchè e’ una vibrazione che trasmette la parola di
Dio e soprattutto connette con Dio. Pensava di non cantare bene, e ci scherzava
“So’ tenore io” (cosi’ come per riafermare le sue abilita’ diceva ironicamente “E
certo, ho fatto il Boy Scout!”), ma continuava a stare nel coro . Ma per il resto,
non capiva perchè in certe cerimonie la gente si presentasse in giacca e cravatta,
o non capiva certe abitudini di appartenenti alla borghesia romana, sempre un
po’ “echanneled”. Lui non ci stava, non comprendeva. Origini diverse certo ma
anche visioni diverse e visto il contesto un po’ di dissonanza, o meglio incoerenza,
forse c’era. Cosi’ come non comprendeva perché un cristiano non potesse in teoria
votare PCI a quei tempi. In ogni caso lui restava presente, manteneva l’impegno,
francescano appunto. Scelta di umiltà anche nel riconoscimento delle autorita
cattoliche, ma a tuttoggi penso che le rispettava seppur non accettandole in tutto e
per tutto.
Ci sono tante cose che potrei scavare ancora dentro di me riguardo al mio
Emiliano, ma la nostra e’ stata soprattutto una storia privata, di coppia, e resta
la’ dove deve restare – nel mio cuore di donna che lo ha amato come uomo e come
compagno di crescita. Un compagno sicuramente speciale, un dono della vita che a
volte mi chiedo ancora perche’ sia capitato proprio a me.
ANNA MARIA B.
83
testimonianze
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parte seconda
GIOVANNI PAOLO
85
Testimonianze
PAOLO MARIANI
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parte seconda
possono far muovere, in senso lato, un essere umano. Un ricordo il mio che dunque
è un richiamo. Richiamo all’altruismo, all’amore disinteressato: l’atteggiamento
cristiano per eccellenza.
PAOLO M.
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testimonianze
IRIS JONES
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parte seconda
IRIS
89
testimonianze
EMILIANO
7 / 11 / 1994 Iris
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parte seconda
PATRIZIA CALORO
PATRIZIA
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testimonianze
PAOLO GASPARI
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parte seconda
93
testimonianze
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parte seconda
Per sempre resterai nei miei ricordi. Il tuo amico e fratello Paolo.
PAOLO
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Testimonianze
LUCIANA PERSIANI
Ritengo nobile ed apprezzabile lo sforzo che state facendo per mettere insieme
ricordi e momenti vissuti di Emiliano.
Io purtroppo non sono in grado di darvi un contributo signiicativo in quanto
l’ho conosciuto in età adulta, quando veniva in S. Barbara per la celebrazione
della S. Messa e per l’adorazione Eucaristica a cui partecipava con costanza e
raccoglimento.
Ciò che colpiva tutti era la sua mitezza, la bontà d’animo ed una profonda
spiritualità.
LUCIANA
96
parte seconda
VINCENZO BOTTA
Ciao a tutti,
io posso raccontare solo poche righe di vita alla Stazione Termini dove con
Emiliano ho condiviso fredde serate tra gli ultimi ma invece come diceva lui “
questi me li ritrovero’ tutti davanti in cielo “ . Il male ed il dolore si respiravano,
erano tangibili eppure lui sembrava quasi passarci senza essere toccato , mi
lanciava sguardi di reprimenda quando il mio carattere troppo irruento mi
prendeva la mano , tranquillo , forte sicuro, era un angelo, quei gironi non lo
toccavano anche se la sua dolcezza non mancava mai per nessuno.
Lo ricorderò sempre.
VINCENZO
97
testimonianze
ANTONELLA GIANNINI
Ho conosciuto Emiliano nel 1985 quando con Vincenzo siamo entrati a far
parte della comunità di Santa Barbara grazie a Maurizio e Maria Laura.
E’ stata subito una simpatia di quelle immediate, a pelle e reciproca. Emiliano
era una delle persone più ironiche e spontanee che abbia mai conosciuto.
Ma allo stesso tempo quello che mi ha maggiormente colpito di lui era la sua
semplicità e profondità d’animo. In comune avevamo sicuramente principi
e ideali di vita, ma soprattutto il desiderio di aiutare chi è meno fortunato di noi.
Dopo qualche anno ho avuto modo di conoscerlo meglio grazie al servizio che
svolgevamo insieme il sabato mattina andando a fare le pulizie a casa di due
anziane con problemi di salute e purtroppo anche economici.
Andavamo in autobus e facevamo lunghe chiacchierate. Passavamo tutta la
mattina a cercare di fare al meglio il nostro lavoro e allo stesso tempo cercavamo
di fare compagnia a queste due vecchiette. Emiliano era fantastico! Riusciva
sempre a farle sorridere (e non era certo impresa facile, vista la loro situazione) ed
era un piacere trascorrere quelle ore in sua compagnia. Il momento più divertente
era quello in cui, verso le 11 di mattina, una delle due signore ci ofriva, tutta
soddisfatta, un bicchierino di zabaione al marsala! L’espressione di Emiliano la
prima volta che accadde fu uno spasso! Poi diventò una piacevole abitudine.
Adoravo parlare con lui perché mi rendevo conto di quanto fosse generoso e
pieno di rispetto verso gli altri, muovendosi spesso in punta di piedi per non
disturbare (nonostante la sua vita ino ad allora non fosse stata proprio facile).
Prego per lui ogni giorno perché, anche se per poco tempo, è stata una delle
persone più care della mia vita, e spero che ora che Vincenzo non c’è più, siano
insieme a proteggerci.
Ciao Emiliano
ANTONELLA
98
parte seconda
Sono passati ormai quasi vent’anni da quel gennaio 1996, quando S.E. Mons.
Riccardo Fontana, da poco nominato Arcivescovo di Spoleto e Norcia, mi propose
di accettare l’incarico di Rettore della Chiesa di Santa Barbara de’ Librari e
“Primicerio” della Comunità di Santa Barbara. Fu un momento importante
nella mia vita di sacerdote perché, diventando Rettore di una delle chiese più
belle e suggestive del centro storico di Roma, ho potuto esercitare il mio ministero
presbiterale in un luogo strategico dal punto di vista pastorale e afascinante dal
punto di vista culturale, storico e spirituale.
Stringendo rapporti di amicizia con la Comunità di Santa Barbara, che aveva
contribuito a restaurare e a riaprire la chiesa di Santa Barbara, ho avuto modo di
conoscere – anche se indirettamente – la bella igura di Emiliano Pirani. Ricordo
l’ammirazione e l’afetto con cui i vari membri della Comunità mi parlavano
di lui, della sua fede e del suo entusiasmo, della sua saggezza e delle sue doti di
leader.
Segno eloquente della stima e dell’afetto che la Comunità di Santa Barbara
nutriva verso Emiliano era la Santa Messa che ogni anno si celebrava nella
medesima chiesa . Era una delle occasioni in cui la piccola chiesa dei Librari
era strapiena di tante persone, in gran parte giovani che avevano condiviso con
Emiliano tanti momenti belli ed entusiasmanti. Ricordo che nei primi anni in
cui sono stato Rettore della chiesa di Santa Barbara era ancora vivo e intenso
l’entusiasmo nel fare il bene, sulla scia dell’entusiasmo di Emiliano. Ricordo, per
esempio, che nel marzo del 1996 alcuni membri della Comunità sono partiti
per la ex Jugoslavia con due pullmini pieni di generi alimentari destinati alle
popolazioni bosniache che stavano sofrendo a causa della guerra nei Balcani. La
scomparsa tragica ed improvvisa di Emiliano, avvenuta il 12 novembre 1994
sembrava aver dato un notevole impulso ai membri della Comunità, che si
sentivano come in dovere di custodire e perpetuare le sue virtù umane e spirituali.
