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SITO ATTIVO
Il rapporto tridimensionale lascia intendere che solo alcune regioni dell’enzima sono
direttamente interessate all’attività catalitica: queste regioni, dette siti attivi o siti
catalitici, sono quasi sempre una ripiegatura o tasca della superficie della proteina
enzimatica. La loro forma è determinata dalla struttura terziaria della proteina. I
residui amminoacilici presenti, sporgenti all’interno del sito attivo, sono
prevalentemente apolari; in questo modo si creano le premesse per l’espulsione
della maggior parte delle molecole di acqua dalla cavità, in modo da consentire una
maggior concentrazione del substrato nel sito attivo. Nel sito attivo sono tuttavia
presenti alcuni residui amminoacilici responsabili della vera e propria attività
catalitica e, fra questi, gruppi ossidrilici, sulfidrilici, amminici, carbossilici o gruppi
capaci di dare ponti a idrogeno. In conclusione la maggior parte degli amminoacidi
degli enzimi non entrano in contatto con il substrato; essi hanno tuttavia un ruolo
importantissimo: costituiscono l’impalcatura adatta per favorire il reciproco
orientamento enzima-substrato, tanto necessario ad una buona catalisi, quanto la
reciproca vicinanza.
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NOMENCLATURA E CLASSIFICAZIONE
I primi enzimi scoperti (pepsina, tripsina, chimotripsina) furono principalmente di
tipo digestivo, ma non furono loro assegnati dei nomi relativi alla funzione svolta. I
nomi erano tutti accomunati dal suffisso –ina, che stava a significare che queste
molecole erano di natura proteica. In seguito la nomenclatura degli enzimi assunse il
suffisso –asi, che seguiva il nome del substrato al quale l’enzima si legava e dal quale
catalizzava un certo tipo di reazione (per esempio maltasi, lattasi). Questa
nomenclatura, però, non diceva nulla sul tipo di reazione catalizzata e non risultava
sempre soddisfacente a livello internazionale, infatti più enzimi possono reagire
sullo stesso substrato e quindi si dava adito al alcuni equivoci.
Per questo motivo, e anche perchè il numero degli enzimi scoperti continuava ad
aumentare, nel 1961 la Commissione per gli Enzimi CE della IUB (International Union
of Biochemistry) propose un sistema di nomenclatura e classificazione basato sul
tipo di reazione catalizzata e sul nome del substrato a cui ciascun enzima si legava.
Questo nuovo sistema raggruppa gli enzimi in 6 classi principali. A loro volta le classi
sono sottoclassi a seconda del tipo di reazione catalizzata; le sottoclassi sono poi
divise in sotto-sottoclassi che a loro volta comprendono i singoli enzimi. In tal modo
ogni enzima è indicato con un nome sistematico identificato dalla reazione da esso
catalizzata e da un numero di classificazione di 4 cifre, solitamente usato nelle
pubblicazioni scientifiche di carattere internazionale. La prima identifica la classe, la
seconda indica la sottoclasse, la terza è la sotto-sottoclasse, mentre la quarta cifra è
un numero progressivo assegnato a ciascun enzima nelle sotto-sottoclassi.
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Transferasi: catalizzano il trasferimento di un gruppo da una molecola ad un’altra.
Importanti sono le chinasi in quanto trasferiscono un gruppo fosfato da una
molecola ad un’altra (fosfotransferasi, fosfofruttocinasi).
Idrolasi: catalizzano la rottura di legami ad opera di acqua (amilasi, lipasi, proteasi).
Liasi: catalizzano l’addizione di gruppi a doppi legami o, nel caso contrario,
l’eliminazione di un gruppo per formare doppi legami (tiolasi).
Isomerasi: catalizzano l’isomerizzazione, quindi l’interconversione fra due molecole
(fosfoglucoisomerasi).
Ligasi: catalizzano la formazione di legami, accoppiati all’idrolisi di ATP
(piruvatocarbossilasi, DNAligasi, AcetilcoenzimaAsintetasi).
Per memorizzare le varie classi in cui vengono suddivisi gli enzimi è sufficiente
ricordare un acronimo: O.T.I.L.IS.LIG
Questa sigla è data appunto dalle iniziali delle classi enzimatiche unite fra di loro e
cioè:
O: ossidoriduttasi
T: transferasi
I: idrolasi
L: liasi
IS: isomerasi
LIG: ligasi
LA REAZIONE ENZIMATICA
Gli enzimi possiedono cinque caratteristiche fondamentali:
aumentano la velocità delle reazioni;
non alterano l’equilibrio delle reazioni;
sono inalterati alla fine delle reazioni;
agiscono a piccole concentrazioni;
sono altamente specifici.
