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Perché un libro GRU PPO AM I CI DI EM I LI ANO PI RANI

per ricordare Emiliano Pirani ?

Capita qualche volta nella vita di rendersi conto di aver conosciuto


una persona speciale, che si distingue da tutte le altre per una straordinaria
“normalità”, non inquinata da quanto ci inquina, non attratta da quanto
ci attrae , che segue con rigore la sua strada luminosa senza mai scendere
a compromessi e senza cercare scorciatoie per arrivare ai risultati magari
in maniera scorretta.

In cammino con Emiliano


Emiliano Pirani, morto a soli 33 anni nel 1994, ha profondamente
colpito molte delle persone che lo hanno conosciuto per il suo stile discreto
e silenzioso aderente agli insegnamenti evangelici e basato su quelle virtù
umane fondamentali che sembrano non essere più di moda. Una persona
eccezionalmente normale o normalmente eccezionale che ha lasciato
un segno profondo in chi lo ha conosciuto. È signiicativo che moltissimi
lo ricordino per delle qualità umane rarissime.

Emiliano non ha fatto in tempo “a fare rumore”, non si è imposto


in campo sociale , non ha raggiunto mete professionali,
non è sceso a compromesso con le negatività del tempo in cui è vissuto,
tanto che qualcuno potrebbe meravigliarsi, e forse si è meravigliato,
che abbiamo voluto compiere la fatica di scrivere questo libro.

Per noi invece che lo abbiamo amato, e che lo amiamo, e abbiamo avvertito
in lui una forza immensa proveniente dall’applicazione dei precetti evangelici,
questa scarsa attenzione alle qualità di Emiliano è diventata la conferma
che il suo ricordo andava perpetuato. Nella dimensione in cui Emiliano
si trova, le glorie terrene non contano, ed infatti noi il libro non lo abbiamo G. Leodori A. M. Faccenda
In cammino
scritto per Lui, ma per chi dovrebbe ricordarlo ed imitarlo per quanto
possibile e per coloro che pur non avendolo conosciuto possano comprendere
che si può ancora vivere in armonia con il mondo, con la natura,
con Emiliano
con i fratelli e con il Signore. “Alzo gli occhi verso i monti ...”
a cura di
Anna Maria Faccenda
Giampiero Leodori
"Alzo gli occhi verso i monti...”
In cammino con Emiliano

a cura di
Anna Maria Faccenda
Giampiero Leodori
Gruppo amici di Emiliano Pirani
“Alzo gli occhi verso i monti...”
In cammino con Emiliano
a cura di Giampiero Leodori, Anna Maria Faccenda,

© 2016 Tutti i diritti di copyright sono riservati

Realizzazione editoriale: Elisabetta Leodori, Barbara Magazzù


In ricordo di Emiliano Pirani,
esempio di virtù.
Roma, 12 novembre 2016
Introduzione

Capita qualche volta nella vita di rendersi conto di conoscere una persona
speciale, che si distingue da tutte le altre per una straordinaria “normalità”,
non inquinata da quanto ci inquina, non attratta da quanto ci attrae,
che segue con rigore la sua strada luminosa senza mai scendere a compromessi
e senza cercare scorciatoie per arrivare ai risultati magari in maniera scorretta.
Emiliano Pirani, morto a soli 33 anni nel 1994, ha profondamente colpito
molte delle persone che lo hanno conosciuto per il suo stile discreto
e silenzioso aderente agli insegnamenti evangelici e basato su quelle virtù
umane fondamentali che sembrano non essere più di moda. Una persona
eccezionalmente normale o normalmente eccezionale che ha lasciato
un segno profondo in chi lo ha conosciuto.
E’ signiicativo che moltissimi lo ricordino per delle qualità umane
rarissime. Emiliano non ha fatto in tempo “a fare rumore”, non si è imposto
in campo sociale , non ha raggiunto mete professionali, non è sceso
a compromesso con le negatività del tempo in cui è vissuto, tanto che
qualcuno potrebbe meravigliarsi, e forse si è meravigliato, che abbiamo
voluto compiere la fatica di scrivere questo libro.
Per noi invece che lo abbiamo amato, e che lo amiamo, e abbiamo avvertito
in lui una forza immensa proveniente dall’applicazione dei precetti evangelici,
questa scarsa attenzione alle qualità di Emiliano è diventata la conferma
che il suo ricordo andava perpetuato.
Nella dimensione in cui Emiliano si trova, le glorie terrene non contano,
ed infatti noi il libro non lo abbiamo scritto per Lui, ma per chi dovrebbe
ricordarlo ed imitarlo per quanto possibile e per coloro che pur non avendolo
conosciuto possano comprendere che si può ancora vivere in armonia
con il mondo, con la natura, con i fratelli e con il Signore.

Anna Maria e Giampiero


PARTE PRIMA

LA SUA VITA
PARTIAMO DALLA FINE...CHE FINE NON È

La chiesa di Santa Barbara dei Librari a Roma è minuscola , entra


tranquillamente in un quadrato di venti metri per venti , ma come fa a starci
tutta questa gente? E’ il 16 novembre millenovecentonovantaquattro
e davanti all’altare moderno, realizzato sopra un’antica ara romana è
appoggiata una bara. Non ci sono cavalletti, sta sul pavimento.
Non potrebbe essere diversamente e forse Emiliano che dorme nella bara, se
avesse potuto scegliere, avrebbe voluto essere sepolto nella nuda terra, una
sepoltura essenziale come essenziale era lui.
Fiumi di lacrime negli occhi di tutti . Sì è logico , in ogni funerale c’è chi
piange , ma qui la cosa è veramente diversa: c’è la precisa sensazione che si sia
allontanata da noi, almeno isicamente, una persona unica e rara.
Un giovane di soli trentatre anni (veramente un’età particolare per morire)
si allontana da noi a causa di uno schianto pauroso in auto e lascia un vuoto
incolmabile. E anche qui si dirà che ogni giovane che muore lascia un vuoto
incolmabile in chi resta. Ma lì , in quella Chiesa, che anche Emiliano aveva
aiutato a recuperare dall’oblio, c’è una consapevolezza particolare: se ne è
andato il migliore, l’unico in grado di seguire vie che non sono le nostre solite
vie, colui che si diferenzia per una miriade di scelte vissute con coerenza,
con testardaggine forse, ma in maniera assolutamente non comune.
Come accade in molti ilm, la prima immagine è anche l’ultima della storia
e si va a ritroso: una massa stipata di persone che vede uscire il feretro
e resta in silenzio a rilettere su certi misteri, che per noi sono imperscrutabili.
Misteri giustamente incomprensibili per deinizione, i cui rilessi, forse, sono
interpretabili in tempi lunghi, non certo immediatamente.
E la persona scomparsa si avvia verso la sepoltura, destinata a scomparire in
un ricordo che si aievolisce sempre più, per diventare quasi una semplice
sensazione , la sensazione di aver conosciuto qualcuno, ma di non ricordare

11
parte prima

nulla, di non saper più bene che cosa avesse fatto, pensato, che aspetto avesse,
di cosa si interessasse e così via. Un percorso più o meno rapido verso il nulla,
il disfacimento della memoria.
E paradossalmente chi la combina grossa , chi fa danni, chi si impone
all’attenzione per la sua negatività, resta ben scolpito nella memoria, come
chi segua solo i suoi interessi o il suo tornaconto ma in qualche modo stimoli
la curiosità morbosa della gente. Chi invece vive silenziosamente mettendo
in pratica splendide virtù umane e cristiane, sembra destinato a sparire nel
vuoto.

Don Riccardo Fontana, che deiniamo solo con il “don” per entrare
nello spirito semplice di Emiliano,anche se ormai da un ventennio è un
arcivescovo, di Spoleto prima e di Arezzo poi, con tutte le sue forze ha voluto
recuperare l’antichissima chiesa e fondare una Comunità viva ed in linea con
l’insegnamento del Vangelo e sa bene che tra i tanti giovani passati in quegli
ambienti Emiliano è forse l’unico per cui non appare esagerato pensare a
caratteristiche di santità . Lo dice e lo ripete , in punta di piedi certo, ma lo
dice. Sarà il tempo che darà qualche indicazione in proposito, ma Emiliano,
lì dove si trova, si sforza di sperare che a nessuno mai venga in mente di dire
che lui sia stato un santo. Nasce subito il desiderio di ricordare Emiliano con
un libro , di creare una fondazione a suo nome raccogliendo dei fondi e si
inizia anche con il progetto che si arena presto. Ma i fondi raccolti in nome
di Emiliano iniranno nelle iniziative della Comunità, nella “opzione per i
poveri” che distingue il Patto Associativo. Saranno quindi fondi impiegati
in carità operosa. Poi però passa l’emozione del momento, la vita personale di
tutti prende il sopravvento ed Emiliano si ritrova in secondo piano. E’ nella
normale logica delle cose.

Ma i giovani del 1994 si ritrovano vent’anni dopo a rilettere sul fatto


innegabile che un altro Emiliano non l’hanno più incontrato , nessuno si è
mostrato così riccamente particolare in una disarmante sobrietà, in uno stile
di vita più francescano dei francescani e allora viene l’impulso fortissimo di
riprendere l’idea del libro e di portarla avanti, aidando al ricordo di chi ha
conosciuto Emiliano, il compito di raccontarcelo. La scommessa è semplice:
dimostrare che il bene non fa rumore ma che alla ine vince e che di fronte

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la sua vita

al frastuono mondano dell’attualità, esistono virtù imperiture che qualcuno


riesce a vivere profondamente, dispensando intorno a sé una ricchezza
incalcolabile. Ed ecco perché Emiliano non sfuma ma resta sorridente a
ricordarci che si puo’ e si deve essere diversi dal modello che la società attuale
ci propina.

Testo dell’omelia di don Riccardo Fontana durante le esequie di Emiliano

O signore,il nostro fratello Emiliano è passato da questo mondo a Te. In mezzo


a noi restano le sue spoglie, devastate dalla morte; fai che non prevalga in noi il
pianto per il dolore di separarci temporaneamente da lui,ma che invece si levi dal
nostro cuore una preghiera di ringraziamento a Te, o Signore, per avercelo fatto
incontrare, per avercelo dato come amico, per il bene che ha fatto a ciascuno di
noi, per l’umiltà e la discrezione del suo agire senza esibizioni, per la fede forte e
luminosa che ci ha testimoniato nei suoi 33 anni di vita in questo mondo.
In questo momento di prova, mettiamo in comune il pane della fede che abbiamo
condiviso con Emiliano, e invochiamo lo Spirito Consolatore perché nessuno esca
da questa nostra chiesa senza portare a casa da questa preghiera di commiato
almeno una scintilla di luce.
Noi crediamo che Dio è un padre buono e provvido: abbiamo mille
volte fatto esperienza della Sua bontà e abbiamo visto che Egli riesce dove noi
falliamo e che con il suo aiuto niente ci è impossibile. Anche in questa mattina
in cui non riusciamo a vedere le ragioni del male oscuro che si è avventato
su di noi, strappandoci il più buono dei nostri, noi ci idiamo di Dio e senza
paura sidiamo l’oscurità della morte che per la prima volta si abbatte su questa
giovane comunità. Non abbiamo paura. La fede è virtù di uomini liberi e forti,
sprezzanti del sacriicio e delle diicoltà, pronti a intraprendere il cammino in
salita verso un mondo più giusto e più buono. In cima al Monte Gennaro c’è
un piccolo libro con i nomi di quelli che hanno raggiunto la vetta. In cima al
monte della storia noi vogliamo che i nostri nomi siano scritti nel Libro della
Vita assieme a quello di questo giovane fratello che salutiamo nel Signore. Siamo
tutti certi che ci ritroveremo più avanti, in vetta. Promettiamo dunque di fare del
nostro meglio per meritare la sorte degli amici di Gesù che ci hanno preceduto.
Noi crediamo che Dio ha avuto pietà di noi e ci ha mandato il suo unico
iglio, Gesù Cristo, che si è fatto carico delle nostre contraddizioni e dei

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parte prima

nostri peccati ed è salito in croce per noi. Mentre davo il sacramento dell’Unzione
ad Emiliano, non inchiodato su una croce di legno ma conitto di tubi, di sensori
e di aghi sul lettino della rianimazione, ho avuto la sensazione di aver davanti il
crociisso che manca dalla croce grande della nostra Chiesa, là sull’altare.
O Signore , questo giovane fratello ci ha insegnato a vedere il tuo volto in croce
in ogni uomo che sofre e a fare tutto il possibile per alleviarne le soferenze.
Con quanto volontariato, con quanti servizi, con quale scelta a favore degli ultimi
Emiliano ha onorato il suo nome di cristiano! Ecco il suo testamento: la carità
ad ogni costo, una carità umile e discreta, rispettosa degli altri e sempre pronta
a far vedere nel cammino di questo mondo il volto di Cristo che è resuscitato
e ci precede in Galilea, per aprire la strada a tutti noi, al di là delle nostre
complicazioni, delle nostre vigliaccherie e delle nostre pigrizie. Ecco la via
per ritrovare la vita: i poveri, i malati, gli emarginati, i bambini, i vecchi,
le persone sole e abbandonate. Salutiamo il più misericordioso dei nostri amici
e lo ringraziamo per averci fatto vedere il volto di Gesù nel nostro tempo.
Di lui possiamo ripetere le parole che la Lettera agli Ebrei dice di Gesù stesso:
“Pertransit benefaciendo”. Dobbiamo riconoscere con umiltà questa mattina,
che abbiamo incontrato una imitazione assai fedele di Cristo nell’amico che
salutiamo nel Signore.
Noi crediamo nello Spirito Santo che è Signore e da la vita. Ci è stato donato e
che mille volte abbiamo visto agire in noi quando abbiamo ritrovato la voglia di
far bene, la fame e la sete della giustizia.
Nel ricordo di un’amicizia che non teme la morte, celebriamo l’amor di Dio
che tutto vince e cui nulla potrà separarci, neppure un incidente stradale orribile,
neppure una settimana di agonia, neppure lo spettro della morte. Onoriamo
quindi lo Spirito che da la vita: di fronte a questo nostro fratello che porta i segni
della lotta contro il male nessuno dubiti che egli è vivo nel Signore, al di là del
male e della morte. Raccogliamo invece in questa chiesa stamane lo Spirito del
coinvolgimento e della disponibilità, che ha animato Emiliano in tutto il suo
percorso terreno. Credo nella remissione dei peccati. Lasciamogli fare stamane
il suo ultimo “passa fuoco”, perché la luce della fede accenda e illumini tutti
e lo Spirito Santo di Dio, ci muova a conversione, perché questo esempio che
ci è stato dato non passi invano tra i suoi amici. Noi crediamo che la vita è
un’avventura nella foresta incantata, dove mille e mille sono le prove e ardue le
diicoltà. Dove come oro nel crogiuolo occorre far risplendere le nostre virtù.

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la sua vita

Uscendo da questa chiesa vogliamo riprendere il percorso sul sentiero della vita,
con maggiore coraggio e fede in Dio. Nulla è impossibile a chi si ida di Lui.
Raccogliendo il testimone lasciato in terra dall’uomo delle beatitudini che
salutiamo nella fede, afrettiamo il passo per percorrere bene la frazione della
stafetta che ci è dato di correre. Una stafetta verso una meta certa e sicura,
quando fatta la nostra parte in difesa della giustizia e della pace, a servizio
degli umili, cavalieri senza macchia e senza paura, arriveremo anche noi sotto le
mura di Gerusalemme. E’ l’ultima volta che invochiamo San Giorgio davanti ad
Emiliano: passi a noi un coraggio ancor più forte di lottare contro il drago.
Noi crediamo nella comunione dei santi. D’ora in poi non riusciremo
più a dimenticare che una parte della Chiesa è qui in mezzo a noi e ci chiede
coinvolgimento e collaborazione; ma una parte, la parte migliore, è già sugli spalti
di Gerusalemme, dove pur da lontano speriamo di incontrare il nostro fratello
Emiliano. La nostra pigrizia ci frena ma tutti promettiamo oggi davanti a questo
amico che parte, di afrettare il passo: sappiamo che ci aspetta. Insieme e la parola
che abbiamo promesso negli anni verdi della generosità.
Noi crediamo nella resurrezione della carne, questo corpo fragile e amato
del nostro amico che tra poco aideremo alla terra non andrà perduto , ma i
nostri occhi lo contempleranno ancora e per questo lottiamo per “i cieli nuovi”
e “la terra nuova” che il Signore ci ha promesso. E’ la vita eterna. E’ la gran
festa a cui il Signore ci invita sul monte della rivelazione al termine del percorso,
che ci conduce fuori dalla meschinità e dal compromesso, fuori dal male e
dall’ingiustizia e ci fa recuperare un volto umano che Dio ha impresso nel cuore di
tutti noi. Nei momenti dello scoraggiamento e del buio della prova noi ci ideremo
di Dio. Con Lui questa mattina rinnoviamo il nostro patto personale di amicizia.
Il Vangelo delle Beatitudini con cui abbiamo celebrato questo Commiato sia la
norma a cui ispirare da ora in poi la nostra vita.
Con questa fede salutiamo stamani Emiliano e riprendiamo il percorso della
preghiera, aidando a Dio il nostro fratello dopo la grande tribolazione che ce lo
ha strappato. Se ancora qualche imperfezione oscurasse la santità che abbiamo
visto risplendere sul suo volto voglia il Signore misericordioso non tenerne conto
per dare al suo servo fedele il premio in cui ha sperato e creduto per tutta la vita.
Amen.
DON RICCARDO

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parte prima

Quel giorno la scelta delle letture e dei canti per la messa fu più che mai
curata ed ancora oggi le une e gli altri hanno molto da dirci.

Isaia, 25, 6-9


[6] Preparerà il Signore degli eserciti
per tutti i popoli, su questo monte,
un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti,
di cibi succulenti, di vini rainati.
[7] Egli strapperà su questo monte
il velo che copriva la faccia di tutti i popoli
e la coltre che copriva tutte le genti.
[8] Eliminerà la morte per sempre;
il Signore Dio asciugherà le lacrime
su ogni volto;
la condizione disonorevole del suo popolo
farà scomparire da tutto il paese,
poiché il Signore ha parlato.
[9] E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio;
in lui abbiamo sperato perché ci salvasse;
questi è il Signore in cui abbiamo sperato;
rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza.

Salmo 23
Il buon pastore
[1] Salmo. Di Davide.
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
[2] su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce.
[3] Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
[4] Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

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la sua vita

[5] Davanti a me tu prepari una mensa


sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca.
[6] Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni.

Romani 8, 31-35, 37-39


[31] Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di
noi?
[32] Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi,
come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?
[33] Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustiica.
[34] Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta
alla destra di Dio e intercede per noi?
[35] Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
[37] Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che
ci ha amati.
[38] Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né
presente né avvenire,
[39] né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai
separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.

Vangelo Matteo 5, 1-12


[1] Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si
avvicinarono i suoi discepoli.
[2] Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
[3] “Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
[4] Beati gli alitti,
perché saranno consolati.
[5] Beati i miti,

17
parte prima

perché erediteranno la terra.


[6] Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
[7] Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
[8] Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
[9] Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati igli di Dio.
[10] Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
[11] Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.
[12] Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.
Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

CANTI

Canto d’ingresso

I Cieli narrano
I cieli narrano la gloria di Dio
e il irmamento annunzia l’opera sua,
Alleluja, alleluja, alleluja, alleluja!
Il giorno al giorno ne aida il messaggio,
la notte alla notte ne trasmette notizia;
non è linguaggio, non sono parole
di cui non si oda il suono.

Là pose una tenda per il sole che sorge,


è come uno sposo dalla stanza nuziale,
esulta come un prode che corre
con gioia la sua strada.

Lui sorge dall’ultimo estremo del cielo

18
la sua vita

e la sua corsa l’altro estremo raggiunge.


Nessuna delle creature potrà
mai sottrarsi al suo calore.

La legge di Dio rinfranca l’anima mia,


la testimonianza del Signore è verace.
Gioisce il cuore ai suoi giusti precetti
che danno la luce agli occhi.

Canto ofertorio

Ogni uomo semplice


Canzone di San Damiano
Ogni uomo semplice porta in cuore un sogno,
con amore ed umilta potra’ costruirlo
Se con fede tu saprai vivere umilmente
Piu’ felice tu sarai anche senza niente
Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore
Una pietra dopo l’altra in alto arriverai
Nella vita semplice troverai la strada
che la calma donerà al tuo cuore puro.
E le gioie semplici sno le piu’ belle
Sono quelle che alla ine sono le piu’ grandi
Dai e dai ogni giorno con il tuo sudore
una pietra dopo l’altra in alto arriverai.

Canto Comunione

Salmo 95
T.: Lodate, lodate, lodate il Signore!
Cantate, cantate, cantate il suo nome.
1 Cantate al Signore un canto nuovo,
cantate al Signore, voi tutti del mondo.
2 Parlate e annunciate

19
parte prima

di giorno in giorno la sua salvezza.


3 Raccontate tra le genti
le meraviglie, la gloria sua.
4 Di tutti gli dei è il più potente,
è creatore di tutti i cieli.
5 Gioiscano i cieli, esulti la terra,
si commuova il mare e ciò che contiene.
6 Gioiscano gli alberi delle foreste
davanti al Signore, poiché egli viene.
7 Viene il Signore, viene il Signore
a giudicare tutta la terra.
8 Alleluia, alleluia,
alleluia, alleluia.

Canto Comunione

Cantate Domino
Cantate Domino
Canticum novum
Cantate Deo
Omnis terra.
Sit nomen Domini benedictum
Ex hoc nunc et usque
In saeculum.
Propheta magnus
Surrexit nobis
Deus visitavit
Plebem suam
Et erexit cornum
Salutis nobis
In domo David
Pueri sui.

Canto inale

20
la sua vita

Insieme
Insieme abbiam marciato un dì
per strade non battute,
insieme abbiam raccolto un ior
sull’orlo di una rupe.

Insieme, insieme è un motto di fraternità


insieme nel bene crediam, crediam.

Insieme abbiam portato un dì


lo zaino che ci spezza,
insieme abbiam goduto alin
del vento la carezza.

Insieme, insieme ...

Insieme abbiamo appreso ciò


che il libro non addita,
abbiam compreso che l’amor
è il senso della vita.

Insieme, insieme ...

Canto d’uscita

In Exitu
In exitu Israel de terra Aegypti
Judea facta est santiicatio Eius,
Dominus memor nostri
Et benedixit nobis
Et benedixit omnibus
Qui timent dominum.

21
parte prima

MA UN SIMILE LIBRO COME SI SCRIVE ? IL MOSAICO

Noi che siamo soggetti alla signoria del tempo , vogliamo legare le nostre
attività a delle scadenze o delle ricorrenze. E’ forse un’astrazione legata a
fattori culturali o psicologici. Ci muoviamo perché il 12 novembre 2014 è la
data che rappresenta il ventennale della morte di Emiliano Pirani. In realtà
ci saremmo potuti muovere prima o anche dopo…l’importante è muoverci.
Ma vale la pena scrivere un libro per raccontare una storia che nelle linee
essenziali è molto semplice , per non dire banale? Non si rischia forse di
impiegare energie per trattare dell’ovvio? E’ questa la grande scommessa,
quella di riuscire a dimostrare che accanto alle imprese che costellano le vite
degli uomini, c’è un vissuto quotidiano, che fornisce esempio, indicazione di
uno stile per essere attivi nei confronti della realtà, senza subire tutto ciò che
ci tocca. E per riuscire in una operazione simile, il compito dello “scrittore”
o degli “scrittori”, come in questo caso, è semplicemente quello di chi cura
l’operazione coordinandola. Si utilizza l’archivio della memoria personale
e degli altri amici, cercando di organizzare un discorso consequenziale,
sperando di non correre il rischio di personalizzare oltre misura lo sforzo. Si
tratta di fare un servizio alla Verità con la “V” maiuscola, senza presunzione
e con l’intento di recuperare valori e modi di essere che possano fare del
“bene” , un concetto che pare veramente astruso oggi. Oggi si agisce per
tornaconto e chi dice di agire per altruismo non è mai creduto, si ritiene che
certamente nasconda qualcosa, ed è diicile arrivare ad ammettere che agisca
gratuitamente. Insomma con la scrittura di questo libro si vuole imitare
Emiliano che in gran segreto operava, senza nessuna tentazione di rivelare
al mondo che lui si muovesse solo per il desiderio di essere utile a qualcuno
che fosse in oggettiva diicoltà. Per cui questi “scrittori” non partono per
un viaggio organizzato dai contorni delineati, ma si fanno condurre dalla
corrente dei ricordi e delle valutazioni degli altri, per nulla preoccupati del

22
la sua vita

fatto che da questa operazione possa uscire il ritratto di un ragazzo “normale”.


Quello che si capirà , alla ine , è che questa “normalità” è anormale per
il semplice fatto che non la viva più quasi nessuno. Un libro scritto da una
comunità che deiniamo “Amici di Emiliano Pirani” chiamata a incollare
tesserine per comporre un unico grande mosaico. La data del ventennale
per forza di cose non è stata rispettata , forse sono mancati contributi che
sarebbero stati preziosi, forse sono state vanamente inseguite persone che non
hanno compreso il senso dell’operazione, ma alla ine si è deciso di tentare
di scrivere comunque una bella storia con le limitazioni ovvie, inevitabili,
di chi ha messo mano a questa impresa. E’ possibile che il libro nelle
diverse parti contenga delle involontarie omissioni , che non tutti gli
argomenti siano debitamente trattati, ma è certo che è stato fatto il possibile
per restituire un ritratto del nostro fratello Emiliano il più possibile reale
e autentico.

23
parte prima

LE RADICI CONTADINE MARCHIGIANE

Nella Vallesina ovvero la Valle del Fiume Esino, in provincia di Ancona,


la vita dei contadini all’inizio degli anni ’60 non è molto diversa da quella
delle generazioni che sono venute prima, ma nelle campagne la crescita
demograica, costante dall’unità d’Italia al 1951, si è arrestata. Molti
cominciano a pensare che forse trasferendosi altrove la vita possa migliorare
ed essere più comoda. E’ un po’ la situazione di tutte le zone rurali d’Italia, c’è
una svolta che porta dritta al boom degli anni ’60, favorito da una massiccia
migrazione interna verso le aree industriali e le metropoli. A Pianello
Vallesina, in comune di Monte Roberto, pochi chilometri da Jesi, c’è la
casa colonica dei Pirani, una famiglia patriarcale che tira avanti con la fatica
continua di tutti. Campi coltivati a granturco, barbabietole, ortaggi, mucche
e vitelloni da allevare. Il capo indiscusso è Igino Pirani marito di Anna ;
Giuseppe ed Enzo i igli, vivono e lavorano con i genitori. Divide la casa
con Igino anche il fratello Duilio con la moglie Erminia ed i igli Mariola e
Luigi. Uno per tutti e tutti per uno , per tirare avanti nello stesso modo degli
antenati. Giuseppe, classe 1931 ha sposato nel 1959 Lina Santoni del 1937
che proviene da Jesi ed i due sono andati ad abitare da sposati nella casa dei
Pirani. Lina ha lasciato la casa di Jesi, i genitori Enrico ed Emilia ed i fratelli
Pietro, Cesarina che poi morirà a soli tredici anni nel 1960 e Quartina.
Lina così ormai fa parte di un altro nucleo familiare.

La vita è ritmata dal lavoro , dall’alternanza delle stagioni a cui il contadino


, come il poeta , ma per motivi assai più pratici, presta attenzione, e le novità
sono poche. Per una giovane coppia però, quali Giuseppe e Lina, la piacevole
novità è l’arrivo di un bambino. Ed ecco che Emiliano si presenta il 29
gennaio 1961. E’ un bambino sano, pafuto e non salta le poppate ( come si
legge nelle antiche biograie di alcuni santi in cui si vorrebbe mettere in

24
la sua vita

evidenza il volontario digiuno di pargoli predestinati). Fa freddo, nelle case


coloniche, il riscaldamento legato alla presenza del camino c’è solo in cucina.
Nelle altre stanze il freddo gela l’acqua nelle brocche e nei catini che si
trovano nelle camere da letto per la sommaria pulizia personale. Nei letti si
usa il “prete”, aggeggio di legno e metallo destinato a contenere un braciere
per scaldare i giacigli ghiacciati. Per andare avanti bisogna godere di ottima
salute, non puo’ fare il contadino chi non sta bene.
E purtroppo Giuseppe bene non sta: ha la bronchite asmatica ed una
passione che non va molto d’accordo con la sua patologia: è un cacciatore.
Essere cacciatore era una passione molto difusa tra i contadini, uno svago che
oggi certo con la coscienza animalista viene valutato con severità, ma non era
così in quegli anni in cui chi viveva in campagna non aveva molti modi per
distrarsi.
Giuseppe è un cacciatore che si fa da se’ le cartucce , che fa i capanni sul
iume Esino per cacciare le anatre , che spara a starne, quaglie, beccacce , lepri
e un po’ a tutto ciò che corra o voli intorno. E’ superluo dire che il freddo
e l’umidità di quelle lunghe battute di caccia non facciano bene alla salute
malferma di Giuseppe che comincia a pensare che forse c’è un modo diverso
di tirare avanti lontano dall’amata campagna. Emiliano intanto fa quello
che fanno tutti i bambini: cresce e lo fa in maniera mansueta, dimostrando
di essere un bambino posato per quanto vivace e fantasioso: sparisce dalla
vista di genitori e nonni che lo cercano ovunque, gioca a fare il guerriero
scorazzando nei campi, si arrampica sui pagliai per issare sul palo centrale la
sua bandiera e soprattutto va a scuola.

Anche frequentare la scuola non è una cosa semplicissima per un bambino


che vive nella campagna di quell’epoca, in cui le strade rurali sono ancora
bianche, polverose o fangose a seconda dei casi, dove le distanze possono
anche non essere enormi ma lo diventano se tra il punto di partenza e quello
di arrivo c’è un iume ma non ci sono i ponti e se la famiglia non possiede
mezzi di locomozione moderni. Ma nell’Italia solidale di quegli anni quando
si puo’ ci si da una mano. La mattina presto, il giovanissimo Emiliano viene
prelevato dalla sua maestra che nel tragitto carica anche altri bambini per
accompagnarli a scuola. Percorre il ponte sull’Esino costruito da Pio IX alla
volta di Sant’Apollinare presso Monte Roberto. Lì ci sono le classiche

25
parte prima

quattro case , un’antica e pregevole abbazia del VI-VII secolo e la scuola. Ma


è una scuola rurale, solo due maestre: una che insegna ai bambini di prima e
seconda, l’altra a quelli di terza, quarta e quinta. Così andava a quell’epoca in
campagna e così ha iniziato a studiare Emiliano.
In questa piccola scuola di Sant’Apollinare Emiliano non inisce le elementari,
la sua famiglia segue la strada di tante altre famiglie di origine contadina del
secondo dopoguerra, che cerca di migliorare la qualità della vita trasferendosi
in una città.
Noi non conosciamo la realtà della vita in quel lembo delle Marche operose
all’inizio degli anni ’60 ma abbiamo chiesto all’amico Luca Santarelli nato a
Jesi nel 1956 di collaborare con una descrizione veramente ricca e carica di
fascino:

“Come tutte le cose, il diicile è iniziare, rompere il ghiaccio. Mentre mi accingo


a buttare giù queste righe mi accorgo che, avendo fatto l’abitudine, in questi
ultimi anni, a stilare solo fredde ed impersonali relazioni, destinate a burocrati,
più che a scrivere racconti, ora, provare a scrivere “seriamente”, non mi riesce più
tanto facile ma tant’è ….. provo a lasciarmi andare, immaginando di stare in
compagnia del mio amico Giampiero, al quale raccontare qualcosa della mia terra
e del contesto sociale, presente in quei luoghi negli anni della mia fanciullezza,
senza dovermi preoccupare troppo della forma e della qualità di ciò che dico.

Allora…. io comincerei dalla descrizione dei luoghi.


Se ho ben compreso, dalle descrizioni che ho letto, mi sembra di capire che
la famiglia di Emiliano viveva nella striscia di terra compresa tra il iume,
la ferrovia e, in sequenza, la strada statale Clementina. Sono arrivato a
questa conclusione perché se lui, per andare a scuola a Monte Roberto, doveva
attraversare il iume Esino percorrendo “Ponte Pio” a bordo dell’auto della
maestra, che probabilmente veniva da Jesi, non poteva che abitare lì, in zona
Pantiere (più o meno) e, comunque, lungo la piana alluvionale del iume.
Per quanto sopra, alcune considerazioni (ecco che arriva lo stile relazione
burocratica!):
Se l’ipotesi “maestra che viene da Jesi” dovesse essere esatta, questo
signiicherebbe che Emiliano ha avuto, come prima insegnante, un’insegnante
giovane (perché era alle più giovani che venivano assegnate le sedi più “lontane”

26
la sua vita

ed inoltre “guidava la macchina”) e questo potrebbe essere stato uno dei fattori
che hanno inluito positivamente nella sua formazione, nell’approccio con un
mondo più ampio rispetto alla propria realtà domestica che, essendo una casa
rurale, doveva risultare (per un bimbo al di otto dei sei anni) abbastanza isolata
ed isolante; inoltre una maestra giovane, di quei tempi, poteva fare veramente la
diferenza; infatti ricordando la mia maestra (anche lei una giovane leva
dell’insegnamento) posso dire che generalmente i giovani insegnanti dell’epoca
adottavano un metodo che, seppure rispettoso delle regole, delle tradizioni e che
imponeva agli alunni una ferrea disciplina, era completamente diverso da quello
usato dalle insegnanti più anziane: più partecipato, aperto alle innovazioni, che
cercava di stimolare la curiosità dei ragazzi verso il mondo e, per quanto possibile,
verso le materie di studio (“la storia” diventava la narrazione di fatti avventurosi
e a noi scolari venivano fatti realizzare, a seconda del periodo studiato, caverne
in creta, castelli medievali in cartone e compensato; “la geograia” diventava il
racconto di un viaggio fatto o da fare; per “l’italiano”, oltre alla teoria, venivano
dati da leggere e riassumere tanti libri d’avventura; in “matematica” venivano
organizzate le “gare delle tabelline” in cui vinceva un piccolo premio chi
rispondeva esattamente per primo; a “scienze” seguivamo la crescita di un chicco
di grano piantato nell’ovatta umida dentro un barattolo di vetro, poi messo al
buio in un armadio; ecc.);
Emiliano, avendo la mamma Lina che veniva da Jesi, avrà chiaramente
frequentato, andando a trovare i nonni, la “città” e questo gli avrà dato
un’apertura mentale e una capacità di rapportarsi con gli altri, maggiori rispetto
a chi, all’epoca, nasceva e rimaneva isolato in campagna;
Jesi all’epoca era proprio bella; mi chiedo se è la nostalgia dei tempi andati
e di un’infanzia serena che me la fa ricordare così; certo! Forse anche questo,
però, obiettivamente, ricordo che tutto era pulito e ordinato; i “grandi” anche se
sconosciuti ti rimproveravano bonariamente se facevi qualcosa che non doveva
essere fatto; tutto funzionava; c’era nell’aria un senso civico di appartenenza, un
desiderio di partecipare al bene collettivo, si percepiva desiderio di educazione e
rispetto per le cose e per gli altri. Del resto, io non me ne rendevo conto, ma tutto
ciò era il normale desiderio di rinascita dopo una guerra inita solo pochi anni
prima, tant’è che a scuola, accanto alla carta geograica, c’era anche la carta con
disegnati i vari tipi di bomba e la raccomandazione di non toccarla, semmai
qualcuno ne avesse trovata una, in mezzo ai campi. Avevo scoperto la biblioteca

27
parte prima

comunale, all’interno del medievale Palazzo della Signoria, con il suo ambiente
importante ma caldo e accogliente (pavimenti e pareti/scafalature tutte in legno,
con i grandi tavoli di lettura ricoperti in cristallo, i inestroni per la luce) e lì
potevo leggere, gratuitamente, tutti i libri che volevo e che non avevo; gli zampilli
delle fontane funzionavano e le stesse non erano insozzate o rotte ed al loro
interno potevo guardare i pesci rossi che nuotavano: che spettacolo! A sette anni
si poteva tranquillamente andare a scuola e girare per la città da soli e, poi, le
partite di calcio con gli amici in strada, le battaglie a “scartoccetti”, i giochi “a
nascondino”;
A proposito della salute malferma di Giuseppe e del suo desiderio di trasferirsi
altrove, c’è da dire che il territorio dove si trova la casa colonica dei Pirani ha
attorno un panorama bellissimo, fatto di colline dolci che sembrano formare un
enorme giardino pezzato di diversi colori ma è, comunque, una terra dove è duro
vivere perché, essendo vicina al iume, è soggetta alle sue piene (non frequentissime
ma ogni tanto ci sono) e trovandosi in una vallata relativamente stretta, il clima
è sempre umido (ricordo inverni in cui al mattino, per la nebbia, a Jesi non si
vedeva ad un paio di metri di distanza) e poi ci sono le zanzare; non a caso a Jesi,
il cui centro storico è stato costruito su due colline, in mezzo alla vallata, le case
della parte bassa, quella più vicina al iume, storicamente sono sempre state quelle
di minor pregio;
Una curiosità: anche nell’inverno del 1961 ci fu una nevicata memorabile
e nelle case, sia in quelle coloniche che in quelle “normali” di città (almeno la
mia, quelle dei miei nonni e degli altri parenti), il riscaldamento era in una
sola stanza, con il camino o con la “stufa economica”; per andare a letto prima si
metteva il “prete” che conteneva il braciere, chiamato “monniga”, così il “prete” e
la “monaca” andavano a letto insieme e lo scaldavano!?! La mattina, per lavarsi,
si doveva mettere la “borsa dell’acqua calda”, riempita con l’acqua della “stufa
economica”, sulle tubature dell’acqua, che erano interne alla casa ma esterne al
muro, per non farle ghiacciare.