99
testimonianze
In occasione della prima Messa che ho celebrato per Emiliano nella chiesa di
Santa Barbara, il 12 novembre 1996 , ho avuto modo di conoscere sua madre,
la Sig.ra Lina Santoni. Nonostante un dolore immenso, essa ebbe il coraggio e
la generosità di venire a quella Santa Messa in sufragio dell’anima del iglio
Emiliano. Ricordo con ammirazione quella presenza, che mi fece pensare alla
pagina del Vangelo di Luca in cui Gesù, a Nain, incrociò il funerale di un
giovane, “iglio unico di madre vedova” (Lc 7,12). Non potevo, come Gesù,
restituirlo vivo a sua madre. Potevo però starle vicino nella misura del possibile,
così come facevano alcuni membri della Comunità che si consideravano custodi
di un patrimonio spirituale che non doveva andar perduto. Ancora adesso, ogni
volta che rientro a Roma per il congedo annuale, ho il piacere di incontrare la
Sig.ra Lina e scambiare tante informazioni e valutazioni della società, mettendo
tutto nelle mani del Signore.
Mi congratulo, perciò, molto per l’iniziativa di pubblicare un libro su Emiliano.
Si tratta di una maniera utile per conoscere e conservare i doni che il Signore
ci ha dato mediante questo giovane che ci ha lasciati precocemente ma che,
come dice la scrittura: “Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga
carriera”. (Sapienza, 4,13). L’iniziativa di dedicare un libro a Emiliano permette
di non perdere il ricordo di quanto il Signore ci ha donato, di farlo conoscere
anche a coloro che, come me, non hanno avuto il privilegio di conoscerlo; consente
di meditare sulla sua vita, contemplando la perfezione di quanto di perfetto il
Signore aveva realizzato in lui, gettando uno sguardo attento sul suo breve ma
intenso pellegrinaggio terreno.
100
parte seconda
VITTORIO IUBATTI
La memoria va a quel giorno tremendo ...ricordo il gelo della sedia nella sala
d’aspetto dell’ospedale. Avevo cenato con lui due sere prima del viaggio... Seduto
su quella sedia, ripassavo mentalmente tutto quello che ci eravamo detti, le risate,
le parole...come se sapessi che erano le ultime parole che avrei ascoltato dalla
sua bocca. E fu cosi. Quelle furono le ultime parole tra noi. Di lì a pochi giorni
Emiliano tornò nella Luce, per sempre. E a me rimasero le sue ultime parole, le
più importanti in quel momento. Ho avuto la fortuna di parlare per ore con lui,
abbiamo sparso milioni di parole, però quelle erano state le ultime. Non le avrei
mai più ascoltate. Quello era il mio tesoro ed ancora cerco di custodirlo nel mio
cuore.
VITTORIO
101
testimonianze
ROBERTO BERTINI
Era questa la canzone che con Emiliano cantavamo nei momenti più faticosi
durante le nostre escursioni in montagna. Cantarla ci faceva più leggeri, la fatica
faceva posto alla fantasia e ci sentivamo forti e uniti. Era così che raggiungevamo
le cime delle nostre amate montagne, ogni conquista era l’inizio di un nuovo
progetto, di una nuova sida, di un nuovo sogno.
Ma fu un altro sogno a farci incontrare. Era il 1976 quando entrai a far parte
della Bruno Zauli, una società sportiva che preparava giovani promettenti in tutte
le discipline dell’atletica leggera. Emiliano già ne faceva parte e si allenava per le
distanze dei 400, 800 e 1500 mt. Quando lo vidi correre la prima volta rimasi
colpito dalla sua falcata, sembrava non toccasse terra tanto era leggera e veloce.
Poco tempo dopo iniziammo a correre insieme e a conoscerci. Tra un passo e l’altro
ci raccontavamo le nostre vite, le nostre esperienze e i nostri progetti.
Quello spilungone dai modi educati e dalle nobili idee mi piaceva un sacco e
così poco dopo iniziammo a frequentarci anche fuori dall’ambito sportivo.
Avevo energia da vendere e tanta voglia di mettermi alla prova, così quando mi
propose di andare con lui a fare un’escursione accettai subito. Quella fu la prima
di una lunga serie. Ogni volta la voglia di condividere quelle emozioni cresceva
sempre di più e sempre più si raforzava la nostra amicizia. A volte, soprattutto
nelle escursioni più lunghe, ci piaceva deviare inventando dei percorsi nuovi e
spesso inivamo con perderci dentro i boschi, quando succedeva questo tra noi
calava il silenzio che veniva interrotto soltanto quando uno dei due sbottava a
dire “te l’avevo detto che era d’altra parte” e l’altro puntuale rispondeva “ se l’hai
detto io non ho sentito”. Discussioni innocue che terminavano sempre con una
102
parte seconda
risata.
Una delle immagini più nitide che ho di Emiliano è proprio l’espressione che
aveva quando rideva.
Abbiamo riso tanto insieme, anche nei momenti più diicili la voglia di
regalarci un sorriso non ci lasciava mai. Ci eravamo anche dati dei nomi di
battaglia, lui Giuvà e io Gennarino, due personaggi della nostra immaginazione
un po’ imbranati e tonti.
Non ho più trovato un Amico come lui, se dovessi descriverlo con una parola direi
LEALE.
ROBERTO B.
103
testimonianze
CHIARA LEODORI
Già da quanto è stato detto dovrebbe emergere in modo evidente che non stiamo
scrivendo per Emiliano, né tantomeno per elencare ed esaltare tutte le sue buone
qualità, che pure c’erano. Non è questo un libro per dire quanto fosse bravo
Emiliano, ma per svelare un mistero molto più grande. Attraverso le sue qualità
umane, la sua normalità ed anche le sue debolezze, scoprire come ha agito lo
Spirito Santo, mostrare un terreno fertile che lo Spirito ha potuto fecondare.
Quindi un libro che pur interessandosi delle sue qualità, non si ferma a queste,
ma, partendo dalla sua e nostra condizione umana, ci scaglia come frecce verso
l’eterno.
CHIARA
104
parte seconda
GIORGIO LEODORI
Purtroppo i ricordi che ho di Emiliano sono pochi, per lo più immagini fugaci.
Niente di strutturato, nulla che potrei raccontare.
Eppure la Memoria che ho di Emiliano è ben più ricca di quella meramente
“dichiarativa”, e deve perciò nascere da qualcosa di diverso, di più ampio.
Credo essa si sia formata in me da due esperienze che ho di Emiliano diverse da
quelle che classicamente intendiamo come tali: un’esperienza indiretta, e una
diretta ma “emotiva”.
La prima è quella trasmessami dai miei genitori, dai loro ricordi di Emiliano, e
prende la forma di un racconto positivo, quello di un uomo giusto, intelligente,
mite eppure deciso. Ma è anche una storia triste.