Quando il substrato (S) si trasforma in prodotto (P), l’equilibrio chimico della
reazione è determinato dalle leggi della termodinamica ed è rappresentato dal
rapporto tra la velocità della reazione all’andata e quella al ritorno. Dunque, in
presenza dell’enzima, la velocità di trasformazione sono accelerate, ma l’equilibrio
non viene alterato e la catalisi enzimatica funziona come quella inorganica in
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presenza di un catalizzatore, cioè entrambe aumentano la velocità abbassando
l’energia di attivazione. In questo modo aumenta di molto il numero di molecole di
reagenti che, in ogni istante, possiedono una quantità di energia sufficiente a
superare la barriera dell’energia di attivazione trasformandosi in prodotto.
Il presupposto perchè una reazione avvenga è che le molecole dei reagenti si
scontrino fra loro, ma gli urti debbono essere efficaci, cioè l’energia deve essere
sufficientemente elevata per far sì che i reagenti si trasfomino in prodotti. Lo stesso
risultato potrebbe avvenire anche aumentando la temperatura di reazione, vale a
dire l’energia cinetica delle molecole, ma si comprende come questo parametro sia
di difficile variazione negli organismi viventi, specialmente in quelli omeotermi, in
cui l’aumento di temperatura potrebbe portare alla morte della cellula o
dell’individuo nel suo complesso.
Le cellule ricorrono quindi agli enzimi, catalizzatori organici che permettono il
raggiungimento dello stesso risultato cambiando la via della reazione stessa.
L’enzima (E), in presenza del substrato (S), si lega con esso (ES), lo modifica nel
prodotto (EP) e successivamente si libera dal prodotto (E + P):
E + S ES → EP → E + P
Quando il substrato si lega al sito attivo, la restante parte della molecola del
substrato viene orientata correttamente in modo tale che gli urti siano utili alla
sua trasformazione in prodotto.
Fig 3: Diagramma della coordinata di una reazione chimica confrontata con la stessa catalizzata.
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Fig 5: L’inserimento del substrato nel sito attivo dell’enzima lo rende complementare al substrato stesso.
CINETICA ENZIMATICA
Le basi della cinetica enzimatica furono poste dalla teoria di Michaelis e Menten, che
elaborarono un modello che, se pure semplificato rispetto alla complessa realtà dei
fenomeni cellulari, risulta idoneo per interpretare le caratteristiche fondamentali
delle reazioni enzimatiche.
L’enzima E reagisce dapprima con il substrato S, per dare il complesso ES, secondo
una reazione reversibile:
E + S ES
In cui:
k1 = costante specifica di velocità della reazione diretta.
k-1 = costante specifica di velocità della reazione inversa.
Il complesso ES si decompone, trasformandosi nei prodotti finali P e liberando
l’enzima nella sua forma primitiva E: si trascura in questo caso la reazione inversa,
che avviene con velocità minima, essendo minima la quantità di prodotto nello
stadio iniziale:
ES → E + P
In cui:
k2 = costante specifica di velocità della decomposizione del complesso ES.
Il processo globale consiste quindi di due reazioni consecutive, per la prima delle
quali esiste uno stato di equilibrio:
E + S ES → E + P
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Durante la reazione, la concentrazione del prodotto intermedio ES raggiunge un
valore costante (ipotesi dello stato stazionario): è quindi tale valore che determina
la velocità di formazione dei prodotti finali.