Passiamo ad un altro argomento: le famiglie contadine patriarcali, dei mezzadri


della zona.
Ho avuto la nonna materna che ha fatto il percorso inverso di Lina, nel senso che
era nata in campagna, in una grande e numerosa famiglia contadina ma

28
la sua vita

poi, sposandosi con un operaio di città (il mio nonno falegname e tecnico delle
trebbiatrici), ha vissuto tutto il resto della sua vita a Jesi; pertanto, grazie ai suoi
racconti ed alla frequentazione dei parenti da parte della sua famiglia di origine
(miei zii) ho potuto farmi un’idea di quel tipo di mondo.
Nella zona era difusa la mezzadria che, pur avendo avuto tanti meriti nel
futuro sviluppo economico, anche industriale, della regione, contribuendo a creare
una mentalità che, con tutti i suoi limiti, poteva essere deinita imprenditoriale:
infatti il contadino mezzadro (a diferenza del bracciante cui veniva garantito
esclusivamente un tetto ed il cibo, indipendentemente dalla resa del suo lavoro)
aveva un guadagno che era proporzionato ai ricavi dell’attività svolta e questo lo
aveva abituato a mettere in relazione l’impegno profuso con la resa dell’attività
svolta e, conseguentemente, con il ricavo economico che andava ad ottenere;
la mezzadria, dicevo, pur avendo avuto degli indubbi meriti, era organizzata
comunque su una rigida struttura di tipo quasi feudale.
Il “padrone” (discendente di qualche famiglia nobile dello Stato Pontiicio
oppure della nuova aristocrazia e/o nobiltà creata da Napoleone), proprietario
di molti terreni non necessariamente contigui, viveva in genere a Roma e
suddivideva i propri possedimenti in tanti piccoli lotti di qualche ettaro ciascuno,
ognuno con la relativa casa colonica, e li aidava, singolarmente, in regime di
mezzadria appunto, ad una famiglia contadina di sua scelta e/o su consiglio del
“fattore”.
Il “fattore” che era la igura intermedia tra le diverse famiglie contadine, cui
erano stati aidati i vari terreni, ed il “padrone” di cui era il iduciario, non
lavorava personalmente la terra ma rappresentava l’occhio e, soprattutto, gli
interessi di quest’ultimo, oltre che i suoi (certo!); infatti era, sì, un suo dipendente
ma poteva contare sul fatto che il “padrone”, generalmente, poco si intendesse
ed interessasse degli aspetti tecnici della produzione agricola, a quest’ultimo
interessava soprattutto ricevere i soldi che gli erano dovuti e non avere troppi
problemi; inoltre il “fattore”, sapendo leggere, scrivere, far di conto ed avendo
l’autorità delegatagli dal “padrone”, si trovava su un piano predominante
rispetto al mezzadro che, essendo poco acculturato, poteva contare solo sulla
sua astuzia per cercare di difendere i propri interessi ed aumentare il proprio
proitto (“contadino: scarpe grosse e cervello ino” recitava il detto popolare). Mi
raccontava mia nonna che, nella casa della sua infanzia, quando doveva venire il
“fattore” per i conti periodici, c’era un rito che prevedeva la macellazione

29
parte prima

di qualche animale da donargli, il “Capoccia”, poi, si metteva in tiro e lo


riceveva cerimoniosamente, ascoltava con attenzione ciò che gli diceva e poi, alla
presentazione della “carta” (la ricevuta contabile già preparata), con tutta la
famiglia che assisteva col iato sospeso all’evento, con aria solenne impugnava la
penna e irmava…… tracciando una croce! Magari il racconto sarà stato un po’
romanzato ma penso che più o meno i fatti si svolgessero proprio così.
Il capo indiscusso della famiglia contadina era il “Capoccia”; questi era
rappresentato dal patriarca oppure, a parità di grado parentale, dal fratello più
anziano ed era solo lui che gestiva i rapporti di lavoro con il “fattore”; ne seguiva
che era l’unico ad incassare ed a custodire i proitti economici percepiti; pertanto,
come mi raccontava ancora mia nonna, gli speciici nuclei familiari (padre
madre e igli), il cui capofamiglia non era “capoccia”, non vedevano mai una lira
ed il inanziamento di qualsiasi spesa, anche personale, doveva essere chiesto al
“capoccia”.

Io non so se quanto appena descritto possa applicarsi anche alla famiglia di


Emiliano (sicuramente nel 1961 le cose erano cambiate), ad ogni modo questo
tipo di situazione, molto comune nelle famiglie patriarcali contadine, nel periodo
corrispondente agli anni giovanili di Giuseppe, poteva generare insoddisfazione
e tensioni interpersonali e, quindi, il voler fuggire da essa potrebbe aver
rappresentato una delle concause per cui tanta gente, appena ha potuto, ha
deciso di abbandonare la terra trasferendosi altrove, magari a Roma, da sempre
considerata una meta ambita, in quanto vista come il luogo del benessere, delle
grandi opportunità e dove, comunque, qualche conoscente poteva procurarti un
buon posto di lavoro; queste considerazioni mi sono state confermate anche da
Peppe Pastori, originario di quelle parti ed emigrato a Roma negli anni ’60.
Preciso nuovamente: tutta la situazione sopradescritta può valere per la
generazione dei genitori di Emiliano, non certo per la sua; nel 1961 i tempi
erano cambiati, molti terreni erano stati acquistati interamente dai coltivatori, i
igli avevano studiato; solamente, restava per qualcuno il desiderio di andarsene,
cambiare, avere una casa “moderna”, con il riscaldamento, il bagno con l’acqua
corrente.
Andiamo avanti; credo che il carattere di un individuo sia sicuramente
determinato anche dal contesto familiare in cui si cresce e questo, nel caso di
Emiliano, come in tutte le famiglie del luogo, sarà stato caratterizzato da un

30
la sua vita

forte senso di unità e di grande afetto reciproco tra i componenti la famiglia, di


rispetto per la tradizione, di partecipazione e impegno al bene comune, nonché
dell’accoglienza verso il prossimo.
Penso di potermi essere fatto un’idea, anche se edulcorata dal tempo e dal
ricordo, di come si potesse vivere in quel tipo di contesto familiare, ripensando
alle “vacanze” che, bimbo di tre/quattro anni, trascorrevo con i miei nella casa
colonica, situata nell’entroterra senigalliese, dove viveva la famiglia di mio zio
Settimio, fratello di mia nonna materna Palmira: un ramo della sua famiglia
di origine, a cui il “proprietario” della terra (vicina a Jesi), dove la famiglia
principale risiedeva e lavorava, aveva dato la possibilità di staccarsi dal ceppo
principale e formarne uno suo, autonomo, ofrendogli di prendere in gestione
questo altro suo podere.
C’erano: sua moglie (zia Italia), grossa e con lo sguardo bonario da chioccia,
i suoi igli, cugini di mia madre, ovvero zio Aldesino, zio Rico, zia Albinella
(anch’essa grassoccia come la madre ma con lo sguardo vispo e furbo, seppur
sempre sorridente) ed inine zio Alvaro che faceva il carabiniere al nord e tornava
a casa per le ferie; completava poi la famiglia, lo zio Gino, anche lui carabiniere
ma presso il Comando locale, fratello molto più giovane di zio Settimio, ancora
scapolo ed a cui zia Italia faceva quasi da madre.
La mattina si svegliavano prestissimo per andare a lavorare nei campi; quando
tornavano, intorno alle otto, si faceva colazione tutti assieme nella grande cucina,
a piano terra, su un lungo tavolo di legno grezzo e con in fondo l’enorme camino
in pietra.
Poi ripartivano e qualche volta mi portavano con loro, a bordo del “biroccio”
(carretto con le sponde, dipinto quasi come quello siciliano) trainato da due buoi
e guidato da zio Rico; quanto mi divertivo!
Giocavo nel pagliaio (esistevano le allergie? Boh!), provavo a cavalcare (senza mai
riuscirci) le pecore che passavano nell’aia; e poi la sera si cenava di nuovo tutti
assieme, sul lungo tavolo e, se veniva fatta la polenta (anche in estate), veniva
stesa direttamente su di esso, passando, per tutta la sua lunghezza, con il paiolo
inclinato e sollevato per mezzo di un bastone che ne inforcava il manico e che, a
sua volta, era sorretto per le due estremità da altrettante persone; sopra la polenta
il sugo, le salsiccie e… via, mangiavo giocando con zio Aldesino che minacciava,
scherzosamente, di arrivare prima di me alla mia parte;
Ricordo il grande aiatamento tra loro; si capivano senza parlare troppo;

31
parte prima

probabilmente questo era dovuto al fatto che lavoravano assieme condividendo le


stesse mete; c’era armonia, determinata dall’afetto e rispetto reciproci, abitudine a
non creare problemi, rispettare le regole; caratteri forti e allo stesso tempo bonari,
accomodanti, pur senza essere mai accondiscendenti o sottomessi; abituati alla
paciica condivisione delle risorse, a pensare al bene comune, alla generosità,
all’altruismo.

A proposito, i grandi lavori (mietitura, trebbiatura ecc.) venivano svolti con la


partecipazione e l’aiuto del “vicinato”, col quale, a fronte di un difuso senso di
solidarietà, si scambiavano reciproco sostegno e poi, alla ine della giornata, gran
tavolate nell’aia di turno.
Al momento non mi viene in mente altro da raccontare; spero di esserti stato
un po’ d’aiuto (giustamente dirai: “un soldo pe’ fallo ‘ncomincià e tre pe’ fallo
smette!”).”

Veramente bello questo racconto che regala ai tanti lettori cittadini poetiche
immagini di un mondo che ormai non c’è più ma che ha fortemente
contribuito a plasmare la personalità di Emiliano.

32
la sua vita

LA GRANDE CITTÀ

Giuseppe ino ad allora, è l’autunno del 1969, ha fatto il contadino e le


sue capacità lavorative sono ridotte a causa della bronchite asmatica. Pensa
di trasferirsi a Roma per fare il portiere in qualche palazzo e le possibilità
non mancano, ma bisogna darsi da fare e non è facile. Un conoscente si era
idato di un amministratore di condomini che aveva promesso un portierato
al quartiere Don Bosco, questo “signore” aveva preteso una tangente di
cinquecentomila lire per assegnare l’agognato posto che però poi non era
arrivato malgrado l’esborso.
A Roma dal 1967 si è già trasferita la sorella minore di Lina, Quartina,
sposa di Luciano Zannotti e ciò spinge Giuseppe e Lina a compiere il grande
passo, non senza preoccupazione, Giuseppe teme infatti di incontrare
persone senza scrupoli . L’incarico però alla ine arriva , a San Giovanni, in
via Emanuele Filiberto 233. Un palazzo di ine ottocento con tre scale, tanti
piani e sessanta famiglie , veramente impegnativo. Siamo nel novembre del
1969 e la famiglia Pirani si trasferisce senza il piccolo Emiliano che viene
lasciato con i nonni ino a Natale. Poi la famiglia si ricompatta e se anche
l’incarico uiciale è di Giuseppe, è Lina che si carica delle maggiori fatiche,
come pulire con regolarità le scale di quel palazzone.
Inizia una nuova vita per la famiglia Pirani che resta radicata nella
tradizione contadina ma è proiettata in una dimensione ormai decisamente
diversa. Emiliano, per usare il termine che ha usato la mamma Lina , resta
un bambino “mansueto” che non fa problemi ed è verosimilmente attratto
dall’avventura cittadina, anche se si porta dietro uno straordinario amore
per la natura cresciuto in lui nei primissimi anni di vita. La nuova realtà
presuppone il cambio della scuola. La quarta e la quinta elementare Emiliano
le frequenta alla De Donato presso Piazza Vittorio. E’ un bambino molto
attento, naturalmente rispettoso delle regole e i suoi genitori non hanno da

33
parte prima

lui nessuna preoccupazione.

L’ arrivo e la stabilizzazione in città consente ora di guardarsi intorno. Non


è facile lavorare nello stabile di Via Emanuele Filiberto 233, i materiale con
cui sono realizzate le pavimentazioni rendono pesanti e complicate le pulizie.
Si fatica tanto ma i risultati sono mediocri e le critiche impietose. Anche
qui Quartina e Luciano Zannotti fanno da apripista: ora sono i portieri a
Via Gramsci 9, ai Parioli. E’ il 1970 e da quel momento l’impegno di tutti è
trovare una migliore sistemazione per Giuseppe, Lina ed Emiliano. Il primo
luglio 1973 a Lina viene assegnato il posto di portiera a via Gramsci 16, a due
passi dalla famiglia della sorella, allietata dalla nascita di due igli, i cugini di
Emiliano: Beatrice del 1971 ed Enrico che arriverà nel 1980. E’ una buona
sistemazione , il lavoro non manca ma l’ambiente è signorile ed i materiali
pregiati di androne e scale rendono giustizia all’impegno di Lina.
La casa, dietro la guardiola, non è grande ma ben distribuita, ben asciutta,
essendo integralmente fuori terra e luminosa. Sembra davvero il luogo in cui
vivere felici a lungo, vedendo crescere il cucciolo di famiglia, Emiliano che
con il cambio di casa ovviamente cambia scuola e frequenta parte delle scuole
medie alla Ippolito Nievo di Viale Parioli. La prima media , quando abitava a
San Giovanni, Emiliano l’aveva invece frequentata a Via Tasso.
Ma il destino non è quello di vivere tranquilli e la vita della famiglia Pirani
subisce un trauma crudele. Nella notte del dieci febbraio 1974, un improvviso
collasso cardiocircolatorio stronca Giuseppe a soli quarantatre anni. Lina
chiama disperata il marito: “Peppe , Peppe…” che non risponde più ed il
giovane Emiliano che ha appena compiuto tredici anni, assiste atterrito al
dramma che si consuma. Lo zio Luciano lo porta via da casa ma Emiliano si
rende conto in silenzio che la vita da quel momento non sarà più la stessa.

34
la sua vita

"ESTOTE PARATI" UN GIOVANE DISPONIBILE E VOLENTEROSO

Nessuno dica mai a chi ha perduto un grande afetto che anche nel dolore
ci sono delle positività, che la prova tempra. Il dolore è dolore e non c’è
valida consolazione , ma c’è la percezione che si debba comunque andare
avanti, che la vita vada impostata nel ricordo di chi non c’è più ma con nuove
frequentazioni e nuovi stimoli.
Emiliano, ancora alla scuole medie, riparte e vive una esperienza che ne
plasmerà profondamente la personalità: lo scoutismo.
Nella Parrocchia di S. Eugenio, molto vicina alla casa di via Gramsci, c’è un
Reparto scout dell’AGESCI molto attivo, il Roma 1.
Per il tredicenne Emiliano è una splendida occasione di crescere secondo
valori che gli sono molto congeniali. C’è un preciso modello educativo dietro
alla impostazione scout, basato sulle attività pratiche, che si fanno all’aria
aperta imparando.
Un boy scout cura con la frequentazione del reparto la formazione del
carattere, l’abilità manuale, la salute e la forza isica, il servizio al prossimo.
E’ un percorso ben riassunto dalla Promessa “ Con l’aiuto di Dio prometto
sul mio onore di fare del mio meglio: -per compiere il mio dovere verso Dio e verso
il mio paese;-per aiutare gli altri in ogni circostanza;-per osservare la Legge scout.”
Questa Legge è un decalogo che recita:
La Guida e lo Scout
1) pongono il loro onore sul meritare iducia;
2) sono leali;
3) si rendono utili e aiutano gli altri;
4) sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida o Scout;
5) sono cortesi;
6) amano e rispettano la natura;
7) sanno ubbidire;

35
parte prima

8) sorridono e cantano anche nelle diicoltà;


9) solo laboriosi ed economi;
10) sono puri di pensieri, parole e azioni.

Ora è molto diicile stabilire se l’esperienza dello scoutismo abbia


completamente plasmato Emiliano o se Emiliano si sia trovato così bene
tra gli scouts perché già era nell’animo uno scout, quello che è certo è che
leggendo le parole della Promessa e della Legge si riconosce perfettamente il
giovane che molti di noi hanno avuto la fortuna di frequentare.
Si è trattata perciò di un’esperienza forte, vissuta con un’adesione totale.
Tracce di questa formativa esperienza ci giungono attraverso le fotograie
messe a nostra disposizione da Marco Meschini e Caterina Finocchi che,
seppur un po’ più grandi per età di Emiliano, hanno vissuto le medesime
esperienze nello stesso ambiente.
Le foto sono illuminanti e si riferiscono al 1977. La sintesi è casuale ma
molto signiicativa, si vede Emiliano che dialoga con i compagni, che lava le
stoviglie, compiendo un servizio indispensabile, che marcia in testa ad una
lunga ila di giovani esploratori lungo un pendio, che posa dopo un gioco
vittorioso. In tutte le foto spicca l’espressione sorridente e serena di chi in
quell’ambiente si trova benissimo.
Un altro regalo di Marco e Caterina sono delle rilessioni scritte da
Emiliano su alcuni brani del Nuovo Testamento , in particolare la Lettera di
S. Paolo ai Romani al cap. 8 ed il Vangelo di Marco al cap. 10 . Emiliano
ha circa sedici anni e, oltre che commentare i due brani, rilette anche su
un brano del magistero della Chiesa che i capi hanno fornito ai giovani
esploratori per un fruttuoso approfondimento.

Romani, 8
La vita secondo lo Spirito
1
Ora, dunque, non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. 2Perché la legge
dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.
3
Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso
possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo
del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, 4perché la giustizia della Legge fosse
compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito.

36
la sua vita

5
Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che
vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. 6Ora, la carne tende alla morte,
mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. 7Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché
non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. 8Quelli che si lasciano dominare
dalla carne non possono piacere a Dio.
9
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito
di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. 10Ora, se
Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. 11E se
lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo
dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12
Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri
carnali, 13perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate
morire le opere del corpo, vivrete. 14Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio,
questi sono igli di Dio. 15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella
paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende igli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:
«Abbà! Padre!». 16Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo igli di Dio. 17E
se siamo igli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte
alle sue soferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Speranza della gloria futura
18
Ritengo infatti che le soferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria
futura che sarà rivelata in noi. 19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso
la rivelazione dei igli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per
sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta - nella speranza 21che anche la stessa
creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei
igli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e sofre le doglie del parto
ino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo
interiormente aspettando l’adozione a igli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza
infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti,
ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo
attendiamo con perseveranza.
26
Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti
come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; 27e
colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo
i disegni di Dio.
28
Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che
ono stati chiamati secondo il suo disegno. 29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto,
li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il
primogenito tra molti fratelli; 30quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che
ha chiamato, li ha anche giustiicati; quelli che ha giustiicato, li ha anche gloriicati.
Inno all’amore di Dio
31
Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Egli, che

37
parte prima

non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse
ogni cosa insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui
che giustiica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e
intercede per noi!
35
Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame,
la nudità, il pericolo, la spada? 36Come sta scritto:
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo considerati come pecore da macello.
37
Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. 38Io sono
infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né
potenze, 39né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di
Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Emiliano commenta così:


“ Il messaggio che traspare nella prima parte del passo è senza dubbio il modo
di operare del cristiano in modo coerente alle proprie scelte e soprattutto secondo
le regole dello Spirito Santo. Coerenza che nella vita di ogni cristiano è di
fondamentale importanza e secondo la quale si riescono a portare avanti o
meno certe scelte. Coerenza che viene animata da una scelta di vita giusta in
contrapposizione alle forme di vita sbagliate, tra le quali come dice Paolo esiste
un divario irriducibile. Oltretutto il nostro modo di agire secondo le nostre
ispirazioni dovrebbe essere portato avanti con gioia. Gioia che è un po’ il simbolo
di ogni cristiano, in quanto afrontando con gioia tutte le nostre situazioni e
i nostri problemi, abbiamo la possibilità di afrontare le cose in modo diverso
e la capacità di risolverle prima e meglio di chiunque altro. Ma soprattutto il
cristiano che “sorride e canta anche nelle diicoltà” non deve essere preso come un
frescone, che se ne inischia di tutto ma come un uomo che accetta il fatto come
testimonianza di Dio. Purtroppo questo non succede a me in quanto molto spesso
sono portato a fare direttamente il contrario e ciò è dovuto magari al mio carattere
di persona che piuttosto di stringere i denti e andare avanti, preferisce abbattersi e
non guardare in faccia alla realtà.”

Marco 10, 17-22

Incontro di Gesù con un uomo ricco

17
Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli
domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse:

38
la sua vita

«Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. 19Tu conosci i comandamenti: Non
uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo
padre e tua madre». 20Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate in dalla mia
giovinezza». 21Allora Gesù issò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’,
vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». 22Ma a queste
parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

Questo il commento di Emiliano:

“Penso che in questo brano del Vangelo ci sia dentro il discorso della chiamata
di Dio e quindi dell’esser pronti in relazione anche al discorso sul servizio. Devo
dire prima di tutto che questo passo mi ha toccato veramente tanto in quanto mi
sono specchiato in quel tale che riiuta di seguire Cristo pur di non donare i suoi
beni. Purtroppo questa non prontezza spesso assale anche me e mi fa mancare
di servizio verso gli altri. Ma soprattutto la mia mancanza di prontezza è
rivolta principalmente verso le chiamate di Dio alle quali mi trovo veramente
impreparato. Penso che in certi casi sia colpa della mia troppa supericialità,
molto spesso mi illudo di essere in grazia con il Signore e di aver fatto per Lui
quanto ci fosse da fare ma poi quando mi si chiede una vera prova di Fede allora
scopro tutta la mia impreparazione e scopro che per essere in grazia con Dio non
basta osservare i comandamenti ma ci vuole qualcosa di più quel qualcosa che
adesso a me manca ma che spero di acquistare presto per trovare la dimensione di
un vero cristiano".

L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo, paragrai 13 e 72 ( rilessione


sull’Esortazione Apostolica “Evangelii Nuntiandi” di Papa Paolo VI
dell’8/12/1975)

Penso che i due paragrai non abbiano bisogno di grandi commenti se non per il
fatto che proprio noi giovani siamo gli interessati, gli stafettisti, come si diceva
l’altro giorno, che portano avanti questo testimone immaginario che è la Parola
di Cristo. Prima di tutto mi pare abbastanza giusto che siano proprio i giovani a
portare avanti questo tipo di testimonianza perché almeno nella società del nostro
tempo stanno veramente prendendo coscienza di una vita civile e morale e perché
penso siano gli unici a rendersi conto di cosa voglia dire veramente una vita
cristiana. Adesso comunque non vorrei peccare di presunzione ma direi che

39
parte prima

almeno noi scout abbiamo una parte di primo piano in questa nostra grande
missione che è appunto quella di difondere la Parola di Cristo.

L’ esperienza nello scoutismo presso la Parrocchia di S. Eugenio a Belle Arti


va avanti ino al 1980 quando la cura della chiesa viene aidata ai sacerdoti
della prelatura personale dell’Opus Dei. Ora noi non sappiamo se lo stile
certamente assai libero degli scout di Roma 1 non sia stato bene ai nuovi
arrivati o se invece siano stati gli scout a non voler aderire all’Opus Dei ,
fatto sta che il gruppo scout a S. Eugenio si scioglie. C’è lo spostamento del
gruppo presso la parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, dove Emiliano diventerà
un capo, ma l’esperienza più viva ed esaltante inisce, anche se poi la sua
impostazione personale rimarrà assai fedele al modello proposto da Baden
Powell.

40
la sua vita

GLI ANNI DEL LICEO

Emiliano consegue la licenza di scuola media inferiore nella scuola Ippolito


Nievo di Viale Parioli e decide di iscriversi al Liceo Scientiico Manfredi
Azzarita di Via Tommaso Salvini, a Piazzale delle Muse praticamente.
E’ un ambiente certamente particolare; a Roma “pariolino” è sinonimo di
benessere economico, è uno status sociale di chi vuole distinguersi.
Emiliano però quando per scherzo viene apostrofato come “pariolino” ci
tiene a precisare: “Alt, abito ai Parioli, ma sono solo il iglio di una portiera!”
E lo dice tranquillo con il sorriso sulle labbra.
Lina, la madre ci racconta dei colloqui con i professori, il tono è sempre lo
stesso, tra schiere di igli di professionisti e personalità, Emiliano si distingue,
come pure un altro ragazzo anch’egli iglio di un portiere della zona.
Un ragazzo sveglio sa che una solida preparazione culturale è la base per ogni
sogno di un futuro migliore. Sappiamo purtroppo nell’epoca diicile che
viviamo che a volte ciò non basta e che ci sono sempre furbi o raccomandati
in corsia di sorpasso, ma Emiliano è troppo rigoroso per non applicarsi
completamente. Traspare, dagli scritti che ha lasciato, una scarsa iducia nei
propri mezzi, ma non è una siducia ine a se stessa perché viva è la speranza,
crescendo, di migliorare.
Coltiva insieme alla passione per lo studio anche un grande amore per la
manualità, è assai abile a compiere lavoretti di ogni genere spesso efettuati
per confezionare regali rari e particolari.

41
parte prima

FINALMENTE ALL’UNIVERSITÀ

Con il raggiungimento della maturità liceale, che consegue nel 1980, si


pone davanti a Emiliano l’interrogativo supremo di tutti i giovani: “ Che
cosa farò da “grande ?”. Da bambino Emiliano non aveva mai espresso quelle
mirabolanti idee che spesso si ascoltano: “Farò l’astronauta, il calciatore,
l’esploratore, il pilota di formula uno …”.
E’ Lina che scherza con lui quando vede che invece di essere lei a spingerlo
a certe pratiche è esattamente il contrario: “Tu ti farai prete” le dice divertita
e lui risponde con uno di quei suoi sorrisi compiaciuti e sornioni di chi non
darà mai una risposta negativa o piccata.
La scelta della facoltà universitaria è senza tentennamenti. Emiliano non
vuole rischiare di afrontare un periodo di studi che si preannuncia molto
impegnativo senza optare per qualcosa che dia garanzie.
Una laurea in Ingegneria Meccanica era e probabilmente è tuttora, un titolo
che ofre concrete possibilità di lavoro e già la carriera liceale ha indicato una
sua chiara predilezione per l’area scientiico-matematica.
Ma come si dice in gergo Ingegneria è “tosta”, sono una ininità i giovani
che si sono cimentati nel biennio per poi fuggire altrove o addirittura
dall’università. Emiliano non molla anche se deve fare i conti con delle
diicoltà che i suoi amici dei Parioli non vivono. Mantenersi agli studi costa
, ci sono le tasse universitarie e soprattutto non si è disponibili per un lavoro a
tempo pieno ammesso che qualcuno te lo ofra.
E allora Emiliano inizia un suo personale duello con una facoltà ostica e
capisce presto che deve ridurre la velocità. Inizia la sua carriera nell’autunno
del 1980 e sostiene il primo esame il 5 giugno 1981, l’ultimo lo supererà
il 23 novembre 1993. In efetti i periodo è lungo e ci sono alcune annate
sfavorevoli ( il 1983, il 1985, il 1986) in cui riesce a dare un solo esame. Va
incontro anche ad alcune bocciature e spesso da l’idea di scoraggiarsi, ma non

42
la sua vita

mollerà mai.
E’ avvantaggiato dal fatto che viene esonerato dal servizio militare per
la sua miopia e certamente, accanto alla diicoltà del corso di laurea, va
considerato il fatto che non tralascia di efettuare nel tempo alcuni lavori che
gli consentono di racimolare fondi per le tasse e l’acquisto dei testi di studio.
Sostituisce ripetutamente alcuni portieri della zona dei Parioli nel periodo
estivo e svolge durante l’estate un servizio presso il S. Giuseppe de Merode
a Piazza di Spagna, intrattenendo i ragazzi che durante l’estate vengono
aidati dalle famiglie all’Istituto. La carriera universitaria di Emiliano termina
con la laurea dal titolo ovviamente complicato : “Efetto protettivo di un
rivestimento con alluminio mediante processo P.V.D. “modiicato” su acciai
inossidabili sinterizzati 316 L”. Relatore è il Professore Bruno Breviglieri.
Il voto inale è di 100/110 e sta a testimoniare la grande qualità del lavoro
di tesi giacché la media dei precedenti ventisette esami non è molto alta.
Riesce anche dopo la laurea nell’autunno 1994 a cominciare a seguire il corso
che la facoltà ofre a chi deve sostenere l’Esame di Stato per l’abilitazione
professionale.

Non si può tentare di ricostruire la vita di Emiliano senza trattare del suo
rapporto con le ragazze. Emiliano è l’innamorato del “Cantico dei Cantici “
,capace di un amore grande che presuppone l’armonia piena con la natura. E’
un poeta che sappiamo ha scritto tanto, anche se sembra non essere rimasto
niente.
Sicuramente va ricordato con il massimo rispetto il suo grande amore per
Anna Maria, durato sette anni, di cui almeno sei bellissimi, due ragazzi alla
scoperta progressiva dell’amore, che sognano e progettano una vita insieme.
Poi l’incanto si spezza, capita , ed Emiliano afronta una fase di vita senza una
compagna, anche se sappiamo che molte ragazze lo guardano con tenerezza e
con occhi dolci. La morte lo coglierà improvvisa in una fase in cui è come si
dice oggi un “single” ,concentrato sulla ricerca di un lavoro piuttosto che sulle
questioni di cuore. Ma la sua indole è cavalleresca, la donna è una creatura
meravigliosa da amare e rispettare, la più grande emanazione dell’Amore
divino.

43
parte prima

LA COMUNITÀ DI S. BARBARA

Chi ha vissuto in anni giovanili una esaltante esperienza comunitaria non


si rassegna a perderla, a meno che non subentri un carrierismo sfrenato, una
tentazione che Emiliano non avrebbe mai potuto avere. L’esperienza scout di
Emiliano segna profondamente la sua educazione e la sua esperienza. L’amore
per la natura, la capacità di organizzarsi con poco e di eliminare il superluo
fanno parte dell’esperienza dello scoutismo e si ritrovano in modo chiarissimo
nella personalità di Emiliano.
Come per altri amici fraterni che presto incontrerà, l’esperienza scout
inisce in modo poco simpatico. Nella parrocchia di S. Eugenio dove ha
sede il gruppo scout glorioso, Roma 1, come abbiamo detto arriva l’Opus
Dei. Non conosciamo con esattezza la situazione ma è certo che nascano
attriti e il gruppo per scelta o per imposizione si trova fuori. Avviene uno
spostamento nella Parrocchia di S. Lorenzo in Lucina ma l’operazione è un
ripiego sicuramente doloroso per Emiliano. Siamo nel 1980.
Emiliano non nasconde le sue idee politiche che sono nettamente orientate
a sinistra per una naturale propensione per la giustizia sociale e certamente
sofre per la conclusione della sua esperienza a S.Eugenio. Sappiamo che
la considerava un’ingiustizia ma non era tipo poi da perdersi in chiacchiere
o in maldicenza. Le cose le sapeva serbare nel cuore. Finisce un’esperienza
importantissima ed in questo la sorte non è molto diversa da quella che
subiscono nei medesimi anni i giovani di Tor di Quinto della Parrocchia del
Preziosissimo Sangue. Qui la situazione è molto peggiore, come purtroppo
sa chi quegli anni li ha vissuti. Il parroco è irretito dalla famigerata Mamma
Ebe e prima che del fatto se ne debba occupare la cronaca con gli arresti ed
i processi, sono i giovani che fanno una brutta ine, allontanati più o meno
con l’ accusa di essere “comunisti”. Non solo chi professa idee di sinistra , ma
anche chi in quel luogo comincia a sentire puzza di bruciato.

44
la sua vita

L’elemento positivo che lega l’esperienza scout del S.Eugenio e quella della
Comunità giovanile del Preziosissimo Sangue è un giovane e dinamico
sacerdote: don Riccardo Fontana da Forte dei Marmi che ha studiato al
Capranica di Roma. Appena ordinato sacerdote nel 1972, don Riccardo
diviene viceparroco a Tor di Quinto ed inizia lì un ottimo lavoro pastorale
attirando nugoli di giovani con cui vive secondo gli insegnamenti del Vangelo
alla luce del Concilio Vaticano II. E’ una comunità viva e numerosa presente
in varie scuole con attività concrete ai tempi dei Decreti Delegati. L’esperienza
però cessa abbastanza bruscamente. I superiori, che sanno come in quella
parrocchia comincino a veriicarsi “cose strane”, “salvano” don Riccardo
mandandolo a studiare in Accademia Diplomatica Vaticana per destinarlo
al Corpo Diplomatico. Salvano il sacerdote ma non fanno niente per la
parrocchia e per la comunità giovanile, che in poco tempo viene frantumata.
E tutti i giovani dell’epoca che si sono allontanati deinitivamente dalla fede?
Chi li recupererà?
Don Riccardo diviene assistente scout e frequenta con assiduità S. Eugenio,
prima dell’avvento dell’Opus Dei. Qui svolge un grande lavoro tra i giovani e
anche se il contesto scout è un po’ diverso dalla Comunità giovanile, i risultati
non mancano. Ma anche a S.Eugenio c’è la diaspora e la ine dell’esperienza.
Nel frattempo però don Riccardo è partito per l’Indonesia, dove ricopre
l’incarico di Segretario di Nunziatura.
Quando torna , nella primavera del 1982, sa benissimo che ci sono
moltissimi giovani dispersi e a volte nauseati dalle esperienze subite. Si mette
a disposizione , lavora in Segreteria di Stato ma tutto il suo tempo libero è
per i giovani che chiama a gran voce. Per molti purtroppo non ci sarà niente
da fare ma alcuni si riavvicinano. Del gruppo scout di S. Eugenio, Emiliano
è il più assiduo e fa una scelta che porterà avanti ino alla morte precoce. Fa
parte di un nucleo di giovani, i più grandi hanno allora meno di trent’anni ,
che poi conluirà nella Comunità di santa Barbara, il cui nucleo fondante è
rappresentato dai giovani di Tor di Quinto.