Ricordo perfettamente il racconto del terribile incidente e del fatto che Emiliano
non fosse più su questa terra. Anche se solo un bambino, è nitido il ricordo
dell’enorme dolore che tale inaspettato e violento distacco causava nei miei
genitore, nella Comunità, e nei suoi cari.
Avvertii nelle parole dei miei genitori, nei loro volti e nei loro gesti, che non
avevano perso solo un caro amico ma un punto di riferimento.
Ricordo però che a tale soferenza si aiancò via via nel tempo un nuovo
sentimento che, pur non cancellando il dolore, lo mitigava dandogli un sapore
diverso ed un signiicato nuovo.
Ancora oggi mi è diicile descrivere o dare un nome a questo secondo sentimento.
Una cosa però mi è chiara, esso si ritrova anche nella seconda esperienza che ho
di Emiliano, quella che ho deinito come diretta ma “emotiva” e le da forma, ne è
l’essenza stessa.
Le poche immagini che di Emiliano ho impresse nella memoria sono
costantemente caratterizzate da questo sentire, quasi un’”idea” di Emiliano.
Se anche parlo di “idea”, non la deinirei astratta, ma reale! Quei pochi ricordi
diretti che ho di Emiliano infatti, della sua persona, della sua voce, del suo volto,
105
testimonianze
GIORGIO
106
parte seconda
Se si sente la spinta di scrivere un libro per ricordarlo non è un caso o perché non
abbiamo altro da fare. Ritengo che non sia soltanto rispondere alla semplicità ed
alla pulizia della sua personalità. Nonostante siamo stati suoi amici, tuttora
non comprendiamo le sue virtù. Cerchiamo di ricomporle in un libro per poter
capire il dono che ci era stato concesso e che non abbiamo saputo apprezzare
appieno. Credo anche sia per il percorso che ha fatto, attraversando per primo la
vita e la morte come una meteora.
Molto ho rilettuto sul tempo in cui era in ospedale, sembrava che da lì
continuasse a vederci in silenzio come era solito fare, senza interferire sulle
capacità di ognuno. Quando ci penso, sembra che se ne sia andato per non aver
trovato un modo migliore per farci rilettere su molte cose, che oggi ancora non
siamo in grado di percepire. Infatti lui non ha subito derive come tanti altri della
comunità in cui credeva. Non si è ossidato nell’attesa di miracoli ad onorem.
Non si è dovuto afannare a comprendere quello per cui oggi tentiamo di scrivere
il suo proilo spirituale, avendolo vissuto spontaneamente. Del resto, per chi
crede è stato eletto nella realtà divina. Chi non crede, dondola nel dubbio della
sua interpretazione, alla ricerca o nell’attesa di conferma. Gli unici nemici
che aveva, erano solo coloro che avevano paura della sua semplicità e per la sua
incomprensibile pulizia d’animo. Come tutti i veri, Emiliano non si può
comprendere se non si comprende se stessi, che è anche la condizione che mette al
riparo dagli altri, per chi esercita il bene. Avendo da sempre compreso la realtà,
non voleva usare maschere, come la quasi totalità della gente, quindi sarebbe
stato diicile per lui vivere in questo enorme into carnevale. La sua amicizia ha
dato tanto, in particolare a me il giorno in cui è uscito da S. Barbara, il giorno
del suo funerale. È stata l’unica volta che ho pianto nella mia vita.
Credo che comunque abbia oferto il modo di sfatare la convinzione di credere
che, chi ci lascia, sia da compiangere, quando è esattamente il contrario.
107
testimonianze
SANDRO PAOLO
108
PARTE TERZA
112
parte terza
SEMI E SEGNI
[31] ...«Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina
nel suo campo. [32]Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli
altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi
rami». [33]Un’altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una
donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».(Matteo 13, 31-35)
2 Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente,
per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
(S. Paolo Romani,12, 2)
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parte terza
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il suo messaggio, la sua eredità
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parte terza
Abilità di fondere con un’arte e una dolcezza ininita, natura, spirito e amore.
Amava la lettura di Zaccaria: Metterò un cuore nuovo.......
Amava il Cantico dei Cantici.
Amava Francesco d’Assisi.
Profonda Umanità … attenzione all’altro … preoccuparsi del prossimo anche
un istante prima di sé stessi, perché preoccuparsi prima dell’altro è occuparsi
dell’Umanità nel suo complesso.
Amore disinteressato: l’atteggiamento cristiano per eccellenza.
Aveva un umorismo ironico ma gentile, mai graiante.
Partecipava ad ogni aspetto della vita comunitaria.
Non parlava moltissimo …ma ciò che diceva … esprimeva mitezza e profondità
allo stesso tempo.
La confessione … disse: “Io lo considero un atto di umiltà”, umiltà di riconoscere
che abbiamo bisogno della Sua grazia per crescere.
Emiliano ha vissuto una vita piena.
… In quel non luogo di Emiliano che fu quello dei contemplativi e che ti
permette di essere dovunque, presente a questo mondo seppur distaccato.
Lui aveva amore per ogni creatura e per ogni piccola cosa e il suo pensiero
produceva seme e dal quel seme nascevano i frutti.
Quiete.
Mi sentivo compresa.
Provavo gioia, mi sentivo parte di un tutto.
lo Spirito, Emiliano già su questa terra ne riletteva un raggio di chiarissima luce.
117
il suo messaggio, la sua eredità
PAROLE VISSUTE
Essenzialità
Poveri
Natura
Pace
Premura
Attenzione
Dignità
Naturalezza
Spontaneità
Silenzio
Senso della misura
Ascolto
Semplicità evangelica
Principi solidi
Cammino spirituale
Riservatezza
Allegria
Sorriso
Serietà
Preparazione
Maturità
Pacatezza
Mitezza
Aidabilità
Concretezza
Aura positiva contagiosa
Obiettivi alti ed impegnativi
Montagna
Incontro con Dio
118
parte terza
119
il suo messaggio, la sua eredità
Crescita
Frutti
Fortezza
Strumento
Passione
Delicatezza
Disinteresse
Rivoluzione silenziosa
Ideali
Profondità
Essenza
Semplicità gregoriana
Pulizia dell’eremo
Anticonformismo
Realismo
Perdono
Comprensione
Accettazione
Bellezza
Obbedienza
Spiritualità francescana
Poesia
Ricerca
Profondità
Eicacia
Libertà pensiero
Canto
Confessione
Amore
Natura
Cuore
Umanità
Attenzione
Altruismo
Vita
Lealtà
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parte terza
Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si
mise a parlare e insegnava loro dicendo:
121
il suo messaggio, la sua eredità
tutto questo «alla ine non ci porta alla salvezza». Basti pensare a coloro che erano intenti solo
a «esaminare» la «dottrina nuova di Cristo e poi litigare con Gesù». Queste persone avevano «il
cuore chiuso alla salvezza». Perché? Perché noi «abbiamo paura della salvezza. Abbiamo bisogno,
ma abbiamo paura»; una paura che deriva dal nostro timore ad abbandonarci totalmente a Lui:
«Per salvarci dobbiamo dare tutto. E comanda Lui! E di questo abbiamo paura», perché «vogliamo
comandare noi».”
122
parte terza
IN CAMMINO
Salmo 121
“1 Canto delle ascensioni.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà, non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
8 Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.”