Esaminiamo nel dettaglio l’intero processo. La formazione del complesso ES avviene
secondo la reazione diretta, e la sua velocità di formazione sarà:
E + S ES
vformazione = k1 E S
il complesso ES a sua volta si dissocia secondo la reazione inversa e si trasforma nel
prodotto, pertanto la velocità di dissociazione sarà:
vdissociazione = k-1 ES + k2 ES = (k-1 + k2) ES
In condizioni stazionarie, la velocità di formazione di ES uguaglia la velocità di
decomposizione:
k1 E S = (k-1 + k2) ES
poichè E rappresenta la concentrazione dell’enzima libero, ed ES la
concentrazione dell’enzima combinato, la loro somma darà la concentrazione totale
dell’enzima E0:
E + ES = E0
Da cui:
E = E0 - ES
Sostituendo nell’espressione precedente si avrà:
k1 (E0 - ES) S = (k-1 + k2) ES
da cui:
k1 E0 S - k1 ES S = (k-1 + k2) ES
k1 ES S + (k-1 + k2) ES = k1 E0 S
raccogliendo e ricavando ES si ha:
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Dividendo numeratore e denominatore di tale rapporto per k1, si ha:
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Perciò l’equazione di M-M diventa :
Portando in grafico 1/v in funzione di 1/S (grafico dei doppi reciproci), tale
funzione è rappresentata da una retta, in cui l’intercetta sull’asse delle ascisse è data
da -1/KM , quella sulle ordinate da 1/vmax, e la pendenza della retta è data da KM/vmax.
Tale grafico permette di ricavare facilmente le grandezze che compaiono
nell’equazione di M-M.
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Fig 7: Equazione di Michaelis – Menten nel grafico dei doppi reciproci.
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In presenza di una definita quantità dell’enzima, la massima velocità di una reazione
enzimatica è determinata aggiungendo crescenti concentrazioni del substrato e
determinando di volta in volta la velocità della reazione prodotta. Osservando il
grafico dell’equazione di M-M si può evidenziare che:
per basse concentrazioni di substato (rispetto alla concentrazione
dell’enzima), l’aumento della sua concentrazione produce un proporzionale
aumento della velocità della reazione;
per elevate concentrazioni del substrato (rispetto alla concentrazione
dell’enzima), all’aumento della concentrazione del substrato la crescita della
velocità della reazione si riduce progressivamente fino al punto in cui, per
qualsiasi concentrazione del substrato, la velocità della reazione si mantiene
costante (vmax).
In pratica nella situazione in cui il numero delle molecole enzimatiche impiegato è
limitato, l’aumento della concentrazione del substrato è seguito, da una progressiva
crescita delle molecole del prodotto, ma quando la maggior parte delle molecole
dell’enzima è impiegata nel legame con il substrato (ES), l’aumento della
concentrazione del substrato di qualsiasi entità non modifica in modo significativo la
velocità della reazione, che non può superare un valore limite (vmax). Alla velocità
massima, tutti i siti attivi dell’enzima sono saturati dal substrato. La velocità
massima è indicativa dell’efficienza catalitica e proporzionale al numero di turnover.
Fig 9: a) La protonazione del carbossile rompe il legame ionico tra i due residui amminoacilici che contribuiscono
alla forma del sito attivo; b) La protonazione del carbossile impedisce il riconoscimento fra E ed S.
Per la maggior parte degli enzimi esiste un intervallo di valori di pH, in genere
abbastanza ristretto, in cui la loro efficienza è massima, detto pH ottimale. Il valore
del pH ottimale varia sensibilmente da enzima a enzima: la pepsina, agisce nello
stomaco in presenza dell’HCl e ha un pH ottimale di 1,5; gli enzimi intestinali, invece,
agiscono a un pH sensibilmente più elevato, come avviene per la tripsina, che ha un
pH ottimale di 7,9. Quando i valori di pH si discostano dal pH ottimale si giunge alla
denaturazione enzimatica con la perdita completa ed irreversibile della specifica
attività.
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Di solito, i grafici che rappresentano la dipendenza tra il pH e l’attività enzimatica
hanno una forma a campana: in alcuni casi, tuttavia, tale forma può variare
notevolmente.
Si noti che il pH ottimale di un enzima non sempre coincide con quello del distretto
cellulare nel quale l’enzima si trova e la cellula può sfruttare il rapporto tra l’attività
dell’enzima e il pH presente per regolare l’azione enzimatica. È fondamentale per la
cellula poter regolare finemente l’attività degli enzimi, che vanno continuamente
attivati o spenti, come può succedere in caso di pericolo o di stress cellulare.