Emiliano comincia a farsi conoscere per alcune qualità che non solo sono
nette, ma immutabili. E’ preciso e puntuale, partecipa a tutto con una chiara
predilezione per l’impegno pratico. Prende parte alle riunioni, ma si esprime
poco, perché ascolta molto ed in breve diviene una colonna del gruppo in

45
parte prima

tutte le attività.
E quando don Riccardo riesce a farsi dare una chiesetta, all’epoca disastrata,
la chiesa di santa Barbara dei Librari presso Campo de’ Fiori, chiesa ridotta
a indegno magazzino, che nessuno vuole più perché pericolante e colma di
detriti , Emiliano è in prima ila. C’è da rendere agevole la chiesa e lavorare
duramente. Un’impresa semplicemente meravigliosa, che ha creato un
magniico legame tra chi ha avuto la fortuna di partecipare.

E così, con un lavoro encomiabile, condotto con risorse minime,


S. Barbara, il 4 dicembre 1982, riapre al culto. La riapertura della chiesa è
una notizia per la città, troppe sono le persone che quel portone verso via dei
Giubbonari l’hanno sempre visto chiuso. Il senatore comunista Antonello
Trombadori grande cultore della romanità, dopo un visita indimenticabile,
pubblica il seguente sonetto sulle pagine de “ Il Messaggero”:

CARO GULLOTTI

La scaletta che porta ar campanile


De la cchiesa de Barbara e Tomasso
Dice che va a rimette in un ienile
Che prima monta e poi riscenne in basso.

De llì mettenno er piede passo passo,


Pe tetti sfranti e logge siggnorile,
Fino a Corzo Vittorio, senza scasso,
S’arisbucava fora da ‘n cortile.

Pare ch’ancora sott’a li todeschi


Quarcuno se sarvò co ‘sta scommessa
Ma mmò nun è più cosa ch’arieschi.

La cchiesa casca a pezzi sderenata


E don Riccardo che ce dice messa
Ha raggione a strillà che và sarvata!
Dàjje n’occhiata
Ce stà un marmo de scola de l’Argardi
Ch’ariverìllo sarà sempre tardi!
23 ottobre 1983

46
la sua vita

La dedica all’allora ministro dei Beni Culturali Antonino Gullotti è un invito


a restaurare questo gioiello di chiesa e l’appello non cadrà nel vuoto, perché
la chiesa verrà poi efettivamente restaurata.

Emiliano sorridente divide il merito dell’avventurosa riapertura con don


Riccardo e con una quindicina di ragazzi e ragazze ed è festa per tutti, anche
per la vicina comunità ebraica, che dona il pane azzimo per usarlo durante
la consacrazione della prima messa . L’entusiasmo di Emiliano è quello di
chi ritrova, con altri amici, sotto lo sguardo vigile del Signore, la dimensione
comunitaria che aveva perduto. Qui a santa Barbara non ci sono poteri,
oscuri o alla luce del sole, che caccino le persone. C’è una grande diversità
di provenienza , molto bene descritta nel Patto Associtivo della Comunità
di santa Barbara, stampato nel 1987 per la costituzione canonica della
Comunità. Nel I capo del Patto intitolato “Le nostre storie: chi siamo , a chi
ci rivolgiamo” c’è una classiicazione che evidenzia chi sono coloro che si sono
avvicinati, e si avvicineranno alla Comunità:

Le nostre storie:
chi siamo, a chi ci rivolgiamo

“La misericordia del Signore ci fa ritrovare insieme in un ideale momento


di conluenza tra cammini spirituali diversi. Desideriamo issare la memoria
delle nostre storie particolari per rendere testimonianza alla Provvidenza di
Dio, che non abbandona chi spera in Lui; e perché altri, forse nel travaglio
della scelta, riconoscendosi in qualche modo nella nostra esperienza, possano
trovar sollievo dalla bontà che il Signore ha usato verso di noi – malgrado i
nostri limiti e gli errori – e tornare a Lui con semplicità di cuore, iducia e
speranza.
Pochi tra noi hanno fatto la loro scelta per il Signore in dall’infanzia e,
malgrado diicoltà, contraddizioni e peccato, Gli sono rimasti uniti nel
tempo, cercando di crescere, nel seno di famiglie cattoliche, “in sapienza, età
e grazia davanti a Dio e agli uomini” come conidiamo che possano fare i
piccoli della nostra Comunità.
Alcuni sanno di aver fatto una esaltante esperienza di Chiesa in dall’età
giovanile. Superando allora le consuete crisi degli adolescenti, hanno scelto

47
parte prima

Dio ed il Suo popolo e hanno cercato di non perderLo mai più, malgrado le
prove, la diaspora e anche la croce. Così impararono a conoscere la Chiesa
come “sacramento” ed in quella fede sono cresciuti, si sono sposati e “hanno
generato igli e iglie”.
Qualcuno, nell’infanzia e nella giovinezza, frequentando istituzioni e
scuole della Chiesa, conobbe le inadeguatezze e le incertezze dei cristiani prima
di maturare la fede, incomprensioni e disagi: riiutò con il vaso anche il suo
contenuto e per lungo tempo non cercò più Dio Benedetto, la Sua Parola,
la Sua Chiesa, anzi Vi si oppose e Le fece lotta. Solo dopo molto tempo la
Provvidenza lo ha riportato nella comunione della Chiesa Romana.
Altri nacquero cattolici: furono battezzati e cresimati. Fin dall’adolescenza
frequentarono la Chiesa. Poi crebbero nel mito del suo riiuto e, consentendo
alla mentalità corrente, furono irreligiosi e si dissero atei, credendo solo nella
scienza, nel progresso e, forse, nell’uomo. Furono lontani dalla Chiesa ino
alla prima maturità.
C’è poi chi ha ricevuto così poco che oggi è entusiasta, scoprendo la
fede che la Chiesa professa da sempre e, senza più recriminare per la scarsa
testimonianza ricevuta, gioisce di aver incontrato inalmente il Signore
e lamenta solo di aver perso tempo e conoscere così poco di Lui., della
rivelazione, trovandosi come autodidatta alla scuola del Vangelo. E incita e
provoca e insiste perché da tutti sia data dovuta centralità alla conoscenza di
Dio, alla preghiera, all’incontro personale con il Salvatore.
Tra di noi non manca chi si buttò a capoitto nella ricerca della giustizia,
lottando e tutto travolgendo della propria esperienza di persona, anche
i valori, anche la fede, combattendo talvolta i cristiani per ciò che
rappresentavano ai suoi occhi, accecato dall’irreligiosità delle ideologie.
Allora si diceva “fare politica”. Oggi, con la maturità dell’adulto e la grazia
del Signore, senza rinnegare la parte di buono che c’era nel passato, torna alla
Chiesa, chiedendoLe di essere immagine leggibile del suo Signore. E a Lei,
madre provvida, non lesina tempo e amore.
Come non dire di alcuni dei nostri che impararono ad amare Dio e la Chiesa
nei grandi movimenti ? poi se ne allontanarono o, peggio, ne rimasero delusi
e sconfortati. Ora si ritrovano a portare il loro contributo di esperienza e di
sensibilità tra di noi ed a costruire una fraternità bella, che è debitrice a tutti,
perché volentieri attinge dal patrimonio di chi ha più esperienza.

48
la sua vita

Una parola tutta speciale va detta degli scouts. Tanti dei nostri vengono da
quella radice e la amano. Ne hanno tratto una sensibilità indelebile per la
semplicità e la fratellanza. Alla Comunità portano volentieri il contributo
forte di una fede cresciuta per le strade del mondo, aperta, dunque, gioiosa,
senza paure.
C’è anche qualche persona che soferto forte nella Chiesa ed ha avuto delusioni
cocenti, come quelle d’amore. Ma sapendo che l’amore di Dio è più forte,
vuole provare a riconciliarsi ed a costruire pace dentro di sé e negli altri.
Non manca chi è stato avvinto dalla vitalità di rinnovata giovinezza della
Chiesa all’epoca del Concilio Vaticano II. Da allora si impegna a “far
comunità”, Chiesa domestica: i vari modi e le tante denominazioni che lo
Spirito ha suscitato in mezzo al popolo fedele.
Una parola, poi, su chi si è trovato in mezzo, quasi per caso, ma neppure
il caso si sottrae alla Signoria di Dio. In prossimità delle nozze, coinvolti
dall’amicizia e dalla Liturgia, ci hanno voluti vicini nella preparazione del
loro matrimonio, riaprendo in qualche caso il capitolo della fede, che avevano
chiuso da anni. Si sono poi fermati ad ingrandire la nostra famiglia.
Ancora. C’è chi è arrivato in Chiesa. Ci ha conosciuti. Ha chiesto di dividere
con noi le stesse esperienze di fede. Qualche volta, così, semplicemente, si
sono rimossi blocchi e pigrizie. Storie lunghe si sono accorciate, d’un attimo.

Nella illuminata descrizione c’è spazio per tutti; se diversi sono i punti di
partenza , unico è il progetto del punto di arrivo.
Emiliano trova nell’ideale della Comunità di S. Barbara la normale
prosecuzione del suo cammino personale e quando la Comunità si struttura
costituendosi il 4 dicembre 1987, passando da un semplice gruppo di laici
ad una comunità canonicamente costituita , Emiliano con grande tatto e
discrezione convince gli scettici ad entrare a far parte di un gruppo, che per
parecchi anni porterà avanti il suo progetto di fede, speranza e carità.
Solo la morte prematura lo farà uscire materialmente dalla sua comunità in
un momento in cui è vitale ed impegnata.

49
parte prima

UNA CARITÀ SILENZIOSA

In Emiliano troviamo contemporaneamente la dimensione dell’impegno a


favore degli altri a livello personale e comunitario. Nel senso che è sempre in
prima ila nel partecipare alle iniziative della Comunità, ma poi più o meno
in segreto si da molto da fare anche direttamente.
La Comunità di S. Barbara si fonda su alcuni pilastri tra cui “L’opzione
verso i poveri” e per questo comincia a collaborare con la Caritas diocesana in
due modi: copre alcuni turni alla mensa di via delle Sette Sale e soprattutto
si assume l’incarico di gestire il servizio notturno intorno alla Stazione
Termini il mercoledì sera di ogni settimana. Siamo agli inizi degli anni ’90. Il
servizio consiste nel recarsi presso i locali della Caritas di Ponte Casilino per
preparare panini e contenitori di latte e tè e poi di andare in giro in piccoli
gruppi ino a tarda notte per assistere persone in massima parte straniere in
oggettive situazioni di diicoltà. Il servizio è duro, si entra in contatto con
realtà terribili e spesso ci sono problemi anche con le Forze dell’Ordine che
ritengono tale servizio una sorta di incoraggiamento, per le persone senza issa
dimora, a girovagare nei dintorni. Emiliano c’è sempre e si dimostra sempre
attento e delicato, pronto persino a riprendere molto bonariamente chi il suo
servizio lo fa pesare un po’ troppo.
Da questa esperienza per la Comunità di Santa Barbara, con don Riccardo
in testa , matura la consapevolezza che occorra fare qualcosa in più.
A Roma c’è una organizzazione gloriosa ed antica, il Circolo di S. Pietro, che
gestisce refettori e alloggi temporanei per persone in diicoltà. Nei primi anni
‘90 il servizio di refezione è rivolto prevalentemente ai soli italiani e viene
svolto all’ora di pranzo. La Comunità di S. Barbara riesce ad ottenere che per
tre volte a settimana i locali della mensa di via Adige 11, vengano aperti per
gli immigrati rumeni che sono a Roma in cerca di lavoro e che agli inizi si
trovano in grande diicoltà. Perché si tratti proprio dei rumeni è facile a dirsi,

50
la sua vita

perché girando di notte alla Stazione Termini e dintorni , compresi binari


morti o semi abbandonati, in quell’epoca si incontravano soprattutto
rumeni. L’Italia allora in condizioni economiche assai migliori delle attuali
veniva vista come una patria ideale di adozione, anche per via della nota
parentela delle lingue, il rumeno infatti è una lingua neolatina in un contesto
esclusivamente slavo. La Comunità di Santa Barbara organizza e gestisce il
servizio, con responsabili issi di sala e gruppi di volontari quasi sempre issi,
che prestano servizio. Don Riccardo e la Comunità questa attività la pensano
veramente bene, alla don Milani, e uniscono alla cena una lezione di italiano
di circa un’ora, che viene tenuta dalla dottoressa Mihaela Hornet, nata in
Romania ma cittadina italiana, la quale, parlando entrambe le lingue, svolge
egregiamente il suo compito. Se si scorrono gli elenchi dei gruppi di servizio
dell’epoca, si vede come Emiliano fosse presente spessissimo per servire i
fratelli rumeni.
L’esperienza andrà avanti alcuni anni e poi ne nascerà un’altra, molto più
impegnativa, che Emiliano farà in tempo a veder partire, ma non riuscirà
a parteciparvi: il gemellaggio con il Campo Profughi Bosniaci di Krsko in
Slovenia. Si tratta di profughi di religione islamica.
Sono gli anni durissimi della guerra nella ex Jugoslavia, la Slovenia per
prima ne esce e accoglie in campi molto arrangiati i profughi di altre zone.
A Krsko ce n’è uno e la Comunità di S. Barbara si assume l’incarico di
stabilire un contatto tra le famiglie romane e quelle ospitate nel campo,
formate prevalentemente da donne bambini e vecchi. Gli uomini, o stanno
combattendo o sono prigionieri o sono morti.
Ogni famiglia romana, che partecipa al progetto, tra cui anche quella
di Emiliano, aida alla Comunità di S. Barbara un pacco, che viene
confezionato con generi di prima necessità, secondo le esigenze della famiglia
destinataria. E’ bello vedere come per simili progetti la gente partecipi con
entusiasmo. I pacchi vengono recapitati a S. Barbara ( al punto da riempirla)
e poi trasportati in Slovenia con mezzi condotti dai volontari.
Come anche per il servizio mensa, partecipano con entusiasmo anche
tante persone non interessate al discorso religioso, ma sensibili all’impegno
umanitario.
Questi sono comunque i settori e i temi in cui Emiliano si esprime meglio,
quando c’è da rimboccarsi le maniche concretamente, senza smania di

51
parte prima

apparire o di esibirsi in sproloqui inutili.


Poi la Comunità entra in contatto con una casa di Riposo per Anziani al
Quartiere Aurelio, la Casa Riccardo e Agnese Toppi, ed anche lì Emiliano
è disponibilissimo, quando di tratta di partecipare con attività soprattutto
ricreative a favore degli anziani.

Ma accanto alla sua dimensione comunitaria , Emiliano si riconosce nel


gruppo, ne esiste una personale. Nel periodo in cui la Comunità di S. Barbara
si riunisce per la messa domenicale in Santa Maria della Pace , si avvicinano
persone in obiettivo stato di diicoltà.
Un giorno si presentò Arturo, un “barbone”, così ci capiamo subito, ma
soprattutto una persona. Arturo dormiva spesso nel pronao di S. Maria della
Pace, prima che fosse chiuso con una cancellata (proprio dove, dei ragazzi
delinquenti, nel 1979 dettero fuoco ad un rifugiato somalo senza issa
dimora, Alì Jama, che vi trovò la morte). Arturo raccontava di una vita piena
di vicissitudini e di una famiglia che ormai da tanto lo aveva riiutato. Per
non farlo dormire per la strada organizzammo ogni domenica una colletta
ainché, pagando, potesse alloggiare presso una signora aittacamere disposta
ad ospitarlo, nella zona di Campo de’ Fiori.
Ma le cose probabilmente non erano come apparivano: Arturo dalla
signora poteva dormire tranquillamente, era la sua disperata compagna, ed
i soldi purtroppo servivano solo ad ubriacarsi. Emiliano fu l’unico che si
sporcò le mani, come si dice in maniera orribile ma concreta. Lo visitò più
volte nella soitta dove viveva, efettuò imbarazzanti pulizie, gli portò del
cibo (che Arturo non mangiò mai) , lo accompagnò all’ospedale S. Spirito
quando ebbe bisogno di cure. Insomma il buon Samaritano del Vangelo.
Noi tutti al massimo invece ci sentivamo tranquilli, solo perché mettevamo
mano al portafoglio. Quando purtroppo la sua compagna morì, Arturo tornò
a girovagare per le strade, preferendole al tetto della soitta, o forse più
probabilmente per necessità, perché la soitta era passata ad altri proprietari.
Claudio Aranci un nostro amico della Comunità , il libraio di Largo dei
Librari, che teneva una vecchia auto parcheggiata in un vicolo presso S.Carlo
ai Catinari ,via Giovanni Borgi, la lasciò perennemente aperta perché Arturo
in caso di bisogno potesse rifugiarvisi. Il risultato purtroppo fu che qualcuno,
per allontanare Arturo, incendiò l’auto.

52
la sua vita

IL FUTURO SI AFFACCIA

Il fervore e l’attenzione nei confronti degli altri non risolvono direttamente


i problemi personali, anzi forse li complicano, se è vero che tante persone si
guardano bene dal rimanere coinvolte nell’aiutare il prossimo. Spesso si passa
nella via e nella vita facendo inta di non vedere quello che c’è intorno.
Emiliano non è così, Emiliano non si gira dall’altra parte anche se poi
naturalmente sogna quello che sognano tutti i ragazzi sani: entrare nella
vita attiva o meglio lavorativa, con un impiego ben retribuito e formarsi una
famiglia.
Emiliano lotta, è il caso di dirlo, su entrambi i fronti. Completare l’università,
conseguendo una laurea in Ingegneria Meccanica ( si percepisce il grande
amore per la precisione) non è stato facile. Mamma Lina ha fatto sempre
quanto ha potuto ed Emiliano non ha mai perso occasione di fare qualche
lavoro saltuario per dare una mano preziosa.
Ecco perché in apparenza non è stato uno studente modello ed ecco perché
ci ha messo un po’ a laurearsi, anche tra le critiche di chi, provenendo da
una famiglia benestante è stato rapido negli studi. Ha sudato per arrivare al
risultato molto più di chi viene beatamente mantenuto agli studi e sembra
fare un piacere ai genitori studiando.
La vita sentimentale di Emiliano si basa su una presenza assidua per sette anni
dal 1987 al 1994. Si tratta di Anna Maria, che ci ha lasciato uno splendido
ricordo in questo libro. La coppia cresce, scopre le meraviglie dell’amore,
ma poi qualcosa si spezza e non procede, il cammino si interrompe. E’ un
colpo, un destino comunissimo che non interrompe la vita. E’ un addio
doloroso, ma sereno e certamente non cambia il progetto di Emiliano, anche
se bisogna ricominciare , non si dimenticano sette anni di grande vicinanza.
La realizzazione di Emiliano è nella famiglia, anche se forse lo stesso don
Riccardo possa aver pensato ad una possibile vocazione sacerdotale.

53
parte prima

La laurea in Ingegneria Meccanica era certamente un ottimo biglietto da


visita per cercare un posto di lavoro ed Emiliano, ottenuta la laurea, comincia
a inviare richieste per essere selezionato in vista di possibili impieghi. Ma per
uno scherzo atroce del destino Emiliano scompare proprio nel momento in
cui ce l’aveva fatta.
Ce lo racconta Roberto Garagozzo in questo stesso libro. La Ericsson lo
aveva esaminato, selezionato e scelto, ed era ormai in fase di redazione la
lettera di assunzione. Lo avrebbero mandato un paio d’anni a Torino per farsi
le ossa e poi sarebbe tornato a Roma.
Ma per Emiliano questa esperienza non arrivò mai.

54
la sua vita

UN IMPATTO TREMENDO

Emiliano non lo sa ancora ma il colloquio con i dirigenti della Ericsson è


andato benissimo. E’ pronta una lettera di assunzione per la sede di Torino.
Si sta per aprire una nuova fase della vita, sostenuta da un impiego serio,
da ingegnere quale Emiliano è, il coronamento dei tanti sacriici, suoi e di
mamma Lina.
Si avvicinano le solennità novembrine dei Santi e dei Morti e, come è
accaduto molto spesso, mamma Lina e zia Quartina hanno il forte desiderio
di andare a Jesi al cimitero, dove riposano i cari della famiglia e lo stesso
Giuseppe papà di Emiliano. Nei giorni precedenti, abbastanza stranamente
Emiliano si rivolge alla madre Lina dicendo : “Se per caso dovessi morire ,
voglio che i miei organi vengano donati”. La reazione di Lina è sorpresa e
non può che rispondere al iglio: “Ma che vai a pensare?”. Prima di partire
Emiliano incontra il suo direttore spirituale Mons. Giovanni Pittorru per
confessarsi.
Poi il 6 novembre 1994, di buonora, Emiliano parte con la madre e con la zia
alla volta di Jesi , percorrendo la Flaminia che conosce come le sue tasche . E’
un autista molto prudente, rigoroso e disciplinato, secondo uno stile preciso
che tutti gli riconoscono. E’ così in tutto, dalla più piccola incombenza al più
grande impegno.
La Fiat Uno di Emiliano si trova a percorrere la statale in località Rigali
presso Gualdo Tadino, sono circa le ore 9,30, le condizioni meteorologiche
sono pessime e l’asfalto è viscido.
Lui va piano e tiene strettamente la destra, la strada è ricca di curve ed è il
caso di viaggiare tranquilli.
Ma come sappiamo sulle strade non basta che noi siamo prudenti, dobbiamo
sperare che anche gli altri lo siano.
Avviene un gravissimo incidente, uno scontro frontale.

55
parte prima

Abbiamo una doppia versione dell’incidente quella dell’articolo del Corriere


dell’Umbria sotto riportato e quella di Lina e Quartina Santoni. I risultati li
conosciamo, la dinamica esatta no. Comunque per Lina e Quartina lo scontro
avviene in un tratto rettilineo di strada, su un dosso, entrambe le auto si
sarebbero trovate un po’ troppo al centro della carreggiata.
Nel senso opposto arriva il sig. Paciico Fiorentini, di anni 55, di
Cupramontana. La strada dal fondo bagnato non consente una problematica
frenata e l’impatto della Uno di Emiliano con la Citroen del Fiorentini è
tremendo.
Seguiamo quel momento terribile anche attraverso lo scritto del giornalista
Renato Campana che sul Corriere dell’Umbria del 7 novembre 1994 , scrive
il seguente articolo non del tutto coincidente con quanto narrato dalle sorelle
Santoni: Un morto e quattro feriti , tre in prognosi riservata a Gualdo Tadino per uno
scontro frontale.

UN SORPASSO POI LA MORTE


La strada aveva il fondo bagnato a causa della pioggia
Gualdo Tadino – un morto e tre feriti in prognosi riservata, di cui uno in condizioni gravissime, è il
grave bilancio di un nuovo incidente stradale avvenuto, nella mattinata di ieri, sulla strada statale
n 3 Flaminia, in località Rigali di Gualdo Tadino. Nel reparto rianimazione dell’ospedale San
Giovanni Battista di Foligno è deceduto, a poche ore dall’incidente, il 55enne Paciico Fiorentini
di Cupramontana, in provincia di Ancona. Si trovano ricoverati in diversi ospedali della provincia
gli altri quattro feriti, di cui tre in prognosi riservata. Il più grave Emiliano Pirani, romano di 33
anni, versa in gravissime condizioni al Silvestrini di Perugia, la madre Lina Santoni di 57 anni e
la zia Quartina Santoni di 52 anni sono invece ricoverate nel nosocomio di Gualdo Tadino . Nello
scontro frontale sono rimaste coinvolte una Fiat Uno, con a bordo un’intera famiglia di Roma e una
Citroen, condotta da Paciico Fiorentini, con a bordo Gastone Agostinelli, 54enne di Castelidardo
di Ancona. Quest’ultimo è rimasto ferito e si trova ricoverato nel reparto di ortopedia dell’ospedale
di Gubbio, dove è stato giudicato guaribile in una quarantina di giorni. La Fiat Uno stava
procedendo in direzione Gualdo Tadino, mentre l’altra vettura procedeva in direzione opposta, verso
Nocera Umbra. All’altezza di Rigali , dove la sede stradale è larga sei metri, le due auto non hanno
potuto evitare l’impatto. La dinamica dello scontro frontale è ora all’esame degli operatori della
polizia stradale del Distaccamento di Foligno, che sono intervenuti con due pattuglie. Sul posto, oltre
ai vigili del fuoco di Gubbio, sono intervenute ambulanze dell’Ulss Alto Chiascio e della Pubblica
Assistenza “Croce Bianca di Foligno” che hanno provveduto a trasportare i feriti

56
la sua vita

nei diversi ospedali. L’incidente è stato causato con ogni probabilità dalla
pioggia ma, non è escluso che una delle due vetture era intenta ad efettuare
un sorpasso. L’assistente capo Upg Danilo Zucchini e l’assistente Paolo Minelli
della Polstrada di Foligno hanno efettuato i rilievi di rito. I vigili del fuoco di
Gubbio, coadiuvati da una seconda squadra giunta dalla centrale di Perugia,
hanno provveduto a liberare dalle lamiere, utilizzando l’espander, i diversi feriti
rimasti incastrati all’interno delle due vetture. Paciico Fiorentini , deceduto
dopo l’incidente all’ospedale di Foligno, è stato sentito dagli operatori della
Polstrada a cui ha raccontato la dinamica dell’incidente. L’uomo intorno alle
11,40 è purtroppo deceduto a causa di un’emorragia interna. Questo ennesimo
incidente ripropone la pericolosità della vecchia Consolare che conferma tutta la
sua inadeguatezza a contenere i lussi di traico sempre crescenti. C’è da registrare
inoltre, l’ottima organizzazione dell’apparato sanitario che ha mobilitato
immediatamente il pronto soccorso degli ospedali di Foligno, Gualdo Tadino,
Gubbio e le strutture dello stesso Silvestrini di Perugia. Una prova “sul campo”
dell’imminente istituzione del 118.

Quindi il sig. Fiorentini muore poco dopo il ricovero all’ospedale di


Foligno, il suo passeggero Gastone Agostinelli viene ricoverato a Gubbio,
Emiliano, dopo un breve passaggio a Gualdo Tadino. viene trasportato a
Perugia al reparto di rianimazione dell’ospedale Silvestrini. Anche la mamma
e la zia vengono trasportate all’ospedale di Gualdo Tadino. Mentre Quartina
che si è slogata una spalla e si è ferita alla lingua rimane lì , Lina, che ha
subito un contraccolpo alle vertebre cervicali, viene trasferita all’ospedale
Monte Luce di Perugia.
Le condizioni del giovane Emiliano appaiono subito critiche, la cartella
clinica parla di “trauma cranico”, per questo viene trasportato subito nell’
ospedale più attrezzato dove c’è un reparto di rianimazione.
La terribile notizia raggiunge i parenti stretti , poi il tam tam si difonde
tra gli amici e la mattina seguente, lunedi 7 novembre 1994, un gruppetto
di ragazzi della Comunità di Santa Barbara è a Perugia. Ma ovviamente di
notizie neanche l’ombra, i sanitari fanno capire che la situazione è molto
grave ma i particolari sono a disposizione dei soli familiari. Arriva anche don
Riccardo Fontana e a lui è concesso di entrare dove Emiliano è ricoverato.
Riccardo mantiene uno strettissimo riserbo, non fornisce notizie

57
parte prima

particolareggiate, ci fa solo capire che per Emiliano è questione di poco, ore,


forse giorni.
Nessuno dei ragazzi a Perugia, afranti, ha voglia di fare inutili domande.
Anna Maria, Simona, Vittorio, Rafaella, Fabio , Giovanni Paolo, Luana
, Carlo, Giampiero stanno lì a sperare in un miracolo probabilmente
impossibile, pensando alla fragilità della condizione umana e alla terribile
ingiustizia di un giovane che muore nel momento in cui avrebbe potuto
raccogliere il frutto delle sue fatiche.
L’agonia si prolunga per circa una settimana e non si hanno ulteriori notizie
di improbabili miglioramenti, Emiliano va incontro a Dio e lo abbraccia il
giorno 12 novembre 1994. La madre Lina ricordando il desiderio espresso
dal iglio, solo pochi giorni prima, autorizza l’espianto degli organi. Viene
sepolto al Verano in una tomba di proprietà della Pia Unione per il Sufragio
delle Anime dei Trapassati, una confraternita che agli inizi del XX secolo
ha avuto sede per una incredibile coincidenza proprio nella Chiesa di Santa
Barbara dei Librari.

58
PARTE SECONDA

TESTIMONIANZE
parte seconda

MARIA ATTILIA LEODORI

Emiliano c’era sempre. Sempre pronto, puntuale, sempre presente.


Quando davamo un appuntamento anche ad altri, a lui dicevamo di venire
almeno un quarto d’ora dopo, perché sarebbe arrivato puntualissimo e gli altri,
compresi noi magari, non avrebbero fatto altrettanto. 
Per questo motivo alla sua morte mi sono sentita un po’ in colpa per averlo dato
quasi per scontato, per aver pensato che l’avrei trovato sempre presente, quasi come
se fosse un elemento di Santa Barbara o di Santa Maria della Pace (a seconda del
periodo), anche se questo non toglieva nulla al grande afetto che provavo per lui.
L’ultima volta che l’ho visto, l’ho avvertito che volevo organizzare una festa
per i bambini ( una l’ avevamo già organizzata ed il suo contributo era stato
molto importante). Mi ha risposto che non sarebbe mancato per nessun motivo al
mondo! E invece purtroppo quel terribile incidente glielo impedì! La festa non fu
più organizzata. Non ce la siamo sentita senza di lui.
Per la festa precedente ci aveva aiutato ad organizzare i giochi e, vista l’esperienza
scout, il suo aiuto era stato decisivo. Aveva anche preparato delle fascette di stofa
di lenzuola vecchie ( che immagino avrà avuto da Lina, sua mamma) su cui
aveva dipinto a mano il simbolo della squadra di appartenenza. Ma erano tanti
i bambini che partecipavano, così chissà quanto tempo avrà passato a dipingere!
Queste fascette poi andavano legate attorno al braccio dei partecipanti.
Cantava nel coro e svettava su tutti, vista l’altezza, così quando ascoltavo i
canti in chiesa mi sofermavo spesso a guardarlo ed aveva sempre una espressione
concentrata e contemporaneamente assorta. Gli piaceva molto “Sicut cervus”
e ogni volta che sento questo canto non posso fare a meno di pensare, con
commozione, a lui. Gli piacevano i garofani e si meravigliava che in chiesa
venissero usati così poco nelle composizioni per l’altare. Spesso con Paolo lo
abbiamo accompagnato a casa di ritorno dalla messa la domenica. Mi ricordo che
sapendo che abitava a via Gramsci scherzando gli abbiamo detto “ ah, sei un

63
testimonianze

pariolino!?” E ci ha spiegato che abitava ai Parioli ma non era un pariolino


perché la mamma era portiera. Siamo stati a casa sua una sera a cena, penso una
domenica dopo la messa, con Giampiero,  Anna Maria e Riccardo. Anna Maria
ed io credo fossimo entrambe incinte, quindi doveva essere il 1984 o l’inizio
dell1985). Lina ci aveva preparato una cena ottima e mangiammo nella cucina
calda e accogliente. Per un periodo é venuto a Messa accompagnato dalla cugina
Beatrice, ancora bambina o poco più. Con Paolo, scherzosamente, la chiamavamo
“ signorina Zannotti”.
Era con noi quando siamo andati in Abruzzo sulla neve. C’erano anche Paola
Elmi, Daniela François, Enrico e Daniela, Giampiero e Anna Maria, Sonia e
Sebastiano. Abbiamo dormito in un alberghetto a Castel di Sangro dove Paolo ed
io eravamo stati più volte quando avevo lavorato per la comunità montana. La
sera dopo cena siamo usciti; non eravamo tutti,  
ma Emiliano c’era, ed abbiamo fatto una passeggiata. Paola ha raccontato la
barzelletta degli scheletri e delle lapidi e quella delle piramidi e delle teutoniche,
inniche ecc. quanto abbiamo riso!!! Mia e di Paolo e’ la responsabilità della sua
varicella presa in tarda età. Infatti l’avevamo invitato a cena una sera. la mattina
dopo ci siamo accorti che nostra iglia Francesca, allora all’asilo, era coperta di
bolle. Francesca se l’é cavata abbastanza bene, mentre Emiliano, contagiato da
adulto, é stato parecchio male.
Poco dopo la sua morte l’ho sognato. Eravamo in un grande spazio all’aperto, in
una giornata serena e luminosa. Ero con tanti amici in un grande prato verde e
in questo prato c’erano sparse tante collinette. In cima ad ogni collinetta c’era una
persona seduta, vestita di bianco. I miei amici ed io eravamo sotto alla collinetta
su cui era seduto Emiliano. Ci mettevamo allora in ila per uno e salivamo ino a
lui. Altre persone che non conoscevo stavano facendo lo stesso salendo altre colline.
Quando arrivai davanti a lui, mi sorrise e mi diede un foglio, così come faceva
con tutti gli altri. Quando mi svegliai, commossa per averlo sognato, pensai che
in quel foglio ci doveva essere scritta la sua testimonianza ed in efetti Emiliano la
sua testimonianza di persona integra, sensibile, credente, buona, l’aveva lasciata
nel mio cuore.”

MARIA ATTILIA

64
parte seconda

PAOLO BERTON

Caro Giampiero,
alcuni appunti su Emiliano.
  Se dovessi trovare un titolo sulla mia esperienza direi
“STORIE (MAGNIFICHE) DI STRAORDINARIA NORMALITÀ"

Emiliano è stato per me un Amico che mi ha fatto conoscere l’essenzialità nella


fede: preghiera, canto e opere continue, nascoste, sconosciute ai più. L’”Ora et
Labora” vissuto nel quotidiano. Sai caro Giampiero che ho diicoltà a parlarti di
un Uomo così pieno e vero, mi limito a raccontare qualche episodio:

Ad Emiliano non sono riuscito ad ofrire mai un cafè! Entravamo in un bar


per una sosta oppure per festeggiare qualche piccolo successo e lui sempre: grazie
solo un bicchiere d’acqua semplice, il resto non è necessario.
Con Emiliano cantavo nel coro di santa Barbara : eravamo i due tenori…non
particolarmente bravi ma ricordo bene le prove a casa di Gelmini (a via del Foro
Piscario) in cui tra un Alleluja a canone a squarciagola ed un Cantate Domino
(quanto gli piaceva!) un po così.. passavamo serate indimenticabili.
Emiliano mi ha convinto a irmare il Patto Associativo di Santa Barbara, nella
famosa riunione a Trinità dei Monti. Non ero afatto convinto della necessità di
questa forma di contratto e vista la sua piena convinzione e fermezza lo irmai
anch’io, più per iducia in lui.
Emiliano si preoccupava dei poveri, con discrezione. Ai tempi di Santa Maria
della Pace aveva “adottato” un po’ di vecchietti, credo che avesse iniziato con Don
Erba della parrocchia di San Carlo ai Catinari; si preoccupava della pulizia della
casa, faceva la spesa per loro e pagava le bollette alla posta o li accompagnava in
banca. Mi ricordo che una volta ho pagato per lui un mazzetto di bollette postali,
una delle poche volte che mi ha chiesto esplicitamente un aiuto.