123
il suo messaggio, la sua eredità
124
parte terza
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il suo messaggio, la sua eredità
“ …..un “Esodo” voluto e guidato da Dio, come quello che vissero gli Ebrei, quando uscirono dalla
schiavitù dell’Egitto, per entrare, dopo quarant’anni, come Popolo libero, nella Terra loro promessa
dal Dio dell’alleanza.
I cantici delle ascensioni sono brevi ma intense composizioni poetiche, spesso in forma dialogata.
L’intervento a più voci (pellegrini, leviti, sacerdoti), esprime meglio la gioia e la fatica di un
cammino personale e comunitario, che è metafora della vita.
(…S. AGOSTINO:) «Questi cantici insegnano … a salire col cuore, con sentimenti buoni, nella
fede, speranza e carità, nel desiderio dell’eternità e della vita che non avrà ine. … È la voce di
chi sale e canta: canta il suo amore iliale per la Gerusalemme celeste. Verso questa sospiriamo,
mentre continuiamo a salire; in lei ci allieteremo, al termine del nostro cammino!… Non contare
sui tuoi piedi per salire e non temere che siano i tuoi piedi a farti allontanare: se ami Dio, sali;
se ami il secolo presente, cadi. Quindi questi salmi graduali sono dei cantici d’amore e sono animati
da un santo desiderio».”
“… Allo sguardo dei pellegrini si proila ormai nitida la sagoma dei monti e dei colli che sovrastano
Gerusalemme. II salmista può inalmente contemplare con i suoi occhi il monte di Dio, quel monte
Sion tante volte ripensato e cantato nelle interminabili veglie dell’esilio. Questa volta il cantico non
è più un lamento o una supplica, ma un inno traboccante di iducia. Questo Dio nascosto. tante
volte discusso e messo in forse. che sembrava dormisse o quanto meno sonnecchiasse nell’ora della
prova, eccolo, è là, sul monte santo in cui ha posto la sua dimora. La sua presenza, a quella vista,
si è fatta cosi imperiosa al cuore del salmista, da sprizzar fuori come certezza da ogni riga. Da
dove mai potrà venire l’aiuto, se non dal Signore? No, non si addormenta il Signore, e nemmeno
sonnecchia. Egli è “il custode d’Israele”, anzi “è il suo custode” e come l’ombra che ti copre, “sta alla
tua destra....”. …. sviluppo sereno e iducioso di questa meravigliosa certezza.”
126
parte terza
“…..un caso unico in tutto il Salterio, poiché recano tutti la stessa intestazione,
che li raggruppa in una sezione unitaria ….
Quindi salmi delle salite o delle ascensioni perché il testo stesso è caratterizzato da
questo movimento progressivo.
…..canti che accompagnavano i pellegrini nella loro ascensione al tempio in
occasione delle grandi feste di pellegrinaggio, la Pasqua, la Pentecoste e la Festa
delle Capanne.
… canti di pellegrinaggio e quindi canti ascensionali, perché a Gerusalemme si
sale sempre, sia dal punto di vista geograico, sia dal punto di vista spirituale: si
sale verso gli 800 metri sul livello del mare, ma si sale anche spiritualmente verso
il tempio, verso il luogo dell’incontro con Dio.
… un cammino di ricerca di Dio,
… le sue condizioni, i passi da compiere, gli atteggiamenti interiori da vivere, il
bagaglio da prendere con sé.
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il suo messaggio, la sua eredità
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parte terza
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il suo messaggio, la sua eredità
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parte terza
IL BENE COMUNE
[42]Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione
del pane e nelle preghiere. [43]Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera
degli apostoli. [44]Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in
comune; [45]chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di
ciascuno. (Atti Apostoli cap. 2, 42-45)
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il suo messaggio, la sua eredità
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parte terza
IL VERO TESORO
19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e
rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri
non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
(Matteo 6,19-21)
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il suo messaggio, la sua eredità
dalla solidarietà.
La dignità del lavoro scaturisce dal fatto che esso è manifestazione della
persona, che ne determina la qualità e il valore. Non si può allora considerare
un lavoratore come puro mezzo materiale di produzione. Il lavoro è un
diritto di tutti. E su questa verità si deve basare ogni società giusta, legittima,
che voglia conseguire la vera pace. L’economia stessa deve avere questo come
suo ine ultimo. Se invece l’accumulare beni ed il trarne proitto prevale su
tutto il resto di certo non si marcerà verso un’autentica felicità, ma verso la
schiavitù del possesso e l’illusione del piacere facile. Si tratta esattamente
di ciò che accade nelle civiltà basate sul consumismo e sull’avere anziché
sull’essere.
Come non ripensare, a questo punto, al famoso libro di Erich Fromm e a
come Emiliano abbia vissuto nella dimensione dell’Essere?
Due modalità basilari dell’esistenza, l’Avere e l’Essere, come le deinisce
l’autore. Due atteggiamenti nei confronti non solo della realtà che ci circonda
ma anche di noi stessi.
Modalità dell’avere, alla radice del fallimento di una promessa, quella del
dominio totale dell’uomo sulla natura, quella dell’abbondanza materiale
senza limiti, del massimo godimento per il maggior numero di persone,
della libertà personale senza conini. Modalità dell’avere che è propria di
ogni sistema economico malato, nel quale il rapporto con il mondo è di
possesso, proprietà, proitto, consumo, potere e violenza, e nel quale a sua
volta si ammala la società e le persone che la compongono. Società nelle
quali l’identità si basa su ciò che si ha e su ciò che si consuma, fondate
sull’avidità , sul piacere che non soddisfa mai ino in fondo, sintomo di un
decadimento dello stesso istinto di sopravvivenza. Società dove si preferisce la
rovina futura all’impegno di afrontare sacriici nel presente, chiusi in un tipo
di individualismo che è una forma di possesso di sé, nel quale in realtà si è
posseduti dalle cose stesse.
Si rischia di sentirsi merce in società come queste, come la nostra, dove il
proprio valore si lega allo scambio che ne deriva. Il successo deriva allora dalla
capacità di vendersi bene sul mercato e dal nascondere la propria vera identità
dietro una maschera.
Non è certo l’Avere quanto è necessario e utile alla piena realizzazione della
nostra esistenza, in contrasto con l’Essere, ma il pretendere di possedere ciò
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parte terza
34 Non afannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun
giorno basta la sua pena.” (Matteo 6, 34)
Il tempo del deserto per gli Ebrei è portato, nelle pagine scritte da Fromm,
come metafora di questa condizione, nella quale si raccoglie ogni giorno
per il proprio sostentamento solo ciò che è strettamente necessario, senza
accumulare. La manna raccolta al mattino e le quaglie la sera si conservavano
infatti solo per poche ore. Uno stile di vita nel quale si vive come se non si
possedesse nulla, pur non mancando nulla alla propria esistenza.
Allo stesso modo si fa riferimento alle prime comunità cristiane dove
scorreva la vita in un clima di totale condivisione, solidarietà e comunione di
beni. Scriveva S. Giovanni Crisostomo “non afermare: uso ciò che è mio, perché
usi ciò che ti è estraneo” . Persino Marx diceva che la meta dell’essere umano è
“essere molto” e non “avere molto”, e che sia il lusso che la povertà sono dei vizi.