Effetto della temperatura
In generale l’aumento di temperatura di una reazione chimica aumenta l’energia
cinetica delle particelle. Un dato empirico dice che un aumento di 10 °C di
temperatura raddoppia la velocità di una normale reazione chimica di tipo
inorganico. Gli enzimi sono, però, proteine e, in quanto tali, sono sostanze
termolabili. La loro velocità di denaturazione termica, generalmente molto bassa a
0°C, raddoppia per ogni aumento di 10°C di temperatura. Molti sistemi di
conservazione dei cibi si basano sull’inattivazione del funzionamento degli enzimi,
ottenuta sottoponendo a elevate temperature per alcuni minuti il tessuto che
ospiterebbe la reazione. La denaturazione delle molecole enzimatiche porta alla loro
inattività come catalizzatori. La temperatura ha quindi due effetti opposti su una
reazione chimica: da un lato aumenta l’energia cinetica delle particelle aumentando
la velocità con cui reagiscono le molecole, in qualsiasi reazione chimica, anche
catalizzata da enzimi; dall’altro, tuttavia, l’aumento della temperatura favorisce la
denaturazione delle proteine riducendo la velocità della reazione.
Il grafico che relazione l’attività enzimatica con la temperatura ha forma di campana
e presenta un massimo di attività a temperature vicine a quelle corporee, mentre a
temperature superiori o inferiori i valori cadono rapidamente. A temperature
superiori, l’inattivazione è pressochè irreversibile perchè la proteina viene
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denaturata, mentre a basse temperature solitamente gli enzimi non vengono
denaturati e possono recuperare la loro attività catalitica quando la temperatura si
innalza nuovamente. E’ per questo che i ricercatori conservano a bassa temperatura
gli enzimi, le colture cellulari e anche i tessuti per i trapianti; per lo stesso motivo noi
conserviamo molte delle nostre sostanze alimentari nel frigorifero. In conclusione si
può affermare che in linea di massima a temperature superiori ai 56°C l’attività di un
enzima di solito si blocca in modo irreversibile.
E + I + S E-I + S
E-I E + P
Gli inibitori irreversibili spesso non mostrano specificità per un singolo enzima,
poichè si legano a residui amminoacidici determinati, ma presenti su diversi enzimi.
Per esempio, i gas nervini si combinano irreversibilmente con un residuo di serina nel
sito attivo dell’acetilcolinesterasi, enzima fondamentale per la trasmissione
sinaptica, che così viene inattivato, compromettendo la funzionalità del sistema
nervoso. La serina, però, è presente in numerosi altri enzimi, come la tripsina, la
chimotripsina o le esterasi, anch’essi soggetti all’azione di tali gas. Il gas nervino
diisopropilfluorofosfato (DPF) reagisce con i residui serinici dell’enzima
acetilcolinesterasi: l’enzima così trasformato non può più idrolizzare l’acetilcolina a
colina, reazione questa determinante per la trasmissione degli impulsi nervosi.
Fig 12: Effetto del gas nervino sul sito attivo dell’acetilcolinesterasi.
Anche alcuni sali dell’arsenico, del piombo o del mercurio hanno un’azione tossica
ad ampio spettro, inibendo le capacità catalitiche di molti enzimi. Questi sali
agiscono legandosi covalentemente ai gruppi SH della cisteina e impedendo, in tal
modo, la formazione di ponti disolfuro, indispensabili per stabilizzare la
configurazione tridimensionale delle molecole enzimatiche.
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Inibizione reversibile: gli inibitori reversibili si legano agli enzimi con interazioni
deboli, come i legami ad idrogeno o le interazioni idrofobiche. Il legame tra la
proteina enzimatica e l’inibitore può rompersi, permettendo all’enzima di
riprendere la propria attività catalitica. Nell’inibizione reversibile il legame enzima-
inibitore può non avvenire sul sito attivo.
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Fig 13: Rappresentazione di inibizione reversibile competitiva.
Si nota che substrato ed inibitore competono per lo stesso sito attivo; quando
prevale la concentrazione del substrato (caso c), esso riesce a scacciare l’inibitore
dal sito attivo. In questo caso si osserva che la velocità di trasformazione del
substrato in prodotto aumenta con la concentrazione del substrato.
Inibizione non competitiva: in questo caso i siti dei legame dell’inibitore e del
substrato non coincidono ed entrambe le molecole possono legarsi
simultaneamente all’enzima, che vede ridotta sensibilmente la propria attività
catalitica. Il legame che l’inibitore stabilisce con l’enzima ne modifica la struttura
terziaria, per cui riduce l’affinità del substrato con il sito attivo e quindi l’efficienza
enzimatica. Questo tipo di inibizione agisce riducendo il numero di turnover degli
enzimi, ossia il numero di molecole di substrato che vengono trasformate in
prodotto nell’unità di tempo. Poichè è la funzionalità dell’enzima a essere
compromessa, e non la sua capacità di legarsi al substrato, l’inibizione non
competitiva non può essere vinta da un aumento della concentrazione di substrato.