65
testimonianze

Emiliano si preoccupava delle piante, le amava. Ricordo la cura per il suo


giardinetto di Via Gramsci e soprattutto i lunghi peregrinaggi per i cassonetti di
Roma, dopo il 6 Gennaio, a recuperare abeti gettati con le radici che regolarmente
ripiantava in zone boschive o rupestri, Quanti alberelli sono ancora lì per merito
suo ?
Emiliano piaceva ai bambini e lui amava giocarci. Ricordo quando giovane
coppia io e Maria Attilia lo invitammo per preparare la “Festa di primavera”
e lui dopo un due-tre ore con Francesca che gli saltellava addosso si beccò una
varicella di quelle che lo costrinse a casa per più di un mese.
Emiliano amava la natura. Ricordo i suoi occhi che scrutavano l’orizzonte
durante i ritiri spirituali in posti belli come Monteiolo, oppure nei Castelli
Romani. Mi disse una volta che con la natura non si scherza e mi raccontò di
quella volta che con un amico, girando per montagne dell’appennino aquilano,
piantarono una tenda la sera su un ghiaione e si ritrovarono svegli la mattina,
una ventina di metri a valle (erano scivolati giù) e non mancava molto ormai per
il precipizio.
Ad Emiliano piacevano le ragazze e sarò muto per rispetto delle sue conidenze e
gli piaceva l’Inter e vedevi sguardi un po’ cattivelli solo quando ti incontrava dopo
un Inter-Lazio o Lazio-Inter, dove regolarmente le avevamo buscate.
Emiliano fu molto attivo nell’organizzare la marcia della Pace da S.Maria
della Pace a Piazza San Pietro nel 1990 e fu presente a tutte le veglie settimanali
di preghiera (se non ricordo male il sabato) organizzate dai vari gruppi.
Con lui più volte ho fatto accoglienza in Santa Barbara i sabato pomeriggio e
ricordo che la sua attenzione silenziosa nei confronti dell’ospite e la premura nel
fornire la guida nella giusta lingua (italiano,rumeno,inglese,francese,spagnolo) e
nel richiedere di lasciare un messaggio nel famoso libro di Santa Barbara.
Lui si preoccupava dei mendicanti e di chi chiedeva aiuto in chiesa e credo che
qualche soldarello, anche se allora erano veramente pochi, sia uscito per tutti, così
come i pacchi di pasta oppure i vestiti.

Insomma che dire, credo che si possa così sintetizzare: “si adoperò per gli altri,
facendo piccole cose con l’attenzione e dignità che di solito si riserva alle grandi e,
suo malgrado, fece grandi cose con la naturalezza e spontaneità di chi è abituato a
farne (tante) piccole.
PAOLO B.

66
parte seconda

GIAMPIERO LEODORI

Ho visto Emiliano per la prima volta nella primavera del 1982. Don Riccardo
era appena tornato dall’Indonesia e volendo riprendere un’attività pastorale
oltre alla sua attività di diplomatico presso la Segreteria di Stato, aveva fatto
un ischio per riprendere i contatti nei luoghi che aveva frequentato da giovane
sacerdote prima di partire. Si rivolgeva ai transfughi della comunità giovanile
del Preziosissimo Sangue afossati da mamma Ebe e dal suo giro, ai profughi
scouts di S.Eugenio che erano emigrati dopo l’avvento dell’Opus Dei e ad un
gruppo di adulti che faceva capo al diacono Memmo Meschini. Riccardo era
ripartito con la messa domenicale a S.Andrea a via Flaminia , nella chiesetta
del Vignola e con degli incontri di formazione a Via Boezio in un appartamento
dell’ O.R.A. (Opera Regina Apostolorum) grazie ai buoni uici dell’amico
don Agostino De Angelis che ne era assistente spirituale. Emiliano c’era sempre
ed era il rappresentante del gruppo scout assolutamente più assiduo che si
integrò immediatamente e molto bene con il grosso del gruppo: i transfughi del
Preziosissimo , desiderosi di riprendere un cammino troncato. Veniva in tuta
alle riunioni di via Boezio perchè arrivava e tornava di corsa. Aveva ventuno
anni e alle riunioni sorrideva , partecipava in silenzio senza intervenire
mai. Probabilmente aveva un gran senso della misura ed ascoltava con grande
attenzione senza cadere nelle nostre esibizioni logorroiche spesso patetiche ed
inutili, pronto a dare una mano fattivamente qualora ce ne fosse bisogno.
Aderì felice alla Comunità di santa Barbara , quando fu costituita , non dalla
primissima ora ma solo perché stranamente assente alla cerimonia costitutiva e
in tutte le occasioni a Santa Barbara prima e a Santa Maria della Pace poi, lui
c’era sempre. Era praticamente impossibile strappargli un commento negativo su
qualcuno , anche su chi in maniera evidente si fosse comportato male. Con lui
scherzavo spesso , c’era un bellissimo rapporto e in casi eclatanti, per provocarlo ,
gli presentavo il caso di un amico o un’amica che l’avesse combinata grossa per

67
testimonianze

avere “inalmente “ un suo commento negativo. Ma lui non cedeva e non sono
mai riuscito nel mio intento poco elegante e malizioso . Mi guardava , sorrideva
, e non mollava. Sapevo benissimo che aiutasse molte persone in segreto e nelle
attività di carità della Comunità era sempre in prima ila , portatore di una
semplicità evangelica e di principi solidi. Sapevo da Riccardo che Emiliano
stava compiendo un ottimo cammino spirituale e che ci fosse persino l’idea del
sacerdozio nella sua testa , ma in realtà Emiliano era la riservatezza in persona e
non c’era verso di penetrare realmente nel suo io ma per la sua essenzialità , non
certo per una chiusura presuntuosa all’altro. Ricordo con gioia che mi aiutò molto
a misurare la Chiesa di santa Barbara per la stesura dei rilievi di cui vado iero e
che poi furono utilizzati nei lavori di restauro della Chiesa da parte dell’Istituto
Centrale per il Restauro e poi non posso dimenticare gli ultimi tragici giorni
che ho vissuto purtroppo in prima ila. Il giorno sette novembre 1994 squilla il
telefono di studio , in quel periodo avevo l’uicio con Maurizio Catti a Belle Arti.
E’ Vittorio Iubatti che mi annuncia che Emiliano ha avuto un brutto incidente
in auto mentre andava con la mamma Lina e la zia Quartina a visitare i defunti
nelle Marche. Vittorio e Fabio Zacchili sono già in macchina per passarmi a
prendere. Maurizio Catti immediatamente fa un bellissimo gesto , tira fuori
dal portafoglio la bella cifra di £ 1.500.000 e me l’aida per farne il miglior
uso possibile. Dopo qualche minuto partiamo . Nel frattempo sono già partiti
don Riccardo con il nipote Carlo. Arriviamo a Perugia nell’ospedale Silvestrini
in cui è ricoverato Emiliano. Non c’è verso di vederlo , hanno fatto entrare solo
Riccardo. Ci dicono che Quartina se l’è cavata tutto sommato abbastanza bene
mentre Lina la mamma sta in un altro ospedale con delle costole rotte. Restano
tutti nell’ospedale di Emiliano ed io vengo accompagnato a Monte Luce da Lina
dopo aver acquistato alcuni giornali che parlano del terribile incidente in cui chi
l’avrebbe provocato inendo forse contromano è deceduto. Entro da solo e come
mi vede Lina , col cuore in gola , soferente per i traumi subiti mi chiede subito:
“Come sta Emiliano?” E io racconto una delle bugie più grandi della mia vita : “
Emiliano , si sta riprendendo…” Lina forse intuisce che non sto dicendo la verità
ma non ha il coraggio di approfondire ed io sorrido. Poi parlo con una dottoressa
che mi chiede se sono parente e lì dico la seconda bugia : “ Si sono un cugino…”
Allora mi viene detto che la situazione non è grave ma che il recupero sarà lento
e che date le condizioni di Lina c’è bisogno di una persona , oltre al personale
ospedaliero , che se ne prenda cura. E cosi mi viene presentata una signora che si

68
parte seconda

presta a questi servizi e comincio ad impegnare una parte dei soldi ricevuti da
Maurizio.Gli altri conluiranno in una raccolta iniziata per creare una borsa di
studio in memoria di Emiliano , iniziativa poi non portata avanti con l’impiego
dei fondi per la mensa e scuola di italiano per rumeni. Emiliano non ce la fa ,
se ne va dopo una corta agonia ma si era purtroppo capito e riunisce una gran
massa di persone al suo funerale. La comunità è scossa e l’emozione è forte , penso
ad un libro ricordando la mia esperienza di “Un marchigiano a Roma” in cui ho
ricostruito la vita di Don Marino Marani , l’apostolo di Tor di Quinto a nome
di un gruppo di amici di mio padre della Boreale, ma la partenza è ambiziosa.
Nella mia mente Emiliano è un santo e non tarderemo a rendercene conto però
poi il libro non parte . La Comunità vive momenti altissimi con l’impegno a
favore della comunità rumena a Roma ( la mensa e la scuola di italiano) e il
gemellaggio con il campo dei profughi bosniaci di Krsko in Slovenia che ci vede
impegnati in ripetuti viaggi per portare aiuti. Ma poi c’è il declino e la comunità
che avrebbe dovuto supportare la scrittura del libro lentamente declina. Ma
ricordo il primo ritiro fatto dopo la morte di Emiliano a Subiaco in un eremo
secondario. Rammento una lunga preghiera in cui il silenzio è prevalso sulle
parole mentre eravamo inginocchiati sull’antico pavimento di una cappella.
Qualcuno pronuncia il nome di Emiliano ed io ho la sensazione netta di essere
accarezzato sulla testa. Facile dire che in quel momento la suggestione mi ha
dominato , ma a me cose del genere non sono mai capitate. Allora inita la
preghiera ho raccontato la cosa a Riccardo anche con il rischio di essere trattato
da visionario. Ed invece Riccardo mi ha risposto in maniera molto dolce: “ Non
possiamo dubitare del fatto che Emiliano sia ancora qui , in mezzo a noi…”

GIAMPIERO

69
testimonianze

EMILIANO

Lo sguardo avanti, er passo sostenuto,


annava su, come ‘no stambecco,
lo posso dì, perché l’ho conosciuto,
nun solo perché era forte e secco.

A Roma dalle Marche era venuto


e tra de noi,so’ certo che ce azzecco
era er più giusto,amato e benvoluto
chi nun ce crede se chiudesse er becco.

Ce trasmetteva Fede e Carità,


Speranza de volà tanto lontano
vivendo co’tantissima umirtà.

Pe’questo mio dorcissimo Emiliano


Dio benedetto,eterna Santità,
t’ha preso e t’ha portato via pe’mano.

Roma 14 Aprile 2002 Giampiero


13-FS

70
parte seconda

ROBERTO GARAGOZZO

Ritrovarti a pensare all’amico che non vedi da vent’anni ed avere


immediatamente voglia di tirargli il pizzetto che ricopriva la sua scucchia è un
tutt’uno.
Era forse il modo più usuale di salutarci, lui mi mandava contropelo la barba, io
gli tiravo il pizzetto.
Scoprire che l’unica sensazione di vero distacco è il fatto di non poterci parlare,
perché in realtà ti porti dietro un ricordo ancora vivo, presente, concreto. Un
ricordo denso di allegria e di sorrisi, a volte amari e carichi di pensieri gravi,
ma sempre sorrisi. Quei sorrisi con cui ti fronteggiava quando ti vedeva triste o
scoraggiato. Sempre accompagnati da una frase tra il serio e lo scanzonato.
Poi l’onda del ricordo arriva sempre allo stesso punto: la cena della sua laurea
e gli eventi successivi. Alla ine della cena ci eravamo seduti vicini. Con la sua
solita concretezza non aveva neppure fatto terminare il rito del festeggiamento,
già pensava a cosa poter fare, non tanto per se stesso, ma per la persona che gli era
più a cuore, mamma Lina. E si preoccupava del tempo che ci sarebbe voluto per
cercare un lavoro e poterle inalmente assicurare un po’ più di serenità.
Non ci volle molto tempo per organizzare quel che gli proposi: nel giro di qualche
giorno, curriculum universitario ben redatto, si presentò, tirato a lucido, nel
mio uicio. Lo portai immediatamente a colloquio con il mio direttore. Fece un
igurone. Serio, preparato, maturo. Ma al contempo pacato e mite. Un uomo
aidabile e concreto.
Il giorno dopo il direttore mi preparò un appunto personale, io redassi il proilo di
Emiliano, allegai il curriculum e l’appunto e portai tutto all’uicio delle risorse
umane (che schifo di nome!).
Nel giro di poche settimane lo sottoposero ad un notevole esercizio di pazienza,
facendolo rimbalzare da un colloquio all’altro.
Poi arrivò il giorno atteso per tanto tempo.

71
testimonianze

Alla macchinetta del cafè la biondissima collega delle risorse umane (!) che mi
dice:” Guarda che il tuo amico ha fatto centro, ha convinto tutti, il capo sta
facendo preparare una proposta di assunzione, gli proporremo di fare due anni
nella iliale di Torino, per farsi le ossa, e poi lo riporteremo a Roma.”!!!
Cercai il portatile e mi accorsi di averlo lasciato nella mia stanza, sulla scrivania.
Tornai di corsa, volevo informarlo subito. E mentre entravo arrivò quella
maledetta telefonata…
Nessuno tranne me li riconobbe, ma il giorno del suo funerale, in piedi, in
fondo a Santa Barbara, c’erano tutti i colleghi della mia azienda che lo avevano
esaminato…
Ho sempre pensato, da quel giorno, che il Signore abbia voluto ofrirgli una
scrivania molto più importante di quella che io avevo provato a fargli avere. E
che da quella scrivania, ogni tanto, mi guardi con ironico afetto, accarezzandosi
il pizzetto che non posso più tirargli.

ROBERTO G.

72
parte seconda

FRANCESCA BERTON

Caro Zietto,
eccoti inalmente un piccolo contributo alla tua raccolta per il libro su
Emiliano. Di Emiliano ricordo soprattutto il grande afetto da cui era circondato,
sembrava avere un’aura positiva intorno che contagiava tutti. Il suo splendido
sorriso sempre solare e occhi dolci e sereni che rivedo ogni volta che guardo la
“nostra” Signora Lina (ormai nonna acquisita). 

In particolare però voglio raccontarti un momento che mi è sempre rimasto


impresso, forse poco importante nella vita comunitaria ma chiarissimo nella mia
memoria tanto che mi sembra sia accaduto ieri. 

Era la domenica prima del suo incidente, eravamo a Santa Barbara e tutti
in preparazione per la messa. Ricordo Emiliano tutto impegnato a cercare di
sistemare una luce molto in alto (troppo anche per lui) perché difettosa. Io, con
la mia faccia da impunita, mi avvicino e chiedo a Emiliano se gli serve una
mano. Lui  si ferma, si gira e sorridente mi dice con il suo fare gentile “Bella
Franceschina, ti ringrazio ma come potresti aiutarmi? Sei ancora troppo piccola”.
Mi allontano per pochi secondi e mi ripresento subito con Fabio Zacchili al
seguito e, con faccia da impunita e in più soddisfatta, lo chiamo: “Emiliano! Ti
ho portato Fabio, lui è più alto magari ci arriva”. Emiliano sorride, lascia il posto
a Fabio – che con quei centimetri in più risolve facilmente la situazione – e poi
si rivolge a me dicendo: “I bambini sono veramente pieni di sorprese! Hai visto
Francesca? Avevi ragione tu: potevi darmi una mano anche se così piccola!” Che
sorriso e sguardo bellissimo!!

E’ un mini racconto sicuramente poco signiicativo a confronto delle tante belle


esperienze che ha condiviso con voi. Per me però è molto prezioso e coincide

73
testimonianze

all’ultima sera che ho visto Emiliano…ok mentre lo scrivo, da brava iglia di


Maria Attilia, mi commuovo e ti mando un bacione!!!!
FRANCESCA

74
parte seconda

ANNA MARIA FACCENDA

Il ricordo forte di Emiliano che porto dentro di me è il volto giovane di una


comunità, che vent’anni fa ancora era tale. Un volto attento e concentrato su
obiettivi alti ed impegnativi, come le montagne che amava scalare. Un volto
sorridente ed accogliente in maniera semplice, genuina e paziente, dove gli
occhi dominavano, grandi e profondi. Gli occhi di chi aveva lasciato entrare
Dio nelle pieghe della sua quotidianità, laddove la preghiera si mischiava
senza problemi con le opere. Gli occhi di chi si era a lungo, con fatica e iducia
dedicato allo studio, inteso come strumento determinante per portare il proprio
contributo, mettere a frutto i talenti ricevuti ed incidere concretamente nella
società, cominciando dalla sua più piccola cellula, il nucleo familiare, e via, via
ampliando il raggio d’azione.
Ma in più, rispetto a quella giovane comunità, insieme alla quale camminava,
il suo volto esprimeva la consapevolezza di chi, in dalla più giovane età, si era
fatto carico di grandi responsabilità, già conoscendo gli aspetti meno facili e più
dolorosi dell’esistenza. Emiliano non perdeva tempo e penso che nei suoi trentatre
anni di vita si siano concentrate esperienze più ricche di quanto a volte non
capiti in ottanta. È così che ci ha insegnato meglio di chiunque altro che non è la
quantità signiicativa e neppure l’apparenza, ma piuttosto la qualità e soprattutto
lo spessore di ciò che si vive.
Nella comunità di S. Barbara Emiliano si trovò proprio perché gli ideali
iniziali dell’una coincidevano con i suoi. Le più antiche fondamenta sulle quali
si stava costruendo quella comunità erano essenzialmente le stesse che aveva anche
lui già collaudato altrove. Al primo posto c’era il desiderio di vivere la Chiesa
attraverso la gioia della comunione, dono di Cristo ed incontro nel Suo Nome, e
attraverso la speranza, in un’esperienza vitale di Comunità-Chiesa, dove non ci
fosse separazione, né contraddizione tra la vita di fede e la vita quotidiana.Da
questo desiderio ne scaturiva un altro, educare alla libertà nel nome di Gesù

75
testimonianze

e alla carità vicendevole, ponendo come alimento insostituibile per procedere nel
cammino intrapreso, l’Eucaristia, centro della vita comunitaria, la celebrazione
della Messa domenicale, la condivisione fraterna, la preghiera quotidiana e
l’ascolto regolare della Parola di Dio, rispetto alla quale veriicare costantemente
la propria esperienza di vita. Non mancava l’annuncio del messaggio evangelico
ed il servizio sia all’interno che all’esterno, mettendo a disposizione gli uni degli
altri capacità, esperienza e professionalità. La “missione nella città” consisteva nel
fare da ponte verso chi, per varie storie, si fosse allontanato dalla Chiesa, con una
vocazione speciica alla mediazione attraverso il dialogo. La pagina evangelica di
Nicodemo testimoniava bene come l’incontro con Gesù potesse avvenire anche di
sera, su percorsi lunghi e tortuosi.
Del resto, una caratteristica essenziale di Emiliano, quella di non essere
di certo “conforme alla mentalità dei tempi”, ci ricorda che Santa Barbara
era allora percepita soprattutto come santa dell’anticonformismo, da chi
sentiva forte la spinta a vivere la fede come messaggio fecondo di “scandalo” e
capacità di camminare controcorrente, in maniera alternativa rispetto ai tanti
condizionamenti sociali.
Si respirava nell’aria, come fu scritto nel lontano 1984, “la gioia di ritrovarsi
come popolo in marcia insieme, con Gesù in mezzo, chiamati da varie esperienze
e dopo molte prove, all’unità nella Chiesa, dall’amore di Dio, e ad essere posti
come una città sul monte, come punto cioè di riferimento per altri”. La fede della
comunità di Santa Barbara allora e di Emiliano non voleva correre il rischio
di diventare un fatto personale, soggettivo e privato. Il lavoro era “inteso come
un impegno qualiicato e diretto a trasformare, nel proprio piccolo, la vigna del
Signore” e “mezzo di trasformazione della realtà”, la scelta della professione, “come
vocazione e non come strumento di soprafazione e dominio”, e la famiglia come
luogo in cui “ trasmettere il senso di quello stare insieme”.
L’accoglienza, il dialogo e l’amicizia venivano riscoperti come Sacramento.
La ricerca del vero, l’obbedienza a Cristo e l’attenzione ai piccoli, ai poveri e a
tutti coloro che si trovassero in situazioni critiche, come parte integrante della
vocazione cristiana. Si percepiva così quanto il Regno di Dio fosse concretamente
vicino, e Dio un Padre buono e provvido. Afascinata dalla lettera a Diogneto, che
in tempi ancora più lontani alcuni tra i suoi avevano tanto amato, la comunità
di S. Barbara meditava su come i cristiani non abitassero città proprie o usassero
un linguaggio diverso o conducessero una vita speciale, ma si distinguessero per

76
parte seconda

lo stile che testimoniavano, “Vivevano nella loro patria ma come forestieri,


partecipavano a tutto come cittadini ma distaccati da tutto come stranieri, si
sposavano e generavano igli ma non gettavano mai i neonati, mettevano in
comune la mensa ma non il letto, essendo nella carne ma non vivendo secondo la
carne, dimoravano sulla terra ma avevano la loro cittadinanza in cielo, messi da
Dio in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare”. Dio che “ha voluto che
lo consideriamo nostro sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente,
luce, onore, gloria, vita, senza preoccuparsi del vestito e del cibo”.
Ovviamente si avvertiva già l’enorme sproporzione tra l’immensa ricchezza che
Dio stava mettendo nelle mani della comunità e l’incapacità da parte di questa
a rispondere in maniera adeguata, un’incapacità che solo un rapporto stretto con
Lui poteva colmare. La vita cominciava a presentarsi come un pellegrinaggio, che
a volte conduce anche nel deserto, dove si avverte la fatica di procedere, i dubbi,
i rimpianti. L’importante era conservare la certezza di sapere da dove si veniva e
dove si era diretti e su questo tema in particolare, Emiliano aveva molto da dirci,
grazie alla sua passione per la montagna, dura ed afascinante allo stesso tempo,
luogo privilegiato da sempre per l’incontro con Dio.
Di umiltà del resto era intriso Emiliano, sua madre Lina e tutta la loro storia.
Il termine umiltà, infatti, deriva dal latino humus, quell’insieme di materie
organiche, fonte e riserva delle sostanze nutritive necessarie ad un terreno per
essere fertile, base di qualunque crescita rigogliosa e abbondante. Per questo
“umiltà” è simbolo di terra viva e fertile poiché, come questa, produce buone
piante che danno frutti abbondanti e succosi. Umiltà è dunque lavorare nel
silenzio e questo era il modo di lavorare di Emiliano. Un albero si riconosce dai
frutti, come ben sappiamo, e un albero afonda a sua volta le sue radici in un
terreno più antico; dalla sua stessa composizione, da ogni suo granello di terra,
da tutto ciò che ha contribuito a formarlo, strato su strato, trae nutrimento.
Ed Emiliano era anche lui frutto di una lunga storia, ricca e soferta allo stesso
tempo, che come un albero aveva radici profonde e robuste, un tronco solido, una
linfa nutriente, rami colmi di fronde e di iori, riparo anche per chi vi passasse
sotto e si sofermasse più o meno a lungo.
Voglio concludere queste pagine sperando che quel volto di Emiliano di cui
parlavo all’inizio possa ridelinearsi tra noi in maniera più viva, proprio attraverso
i ricordi di tutti, messi insieme.
Un messaggio essenziale credo resti. Con occhi ed orecchi attenti e disponibili, non

77
testimonianze

è impossibile vedere dove e come una storia continui ad essere e a crescere, in mille
e mille rivoli d’acqua, che, partiti dalla stessa fonte, si difondono e penetrano in
nuovi terreni, rendendoli fertili, molto al di là della nostra immaginazione.
Alcune righe del Patto Associativo di Santa Barbara, in particolare, credo siano
inine una splendida rilessione sul senso dei tanti incontri della nostra vita.
“… E’ la storia della grazia di Dio e delle nostre storie che si intrecciano.
Questo capitolo è diicile da scrivere perché tra le risorse dell’Altissimo c’è di
essere novità continua. I modi e le forme con cui raduna i suoi igli nella Chiesa è
una delle avventure più belle ed imprevedibili in cui si può imbattere un povero
cristiano.
Sappiamo dunque, per fede, che questo capitolo non può esaurire le delicatezze
del Signore verso di noi: “dalla Sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto, e grazia
su grazia”.

ANNA MARIA F.

78
parte seconda

ANNA MARIA BERTINI

Emiliano era l’amico di atletica e di escursioni montanare di mio fratello.


Avevo sentito parlare di lui varie volte, da mio fratello e da mia cognata che
lo chiamava il “gigante buono” e inalmente lo conobbi nel 1985 durante una
piccola spedizione al Corno Piccolo del Gran Sasso, in cui mio padre, mio fratello,
Emiliano ed io ci accampammo ai piedi della montagna per poi scalarla il
mattino seguente.
Emiliano mi era apparso subito molto bello con i suoi occhi blu e profondi che
contrastavano con il nero dei suoi capelli, il suo umorismo garbato e in generale
la sua gentilezza. Emiliano, lo seppi tempo dopo quando stavamo insieme, aveva
apprezzato molto la semplicita’ e l’organizzazione di mio padre che ci aveva
fatto da “cambusiere” durante quel pernottamento. Papa’ aveva attrezzato la
sua macchina come un piccolo furgoncino e cucinato per noi, Emiliano era
rimasto colpito e divertito. Emiliano adorava le cose semplici, lo spirito spartano
e avventuroso che bisognava avere quando si salivano le montagne non troppo
alte ma aride e pur sempre ripide dell’ Appennino. Gran Sasso, Velino e diverse
altre cime appenniniche e poi anche alpine, che io avevo sempre visto dal basso
con la mia famiglia, sarebbero diventate familiari al mio passo e al mio spirito
seguendo Emiliano negli anni a venire. La nostra conoscenza e’ iniziata cosi’ in
quei paesaggi, rimasti di li in poi sfondo ad una storia durata 7 anni. Dai miei
21 ai miei 28 anni e per Emiliano dai suoi 26 ai suoi 33, poco prima della sua
scomparsa. Una storia giovanile, cosi’ la percepisco io adesso. Una storia che
mi sembra molto lontanta, racchiusa in un angolo protetto dentro di me a cui
raramente accedo, sebbene Emiliano ritorni frequentemente nei miei pensieri e
lo senta spesso vicino, li a proteggermi, insieme a mio padre che venne a mancare
circa un anno dopo quel inesettimana al Gran Sasso.
Dopo quei sette anni sono seguiti grandi cambiamenti nella mia vita, prima un
periodo di confusione e transizione e poi il fatto di essermi trasferita all’estero,

79
Testimonianze

e forse anche questo ha contribuito a dare una separazione cosi’ radicale da quei
giorni, ma Emiliano ha rappresentato per me un momento di grandi scoperte. La
scoperta di un amore sereno innanzitutto, in piena armonia. Non ricordo mai di
aver discusso veramente con Emiliano se non nei giorni della nostra separazione.
Ma Emiliano mi ha anche introdotta, con il suo modo garbato mai arrogante e
tanto meno saccente, anche ad anni di rilessioni profonde e spirituali.
Quando Emiliano mori’ cosi improvvisamente e prematuramente alcuni tra i
suoi amici di comunita’ cominciarono a trovare in lui la grandezza di un essere
speciale, quasi ultraterreno.
Il nostro voler parlare di lui oggi dopo venti anni e di condividere cio’ che di
lui ricordiamo e’ quasi un volerlo capire ancora e forse riscoprirlo, un prendere
esempio da cio’ che in lui possiamo trovare e far nostro.
Secondo me Emiliano non era un “santo” ma era una persona dall’umanita’
speciale, diversa. Coerente, forte nelle sue posizioni nonostante questo comportasse
andare contro corrente, Emiliano cercava di essere uno strumento nelle mani
di Dio ma, come tutti noi,  aveva le sue passioni, le sue rabbie. Contro
l’ostentazione, l’arrivismo, la volgarità, l’arroganza. E’ vissuto poco per lasciare
segni eclatanti o compiere passi fondamentali della vita, ma la sua rivoluzione
era in atto e c’era, sebbene  silenziosa. Non era tra quelli che primeggiavano
nelle riunioni, nelle preghiere della messa, nelle decisioni della comunità. A volte
parlava ed era rispettato, altre volte parlava e non era ne’ ascoltato ne’ capito.
Un po’ se ne dispiaceva, ma continuava per la sua strada, nella sua ricerca di
coerenza. Il dialogo alla ine era tra la sua anima e l’Anima Mundi, più che tra se
e una comunità eterogenea. Emiliano aveva la forza di chi trasforma nel piccolo
perchè nel piccolo sa trovare il Grande. Secondo me aveva la forza degli idealisti,
fossero essi religiosi o laici, santi, rivoluzionari o poeti.

La profondità di Emiliano seppur eccezionale non e’ qualcosa di irraggiungibile.


Bisogna solo far silenzio, trovare l’essenza al di la dell’apparenza, la semplicità
gregoriana alle complessita del barocco, la pulizia dell’eremo agli sfarzi delle
chiese romane. Il silenzio al di la del chiacchiericcio. Il desiderio di non
competere costantemente, il seguire ciò in cui si crede non curanti di cosa fanno
quelli intorno a noi. L’abilita’ di sentirsi “pesci fuor d’acqua” se questo signiica
mantenere i propri riferimenti, e non crucciarsene piu’ di tanto. Non e’ facile ma
non e’ impossibile e soprattutto e’ possibile per le persone umane e non solo per

80
parte seconda

i santi. Per le persone che alimentano il divino in se stessi pur ben piantati
nella loro realtà, nelle loro passioni umane, nelle loro reazioni ma allo stesso
tempo sempre pronti a perdonare, a capire, ad accettare e anche a rimettersi in
discussione.

Se c’e’ qualcosa che di lui posso ricordare e’ la sua conidenza con il silenzio.
Tra noi quando stavamo insieme questo silenzio c’era raramente, tra noi c’erano
iumi di parole e di discorsi. Emiliano per me non era il silenzio. Ricordo tra me
ed Emiliano delle conversazioni senza ine, mentre viaggiavamo in macchina,
mentre camminavamo in montagna, fuori casa mia ino alle due di notte. Io
non penso di aver  mai dialogato cosi tanto con un’altra persona. Un mio amico
un giorno mi disse che spesso non sapeva cosa dire alla sua ragazza, ed io lo
guardai perplessa. A me ed Emiliano questo non era mai successo. Ma Emiliano
dava spazio al silenzio in tanti altri momenti della sua vita. Non il silenzio
in quanto vuoto e paura di pronunciarsi, no. Emiliano sapeva sempre in cuor
suo cosa era necessario dire, e quando era necessario lo diceva. In generale pero’
Emiliano si nutriva di rilessioni, di pensieri che dovevano galleggiare un po’
nel vento delle altitudini prima di conformarsi e rientrare in lui come certezze.
Emiliano si aidava a questo silenzio e si lasciava riempire, ispirare. Era così,
attraverso questi momenti in cui poteva arginare il chiasso del mondo, che lui
si immergeva nella forza creativa della fede, nella bellezza del mondo naturale
ed umano, nella grandezza del piccolo. E qui forse era una delle particolarita’
del suo essere, che lo rendeva anche diverso da tutti noi. L’umiltà, il silenzio, la
riservatezza, il desiderio di non apparire, il non arrivismo, spesso ci imbarazzano
e non sappiamo come rapportaci ad essi. Mi domando infatti quanti di noi
abbiano capito la profondità dell’anima di Emiliano, io compresa che oltre al
suo silenzio ho avuto le sue parole, iumi di parole tutte piene di signiicato?  Per
Emiliano invece erano le ambizioni verso cose non essenziali e la voglia di essere
notati che costituivano l’imbarazzo, il rumore. E lui, fondamentalmente, il
rumore lui non lo ha mai capito ne’ abbracciato.

Emiliano non faceva mai gesti eclatanti o chiassosi. Mangiava e non si sporcava
scherzava un giorno Giampiero - un po’ British gli dicevano - e dopo una
giornata all’aria aperta o a sudare in montagna, lui ancora aveva i capelli a
posto. Era riservato, si adattava agli ambienti, non li segnava se non con la sua

81
testimonianze

presenza riservata. Nella sua azione nell’aiutare gli altri cercava l’eicacia con il
singolo, con la piccola realtà. Aiutando le signore anziane del centro di Roma e
facendo servizio con i senza tetto della Stazione Termini. Per lui le due cose erano
equivalenti. Lui non seguiva le “politiche” non aveva il senso di “propagandare”
la fede e l’azione cristiana. Lui voleva agire, laddove c’era bisogno. Visibile a tutti
alla Stazione o chiuso a pulire una casa del centro con una donna inferma. Per
lui era lo stesso e il dare più importanza alla “propaganda” lo infastidiva.
Allo stesso tempo, quasi alla maniera francescana aveva il dono dell’umiltà
e dell’obbedienza. Per questo penso sia rimasto tanti anni nella comunità.
Emiliano trovava Dio nella natura più che nelle cerimonie, anche se amava il
ritmo dei rituali delle messe e riconosceva una guida fortissimo nella spiritualita’
intellettuale di Don Riccardo.

Emiliano era parte della mia famiglia ed io della sua. Era l’amico di mio
fratello, con cui si scambiavano sempre scherzi e battute. Era un secondo fratello
per mia sorella, ed un iglio per mia madre che ha sempre detto: “se fosse stato
mio iglio non sarebbe riuscito cosi’ bene”. Inine Emiliano era il mio compagno,
il mio ragazzo dei miei ventanni. Era sempre sorridente, con battutine e
canzoncine sciocche, sempre pronto a fare una gita fuori porta, nella natura o in
altre cittadine. Era romantico, di un romanticismo bellissimo e leggero, sempre
intriso della sua percezione profonda delle cose terrene, umane e naturali, e
delle cose ultraterrene. Era passionale e innamorato. Tra noi c’era una vitalità
fortissima e con essa una fortissima attrazione. Il suo amore era profondo e pieno
di sfaccettature. Nel nostro rapporto, aveva l’abilita’ di fondere con un’arte e
una dolcezza ininita natura, spirito e amore di uomo per la sua donna. Tra
noi ci sono state forme di comunicazione continue, lettere, poesie, foto, amore
per la natura e le altitudini, scherzi, giochi, piccole sorprese e tanta voglia di
capire insieme. Scambiavamo le nostre parole e le parole di altri, dal Cantico
dei Cantici, a Khalil Gibran, a Neruda, a Nazim Hikmet…. Baden Powell, St
Exupery. Aveva i suoi punti fermi ma non li imponeva mai, ti ci accompagnava
per mano argomentandoli e non giudicandoti mai. Quando si trattava delle
persone che amava, in lui la dolcezza prevaleva, sempre.
Conobbi presto sua mamma, Lina. Una donna eccezionale, una madre tenace
che ha sempre dato tutto per Emiliano e la sua realizzazione. Cosi’ come
Emiliano adorava e rispettava Lina, era profondamente grato del suo continuo

82
parte seconda

sostegno nei suoi studi prolungati e tra i suoi sogni piu’ importanti aveva quello di
ricambiarla anche con i fatti, diventando un professionista, diventando un padre
di famiglia e prendendosi un giorno lui cura di sua mamma.

Ho dovuto accettare l’intensita’ della sua fede per stargli vicino, ma lui me
l’ha somministrata con dolcezza e libertà. Poi mi ha avvicinata alla comunità.
C’erano persone là dentro che lui stimava tantissimo, ed altre che lo lasciavano
pensare, ma ne ha sempre fatto parte, mentre io non mi sono mai coinvolta o
non ho mai sentito il bisogno di appartenere. Era più forte di me, non riuscivo
ad accettare ed obbedire a tutto. Ma per fortuna Emiliano manteneva la
libertà nel suo pensiero e nelle sue visioni. La sua libertà e la mia. Lui amava
e credeva in quella comunità anche se l’avrebbe puriicata di certi “fronzoli”
soprattutto. Amava il canto perchè e’ una vibrazione che trasmette la parola di
Dio e soprattutto connette con Dio. Pensava di non cantare bene, e ci scherzava
“So’ tenore io” (cosi’ come per riafermare le sue abilita’ diceva ironicamente “E
certo, ho fatto il Boy Scout!”), ma continuava a stare nel coro . Ma per il resto,
non capiva perchè in certe cerimonie la gente si presentasse in giacca e cravatta,
o non capiva certe abitudini di appartenenti alla borghesia romana, sempre un
po’ “echanneled”. Lui non ci stava, non comprendeva. Origini diverse certo ma
anche visioni diverse e visto il contesto un po’ di dissonanza, o meglio incoerenza,
forse c’era. Cosi’ come non comprendeva perché un cristiano non potesse in teoria
votare PCI a quei tempi. In ogni caso lui restava presente, manteneva l’impegno,
francescano appunto. Scelta di umiltà anche nel riconoscimento delle autorita
cattoliche, ma a tuttoggi penso che le rispettava seppur non accettandole in tutto e
per tutto.