Esse sottolineano come, se non per altri motivi, per motivi economici e di
puro interesse sarà necessaria una nuova etica, un nuovo atteggiamento verso
la natura e l’universo intero, la solidarietà e la cooperazione. Studi più recenti
non fanno che confermarlo.
[44]Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di
nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
[45]Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; [46]trovata una perla
di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.(Matteo 13, 44-46)
EMPATIA
[15]Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. [16]
Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece
a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
[17]Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.
[18]Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. (S. Paolo Romani, 12,
15-18)
[8]E inalmente siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da afetto
fraterno, misericordiosi, umili; [9]non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al
contrario, rispondete benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la
benedizione. (Pietro 3, 8-9)
29]Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? (S. Paolo 2
Corinzi 11,29)
[14]Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio
di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. [15]Infatti non abbiamo un sommo
sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa,
a somiglianza di noi, escluso il peccato. [16]Accostiamoci dunque con piena iducia al trono della
grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. (S. Paolo
Ebrei 4, 14-16)
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parte terza
Nel libro “La civiltà dell’empatia” sono citate numerose ricerche molto
stimolanti.
L’empatia viene deinita come la “capacità di capire, sentire e condividere i
pensieri e le emozioni di un altro in una determinata situazione”. (Zingarelli,
2002) , la capacità di mettersi nei panni degli altri.
L’autore, Jeremy Rifkin sottolinea come anche l’economia, dopo aver a
lungo afermato che ogni individuo “persegue istintivamente il proprio interesse
particolare”, abbia iniziato, con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie,
a considerare che”ottimizzare gli interessi degli altri signiica anche aumentare
il proprio patrimonio e il proprio valore”, e che “ La cooperazione vince sulla
concorrenza” . È per questo che teniamo ad afrontare anche questa tematica
riallacciandoci alla mentalità di Emiliano.
Tali indagini hanno constatato infatti come gli esseri umani mostrino
in dai primissimi anni di vita una forte tendenza ad entrare in relazione
empatica, percependo stati d’animo, gioie e soferenze degli altri come
fossero proprie. È grazie all’empatia che condividiamo l’esistenza di coloro
che incontriamo lungo il nostro cammino, ma non solo, è ancora attraverso
l’empatia che ci spingiamo oltre e trascendiamo i nostri stessi limitati conini
personali. È l’empatia l’esperienza più intensa che possiamo avere, poiché essa
consiste nel riempirsi di vita, nostra e di altri.
Oramai anche in ambito scientiico c’è chi aferma che l’essere umano
aspira a qualcosa di più della pura sopravvivenza, conservazione della specie e
riproduzione.
Partendo da un’analisi storica e sociologica, si scopre che mentre la
società prevalentemente agricola si fondava sulla fede e quella industriale
sulla ragione, la nuova società globalizzata si stia spostando verso una
valorizzazione dell’empatia , uno sviluppo economico e stili di vita sostenibili
e una nuova coscienza solidale con il pianeta stesso, dai cui delicati equilibri
dipende, volenti o nolenti, la sopravvivenza di tutto il genere umano.
Ci si chiede quindi, su questa linea di ragionamenti , se la natura umana
sia davvero e prevalentemente egoista come si è a lungo insistito, oppure sia
piuttosto una natura empatica. Vengono citati nel testo di Rifkin numerosi
approfondimenti sul tema, in ambito psicologico, che confermano come la
consapevolezza di sé cresca in sintonia con l’approfondirsi delle relazioni con
gli altri. Ci si interroga, negli ultimi capitoli del libro, su quale sia la terapia
137
il suo messaggio, la sua eredità
più giusta per guarire la nostra dipendenza dall’ equazione ricchezza = felicità,
tanto più considerando che tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo ci si
dovrà per forza incontrare lungo quella che viene deinita soglia minima del
benessere, per creare condizioni di vita sostenibili per tutti e far sì soprattutto
che l’esistenza sulla terra possa continuare. Il fatto che attualmente ci si
trovi costretti a ridimensionare le proprie esigenze, in seguito alla crisi
economica mondiale, apre una nuova speranza in questo senso. Dalla ricerca
di una felicità fondata sull’accumulo di ricchezze ci si dovrà allontanare dal
capitalismo economico, orientandosi verso la ricerca di una felicità più solida
basata su relazioni interpersonali signiicative.
In conclusione, scopriamo come bene si incontrino principi evangelici,
spiritualità francescana, dottrina sociale della Chiesa e recenti ricerche in
ambito sociologico, psicologico ed economico, sul fatto è necessario costruire
una cultura della Pace, frutto della Giustizia, nella quale si difendano i diritti
di tutti gli esseri umani, per prevenire conlitti , violenza, rabbia difusa,
instabilità politica ed economica e che la solidarietà non si fonda su principi
molto lontani da quelli sui quali pone le sue radici l’amicizia. Principi di
disinteresse, capacità di donarsi, distacco dai beni materiali, attenzione per
l’altro, libertà e uguaglianza.
La logica della comunità resta sempre la più idonea a tutti i livelli della
convivenza umana.
Solo un serio impegno a progettare uno stile di vita improntato sull’amore
per il vero, il bello ed il buono, potrà generare una vera crescita ed un vero
sviluppo, che porti beneici sia ai Paesi ricchi che a quelli poveri. Solo la
ricerca di senso ed il procedere verso una verità ultima può arginare i mali nei
quali qualsiasi società rischia di cadere e dove ogni forma di totalitarismo si
insinua.
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parte terza
3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno
dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei
cieli.(Matteo 18,3-4)
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il suo messaggio, la sua eredità
Abbracciati dalle sue mura, incantati dall’armonia dei decori e dei dipinti,
dai suoi piccoli spazi, da come ogni angolo raccontasse storie antiche, e stupiti,
dopo il restauro, dalla sua vera e propria rinascita, abbiamo visto spuntare come
germogli, a volte dolci, a volte anche amari, e poi maturare, intorno all’altare da
noi stessi creato, speranze, amicizie, preghiere, amori, matrimoni, igli, crisi, lutti,
progetti, alcuni giunti a dare frutto, altri no.
Forse qualcuno tra noi, meno circondato da comodità nella propria casa, ha avuto
modo di apprezzare e gustare ancora meglio tanta abbondanza di Grazia!
Qualcuno poi, ha persino anteposto la “nuova casa” a quella in cui viveva la sua
vita quotidiana, ma questa ovviamente non è mai stata una regola da imporre
a nessuno. Chi lo ha fatto ha ricevuto da un lato ulteriori cascate di Grazia,
dall’altro, imparando a selezionare ciò che ha grande valore da ciò che ne ha
140
parte terza
Alcuni compiti, che avevamo assunto come nostri, li abbiamo dovuti delegare,
l’atmosfera incantata dei primi tempi si è molto ridimensionata, come del resto
accade in qualunque tipo di innamoramento, le energie sono diminuite, tanti
fratelli sono andati via, alcuni sono partiti già verso la Casa del Padre, d’altra
parte altri ne sono arrivati, nuovi compiti ci sono stati aidati, nuove idee sono
emerse, seppure in un clima che richiede maggiore umiltà.
La stessa storia di ogni essere umano e di ogni famiglia.
Una chiesa non vale l’altra, come una casa non vale l’altra.
Lo capiscono bene coloro che sono costretti ad abbandonare la propria, per cause
di forza maggiore.