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Per quanto riguarda l’inibizione non competitiva, l’esempio più importante è fornito
dagli enzimi allosterici, nei quali l’inibitore si lega su un sito diverso dal sito attivo,
detto sito allosterico.
Gli enzimi allosterici (dal greco allos, altro e steròs, sito) sono proteine dalla
complessa struttura quaternaria che, oltre al sito attivo , presentano altri siti
regolatori dell’attività enzimatica , detti appunto siti allosterici.
Si dicono effettori o modulatori le sostanze che vanno a legarsi sui siti allosterici per
modulare l’attività dell’enzima (attivazione o inibizione), modificando la
conformazione del sito attivo dell’enzima per il legame del substrato. Gli effettori
possono essere di vario tipo: molecole, ioni, i substrati stessi o i prodotti delle
reazioni catalitiche. Se gli enzimi allosterici sono regolati da modulatori diversi dal
substrato, si parla di enzimi ad effetto eterotropo, se invece il modulatore è il
substrato stesso si parla di enzimi ad effetto omotropo.
gli enzimi allosterici sono formati da poche unità simmetriche e tale simmetria
deve sempre mantenersi;
ogni subunità ospita un solo sito attivo catalitico;
un cambiamento in una subunità comporta un identico e simultaneo
cambiamento nelle subunità simmetriche.
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Fig 15: a) Due subunità in forma tesa (T) ciè poco affini al substrato. b) Le stesse due subunità in forma rilasciata (R)
cioè molto affini al substrato.
L’entrata del substrato nel sito attivo catalitico di una subunità T (forma tesa, poco
affine al substrato), reso possibile dall’adattamento indotto, trasforma T in R (forma
rilasciata, molto affine al substrato) e lo stesso cambiamento avviene nella subunità
contigua ad esso associata, che pertanto ospita la seconda molecola di substrato più
agevolmente.
I modulatori positivi (P) inserendosi nei siti allosterici stabilizzano la forma rilasciata
sottraendola all’equilibrio e favorendo la trasformazione di T in R.
Fig 17: Modelli Monod: a) forma rilasciata stabilizzata da molulatori positivi; b) forma tesa stabilizzata da
modulatori negativi.
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Fig 18: Curva della velocità in funzione della concentrazione del substrato per alcuni tipi di enzimi allosterico
rappresentativi. a) Curva sigmoide di un enzima omotropico, in cui il substrato funge anche da modulatore positivo.
b) Effetti del modulatore positivo e negativo su un enzima allosterico in cui varia K0,5 senza modificazioni di vmax.
Regolazione a feedback
Gli enzimi sono i responsabili principali del metabolismo cellulare, lavorando da soli
o a gruppi per portare a termine specifici processi metabolici. Quando più enzimi
lavorano in modo sequenziale, si possono creare delle catene di reazioni o vie
metaboliche, in cui il prodotto del primo enzima diventa substrato per il secondo e
così via. Ne risulta che in molti sistemi multienzimatici, i primi enzimi della catena
regolano l’intera via metabolica in funzione delle necessità cellulari. Tali enzimi
regolatori, quindi, aumentano o diminuiscono la loro velocità in risposta a
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detrminati segnali, permettendo alla cellula di adeguarsi alle richieste di energia
(processi catabolici) o di biomolecole necessarie per al crescita e la riparazione
(processi anabolici). In genere, gli enzimi regolatori sono molto complessi, formati
da diverse subunità e spesso allosterici.
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Regolazione tramite modificazione covalente
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I sistemi di modificazione post – traduzionale sono coinvolti in un gran numero di
processi metabolici. In genere tra due vie metaboliche contrapposte è presente una
modalità di regolazione complementare. Un esempio di questo tipo è rappresentato
dalla regolazione della glicogenolisi e dalla glicogenosintesi; gli enzimi chiave
coinvolti in questa regolazione sono: la glicogeno – fosforilasi e la glicogeno –
sintasi. La glicogeno – fosforilasi (l’enzima chiave della glicogenolisi) è attivita dalla
fosforilazione, mentre è inattivata dalla fosforilazione. Al contrario la glicogeno -
sintasi (l’enzima chiave della glicogenosintesi) è attivata dalla defosforilazione ed
inattivata dalla fosforilazione.
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