Ci sono tante cose che potrei scavare ancora dentro di me riguardo al mio
Emiliano, ma la nostra e’ stata soprattutto una storia privata, di coppia, e resta
la’ dove deve restare – nel mio cuore di donna che lo ha amato come uomo e come
compagno di crescita. Un compagno sicuramente speciale, un dono della vita che a
volte mi chiedo ancora perche’ sia capitato proprio a me.

ANNA MARIA B.

83
testimonianze

GIOVANNI PAOLO FONTANA

Emiliano. Il nome è scritto per esteso sull’etichetta bianca, incollata in alto a


destra, sul tuo raccoglitore rosso dei canti. È questa l’eredità che mi è rimasta
di te. Anzi, che ho chiesto espressamente mi fosse lasciata per ricordo. Le note
racchiuse in quegli spartiti sono le stesse che cantavo anch’io, quando eravamo i
tenori del coro di santa Barbara. Eravamo noi due le voci che eseguivano i ricami
più elaborati, le note che, più di altre, si inerpicavano ino alle vette raggiunte
dai soprani. E quasi sempre le nostre due voci si intrecciavano, confondendosi
all’unisono, in un unico respiro.
Lo stesso che mi si ruppe in gola, quando al telefono di casa venni raggiunto
dalla notizia che non c’eri più. La mia inguaribile speranza, in quei pochi giorni
dal tuo incidente, mi aveva portato a credere che non solo saresti presto uscito
dalla rianimazione, ma che ti saresti rimesso così velocemente, da poter cantare
tutti insieme la messa di Natale.
Mi rinchiusi in camera, mi sedetti al pianoforte e, con il buio dentro e fuori,
iniziai a suonare. Di quelle armonie e di quella melodia, non ho mai più
ricordato neanche un passaggio. Avevo manifestato così tutto il mio dolore,
tutta la disperazione. Solo per te. Con quelle note improvvisate, avevo provato a
raggiungerti, ad abbracciarti ancora una volta, prima di lasciarti andar via per
sempre.
Ti accompagnarono nella piazzetta davanti a santa Barbara. Eravamo tutti
smarriti, forti in apparenza, ma sfracellati dentro. E quel tornado, anche se più
volte imbrigliato dalla mente e dalla fede, continua a vorticare dentro i nostri
cuori e, a distanza di anni, a scagliare ancora tegole di dolore.
Sotto il grande quadro della Madonna, che ci aveva sopportato, sorridente,
cantare per anni, là sotto, le nostre preghiere, il tuo coro ti aspettava, come un
picchetto d’onore. Avevamo organizzato l’ordine dei canti, selezionato i salmi,
preparato gli incensi. Ma al tuo ingresso nella nostra amatissima santa Barbara,

84
parte seconda

venimmo soprafatti dalla miriade di sollecitazioni che stavamo vedendo e


vivendo. E nessuno iniziò a cantare. Eravamo pietriicati, con gli occhi che
cercavano di immaginare i tuoi, oltre quel guscio di legno. Finalmente, con piglio
deciso, Riccardo, passandoci vicino, ci disse di eseguire “Lode e gloria a te, o
Cristo”. In quell’istante, la mia mente aveva cancellato ogni memoria e accanto
a quelle parole non si materializzava alcuna nota. “Lode e gloria a te, o Cristo”,
“Lode e gloria a te, o Cristo” continuavo a ripetere, ma non mi sovveniva alcuna
melodia. All’improvviso, di quel titolo suggerito, una sola parola mi martellava
il cervello: gloria. Convinto di far bene, intonai l’unico gloria che ricordavo, il
“Gloria in excelsis Deo” dalla messa degli Angeli. Lo conoscono tutti, l’avevamo
cantato mille volte. Il coro e anche il resto della chiesa mi seguì, in un’unica voce.
Per poche battute però. Fino a quando ci fu detto che era il brano sbagliato,
perché il Gloria, durante una messa funebre, può essere eseguito solo alla presenza
di un santo. Il coro riuscì a sfumare quel canto gregoriano in un’uscita elegante,
interrompendo a metà l’esecuzione. Avevamo chiaramente ubbidito, ma dentro
ciascuno di noi, ne sono convinto ancora oggi, eravamo segretamente felici di aver
commesso quell’errore involontario, il nostro modo più naturale e spontaneo, per
rendere onore al nostro amatissimo indimenticabile Emiliano.

GIOVANNI PAOLO

85
Testimonianze

PAOLO MARIANI

Il mio coinciso ricordo di Emiliano.


Sono passati quasi vent’anni. Di Emiliano ho solo un ricordo visivo: capelli
lisci, occhiali grandi, parole giuste al momento giusto. Ma nulla più. La Vita
ha fatto sì che le nostre vite si siano intersecate materialmente solo per poche
settimane e per lo più la sera tardi, in quel teatro che lega i membri della
comunità di Santa Barbara: la chiesa di Santa Barbara de’ Librari.
Ho ancora in mente le parole che allora descrivevano l’intensa personalità di
Emiliano: in tutti i ricordi, a caldo, dei membri della Comunità la qualità di
Emiliano che emergeva era univocamente la sua profonda Umanità. Intesa come
attenzione all’altro.
Quell’umanità che si manifesta appunto nell’altruismo, nella ricerca dell’altro
da sé, del preoccuparsi del prossimo anche un’istante prima di sé stessi, perché
preoccuparsi prima dell’altro è occuparsi dell’Umanità nel suo complesso. E allora
il mio principale, forse unico, ricordo di Emiliano è quello che mi si è generato
nel corso di tutti questi anni grazie ad alcune parole dell’allora Don Riccardo,
pronunciate durante un’omelia. Parole narrative in quanto traevano spunto
dall’accaduto, ma che nella loro descrittività mi hanno sempre fatto pensare nel
tempo trascorso da allora ad oggi.
Don Riccardo infatti raccontava come Emiliano stesse andando a tentare di
ricomporre una lite tra una coppia sua amica: questo suo gesto mi torna sempre
alla memoria quando vengo a sapere di un incidente stradale. Può sembrare
banale, ma io mi domando sempre cosa stesse facendo la persona coinvolta, quali
fossero le sue motivazioni, le sue tensioni, le sua aspettative di quel giorno. E mi
piace darmi la risposta richiamando alla mente le parole di Don Riccardo: “stava
andando a ricomporre una lite”. Probabilmente è così solo in alcuni casi, me ne
rendo conto bene: ma a me in questi casi tragici viene sempre in mente Emiliano e
il suo esempio di generosità, di altruismo. Che a ben vedere sono le sole cosa che

86
parte seconda

possono far muovere, in senso lato, un essere umano. Un ricordo il mio che dunque
è un richiamo. Richiamo all’altruismo, all’amore disinteressato: l’atteggiamento
cristiano per eccellenza.

PAOLO M.

87
testimonianze

IRIS JONES

Conobbi Emiliano quando cominciai a frequentare la comunità di S.Barbara.


Eravamo entrambi timidi, quindi imparai a conoscerlo nel tempo, vedendoci
la domenica a messa, la sera nelle prove del coro prima di qualche celebrazione
importante, durante i momenti di rilessione comunitaria sul Vangelo, oppure
svolgendo qualche servizio per la nostra chiesa. E piano piano mi accorsi che lui
era un ragazzo profondamente buono, non solo nei gesti o nella generosità, ma
nell’anima. Non l’ho mai sentito dire una cattiveria a qualcuno o criticare gli
altri.
Era anche spiritoso. “Tra alti ci si capisce”, mi diceva con un mezzo sorriso,
sgranando lo sguardo azzurro. Mi faceva ridere: aveva un umorismo ironico ma
gentile, mai graiante. Ricordo che siamo andati diverse volte insieme a Patrizia
a pulire la casa di un signore anziano che frequentava saltuariamente la nostra
chiesa. Questo signore aveva dei problemi di alcolismo, e viveva in uno stato
di abbandono. La sua casa, vicino a Campo dei Fiori, era davvero sporchissima
e maleodorante. Mentre indossavamo grembiuli e guanti di gomma, tra secchi
d’acqua e il lerciume intorno, Emiliano disse che avremmo fatto presto “tanto io
sono iglio d’arte”, avendo imparato la nobile arte di pulire da sua madre, che
lavorava come portiera in un palazzo ai Parioli. Io e Patrizia ridemmo della sua
battuta, che ci aiutò ad afrontare l’impresa con uno spirito più leggero.
Partecipava ad ogni aspetto della vita comunitaria. Amava cantare nel coro e
prendeva parte sempre agli incontri di preghiera e di rilessione sul Vangelo. Non
parlava moltissimo durante le discussioni e nei ritiri, ma ciò che diceva spesso mi
rimaneva impresso, perché esprimeva mitezza e profondità allo stesso tempo. Per
esempio, mi ricordo che durante un incontro serale a S.Barbara si parlava della
confessione. Nacque una discussione piuttosto animata: c’era chi sosteneva che
confessarsi fosse un dovere, un sacramento necessario di riconciliazione con Dio, e
chi invece (forse a causa di qualche esperienza negativa in passato) ne contestava

88
parte seconda

la funzione, afermando di non volersi sottomettere al giudizio di qualcun altro,


sia pure un sacerdote. Ricordo benissimo che Emiliano disse: “Io lo considero
un atto di umiltà”, riportando tutto ad un bisogno di avere un rapporto pulito
e diretto con Dio, e l’umiltà di riconoscere che abbiamo bisogno della Sua
grazia per crescere. All’epoca io non avevo ancora la patente e spesso Emiliano
mi accompagnava a casa di qualche membro della comunità quando c’era un
incontro serale. Adesso mi rendo conto che allungava di parecchio la sua strada
per accompagnarmi, ma non so se a quel tempo io abbia apprezzato veramente
la sua gentilezza! Durante il tragitto parlavamo dei suoi studi universitari:
voleva laurearsi con il massimo dei voti, ma la facoltà che aveva scelto, quella
d’ingegneria, era molto diicile. Aveva anche altri impegni, e a volta esprimeva la
fatica di studiare.
Quando seppi che era rimasto gravemente ferito in un incidente rimasi
scioccata. Trascorsi tutta la settimana in cui giaceva in coma in ospedale a pregare
per lui, a pregare per un miracolo che lo risanasse. Mi rendevo conto di trovarmi
davanti ad un grande mistero, cioè il conine tra la vita e la morte. Scrissi una
poesia su quei lunghi attimi di attesa.
La sua morte mi ha colpito profondamente. Era la prima volta che mi capitava
una cosa del genere: la morte di un mio coetaneo, e per di più una persona buona.
Durante il suo funerale riuscì solo a provare una grandissima tristezza per quella
bella vita spezzata, per le speranze ed i sogni incompiuti. Adesso che sono passati
venti anni mi rendo conto invece che Emiliano ha vissuto una vita piena: è stato
un bravo iglio, un buon amico, un cugino afettuoso. Ha saputo rapportarsi
con rispetto e gentilezza con chi lo circondava. Ha avuto una storia d’amore con
Anna Maria e l’ho visto felice. Ha vissuto la sua fede ed ha fatto del bene a chi lo
circondava. Sono esperienze che non tutti riescono a vivere, anche in una vita ben
più lunga della sua. Emiliano invece le ha raccolte tutte nella sua breve vita.

IRIS

89
testimonianze

EMILIANO

(“must I wait your death?”)

he moments run slowly


slipping down the edge
of time unreclaimable.
How can I wait,
while every second falls
drop upon drop into
an unseen ocean? I hear it
murmuring below these frail walls
cupped around my life. Inside
the light is burning, the warm pulse
is beating , each gesture
rounds out into the circle of life.
Why stops the low,
echanneled, slowly dripping
into the deep, unfathomable
pool of death below?

7 / 11 / 1994 Iris

90
parte seconda

PATRIZIA CALORO

Oggi se qualcuno mi chiedesse chi era Emiliano non mi sofermerei sugli


attributi di bontà, amicizia, aidabilità, sincerità, ecc…No, non lo farei, mi
sembrerebbe di non dire, di non far comprendere la natura speciale di questa
creatura che pur vivendo insieme a noi era già altrove, ma a quel tempo non
sapevo connotare il non luogo di Emiliano.
Di lui oggi mi resta la presenza. Ogni tanto mi sofermo davanti alla foto che ho
posto sugli scafali della libreria, gli sorrido e passo; andando avanti con gli anni,
per grazia e non per meriti, desidero andare in quel non luogo di Emiliano che
fu quello dei contemplativi e che ti permette di essere dovunque, presente a questo
mondo seppur distaccato.
No, non mi sofermerei sugli attributi, sulle tante qualità, me ne basta una che
prevale su tutte, lui aveva amore per ogni creatura e per ogni piccola cosa e il suo
pensiero produceva seme e dal quel seme nascevano i frutti: quando ero accanto a
lui mi sentivo in quiete, quando parlavo con lui mi sentivo compresa, quando lo
guardavo provavo gioia, mi sentivo parte di un tutto.
Se come credo il ine di questa vita è acquisire lo Spirito, Emiliano già su questa
terra ne riletteva un raggio di chiarissima luce. L’eredità preziosa di questo amico
si svela man mano che si dissolvono le nubi sopra la mia testa e posso procedere il
mio cammino verso Oriente.

PATRIZIA

91
testimonianze

PAOLO GASPARI

Emiliano un angelo tra noi.


Sono passati vent’anni eppure sembra ieri, quel primo venerdì di novembre in
aula studenti a ine giornata di studio, un saluto e una pacca sulle spalle con la
promessa di rivederci il lunedì mattina, stessa ora, in ingresso facoltà a S. Pietro
in Vincoli, per proseguire la preparazione all’esame di stato. Certamente, in quel
tardo pomeriggio, era lungi da me l’idea che quella sarebbe stata l’ultima volta
che avrei salutato il mio compianto e grandissimo amico “Emiliano”.
Ogni volta che si parla di lui l’emozione mi avvolge e non posso fare a meno
di pensarlo come un “Angelo” a causa della sua purezza spirituale, onestà, bontà,
coraggio e tutte le altre sue doti che lo elevano ad un livello superiore a noi comuni
mortali. Chi di noi ha avuto il privilegio di conoscerlo e frequentarlo sa di cosa
parlo e anche i racconti e gli aneddoti della sua vita non renderebbero giustizia
alla persona che era.
Per capire meglio chi era Emiliano ripercorrerò indietro nel tempo i momenti
salienti vissuti accanto a lui, inizierò pertanto con il nostro incontro avvenuto
circa un anno e mezzo prima in facoltà. Eravamo là per seguire la sessione
d’esame di “Meccanica Applicata alle Macchine”. Un esame diverso da tanti
altri, più diicile e ostico, che tanti studenti, compresi noi, temevano oltre per
la sua complessità anche per via del titolare di cattedra e dei suoi assistenti che,
applicando all’esame rigore e severità, seminavano il terrore per la leggerezza
con cui bocciavano rendendo quindi incerto l’esito ino all’ultima domanda.
Per me ed Emiliano, si trattava del nostro ultimo esame, quello che ci separava
dall’agognata e desiderata laurea, e per questo sentivamo ancora di più il peso
dell’emozione e la paura di essere bocciati.
La tensione di quel giorno fece sì che ad un certo punto incrociammo i nostri
sguardi spauriti per cercare l’uno nell’altro il conforto di una mezza parola, fu
così che a ine sessione ci avvicinammo iniziando a commentare le domande fatte

92
parte seconda

La tensione di quel giorno fece sì che ad un certo punto incrociammo i nostri


sguardi spauriti per cercare l’uno nell’altro il conforto di una mezza parola, fu
così che a ine sessione ci avvicinammo iniziando a commentare le domande fatte
dai professori ed esternando le nostre preoccupazioni.
Pur conoscendoci di vista per via delle lezioni e sessioni d’esame, non avevamo
mai avuto l’occasione ed il tempo per poter scambiare due parole. Quel giorno
fu diverso, trovammo subito un’intesa straordinaria, che sarebbe stata la base di
partenza per una sincera e grande amicizia destinata a durare per sempre.
Unendo forze e capacità di entrambi, avevamo inalmente trovato il modo di
afrontare quell’ultimo ostacolo, e fu facile accordarsi ed iniziare a studiare
insieme.
Man mano che i giorni passavano l’aiatamento e l’amicizia crescevano,
scoprendo quale meravigliosa persona si celasse dietro quel ragazzo spilungone di
un metro e novanta dal isico asciutto, dallo sguardo penetrante, con quel pizzetto
che gli dava un aspetto un po’ serioso, ma che in realtà nascondeva un carattere
timido e riservato e solo quando sorrideva capivi di che pasta era fatto e che
carattere meraviglioso avesse, sapeva trasmettere tranquillità e pace a chi gli era
accanto.
Durante le brevi pause pranzo o davanti ad un cafè si approittava entrambi
per conidarci delle proprie esperienze di vita, dei progetti futuri ma anche dei
problemi vissuti e di tanto altro.
Fu proprio in occasione di una di queste conversazioni che scoprii il suo lato
più umano e la sua immensa generosità. Ricordo quanto rimasi colpito dalle sue
esperienze come volontario di un gruppo cattolico con il quale prestava opere
caritatevoli, come la distribuzione di pasti caldi ai vagabondi e senza tetto della
stazione Termini. Azioni di grande solidarietà e bontà umana che lo ponevano
sicuramente ad un livello superiore rispetto a tanta gente comune. In Emiliano il
senso della vita e di Dio era innato, era un vero esempio di fede e forza cristiana e
forse non è un caso che ci ha lasciato a 33 anni, come il nostro amato Gesù Cristo.
Ritornando alla mia cronaca arrivò il mese di Dicembre e il giorno dell’esame.
Quel dì Emiliano ebbe la sua rivincita, infatti, riuscì a passarlo con grande
merito e bravura. Nei suoi occhi chiari si poteva leggere la gioia e la soddisfazione
per la ine di un incubo. Per me le cose non andarono altrettanto bene in quanto
decisi proprio all’ultimo di ritirarmi dalla sessione, preso dalla paura di non
sentirmi adeguatamente preparato per afrontare quell’esame.

93
testimonianze

Quel giorno ero sicuramente felicissimo per Emiliano ma dentro di me sentivo il


rimorso per non aver provato e soprattutto mi rendevo conto che da allora in poi
sarei rimasto solo con i miei appunti. Fu in quei momenti che Emiliano seppe
sorprendermi ancora una volta, infatti, a ine sessione si avvicinò e mi disse che
avrebbe comunque continuato a venire in facoltà sia per preparare la sua tesi che
per darmi una mano a ripassare. Ed è così che alla sessione successiva di febbraio
riuscii a superare l’esame. Ancora oggi penso che senza il suo aiuto forse non ce
l’avrei mai fatta. Da quel giorno è forte in me la convinzione che Emiliano fosse
un meraviglioso Angelo mandato da Dio per aiutare i deboli. Per me Emiliano
era diventato oltre che grande amico come un fratello maggiore, un esempio di
vita e un punto di riferimento da imitare.
Da lì a pochi mesi ci saremmo laureati e tutto da quel momento sembrò andare
per il verso giusto, ma come spesso accade nei momenti di maggiore felicità, arriva
sempre l’imprevisto che a volte rende la vita amara e crudele. Per Emiliano fu
così, poco dopo la laurea ebbe un grande dispiacere e cioè la ine del suo rapporto
sentimentale, sul quale puntava tanto per il futuro. Purtroppo il suo grande amore
aveva deciso di porre ine a quella relazione durata anni senza un’apparente
ragione e ciò lo aveva buttato nello sconforto e nel pessimismo nei confronti della
vita.
Fu un periodo diicile ma con pazienza riprendemmo il nostro studio a giugno,
questa volta per preparare l’esame di stato, che ci avrebbe consentito di poter
acquisire l’abilitazione e lavorare in proprio nel caso non fossimo stati fortunati
nel trovare un lavoro presso qualche azienda. In ogni caso, passare l’esame di stato
avrebbe comunque rappresentato per noi la ciliegina sulla torta, alla ine di un
lungo ciclo di studio fatto di tanti sacriici.
In quel periodo di bella stagione, per scaricare la tensione della settimana,
ci vedevamo al sabato mattina per andare a correre insieme nel parco di Villa
Borghese. Emiliano aveva una particolare passione per la corsa, ma soprattutto
amava la montagna verso la quale provava una attrazione irresistibile, che lo
portava a fare anche passeggiate in solitaria.
Fu così che nell’agosto di quella estate decise di partire da solo per la Val d’Aosta
per un’escursione in montagna che da tempo aveva in mente di realizzare.
Ricordo, nei giorni prima della partenza, quella tendina leggera, montata sulla
terrazza condominiale del suo palazzo, che lui stesso aveva disegnato, progettato e
realizzato, facendola poi cucire dalle mani abili della sua adorata mamma

94
parte seconda

Lina. Era una tenda minimale ed essenziale, appositamente realizzata per


bivaccare lassù su quella montagna che voleva scalare da solo. Quella sarebbe
stata la sua ultima avventura, forse dettata più dalla voglia di meditare che da
quella di divertirsi, e mi piace pensare che lassù nel silenzio e nella maestosità del
panorama alpino, lui come Mosè avesse cercato un incontro con Dio per avere
quelle risposte che lui non era stato capace di darsi.
Al ritorno dalle vacanze lo ritrovai rinfrancato e motivato e così, all’inizio
di settembre, iniziammo nuovamente a studiare e preparare curriculum da
presentare alle aziende, con la speranza di ottenere un colloquio e con la speranza
di essere magari assunti entrambi per lavorare insieme.
Sono sicuro che se il destino non avesse deciso di separare così le nostre strade, forse
un giorno avremmo veramente potuto realizzare uno studio tecnico tutto nostro.
Quei giorni tra settembre ed ottobre volarono così in fretta che faccio fatica a
ricordare le cose fatte e dette insieme. Nella mia mente rimane impresso solo quel
primo venerdì di novembre quando ci salutammo con un sorriso, con quella
promessa di rivederci il lunedì mattina. Nel week end lui sarebbe andato a Jesi
suo paese di origine, con sua mamma e sua zia per trovare i parenti.
Da quel viaggio non sarebbe più tornato perché Dio quel giorno decise di
prenderlo con sé e dargli un posto nella sua schiera di Angeli fedeli, donandogli la
vita eterna. Forse la sua missione qui sulla terra era giunta al termine lasciando
nei nostri cuori un grande vuoto ma anche un segno indelebile di amore e
fratellanza.
Anche se oggi non è più qui tra noi, la sua presenza rimane tangibile nei nostri
ricordi e cuori, e ringrazio Dio per avermi dato il privilegio di stargli accanto
come amico e fratello.
Grazie Emiliano per tutto quello che hai fatto ed hai insegnato a tutti noi, tu sei
l’esempio di generosità ed amore divino, sei per tutti noi un Angelo prezioso e non
ti dimenticheremo mai, sapendo che un giorno ci rincontreremo per riprendere
insieme quel cammino là dove lo avevamo interrotto.

Per sempre resterai nei miei ricordi. Il tuo amico e fratello Paolo.

PAOLO

95
Testimonianze

LUCIANA PERSIANI

Ritengo nobile ed apprezzabile lo sforzo che state facendo per mettere insieme
ricordi e momenti vissuti di Emiliano.
Io purtroppo non sono in grado di darvi un contributo signiicativo in quanto
l’ho conosciuto in età adulta, quando veniva in S. Barbara per la celebrazione
della S. Messa e per l’adorazione Eucaristica a cui partecipava con costanza e
raccoglimento.
Ciò che colpiva tutti era la sua mitezza, la bontà d’animo ed una profonda
spiritualità.

LUCIANA

96
parte seconda

VINCENZO BOTTA

Ciao a tutti,
io posso raccontare solo poche righe di vita alla Stazione Termini dove con
Emiliano ho condiviso fredde serate tra gli ultimi ma invece come diceva lui “
questi me li ritrovero’ tutti davanti in cielo “ . Il male ed il dolore si respiravano,
erano tangibili eppure lui sembrava quasi passarci senza essere toccato , mi
lanciava sguardi di reprimenda quando il mio carattere troppo irruento mi
prendeva la mano , tranquillo , forte sicuro, era un angelo, quei gironi non lo
toccavano anche se la sua dolcezza non mancava mai per nessuno.
Lo ricorderò sempre.

VINCENZO

97
testimonianze

ANTONELLA GIANNINI

Ho conosciuto Emiliano nel 1985 quando con Vincenzo siamo entrati a far
parte della comunità di Santa Barbara grazie a Maurizio e Maria Laura.
E’ stata subito una simpatia di quelle immediate, a pelle e reciproca. Emiliano
era una delle persone più ironiche e spontanee che abbia mai conosciuto.
Ma allo stesso tempo quello che mi ha maggiormente colpito di lui era la sua
semplicità e profondità d’animo. In comune avevamo sicuramente principi 
e ideali di vita, ma soprattutto il desiderio di aiutare chi è meno fortunato di noi.
Dopo qualche anno ho avuto modo di conoscerlo meglio grazie al servizio che
svolgevamo insieme il sabato mattina andando a fare le pulizie a casa di due
anziane con problemi di salute e purtroppo anche economici.
Andavamo in autobus e facevamo lunghe chiacchierate. Passavamo tutta la
mattina a cercare di fare al meglio il nostro lavoro e allo stesso tempo cercavamo
di fare compagnia a queste due vecchiette. Emiliano era fantastico! Riusciva
sempre a farle sorridere (e non era certo impresa facile, vista la loro situazione) ed
era un piacere trascorrere quelle ore in sua compagnia. Il momento più divertente
era quello in cui, verso le 11 di mattina, una delle due signore ci ofriva, tutta
soddisfatta, un bicchierino di zabaione al marsala! L’espressione di Emiliano la
prima volta che accadde fu uno spasso! Poi diventò una piacevole abitudine.
Adoravo parlare con lui perché mi rendevo conto di quanto fosse generoso e
pieno di rispetto verso gli altri, muovendosi spesso in punta di piedi per non
disturbare (nonostante la sua vita ino ad allora non fosse stata proprio facile).
Prego per lui ogni giorno perché, anche se per poco tempo, è stata una delle
persone più care della mia vita, e spero che ora che Vincenzo non c’è più, siano
insieme a proteggerci.
Ciao Emiliano

ANTONELLA

98
parte seconda

MONS. IVO SCAPOLO

Sono passati ormai quasi vent’anni da quel gennaio 1996, quando S.E. Mons.
Riccardo Fontana, da poco nominato Arcivescovo di Spoleto e Norcia, mi propose
di accettare l’incarico di Rettore della Chiesa di Santa Barbara de’ Librari e
“Primicerio” della Comunità di Santa Barbara. Fu un momento importante
nella mia vita di sacerdote perché, diventando Rettore di una delle chiese più
belle e suggestive del centro storico di Roma, ho potuto esercitare il mio ministero
presbiterale in un luogo strategico dal punto di vista pastorale e afascinante dal
punto di vista culturale, storico e spirituale.
Stringendo rapporti di amicizia con la Comunità di Santa Barbara, che aveva
contribuito a restaurare e a riaprire la chiesa di Santa Barbara, ho avuto modo di
conoscere – anche se indirettamente – la bella igura di Emiliano Pirani. Ricordo
l’ammirazione e l’afetto con cui i vari membri della Comunità mi parlavano
di lui, della sua fede e del suo entusiasmo, della sua saggezza e delle sue doti di
leader.
Segno eloquente della stima e dell’afetto che la Comunità di Santa Barbara
nutriva verso Emiliano era la Santa Messa che ogni anno si celebrava nella
medesima chiesa . Era una delle occasioni in cui la piccola chiesa dei Librari
era strapiena di tante persone, in gran parte giovani che avevano condiviso con
Emiliano tanti momenti belli ed entusiasmanti. Ricordo che nei primi anni in
cui sono stato Rettore della chiesa di Santa Barbara era ancora vivo e intenso
l’entusiasmo nel fare il bene, sulla scia dell’entusiasmo di Emiliano. Ricordo, per
esempio, che nel marzo del 1996 alcuni membri della Comunità sono partiti
per la ex Jugoslavia con due pullmini pieni di generi alimentari destinati alle
popolazioni bosniache che stavano sofrendo a causa della guerra nei Balcani. La
scomparsa tragica ed improvvisa di Emiliano, avvenuta il 12 novembre 1994
sembrava aver dato un notevole impulso ai membri della Comunità, che si
sentivano come in dovere di custodire e perpetuare le sue virtù umane e spirituali.

99
testimonianze

In occasione della prima Messa che ho celebrato per Emiliano nella chiesa di
Santa Barbara, il 12 novembre 1996 , ho avuto modo di conoscere sua madre,
la Sig.ra Lina Santoni. Nonostante un dolore immenso, essa ebbe il coraggio e
la generosità di venire a quella Santa Messa in sufragio dell’anima del iglio
Emiliano. Ricordo con ammirazione quella presenza, che mi fece pensare alla
pagina del Vangelo di Luca in cui Gesù, a Nain, incrociò il funerale di un
giovane, “iglio unico di madre vedova” (Lc 7,12). Non potevo, come Gesù,
restituirlo vivo a sua madre. Potevo però starle vicino nella misura del possibile,
così come facevano alcuni membri della Comunità che si consideravano custodi
di un patrimonio spirituale che non doveva andar perduto. Ancora adesso, ogni
volta che rientro a Roma per il congedo annuale, ho il piacere di incontrare la
Sig.ra Lina e scambiare tante informazioni e valutazioni della società, mettendo
tutto nelle mani del Signore.
Mi congratulo, perciò, molto per l’iniziativa di pubblicare un libro su Emiliano.
Si tratta di una maniera utile per conoscere e conservare i doni che il Signore
ci ha dato mediante questo giovane che ci ha lasciati precocemente ma che,
come dice la scrittura: “Giunto in breve alla perfezione, ha compiuto una lunga
carriera”. (Sapienza, 4,13). L’iniziativa di dedicare un libro a Emiliano permette
di non perdere il ricordo di quanto il Signore ci ha donato, di farlo conoscere
anche a coloro che, come me, non hanno avuto il privilegio di conoscerlo; consente
di meditare sulla sua vita, contemplando la perfezione di quanto di perfetto il
Signore aveva realizzato in lui, gettando uno sguardo attento sul suo breve ma
intenso pellegrinaggio terreno.

MONS. IVO SCAPOLO

100
parte seconda

VITTORIO IUBATTI

La memoria va a quel giorno tremendo ...ricordo il gelo della sedia nella sala
d’aspetto dell’ospedale. Avevo cenato con lui due sere prima del viaggio... Seduto
su quella sedia, ripassavo mentalmente tutto quello che ci eravamo detti, le risate,
le parole...come se sapessi che erano le ultime parole che avrei ascoltato dalla
sua bocca. E fu cosi. Quelle furono le ultime parole tra noi. Di lì a pochi giorni
Emiliano tornò nella Luce, per sempre. E a me rimasero le sue ultime parole, le
più importanti in quel momento. Ho avuto la fortuna di parlare per ore con lui,
abbiamo sparso milioni di parole, però quelle erano state le ultime. Non le avrei
mai più ascoltate. Quello era il mio tesoro ed ancora cerco di custodirlo nel mio
cuore.

VITTORIO

101
testimonianze

ROBERTO BERTINI

“Era una notte di pioggia a catinelle


andavo in giro senza le bretelle
a un certo punto vidi un cimitero
oh com’era buio oh com’era nero”

Era questa la canzone che con Emiliano cantavamo nei momenti più faticosi
durante le nostre escursioni in montagna. Cantarla ci faceva più leggeri, la fatica
faceva posto alla fantasia e ci sentivamo forti e uniti. Era così che raggiungevamo
le cime delle nostre amate montagne, ogni conquista era l’inizio di un nuovo
progetto, di una nuova sida, di un nuovo sogno.
Ma fu un altro sogno a farci incontrare. Era il 1976 quando entrai a far parte
della Bruno Zauli, una società sportiva che preparava giovani promettenti in tutte
le discipline dell’atletica leggera. Emiliano già ne faceva parte e si allenava per le
distanze dei 400, 800 e 1500 mt. Quando lo vidi correre la prima volta rimasi
colpito dalla sua falcata, sembrava non toccasse terra tanto era leggera e veloce.
Poco tempo dopo iniziammo a correre insieme e a conoscerci. Tra un passo e l’altro
ci raccontavamo le nostre vite, le nostre esperienze e i nostri progetti.
Quello spilungone dai modi educati e dalle nobili idee mi piaceva un sacco e
così poco dopo iniziammo a frequentarci anche fuori dall’ambito sportivo.
Avevo energia da vendere e tanta voglia di mettermi alla prova, così quando mi
propose di andare con lui a fare un’escursione accettai subito. Quella fu la prima
di una lunga serie. Ogni volta la voglia di condividere quelle emozioni cresceva
sempre di più e sempre più si raforzava la nostra amicizia. A volte, soprattutto
nelle escursioni più lunghe, ci piaceva deviare inventando dei percorsi nuovi e
spesso inivamo con perderci dentro i boschi, quando succedeva questo tra noi
calava il silenzio che veniva interrotto soltanto quando uno dei due sbottava a
dire “te l’avevo detto che era d’altra parte” e l’altro puntuale rispondeva “ se l’hai
detto io non ho sentito”. Discussioni innocue che terminavano sempre con una
102
parte seconda

risata.
Una delle immagini più nitide che ho di Emiliano è proprio l’espressione che
aveva quando rideva.
Abbiamo riso tanto insieme, anche nei momenti più diicili la voglia di
regalarci un sorriso non ci lasciava mai. Ci eravamo anche dati dei nomi di
battaglia, lui Giuvà e io Gennarino, due personaggi della nostra immaginazione
un po’ imbranati e tonti.
Non ho più trovato un Amico come lui, se dovessi descriverlo con una parola direi
LEALE.

ROBERTO B.

103
testimonianze

CHIARA LEODORI

Già da quanto è stato detto dovrebbe emergere in modo evidente che non stiamo
scrivendo per Emiliano, né tantomeno per elencare ed esaltare tutte le sue buone
qualità, che pure c’erano. Non è questo un libro per dire quanto fosse bravo
Emiliano, ma per svelare un mistero molto più grande. Attraverso le sue qualità
umane, la sua normalità ed anche le sue debolezze, scoprire come ha agito lo
Spirito Santo, mostrare un terreno fertile che lo Spirito ha potuto fecondare.
Quindi un libro che pur interessandosi delle sue qualità, non si ferma a queste,
ma, partendo dalla sua e nostra condizione umana, ci scaglia come frecce verso
l’eterno.