Ma se, quella volta lontana, invece della chiesa di S. Barbara, avessimo ricevuto
in eredità una villa, peraltro ristrutturata e restaurata, nientemeno che come bene
artistico, e per di più al centro di Roma, oggi probabilmente non staremmo a
ragionare su cosa farne o se continuare ad andarci”.
Cosa rappresenti Santa Barbara, per chi l’ha vissuta tanto intensamente, è
stato scritto “a caldo” da qualcuno di noi parecchi anni fa e così, come lo
abbiamo custodito tra i freddi ile di un computer ma soprattutto nei luoghi
più preziosi del cuore, lo riportiamo di seguito …
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il suo messaggio, la sua eredità
più antico; dalla sua stessa composizione, da ogni suo granello di terra, da tutto
ciò che ha contribuito a formarlo, strato su strato, trae nutrimento.
Così la storia che stiamo raccontando non è nata dal nulla, bensì è maturata
nell’ambito di un’esperienza molto più ampia, un’esperienza comunitaria, passata
attraverso la chiesa di S. Barbara de’ Librari a Roma.
Per prima cosa occorre saggiare il terreno sul quale, a sua volta, tale comunità
maturò la sua identità cristiana e la vocazione speciica in seno alla Chiesa,
ponendo radici assai profonde.
Un passo indietro, questo, che ci conduce lontano nel tempo, nel vivo cioè della
pentecoste post-conciliare e dei suoi grandi entusiasmi.
Solo vari anni dopo, infatti, una parte della stessa comunità, avviata verso nuovi
sviluppi, avrebbe unito il suo nome a quello di Santa Barbara.
Le origini di quella storia dunque, più ampia ed antica, risalgono agli anni
’70, quando un folto gruppo di ragazzi visse un lungo periodo di impegno
comunitario, gioioso e coinvolgente, nell’ambito della parrocchia del Preziosissimo
Sangue, a Roma.
Guida carismatica ne fu don Riccardo Fontana, prima come diacono, poi come
sacerdote, il quale avviò quell’esperienza di Chiesa, a Tor di Quinto, e a lungo vi
restò come viceparroco.
Un fratello maggiore, soprattutto nella fede, ma anche un amico per tutti.
A lui erano stati aidati, infatti, vari gruppi di ragazzi, liceali ed universitari,
e non solo del territorio corrispondente alla parrocchia; giovani che seguiva
quotidianamente.
Tra le principali attività svolte, c’era l’appuntamento serale in chiesa, per
recitare tutti insieme i Vespri, occasione sia per incontrarsi che per pregare,
l’appuntamento ideale mattutino per la recita delle Lodi, ciascuno nel luogo in
cui si trovava, gli incontri settimanali sulla Parola, divisi per fasce di età, la
messa domenicale, preceduta da una preparazione alle letture, i periodici ritiri nei
momenti più forti dell’anno liturgico, l’organizzazione di conferenze e seminari
su temi di attualità, oltre alla partecipazione attiva a particolari iniziative di
carattere sociale quali i Decreti Delegati in ambito scolastico.
Una storia estremamente coinvolgente e contagiosa, possiamo ben dire, visto
che vi aderirono più di un centinaio di ragazzi, una storia che, purtroppo, passò,
successivamente, attraverso diicili e dolorose vicende, le quali rimasero in parte
incomprensibili.
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parte terza
Furono eventi veramente drammatici, infatti, quelli che, tra il ’77 e l’80 circa,
bloccarono, presso tale parrocchia, ciò che sembrava oramai collaudato, insieme
a quanto era ancora in crescita, in via di costruzione e di espansione, congelando
speranze e propositi, ma non riuscendo, grazie a Dio, a distruggerne il cuore.
Nelle sue profondità rimase infatti un piccolissimo germoglio, pronto a riiorire
non appena se ne fossero date le condizioni giuste.
Vogliamo ripercorrerne qui, in breve, la storia successiva, con l’intento di farne
più che altro una lettura spirituale.
Fu, dunque, dopo una parentesi, durante la quale si mantennero vivi alcuni
forti rapporti di amicizia, sacri nel vero senso della parola, che una parte di quel
primo nucleo di giovani, oramai adulti, si ritrovò, per afrontare una nuova
avventura insieme.
Era tornato inalmente a Roma, dopo qualche anno di assenza, per un incarico
diplomatico in Indonesia, don Riccardo.
Era circa il 1982, dunque, quando, una parte della comunità del Preziosissimo
Sangue d’un tempo, ritrovò una nuova dimensione, inizialmente itinerante, da
una chiesa all’altra, da un locale all’altro, da una casa all’altra, ino a che giunse
nella piccola chiesa di santa Barbara de’ Librari, aidata dal Cardinal Vicario
a don Riccardo stesso, peraltro impegnato, dopo il rientro in Italia, presso la
Segreteria di Stato del Vaticano.
Un prezioso tesoro al centro di Roma, devastato da un inappropriato utilizzo a
magazzino e rimasto chiuso come luogo di culto per cinquant’anni, il quale poteva
inalmente recuperare la sua vera identità e diventare un punto ideale di incontro
per tutti coloro che lo Spirito avrebbe voluto riunirvi.
Da santa Barbara trasse così il suo nuovo nome una parte della decimata
comunità originaria, che tra quelle mura poteva riprendere l’antico cammino
interrotto, oltre al folto gruppo di coloro che via, via si sarebbero aiancati a lei,
per compiere lunghi o brevi tratti di strada insieme.
Quanti, da allora, sono entrati nella chiesa di largo de’ Librari, alcuni
apparentemente per “caso”, trovandosi solo a passare di là, alcuni attratti dalla
caratteristica piazzetta, stretta intorno alla sua facciata, dalla bellezza di
quest’ultima e dalla ricchezza artistica racchiusa al suo interno!
Una ricchezza valorizzata con un lungo ed accurato intervento di restauro,
iniziato nell’85 e completato nel ‘92.
Tra le sue mura, tutti, vicini alla fede o lontani che ne siano, percepiscono da
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il suo messaggio, la sua eredità
“… Non si tratta di costruire una città ideale, ma solo una Comunità di persone
che vogliono rispondere, ognuno secondo la propria sensibilità ed i propri carismi,
alla chiamata del Signore. Perché una comunità e non singoli? La necessità di
una vita più strettamente legata con altri fratelli nasce dal riconoscimento di un
aspetto fondamentale della condizione dell’uomo, il peccato, cioè l’incapacità
dell’essere umano di gestire da solo la propria storia in modo corretto, aspetto
questo che ci coinvolge sia individualmente, che come gruppo di fronte alla
società. Abbiamo infatti sperimentato che la lontananza dal Signore ci impedisce
di essere come vorremmo, ci lascia dentro un senso di insoddisfazione, un senso
di divisione interiore. Questo nostro stare insieme vuol quindi essere basato
sull’umiltà di riconoscersi bisognosi dello Spirito di Dio. Ma anche sulla speranza,
la speranza di vivere in modo diverso da quello che sperimentiamo ogni giorno,
talvolta anche nel mondo dei nostri afetti. Abbiamo quindi ricevuto l’annuncio
ed ora si tratta di rispondere.
Un altro pilastro del nostro stare insieme vuol essere la libertà di rispondere a
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parte terza
tale annuncio secondo la propria sensibilità, libertà che nasce in primo luogo dal
riconoscimento delle diverse esigenze e delle diverse tendenze, tutte ugualmente
importanti. L’idea dei “cani sciolti” che non hanno nessun modello da imporre
agli altri uomini, ma solo il desiderio di vivere insieme in modo cristiano. Una
libertà a doppio senso, però sia di chi ha bisogno di fare un passo alla volta, sia
di chi sente un maggior slancio nell’impegno di fede. E questo ci porta ad un
altro elemento fondamentale, la iducia vicendevole. In altre parole, il rapporto
di iducia deve essere proporzionale all’importanza della scelta che ci sta davanti
e deve essere, almeno nelle intenzioni, senza riserve. Solo così si potranno poi
realizzare quei servizi concreti di assistenza e di aiuto reciproco proposti da diversi
di noi. Questa iducia può trovare una vasta applicazione anche nei momenti di
discussione e di rilessione di tutto il gruppo. Chi sente di aver compreso qualcosa
di importante nel cammino verso il Signore, o chi incontra dubbi, non esiti a
trasmetterlo agli altri, senza paure di sorta. Questi ed altri ancora sono i caratteri
alla base dell’annuncio di Cristo, annuncio da accettare integralmente o da
riiutare, non da modiicare a nostro piacimento. Non vogliamo costruire qualcosa
che valga una stagione, ma senza eccessivi entusiasmi o false ipocrisie, qualcosa
che segni un cambiamento di mentalità, un qualcosa che diventi la nostra
“famiglia”, in ultima analisi, la “nostra” Chiesa, senza voler attribuire a quel
“nostra” alcuna strana interpretazione. L’idea da prendere come base è quella della
prima comunità, basata su tre momenti chiave, momenti tutti irrinunciabili: la
frazione del pane, l’ascolto della Parola, la carità vicendevole.”
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“potessero trarre sollievo dalla bontà che il Signore aveva usato” verso di lei,
malgrado limiti ed errori, “e tornare a Lui con semplicità di cuore, iducia e
speranza”.
Intanto una delle prove più evidenti dell’abbondanza della Grazia ricevuta
erano i tanti bambini che via via nascevano e crescevano nell’ambito della
comunità stessa, condotti per mano da tutti e non solo dai genitori, ainché
“si avvicinassero in letizia al Signore”, anch’essi attraverso la grande ricchezza
dell’amicizia.
Compito prioritario era passare loro il testimone della fede, mentre si avvertiva
un forte desiderio di provocare un cambiamento di mentalità e stile di vita,
tentando di mettere in comune carismi diversi e di costruire qualcosa che potesse
diventare una famiglia allargata.
Ampio spazio veniva dato anche all’attività di pensiero e all’annuncio
attraverso lo strumento culturale, in piena sintonia con il titolo romano di santa
Barbara, patrona dei Librari.
Un cammino dunque di crescita, insieme umano e cristiano, quello che nasceva
e si allargava in modo progressivo, come in cerchi concentrici, a partire dalla
chiesa di santa Barbara, quale fulcro ideale, un cammino tendente verso la
realizzazione del Patto Associativo e verso i suoi obiettivi, seppure molti di essi
non siano mai stati pienamente raggiunti e, in alcuni casi, solo siorati.
La validità dei progetti e dei programmi si è ripetutamente scontrata infatti con
la realtà quotidiana, con l’incapacità ad essere a lungo perseveranti nel bene e con
le inevitabili crisi personali, che sono sopraggiunte con il passare del tempo, come è
tipico di ogni storia umana.
Eppure in tutto questo la comunità ha continuato a rivelarsi quale luogo
privilegiato in cui la fede cresce e, la coscienza, quale luogo privilegiato
dell’incontro con Dio.
Un Dio che parla e lo fa attraverso vari canali, la natura per prima e poi la
Bibbia, gli avvenimenti di ogni giorno, la storia, il “bello”, l’arte, la musica,
mentre per lo più si pensa di poterlo incontrare solo nel “buono”.
Nascevano intanto le prime inevitabili diicoltà a conciliare famiglia, lavoro
ed impegni comunitari, mentre d’altra parte un iume di ricchezza e di nuovi
stimoli scaturiva dalla presenza dei tanti bambini che diventavano per tutti fonte
di nuovi stimoli, grandi novità ed emozioni. A loro veniva dedicato uno spazio
speciale in ogni circostanza.
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il suo messaggio, la sua eredità
critiche, dall’altro ofrono l’occasione per una radicale revisione di vita e spesso per
una conversione più matura.
I nuovi sentieri intrapresi, più o meno consapevolmente, si presentavano di certo
più ripidi e faticosi.
E lungo il cammino intanto molte sicurezze andavano cadendo.
Una fede coltivata soprattutto con l’intelletto e la volontà ed una preghiera, dai
toni complessivamente pacati, seppure caldi e partecipati, venivano interpellate,
scosse dallo Spirito e chiamate ad aprirsi su nuovi orizzonti, per una lettura
più profonda delle singole storie personali e di ogni vicenda della vita, ove
assolutamente niente è lasciato al caso.
A maggior ragione si intensiicava la necessità di spalancare le porte allo Spirito.
Occorreva esporsi al suo potente vento.
Tornava così il tema del brano di Nicodemo, rinascere a nuova vita attraverso
acqua e Spirito. Convinti che solo Lui sa come entrare nelle pieghe della nostra
vita ed erompere con forza, generando un vero ed intimo contatto con Dio. Un
incontro che deve essere ardentemente desiderato.
A questo sembrava richiamata la comunità di Santa Barbara.
C’era dunque da scavare più a fondo nel cuore, nei suoi spazi più silenziosi
e ricchi, dove la preghiera si fa unicamente ascolto e l’esperienza di Dio più
tangibile.
Si stava raggiungendo una più profonda consapevolezza della presenza di
Cristo, Roccia di Salvezza, unico Liberatore da ogni forma di schiavitù, unico
Signore, unico Fedele, unico Santo. L’unico degno di occupare il primo posto,
l’unico a cui inchinarsi.
Parallelamente, i percorsi proposti da Don Ivo in parte ricalcavano le linee
precedenti, in parte erano del tutto nuovi.
Giunse così il tempo di fare un’altra esperienza di preghiera particolarmente
coinvolgente, la meditazione profonda, seguendo per grandi linee la spiritualità
del gesuita padre Mariano Ballester, guida, da più di trent’anni, di corsi di
preghiera e autoconoscenza nel mondo.
Nella prefazione ad uno dei suoi libri vi è una rilessione che riteniamo si
armonizzi bene con molti dei discorsi fatti:
“Il labirinto che ricopre il pavimento della cattedrale di Chartres mi ha sempre
incantato non solo per la sua valenza simbolica ma anche per gli elementi
igurativi ivi rappresentati. Di questi, due mi appaiono ancora oggi
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insuperati: la rosa iorita che rappresenta il Centro, una volta l’anno illuminata
dal raggio di mezzodì del primo giorno di primavera, e l’andamento del labirinto
che, più di altri, ti fa ripartire dall’ostacolo con un percorso sempre ampio e
circolare, sicché l’ostacolo ti appare una sosta e non un impedimento vero e
proprio. Sei e rimani sulla Via, anzi dalla Via non ti sei mai mosso. Il labirinto,
perciò, ben raigura non solo l’andare per il mondo dell’uomo di tutti i tempi,
dell’uomo errante, del vagabondo che è privato della retta orientazione ed è,
perciò, soggetto a errore, ma rappresenta anche l’anima del pellegrino che cresce
e quando cresce non si alza come una canna, ma si apre come un iore, sboccia
intorno al suo centro, petalo dopo petalo, tappa dopo tappa, inché non si riempie
di luce e completamente alla luce si ofre, rinasce.”