CHIARA

104
parte seconda

GIORGIO LEODORI

Purtroppo i ricordi che ho di Emiliano sono pochi, per lo più immagini fugaci.
Niente di strutturato, nulla che potrei raccontare.
Eppure la Memoria che ho di Emiliano è ben più ricca di quella meramente
“dichiarativa”, e deve perciò nascere da qualcosa di diverso, di più ampio.
Credo essa si sia formata in me da due esperienze che ho di Emiliano diverse da
quelle che classicamente intendiamo come tali: un’esperienza indiretta, e una
diretta ma “emotiva”.
La prima è quella trasmessami dai miei genitori, dai loro ricordi di Emiliano, e
prende la forma di un racconto positivo, quello di un uomo giusto, intelligente,
mite eppure deciso. Ma è anche una storia triste.
Ricordo perfettamente il racconto del terribile incidente e del fatto che Emiliano
non fosse più su questa terra. Anche se solo un bambino, è nitido il ricordo
dell’enorme dolore che tale inaspettato e violento distacco causava nei miei
genitore, nella Comunità, e nei suoi cari.
Avvertii nelle parole dei miei genitori, nei loro volti e nei loro gesti, che non
avevano perso solo un caro amico ma un punto di riferimento.
Ricordo però che a tale soferenza si aiancò via via nel tempo un nuovo
sentimento che, pur non cancellando il dolore, lo mitigava dandogli un sapore
diverso ed un signiicato nuovo.
Ancora oggi mi è diicile descrivere o dare un nome a questo secondo sentimento.
Una cosa però mi è chiara, esso si ritrova anche nella seconda esperienza che ho
di Emiliano, quella che ho deinito come diretta ma “emotiva” e le da forma, ne è
l’essenza stessa.
Le poche immagini che di Emiliano ho impresse nella memoria sono
costantemente caratterizzate da questo sentire, quasi un’”idea” di Emiliano.
Se anche parlo di “idea”, non la deinirei astratta, ma reale! Quei pochi ricordi
diretti che ho di Emiliano infatti, della sua persona, della sua voce, del suo volto,

105
testimonianze

sono sempre associati a questa sensazione. Una sensazione di pace e serenità.


Siamo abituati a pensare alla Speranza come la iduciosa attesa della gioia futura,
eppure, se non fosse una contraddizione in termini, deinirei i ricordi che ho di
Emiliano come “Memoria della Speranza”.

GIORGIO

106
parte seconda

SANDRO PAOLO LAMBERTINI

Se si sente la spinta di scrivere un libro per ricordarlo non è un caso o perché non
abbiamo altro da fare. Ritengo che non sia soltanto rispondere alla semplicità ed
alla pulizia della sua personalità. Nonostante siamo stati suoi amici, tuttora
non comprendiamo le sue virtù. Cerchiamo di ricomporle in un libro per poter
capire il dono che ci era stato concesso e che non abbiamo saputo apprezzare
appieno. Credo anche sia per il percorso che ha fatto, attraversando per primo la
vita e la morte come una meteora.
Molto ho rilettuto sul tempo in cui era in ospedale, sembrava che da lì
continuasse a vederci in silenzio come era solito fare, senza interferire sulle
capacità di ognuno. Quando ci penso, sembra che se ne sia andato per non aver
trovato un modo migliore per farci rilettere su molte cose, che oggi ancora non
siamo in grado di percepire. Infatti lui non ha subito derive come tanti altri della
comunità in cui credeva. Non si è ossidato nell’attesa di miracoli ad onorem.
Non si è dovuto afannare a comprendere quello per cui oggi tentiamo di scrivere
il suo proilo spirituale, avendolo vissuto spontaneamente. Del resto, per chi
crede è stato eletto nella realtà divina. Chi non crede, dondola nel dubbio della
sua interpretazione, alla ricerca o nell’attesa di conferma. Gli unici nemici
che aveva, erano solo coloro che avevano paura della sua semplicità e per la sua
incomprensibile pulizia d’animo. Come tutti i veri, Emiliano non si può
comprendere se non si comprende se stessi, che è anche la condizione che mette al
riparo dagli altri, per chi esercita il bene. Avendo da sempre compreso la realtà,
non voleva usare maschere, come la quasi totalità della gente, quindi sarebbe
stato diicile per lui vivere in questo enorme into carnevale. La sua amicizia ha
dato tanto, in particolare a me il giorno in cui è uscito da S. Barbara, il giorno
del suo funerale. È stata l’unica volta che ho pianto nella mia vita.
Credo che comunque abbia oferto il modo di sfatare la convinzione di credere
che, chi ci lascia, sia da compiangere, quando è esattamente il contrario.

107
testimonianze

Di fatti la nazione dei convinti non ha conini e include religioni, ilosoie e


politiche comportamentali che per Emiliano rimanevano ben lontani dalle lenti
dei suoi occhiali.
Ai tempi in cui la comunità cercava di decollare e nelle riunioni si cercava
di decifrare la sincerità degli altri, per poter capire come costruire o raggiungere
l’obbiettivo preisso, il suo punto di vista era spesso conclusivo. Erano gli anni
ottanta, dove la piacevole corrente liberista era in netta ascesa. In questo clima
Emiliano era una carismatica opposizione silenziosa che comunicava il suo
modo di essere, senza risentire delle tentazioni contraddittorie di tale corrente,
nonostante fosse molto giovane. Con la sua capacità di ascolto e di sintesi del
dialogo, lasciava grandi spazi, per intuire o comprendere cosa fosse necessario,
tanto che il più delle volte sembrava che la risposta fosse assai scontata. Per la sua
riservatezza, non credo che qualcuno sia stato capace di vederlo nelle sue scelte,
mentre era immerso nella solitudine che gli serviva per efettuarle. Indubbiamente
era in anticipo su vari fattori evolutivi ancora diicili da individuare, anche se al
centro della nostra ammirazione.
Credo che per anni a venire penseremo ad Emiliano per il vuoto prematuro in
cui ci ha lasciati, come l’unico torto che ci ha fatto, mentre lo stesso vuoto è un
dono con cui trovare il giusto dialogo per poterlo riempire, usandolo come vettore
per poterci rincontrare, il giorno che verrà.

SANDRO PAOLO

108
PARTE TERZA

IL SUO MESSAGGIO, LA SUA EREDITÀ


IL RICORDO NON BASTA

Ricordare Emiliano non poteva bastare.


Abbiamo ridisegnato insieme i tratti del suo volto, quasi nella speranza
di vederlo riapparire in mezzo a noi, ma la sua eredità non doveva essere
riportata alla memoria solo per scriverla.
La ricerca di un conforto morale, ancora così necessario dopo venti anni
dalla sua scomparsa, e la volontà di mantenere una promessa fatta il giorno
del suo funerale, ci hanno spronati a compiere i primi passi, al di là di
questo c’è però un richiamo più forte, che crediamo venga dall’alto e
contemporaneamente dalle profondità del cuore.

Scrivere dopo vent’anni dalla scomparsa di un amico ha presentato


ovviamente numerose diicoltà. Tante persone, che camminavano ogni
giorno ianco a ianco, hanno preso inevitabilmente passi diversi. Sono
cambiati i ritmi e le direzioni di marcia, così i sentieri, un tempo quasi
paralleli , si sono via, via, prima impercettibilmente poi marcatamente,
allontanati, come capita spesso lungo le strade della vita. Proprio per questi
motivi, non tutto ciò che sarebbe stato possibile raccogliere appena avvenuto
il distacco, lo è stato dopo così tanti anni dalla morte, ma non abbiamo
voluto scoraggiarci, poiché l’impresa valeva troppo per essere abbandonata.
Siamo convinti infatti sia ancora possibile, in modo simile a quando si
osserva lo stesso cielo pur se da punti della terra diversi, far riconvergere
almeno lo sguardo su chi ha segnato in maniera tanto forte e indelebile le vie
che ha percorso accanto a noi, prima di spiccare il volo più in alto.

112
parte terza

Leggendo e rileggendo le testimonianze raccolte su Emiliano ci sembra


di intravedere un percorso ideale che partendo dalla Parola di Dio passa
attraverso il messaggio francescano ino ad arrivare alla dottrina sociale della
Chiesa.

SEMI E SEGNI
[31] ...«Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina
nel suo campo. [32]Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli
altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi
rami». [33]Un’altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una
donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».(Matteo 13, 31-35)

Se proviamo a leggere questo libro, invece che sfogliandolo come fosse


un album di vecchie fotograie, riscoprendovi le tracce del passaggio di
Emiliano tra noi e ricercandovi un senso nuovo da dare al nostro averlo
conosciuto, riaiorerà allora il messaggio da lui seminato, messaggio che
ancora può continuare a germogliare.

2 Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente,
per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.
(S. Paolo Romani,12, 2)

Cogliere questo segnale può essere un modo nuovo e costruttivo di ricordare


e di riaprirci ad una mentalità sicuramente diversa da quella prevalentemente
corrente. Un’occasione particolare per rimettere in discussione il conformismo
di cui essa è intrisa, quel conformismo forse entrato inevitabilmente anche
nelle pieghe più profonde della nostra vita quotidiana, senza che neppure ce
ne accorgessimo, e non dimenticare che Santa Barbara è per eccellenza santa
dell’anticonformismo.

Partendo dunque da ciò che insieme abbiamo ricostruito, siamo andati a


ricercare le basi di quel modo caratteristico di guardare alla realtà, tipico
di Emiliano, e ne abbiamo tratto spunti interessanti. Spunti che vogliamo
rilanciare in quest’ultima parte del libro, in modo tale che tornino verso
113
il suo messaggio, la sua eredità

ciascuno di noi come un boomerang. Spunti che corrispondono a precisi


valori che appartenevano ad Emiliano come un vero e proprio patrimonio
personale, valori dei quali si era probabilmente nutrito in da bambino,
respirandoli nell’aria stessa di casa sua, anche quando questa cambiò.
Quell’aria che non è proprietà legata a mura od oggetti che possediamo, ma
come un’aura ci circonda e ci portiamo dietro ovunque.

Come prima cosa, tra i tanti suggerimenti che le testimonianze raccolte


ci hanno regalato, abbiamo voluto riprenderne alcuni particolarmente
signiicativi, sintetizzandoli e indirizzandoli come fossero lash, tanto brevi
quanto intensi, su queste ultime pagine, ma soprattutto verso quegli angoli
della nostra vita forse meno visibili o più caotici, per meglio illuminarli.
Uno in particolare fa un po’ da Titolo a tutti gli altri.

STORIE (MAGNIFICHE) DI STRAORDINARIA NORMALITÀ


Emiliano c’era sempre
Essenzialità nella fede: preghiera, canto e opere continue, nascoste, sconosciute ai
più.
L’”Ora et Labora” vissuto nel quotidiano.
Emiliano si preoccupava dei poveri, con discrezione.
Piaceva ai bambini. Amava la natura.
Attenzione silenziosa nei confronti dell’ospite e premura.
“Si adoperò per gli altri, facendo piccole cose con l’attenzione e dignità che di
solito si riserva alle grandi e, suo malgrado, fece grandi cose con la naturalezza e
spontaneità di chi è abituato a farne (tante) piccole”.
Partecipava in silenzio.
Gran senso della misura.
Ascoltava con grande attenzione, pronto a dare una mano fattivamente.
Semplicità evangelica.
Principi solidi.
Profondo cammino spirituale.
Riservatezza.
Essenzialità.

114
parte terza

Allegria e sorrisi, a volte amari e carichi di pensieri gravi, ma sempre sorrisi.


Serio, preparato.
Maturo, pacato e mite.
Aidabile e concreto.
Grande afetto da cui era circondato.
Aura positiva intorno a lui, che contagiava tutti.
Obiettivi alti ed impegnativi, come le montagne che amava scalare.
Dio nelle pieghe della sua quotidianità.
Preghiera si mischiava senza problemi con le opere.
Studio, strumento determinante per portare il proprio contributo, mettere a frutto
i talenti ricevuti ed incidere concretamente nella società, cominciando dalla sua
più piccola cellula, il nucleo familiare.
Consapevolezza di grandi responsabilità, aspetti meno facili e più dolorosi.
dell’esistenza.
Non perdeva tempo.
Nei suoi trentatre anni di vita esperienze più ricche di quanto a volte non capiti
in ottanta.
Non è la quantità signiicativa e neppure l’apparenza, ma piuttosto la qualità e
soprattutto lo spessore di ciò che si vive.
“Desiderio di vivere la Chiesa attraverso la gioia della comunione, attraverso la
speranza, senza contraddizione tra la vita di fede e la vita quotidiana” .
Alimento insostituibile per procedere nel cammino intrapreso, l’Eucaristia, la
celebrazione della Messa domenicale, la condivisione fraterna, la preghiera
quotidiana e l’ascolto regolare della Parola di Dio, rispetto alla quale veriicare
costantemente la propria esperienza di vita.
Annuncio del messaggio evangelico e servizio mettendo a disposizione gli uni degli
altri capacità, esperienza e professionalità.
Fare da ponte.
Vocazione speciica alla mediazione attraverso il dialogo.
Non “conforme alla mentalità dei tempi”.
Passione per la montagna, dura ed afascinante, luogo privilegiato da sempre per
l’incontro con Dio.
Umiltà … humus … terra viva e fertile …frutti abbondanti e succosi. …radici
in un terreno più antico… linfa nutriente…rami colmi di fronde e di iori…
riparo.

115
il suo messaggio, la sua eredità

Persona dall’umanità speciale, diversa. Coerente, forte nelle sue posizioni.


nonostante questo comportasse andare contro corrente.
Strumento della pace di Dio .
Contro l’ostentazione, l’arrivismo, la volgarità .
La sua rivoluzione era in atto e c’era, sebbene  silenziosa.
Forza di chi trasforma nel piccolo perché nel piccolo sa trovare il Grande…. forza
degli idealisti, fossero essi religiosi o laici, santi o rivoluzionari o poeti.
La profondità di Emiliano non e’ qualcosa di irraggiungibile. Bisogna solo far
silenzio, trovare l’essenza al di là dell’apparenza, la semplicità gregoriana alle
complessità del barocco, la pulizia dell’eremo agli sfarzi delle chiese romane. Il
silenzio al di là del chiacchiericcio. il non competere, il seguire ciò in cui si crede
non curanti di cosa fanno quelli intorno a noi. L’abilita’ di sentirsi “pesci fuor
d’acqua” se questo signiica mantenere I propri riferimenti.
Persone che alimentano il divino in se stessi …ben piantati nella loro realtà, nelle
loro passioni umane, nelle loro reazioni eppur pronti a perdonare, a capire, ad
accettare.
Fede… bellezza del mondo… grandezza delle piccole cose dalla sua parte. Il resto
era rumore, solo rumore e non l’ha mai capito ne’ abbracciato.
Dono dell’umiltà e dell’obbedienza … come un francescano.
Andava in alto e cercava il silenzio, il vento, lo spazio aperto.
… Si adattava agli ambienti non li segnava se non con la sua presenza riservata.
Eicacia con il singolo, con la piccola realtà.
Non seguiva le “politiche” non aveva il senso di “propagandare” la fede e l’azione
Cristiana.
Agire, laddove c’era bisogno.
Percezione profonda delle cose terrene e non terrene.
Libertà nel suo pensiero e nelle sue visioni.
Avrebbe tolto tutto, fronzoli soprattutto. Amava il canto …vibrazione che
trasmette la parola di Dio…. connette con Dio.
Umiltà anche nel riconoscimento delle autorità cattoliche. Non le capiva in pieno
ma le rispettava.
Le autorità le rispettava ma non le adorava. Non erano una priorità nel suo
mondo spirituale.
Alla sua intelligenza necessitava la rilessione, l’approfondimento prima di dar
voce ai propri pensieri.

116
parte terza

Abilità di fondere con un’arte e una dolcezza ininita, natura, spirito e amore.
Amava la lettura di Zaccaria: Metterò un cuore nuovo.......
Amava il Cantico dei Cantici.
Amava Francesco d’Assisi.
Profonda Umanità … attenzione all’altro … preoccuparsi del prossimo anche
un istante prima di sé stessi, perché preoccuparsi prima dell’altro è occuparsi
dell’Umanità nel suo complesso.
Amore disinteressato: l’atteggiamento cristiano per eccellenza.
Aveva un umorismo ironico ma gentile, mai graiante.
Partecipava ad ogni aspetto della vita comunitaria.
Non parlava moltissimo …ma ciò che diceva … esprimeva mitezza e profondità
allo stesso tempo.
La confessione … disse: “Io lo considero un atto di umiltà”, umiltà di riconoscere
che abbiamo bisogno della Sua grazia per crescere.
Emiliano ha vissuto una vita piena.
… In quel non luogo di Emiliano che fu quello dei contemplativi e che ti
permette di essere dovunque, presente a questo mondo seppur distaccato.
Lui aveva amore per ogni creatura e per ogni piccola cosa e il suo pensiero
produceva seme e dal quel seme nascevano i frutti.
Quiete.
Mi sentivo compresa.
Provavo gioia, mi sentivo parte di un tutto.
lo Spirito, Emiliano già su questa terra ne riletteva un raggio di chiarissima luce.

117
il suo messaggio, la sua eredità

Da questi lash, raccolti attraverso le testimonianze, abbiamo voluto ancora


estrarre come un succo denso, gustoso e nutriente una serie di Parole che
hanno la caratteristica saliente di essere state vissute.

PAROLE VISSUTE
Essenzialità
Poveri
Natura
Pace
Premura
Attenzione
Dignità
Naturalezza
Spontaneità
Silenzio
Senso della misura
Ascolto
Semplicità evangelica
Principi solidi
Cammino spirituale
Riservatezza
Allegria
Sorriso
Serietà
Preparazione
Maturità
Pacatezza
Mitezza
Aidabilità
Concretezza
Aura positiva contagiosa
Obiettivi alti ed impegnativi
Montagna
Incontro con Dio
118
parte terza

Incontro con Dio


Preghiera e Opere
Studio
Contributo alla società
Talenti
Consapevolezza
Responsabilità
Qualità
Spessore
Gioia
Comunione
Speranza
Fede
Eucaristia
Messa domenicale
Condivisione fraterna
Preghiera quotidiana
Ascolto
Parola di Dio
Veriica
Annuncio
Servizio
Capacità
Esperienza
Professionalità
Fare da ponte
Vocazione
Mediazione
Dialogo
Coerenza
Contro corrente
Umiltà
Terra fertile e viva
Radici
Nutrimento

119
il suo messaggio, la sua eredità

Crescita
Frutti
Fortezza
Strumento
Passione
Delicatezza
Disinteresse
Rivoluzione silenziosa
Ideali
Profondità
Essenza
Semplicità gregoriana
Pulizia dell’eremo
Anticonformismo
Realismo
Perdono
Comprensione
Accettazione
Bellezza
Obbedienza
Spiritualità francescana
Poesia
Ricerca
Profondità
Eicacia
Libertà pensiero
Canto
Confessione
Amore
Natura
Cuore
Umanità
Attenzione
Altruismo
Vita
Lealtà
120
parte terza

In sintesi tutto ciò è racchiuso nel famoso evangelico “Discorso della


montagna”, ovvero nelle Beatitudini, la cui lettura non a caso fu proclamata
il giorno del funerale di Emiliano, come già abbiamo sottolineato all’inizio di
questo libro.

Dal Vangelo secondo Matteo (5, 1 - 12)

Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si
mise a parlare e insegnava loro dicendo:

“Beati i poveri in spirito,


perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati igli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro
di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così
infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi.

Di recente proprio Papa Francesco ha commentato questo brano:


“… Beatitudini … soltanto si capiscono se uno ha il cuore aperto, si capiscono dalla consolazione
dello Spirito Santo … non si possono capire con l’intelligenza umana soltanto … sono i nuovi
comandamenti. Ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze.
“Ma, guarda, essere poveri, essere miti, essere misericordiosi non sembra una cosa che ci porti al
successo”. Se non abbiamo il cuore aperto e se non abbiamo gustato quella consolazione dello Spirito
Santo, che è la salvezza, non si capisce questo. Questa è la legge per quelli che sono stati salvati e
hanno aperto il loro cuore alla salvezza. Questa è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito
Santo. Non è una precettistica, un elenco di cosa da fare e da eseguire, ma è una conversione. Una
persona «può regolare la sua vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o procedimenti», ma

121
il suo messaggio, la sua eredità

tutto questo «alla ine non ci porta alla salvezza». Basti pensare a coloro che erano intenti solo
a «esaminare» la «dottrina nuova di Cristo e poi litigare con Gesù». Queste persone avevano «il
cuore chiuso alla salvezza». Perché? Perché noi «abbiamo paura della salvezza. Abbiamo bisogno,
ma abbiamo paura»; una paura che deriva dal nostro timore ad abbandonarci totalmente a Lui:
«Per salvarci dobbiamo dare tutto. E comanda Lui! E di questo abbiamo paura», perché «vogliamo
comandare noi».”

“GUARDATE GLI UCCELLI DEL CIELO...”


“25 Perciò vi dico: per la vostra vita non afannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche
per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del
vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27 E chi di voi, per quanto
si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? 28 E perché vi afannate per il vestito?
Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non ilano. 29 Eppure io vi dico che
neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30 Ora se Dio veste così l’erba
del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca
fede? 31 Non afannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa
indosseremo? 32 Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne
avete bisogno. 33 Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date
in aggiunta. (Matteo 6,25-33)

Ciò che emerge sicuramente con maggiore insistenza, dalle varie


testimonianze raccolte, è lo spirito profondamente e spontaneamente
francescano di Emiliano. Spirito francescano nella sua essenza originaria.
Uno spirito aperto, concreto, profondamente umano, poiché al cuore della
spiritualità francescana c’è innanzitutto Cristo incarnato nella nostra umanità,
Dio che è entrato nella Storia e che ci costringe ad interessarci della Storia.
Quello spirito che condusse Francesco non tanto a imitare Gesù quanto a
seguire le sue orme con umiltà e perfetta letizia, riconoscendolo nel volto di
ogni essere umano, e andando al cuore della vita e dell’essere cristiani. Una
sequela tutta racchiusa appunto nella persona di Cristo. Una sequela che
aderisce e osserva in maniera spiritualmente letterale il Vangelo, senza mai
separare mondo materiale e mondo spirituale. Ritroviamo in questa logica
anche la passione di Emiliano per la natura ed il rapporto che aveva con essa.
S. Francesco nutriva infatti rispetto profondo e persino sottomissione verso
tutto il Creato, creature animate ed inanimate, fra loro sorelle e fratelli, in
quanto tutti e tutte igli dell’unico Dio. Francesco era profondamente

122
parte terza

convinto dell’unità dell’intero cosmo nel senso in cui lo stesso S. Paolo ne


parla a proposito sia del corpo di Cristo formato da tutta la comunità dei
Cristiani, sia dell’intera creazione che geme e sofre nelle doglie del parto
in attesa che avvenga la redenzione dei igli di Dio. E oggi sappiamo che ciò
è vero anche a livello scientiico. I danni provocati in una parte del mondo
portano conseguenze ovunque. L’obbedienza stessa è, in questo senso,
sottomissione dell’uomo alla natura creata da Dio.
“Obbedendo alle creature, si obbedisce al Creatore da cui esse provengono e che
permette a ciascuna di essere, agire ed esprimere le proprie necessità.”

IN CAMMINO
Salmo 121
“1 Canto delle ascensioni.
Alzo gli occhi verso i monti:
da dove mi verrà l’aiuto?
2 Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
3 Non lascerà vacillare il tuo piede,
non si addormenterà il tuo custode.
4 Non si addormenterà, non prenderà sonno,
il custode d’Israele.
5 Il Signore è il tuo custode,
il Signore è come ombra che ti copre,
e sta alla tua destra.
6 Di giorno non ti colpirà il sole,
né la luna di notte.
7 Il Signore ti proteggerà da ogni male,
egli proteggerà la tua vita.
8 Il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri,
da ora e per sempre.”

123
il suo messaggio, la sua eredità

È avvenuto in un attimo … guardando le foto di Emiliano, quasi tutte


scattate in montagna, forse unico luogo nel quale si sentiva veramente a
suo agio … ed e’ aiorato alla mente spontaneo il salmo 121… anche come
titolo del libro. Solo successivamente ci siamo documentati ed abbiamo
scoperto che esso è il secondo dei così detti cantici delle Ascensioni, i salmi
dal 120 al 134, denominati anche salmi graduali e, ben deiniti, la preghiera
per il pellegrinaggio, quello che gli Israeliti compivano verso la Città Santa,
Gerusalemme, una scalata spirituale oltre che isica, interiore oltre che
esteriore, un cammino di progressiva elevazione ma anche di immersione
verso le profondità del cuore. Come non cogliere, a quel punto, i numerosi
collegamenti con la vita di Emiliano che tutto l’insieme dei quattordici salmi
ci stava ofrendo, ancora una volta, come un dono a sorpresa?

Tra le varie passioni di Emiliano emerge sicuramente quella per la


montagna e per il camminare come una nota di fondo, il camminare, in
particolare in salita, non solo per la sua valenza isica, o in quanto attività del
corpo, ma per le numerose implicazioni esistenziali, psicologiche e spirituali.
E ciò ci parla ancora più profondamente del suo rapporto con la natura.
Un passo dietro l’altro infatti si può cogliere il profondo nesso tra il
cammino interiore e quello esteriore, tra il procedere nello spazio e nel
tempo ed il maturare come persona. È camminando del resto che si aprono
spesso nuovi percorsi di crescita, si sbloccano problemi, si sciolgono nodi
e si innescano nuove energie. Le caratteristiche di ogni tipo di percorso,
i paesaggi che si attraversano, gli orizzonti che si aprono, le diicoltà e gli
ostacoli che si incontrano, i bivi e le inevitabili scelte, ricalcano ciò che
avviene anche nei sentieri dell’anima, dove cuore e mente uniti percorrono i
tracciati della vita. Tutto è in movimento, tutto accade lungo un cammino.
Tutto deve essere attraversato per poter essere conosciuto e divenire a sua
volta fonte di nuova conoscenza ed esperienza.
Se dal camminare poi allunghiamo … il passo, ci spostiamo al viaggiare e
scopriamo come il viaggio sia la migliore metafora della vita umana. Non
parliamo di un viaggiare inconsapevole, quasi fosse una fuga, un saltare da
un luogo ad un altro senza cogliere il senso di ciò che si attraversa, uno svago
qualunque, un semplice andare in vacanza, ma di viaggio nel senso più vero
della parola. Intendiamo un viaggiare che sia anche conoscere, imparare,

124
parte terza

assimilare il nuovo, proiettarsi in una dimensione sempre più ampia, che ci


rende anche consapevoli dei nostri limiti. Il viaggio in quanto evoluzione,
perdita di qualcosa, presupposto per l’acquisizione di nuove conoscenze e
scoperte. Infatti in ogni viaggio esiste una meta più o meno evidente, così
come in ogni vita. E già nel viaggio spaziale si inserisce il percorso spirituale,
nella profondità dell’essere. E questa dimensione Emiliano la conosceva
benissimo.
È così che dal viaggio si passa al pellegrinaggio. E il pellegrinaggio, in
quanto deinito la strada fra la terra e il cielo, è esso stesso metafora del
cammino della vita, inteso come cammino spirituale, che è insieme cammino
verso Dio, cammino verso l’altro, cammino alla ricerca del proprio sé più
autentico.
La vita è intesa in questo senso come cammino continuo. L’arricchimento
dunque non avviene solo grazie alla meta inale, ma grazie al vero e proprio
pellegrinaggio, che è il “camminare” in sé stesso. Attraverso poi le esperienze
e le scoperte dell’individuo simile a noi, che ci viaggia accanto, possiamo
scoprire volti della realtà che non vedevamo da soli e a nostra volta mostrarli
ad altri. Il cammino in questo senso diviene un progredire insieme. Colui
che viaggia ha bisogno, in questa prospettiva, dell’altro, e la comunità
diviene fondamentale perché il viaggio, nello scambio e nel confronto, sia di
arricchimento ed anche fonte di gioia, oltre che di progressiva conoscenza di
sé. Esperienza fatta da Emiliano in vari ambiti e a più riprese.

Di fatto, proprio afrontando la vita come un cammino, come un viaggio,


e non come un vagabondare o un conformarsi alle mode del momento, era
arrivato ad incontrare e riconoscere Dio, lungo la strada, come compagno
fedele ed irrinunciabile.

Tutto questo ci è sembrato spiegato così bene in alcune pagine di


meditazione trovate nel web, da volerle richiamare direttamente.

Vale davvero la pena condividerne alcuni passaggi per l’interesse che


acquistano in relazione ad Emiliano.

In particolare, ol cammino che accompagna tali salmi assume in esse le

125
il suo messaggio, la sua eredità

caratteristiche di un itinerario verso la libertà.

“ …..un “Esodo” voluto e guidato da Dio, come quello che vissero gli Ebrei, quando uscirono dalla
schiavitù dell’Egitto, per entrare, dopo quarant’anni, come Popolo libero, nella Terra loro promessa
dal Dio dell’alleanza. 

… ecco le tappe principali dell’itinerario:


Sal 120, punto di partenza: il salmista vive «come straniero» e «schiavo di una lingua
ingannatrice». 
Sal 133, punto d’arrivo: «Fratelli che vivono insieme», ai quali il Signore concede «vita e
benedizione».
Sal 134, il dopo: la capacità di «benedire il Signore» anche «durante le “notti”».

I cantici delle ascensioni sono brevi ma intense composizioni poetiche, spesso in forma dialogata.
L’intervento a più voci (pellegrini, leviti, sacerdoti), esprime meglio la gioia e la fatica di un
cammino personale e comunitario, che è metafora della vita. 

(…S. AGOSTINO:) «Questi cantici insegnano … a salire col cuore, con sentimenti buoni, nella
fede, speranza e carità, nel desiderio dell’eternità e della vita che non avrà ine. … È la voce di
chi sale e canta: canta il suo amore iliale per la Gerusalemme celeste. Verso questa sospiriamo,
mentre continuiamo a salire; in lei ci allieteremo, al termine del nostro cammino!… Non contare
sui tuoi piedi per salire e non temere che siano i tuoi piedi a farti allontanare: se ami Dio, sali;
se ami il secolo presente, cadi. Quindi questi salmi graduali sono dei cantici d’amore e sono animati
da un santo desiderio».”

“… Allo sguardo dei pellegrini si proila ormai nitida la sagoma dei monti e dei colli che sovrastano
Gerusalemme. II salmista può inalmente contemplare con i suoi occhi il monte di Dio, quel monte
Sion tante volte ripensato e cantato nelle interminabili veglie dell’esilio. Questa volta il cantico non
è più un lamento o una supplica, ma un inno traboccante di iducia. Questo Dio nascosto. tante
volte discusso e messo in forse. che sembrava dormisse o quanto meno sonnecchiasse nell’ora della
prova, eccolo, è là, sul monte santo in cui ha posto la sua dimora. La sua presenza, a quella vista,
si è fatta cosi imperiosa al cuore del salmista, da sprizzar fuori come certezza da ogni riga. Da
dove mai potrà venire l’aiuto, se non dal Signore? No, non si addormenta il Signore, e nemmeno
sonnecchia. Egli è “il custode d’Israele”, anzi “è il suo custode” e come l’ombra che ti copre, “sta alla
tua destra....”. …. sviluppo sereno e iducioso di questa meravigliosa certezza.”

126
parte terza

“…..un caso unico in tutto il Salterio, poiché recano tutti la stessa intestazione,
che li raggruppa in una sezione unitaria ….
Quindi salmi delle salite o delle ascensioni perché il testo stesso è caratterizzato da
questo movimento progressivo.
…..canti che accompagnavano i pellegrini nella loro ascensione al tempio in
occasione delle grandi feste di pellegrinaggio, la Pasqua, la Pentecoste e la Festa
delle Capanne.
… canti di pellegrinaggio e quindi canti ascensionali, perché a Gerusalemme si
sale sempre, sia dal punto di vista geograico, sia dal punto di vista spirituale: si
sale verso gli 800 metri sul livello del mare, ma si sale anche spiritualmente verso
il tempio, verso il luogo dell’incontro con Dio.
… un cammino di ricerca di Dio,
… le sue condizioni, i passi da compiere, gli atteggiamenti interiori da vivere, il
bagaglio da prendere con sé.

… la nostra stessa vita … un pellegrinaggio, un itinerario di ricerca perché,


come aferma nel Nuovo Testamento la lettera agli Ebrei, non abbiamo qui una
città stabile, ma cerchiamo quella futura (Eb 13,13).
…nell’atteggiamento dei padri del popolo dell’Alleanza, di cui parla sempre
la lettera agli Ebrei al capitolo 11, i quali dichiararono di «essere stranieri e
pellegrini sopra la terra. […] Per questo Dio non disdegna di chiamarsi
loro Dio: ha preparato infatti per loro una città» (cfr Eb 11,12-15).
…esperienza stessa di Abramo, il quale «per fede soggiornò nella terra
promessa come in una regione straniera […], aspettava infatti la città
dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso»
(Eb 11,9-10).
… Camminare verso Gerusalemme signiica tendere verso una città non costruita
da mani di uomo, ma da Dio stesso. Lui ne è l’architetto, lui prepara per noi
questa città dalle salde fondamenta
… Salmo 127, «se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i
costruttori. Se il Signore con custodisce la città, invano veglia il custode».”
“Il Salmo 121 ci conduce dentro l’esperienza del cammino. Se la terra di esilio era
contrassegnata dall’inimicizia e dall’estraneità da parte di persone che «detestano
la pace», anche il cammino, com’è facilmente immaginabile, non è privo di
diicoltà e di pericoli. In questa situazione lo sguardo del pellegrino torna ad

127
il suo messaggio, la sua eredità

alzarsi in alto, in cerca di aiuto.


Alzo gli occhi verso i monti,
da dove mi verrà l’aiuto?
… L’aiuto si cerca in alto, perché siamo consapevoli che né le nostre risorse
personali, né quelle che possono salire dal basso, dalla terra e dalla storia degli
uomini, bastano a proteggerci e a riscattarci da ogni male. Da dove mi può venire
l’aiuto? Dall’alto, non dal basso. Non posso costruirlo dal basso conidando in me
stesso. Nello stesso tempo questo alzare gli occhi verso i monti può costituire una
tentazione per la fede.
Nella Bibbia i monti, o le alture, sono i luoghi del culto idolatrico, in cui si
adorano gli dei stranieri anziché l’unico vero Dio. Allora la domanda del salmista
assume una sfumatura diversa: da dove davvero mi può venire l’aiuto? Dagli idoli
muti e morti, che hanno occhi e non vedono, hanno occhi e non parlano, o dal
Dio vivente, che non prende sonno e sempre ci custodisce vegliando su di noi? La
risposta a questa domanda la da il salmista stesso, al v. 2:
Il mio aiuto viene dal Signore,
che ha fatto cielo e terra.
Non genericamente dall’alto, dunque, ma da lui, in modo personale, dentro
l’autenticità di una relazione tra me lui, che è il Signore del cielo e della terra.
… Se egli mi ha tratto dal nulla per rendermi un vivente, nella fedeltà del suo
amore continuerà a custodire la mia vita perché non ripiombi nel nulla.
… Il linguaggio si fa più intimo e personale: è il linguaggio di una relazione e di
un’appartenenza. Colui che prega non cerca soltanto un aiuto, ma una relazione:
… la certezza di una relazione.
… Dio siede nell’alto dei cieli ma si china sulla terra, in particolare per vegliare
sui suoi piccoli, su coloro che siedono nell’indigenza della polvere.
… Dio stesso scende, addirittura si curva dall’alto dei cieli sulla terra per
custodire la piccolezza della sua vita.
Il Signore … scende dal suo monte santo per fargli compagno nel suo cammino
Difatti, dopo aver alzato gli occhi in alto verso i monti, l’orante scopre con stupore
che il Signore sta alla sua destra, come prega il v. 5: «Il Signore è il tuo custode.
Il Signore è come ombra che ti copre e sta alla tua destra». La nostra ombra
non si separa mai da noi, allo stesso modo il Signore rimane fedelmente vicino,
potremmo dire incollato alla nostra esistenza, così come l’ombra è incollata alla
persona.