Fu un tempo ricco di ritiri spirituali ed altre occasioni di rilessione.
Gli obiettivi erano quelli di sempre, occorreva solo comprendere che potevano
mutare i metodi e gli approcci. Si trattava forse di una nuova stagione, o di una
diversa dimensione, che non era in contrasto con la precedente, né tanto meno
doveva sostituirla, bensì poteva arricchirla.
Il passaggio non era semplice, né privo di ostacoli. Ma nessun cammino umano lo
è, qualora giunga ad un bivio o ad una inevitabile svolta.
In realtà la vita della comunità di Santa Barbara si era andata modiicando in
molti sensi.
A volte pareva si stesse spegnendo, mentre invece si allargavano i suoi conini.
Il progetto complessivo aveva preso molte diverse direzioni, già con la partenza
di Don Riccardo e per il fatto stesso di essere stato condiviso con un numero
sempre crescente di persone di diversissima provenienza. Era stato, possiamo dire,
esportato, e proprio questa novità poteva rivelarsi l’unica vera garanzia di validità
e di durata, anche se l’ampliarsi del tessuto stesso della comunità non sempre e non
da tutti veniva compreso.
Continuava ad essere, comunque, un progetto per fare Chiesa nel nostro tempo.
Esso aveva oramai scavalcato le mura della chiesa, pur portando in sé tutto il
suo patrimonio. Ed essa continuava a restare il suo cuore pulsante, piccolo nucleo
ancora vivo, anima stessa di una comunità più grande.
Su questa linea è andata avanti la storia, anche dopo la partenza dello stesso Don
Ivo, per essere vescovo in Bolivia.
Su questa linea ha continuato quello che potremmo deinire, pur nel suo piccolo, il
“big bang” di Santa Barbara, che ha lasciato sì più vuoto e meno fervente di
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il suo messaggio, la sua eredità
Oggi, dopo vari anni da quando furono scritte queste pagine, possiamo
dire che molti altri doni il Signore ha continuato a fare, non ultimo, più di
dieci anni fa oramai, l’arrivo di don Italo Galletti, come rettore della chiesa,
con una dedizione sua peculiare, venendo ogni domenica dall’Umbria a
Roma solo per celebrare messa a S. Barbara e soprattutto con il suo spirito
profondamente francescano ed ecumenico, provvidenziale e forte richiamo,
ancora una volta per tutti noi sulla linea di Emiliano.
Ed in questi ultimi giorni, inine, proprio mentre concludiamo la stesura
del libro, un nuovo rettore ancora subentra tra le antiche mura di Santa
Barbara, don Carlo Giannini, passato anche lui, più di vent’anni fa, lungo
il vialetto, tra i corridoi di lontana memoria e sull’altare della parrocchia del
Preziosissimo Sangue.
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APPENDICE
LA SCRITTURA DI EMILIANO
Premessa: trattasi della scrittura di un ragazzo tracciata nel 1977 a soli 16 anni.
Nell’esaminarla ho considerato il proiettarsi del suo gesto graico in un futuro a
lui purtroppo negato; mi piace immaginare che questo futuro lo abbia avuto in
altra dimensione…
E’ una scrittura di quasi 40 anni fa, Emiliano aveva solo 16 anni, eppure
mostra caratteristiche di una maturità inusuale per la sua età; in tutto lo
scritto risalta una personalità ricca di sensibilità, captatrice di emozioni,
persona amabile e disponibile, che ama trarre dall’ambiente circostante
gli stimoli emotivi ed intellettivi e che trasforma in idee proprie, che non
ama lo scontro diretto ma che quando l’impeto e le emozioni esplodono
interiormente, spesso vengono frenate prima che possano essere comunicate
all’esterno.
Ricerca l’altro a cui ama palesare soltanto gli aspetti di sé che rilettono
maggiormente la sua vivacità intellettuale; in tal modo riesce a proteggere la
parte più intima della sua interiorità sulla quale si soferma quando si ritira tra
sé e sè; si ritaglia pertanto, spazi personali in cui alimentare il proprio mondo
interiore fatto di creatività ed immaginazione ma anche di conlitti interiori
che irrompono all’improvviso creando uno squilibrio momentaneo.
Disagio nascosto, nasce dal bisogno di cercare se stesso, di afermare la
propria personalità di scoprire le risorse ed i limiti. Nel complesso si tratta
di una personalità vulnerabile che alterna momenti di scambio sociale con
fasi di chiusura. Molto importante è il peso che acquista per lui l’afettività,
soprattutto la modalità di avvicinarsi agli altri: bisognoso di amore e
considerazione, non sempre si sente compreso dalle persone a lui care;
conseguente il suo bisogno di attenzione e protezione, sentite ancora come
punto di appoggio che non consentono una libera espressione perché spesso
frammiste a ribellione. Aderisce a modelli approvati socialmente per la
voglia di considerazione da parte della collettività e del suo nucleo familiare,
ma coltiva il desiderio di emanciparsi; si muove all’interno di questo suo
mondo con socievolezza e sa rendersi amabile per l’inclinazione che ha verso i
rapporti, anche se tutto non sembra sempre facile, poiché il suo
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coinvolgimento non appare sempre totale di facile lettura per quei lati
contraddittori che si manifestano con una emotività e suscettibilità che
sono anche causa di soferenze, provocando comportamenti a volte meno
diplomatici ma che nascondono una certa fermezza delle proprie idee.
Orgoglioso e attivo, ama muoversi anche a costo di grande fatica non
sfuggendo alle responsabilità; non ama rivelarsi completamente, manifestando
un modo di essere anche misterioso e da scoprire che utilizza anche
come forma seduttiva; cela ciò che lo rende più fragile, questo crea ansie
e conlitti nel suo interno e nelle relazioni. Nonostante il suo carattere
generoso e disponibile, in certe situazioni Emiliano può subire delle frenate
e ripensamenti che lo isolano; i pensieri e le immagini lo immergono in
rilessioni e contraddizioni che turbano la sua serenità; e’ perciò comprensibile
l’alternanza che mostra e che sembra essere l’espressione di un’autonomia e di
una afermazione non completamente raggiunta, fonte di un’insoddisfazione e
vulnerabilità.
Si evidenzia un desiderio e ricerca di valorizzazione, i propri successi in
settori a lui congeniali, sono sostenuti da una buona energia capace di
sostenere le doti di comunicazione che, relazionata alla versatilità, con un
desiderio di eloquenza potrebbero permettergli di trovare sul piano pratico,
quella stima e considerazione di sé di cui sente indispensabili per il suo
equilibrio interiore.
Roma, 8.6.2016
Appendice
p. 158 La scrittura di Emiliano
BIBLIOGRAFIA
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Pace, 2004, Esd. Libreria Editrice Vaticana;
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Il lavoro nella Spiritualità Francescana, Padre Cesare Vaiani;
Patto Associativo Comunità S. Barbara, 1987
Bibbia, vers. CEI, 1974;
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