128
parte terza

... All’inizio si parla di aiuto. In modo ancora generico, indeterminato. Subito


dopo il discorso diviene personalissimo: «il mio aiuto viene dal Signore».
L’aiuto per me, quello di cui ho bisogno, perché il Signore è così vicino alla mia
vita, sta davvero alla mia destra, al punto da conoscere la mia necessità più
di quanto non la conosca io stesso. … come ricorda san Paolo nella lettera ai
Romani, noi spesso non sappiamo neppure cosa sia conveniente domandare, ma lo
Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili (cfr Rom 8,
26).
… ma in cosa consiste questo aiuto? Appunto, non consiste in altro se non nella
prossimità stessa del Signore. Soprattutto sulla sua custodia. Il vero aiuto da
invocare e da riconoscere nella propria vita è questo e non altro: la prossimità del
Signore, la sua custodia, il suo vegliare su di me e su di noi.
… questa esperienza di Dio così personale e intima non si chiude su di sé, ma si
apre alla comunità all’esperienza di un popolo intero. Infatti aferma il v. 4
Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele.
«Colui che è custode di un singolo è custode di un popolo. Il pellegrino
riscopre l’appartenenza a un popolo,alla sua storia»
… quanto più diviene personale, intimo e segreto, il mio rapporto con Dio, tanto
più esso mi consegna a un popolo, a una comunità, alla chiesa.
… Un secondo tratto: questa custodia di Dio abbraccia tutta la vita dell’uomo.
Innanzitutto tutta la sua corporeità. A questo riguardo è interessante osservare
che ognuna delle quattro strofe del salmo inizia nominando un membro del corpo
umano, anche se, ancora una volta, la traduzione italiana ci inganna un poco.
Infatti, nella prima strofa abbiamo gli occhi, nella seconda il piede; nella terza c’è
la mano (traduciamo sta alla “tua destra” ma in ebraico si dice più precisamente
sta
dalla parte della tua mano destra); inine nella quarta strofa, laddove leggiamo
“il Signore proteggerà la tua vita” il testo ebraico dice: proteggerà la tua
nefesh, cioè la tua gola, o il tuo collo, che nella mentalità biblica è la sede del
respiro e dunque della vita. Davvero la custodia di Dio abbraccia tutta la vita
dell’uomo, dal suo occhio al suo piede, dalla sua mano al suo respiro.
Custodisce anche tutto ciò che l’uomo fa: Il Signore, recita l’ultimo versetto, ti
custodisce quando esci e quando entri. Ancora due poli opposti – entrare/uscire –
per narrare ogni azione dell’uomo.
Uscire ed entrare signiicano qualsiasi cosa l’uomo faccia.

129
il suo messaggio, la sua eredità

Ma suggeriscono anche che qualsiasi cosa l’uomo faccia e un continuo entrare e


uscire, sempre le stesse cose. Ma proprio in questa monotonia Dio e presente. La
sua presenza rende nuovo il quotidiano.
Ancora, insistendo, il Signore custodisce tutto il tempo dell’uomo: «da ora e
per sempre», come dice l’ultimo versetto, di giorno e di notte, come suggerisce
il v. 6. Tutto il passato, tutto il presente, tutto il futuro sono nelle mani di Dio.
L’immagine stessa dell’entrare e dell’uscire allude a tutta la parabola della vita
dell’uomo, ricordando che Dio veglia su di noi dal nostro uscire nella vita, al
momento della nascita, al nostro entrare nella morte e nel riposo eterno.
Non c’è istante dell’esistenza che non sia abbracciato da questa sollecitudine di
Dio. Proprio per questo motivo egli ci proteggerà da ogni male, come ricorda il v.
7.
… non si addormenta, non prende sonno il custode di Israele. Non è come gli
idoli muti che al contrario dormono, nel loro avere occhi e non vedere, nel loro
avere bocca e non parlare, nel loro avere orecchi e non udire. “

130
parte terza

IL BENE COMUNE
[42]Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione
del pane e nelle preghiere. [43]Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera
degli apostoli. [44]Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in
comune; [45]chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di
ciascuno. (Atti Apostoli cap. 2, 42-45)

Lo stesso modo di vivere l’impegno sociale da parte di Emiliano lo


ritroviamo in pieno nella visione francescana, profondamente evangelica,
del lavoro, della proprietà, dell’uso dei beni e dei legami di solidarietà e
reciprocità.
Il lavoro in questo caso non è soltanto quello retribuito bensì qualunque
tipo di attività che richieda impegno, senso di responsabilità, fatica e che
produca frutti. Quel lavoro che è grazia per chi lo compie e per coloro che
ne traggono beneicio e ne ricevono l’esempio. E riconoscere come lavoro
ogni operare, anche senza un ritorno economico, è un fatto fortemente
rivoluzionario, poiché ridà valore a numerose dimensioni di servizio
emarginate, delle quali torna ad esaltare soprattutto l’aspetto relazionale.
Nella spiritualità francescana infatti lavoro e povertà sono strettamente
legati, in un senso speciale.
Per San Francesco l’essere povero signiica vivere senza nulla che ci
appartenga personalmente, senza possedere. Questo non per un sacriicio
sterile, ma in un ottica di feconda restituzione di ciò che egli ritiene abbiamo
ricevuto gratuitamente. Francesco in sostanza non vuole appropriarsi di
quei beni che sono del Signore, per questo sente l’esigenza e il dovere di
rimetterli a disposizione dei fratelli. E le motivazioni sono appunto le stesse
che danno senso al lavoro. Ogni bene viene da Dio, che ne è unico legittimo
proprietario. Appropriarsi di ciò che non è nostro diventa allora un vero e
proprio furto. Mentre riconoscere che tutto è di Dio fa scaturire in noi la
riconoscenza e l’umiltà.
Da queste considerazioni scaturisce che presumere di essere autosuicienti
è uno dei peggiori errori che si possano commettere. Esistono certamente
qualità nostre, i famosi talenti della parabola evangelica, ed essi debbono

131
il suo messaggio, la sua eredità

essere scoperti e messi a frutto, ma fuori da ogni logica di presunzione. La


preghiera allora è parte integrante del lavoro, specie quella di lode per ciò che
abbiamo ricevuto.
Una rilessione di san Giovanni Crisostomo è particolarmente signiicativa
a questo proposito: “ il mantello che tu tieni inutilizzato nel tuo armadio è
del povero che dorme nudo in piazza. Non è tuo”. Di conseguenza tutte le
ricchezze del creato non devono essere possedute, ma soltanto usate e fatte
circolare. Il fulcro di questa visione separa dunque l’“uso” dalla “proprietà”.
Il denaro va fatto girare quindi senza accumularlo, considerandolo
semplicemente un’unità di misura.
All’opposto, il grande rischio che si corre in un ottica di consumismo è
quello di precipitare nella depressione generata dall’isolamento e dalla non
condivisione.
I piaceri supericiali infatti non soddisfano il cuore umano assetato di ben
altro. Essi non donano mai la gioia vera, dimensione nella quale si comunica
vita in tutta le sua pienezza.
Il tema del lavoro richiama molti altri valori che erano parte integrante
della vita di Emiliano e che approittiamo per rilanciare come proposta di
revisione di vita per noi. Parliamo di principi a fondamento della stessa
dottrina sociale della Chiesa, in questo caso incarnata nella storia semplice e
breve di un amico. Cercheremo per questo di addentrarci tra le righe dell’una
e dell’altra alla ricerca di un modo possibile anche per noi di leggerle.

132
parte terza

IL VERO TESORO
19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e
rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri
non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
(Matteo 6,19-21)

Nella sua storia personale infatti Emiliano ha attraversato come ogni


essere umano la grande Storia, consapevole del fatto che entrambe possono
essere trasformate con Cristo, procedendo verso il loro compimento nella
Gerusalemme celeste.
Un’ottica, questa, nella quale tutti siamo responsabili di tutti.
Cristo infatti non redime soltanto ciascuno di noi personalmente, ma anche
le relazioni tra gli uomini.
Il lavoro non è da intendersi allora unicamente in senso materiale, ma
anche in quanto attività che esprime la persona. Così lo sviluppo non deriva
da un accumulo di beni ma da un progressivo ampliarsi dell’essere nella sua
pienezza.
Il bene comune è quindi indivisibile e il bene altrui è strettamente connesso
al proprio, per questo è possibile realizzarlo esclusivamente insieme e tenendo
conto del futuro delle generazioni che verranno.
La dottrina sociale della Chiesa è molto esplicita in questo senso. Alla base
del diritto universale all’uso dei beni c’è un principio più grande, quello della
destinazione universale dei beni della terra. Ogni uomo infatti deve poter
godere di quel benessere, fatto di prosperità e salute del corpo e dello spirito,
indispensabile al suo pieno sviluppo. Si tratta di un diritto naturale al quale
sono sottomessi tutti gli altri, tra i quali anche quelli della proprietà e del
commercio. Ciò che l’uomo possiede dunque non è mai unicamente suo,
poiché deve sempre essere utile anche agli altri. Donare a chi ha meno ciò che
è indispensabile non è un gesto di generosità e magnanimità ma di giustizia.
In questo consiste la solidarietà che non è un vago sentimento di bontà, ma
un impegno serio, dettato da un senso di responsabilità di fronte al debito che
si ha nei confronti della società. Non si tratta di convenzioni ma di rispetto
profondo verso l’identità di tutti. Solo così la pace può maturare alimentata

133
il suo messaggio, la sua eredità

dalla solidarietà.
La dignità del lavoro scaturisce dal fatto che esso è manifestazione della
persona, che ne determina la qualità e il valore. Non si può allora considerare
un lavoratore come puro mezzo materiale di produzione. Il lavoro è un
diritto di tutti. E su questa verità si deve basare ogni società giusta, legittima,
che voglia conseguire la vera pace. L’economia stessa deve avere questo come
suo ine ultimo. Se invece l’accumulare beni ed il trarne proitto prevale su
tutto il resto di certo non si marcerà verso un’autentica felicità, ma verso la
schiavitù del possesso e l’illusione del piacere facile. Si tratta esattamente
di ciò che accade nelle civiltà basate sul consumismo e sull’avere anziché
sull’essere.
Come non ripensare, a questo punto, al famoso libro di Erich Fromm e a
come Emiliano abbia vissuto nella dimensione dell’Essere?
Due modalità basilari dell’esistenza, l’Avere e l’Essere, come le deinisce
l’autore. Due atteggiamenti nei confronti non solo della realtà che ci circonda
ma anche di noi stessi.
Modalità dell’avere, alla radice del fallimento di una promessa, quella del
dominio totale dell’uomo sulla natura, quella dell’abbondanza materiale
senza limiti, del massimo godimento per il maggior numero di persone,
della libertà personale senza conini. Modalità dell’avere che è propria di
ogni sistema economico malato, nel quale il rapporto con il mondo è di
possesso, proprietà, proitto, consumo, potere e violenza, e nel quale a sua
volta si ammala la società e le persone che la compongono. Società nelle
quali l’identità si basa su ciò che si ha e su ciò che si consuma, fondate
sull’avidità , sul piacere che non soddisfa mai ino in fondo, sintomo di un
decadimento dello stesso istinto di sopravvivenza. Società dove si preferisce la
rovina futura all’impegno di afrontare sacriici nel presente, chiusi in un tipo
di individualismo che è una forma di possesso di sé, nel quale in realtà si è
posseduti dalle cose stesse.
Si rischia di sentirsi merce in società come queste, come la nostra, dove il
proprio valore si lega allo scambio che ne deriva. Il successo deriva allora dalla
capacità di vendersi bene sul mercato e dal nascondere la propria vera identità
dietro una maschera.
Non è certo l’Avere quanto è necessario e utile alla piena realizzazione della
nostra esistenza, in contrasto con l’Essere, ma il pretendere di possedere ciò

134
parte terza

che passa accanto a noi e tra le nostre mani.


D’altro lato Essere è esprimere i propri talenti, dare, ricevere, condividere,
godere senza possedere, gioire, crescere, amare, ascoltare, comunicare,
trasmettere vita, fondare su questo la propria identità, un’identità che nessuno
può rubare. Più ci si sbarazza della brama del possesso, sottolinea Fromm,
tanto minore sarà la paura di morire, quella paura che tanto ci condiziona,
origine di tutte le altre angosce.
Anche nell’attività infatti si può privilegiare una o l’altra modalità. Ci si può
comportare in modo inconsapevole, alienato, eiciente, frettoloso, indafarati
e protesi esclusivamente al risultato, oppure si può essere coscienti di sé,
creativi, attenti alla qualità.

Si sente ancora chiaro l’eco di questa dimensione ripensando ad Emiliano!


L’eco dell’Essere contrapposto sia all’Avere che all’Apparire. L’eco del Vangelo,
specie laddove dice che perderà la propria vita chi vorrà salvarla, mentre
la salverà chi sarà pronto a perderla. L’eco della vitalità e di un rapporto
autentico con il mondo e con la sua vera realtà nelle persone e nelle cose, dove
la proprietà è solo funzionale ad altro ed è unicamente un possedere qualcosa
per farne uso, un uso sano, non un proitto.

34 Non afannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun
giorno basta la sua pena.” (Matteo 6, 34)

Il tempo del deserto per gli Ebrei è portato, nelle pagine scritte da Fromm,
come metafora di questa condizione, nella quale si raccoglie ogni giorno
per il proprio sostentamento solo ciò che è strettamente necessario, senza
accumulare. La manna raccolta al mattino e le quaglie la sera si conservavano
infatti solo per poche ore. Uno stile di vita nel quale si vive come se non si
possedesse nulla, pur non mancando nulla alla propria esistenza.
Allo stesso modo si fa riferimento alle prime comunità cristiane dove
scorreva la vita in un clima di totale condivisione, solidarietà e comunione di
beni. Scriveva S. Giovanni Crisostomo “non afermare: uso ciò che è mio, perché
usi ciò che ti è estraneo” . Persino Marx diceva che la meta dell’essere umano è
“essere molto” e non “avere molto”, e che sia il lusso che la povertà sono dei vizi.

Ma le conclusioni del testo di Fromm sono ancor più interessanti.


135
il suo messaggio, la sua eredità

Esse sottolineano come, se non per altri motivi, per motivi economici e di
puro interesse sarà necessaria una nuova etica, un nuovo atteggiamento verso
la natura e l’universo intero, la solidarietà e la cooperazione. Studi più recenti
non fanno che confermarlo.

[44]Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di
nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.

[45]Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; [46]trovata una perla
di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.(Matteo 13, 44-46)

EMPATIA
[15]Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. [16]
Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece
a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.

[17]Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.
[18]Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. (S. Paolo Romani, 12,
15-18)

[8]E inalmente siate tutti concordi, partecipi delle gioie e dei dolori degli altri, animati da afetto
fraterno, misericordiosi, umili; [9]non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al
contrario, rispondete benedicendo; poiché a questo siete stati chiamati per avere in eredità la
benedizione. (Pietro 3, 8-9)

29]Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema? (S. Paolo 2
Corinzi 11,29)

[14]Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio
di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. [15]Infatti non abbiamo un sommo
sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa,
a somiglianza di noi, escluso il peccato. [16]Accostiamoci dunque con piena iducia al trono della
grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. (S. Paolo
Ebrei 4, 14-16)

136
parte terza

Nel libro “La civiltà dell’empatia” sono citate numerose ricerche molto
stimolanti.
L’empatia viene deinita come la “capacità di capire, sentire e condividere i
pensieri e le emozioni di un altro in una determinata situazione”. (Zingarelli,
2002) , la capacità di mettersi nei panni degli altri.
L’autore, Jeremy Rifkin sottolinea come anche l’economia, dopo aver a
lungo afermato che ogni individuo “persegue istintivamente il proprio interesse
particolare”, abbia iniziato, con l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie,
a considerare che”ottimizzare gli interessi degli altri signiica anche aumentare
il proprio patrimonio e il proprio valore”, e che “ La cooperazione vince sulla
concorrenza” . È per questo che teniamo ad afrontare anche questa tematica
riallacciandoci alla mentalità di Emiliano.
Tali indagini hanno constatato infatti come gli esseri umani mostrino
in dai primissimi anni di vita una forte tendenza ad entrare in relazione
empatica, percependo stati d’animo, gioie e soferenze degli altri come
fossero proprie. È grazie all’empatia che condividiamo l’esistenza di coloro
che incontriamo lungo il nostro cammino, ma non solo, è ancora attraverso
l’empatia che ci spingiamo oltre e trascendiamo i nostri stessi limitati conini
personali. È l’empatia l’esperienza più intensa che possiamo avere, poiché essa
consiste nel riempirsi di vita, nostra e di altri.
Oramai anche in ambito scientiico c’è chi aferma che l’essere umano
aspira a qualcosa di più della pura sopravvivenza, conservazione della specie e
riproduzione.
Partendo da un’analisi storica e sociologica, si scopre che mentre la
società prevalentemente agricola si fondava sulla fede e quella industriale
sulla ragione, la nuova società globalizzata si stia spostando verso una
valorizzazione dell’empatia , uno sviluppo economico e stili di vita sostenibili
e una nuova coscienza solidale con il pianeta stesso, dai cui delicati equilibri
dipende, volenti o nolenti, la sopravvivenza di tutto il genere umano.
Ci si chiede quindi, su questa linea di ragionamenti , se la natura umana
sia davvero e prevalentemente egoista come si è a lungo insistito, oppure sia
piuttosto una natura empatica. Vengono citati nel testo di Rifkin numerosi
approfondimenti sul tema, in ambito psicologico, che confermano come la
consapevolezza di sé cresca in sintonia con l’approfondirsi delle relazioni con
gli altri. Ci si interroga, negli ultimi capitoli del libro, su quale sia la terapia

137
il suo messaggio, la sua eredità

più giusta per guarire la nostra dipendenza dall’ equazione ricchezza = felicità,
tanto più considerando che tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo ci si
dovrà per forza incontrare lungo quella che viene deinita soglia minima del
benessere, per creare condizioni di vita sostenibili per tutti e far sì soprattutto
che l’esistenza sulla terra possa continuare. Il fatto che attualmente ci si
trovi costretti a ridimensionare le proprie esigenze, in seguito alla crisi
economica mondiale, apre una nuova speranza in questo senso. Dalla ricerca
di una felicità fondata sull’accumulo di ricchezze ci si dovrà allontanare dal
capitalismo economico, orientandosi verso la ricerca di una felicità più solida
basata su relazioni interpersonali signiicative.
In conclusione, scopriamo come bene si incontrino principi evangelici,
spiritualità francescana, dottrina sociale della Chiesa e recenti ricerche in
ambito sociologico, psicologico ed economico, sul fatto è necessario costruire
una cultura della Pace, frutto della Giustizia, nella quale si difendano i diritti
di tutti gli esseri umani, per prevenire conlitti , violenza, rabbia difusa,
instabilità politica ed economica e che la solidarietà non si fonda su principi
molto lontani da quelli sui quali pone le sue radici l’amicizia. Principi di
disinteresse, capacità di donarsi, distacco dai beni materiali, attenzione per
l’altro, libertà e uguaglianza.
La logica della comunità resta sempre la più idonea a tutti i livelli della
convivenza umana.
Solo un serio impegno a progettare uno stile di vita improntato sull’amore
per il vero, il bello ed il buono, potrà generare una vera crescita ed un vero
sviluppo, che porti beneici sia ai Paesi ricchi che a quelli poveri. Solo la
ricerca di senso ed il procedere verso una verità ultima può arginare i mali nei
quali qualsiasi società rischia di cadere e dove ogni forma di totalitarismo si
insinua.

Incredibile come l’antichissima legge dell’anno sabbatico, che veniva


celebrato ogni sette anni e dell’anno giubilare, ogni cinquanta, possa diventare
fonte di profonde rilessioni per noi. Essi infatti prescrivevano, oltre al riposo
dei campi, il condono dei debiti e una liberazione generale delle persone e dei
beni. Ognuno poteva tornare alla sua famiglia d’origine e rientrare in possesso
del suo patrimonio, per eliminare discriminazioni e sperequazioni provocate
dall’evoluzione socio-economica e riportare le questioni della proprietà, dei

138
parte terza

debiti, delle prestazioni e dei beni al loro più profondo signiicato.


Tornando ad Emiliano, un versetto del Vangelo ci sembra riassumere tutto
questo elevandolo al di là dei limiti umani di tutti noi.

3 «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno
dei cieli. 4 Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei
cieli.(Matteo 18,3-4)

UNA CHIESA COME CASA


[46]Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti
con letizia e semplicità di cuore, [47]lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. (Atti
degli Apostoli 2,45)

Ed inine ci teniamo a concludere queste ultime pagine dedicando ed


aidando ad Emiliano stesso, quanto scritto qualche anno fa sulla chiesa di
Santa Barbara, luogo dove il Signore ci ha donato la meravigliosa occasione
di conoscerlo.

“Circa ventotto anni fa abbiamo ricevuto un dono, o meglio un’eredità, che ci


confermava il fatto di essere fratelli e non solo nella fede.
Chi non accetterebbe un’eredità del valore di S. Barbara o chi metterebbe in
discussione se godere di un bene tanto prezioso, qualora si trattasse di una
abitazione, nel signiicato più consueto e restrittivo che diamo al termine?
Inoltre il dono è stato doppio e la chiesa che ci venne regalata era anche una casa.
Ma come e quando una chiesa diventa casa, nel senso pieno della parola?
Innanzitutto quando, semplicemente, se ne ricevono le Chiavi.
Chiavi che, indubbiamente, ci sono state consegnate, nel tempo abbiamo diviso
con molti altri, inanche a perderle. Ma forse il nostro concetto di proprietà
doveva fare i conti con il più ampio concetto di condivisione.
In secondo luogo, ma non certo per importanza, una chiesa diviene casa quando
all’interno delle sue mura si comincia a Vivere. Non vi si compiono dunque
dei riti ripetitivi, né tantomeno vi si celebra frettolosamente Messa, ma ci si
stringe in unità, in un luogo di reale Incontro e di Festa alla Mensa del Padre,
apparecchiata come una vera e propria tavola.

139
il suo messaggio, la sua eredità

E Vivere in S. Barbara è stato, e credo sia tuttora, Crescere intorno a quella


Mensa e Condividere in semplicità la storia personale e comunitaria di un
cammino di fede, pur sempre in mutamento, con chi già si conosce e con chi entra
e si ferma.
Ma non solo...
… Abitare S. Barbara infatti è sempre stato anche …
… Credere che il Signore non si incontra solo nel silenzio e che il silenzio stesso
deve maturare come frutto del dialogo;
credere fortemente nell’incontro intorno alla Parola di Dio e alla nostra, che ne
scaturisce, per quanto piccola e povera;
lasciare che i bambini si esprimano e giochino in uno spazio sacro quanto loro;
organizzarvi feste, spezzare insieme torte, ciambelle e castagne, intorno all’altare
stesso;
materialmente pulirne anche i pavimenti, non diversamente dalle proprie cucine;
colorirla di iori come un balcone;
addormentarsi persino sulle sue panche, quando la stanchezza è troppa;
… rientrarvi con un nuovo iglio appena partorito e allattarlo in un angolo
riparato; afrontarvi le proprie crisi senza allontanarsi, portarvi le proprie gioie,
ofrendo sull’altare lacrime e sorrisi, senza bisogno di indossare maschere per
mostrarsi diversi da come si è o per nascondersi,
ed intanto attendere sempre qualcuno riapparire, sulla piccola porta aperta.

Abbracciati dalle sue mura, incantati dall’armonia dei decori e dei dipinti,
dai suoi piccoli spazi, da come ogni angolo raccontasse storie antiche, e stupiti,
dopo il restauro, dalla sua vera e propria rinascita, abbiamo visto spuntare come
germogli, a volte dolci, a volte anche amari, e poi maturare, intorno all’altare da
noi stessi creato, speranze, amicizie, preghiere, amori, matrimoni, igli, crisi, lutti,
progetti, alcuni giunti a dare frutto, altri no.

Forse qualcuno tra noi, meno circondato da comodità nella propria casa, ha avuto
modo di apprezzare e gustare ancora meglio tanta abbondanza di Grazia!
Qualcuno poi, ha persino anteposto la “nuova casa” a quella in cui viveva la sua
vita quotidiana, ma questa ovviamente non è mai stata una regola da imporre
a nessuno. Chi lo ha fatto ha ricevuto da un lato ulteriori cascate di Grazia,
dall’altro, imparando a selezionare ciò che ha grande valore da ciò che ne ha

140
parte terza

meno, ha rinunciato a molte cose.


A volte invece i nostri piccoli nidi personali, troppo ben riscaldati, ci hanno
portato ad uscire meno volentieri, a Cercare meno, a sentirci autosuicienti, a
diventare più pigri.
Certamente il passare del tempo ha prodotto molte inevitabili trasformazioni
nella realtà di S. Barbara.

Alcuni compiti, che avevamo assunto come nostri, li abbiamo dovuti delegare,
l’atmosfera incantata dei primi tempi si è molto ridimensionata, come del resto
accade in qualunque tipo di innamoramento, le energie sono diminuite, tanti
fratelli sono andati via, alcuni sono partiti già verso la Casa del Padre, d’altra
parte altri ne sono arrivati, nuovi compiti ci sono stati aidati, nuove idee sono
emerse, seppure in un clima che richiede maggiore umiltà.
La stessa storia di ogni essere umano e di ogni famiglia.

Allontanarci, in alcuni periodi, dalla casa in cui abitiamo, partire o essere


semplicemente meno presenti, per motivi di lavoro o altro, non ci porta certo a
pensare che non è più quello lo spazio privilegiato in cui desideriamo fare ritorno,
specie nei momenti “forti”, quelli in cui ancor più intensamente condividere noi
stessi, senza avarizia né riserve, con coloro che sappiamo ci attendono.

Una chiesa non vale l’altra, come una casa non vale l’altra.
Lo capiscono bene coloro che sono costretti ad abbandonare la propria, per cause
di forza maggiore.
Ma se, quella volta lontana, invece della chiesa di S. Barbara, avessimo ricevuto
in eredità una villa, peraltro ristrutturata e restaurata, nientemeno che come bene
artistico, e per di più al centro di Roma, oggi probabilmente non staremmo a
ragionare su cosa farne o se continuare ad andarci”.

Cosa rappresenti Santa Barbara, per chi l’ha vissuta tanto intensamente, è
stato scritto “a caldo” da qualcuno di noi parecchi anni fa e così, come lo
abbiamo custodito tra i freddi ile di un computer ma soprattutto nei luoghi
più preziosi del cuore, lo riportiamo di seguito …

“Ogni esperienza è simile ad un albero, afonda cioè le sue radici in un terreno

141
il suo messaggio, la sua eredità

più antico; dalla sua stessa composizione, da ogni suo granello di terra, da tutto
ciò che ha contribuito a formarlo, strato su strato, trae nutrimento.
Così la storia che stiamo raccontando non è nata dal nulla, bensì è maturata
nell’ambito di un’esperienza molto più ampia, un’esperienza comunitaria, passata
attraverso la chiesa di S. Barbara de’ Librari a Roma.
Per prima cosa occorre saggiare il terreno sul quale, a sua volta, tale comunità
maturò la sua identità cristiana e la vocazione speciica in seno alla Chiesa,
ponendo radici assai profonde.
Un passo indietro, questo, che ci conduce lontano nel tempo, nel vivo cioè della
pentecoste post-conciliare e dei suoi grandi entusiasmi.
Solo vari anni dopo, infatti, una parte della stessa comunità, avviata verso nuovi
sviluppi, avrebbe unito il suo nome a quello di Santa Barbara.
Le origini di quella storia dunque, più ampia ed antica, risalgono agli anni
’70, quando un folto gruppo di ragazzi visse un lungo periodo di impegno
comunitario, gioioso e coinvolgente, nell’ambito della parrocchia del Preziosissimo
Sangue, a Roma.
Guida carismatica ne fu don Riccardo Fontana, prima come diacono, poi come
sacerdote, il quale avviò quell’esperienza di Chiesa, a Tor di Quinto, e a lungo vi
restò come viceparroco.
Un fratello maggiore, soprattutto nella fede, ma anche un amico per tutti.
A lui erano stati aidati, infatti, vari gruppi di ragazzi, liceali ed universitari,
e non solo del territorio corrispondente alla parrocchia; giovani che seguiva
quotidianamente.
Tra le principali attività svolte, c’era l’appuntamento serale in chiesa, per
recitare tutti insieme i Vespri, occasione sia per incontrarsi che per pregare,
l’appuntamento ideale mattutino per la recita delle Lodi, ciascuno nel luogo in
cui si trovava, gli incontri settimanali sulla Parola, divisi per fasce di età, la
messa domenicale, preceduta da una preparazione alle letture, i periodici ritiri nei
momenti più forti dell’anno liturgico, l’organizzazione di conferenze e seminari
su temi di attualità, oltre alla partecipazione attiva a particolari iniziative di
carattere sociale quali i Decreti Delegati in ambito scolastico.
Una storia estremamente coinvolgente e contagiosa, possiamo ben dire, visto
che vi aderirono più di un centinaio di ragazzi, una storia che, purtroppo, passò,
successivamente, attraverso diicili e dolorose vicende, le quali rimasero in parte
incomprensibili.

142
parte terza

Furono eventi veramente drammatici, infatti, quelli che, tra il ’77 e l’80 circa,
bloccarono, presso tale parrocchia, ciò che sembrava oramai collaudato, insieme
a quanto era ancora in crescita, in via di costruzione e di espansione, congelando
speranze e propositi, ma non riuscendo, grazie a Dio, a distruggerne il cuore.
Nelle sue profondità rimase infatti un piccolissimo germoglio, pronto a riiorire
non appena se ne fossero date le condizioni giuste.
Vogliamo ripercorrerne qui, in breve, la storia successiva, con l’intento di farne
più che altro una lettura spirituale.
Fu, dunque, dopo una parentesi, durante la quale si mantennero vivi alcuni
forti rapporti di amicizia, sacri nel vero senso della parola, che una parte di quel
primo nucleo di giovani, oramai adulti, si ritrovò, per afrontare una nuova
avventura insieme.
Era tornato inalmente a Roma, dopo qualche anno di assenza, per un incarico
diplomatico in Indonesia, don Riccardo.
Era circa il 1982, dunque, quando, una parte della comunità del Preziosissimo
Sangue d’un tempo, ritrovò una nuova dimensione, inizialmente itinerante, da
una chiesa all’altra, da un locale all’altro, da una casa all’altra, ino a che giunse
nella piccola chiesa di santa Barbara de’ Librari, aidata dal Cardinal Vicario
a don Riccardo stesso, peraltro impegnato, dopo il rientro in Italia, presso la
Segreteria di Stato del Vaticano.
Un prezioso tesoro al centro di Roma, devastato da un inappropriato utilizzo a
magazzino e rimasto chiuso come luogo di culto per cinquant’anni, il quale poteva
inalmente recuperare la sua vera identità e diventare un punto ideale di incontro
per tutti coloro che lo Spirito avrebbe voluto riunirvi.
Da santa Barbara trasse così il suo nuovo nome una parte della decimata
comunità originaria, che tra quelle mura poteva riprendere l’antico cammino
interrotto, oltre al folto gruppo di coloro che via, via si sarebbero aiancati a lei,
per compiere lunghi o brevi tratti di strada insieme.
Quanti, da allora, sono entrati nella chiesa di largo de’ Librari, alcuni
apparentemente per “caso”, trovandosi solo a passare di là, alcuni attratti dalla
caratteristica piazzetta, stretta intorno alla sua facciata, dalla bellezza di
quest’ultima e dalla ricchezza artistica racchiusa al suo interno!
Una ricchezza valorizzata con un lungo ed accurato intervento di restauro,
iniziato nell’85 e completato nel ‘92.
Tra le sue mura, tutti, vicini alla fede o lontani che ne siano, percepiscono da

143
il suo messaggio, la sua eredità

allora un clima, un raccoglimento, una pace singolari.


Nell’intimità della sua unica navata, infatti, essa ben si presta ad accogliere, come
in un nido, chiunque vi entri.
E la preghiera stessa, di coloro che fanno anche solo una sosta, tra i suoi dipinti
e gli altari, tra le morbide volte ed il suono pregiato dell’antico organo, sembra
rimanere come sospesa nell’aria, in un’atmosfera coinvolgente e in un costante
invito a respirarla, gustarla e farla propria.
Dunque, Santa dell’anticonformismo per eccellenza, Barbara iniziò, ben presto, a
rappresentare il punto di convergenza ideale per la comunità nascente.
Consapevole del patrimonio a suo tempo ricevuto e con cura custodito, essa si
ritrovava ancora unita nel confronto con la Parola di Dio, nello spezzare insieme
il pane dell’Eucaristia e nella preghiera quotidiana, specialmente nella forma di
lodi e vespri.
Riscopriva così quanto il Regno di Dio fosse concretamente vicino, e Dio un Padre
buono e provvido”.

Nello stesso anno in cui fu redatto il Patto Associativo, la nascente Comunità


di Santa Barbara riunita, aveva scritto altre rilessioni ancora, che vale la pena
riportare:

“… Non si tratta di costruire una città ideale, ma solo una Comunità di persone
che vogliono rispondere, ognuno secondo la propria sensibilità ed i propri carismi,
alla chiamata del Signore. Perché una comunità e non singoli? La necessità di
una vita più strettamente legata con altri fratelli nasce dal riconoscimento di un
aspetto fondamentale della condizione dell’uomo, il peccato, cioè l’incapacità
dell’essere umano di gestire da solo la propria storia in modo corretto, aspetto
questo che ci coinvolge sia individualmente, che come gruppo di fronte alla
società. Abbiamo infatti sperimentato che la lontananza dal Signore ci impedisce
di essere come vorremmo, ci lascia dentro un senso di insoddisfazione, un senso
di divisione interiore. Questo nostro stare insieme vuol quindi essere basato
sull’umiltà di riconoscersi bisognosi dello Spirito di Dio. Ma anche sulla speranza,
la speranza di vivere in modo diverso da quello che sperimentiamo ogni giorno,
talvolta anche nel mondo dei nostri afetti. Abbiamo quindi ricevuto l’annuncio
ed ora si tratta di rispondere.
Un altro pilastro del nostro stare insieme vuol essere la libertà di rispondere a

144
parte terza

tale annuncio secondo la propria sensibilità, libertà che nasce in primo luogo dal
riconoscimento delle diverse esigenze e delle diverse tendenze, tutte ugualmente
importanti. L’idea dei “cani sciolti” che non hanno nessun modello da imporre
agli altri uomini, ma solo il desiderio di vivere insieme in modo cristiano. Una
libertà a doppio senso, però sia di chi ha bisogno di fare un passo alla volta, sia
di chi sente un maggior slancio nell’impegno di fede. E questo ci porta ad un
altro elemento fondamentale, la iducia vicendevole. In altre parole, il rapporto
di iducia deve essere proporzionale all’importanza della scelta che ci sta davanti
e deve essere, almeno nelle intenzioni, senza riserve. Solo così si potranno poi
realizzare quei servizi concreti di assistenza e di aiuto reciproco proposti da diversi
di noi. Questa iducia può trovare una vasta applicazione anche nei momenti di
discussione e di rilessione di tutto il gruppo. Chi sente di aver compreso qualcosa
di importante nel cammino verso il Signore, o chi incontra dubbi, non esiti a
trasmetterlo agli altri, senza paure di sorta. Questi ed altri ancora sono i caratteri
alla base dell’annuncio di Cristo, annuncio da accettare integralmente o da
riiutare, non da modiicare a nostro piacimento. Non vogliamo costruire qualcosa
che valga una stagione, ma senza eccessivi entusiasmi o false ipocrisie, qualcosa
che segni un cambiamento di mentalità, un qualcosa che diventi la nostra
“famiglia”, in ultima analisi, la “nostra” Chiesa, senza voler attribuire a quel
“nostra” alcuna strana interpretazione. L’idea da prendere come base è quella della
prima comunità, basata su tre momenti chiave, momenti tutti irrinunciabili: la
frazione del pane, l’ascolto della Parola, la carità vicendevole.”

La spinta a proporre il Vangelo, a coloro che il Signore ci avrebbe fatto


incontrare, nasceva dalla certezza di aver trovato il “tesoro nascosto”, dalla
consapevolezza di non essere migliori, né più meritevoli degli altri, certi
soprattutto del fatto che dall’annuncio della Parola di Dio nasce sempre la
Chiesa.
La rilessione condotta in dai primi mesi del 1987 aveva fatto riscoprire
l’importanza della preghiera, sia individuale che comunitaria, come elemento
di unità, anche con tutti coloro che sentivano il bisogno di riaccostarsi alla
Chiesa, assicurando a chiunque uno spazio in cui trovare un momento di
colloquio con Dio.
Non si andava in cerca di disquisizioni teoriche, teologiche o esegetiche ma
si volevano afrontare insieme, alla luce dell’annuncio di Cristo, i

145
il suo messaggio, la sua eredità

problemi quotidiani più concreti. In quell’anno e nei successivi furono presi


appunti anche durante le riunioni settimanali della Comunità, incentrate
prevalentemente sul metodo della Lectio Divina, che si faceva Lectio
continua, calando individualmente ciò che si leggeva sulle pagine della
Bibbia, al vissuto quotidiano, allenandosi a conformare la propria mentalità a
Dio. Dall’ascolto ci si incamminava poi verso la preghiera di lode.
Gli appunti vennero sistemati, stampati e distribuiti a tutti i membri di
allora.
Ne riportiamo di seguito alcuni brevi passaggi, in quanto molto
signiicativi, sul clima che lo stesso Emiliano respirò in quel periodo.

“… Una città grande e dispersiva, un gruppo di membri della stessa comunità


cristiana, un sacerdote carico di impegni pastorali e professionali, qualche casa
disponibile e un libro dei tanti che compongono la Bibbia, ma più del Libro,
quest’anno, nella Lettera agli Ebrei, il vero nesso tra gli uomini e i luoghi, tra le
diverse vicende umane che si intrecciano”
“..ancora una volta è determinante la convinzione che, dove due o più si
riuniscono nel Nome di Gesù là c’è realmente Lui. È quel Gesù “in mezzo” la
sola molla che può spingere al termine di una giornata di lavoro a cercare un
incontro con i fratelli, ricavando dal breve tempo trascorso insieme quella carica
di fraternità che consente di afrontare anche il mondo tenendosi per mano”

Di volta in volta, fu una mano diversa a prendere appunti. Lo stile


dell’incontro era semplice. La Parola veniva letta e riletta, cercando poi di
applicarla alla propria vita quotidiana con tutti i suoi problemi, interrogativi,
dubbi e le sue contraddizioni, lasciando spazio di intervento libero a tutti.
Il tentativo era quello di trarre dall’incontro stimoli e suggerimenti per la
maturazione come uomini e come cristiani, in un contesto in cui l’amicizia
fraterna dominava e quindi tutti erano in troppo conosciuti dagli altri per
fare dell’eloquenza da quattro soldi o per mostrarsi diversi da quello che
erano realmente. Così da una serie di interventi apparentemente slegati,
approssimativi, eppure vissuti dentro quasi dolorosamente, si arrivava sempre
alla gioia che deriva dalla precisa sensazione di essere comunque cresciuti, per
quanto poco, a conferma del fatto che la Parola al suo passaggio, come “una
spada a doppio taglio” non lascia mai uguali.

146
parte terza

Da quei lontani appunti emergono in particolare alcune convinzioni che via,


via andavano mettendo radici: il nostro Dio aveva parlato, quindi era un Dio
capace di comunicare con noi e di farlo in tanti modi diversi. La parte attiva
inizialmente era sempre svolta da Lui. Solo attraverso Gesù però si poteva
andare al di là della semplice conoscenza teorica di Dio. Solo la Parola fattasi
carne in Cristo poteva toccare il nostro cuore. Era così che si passava da una
fede fatta di regole, divieti e prescrizioni, ad una fede basata sull’amore, la
condivisione, la comunione, la Chiesa.
D’altro lato, e in maniera sempre più evidente, emergevano tanti falsi dèi,
tanti idoli a cui davamo spazio.
Eppure nonostante incapacità ed incertezze, limiti umani e dubbi, si riusciva
a parlare di Cristo a chi si avvicinava. La comunità di S. Barbara, un po’
come la comunità ebraica di Alessandria, riconosceva di vivere in un mondo
nel quale doveva diferenziarsi per lo stile di vita. Nonostante le nostre
debolezze, Dio attraverso i Sacramenti e la Sua Parola, donava in abbondanza
i mezzi per superare ogni ostacolo ed uscire dall’isolamento, quella Parola
che era Vita, non solo “suono” o “scritto”. La Sua centralità si stava sempre
più imponendo come una conquista per la nostra Comunità. Occorreva
pregare quotidianamente, con maggiore costanza, continuità e profondità,
ainché il sonno e l’oblio non distogliessero nessuno dalla meta comune. La
venuta di Cristo e, da parte nostra, una fede di giorno in giorno più solida
in Lui, avrebbero posto ogni cosa, e quindi anche ogni nostra debolezza e
mediocrità, sotto i suoi piedi. I principi della stessa morale dovevano meglio
radicarsi nell’ascolto della Parola. L’unicità di Dio si mostrava in tutto
superiore ai miti, che ci creavamo con tanta facilità. Ripiegarsi su se stessi
appariva chiaramente come peccato. Era inoltre necessario abbandonare il
“culto” dell’io, motivo di tante crisi, specie di coppia, e comunque di tante
prevaricazioni nei rapporti interpersonali. Scoprire la solidarietà di Cristo
nei confronti dell’essere umano portava ad una più vera solidarietà verso il
prossimo. Escludere Dio dalla propria vita si delineava in modo più chiaro
come morire. Per la comunità si trattava di passare dalla fratellanza, scoperta
anche nella soferenza, e dall’amicizia, alla fraternità. Fare Chiesa non era solo
il piacere di stare insieme ma il riconoscere che uno solo è il Padre e noi tutti
fratelli, verità alla quale solo lo Spirito conduce. La Speranza allora resta viva
anche se i passi sono lenti. L’obbedienza totale e senza riserve si faceva

147
il suo messaggio, la sua eredità

pressante ma la durezza del cuore bloccava la crescita in tal senso. Si scopriva


così che quando si fa troppa fatica a mettersi al seguito di Dio, non si è
ancora abbastanza innamorati di Lui. Si iniziava a distinguere tra il credere
Dio, cioè la Sua esistenza, il credere a Dio, cioè il idarsi, e il credere per Dio,
cioè il mettersi al Suo seguito.
Pur essendo ancora come bambini bisognosi di latte di fronte a Lui, incapaci
di nutrirci di cibo solido, la Sua Parola spezzava già i nostri egoismi, le paure,
ci illuminava e scioglieva tanti nodi, ma c’era molto da lavorare.
Il passo successivo doveva essere l’uscire da una supericiale adesione alla
morale , verso un integrale rapporto con Cristo, nel quale superare la morale
stessa. Alla base di tanti nostri peccati c’era l’incomunicabilità, ma per
superarla saremmo dovuti passare attraverso il “roveto ardente” e da una
infatuazione per Dio all’Amore.
Dovevamo imparare a comunicare Dio vivo in noi, non altro. E come Cristo
aveva oferto se stesso per la nostra salvezza, così ogni nostra conquista
importante era strettamente legata al sacriicio, in un’ottica di speranza, non
ine a se stesso. La strada pur essendo dura era percorribile.
Non occorreva fare del vittimismo ma una serena autocritica, consapevoli che
è solo Cristo a farci uscire dal nostro peccato, trasformandoci con pazienza e
amore, non la superbia di gestirci da soli, né gli alibi costruiti per giustiicarci,
ben sapendo che lungo questo cammino avremmo certamente perso qualcosa
di superluo e fatuo, ma per guadagnare il “centuplo”. Le dure e inevitabili
prove della vita non ci avrebbero trovati così impreparati. Era proprio la
nostra piccolezza a farci cercare conforto in Dio, in un atteggiamento di
abbandono iducioso. La fatica, come avviene durante il parto, porta una
nuova vita, un uomo nuovo. La fede richiedeva la stessa pazienza e costanza
dell’atleta. Le parole rivolte da S. Paolo tanti secoli prima agli Ebrei, ci
ponevano di fronte alla grande responsabilità di assumere su di noi un’eredità.

A quei tempi, anche attraverso una mostra documentaria sulla Chiesa di


S. Barbara, volemmo comunicare lo stesso messaggio. L’intento era quello
di far rivivere la fede dei “padri”, ovvero di coloro che ci avevano preceduti,
in epoche più o meno lontane, in quella porzione di Chiesa aidataci dal
Signore. Scrivemmo infatti quanto segue.

148
parte terza

”Un lunghissimo cammino spirituale è scolpito nelle memorie conservate nella


Chiesa di S. Barbara, noi non abbaiamo inventato niente, ma veniamo da
lontano. I nostri contemporanei perdono spesso il ilo di un discorso che ha radici
secolari nella nostra città.”

Riaprire una chiesa in Roma, chiusa da decenni, ci aveva spinti al desiderio


di dialogare con la città e raccontare la nostra esperienza per ofrirla agli altri.
Intendevamo inoltre liberarci dal rischio di ghettizzare la nostra fede, convinti
che nella Chiesa di Cristo c’è spazio per tutti. Volevamo perciò ofrirne la
piccola porzione che ci era stata aidata, perché fosse ancora di tutti.

Ancora era stato scritto

“Finalmente la comunità riassaporava la gioia del ritrovarsi insieme, in un


clima di forte richiamo sia alla preghiera personale che alla liturgia comunitaria,
semplice ma intensa; due pietre miliari, lungo la strada intrapresa.
Su queste realtà essa avrebbe continuato a confrontarsi, pur con alti e bassi di
impegno e di partecipazione, sempre guidata e custodita, specie nelle fasi più
critiche, dalla mano paziente di Dio.
Nello stesso Patto Associativo si indicava, come altro fondamento, che “il dono
dell’amicizia fu il veicolo privilegiato che coinvolse un numero di persone
sempre più grande”. …“Un grande onore … è sempre stato riservato al culto
dell’amicizia come rapporto personale voluto da Dio stesso e del quale è sempre
profondo desiderio nell’animo umano”.
L’accoglienza veniva riscoperta come Sacramento, accanto alla ricerca di chi aveva
già intrecciato la propria storia con quella della comunità.
Il lungo periodo del restauro della chiesa ed il trasferimento della comunità a
santa Maria della Pace, non fu che una conferma dell’identità oramai più che
recuperata e della validità delle scelte fatte. Lo smarrimento iniziale si tramutò
ben presto in un’ulteriore opportunità, grazie agli ampi spazi che la nuova sede
ofriva, dotata, com’era, di un magniico chiostro e di numerosi locali. Al di là
di qualsiasi programma, al di là dei buoni propositi si rivelava fondamentale
il rapporto stretto e profondo con il Signore e l’abbandono iducioso in Lui.
Testimoniare la provvidenza di Dio era una grande responsabilità per la
comunità, ainché altri, riconoscendosi in qualche modo nella stessa esperienza

149
il suo messaggio, la sua eredità

“potessero trarre sollievo dalla bontà che il Signore aveva usato” verso di lei,
malgrado limiti ed errori, “e tornare a Lui con semplicità di cuore, iducia e
speranza”.
Intanto una delle prove più evidenti dell’abbondanza della Grazia ricevuta
erano i tanti bambini che via via nascevano e crescevano nell’ambito della
comunità stessa, condotti per mano da tutti e non solo dai genitori, ainché
“si avvicinassero in letizia al Signore”, anch’essi attraverso la grande ricchezza
dell’amicizia.
Compito prioritario era passare loro il testimone della fede, mentre si avvertiva
un forte desiderio di provocare un cambiamento di mentalità e stile di vita,
tentando di mettere in comune carismi diversi e di costruire qualcosa che potesse
diventare una famiglia allargata.
Ampio spazio veniva dato anche all’attività di pensiero e all’annuncio
attraverso lo strumento culturale, in piena sintonia con il titolo romano di santa
Barbara, patrona dei Librari.
Un cammino dunque di crescita, insieme umano e cristiano, quello che nasceva
e si allargava in modo progressivo, come in cerchi concentrici, a partire dalla
chiesa di santa Barbara, quale fulcro ideale, un cammino tendente verso la
realizzazione del Patto Associativo e verso i suoi obiettivi, seppure molti di essi
non siano mai stati pienamente raggiunti e, in alcuni casi, solo siorati.
La validità dei progetti e dei programmi si è ripetutamente scontrata infatti con
la realtà quotidiana, con l’incapacità ad essere a lungo perseveranti nel bene e con
le inevitabili crisi personali, che sono sopraggiunte con il passare del tempo, come è
tipico di ogni storia umana.
Eppure in tutto questo la comunità ha continuato a rivelarsi quale luogo
privilegiato in cui la fede cresce e, la coscienza, quale luogo privilegiato
dell’incontro con Dio.
Un Dio che parla e lo fa attraverso vari canali, la natura per prima e poi la
Bibbia, gli avvenimenti di ogni giorno, la storia, il “bello”, l’arte, la musica,
mentre per lo più si pensa di poterlo incontrare solo nel “buono”.
Nascevano intanto le prime inevitabili diicoltà a conciliare famiglia, lavoro
ed impegni comunitari, mentre d’altra parte un iume di ricchezza e di nuovi
stimoli scaturiva dalla presenza dei tanti bambini che diventavano per tutti fonte
di nuovi stimoli, grandi novità ed emozioni. A loro veniva dedicato uno spazio
speciale in ogni circostanza.

150
parte terza

L’impegno alla mediazione culturale, inoltre, si andava arricchendo di numerose


iniziative, dall’organizzazione di concerti, all’allestimento di una mostra
documentaria sulla chiesa stessa, alla realizzazione di varie serie di conferenze, di
carattere socio economico, storico e bioetico.
Anche l’attenzione ai poveri si era allargata dai pochissimi casi seguiti, perché
vicini territorialmente a S. Barbara, ad un impegno più regolare a ianco
della Caritas, presso la stazione Termini, ad una mensa e scuola di italiano per
immigrati rumeni, ino ad alcuni viaggi nella ex Jugoslavia, dove un gruppo della
comunità, inserendosi in un meccanismo più grande, portò pacchi con generi di
prima necessità, confezionati con l’aiuto di numerose famiglie romane.
Intanto si avvertiva sempre più forte l’esigenza di una direzione spirituale
personale oltre a quella comunitaria.
Con il passare degli anni, l’avvicendarsi di nuovi incontri, da un lato, e la
perdita, dall’altro, di alcuni fratelli, che si allontanavano momentaneamente o
deinitivamente, fu motivo di sorpresa, in alcuni casi, di soferenza e delusione, in
altri, ma sempre di profonda rilessione.
Si scopriva che Dio ofre, come dono, di fare insieme dei tratti di strada, a volte
lunghi, a volte brevi, a volte imprevedibili nei loro percorsi.
Per questo andava coltivata una grande apertura alla novità e al cambiamento,
che solo la libertà dello Spirito può far maturare.
Fu così che l’appello alla preghiera, come linfa vitale, che non deve mai esaurirsi,
diventò un richiamo costante e vicendevole, mentre si avvertiva sempre più forte
la necessità di passare dai “comandamenti” alle “beatitudini.
Solo così la speranza poteva restare viva, nonostante errori, lentezze, pigrizie,
peccati e durezze del cuore.
La Parola di Dio spezzava egoismi e paure, riportava equilibrio, laddove era
stato perso, illuminava la mente, riscaldava il cuore e liberava da tante forme di
schiavitù..
Era proprio la consapevolezza dell’inevitabile limite umano a sollecitare verso la
ricerca di Dio.
Intanto, il riferimento a Babele e Babilonia diventava immagine sempre più
eicace dell’incomprensione, della disperazione, della schiavitù e del peccato.
Immagine contrapposta alla Gerusalemme celeste, promessa, della quale è
anticipazione l’incontro dei fratelli intorno alla Mensa del Padre, durante la
Celebrazione Eucaristica.

151
il suo messaggio, la sua eredità

Gerusalemme, come dimensione ultraterrena, meta verso la quale si cammina


insieme, seguendo Cristo, “consapevoli di non essere né migliori né più meritevoli
di altri”
Di qui l’attenzione speciale dedicata da sempre alla Bibbia, che si allargava
oltre il silenzio della propria stanza, soprattutto peregrinando di casa in casa ed
ospitando gli altri nei piccoli mondi individuali.
Ma, come in qualunque esperienza umana, giunse, anche per questa comunità
il momento del grave lutto, con la scomparsa nel 1995, in un incidente stradale,
di uno dei suoi membri più giovani, Emiliano. Perdita mai colmata, seppure la
sua presenza, discreta ma forte, sia stata ancora avvertita, specie nelle circostanze
più diicili e contrastate.
Venne poi anche il tempo del cambiamento radicale, del distacco e della
separazione, periodo cruciale della storia di Santa Barbara, con la partenza
da Roma di Don Riccardo, chiamato ad essere Vescovo nella diocesi di Spoleto
Norcia, nel 1996.
E, come spesso accade, nelle fasi in cui si rompono equilibri ultra collaudati, fu
quella l’occasione in cui molte situazioni, già complesse o compromesse, esplosero.
Molti membri della comunità cedettero allo sconforto e alle nuove problematiche,
tutti provarono un senso profondo di abbandono, anche coloro che vollero con
determinazione continuare l’avventura, alcuni si smarrirono di fronte alla
necessità di assumere, in prima persona, più impegnative responsabilità, ora che
veniva a mancare la guida, insieme autorevole e familiare, di don Riccardo.
Ricostruire un simile rapporto, con qualunque altro sacerdote, sarebbe stata
impresa impossibile, proprio come è impossibile sostituire un genitore che viene a
mancare o un fratello dal quale siamo costretti a separarci.
Ma giunse, in questo modo, per la comunità, volente o nolente, anche il momento
di fare un salto di maturazione.
L’esperienza Pasquale, tante volte meditata e messa in relazione con l’esperienza
del popolo ebraico, che dall’Egitto si mise in cammino verso la terra promessa, si
faceva concreta esperienza di vita.
Gli elementi erano tutti presenti: il passaggio da una dimensione ad un’altra, il
distacco dalle precedenti sicurezze, la soferenza, la necessità di mettersi in marcia
verso una terra sconosciuta ma indicata da Dio, il deserto, la fame e la sete di
ciò che era stato perduto, lo scoraggiamento e il rimpianto, la fatica, i dubbi, gli
inciampi, i pericoli, la tentazione.

152
parte terza

Con l’arrivo di un nuovo sacerdote, rettore della chiesa ed insieme pastore


della comunità, don Ivo Scapolo, proveniente sempre dalla Segreteria di Stato
del Vaticano, si aprirono, come ovviamente accade dopo qualunque grosso
cambiamento, nuove strade da percorrere, nuove possibili esperienze, ma per le
quali non si era del tutto pronti e disponibili.
Il confronto con il passato rischiava di diventare una catena troppo pesante per
continuare a camminare, invece di trasformarsi in una eredità di cui beneiciare e
da far fruttiicare.
Ma nonostante alcune resistenze, si aprì comunque per santa Barbara una
nuova stagione, caratterizzata da un’attenzione, per certi versi ancor più capillare
ai singoli e agli ultimi arrivati, non solo a coloro che la frequentavano più
assiduamente.
La vita spirituale della comunità ricevette un nuovo impulso, di cui già
si sentiva esigenza da tempo e che anche don Riccardo aveva ripetutamente
sollecitato.
Vanno ricordati, di quella particolare fase, per alcune sottili coincidenze e
provvidenziali sincronismi, i contatti con la comunità Maria, del Rinnovamento
Carismatico Cattolico, presso la chiesa di S. Angelo in Pescheria, assai vicina
spazialmente, contatti che nacquero imprevisti, in maniera certamente
signiicativa, seminando esigenze nuove e nuovi germogli nelle anime.
Il tema della gioia, della presenza potente dello Spirito in ogni cristiano, dei
carismi che Egli dona a tutti e che vanno scoperti e coltivati, dell’abbandono in
Dio, dell’importanza primaria della preghiera, lievitarono anche tra le mura
di santa Barbara, generando da un lato novità ed entusiasmo, dall’altro timore
e prudenza, paura di perdersi e di perdere la propria identità, intraprendendo
strade diverse dalle solite.
In realtà, la comunità Maria riproponeva semplicemente l’esperienza delle
prime comunità cristiane degli Atti degli Apostoli. Proprio ciò che era stato sempre
intendimento anche della comunità di Santa Barbara, in nessun modo, dunque,
minacciata nella sua identità, pur essendo per molti versi costituzionalmente
diversa da una comunità carismatica.
E alcuni, pur continuando a frequentare parallelamente Santa Barbara,
avevano trovato in quell’esperienza uno spazio ideale in situazioni di emergenza
spirituale e psicologica.
Proprio quelle situazioni che, se da un lato si presentano come estremamente

153
il suo messaggio, la sua eredità

critiche, dall’altro ofrono l’occasione per una radicale revisione di vita e spesso per
una conversione più matura.
I nuovi sentieri intrapresi, più o meno consapevolmente, si presentavano di certo
più ripidi e faticosi.
E lungo il cammino intanto molte sicurezze andavano cadendo.
Una fede coltivata soprattutto con l’intelletto e la volontà ed una preghiera, dai
toni complessivamente pacati, seppure caldi e partecipati, venivano interpellate,
scosse dallo Spirito e chiamate ad aprirsi su nuovi orizzonti, per una lettura
più profonda delle singole storie personali e di ogni vicenda della vita, ove
assolutamente niente è lasciato al caso.
A maggior ragione si intensiicava la necessità di spalancare le porte allo Spirito.
Occorreva esporsi al suo potente vento.
Tornava così il tema del brano di Nicodemo, rinascere a nuova vita attraverso
acqua e Spirito. Convinti che solo Lui sa come entrare nelle pieghe della nostra
vita ed erompere con forza, generando un vero ed intimo contatto con Dio. Un
incontro che deve essere ardentemente desiderato.
A questo sembrava richiamata la comunità di Santa Barbara.
C’era dunque da scavare più a fondo nel cuore, nei suoi spazi più silenziosi
e ricchi, dove la preghiera si fa unicamente ascolto e l’esperienza di Dio più
tangibile.
Si stava raggiungendo una più profonda consapevolezza della presenza di
Cristo, Roccia di Salvezza, unico Liberatore da ogni forma di schiavitù, unico
Signore, unico Fedele, unico Santo. L’unico degno di occupare il primo posto,
l’unico a cui inchinarsi.
Parallelamente, i percorsi proposti da Don Ivo in parte ricalcavano le linee
precedenti, in parte erano del tutto nuovi.
Giunse così il tempo di fare un’altra esperienza di preghiera particolarmente
coinvolgente, la meditazione profonda, seguendo per grandi linee la spiritualità
del gesuita padre Mariano Ballester, guida, da più di trent’anni, di corsi di
preghiera e autoconoscenza nel mondo.
Nella prefazione ad uno dei suoi libri vi è una rilessione che riteniamo si
armonizzi bene con molti dei discorsi fatti:
“Il labirinto che ricopre il pavimento della cattedrale di Chartres mi ha sempre
incantato non solo per la sua valenza simbolica ma anche per gli elementi
igurativi ivi rappresentati. Di questi, due mi appaiono ancora oggi

154
parte terza

insuperati: la rosa iorita che rappresenta il Centro, una volta l’anno illuminata
dal raggio di mezzodì del primo giorno di primavera, e l’andamento del labirinto
che, più di altri, ti fa ripartire dall’ostacolo con un percorso sempre ampio e
circolare, sicché l’ostacolo ti appare una sosta e non un impedimento vero e
proprio. Sei e rimani sulla Via, anzi dalla Via non ti sei mai mosso. Il labirinto,
perciò, ben raigura non solo l’andare per il mondo dell’uomo di tutti i tempi,
dell’uomo errante, del vagabondo che è privato della retta orientazione ed è,
perciò, soggetto a errore, ma rappresenta anche l’anima del pellegrino che cresce
e quando cresce non si alza come una canna, ma si apre come un iore, sboccia
intorno al suo centro, petalo dopo petalo, tappa dopo tappa, inché non si riempie
di luce e completamente alla luce si ofre, rinasce.”
Fu un tempo ricco di ritiri spirituali ed altre occasioni di rilessione.
Gli obiettivi erano quelli di sempre, occorreva solo comprendere che potevano
mutare i metodi e gli approcci. Si trattava forse di una nuova stagione, o di una
diversa dimensione, che non era in contrasto con la precedente, né tanto meno
doveva sostituirla, bensì poteva arricchirla.
Il passaggio non era semplice, né privo di ostacoli. Ma nessun cammino umano lo
è, qualora giunga ad un bivio o ad una inevitabile svolta.
In realtà la vita della comunità di Santa Barbara si era andata modiicando in
molti sensi.
A volte pareva si stesse spegnendo, mentre invece si allargavano i suoi conini.
Il progetto complessivo aveva preso molte diverse direzioni, già con la partenza
di Don Riccardo e per il fatto stesso di essere stato condiviso con un numero
sempre crescente di persone di diversissima provenienza. Era stato, possiamo dire,
esportato, e proprio questa novità poteva rivelarsi l’unica vera garanzia di validità
e di durata, anche se l’ampliarsi del tessuto stesso della comunità non sempre e non
da tutti veniva compreso.
Continuava ad essere, comunque, un progetto per fare Chiesa nel nostro tempo.
Esso aveva oramai scavalcato le mura della chiesa, pur portando in sé tutto il
suo patrimonio. Ed essa continuava a restare il suo cuore pulsante, piccolo nucleo
ancora vivo, anima stessa di una comunità più grande.
Su questa linea è andata avanti la storia, anche dopo la partenza dello stesso Don
Ivo, per essere vescovo in Bolivia.
Su questa linea ha continuato quello che potremmo deinire, pur nel suo piccolo, il
“big bang” di Santa Barbara, che ha lasciato sì più vuoto e meno fervente di

155
il suo messaggio, la sua eredità

attività il suo nucleo, ma forse più ampio il suo raggio di azione.


Cosa rimane oggi di tutto ciò che essa è stata, è diicile dirlo!
Impossibile controllarne tutti gli sviluppi successivi. Impossibile controllare il
cammino personale, compiuto nel frattempo, da tutti coloro che sono passati
attraverso la sua chiesa, fermandosi anni o solo un’ora a pregare.
Possiamo dire che nulla è andato perso.
Resta come faro in mare aperto un patrimonio, fatto di molte pietre preziose
pur sempre a disposizione di chiunque ne volesse ancora fare tesoro: l’ascolto
della Parola, spada a doppio taglio, la quale non lascia mai come trova coloro
che raggiunge; il dovere di rendere testimonianza alla Provvidenza di Dio; la
sacralità da riconoscere ad ogni storia personale, nella quale si legge la grande
storia della salvezza, che viene solo da Dio; la scelta di fare da “ponte” verso Cristo
e verso la Sua Chiesa; l’attenzione ai “Nicodemo” del nostro tempo; l’amicizia
fraterna, come ineguagliabile ricchezza; l’intenso desiderio di spezzare insieme il
pane eucaristico; il lavoro come servizio; la Messa come festa alla mensa del Padre;
la scelta di avviare i bambini, in dalla più tenera età, alle meraviglie della fede
in semplicità e letizia; l’atmosfera di grande intimità all’interno della chiesa;
la mediazione culturale, sviluppatasi in molti modi, pur se a partire da Santa
Barbara e anche indipendentemente dalla comunità stessa”.

Oggi, dopo vari anni da quando furono scritte queste pagine, possiamo
dire che molti altri doni il Signore ha continuato a fare, non ultimo, più di
dieci anni fa oramai, l’arrivo di don Italo Galletti, come rettore della chiesa,
con una dedizione sua peculiare, venendo ogni domenica dall’Umbria a
Roma solo per celebrare messa a S. Barbara e soprattutto con il suo spirito
profondamente francescano ed ecumenico, provvidenziale e forte richiamo,
ancora una volta per tutti noi sulla linea di Emiliano.
Ed in questi ultimi giorni, inine, proprio mentre concludiamo la stesura
del libro, un nuovo rettore ancora subentra tra le antiche mura di Santa
Barbara, don Carlo Giannini, passato anche lui, più di vent’anni fa, lungo
il vialetto, tra i corridoi di lontana memoria e sull’altare della parrocchia del
Preziosissimo Sangue.

Anna Maria Faccenda


Giampiero Leodori

157
APPENDICE
LA SCRITTURA DI EMILIANO
Premessa: trattasi della scrittura di un ragazzo tracciata nel 1977 a soli 16 anni.
Nell’esaminarla ho considerato il proiettarsi del suo gesto graico in un futuro a
lui purtroppo negato; mi piace immaginare che questo futuro lo abbia avuto in
altra dimensione…

E’ una scrittura di quasi 40 anni fa, Emiliano aveva solo 16 anni, eppure
mostra caratteristiche di una maturità inusuale per la sua età; in tutto lo
scritto risalta una personalità ricca di sensibilità, captatrice di emozioni,
persona amabile e disponibile, che ama trarre dall’ambiente circostante
gli stimoli emotivi ed intellettivi e che trasforma in idee proprie, che non
ama lo scontro diretto ma che quando l’impeto e le emozioni esplodono
interiormente, spesso vengono frenate prima che possano essere comunicate
all’esterno.
Ricerca l’altro a cui ama palesare soltanto gli aspetti di sé che rilettono
maggiormente la sua vivacità intellettuale; in tal modo riesce a proteggere la
parte più intima della sua interiorità sulla quale si soferma quando si ritira tra
sé e sè; si ritaglia pertanto, spazi personali in cui alimentare il proprio mondo
interiore fatto di creatività ed immaginazione ma anche di conlitti interiori
che irrompono all’improvviso creando uno squilibrio momentaneo.
Disagio nascosto, nasce dal bisogno di cercare se stesso, di afermare la
propria personalità di scoprire le risorse ed i limiti. Nel complesso si tratta
di una personalità vulnerabile che alterna momenti di scambio sociale con
fasi di chiusura. Molto importante è il peso che acquista per lui l’afettività,
soprattutto la modalità di avvicinarsi agli altri: bisognoso di amore e
considerazione, non sempre si sente compreso dalle persone a lui care;
conseguente il suo bisogno di attenzione e protezione, sentite ancora come
punto di appoggio che non consentono una libera espressione perché spesso
frammiste a ribellione. Aderisce a modelli approvati socialmente per la
voglia di considerazione da parte della collettività e del suo nucleo familiare,
ma coltiva il desiderio di emanciparsi; si muove all’interno di questo suo
mondo con socievolezza e sa rendersi amabile per l’inclinazione che ha verso i
rapporti, anche se tutto non sembra sempre facile, poiché il suo

158
coinvolgimento non appare sempre totale di facile lettura per quei lati
contraddittori che si manifestano con una emotività e suscettibilità che
sono anche causa di soferenze, provocando comportamenti a volte meno
diplomatici ma che nascondono una certa fermezza delle proprie idee.
Orgoglioso e attivo, ama muoversi anche a costo di grande fatica non
sfuggendo alle responsabilità; non ama rivelarsi completamente, manifestando
un modo di essere anche misterioso e da scoprire che utilizza anche
come forma seduttiva; cela ciò che lo rende più fragile, questo crea ansie
e conlitti nel suo interno e nelle relazioni. Nonostante il suo carattere
generoso e disponibile, in certe situazioni Emiliano può subire delle frenate
e ripensamenti che lo isolano; i pensieri e le immagini lo immergono in
rilessioni e contraddizioni che turbano la sua serenità; e’ perciò comprensibile
l’alternanza che mostra e che sembra essere l’espressione di un’autonomia e di
una afermazione non completamente raggiunta, fonte di un’insoddisfazione e
vulnerabilità.
Si evidenzia un desiderio e ricerca di valorizzazione, i propri successi in
settori a lui congeniali, sono sostenuti da una buona energia capace di
sostenere le doti di comunicazione che, relazionata alla versatilità, con un
desiderio di eloquenza potrebbero permettergli di trovare sul piano pratico,
quella stima e considerazione di sé di cui sente indispensabili per il suo
equilibrio interiore.
Roma, 8.6.2016

L’Evoluzione della scrittura

Cosa è cambiato sostanzialmente in Emiliano con la sua crescita? La scrittura


è diventata più “ariosa” e “allargata”, qualche segno di script (lettera a), è
sicuramente una dimostrazione della sua maturazione che lo ha portato verso
una ricchezza interiore valorizzata in creatività e originalità capace di evolvere,
cultura e ricerca di equilibrio fra espressione e rilessione; l’apertura sempre cauta
verso l’altro ma anche voglia di comunicare la propria ricchezza interiore.
Una nota di attenzione la lettera “t” che è cambiata totalmente, che nel
sedicenne indicava una certa ostinazione, mentre da adulto ce lo mostra più
prudente pur se deciso ed energico.
Lucia Di Luigi, grafologa
159
Scrittura di Emiliano a circa 16 anni
Scrittura di Emiliano a circa 33 anni
Si ringraziano tutte le persone che hanno contribuito in vario modo
alla realizzazione di questo volume.
INDICE

Parte Prima : La sua vita


p. 11 Partiamo dalla ine…che ine non è
22 Ma un simile libro come si scrive? Il mosaico
24 Le radici contadine marchigiane
33 La grande città
35 Estote parati
41 Gli anni del liceo
42 Finalmente all’università
44 La Comunità di Santa Barbara
50 Una carità silenziosa
53 Il futuro si afaccia
55 Un impatto tremendo

Parte Seconda : Testimonianze


p. 63 Maria Attilia Leodori
65 Paolo Berton
67 Giampiero Leodori
71 Roberto Garagozzo
73 Francesca Berton
75 Anna Maria Faccenda
79 Anna Maria Bertini
84 Giovanni Paolo Fontana
86 Paolo Mariani
88 Iris Jones
91 Patrizia Caloro
92 Paolo Gaspari
96 Luciana Persiani
p. 97 Vincenzo Botta
98 Antonella Giannini
99 Mons. Ivo Scapolo
101 Vittorio Iubatti
102 Roberto Bertini
104 Chiara Leodori
105 Giorgio Leodori
107 Sandro Paolo Lambertini

Parte Terza : Il suo messaggio, la sua eredità


p. 112 Il ricordo non basta
113 Semi e Segni
114 Storie (magniiche) di straordinaria normalità
118 Parole vissute
122 “Guardate gli uccelli del cielo”
123 In cammino
131 Il bene comune
133 Il vero tesoro
136 Empatia
139 Una Chiesa come casa

Appendice
p. 158 La scrittura di Emiliano
BIBLIOGRAFIA

Compendio Dottrina Sociale della Chiesa, Pontiicio Consiglio della Giustizia e della
Pace, 2004, Esd. Libreria Editrice Vaticana;
La civiltà dell’Empatia, di Rifkin Jeremy, Ed. Mondadori, 2010;
Avere o Essere, Erich Fromm, Ed. Arnoldo Mondadori, 1976;
Il lavoro nella Spiritualità Francescana, Padre Cesare Vaiani;
Patto Associativo Comunità S. Barbara, 1987
Bibbia, vers. CEI, 1974;
Bibbia, vers. CEI, 2008;
Lettera a Diogneto, seconda metà del II sec.
Evangelii Gaudium, Papa Francesco, esortazione apostolica, 24 novembre 2013

“http://www.padresalvatore.altervista.org/salmasc1.htm” http://www.padresalvatore.altervista.org/
salmasc1.htm
“http://dimensionesperanza.it/la-preghiera/item/7616-salmo-120.html” http://dimensionesperanza.
it/la-preghiera/item/7616-salmo-120.html
“http://www.veniteadme.org/wp-content/uploads/Salmi-delle-ascenzioni.pdf ”

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